N. 228 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 agosto 2014

Ordinanza del 20 agosto 2014  emessa  dal  Tribunale  di  Trento  nel
procedimento civile promosso da B.D. contro Pubblico ministero presso
la Procura della Repubblica del Tribunale di Trento.. 
 
Stato civile - Rettificazione giudiziale di attribuzione di  sesso  -
  Possibilita'  subordinata  alle   intervenute   modificazioni   dei
  caratteri sessuali della persona istante -  Conseguente  necessita'
  che  quest'ultima  si   sottoponga   previamente   ai   trattamenti
  medico-chirurgici  necessari  a  modificare  i   propri   caratteri
  sessuali primari - Ingiustificata  limitazione  dell'esercizio  del
  diritto della persona all'identita' di genere (ossia  di  scegliere
  la propria identita' sessuale, femminile o maschile, a  prescindere
  dal dato biologico) - Violazione del diritto al rispetto della vita
  privata e familiare, sancito dalla Convenzione per la  salvaguardia
  dei diritti dell'uomo  (CEDU)  come  interpretata  dalla  Corte  di
  Strasburgo - Contrasto con la garanzia costituzionale  dei  diritti
  inviolabili  della  persona  -  Imposizione   di   una   condizione
  eccessivamente gravosa  e  conseguente  vanificazione  del  diritto
  all'identita' sessuale  -  Irragionevolezza  -  Compromissione  del
  diritto alla  salute  (attesa  l'invasivita'  e  pericolosita'  dei
  trattamenti sanitari per l'adeguamento del sesso "biologico"). 
- Legge 14 aprile 1982, n. 164, art. 1, primo comma. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 32  e  117,  primo  comma,  in  relazione
  all'art. 8  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
  dell'uomo (CEDU); Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza  11
  luglio 2002, n. 28.957 (Christine Goodwin contro Regno Unito). 
(GU n.52 del 17-12-2014 )
 
                  IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TRENTO 
                           Sezione Civile 
 
    Composto dagli Ill.mi signori Magistrati: 
      dott. Roberto Beghini - presidente relatore; 
      dott. Giuseppe Barbato - giudice; 
    dott. Giuliana Segna - giudice. 
    Letti gli atti del proc. n. 1471/2014 RG. 
    Pronunzia la seguente ordinanza di  rimessione  degli  atti  alla
Eccellentissima Corte costituzionale in relazione alla  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, primo comma, della legge  14
aprile 1982, n. 164. 
1. La rilevanza della questione. 
    La rilevanza della questione risiede nel fatto che, nel  presente
giudizio, la signora X.Y., premesso di non avere figli  ne'  di  aver
contratto matrimonio, ha chiesto a questo Tribunale la rettificazione
di attribuzione di sesso ai sensi dell'art.  1,  primo  comma,  della
legge 14 aprile 1982, n. 164, mediante ordine all'ufficiale di  stato
civile del comune di residenza, di modificare l'atto di nascita,  nel
senso che risulti quale genere quello maschile e  quale  prenome  uno
dello stesso tipo. In secondo luogo, la signora X.Y. ha chiesto - pur
non ritenendolo necessario - di essere  eventualmente  autorizzata  a
compiere in futuro gli interventi  medico-chirurgici  necessari  alla
normoconformazione del suo corpo in senso ginoandroide, anche tramite
isterectomia, mastectomia e falloplastica. Espone di aver  percepito,
sin  da  quando  aveva  7  anni,  un'identita'  di  genere  maschile,
abbigliandosi sin da allora in tal senso e presentandosi cosi'  anche
nell'ambiente sociale, avvertendo altresi' un  orientamento  sessuale
verso le donne. Lamenta un forte e persistente senso di  frustrazione
e di disagio, dovuto al fatto che nei propri documenti di  identita',
le risultanze anagrafiche attestano la  sua  appartenenza  al  genere
femminile. Documenta un disturbo dell'identita' sessuale nella  forma
del  transessualismo   (classificazione   ICD-10)   e   di   disturbo
dell'identita' di genere (classificazione DSM IV), con esclusione  di
forme di intersessualita'. 
    Sostiene e documenta di aver gia' avviato  una  terapia  ormonale
mascolinizzante. Pur con riserva di verificarne in dettaglio i rischi
e la sostenibilita',  manifesta  la  mera  intenzione  di  sottoporsi
eventualmente in futuro ad  un  intervento  chirurgico  demolitivo  e
ricostruttivo,  ritenendolo  tuttavia  non  necessario  al  fine   di
ottenere preventivamente la chiesta rettificazione di attribuzione di
sesso. Comparsa  assieme  al  suo  difensore  -  innanzi  al  giudice
istruttore - con abbigliamento ed apparenza maschile, ha insistito in
tutte e due le domande  giudiziali,  sia  di  rettificazione  che  di
autorizzazione all'adeguamento dei caratteri sessuali  da  realizzare
mediante trattamento medico-chirurgico. 
    Il Procuratore  della  Repubblica  presso  questo  Tribunale,  e'
rimasto contumace. 
    All'udienza del 3 giugno 2014, la causa e' stata riservata per la
decisione. 
    Delineato in tal modo l'oggetto  del  presente  giudizio,  questo
Tribunale   evidenzia   che   la   rilevanza   della   questione   di
costituzionalita' che con  la  presente  ordinanza  viene  sollevata,
risiede nel fatto che la  domanda  della  sig.ra  X.Y.,  deve  essere
decisa sulla base del cit. art. 1, primo comma, della legge 14 aprile
1982, n. 164 (come modificato dall'art. 110, D.P.R. 3 novembre  2000,
n. 396), in virtu' del quale, come noto "la rettificazione si  fa  in
forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che  attribuisca
ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell'atto di nascita
a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali". 
    Dal tenore letterale della norma, emerge  inequivocabilmente  che
la rettificazione puo'  aver  luogo  solo  previa  modificazione  dei
caratteri sessuali, per tali dovendosi  necessariamente  intendere  i
caratteri sessuali primari (vale a dire l'apparato genitale, in  base
all'esame  del  quale,  al  momento  della  nascita,  si  e'   soliti
individuare il sesso della persona). In assenza  della  modificazione
dei caratteri sessuali  primari,  la  rettificazione  non  puo'  aver
luogo. 
    E' ben vero che l'art. 31, comma quarto, del decreto  legislativo
1° settembre 2011, n. 150, prevedendo che "quando risulta  necessario
un  adeguamento  dei  caratteri  sessuali  da   realizzare   mediante
trattamento medico-chirurgico, il tribunale lo autorizza con sentenza
passata in giudicato", ammette che il  trattamento  medico-chirurgico
possa  essere  solo  eventuale  (come  lascia  intendere   l'avverbio
"quando"); ma cio' non gia' perche' possa ottenersi la rettificazione
di attribuzione di sesso a prescindere dall'adeguamento dei caratteri
sessuali primari, bensi' solo perche' possono esservi  casi  concreti
nei quali i caratteri sessuali primari risultano gia' modificati  (ad
esempio, in caso  di  intervento  gia'  praticato  all'estero  o  per
ragioni  congenite).  Se  cosi  non  fosse,  non  si   comprenderebbe
l'espressione  "a  seguito  di  intervenute  modificazioni  dei  suoi
caratteri sessuali", di cui al cit. art. 1, primo comma, della  legge
14 aprile 1982, n. 164. Se il legislatore  avesse  inteso  consentire
alla persona la rettificazione di attribuzione di sesso a prescindere
dalla modificazione dei suoi caratteri sessuali primari, non  avrebbe
menzionato tale modificazione  nella  parte  finale  della  norma  in
esame. Il suo tenore letterale sarebbe stato diverso,  verosimilmente
uguale a "la rettificazione si fa in forza di sentenza del  tribunale
passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso  da
quello enunciato nell'atto di nascita", senza alcun riferimento  alla
modificazione dei caratteri sessuali della persona. 
    Il legislatore del 1982 ha dunque  richiesto  che  vi  sia  piena
corrispondenza tra gli organi sessuali primari della  persona,  e  la
nuova  identita'  sessuale   a   costei   attribuita   dall'autorita'
giudiziaria. 
    Ad avviso di questo Tribunale, dunque, l'interpretazione del cit.
art. 1, primo comma, della legge 14 aprile 1982, n.  164,  impone  di
escludere che sia ammessa la rettificazione di attribuzione di sesso,
in assenza della modificazione dei caratteri sessuali  primari  della
persona (modificazioni  che  possono  essere  congenite,  fortuite  o
realizzate  mediante   intervento   medico-chirurgico).   Il   tenore
letterale  della   norma,   non   sembra   consentire   alcun   altra
interpretazione. 
    Nella fattispecie concreta, pertanto, questo  Tribunale  dovrebbe
senz'altro rigettare la domanda di rettificazione di attribuzione  di
sesso, proposta dalla sig.ra X.Y., in quanto e' pacificamente assente
il requisito della previa modificazione dei suoi  caratteri  sessuali
primari, posto che ella, come detto si e' limitata esclusivamente  ad
avviare una terapia ormonale e non intende attualmente sottoporsi  ad
alcun intervento  chirurgico  di  adeguamento  del  proprio  apparato
genitale al sesso maschile, avendo solo prospettato l'eventualita' di
farlo in futuro, e chiedendo a tal fine - per tuziorismo - di  essere
autorizzata. 
    Di qui la rilevanza della questione di costituzionalita' del cit.
art. 1, primo comma, della legge 14 aprile 1982, n. 164, nella  parte
in cui subordina la rettificazione  di  attribuzione  di  sesso  alla
intervenuta  modificazioni  dei  caratteri  sessuali  della   persona
istante. 
2. La non manifesta infondatezza. 
    Ad avviso di questo Tribunale, l'inciso "a seguito di intervenute
modificazioni dei suoi caratteri sessuali", di cui al  cita  art.  1,
primo comma, della legge 14 aprile 1982, n. 164, si pone in contrasto
con gli articoli 2, 3, 32 e 117,  primo  comma,  Cost.  (l'art.  117,
primo comma, Cost. in relazione all'art. 8 della Convenzione  europea
dei diritti dell'uomo, di seguito CEDU). 
    Per una esaustiva comprensione  della  fattispecie,  puo'  essere
utile premettere che, come di  recente  evidenziato  dalla  dottrina,
ogni persona ha un sesso «anagrafico» attribuitogli al momento  della
nascita in base a un esame  morfologica  degli  organi  genitali.  In
questo modo, il sesso anagrafico viene  fatto  coincidere  col  sesso
«biologico». Tuttavia, se per la maggior parte degli  individui  tale
attribuzione rispecchia  fedelmente  tutte  le  componenti  sessuali,
facendo cosi coincidere il sesso «legale» con quello  reale,  possono
verificarsi ipotesi nelle quali questa coincidenza non  sussiste.  In
questi casi, il sesso attribuito anagraficamente,  diventa  una  mera
finzione, perche' la componente  psicologica  si  discosta  dal  dato
biologico.  Quando  cio'  avviene,  si  manifestano   le   molteplici
componenti della sessualita' umana, la quale e' al contempo genetica,
fenotipica, endocrinica, psicologica, culturale e  sociale.  Il  dato
fondamentale non e' piu' il  sesso  biologico  o  anagrafico,  ma  il
genere, che si puo' definire quale "variabile socio-culturale",  vale
a dire "qualita' della persona in base alla  quale  della  stessa  si
puo' dire che e' maschile o femminile". Il  genere  puo'  discostarsi
dal sesso biologico e cambiare col  tempo  in  varie  declinazioni  e
direzioni, nel qual caso si puo' parlare di "espressione"  o  "ruolo"
di genere. Quando vi e' una "percezione" di non collimazione  tra  il
genere assegnato alla nascita (sulla base del sesso "biologico") e il
genere cui la persona acquista la consapevolezza di appartenere, tale
mutamento opera sul piano dell'identita' di genere. Nel  passato,  la
medicina riteneva che ogni dissociazione tra il sesso  e  il  genere,
configurasse  una  vera  e  propria  patologia  (il  c.d.   "disturbo
dell'identita' di  genere",  DIG),  risolvibile  solo  attraverso  il
mutamento, verso il sesso opposto, di tutto cio'  che  era  possibile
cambiare. Attraverso la c.d. "triadic therapy", infatti, alla persona
veniva chiesto di portare a conclusione  un  processo  in  tre  fasi:
un'esperienza reale nel ruolo del sesso  desiderato,  il  trattamento
ormonale e la riassegnazione chirurgica dei caratteri  sessuali  (cd.
RCS).  Solo  chi  completava  tutti  e  tre  questi   steps,   poteva
considerarsi "guarito" e dunque ammesso tra i soggetti meritevoli  di
considerazione come persone del sesso opposto. 
    Il cit. art. 1, primo comma, della legge 14 aprile 1982, n.  164,
nella parte in cui subordina la  rettificazione  di  attribuzione  di
sesso alla intervenuta modificazioni  dei  caratteri  sessuali  della
persona istante, costituisce la piena e matura  espressione  di  tale
mentalita'. 
    L'imposizione di un  determinato  trattamento  medico,  sia  esso
ormonale  ovvero  di  RCS,  costituisce   tuttavia   una   grave   ed
inammissibile limitazione al riconoscimento del diritto all'identita'
di genere (maschile o femminile). Infatti, il fine del raggiungimento
dello stato di benessere psico-fisico della persona, al  quale  tende
il riconoscimento sociale, e' la rettificazione  di  attribuzione  di
sesso, e non la riassegnazione sessuale sul  piano  anatomico  (dalla
persona non sempre voluta, come accade per la sig.ra X.Y.). In  altra
prospettiva, al fine di  identificare  una  persona  come  femmina  o
maschio, non si procede ad un esame dei suoi organi genitali  -  atto
che costituirebbe una grave intromissione nella  vita  privata  della
persona - bensi' dei suoi documenti. Ne  deriva  che  il  trattamento
clinico non influisce, sotto un profilo generale, sul  riconoscimento
sociale nella stessa misura nella quale vi contribuisce,  invece,  il
mutamento di sesso anagrafico. Va poi evidenziato che, come riferisce
la scienza medica, sia il trattamento ormonale sia  la  RCS,  sono  -
notoriamente - molto rischiosi per la salute umana. La transizione da
donna a uomo (c.d. Female to Male, F2M)  comporta  ipercoagulabilita'
del sangue con rischio di embolia polmonare, infertilita', aumento di
peso, patologie epatiche e labilita' emotiva; la transizione  opposta
(Male to Female, M2F), puo' portare a infertilita', acne  e  malattie
cardiovascolari. 
    Cio' evidenziato in punto di fatto, e' noto che  l'art.  8  della
CEDU sancisce il diritto al rispetto della vita privata e  familiare,
prevedendo che "ogni persona ha diritto  al  rispetto  della  propria
vita privata e familiare,  del  proprio  domicilio  e  della  propria
corrispondenza. Non puo' esservi ingerenza di una autorita'  pubblica
nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista
dalla  legge  e  costituisca  una  misura  che,   in   una   societa'
democratica, e' necessaria alla sicurezza  nazionale,  alla  pubblica
sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa  dell'ordine
e alla prevenzione dei reati, alla protezione della  salute  o  della
morale, o alla protezione dei diritti e delle liberta' altrui". 
    Secondo  la  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei   diritti
dell'uomo,  il  diritto  all'identita'  sessuale  (rectius,   diritto
all'identita'  di  genere),  rientra  a  pieno  titolo  nella  tutela
prevista dal cit. art. 8 della CEDU. Ad esempio,  nella  sentenza  11
luglio 2002, n. 28.957 (Christine Goodwin  contro  Regno  Unito),  la
Corte ha affermato  che  "77.  Occorre  anche  riconoscere  che  puo'
sussistere un grave pregiudizio alla vita privata quando  il  diritto
nazionale e' incompatibile con un aspetto  importante  dell'identita'
personale (v., mutatis mutandis, la sentenza 22 ottobre 1981 nel caso
Dudgeon contro Regno Unito, serie A n. 45, paragrafo 41). La tensione
e lo squilibrio emotivo  provocati  dalla  divergenza  tra  il  ruolo
ricoperto nella societa' da un transessuale operato e  la  condizione
imposta dal diritto che rifiuta di riconoscerne il mutamento di sesso
non  possono  essere  considerati,  a  giudizio   della   Corte,   un
inconveniente di secondaria importanza discendente da una formalita'.
Vi e' conflitto tra la realta' sociale  e  il  diritto  che  pone  il
transessuale in una situazione anomala, suscitandogli  sensazioni  di
vulnerabilita',  di  umiliazione  e  di  angoscia".  Nella   medesima
sentenza, la Corte ha anche  evidenziato  che  "90.  Cio'  posto,  la
dignita' e la liberta'  dell'uomo  costituiscono  il  nocciolo  della
Convenzione.  In  particolare,  nel  contesto   dell'art.   8   della
Convenzione, dove la  nozione  di  autonomia  personale  riflette  un
importante principio sotteso all'interpretazione  delle  garanzie  di
tale  disposizione,  la  sfera  personale  di  ciascun  individuo  e'
protetta, compreso il diritto per ciascuno di decidere i  particolari
della propria identita'  di  essere  umano  (vedi,  specialmente,  la
sentenza 29 aprile 2002 nel caso Pretty c. Regno  Unito,  ricorso  n.
2346/02,  paragrafo  62).  Nel  XXI  secolo,  la   facolta'   per   i
transessuali di godere pienamente, al pari dei loro concittadini, del
diritto allo sviluppo personale e all'integrita' fisica e morale, non
puo' essere considerata una questione controversa  che  richiede  del
tempo per poter comprendere piu' chiaramente i problemi in gioco". 
    Come noto, per giurisprudenza costante, la  contrarieta'  di  una
norma  interna  alla   CEDU,   da'   luogo   ad   un   incidente   di
costituzionalita' con riferimento all'art. 117,  primo  comma,  Cost.
(v. Corte Cost. numeri 348 e 349 del 2007, numeri 311 e 317 del 2009,
n. 93 del 2010, numeri 1, 113, 236 e 303 del 2011, e numeri 15  e  78
del 2012). 
    Passando  quindi  alla  Costituzione  italiana,  il  suo  art.  2
sancisce  il  fondamentale  principio  secondo  cui  "la   Repubblica
riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo", ed eleva  "a
regola fondamentale dello Stato, per tutto quanto attiene ai rapporti
tra la collettivita' e i singoli, il riconoscimento di  quei  diritti
che formano patrimonio irretrattabile della persona umana [e  che...]
appartengono all'uomo inteso come essere libero" (v.  sentenza  della
Corte costituzionale n. 11 del 1956): diritti  che,  stante  il  loro
"carattere  fondante  rispetto  al  sistema  democratico  voluto  dai
costituente" (v. Corte Cost. n. 366 del 1991),  non  possono  "essere
sovvertiti o modificati nel  loro  contenuto  essenziale  neppure  da
leggi di revisione costituzionale o da  altre  leggi  costituzionali"
(v. Corte Cost. n. 1146 del 1988), perche' "appartengono  all'essenza
dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana". 
    Nell'alveo dei diritti inviolabili  la  Corte  costituzionale  ha
ricondotto sia "il diritto di realizzare, nella vita di relazione, la
propria  identita'  sessuale,  da  ritenere  aspetto  e  fattore   di
svolgimento  della  personalita'",  che  gli   altri   membri   della
collettivita' sono tenuti a riconoscere "per dovere  di  solidarieta'
sociale" (v. Corte Cost. n.  161  del  1985);  sia  il  diritto  alla
liberta'  sessuale,  poiche',  "essendo  la  sessualita'  uno   degli
essenziali modi di espressione della persona  umana,  il  diritto  di
disporne liberamente e' senza dubbio un diritto soggettivo  assoluto"
(v. Corte Cost. n. 561 del 1987). 
    Ad avviso di questo Tribunale, dunque, anche l'art. 2 Cost., come
il cit. art. 8 CEDU, riconosce  e  tutela  il  diritto  all'identita'
sessuale (rectius, diritto all'identita' di genere),  nel  senso  che
ogni  persona  ha  il  diritto  di  scegliere  la  propria  identita'
sessuale, femminile o maschile, a prescindere dal dato biologico. 
    Il sospetto di incostituzionalita' del cit. art 1,  primo  comma,
della legge 14 aprile 1982, n. 164, sorge in quanto, tale norma,  pur
riconoscendo  il  diritto  della  persona  di  scegliere  la  propria
identita' sessuale, femminile o maschile,  subordina  l'esercizio  di
tale diritto alla modificazione dei propri caratteri sessuali primari
(da effettuarsi tramite intervento chirurgico). 
    Ad  avviso  di  questo  Tribunale,  subordinare  il  diritto   di
scegliere la propria identita' sessuale alla modificazione dei propri
caratteri sessuali primari  da  effettuarsi  tramite  un  doloroso  e
pericoloso   intervento   chirurgico,   finisce   col    pregiudicare
irreparabilmente  l'esercizio  del  diritto   stesso,   vanificandolo
integralmente. 
    Pare  evidente  il   conflitto   tra   il   diritto   individuale
all'identita'  sessuale  (e  la   relativa   autodeterminazione),   e
l'imposizione del requisito della  modifica  dei  caratteri  sessuali
primari, necessario per ottenere la rettificazione  dell'attribuzione
di sesso. 
    La concezione per cui al fine di vedersi riconosciuto il  proprio
diritto all'identita' sessuale, una  persona  debba  -  per  forza  -
sottoporsi a trattamenti clinici altamente invasivi, tali da  mettere
in pericolo la propria salute, confligge insanabilmente  sia  con  il
cit. art. 8 CEDU, sia con l'art. 2  Cost.,  i  quali  entrambi,  come
visto, consentono incondizionatamente ad  ogni  soggetto  di  vedersi
riconosciuta  la  propria  identita'   sessuale.   Detta   concezione
confligge anche con l'art. 32 Cost., poiche', al fine  dell'esercizio
di un proprio diritto fondamentale (quale  il  diritto  all'identita'
sessuale),  impone  al  soggetto  di  sottoporsi  ad  un  trattamento
chirurgico, del tutto non  pertinente  ne'  necessario  al  fine  del
libero esercizio  del  diritto  in  esame.  Imporre  al  soggetto  di
sottoporsi ad  un  trattamento  chirurgico  o  sanitario  doloroso  e
pericoloso per la propria salute, equivale  a  vanificare  o  rendere
comunque eccessivamente gravoso l'esercizio del diritto alla  propria
identita' sessuale. Considerando che i citt. art. 8  CEDU  e  art.  2
Cost. tutelano la ricongiunzione dell'individuo con il proprio genere
quale risultato del procedimento  di  rettificazione,  non  puo'  non
riconoscersi che - come ha fatto da tempo anche la scienza  medica  -
la  modificazioni  dei  caratteri  sessuali  primari  non  sempre  e'
necessaria e che, anzi, alla luce dei diritti "in gioco", la  persona
deve avere il diritto di rifiutarla. A questo  Tribunale  sembra  che
non  vi  sia  ragionevolezza  ne'  logicita'  nel   condizionare   il
riconoscimento  del  diritto  della  personalita'  in  esame,  ad  un
incommensurabile prezzo per la salute della persona (articoli 3 e  32
Cost.).  Questo  Tribunale  si  rende   perfettamente   conto   delle
conseguenze  pratiche   che   comporterebbe   una   declaratoria   di
incostituzionalita' (nel senso che, allora, l'esame "esteriore" della
persona, sarebbe inidoneo a rilevare il suo sesso); ma  cio',  a  ben
osservare, non puo' ragionevolmente  suscitare  alcuna  perplessita',
perche' in un  paese  civile  l'identita'  sessuale  viene  accertata
tramite  i  documenti  di  identita'  e  non  certo  per   mezzo   di
un'ispezione corporale. Una volta che lo Stato riconosce  il  diritto
della persona a  cambiare  il  proprio  sesso  anagrafico  (cio'  che
indubbiamente ha fatto  la  cit.  legge  14  aprile  1982,  n.  164),
subordinare l'esercizio di tale  diritto  alla  sottoposizione  della
persona a dolorosissimi e pericolosissimi trattamenti sanitari  dalla
stessa non voluti, significa pretendere da lei di commettere un  atto
di violenza sul proprio corpo. Una volta riconosciuto che il  diritto
alla rettificazione dell'attribuzione di sesso, costituisce un vero e
proprio  diritto  della  personalita',  non  sembra   consentito   al
legislatore   ordinario   subordinarlo   a   restrizioni   tali    da
pregiudicarne gravemente l'esercizio, fino a vanificarlo. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale ordinario di Trento, sezione  civile,  visto  l'art.
134 Cost., e gli artt. 23 e ss. della legge 11 marzo 1957, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, primo comma, della legge  14
aprile 1982, n. 164, nella parte in cui subordina  la  rettificazione
di attribuzione di sesso alla intervenuta modificazioni dei caratteri
sessuali  della  persona  istante,  con  riferimento   ai   parametri
costituzionali di cui agli articoli 2, 3,  32  e  117,  primo  comma,
Cost.; 
    Dispone la immediata trasmissione degli  atti  e  della  presente
ordinanza,   comprensivi   della   documentazione    attestante    il
perfezionamento delle prescritte comunicazioni e notificazioni,  alla
Eccellentissima Corte costituzionale e sospende il giudizio; 
    Manda  la  cancelleria  per  la  notificazione   della   presente
ordinanza alle parti in causa ed  al  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri, nonche' per la sua comunicazione ai  Presidenti  delle  due
Camere del Parlamento. 
 
      Trento, 19 agosto 2014 
 
                  Il Presidente estensore: Beghini