N. 225 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 maggio 2014
Ordinanza del 15 maggio 2014 emessa dal Tribunale di Genova nel procedimento civile promosso da B.C.M. contro M.F. ed altri. Successione ereditaria - Chiamata all'eredita' dei parenti "naturali" secondo le nuove disposizioni in materia di parentela introdotte dalla legge n. 219 del 2012 - Applicabilita' alle successioni aperte anteriormente alla data (1° gennaio 2013) in cui tale legge e' entrata in vigore - Previsione introdotta dal legislatore delegato alla revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione - Denunciato contrasto con i limiti posti dalla giurisprudenza costituzionale alla retroattivita' delle leggi civili - Irragionevolezza - Mancanza di "motivi imperativi di interesse generale" - Difetto di proporzionalita' e coerenza - Compressione di posizioni soggettive sorte in base al preesistente assetto normativo - Lesione dei principi della certezza delle situazioni giuridiche e dell'affidamento nella stabilita' dell'ordinamento giuridico - Esorbitanza dai limiti e contrasto con i principi e criteri direttivi della legge di delegazione - Eccesso di delega. - Decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, art. 104, commi 2 e 3. - Costituzione, artt. 2, 3 e 77, in relazione all'art. 2, comma 1, lett. f) [recte, lett. l)], della legge 10 dicembre 2012, n. 219.(GU n.52 del 17-12-2014 )
IL TRIBUNALE DI GENOVA Sezione Settima Civile Il giudice istruttore, Alessia Solombrino, nella causa tra B.C.M., rappresentato e difeso dall'avv. Mirella Botto (attore) e M.F., rappresentata e difesa dall'avv. Nicola Devoto e dall'avv. Paolo Iasiello (convenuta) e P.V.L.R., rappresentata e difesa dall'avv. Vincenzo Ferrandino (terza chiamata da M.F.) e S.G. rappresentato e difeso dall'avv. Ernesto Lavatelli e dall'avv. Antonella Graziani (terzo chiamato da P.V.L.R. e C.R.S.A., rappresentata e difesa dall'avv. Sabrina Ruga e dall'avv. Alfredo Di Silvestro (terza chiamata da P.V.L.R.). Letto l'atto di citazione e viste le memorie depositate nell'interesse delle parti costituite; Sentite le parti all'udienza del 18 marzo 2014, a scioglimento della riserva in atti, pronuncia la seguente ordinanza. Sulla eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 104, primo e secondo collima, d.lgs. n. 154 del 28 dicembre 2013, nella parte in cui prevede l'applicabilita' delle disposizioni in materia di parentela e quindi la chiamata all'eredita' dei parenti "naturali" introdotte dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, entrata in vigore il 1° gennaio 2013, alle successioni aperte prima del gennaio 2013 , per asserito contrasto con gli artt. 2, 3 e 77 Costituzione e con i principi costituzionali di irretroattivita' delle leggi in materia di successioni e di ragionevolezza delle norme giuridiche. Rilevato in fatto: che con atto notificato in data 16 marzo 2011, depositato nei termini, B.C.M. premesso di essere figlio di B.M.T., parente collaterale in quarto grado premorta di D.M.E., deceduta in L. il 2 novembre 2004, ha esperito azione di petizione ereditaria nei confronti di M.F., chiedendo il riconoscimento della propria qualita' di erede, in seguito all'accettazione avvenuta con dichiarazione raccolta dal Notaio C.R. di C. in data 17 marzo 2008, trascritta il successivo 11 aprile 2008, e la restituzione della quota di 1/4 a lui spettante sull'immobile sito in C.B.A. compreso nell'asse ereditario e nondimeno venduto alla convenuta da P.V.R., figlia di B . e G. anch'ella parente collaterale in quarto grado premorta di D.M.E., con atto a rogito Notaio G.S. in data 30 maggio 2007, trascritto in data 7 giugno 2010; in particolare, l'attore, pur non escludendo la qualifica di coerede in ragione della meta' della P.V. come da accettazione espressa di eredita' in data 18 febbraio 2007 e dichiarazione di successione in data 21 maggio 2007, ha allegato l'inopponibilita' nei suoi confronti dell'atto di compravendita dianzi menzionato, trascritto in data successiva rispetto alla trascrizione della propria dichiarazione di accettazione dell'eredita'; che M.F., costituendosi in giudizio, ha eccepito il mancato completo assolvimento da parte dell'attore dell'onere posto a suo carico in relazione alla dimostrazione della qualita' di erede legittimo, allegando in fatto la propria buona fede nella stipulazione dell'atto di acquisto, instando per l'eventuale riduzione del prezzo e formulando chiamata di terzo nei confronti della propria dante causa P.V.R. e del notaio G.S. autore del rogito, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti per effetto dell'avvenuto acquisto di un bene parzialmente altrui; che P.V.R., costituendosi in giudizio, ha allegato la propria buona fede nel compimento degli atti dispositivi dei beni compresi nel compendio ereditario della defunta D.M.E., preceduti dall'avvenuta acquisizione di informazioni circa la propria qualita' di erede legittima ed esclusiva presso la societa' C.R.S.A., a tal fine chiamata in garanzia; che peraltro nel merito ha eccepito il difetto di legittimazione attiva dell'attore originario, in quanto nato non in costanza di matrimonio e, a sostegno delle considerazioni svolte, ha richiamato la giurisprudenza costituzionale intervenuta a far data dal 1990 in materia di rapporto di parentela naturale, il cui riconoscimento e' stato costantemente escluso ai fini successori, al di fuori del rapporto tra il figlio ed il singolo genitore che ha provveduto all'atto di riconoscimento; che in ogni caso ha formulato in via riconvenzionale, nei confronti del B.C., di pagamento della quota a lui spettante sulle spese sostenute in relazione agli accertamenti compiuti dalla C.R.S.A. nonche' alle imposte di' successione; che analoga eccezione di difetto di legittimazione attiva in capo all'attore originario e' stata sollevata sia dal terzo chiamato S.G., il quale ha per l'effetto allegato l'inefficacia della trascrizione dell'accettazione dell'eredita' da parte di B.C.M., difettando una delazione in favore dello stesso; sia dalla terza chiamata C.R.S.A., la quale ha allegato l'avvenuto puntuale ed esatto adempimento delle obbligazioni poste a suo carico in forza del contratto stipulato con la P.V.R .; che, nelle more del procedimento, e' intervenuta la legge 10 dicembre 2012, n. 219 - intitolata "Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali" -, la quale ha integralmente rinnovato l'assetto giuridico della filiazione proprio della disciplina codicistica, stabilendo che "tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico" (art. 315 C.C.); che "la parentela e' il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione e' avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui e' avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio e' adottivo" (art. 74 C.C.); e che "il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso" (art. 258 C.C.); che, pertanto, in forza delle norme dianzi richiamate, in virtu' del rapporto di parentela instauratosi con le persone che partecipano allo stipite da cui discendono i genitori - indipendentemente dal fatto che il concepimento si avvenuto nel, fuori o contro il matrimonio - il figlio nato da genitori coniugati ovvero riconosciuto o dichiarato tale in forza di dichiarazione giudiziale e' chiamato a pieno titolo alla successione legittima di costoro, ai sensi degli artt. 565 e ss. C.C,; che, quanto all'applicabilita' delle norme menzionate in via transitoria, in difetto di espresse previsioni e in ossequio al principio generale per cui la legge regolatrice della successione e' quella vigente al tempo dell'apertura della stessa, la legge n. 219/2012 e' stata uniformemente applicata soltanto alle successioni apertesi dopo il 1° gennaio 2013, ritenendosi precluso ogni diritto dei parenti "naturali" con riferimento alle successioni (come quella dedotta nell'odierno giudizio) apertesi in precedenza e disciplinate dalle previgenti disposizioni in materia di chiamata legale all'eredita'; che nondimeno, verosimilmente al fine di eliminare ogni differenza nel trattamento successorio dei figli, l'art. 2, primo comma, lettera f) della legge n. 219/2012 ha incaricato il Governo di assicurare "l'adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di unicita' dello stato di figlio, prevedendo, anche in relazione ai giudizi pendenti, una disciplina che assicuri la produzione degli effetti successori riguardo ai parenti, anche per gli aventi causa del figlio naturale premorto o deceduto nelle more del riconoscimento e conseguentemente l'estensione delle azioni di petizione di cui agli artt. 533 e seguenti del codice civile"; che quindi, in adempimento della delega dianzi menzionata, lo scorso 7 febbraio 2014 e' entrato in vigore il d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, il quale, tra le disposizioni transitorie e finali, al primo e secondo comma dell'art. 104, ha stabilito che "Fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219, sono legittimati a proporre azioni di petizione di eredita', ai sensi dell'art. 533 del codice civile, coloro che, in applicazione dell'articolo 74 dello stesso codice, come modificato dalla medesima legge, hanno titolo a chiedere il riconoscimento della qualita' di erede" e che "Fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219, possono essere fatti valere i diritti successori che discendono dall'art. 74 del codice civile, come modificato dalla medesima legge"; che i difensori di M.F., P.V.L.R., S.G. e C.R.S.A. hanno invocato ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimita' dell'art. 104 d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, nella parte in cui ha previsto l'applicabilita' delle nuove disposizioni in materia di parentela e quindi la chiamata all'eredita' dei parenti "naturali" nell'ambito delle successioni aperte prima del gennaio 2013, per violazione dell'art. 77 Costituzione (eccesso di delega) e degli artt. 2 e 3 Costituzione, nonche' per la violazione del principio di irretroattivita' delle leggi in materia di successione e del principio di ragionevolezza delle norme giuridiche; Osservato: che la pretesa avanzata dall'attore nell'ambito del presente procedimento presuppone il riconoscimento in capo allo stesso dello status di chiamato a pieno titolo alla successione legittima di una parente "naturale" collaterale in quarto grado, ai sensi delle disposizioni di cui agli artt. 74 e 258 C.C., come innovate dalla legge n. 219/2012; che, pertanto, la dedotta questione di costituzionalita' appare senza dubbio rilevante, in ragione dell'incidenza attuale e non meramente eventuale rivestita dalla disposizione normativa di cui all'art. 104 d.lgs. n. 154/2013 nel presente procedimento; in particolare, trattandosi di eredita' apertasi in data 2 novembre 2004, la legittimazione dell'istante a proporre azioni di petizione di eredita' discende direttamente dal dettato normativo della norma sottoposta al vaglio di costituzionalita', senza che ricorrano i limiti imposti dal giudicato e dall'avvenuto decorso dei termini di prescrizione, tenuto conto del dato normativo della legge n. 219/2012 che, in difetto di intervento del legislatore delegato, avrebbe trovato pacificamente applicazione soltanto alle successioni apertesi dopo il 1° gennaio 2013; che del pari ricorre il presupposto della non manifesta infondatezza della questione, per i motivi di seguito spiegati: 1) Violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione, sotto il profilo della ragionevolezza della norma e della sua conseguente idoneita' a dirigersi verso la generalita' dei consociati, garantendone pari dignita' sociale. L'art. 104, d.lgs. n. 154/2013, disponendo testualmente l'applicazione delle nuove regole disciplinanti la chiamata dei parenti naturali alle successioni apertesi prima dell'entrata in vigore della legge delega, ha sancito la retroattivita' delle disposizioni aventi effetti successori, certamente non attribuibile all'art. 1, legge n. 219/2012, che, intervenendo nel tessuto normativo preesistente degli artt. 74 e 258 C.C. e sostituendo integralmente le relative disposizioni, non appare qualificabile in termini di norma di interpretazione autentica, per cio' solo naturalmente applicabile anche alle situazioni antecedenti la sua entrata in vigore. Cio' posto, come di recente chiarito dalla stessa Corte costituzionale in materia di efficacia delle leggi nel tempo, il divieto di retroattivita' della legge civile, pur costituendo un valore fondamentale di civilta' giuridica, non riceve nell'ordinamento la tutela privilegiata di cui all'art. 25 Costituzione (cfr. Corte costituzionale, 5 aprile 2012, n. 78; Corte costituzionale, 26 gennaio 2012, n. 15; Corte Cost. n. 236 del 2011; Corte Cost. n. 393 del 2006), sicche' "il legislatore - nel rispetto di' tale previsione - puo' emanare norme retroattive, anche di interpretazione autentica, purche' la retroattivita' trovi adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi imperativi di interesse generale», ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU)" (cfr. Corte costituzionale, 28 novembre 2012, n. 264). In questo senso, l'intervento legislativo diretto a regolare situazioni pregresse e' legittimo a condizione che risponda ad un'esigenza sistemica funzionale all'attuazione di valori costituzionalmente garantiti (cfr. Corte Cost. n. 264/2012 cit.) e purche' le norme retroattive "trovino adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti, cosi da non incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere dalle leggi precedenti" (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 432 del 1997; Corte costituzionale, 30 gennaio 2009, n. 24; Corte costituzionale, n. 74/2008 e n. 376/1995). Se ne ricava che i limiti posti alla possibile retroattivita' delle norme attengono, oltre che a principi costituzionalmente cristallizzati, ad altri fondamentali valori di civilta' giuridica diretti a tutelare i destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il principio generale di ragionevolezza (che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparita' di trattamento); la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (cfr. Corte costituzionale, 10 aprile 2013, n. 103; Corte Cost., 11 Giugno 2010, n. 209; Corte costituzionale, sent. n. 6 del 1994). La nonna impugnata nel presente giudizio travalica detti limiti. Va premesso al riguardo che l'art. 1, legge n. 219/2012 non viene formulato quale norma di interpretazione autentica, ne' in sostanza interviene ad assegnare alle disposizioni di cui agli artt. 74 e 258 C.C. un significato gia' in queste contenuto "riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario", al fine di chiarire "situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo", a tutela della certezza del diritto e degli altri principi costituzionali richiamati (cfr. Corte Cost. sentenza n. 311 del 2009). Invero, com'e' pacifico, norma di interpretazione autentica e' quella che "a prescindere dal titolo della legge e dall'intenzione del legislatore non ha un significato autonomo ed esaustivo in se' e per se' considerata, ma acquista senso e significato solo nel collegamento e nell'integrazione con precedenti disposizioni di cui fissa la portata senza sostituirla" (cfr. Cass., 20 maggio 1982, n. 3119; nonche' Corte Cost. n. 271 e n. 257 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 24 del 2009). (1) Nessuna di tali caratteristiche appare configurabile nella disposizione del citato art. 1, legge n. 219/2012. In primo luogo sussiste il tenore letterale dell'art. 104 d.lgs. n. 154/2013, che espressamente al secondo comma contiene il riferimento alla "modifica" dell'art. 74 C.C., operata dalla legge n. 219/2012, con cio' implicitamente escludendone la natura interpretativa. In secondo luogo, proprio la portata dell'intervento legislativo - che ha creato vincoli di parentela in capo a soggetti che prima ne erano esclusi, collocandoli nelle categorie dei successibili ove prima non erano ricompresi - induce a ritenere che la ratio legis non sia stata quella di chiarire una situazione di oggettiva incertezza sul piano normativo ovvero di "ristabilire un'interpretazione piu' aderente alla originaria volonta' del legislatore", bensi' quella di introdurre una nuova disciplina volta a superare tale originaria volonta'. L'orientamento della giurisprudenza costituzionale consolidatosi fino alla novella del 2012 in materia di successione dei parenti "naturali" -segnatamente, in ordine alla conformita' ai principi costituzionali delle disposizioni di cui agli artt. 74 e 258 C.C., con la conseguente inammissibilita' di pronunce abrogatrici da parte della Corte costituzionale - conferma questa conclusione. La retroattivita' prevista dalla disposizione impugnata non trova, per altro verso, giustificazione nella tutela di "principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi imperativi di interesse generale», ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU)». Vero e' che alla luce sia dei lavori parlamentari che dell'intrinseco contenuto normativo emerge come la novella del 2012 - e, evidentemente, anche la disciplina introdotta dal legislatore delegato all'art. 104 - risponda complessivamente all'esigenza di dare definitiva attuazione ai principi dettati dalla Costituzione relativamente ai rapporti familiari, segnatamente, il principio della tendenziale parita' di trattamento dei figli nati fuori del matrimonio, sancito dall'art. 30 Costituzione. Ed e' altresi' pacifico che il legislatore rimane sempre e comunque libero di attribuire a tutti i cittadini i diritti costituzionalmente garantiti, dando rilievo alle condizioni personali dei destinatari del provvedimento anche eventualmente a scapito di altre categorie di soggetti (nella specie, i titolari di diritti acquisiti in base alle norme successorie previgenti), con il compimento di scelte discrezionali che si discostino o addirittura mutino integralmente un precedente indirizzo politico: l'art. 3 Costituzione del resto non esige che siano attribuiti a tutti i cittadini gli stessi diritti, ma richiede piuttosto che vengano riconosciuti ai singoli individui quei diritti fondamentali che la Costituzione garantisce, in quanto condizioni necessarie per lo sviluppo della personalita', sicche' il principio di uguaglianza non risulta minimamente vulnerato qualora la legge introduca distinzioni che creino particolari condizioni di vantaggio in difesa di alcune categorie di cittadini, affinche' questi ultimi possano godere dei diritti fondamentali previsti dalla Costituzione. Nondimeno, e' altrettanto vero che il richiamo alla preminenza di un valore rispetto agli altri diritti costituzionalmente garantiti (nella specie, il diritto successorio dei figli naturali) non e' sufficiente ad escludere un giudizio di arbitrarieta' della scelta legislativa, in quanto, come precisato di recente dalla stessa Corte costituzionale "tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non e' possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (cfr. Corte Cost. sentenza n. 264 del 2012). Se cosi' non fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe tiranno nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignita' della persona" (cfr. Corte Cost. sentenza n. 85/2013). In altre parole, come supra anticipato, posto che nel contesto della Costituzione italiana non esiste una gerarchia di valori astrattamente predeterminata, i diversi interessi sono tutti suscettibili di essere bilanciati secondo plurime soluzioni: se ne ricava che i limiti concreti alla libera ponderazione politica da parte del legislatore sono quelli derivanti proprio dai criteri di ragionevolezza, proporzionalita' - diretta a mitigare il rigore della disciplina positiva di fronte alle peculiarita' del caso concreto - e coerenza, da intendersi come rispondenza logica della nonna rispetto al fine perseguito dalla legge ovvero rispetto ai principi generali del sistema. In questo senso, il giudizio di ragionevolezza di una norma giuridica "lungi dal comportare il ricorso a criteri di valutazione assoluti e astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalita' rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalita' che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti" (cfr. Corte Cost., sentenza n. 1130 del 1988). Tanto premesso, se da un lato la norma di cui all'art. 1, legge n. 219/2012 trova la propria giustificazione proprio nel principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Costituzione, - in quanto diretta a rimuovere definitivamente dall'ordinamento italiano ogni discriminazione tra i figli, fondata sul vincolo che lega i genitori - non appare altrettanto proporzionata e coerente la norma di cui all'art. 104 d.lgs. 154/2013, nella misura in cui opera una significativa compressione di diritti acquisiti da coloro ai quali era stata riconosciuta la qualita' di erede e dai rispettivi aventi causa nell'ambito delle eredita' apertesi prima del riconoscimento di tale parificazione: compressione che non trova ragionevole giustificazione all'interno dell'ordinamento, tenuto conto, in primo luogo, della pregressa giurisprudenza costituzionale che per lungo tempo ha legittimato la vigenza di un sistema caratterizzato da una parificazione soltanto tendenziale fra figli naturali e figli legittimi e ritenuto comunque conforme al principio di cui all'art. 30 Costituzione, sicche', paradossalmente, l'applicazione retroattiva delle innovazioni in tema di soggetti chiamati alla successione legittima si traduce inevitabilmente in una negazione del fenomeno di naturale evoluzione (intesa in senso dinamico e progressivo) dei concetti costituzionali, in linea con la coscienza sociale, la legislazione ordinaria, la giurisprudenza di merito. (2) In secondo luogo, dell'entita' del sacrificio delle posizioni giuridiche gia' consolidatesi alla data di entrata in vigore della norma in esame e della conseguente significativa lesione dei principi immanenti e fondamentali della certezza delle situazioni giuridiche e dell'affidamento nella stabilita' dell'ordinamento giuridico, che, essenziale elemento dello Stato di diritto,' non puo' essere leso da disposizioni retroattive le quali trasmodino in un regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 416 del 1999; Corte Cost. sentenze n. 211 del 1997 e n. 390 del 1995, recentemente, sent. n. 525 del 2000 ed ordinanze nn. 319 e 327 del 2001; nonche' Corte Cost. n. 446/2002, secondo cui "solo in questi limiti - in presenza di una legge avente, in settori estranei alla previsione dell'art. 25, comma 2, della Costituzione, portata ragionevolmente retroattiva - l'affidamento sulla stabilita' della normativa previgente e' coperto da garanzia costituzionale"). E invero, la disciplina transitoria dettata dalla norma in esame consente ai nuovi legittimati ai sensi dell'art. 74 C.C., di agire in forza del vincolo di parentela acquisito, anche nell'ambito di successioni apertesi prima del gennaio 2013, a dispetto di situazioni di fatto consolidatesi in forza del preesistente assetto normativo. Ed e' sufficiente l'analisi della vicenda processuale oggetto del procedimento pendente davanti a questo Tribunale - in cui l'attore, originariamente escluso dalla successione, a seguito della novella e' divenuto parente a fini successori della de cuius, legittimato ad agire in petizione contro la precedente chiamata, la quale ha peraltro nel frattempo alienato a terzi il bene - per comprendere l'entita' della frustrazione operata dalla disposizione di cui all'art. 104 d.lgs. n. 154/2013 sulle legittime aspettative di coloro ai quali si era devoluta l'eredita', da parte di soggetti che soltanto a far data dal 1° gennaio 2013 si sono visti riconoscere la qualita' di parenti, anche a fini successori. 2) Violazione dell'art. 77 Costituzione, sotto il profilo del mancato rispetto dei limiti imposti dalla legge delega. L'art. 2, primo comma, lett. f) della legge n. 219/2012, pur nella sua non chiara formulazione, non esplicita in alcun modo il potere del legislatore delegato di prevedere l'eccezionale retroattivita' delle nuove disposizioni in materia di parentela e, per l'effetto, di stabilire la chiamata dei parenti naturali alle successioni apertesi prima del gennaio 2013. E' evidente, anche dalla lettura dei lavori parlamentari, che il profilo centrale della scelta del legislatore del 2012 sia la volonta' di rimuovere definitivamente, sul piano sostanziale e terminologico, le differenze che residuano nel trattamento successorio dei figli, tenendo conto anche delle situazioni in fase di accertamento, nell'ambito dei giudizi pendenti. "Nondimeno, dall'esame del dato testuale alla luce dei criteri di logicita' e coerenza rispetto al sistema, il richiamo all'estensione delle azioni di petizione di cui agli artt. 533 e ss. C.C. pare riferito agli "aventi causa" del figlio premorto all'accertamento del suo stato, segnatamente, ai discendenti subentrati al chiamato ex art. 467 C.C., il cui status di filiazione sia stato accertato post mortem: ipotesi, questa, effettivamente disciplinata dall'art. 104, quinto comma, d.lgs. n. 154/2013. Al contrario, il legislatore delegato ha esteso la legittimazione all'esercizio di diritti su successioni gia' aperte non in favore dei parenti il cui status sia stato tardivamente accertato, bensi' in favore dei soggetti che soltanto a seguito della novella del 2012 sono divenuti "nuovi" parenti ai sensi dell'art. 74 C.C., a prescindere da qualsivoglia aspetto concernente la decorrenza dell'accertamento dello stato di filiazione. Una simile interpretazione tuttavia non soltanto appare in contrasto con il contenuto della norma-delega - rendendo del tutto inutile il richiamo all'autonoma ipotesi dei soggetti il cui rapporto di filiazione sia stato accertato dopo l'entrata in vigore della legge n. 219/12 - ma non puo' neanche ritenersi coerente sviluppo e completamento delle scelte espresse dal delegante, proprio in quanto esclusa da una lettura costituzionalmente orientata della disposizione di cui all'art. 2 legge n. 219/2012, in ossequio al principio di tendenziale irretroattivita' delle norme successorie, da sempre rispettato dal legislatore, anche al fine di garantire i principi sopra richiamati della certezza giuridica -quale corollario del principio di legalita' - e della sicurezza nella circolazione dei beni. (1) Si e' chiarito che tale carattere interpretativo "deve peraltro desumersi non gia' dalla qualificazione che tali leggi danno di se stesse, quanto invece dalla struttura della loro fattispecie normativa, in relazione, cioe', ad un rapporto fra norme - e non tra disposizioni - tale che il sopravvenire della norma interpretante non fa venir meno la norma interpretata, ma l'una e l'altra si saldano tra loro dando luogo ad un precetto normativo unitario" (Corte costituzionale, sent. n. 397 del 1994). In ogni caso, la stessa Corte costituzionale ha autorevolmente precisato che «ai fini del controllo di legittimita' costituzionale sotto il profilo della ragionevolezza, non assume valore decisivo verificare se una norma abbia efficacia retroattiva in quanto di natura realmente interpretativa, ovvero si connoti come innovativa con efficacia retroattiva" (sent. n. 136 del 2001, nello stesso senso, Corte costituzionale n. 6 del 1994, nn. 88 e 376 del 1995, n. 229 del 1999); in questo senso, "il legislatore puo' porre norme che precisino il significato di altre norme non solo ove sussistano situazioni di incertezza nell'applicazione del diritto o siano insorti contrasti giurisprudenziali, ma anche in presenza di indirizzi omogenei, se la scelta imposta per vincolare il significato ascrivibile alla legge anteriore rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario; in tali casi, il problema da affrontare riguarda non la natura della legge, ma i limiti che incontra la sua portata retroattiva, alla luce del principio di ragionevolezza" (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 525 del 2000). (2) Progressiva evoluzione della quale del resto aveva tenuto conto il legislatore del Codice Civile, che, innovando rispetto al codice unitario in materia di successione dei figli naturali riconosciuti, non aveva dettato disposizioni transitorie dirette a renderle applicabili anche alle successioni apertesi prima del 21 aprile 1940, con cio' riconoscendo coerenza e dignita' al previgente sistema, rispettoso di concetti costituzionali che nondimeno erano mutati in ragione della mutata coscienza sociale.
P.Q.M. Ritenuta la rilevanza nel presente giudizio e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 104, secondo e terzo comma, d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, nella parte in cui prevede l'applicabilita' delle disposizioni in materia di parentela e quindi la chiamata all'eredita' dei parenti "naturali" introdotte dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, entrata in vigore il 1° gennaio 2013, alle successioni aperte prima del gennaio 2013, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 77 Costituzione, sospende il presente procedimento; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale affinche', ove ne ravvisi i presupposti, voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 104, d.lgs. n. 154/2013, nella parte indicata; Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Genova, 15 maggio 2014 Il Giudice: Alessia Solombrino