N. 229 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 settembre 2014
Ordinanza del 22 settembre 2014 emessa dal Tribunale di Parma nel procedimento penale a carico di R.D.. Reati e pene - Reati contro il patrimonio mediante frode - Previsione della non punibilita' per fatti commessi a danno di congiunti - Ingiustificata disparita' di trattamento rispetto ai soggetti terzi - Lesione del diritto di difesa. - Codice penale, art. 649, primo comma. - Costituzione, artt. 3 e 24.(GU n.52 del 17-12-2014 )
TRIBUNALE DI PARMA Il Giudice, nel procedimento penale a carico di R.D., imputato dei reati di cui agli artt. 640 c.p.v. e u.c. in relazione agli artt. 61 n. 5, 81, 485, 61 n. 2, 5, 7 e 11 c.p., 110, 479 c.p. ecc ai danni della moglie all'epoca dei fatti non legalmente separata e convivente C.A., osserva quanto segue. Il R. e' stato rinviato a giudizio per rispondere dei reati di truffa aggravata e di falsita' ideologica in concorso e falsita' materiale, commessi in danno della moglie C.A. la quale si e' costituita parte civile nell'odierno processo, citando quale responsabile civile U.B. Spa, che si e' ritualmente costituita. Quanto ai fatti, in sintesi, l'imputato, dall'anno 2000 al 2009 era direttore della filiale U. di P. di vr. V. e la moglie era dipendente del C. di P. con mansioni direttive la quale, fidandosi in tutto e per tutto del coniuge che era funzionario bancario, gli aveva affidato la gestione sia del conto corrente familiare, acceso presso la U. ove confluivano gli stipendi dei coniugi e la pensione del padre sordomuto della C., che, del conto corrente n. ... (sempre acceso presso il medesimo istituto di credito), ove confluiva la pensione della madre della C., parimenti sordomuta. Il primo era intestato al R. e alla C. mentre il secondo era intestato alla C. e alla di lei madre D.S. Nel settembre 2009 la C., ricevendo una lettera della banca, scopriva che il marito era stato licenziato il nove marzo 2009 per un fatto di rilievo disciplinare e che era in atto un pignoramento per debiti assunti dallo stesso. Richiesto di spiegazioni, l'uomo negava ogni addebito spiegando di non essere mai stato licenziato, e all'uopo mostrava alla moglie qualche giorno dopo il cedolino dello stipendio di agosto 2009, risultato poi falso. La donna, dopo varie ricerche e indagini, scopriva gradualmente di essere stata vittima di una serie di fatti commessi dal marito a sua insaputa. Il R. aveva acceso un mutuo con la U. per € 140.000,00 in data 14 novembre 2006, con iscrizione ipotecaria sulla casa coniugale all'insaputa della moglie sulla base di una procura speciale formalizzata dinanzi ad un notaio ove, insieme all'imputato, era comparsa una donna che si era spacciata per C.A. tale P. L., amante dell'imputato. La firma apposta sulla procura risultava poi falsa, come si rileva dalla perizia grafica agli atti; fatto per il quale il predetto notaio e' stato rinviato a giudizio per falso ideologico. Oltre a cio', emergeva altresi' l'esistenza di un conto corrente n.... sempre presso U., apparentemente intestato al R. e alla C. ma del quale la donna nulla sapeva in quanto l'uomo aveva acceso tale conto falsificando la firma della moglie (come emerge dalla perizia agli atti). Tale conto veniva alimentato esclusivamente con versamenti in denaro contante e, secondo gli accertamenti della GdF presentava costantemente un saldo negativo che venne poi appianato con parte del danaro proveniente dal mutuo ipotecario. Altra parte del danaro proveniente dal mutuo ipotecario venne dall'imputato utilizzata per risanare un diverso conto corrente, portante il acceso presso U. e intestato al R. e al di lui padre V. Anche il conto (intestato alla coppia dei coniugi) presentava costantemente un saldo negativo, ma la C. nulla sapeva della reale situazione del conto atteso che il marito le mostrava sistematicamente degli estratti conto falsi, da cui emergeva una situazione positiva con un saldo attivo che si aggirava sui 60-70.000,00 euro. A questo proposito il figlio della parte offesa riferiva in udienza che spesso il padre gli chiedeva di portargli la posta senza farla vedere alla madre, dietro compenso di giochi o regali. L'imputato aveva falsificato inoltre le firme della moglie: sia su un assegno circolare dell'importo di € 3800,00, utilizzato per l'acquisto di una autovettura in data 15 ottobre 2008 ( come si rileva dalla perizia grafica agli atti), sia sul contratto di finanziamento M.C. in data 29 giugno 2004 con la societa' C. Spa (sempre secondo gli esiti della perizia grafica), le cui rate non erano ancora state interamente pagate, sia sulla richiesta di bonifico presentata a U. b. il 23 ottobre 2008 per l'importo di euro 800,00. sia sulla richiesta di un prestito di euro 20.000,00 alla B.I., con annessa richiesta di apertura del conto corrente n. ... (come si rileva sempre dalla perizia grafica). La C. una volta scoperti tali fatti commessi nel corso degli anni dal marito decideva di accreditare il suo stipendio su un nuovo conto acceso presso altra banca ma nel frattempo si accorgeva che sia il conto n.... che il n.... erano stati dall'imputato completamente svuotati e azzerati. Secondo gli accertamenti della GdF l'imputato avrebbe sottratto dal conto corrente n.... la somma di euro 337.000,00 circa, e, sulla base dell'attento esame della documentazione bancaria, avrebbe cagionato complessivamente alla moglie un danno di piu' di mezzo milione di euro. La donna, a seguito di tali vicende, si separava quasi subito dal marito e, pesantemente provata fisicamente e psicologicamente, subiva dei demansionamenti in ambito lavorativo. L'uomo quindi spariva dalla circolazione e neppure si curava di provvedere al mantenimento dei figli, i quali, anch'essi fortemente colpiti dalla vicenda, riportavano pesanti conseguenze a scuola e nella sfera personale. Appare evidente come l'applicabilita' dell'esimente di cui all'art. 649 c.p., invocata dalla difesa e dal responsabile civile U. b., determinerebbe la non punibilita' dell'imputato quantomeno per il reato di truffa aggravata, atteso che nel caso di specie al momento dei fatti la parte offesa e l'imputato erano coniugi conviventi, e dunque la questione e' di indubbia rilevanza per il giudizio «a quo». Tuttavia questo Giudice, chiamato ad applicare l'esimente speciale di cui all'art. 649 c.p. dubita che tale norma sia costituzionalmente legittima, in quanto contrastante con l'art. 3, I e II comma e 24 Cost. Infatti, la ratio dell'art. 649 c.p. risiede nella necessita' di evitare di turbare le relazioni familiari in considerazione del fatto che nell'ambito dello stesso nucleo familiare sussiste una comunanza di interessi economici, con l'eccezione dei reati contro il patrimonio a base violenta. Cio' significa che il marito puo' rubare o truffare la moglie, che il nipote puo' praticare l'usura verso il nonno, che il figlio puo' indebitamente appropriarsi del patrimonio dei genitori e nessuno di tali soggetti e' penalmente punibile. Pare a questo Giudice che cio' che turba le relazioni familiari non e' la punibilita' dei congiunti, bensi' la commissione stessa di tali fatti illeciti che, posti in essere tra familiari, ne minano alla base il rapporto di fiducia, tanto che spesso rendono inevitabile la cessazione della convivenza. La commissione di un fatto illecito di natura patrimoniale ai danni ad esempio di un coniuge da parte dell'altro preclude di fatto la possibilita' stessa di ravvisare una comunanza di interessi tra i due, e la non punibilita' di tali fatti potrebbe aprire le porte a condotte parimenti illecite di ragion fattasi. Perseguendo l'interesse della tutela indiscriminata dell'unita' del gruppo, mediante l'impunita' del colpevole, si e' voluto in pratica creare un presidio a tutela di situazioni familiari in realta' gia' deteriorate e difficilmente ricomponibili. Del resto, in tali casi l'unita' del nucleo familiare risulterebbe sufficientemente tutelata dalla previsione della procedibilita' a querela della parte offesa. Inoltre, e' opportuno ricordare che, gia' durante i lavori preparatori del codice, la norma non fu esente da rilievi, «non sembrando morale ingenerare la persuasione che sia lecito rubare in danno di genitori, fratelli figli ecc». A tali osservazioni si rispose che, pur essendo moralmente biasimevoli, «...giuridicamente, sotto il profilo della politica criminale quei fatti, per l'allarme sociale che suscitano e per la pericolosita' di chi li commette, non presentano caratteri tali da giustificare l'incriminazione». Ora, pare a questo giudice che tale giustificazione non possa piu' valere, tenuto conto che nella societa' attuale tale tipologia di illeciti viene commessa con una frequenza non paragonabile a quella del tempo in cui la norma venne emanata. In realta' tale disposizione e' volta al mantenimento dell'unita' di una famiglia i cui caratteri ormai si sono persi nel tempo, in cui generalmente il lavoro era appena sufficiente a produrre i mezzi necessari alla sopravvivenza e dove quindi la tutela penale veniva primariamente rivolta a mantenere saldo il nucleo familiare, costituito generalmente anche da zii, suoceri, nipoti, forza lavoro da utilizzare e necessaria al mantenimento della famiglia. In conclusione, anche secondo l'opinione della miglior dottrina, nell'odierno contesto sociale, tale norma appare del tutto anacronistica, ancorata ad un sistema di rapporti socio-familiari profondamente differenti da quelli attuali, la cui applicabilita' apre la strada all'ingiustificata impunita' dei soggetti che pongono in essere tali fatti di reato e conseguentemente all'ingiustificata disparita' di trattamento rispetto ai soggetti terzi che non sono legati dai rapporti di parentela previsti dalla disposizione in esame. Oltre alla ritenuta violazione dell'art. 3, I comma, si dubita della legittimita' costituzionale della disposizione in oggetto anche sotto il profilo dell'art. 3, II comma e dell'art. 24, I comma della Costituzione. Infatti l'art. 649 c.p. costituisce di fatto un ostacolo che limita l'uguaglianza dei cittadini in quanto impedisce ai soggetti deboli, vittime di tali fatti illeciti, di avere giustizia dinanzi al giudice penale al pari degli altri cittadini, vittime dei medesimi illeciti, per i quali non sussistono i vincoli di parentela indicati dalla norma. Conseguentemente, ne deriva inevitabilmente anche la compressione del diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti. Si osserva inoltre che l'ordinamento giuridico in diverse ipotesi considera come aggravante proprio il rapporto di parentela o comunque di relazioni domestiche, come ad esempio nel caso dell'omicidio, per il quale si applica la pena dell'ergastolo quando il fatto e' commesso contro l'ascendente o il discendente, purche' ricorrano le circostanze aggravanti di cui all'art. 61 n. 1 e 4 c.p.. Inoltre, l'art. 61 n. 11 c.p. prevede quale aggravante comune «l'avere agito...con abuso di relazioni domestiche», con cio' attribuendo un maggior disvalore sociale e penale ai fatti di reato commessi abusando proprio di quelle relazioni domestiche che invece l'art. 649 considera situazioni giustificanti addirittura la non punibilita' di chi li ha posti in essere, con buona pace del principio di necessaria coerenza dell'ordinamento giuridico. Si osserva infine, che nella relazione redatta dalla Commissione Pagliaro per la redazione del Progetto del nuovo codice penale del 1992 era stato del tutto soppresso l'art. 649 c.p., a riprova del suo carattere oramai del tutto anacronistico.
P.Q.M. Visto l'art. 23 legge n. 87/1953, Solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 649, I comma c.p. in riferimento all'art. 3, I e II comma e 24 Cost. nei termini di cui in narrativa. Dispone la sospensione del procedimento nei confronti di R.D. e la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina la notificazione a cura della Cancelleria, della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e la comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Parma il 22 settembre 2014 Il giudice: Genovese