N. 246 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 novembre 2014
Ordinanza del 10 novembre 2014 della Corte dei conti - sez. regionale di controllo per il Piemonte nel giudizio di parificazione del rendimento della regione Piemonte per l'esercizio finanziario 2013.. Bilancio e contabilita' pubblica - Norme della Regione Piemonte - Assestamento al bilancio di previsione per l'anno finanziario 2013 e al bilancio pluriennale per gli anni 2013/2015 - Variazione agli anni 2014/2015 - Variazioni apportate in entrata mediante l'istituzione del capitolo 59300 (UPB DB902) con uno stanziamento di euro 447.693.392,78 e del capitolo 59350 (UPB DB902) con uno stanziamento di euro 803.724.000,00, ed in uscita mediante l'istituzione del capitolo 200/0 (UPB DB09010) con uno stanziamento di euro 447.693.392,78 e del capitolo 156981 (UPB DB20151) con uno stanziamento di euro 803.724.000,00 - Ritenuta natura di anticipazione di cassa delle predette variazioni di bilancio - Conseguente violazione dei principi di copertura finanziaria e di pareggio di bilancio. - Legge della Regione Piemonte 6 agosto 2013, n. 16. - Costituzione, art. 81, comma quarto (nel testo vigente antecedentemente alla modifica introdotta dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1) e 119, comma sesto. Bilancio e contabilita' pubblica - Norme della Regione Piemonte - Anticipazione di liquidita' per far fronte al pagamento di debiti certi, liquidi ed esigibili - Incremento in entrata del capitolo 59300 (UPB DB902) di euro 660.206.607,23 ed in uscita del disavanzo di amministrazione 2012 da ripianare (capitolo 200/0 UPB DB09010) - Incremento in entrata del capitolo 59350 (UPB DB902) di euro 642.979.200,00 ed in uscita istituzione del capitolo 156985 (UPB DB20151) con uno stanziamento di pari importo - Ritenuta natura di anticipazione di cassa delle predette variazioni di bilancio - Conseguente violazione dei principi di copertura finanziaria e di pareggio di bilancio. - Legge della Regione Piemonte 29 ottobre 2013, n. 19, artt. 1 e 2, che hanno approvato gli allegati A ) e C ). - Costituzione, art. 81, comma quarto (nel testo vigente antecedentemente alla modifica introdotta dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1) e 119, comma sesto.(GU n.2 del 14-1-2015 )
LA CORTE DEI CONTI (Sezione regionale di controllo per il Piemonte) La Sezione Regionale di Controllo per il Piemonte, composta dai Magistrati: dott. Mario Pischedda Presidente f.f.; dott. Giuseppe Maria Mezzapesa Consigliere; dott.ssa Alessandra Olessina Primo Referendario; dott. Massimo Valero Primo Referendario; dott. Adriano Gribaudo Primo Referendario; dott. Cristiano Baldi Referendario. Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio di parificazione del rendiconto della Regione Piemonte, per l'esercizio finanziario 2013. Visti gli articoli 81, 97, 100, comma 2, 103, comma 2 e 119 della Costituzione; Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni; Visto il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213; Vista la legge regionale 11 aprile 2001 n. 7, in materia di ordinamento contabile della Regione Piemonte; Visto il disegno di legge della Giunta Regionale n. 10 trasmesso a questa Sezione con nota n. 10.000/SB0100/PRE del 29 luglio 2014 e depositato presso il Consiglio Regionale il 30 luglio 2014, con il quale e' stata approvata la proposta di rendiconto generale per l'esercizio finanziario 2013, completa del conto del bilancio e del conto del patrimonio, unitamente alla relazione dei Revisori dei conti e alla relazione di accompagnamento; Viste le leggi regionali: 28 dicembre 2012, n. 19, avente per oggetto «Autorizzazione all'esercizio provvisorio del bilancio della Regione Piemonte per l'anno 2013 e altre disposizioni finanziarie»; 30 gennaio 2013, n. 2, avente per oggetto «Proroga dell'autorizzazione all'esercizio provvisorio del bilancio della Regione Piemonte per l'anno finanziario 2013»; 27 marzo 2013, n. 4, avente per oggetto «Ulteriore proroga dell'autorizzazione all'esercizio provvisorio del Bilancio della Regione Piemonte per Panno 2013»; 7 maggio 2013, n. 8, avente per oggetto «Legge finanziaria per l'anno 2013»; 7 maggio 2013, n. 9 avente per oggetto «Bilancio di previsione per l'anno finanziarlo 2013 e bilancio pluriennale per gli anni finanziari 2013-2015»; 6 agosto 2013, n. 15, avente per oggetto «Rendiconto generale per l'esercizio finanziario 2012»; 6 agosto 2013, n. 16, avente per oggetto «Assestamento al bilancio di previsione per l'anno finanziario 2013 e al bilancio pluriennale per gli anni finanziari 2013/2015»; 29 ottobre 2013, n. 19, avente per oggetto «Ulteriori disposizioni finanziarie per l'anno 2013 e pluriennale 2013-2015»; Vista l'ordinanza n. 41 dell'11 settembre 2014, con la quale il Presidente f.f. di questa Sezione regionale di controllo ha fissato l'odierna udienza, per la decisione sulla parificazione del rendiconto generale della Regione Piemonte relativo all'esercizio finanziario 2013; Uditi nella pubblica udienza del 10 ottobre 2014 il Presidente ed i relatori, il Procuratore regionale Piero Carlo Floreani, il Presidente della Giunta regionale del Piemonte Sergio Chiamparino e l'Assessore al Bilancio della Regione Piemonte Aldo Reschigna; Vista la decisione in pari data con la quale si e' proceduto alla parifica, nelle sue componenti del conto del bilancio e del conto del patrimonio, del rendiconto generale della Regione Piemonte per l'esercizio 2013, adottato dalla Giunta regionale in data 25 giugno 2014, ad eccezione dei capitoli 59300 (UPB DB902) e 59350 (UPB DB902) in entrata e dei capitoli 200/0 (UPB DB09010), 156981 (UPB D620151), 156985 (UPB DB20151) in uscita, e del quadro riassuntivo del disavanzo finanziario, come risultante dal prospetto riportato all'art. 4 del disegno di legge di approvazione del rendiconto stesso e della voce delle passivita' patrimoniali del conto del patrimonio, relative alla restituzione delle anticipazioni di liquidita' concesse ai sensi del decreto legge 8 aprile 2013 n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 6 giugno 2013, n. 64; Ritenuto in fatto Con nota n. 10.000/SB0100/PRE del 29 luglio 2014 il Presidente della Regione Piemonte ha trasmesso a questa Sezione, ai fini della parifica, il rendiconto generale della Regione Piemonte per l'esercizio 2013, completo del conto del bilancio e del conto del patrimonio, unitamente alla relazione dei Revisori dei conti, alla relazione di accompagnamento e al disegno di legge approvato dalla Giunta regionale nella seduta del 25 giugno 2014. Questa Sezione regionale di controllo, terminata l'istruttoria e le verifiche di competenza, peraltro gia' iniziate sulla base dei dati di preconsuntivo, con deliberazione n. 188 in data 26 agosto-9 settembre 2014 ha approvato la bozza della relazione prevista dall'art. 1, comma 5, del decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174, sopra richiamato e dall'art. 41 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, ed ha trasmesso la stessa all'Amministrazione ed al Procuratore regionale. Con ordinanza n. 40 in data 10 settembre il Presidente f.f. ha fissato per il 23 settembre apposita adunanza pubblica, al fine di garantire il contraddittorio sulle osservazioni contenute nella bozza di relazione. L'Amministrazione ha depositato le proprie osservazioni, che sono state illustrate nella predetta adunanza istruttoria alla quale hanno partecipato il Procuratore regionale ed i rappresentanti dell'Amministrazione nelle persone del vice Presidente della Giunta, dell'Assessore al bilancio e dell'Assessore alla sanita'. Al termine dell'adunanza il Collegio ha fissato il termine del 1° ottobre per il deposito di ulteriori memorie scritte e di eventuali repliche ed ha sollecitato le parti, anche ai sensi dell'art. 101 c.p.c., a pronunziarsi espressamente sui dubbi di costituzionalita' prospettati sulle leggi regionali con le quali e' stato disposto l'utilizzo delle anticipazioni di liquidita' concesse dallo Stato ai sensi del decreto legge 8 aprile 2013 n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 6 giugno 2013, n. 64. Su quest'ultimo punto, l'Amministrazione ha depositato, nei termini prescritti, una memoria, osservando quanto segue: «In merito ai presunti dubbi di costituzionalita' sulle leggi regionali con le quali e' stato disposto l'utilizzo delle anticipazioni di liquidita' concesse dallo Stato ai sensi del decreto-legge n. 35/2013, per violazione degli art. 81, quarto comma e 119, sesto comma della Costituzione, si rammenta che la Corte costituzionale, con le recenti sentenze n. 39/2014 e n. 40/2014 si e' occupata della definizione e puntualizzazione dei compiti e dei limiti cui sono chiamati i giudici contabili, ai sensi della normativa implementata dal decreto-legge n. 174/2012. Con la prima delle due sentenze (n. 39/2014), la Consulta ha ritenuto che le attribuzioni della Corte dei Conti non possano spingersi sino a vincolare il contenuto degli atti legislativi o a privarli dei loro effetti, in quanto si configurerebbe come invasivo dell'autonomia legislativa regionale, nonche' travalicante i poteri riconosciuti alla stessa Corte dei Conti. La Corte costituzionale e' pervenuta ad una tale conclusione ritenendo che, nel caso di specie, il sindacato giurisdizionale del giudice contabile operasse nei confronti dei bilanci regionali, approvati con legge e in quanto tali solo analogamente modificabili. Un potere come quello attribuito alla Corte dei conti avrebbe, invece, finito per incidere su provvedimenti di carattere legislativo, mortificando cosi' l'autonomia dei consigli regionali, non vincolabili nelle loro decisioni. L'impugnato comma 7 dell'art. 1 del decreto-legge n. 174 del 2012, nella parte in cui si riferisce al controllo dei bilanci preventivi e dei rendiconti consuntivi delle Regioni, contrasta con gli invocati parametri costituzionali e statutari che garantiscono alle Regioni la potesta' legislativa nelle materie di loro competenza. La Corte costituzionale, in particolare con la sentenza n. 40/2014, ha altresi' precisato la competenza della Corte dei conti in materia di controllo di legalita' e regolarita' sulla finanza pubblica territoriale, ribadendo il carattere di assoluta cogenza delle decisioni assunte nei confronti degli enti destinatari (enti locali), con la sola eccezione dei bilanci delle regioni approvati con legge regionale, allo scopo di prevenire o contrastare gestioni contabili non corrette e, in quanto tali, in grado di alterare l'equilibrio del bilancio consolidato dello Stato, da ritenersi effettuate in violazione del principio del «pareggio di bilancio» ex artt. 81, 97, comma primo, e 119, comma primo, della Costituzione. L'eccezione e l'esclusione dei bilanci regionali, infatti, deriva: a) dalla considerazione che l'art. 1, comma 7, decreto-legge n. 174 del 2012, conv. in L. n. 231 del 2012, e' stato dichiarato illegittimo nella parte in cui finiva per attribuire alla Corte dei conti, sezione controllo, il potere di sindacare le leggi regionali, di condizionarne il contenuto e/o di inibirne l'efficacia; b) dalla differenza tra le norme del TUEL e quelle precipue della contabilita' regionale, in 54 particolare per cio' che concerne lo strumento normativo di approvazione dei documenti contabili. E' pur vero, pero', che e' stato recentemente introdotto un radicale cambiamento della funzione del controllo, che, da una funzione statica, diretta ad accertare il «pareggio del bilancio», e' passata ad una funzione dinamica, diretta ad «assicurare l'equilibrio del bilancio». Non si discute piu' di «pareggio» (che era un dato proprio della visuale statica del bilancio), ma di «equilibrio», termine ben piu' elastico, che vale a sganciare il principio del pareggio del bilancio dal principio dell'annualita' del bilancio, tenendo conto delle fasi del ciclo economico, ponendo in evidenza la possibilita' di riferirsi a periodi di medio termine, come quello rappresentato dai bilanci pluriennali. Si rammenta, pero', che seppur l'art. 20 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 preveda che la Corte dei conti possa gia' svolgere il controllo successivo sul rispetto dell'equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali, tuttavia l'art. 9 della stessa legge 24 dicembre 2012, n. 243 - capo IV, concernente l'equilibrio dei bilanci delle Regioni e degli enti locali, ne prevede un'applicazione dal 1° gennaio 2016. In conclusione, si condivide l'attribuzione alla Corte dei conti di un potere collaborativo di suggerire «misure correttive», che l'amministrazione, pero', deve decidere ed attuare, tenendosi cosi' distinta l'attivita' amministrativa delle singole amministrazioni da quella indipendente ed autonoma del «controllo» della Corte dei conti, considerata come funzione autonoma, indipendente e sovrana, nell'ambito dell'ordinamento dello Stato comunita'». Anche il Procuratore Regionale ha depositato, nei termini, una memoria nella quale «considera non rilevante e manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale prospettata dalla Sezione di controllo nella Relazione sulla gestione finanziaria e sulla regolarita' dell'azione amministrativa della regione Piemonte per l'esercizio finanziario 2013.» A tale conclusione il Procuratore Regionale perviene, rilevando che «una violazione di precetti costituzionali non sembra profilarsi, per la ragione che, da un lato l'efficace espletamento dei controlli e' in grado di consentire il riequilibrio contabile laddove l'applicazione concreta dell'Amministrazione si rivelasse non conforme a legge, trattandosi di applicazione di regole che di' per se' non genera nuove spese, dall'altro che, riferendosi le leggi richiamate della cui costituzionalita' si dubita ad un esercizio ormai concluso, la questione non pare rilevante, stante l'inidoneita' della pronuncia che intervenisse sulla materia ad incidere sulla disciplina concreta della spesa in realta' gia' realizzata. La corretta contabilizzazione dei fondi che si considerano appare piuttosto collegata alla necessita' che i controlli di riferimento abbiano ad oggetto l'adeguato impiego delle risorse, in sostanza, non idonee a generare nuove spese, bensi' ad attuare una manovra di riduzione del debito in realta' rivelatasi non possibile a causa della consistenza forte dell'indebitamento. Il parametro costituzionale rinvenibile nell'art. 81 e' pertanto inadeguato, posto che non e' astrattamente possibile riscontrare una violazione per il solo fatto che le risorse non siano state correttamente contabilizzate. Per quanto attiene all'art. 119, parimenti chiamato in causa, va preliminarmente rilevato che le relative censure non possono formare oggetto di questioni di legittimita' costituzionale nell'ambito del giudizio di parificazione, se non quando vertono direttamente sulle leggi di approvazione del rendiconto o del bilancio, atteso che qui, diversamente, la legittimazione della Corte e' limitata alla proposizione di questioni aventi come parametro costituzionale di riferimento il solo art. 81 (arg. ex C. cost. 6 marzo 2014 n. 39; cfr. C. cost. 9 febbraio 2011 n. 37). Qualora si ritenesse che il quinto capoverso dell'art. 119 possa essere minacciato dalle leggi regionali che si considerano in relazione al vincolo all'indebitamento ivi previsto, va osservato che comunque non consta l'avvenuta utilizzazione delle risorse del decreto 35 per spese diverse da quelle costituenti debito esigibile alla data del 31 dicembre 2012.» In data 6 ottobre il Procuratore Regionale ha depositato una seconda memoria scritta nella quale dopo aver richiamato la delibera 19/2014 della Sezione delle Autonomie di questa Corte, in base alla quale le anticipazioni di liquidita' vanno contabilizzate in maniera che esse non possano concorrere alla determinazione del risultato di amministrazione, ritiene che «le modalita' di contabilizzazione adottate dalla Regione non sembrano contrastare di per se', dunque, con la disciplina particolare del decreto legge 35, atteso che, a fronte dell'obbligo di restituzione in rate annuali costanti fino al 2043, appare coerente l'iscrizione nel conto del bilancio della quota capitale e della corrispondente quota interessi di competenza. Il riferimento all'archetipo negoziale del mutuo si rivela, pertanto, pertinente». All'odierna udienza le parti come in epigrafe rappresentate hanno sostanzialmente confermato le argomentazioni sopra esposte. Considerato in diritto 1. L'art. 1, comma 5, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni nella legge 7 dicembre 2012, n. 213, dispone che «Il rendiconto generale della Regione e' parificato dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti ai sensi degli articoli 39, 40 e 41 del testo unico di cui al regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214. Alla decisione di parifica e' allegata una relazione nella quale la Corte dei conti formula le sue osservazioni in merito alla legittimita' ed alla regolarita' della gestione e propone le misure di correzione e gli interventi di riforma che ritiene necessari al fine, in particolare, di assicurare l'equilibrio del bilancio e di migliorare l'efficacia e l'efficienza della spesa. La decisione di parifica e la relazione sono trasmesse al presidente della giunta regionale e al consiglio regionale». Gli articoli del T.U. delle leggi sulla Corte dei conti richiamati si riferiscono alla parifica del rendiconto generale dello Stato e disciplinano la procedura del giudizio di parificazione (art. 40), il profilo contenutistico (art. 39) e la contestualizzazione dell'attivita' di parifica con una relazione sul rendiconto (art. 41). L'estensione del giudizio di parifica alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti e' coerente con il ruolo di «garante imparziale dell'equilibrio economico - finanziario del settore pubblico» che il legislatore ha attribuito alla Corte dei conti e che e' stato confermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 60/2013, nella quale, richiamando anche la pregressa giurisprudenza, e' stato affermato che «alla Corte dei conti e' attribuito il controllo sull'equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche a tutela dell'unita' economica della Repubblica, in riferimento a parametri costituzionali (artt. 81, 119 e 120 Cost.) e ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea (artt. 11 e 117, primo comma, Cost.)». Infatti, il giudizio di parifica per le Regioni a statuto ordinario e' stato introdotto, come precisa il primo comma dell'art. 1 del citato decreto-legge n. 174/2012, «al fine di rafforzare il coordinamento della finanza pubblica, in particolare tra i livelli di governo statale e regionale, e di garantire il rispetto dei vincoli finanziari derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, le disposizioni del presente articolo sono volte ad adeguare, ai sensi degli articoli 28, 81, 97, 100 e 119 della Costituzione, il controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria delle regioni di cui all'art. 3, comma 5, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e all'art. 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131, e successive modificazioni». 2. Dal conto del bilancio dei rendiconto generale della Regione Piemonte per l'esercizio 2013 risulta un disavanzo d'amministrazione pari ad euro 364.983.307,72, risultante dal saldo algebrico tra fondo cassa (+598,037.823,71), residui attivi (+3.328.145.970,67) e residui passivi (-4.291.167.102,10). L'analisi effettuata dalla Sezione ha evidenziato che questo risultato deriva anche dall'utilizzo, come fonti di finanziamento del pregresso disavanzo d'amministrazione e di alcune nuove spese in materia sanitaria, delle risorse messe a disposizione dallo Stato in applicazione degli articoli 2 e 3 dei decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito in legge 6 giugno 2013, n. 64. L'utilizzo in tal senso delle suddette risorse finanziarie e' stato disposto dalle leggi regionali n. 16 del 6 agosto 2013 e n. 19 del 29 ottobre 2013. In particolare, nel corso del 2013, la Regione Piemonte, In virtu' delle norme sopra richiamate, ha sottoscritto quattro contratti con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, ottenendo risorse finanziarie per un importo complessivo di euro 2.554.603.200,01. Tali risorse finanziarie hanno avuto la seguente destinazione: a) euro 447.693.392,78, concessi per l'estinzione dei debiti certi, liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012, ovvero dei debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine, diversi da quelli finanziari e sanitari. L'importo e' stato destinato a finanziare parzialmente il disavanzo risultante dal conto del bil'ancio 2012 (euro 1.150.257.926,03). La relativa variazione di bilancio e' stata disposta in sede di assestamento con la legge regionale 6 agosto 2013, n. 16, che ha previsto in entrata il capitolo 59300 (UPB DB902) con uno stanziamento di euro 447.693.392,78, interamente riscosso, ed in uscita ha iscritto lo stesso importo quale disavanzo di amministrazione (capitolo 200/0 UPB D809010). b) euro 803.724,000,00, concessi per l'estinzione dei debiti certi, liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012, ovvero dei debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine degli enti del Servizio Sanitario Nazionale. L'importo e' stato destinato a finanziare il capitolo 156981 avente per oggetto «trasferimenti alle aziende sanitarie regionali per Perogazione delle risorse di cui all'anticipazione di liquidita' ai sensi dell'art. 3, comma 2, del decreto legge n. 35/2013», per allineamento con la situazione patrimoniale delle aziende sanitarie regionali (importo rilevato dalla Sezione in sede di parificazione 2012 a rettifica, in incremento, del disavanzo 2012 di' euro 1.150.257.926), Anche in questo caso la variazione del bilancio e' stata disposta in sede di assestamento di bilancio con la legge regionale 6 agosto 2013, n. 16, che ha previsto in entrata il capitolo 59350 (UPB DB902) ed in uscita il capitolo 156981 (UPB DB20151), entrambi con uno stanziamento di euro 803.724.000,00 ed i relativi importi sono stati interamente riscossi e pagati. c) euro 660.206.607,23, concessi per l'estinzione dei debiti certi, liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012, ovvero dei debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine diversi da quelli finanziari e sanitari; l'importo e' stato destinato ad ulteriore parziale finanziamento del disavanzo risultante dal conto del bilancio 2012, la relativa variazione di bilancio e' stata disposta dall'allegato A) della Legge 29 ottobre 2013, n. 19, che in entrata ha incrementato il capitolo 59300 (UPB DB902) di euro 660.206.607,23, Interamente riscossi, ed in uscita ha incrementato di pari importo il disavanzo d'amministrazione 2012 da ripianare (capitolo 200/0 UPB D609010). d) euro 642.979.200,00, concessi per il pagamento dei debiti certi liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012, ovvero dei debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine degli enti del Servizio Sanitario Nazionale. L'importo (emerso successivamente alla parificazione del rendiconto 2012) e' stato destinato a ripianare le perdite derivanti dai c.d. «ammortamenti non sterilizzati delle aziende sanitarie» e la relativa variazione di bilancio e' stata disposta dall'allegato C) della Legge 29 ottobre 2013 n. 19, che ha incrementato in entrata il capitolo 59350 (UPB D6902) di euro 642.979.200,00, interamente riscossi, ed in uscita ha istituito il capitolo 156985 (UPB DB20151) avente per oggetto «trasferimenti alle aziende sanitarie regionali per l'erogazione delle risorse di cui all'anticipazione di liquidita' al sensi dell'art. 3, comma 2, del decreto-legge n. 35/2013 e dell'art. 13, comma 6, del decreto-legge 102/2013», con uno stanziamento di euro 642.979.200,00 interamente pagato. La somma delle variazioni sopra descritte, pari ad euro 2.554.603.200,01, corrisponde-: al totale dei quattro contratti stipulati con il MEF. La Sezione dubita della legittimita' costituzionale delle suddette variazioni di bilancio e, conseguentemente, delle leggi regionali n. 16/2013 e n. 19/2013 che le hanno disposte. Tuttavia, prima di illustrare la non manifesta infondatezza di tali dubbi, si ritiene necessario soffermarsi preliminarmente sulla legittimazione di questa Corte ad adire il Giudice delle Leggi, nonche' sulla rilevanza della questione nel giudizio in corso. 3. Per quanto riguarda la legittimazione della Sezione di controllo a sollevare questioni di legittimita' costituzionale in sede di parificazione del rendiconto, si osserva che questo giudizio si svolge con le formalita' della giurisdizione contenziosa, prevede la partecipazione del Procuratore generale in contraddittorio con i rappresentanti dell'Amministrazione e si conclude con una pronunzia adottata in esito a pubblica udienza, sicche' la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze n. 165/1963, n. 121/1966, n. 142/1968, n. 244/1995 e n. 213/2008) ha riconosciuto «alla Corte dei conti, in sede di giudizio di parificazione del bilancio, la legittimazione a promuovere, In riferimento all'art. 81 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale, avverso tutte quelle disposizioni di legge che determinino effetti modificativi dell'articolazione del bilancio per il fatto stesso di incidere, in senso globale, sulle unita' elementari, vale a dire sui capitoli, con riflessi sugli equilibri di gestione, disegnati con il sistema dei risultati differenziali» (sentenza n. 213/2008). Sebbene le pronunce della Corte costituzionale, sopra richiamate, siano state emesse in riferimento al giudizio di parifica del rendiconto dello Stato e delle Regioni ad autonomia speciale, ritiene la Sezione che i principi espressi siano applicabili anche al giudizio di parifica del rendiconto delle Regioni a statuto ordinario. Infatti, l'unica differenza riscontrabile tra i due procedimenti e' data dall'organo innanzi al quale si svolge il giudizio, che non sono le Sezioni Riunite, centrali o regionali, ma le Sezioni regionali di controllo. Tale circostanza, tuttavia, non pare rilevante atteso che, da un lato, la legge attribuisce la titolarita' del giudizio di parificazione alle Sezioni regionali di controllo, non essendo previste nelle Regioni a statuto ordinario le Sezioni riunite, e dall'altro che la Sezione regionale di controllo e' composta, anch'essa, da magistrati contabili «dotati delle piu' ampie garanzie di indipendenza (art. 100, secondo comma, Cost.), che, analogamente ai magistrati dell'ordine giudiziario, si distinguono tra loro solo per diversita' di funzioni (art. 10 legge 21 marzo 1953, n. 161)» (Corte costituzionale, sentenza n. 226/1976). Peraltro, trattasi di modalita' organizzativa gia' prevista per la Regione Friuli Venezia Giulia dall'art. 33, comma 3, del D.P.R. 25 novembre 1975, n. 902. Quel che viene in rilievo, invece, e' la funzione esercitata, che e' la stessa e si svolge nello stesso modo, sia innanzi alle Sezioni riunite, sia davanti alla Sezione regionale di controllo, come si ricava dai richiamo espresso agli articoli 39, 40 e 41 del TU della Corte dei conti contenuto nella norma che ha introdotto il giudizio di parificazione nelle Regioni a statuto ordinario (art. 1, comma 5, del di n. 174/2012 sopra richiamato). Va inoltre ricordato che le Sezioni Riunite in speciale composizione, con sentenza n. 27/2014, decidendo il ricorso proposto da un'Amministrazione regionale, hanno confermato il carattere giurisdizionale della pronunzia emessa in questo particolare giudizio. La legittimazione di questa Corte a sollevare questioni di legittimita' costituzionale, tuttavia, e' stata finora riconosciuta, dalla consolidata giurisprudenza costituzionale con riferimento al solo art. 81 della Costituzione. In particolare, il Giudice delle leggi, dopo aver premesso che la Corte dei conti svolge «una funzione di garanzia dell'ordinamento», di «controllo esterno, rigorosamente neutrale e disinteressato preordinato a tutela del diritto oggettivo», ha affermato che «tali caratteri costituiscono Indubbio fondamento della legittimazione della Corte dei conti a sollevare questioni di costituzionalita' limitatamente a profili attinenti alla copertura finanziaria di leggi di spesa, perche' il riconoscimento della relativa legittimazione, legata alla specificita' dei suoi compiti nel quadro della finanza pubblica, si giustifica anche con l'esigenza di ammettere al sindacato costituzionale leggi che, come nella fattispecie in esame, piu' difficilmente verrebbero per altra via, ad essa sottoposte» (sent. n. 226 del 1976). E' proprio in relazione a queste ipotesi che la Corte ha auspicato (sent. n. 406 del 1989) che quando l'accesso al suo sindacato sia reso poco agevole, come accade in relazione ai profili attinenti all'osservanza dell'art. 81 della Costituzione, i meccanismi di accesso debbano essere arricchiti. La Corte dei conti e' la sede piu' adatta a far valere quei profili, e cio' in ragione della peculiare natura dei suoi compiti, essenzialmente finalizzati alla verifica della gestione delle risorse finanziarie» (sentenza n. 384/1991). Ritiene la Sezione che le argomentazioni sopra riportate debbano essere adeguate al mutato quadro dell'ordinamento costituzionale. Infatti, mentre al momento delle pronunzie sopra richiamate l'unica norma della Costituzione in materia di finanza pubblica era costituita dall'art. 81, la legge costituzionale n. 3/2001, con la nuova formulazione dell'art. 119 sesto comma della Costituzione, ha introdotto il principio che limita il ricorso all'indebitamento solo per spese di investimento. Successivamente, la legge costituzionale n. 1/2012 ha previsto ulteriori norme costituzionali in materia di finanza pubblica, tra tutte il nuovo art. 97, primo comma. Inoltre l'art. 20, primo comma, della legge 24 dicembre 2012, n. 243 contenente «disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'art. 81, sesto comma, della Costituzione» affida proprio alla Corte dei conti «il controllo successivo sulla gestione dei bilanci degli enti di cui agli articoli 9 e 13, ai fini del coordinamento della finanza -pubblica e dell'equilibrio dei bilanci di cui all'art. 97 della Costituzione». A cio' si aggiunga che, come precisato dalla stessa Corte costituzionale con la recente 3»: «sentenza n. 188/2014, «il valore costituzionalmente protetto del divieto di indebitamento per spese diverse dagli investimenti trova espressa enunciazione nel predetto art. 119, sesto comma, Cost., ma viene declinato - in modo assolutamente coerente ed integrato, secondo esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale - attraverso altri parametri costituzionali, quali i citati artt. 81, 117, secondo comma, lettera 1), e 117, terzo comma, Cost., venendo ad assumere consistenza di vera e propria clausola generale in grado di colpire direttamente - indipendentemente dall'esistenza di norme applicative nella pertinente legislazione di settore - tutti gli enunciati normativi che vi si pongono in contrasto (sulla immediata precettivita' dei parametri costituzionali inerenti agli equilibri di bilancio ed alla sana gestione finanziaria, sentenza n. 70 del 2012)» e che il precetto costituzionale sotteso all'art. 119 sesto comma e' «inscindibilmente collegato ed integrato con altri principi costituzionali quali omissis) la tutela degli equilibri di bilancio (art. 81 Cost., sia nella precedente formulazione che in quella introdotta dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, recante «Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale»)». Del resto «la ratio del divieto di indebitamento per finalita' diverse dagli investimenti trova fondamento in una nozione economica di relativa semplicita'. Infatti, risulta di chiara evidenza che destinazioni diverse dall'investimento finiscono inevitabilmente per depauperare il patrimonio dell'ente pubblico che ricorre al credito» (sentenza n, 188/2014 citata). Va, infine, evidenziato che il giudizio di parificazione, allo stato della legislazione vigente, e' l'unica possibilita' offerta dall'ordinamento per sottoporre a scrutinio di costituzionalita' in via incidentale, in riferimento ai principi costituzionali In materia di finanza pubblica, le disposizioni legislative che, incidendo sui singoli capitoli, modificano l'articolazione del bilancio e ne possono alterare gli equilibri complessivi. Conseguentemente, ove si escludesse la legittimazione di questa Corte a sollevare questioni di costituzionalita' in riferimento ai parametri sopra individuati, si verrebbe a creare, di fatto, una sorta di spazio legislativo immune dal controllo di costituzionalita' attivabile in via incidentale, laddove la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto la legittimazione della Sezione di controllo a sollevare questioni di legittimita' costituzionale anche in relazione all'esigenza di assicurare «al sindacato della Corte costituzionale leggi che, come nella fattispecie in esame, piu' difficilmente verrebbero, per altra via, ad essa sottoposte» (Corte costituzionale sentenza n, 226/1976). Ritiene, pertanto, la Sezione di essere legittimata a sollevare questioni di legittimita' costituzionale, non solo con riferimento all'art. 81 della Costituzione, ma anche con riguardo a tutte le norme costituzionali in materia di finanza pubblica e, dunque, anche con riferimento all'art. 119, sesto comma. Alla luce di quanto sopra esposto appaiono del tutto inconferenti, e comunque superate, le considerazioni formulate dalle parti sulla mancanza di legittimazione di questa Corte a sollevare questione di legittimita' costituzionale. 4. Al fine di evidenziare la rilevanza nel presente giudizio della questione di costituzionalita' che si intende sollevare, confutando anche le controdeduzioni mosse dalla Procura regionale sui punto, la Sezione ritiene necessario precisare quale sia l'oggetto del giudizio di parifica. L'art. 39 del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti (regio decreto 12 luglio 1934, n, 1214),al quale l'art. 1, comma 5, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, l'art. 1, comma 5, del decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174 rinvia, dispone che «La Corte verifica il rendiconto generale dello Stato e ne confronta i risultati tanto per le entrate, quanto per le spese, ponendoli a riscontro con le leggi del bilancio. A tale effetto verifica se le entrate riscosse e versate ed i resti da riscuotere e da versare risultanti dal rendiconto, siano conformi ai dati esposti nei conti periodici e nei riassunti generali trasmessi alla Corte dai singoli ministeri; se le spese ordinate e pagate durante l'esercizio concordino con le scritture tenute o controllate dalla Corte ed accerta i residui passivi in base alle dimostrazioni allegate ai decreti ministeriali di impegno ed alle proprie scritture. La Corte con eguali accertamenti verifica i rendiconti, allegati al rendiconto generale, delle aziende, gestioni ed amministrazioni statali con ordinamento autonomo soggette al suo riscontro». In un primo tempo, la Corte costituzionale, pur ravvisando nel giudizio di parifica del rendiconto generale dello Stato la presenza delle condizioni ipotizzate dall'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 per la proposizione davanti ad essa di questioni di legittimita' costituzionale, dal tenore letterale del citato art. 39 aveva tratto la conclusione che esse non potevano investire la legge di bilancio o le leggi di spesa, attesa la loro irrilevanza ai fini del decidere, in considerazione dei peculiare ambito di cognizione dei giudizio di parifica (Corte costituzionale, sentenza n. 142/68). Successivamente, prendendo atto dell'intervenuta riforma del bilancio che, essendosi trasformato da «strumento descrittivo di fenomeni di mera erogazione finanziaria» in «strumento di realizzazione di nuove funzioni di governo (come la programmazione di bilancio, le operazioni di tesoreria, ecc.) e piu' in generale di politica economica e finanziaria», persegue, tra le altre, «la finalita' di meglio programmare, definire e controllare le entrate e le spese pubbliche, per assicurare l'equilibrio finanziario e la sostanziale osservanza, in una proiezione temporale che supera l'anno, dei principi enunciati dall'art. 81 della Costituzione», il Giudice delle leggi, con sentenza n. 244/1995, ha ritenuto che «la funzione di riscontro, che costituisce l'essenza del giudizio di parificazione, attiene anche alla verifica degli scostamenti che, negli equilibri stabiliti nel bilancio preventivo, si evidenziano in sede consuntiva, coerentemente con la previsione del primo comma dell'art 39 del regio decreto 12 luglio 1934, n, 1214». Conseguentemente, pur precisando che oggetto del giudizio di parificazione e' il riscontro e la verifica, rispetto alla legge di bilancio, delle risultanze del rendiconto generale, la suprema Corte ha ritenuto che, non potendo ignorarsi il rilievo che il raffronto fra dati previsionali e consuntivi viene ad avere nel nuovo contesto normativa, «la decisione da assumere non puo' non vertere anche sulla verifica, a consuntivo, del rispetto degli accennati equilibri, in relazione, tra l'altro, ai vincoli posti dalla legge finanziaria». Questo orientamento e' stato confermato dalla sentenza n. 213/2008 nella quale, richiamando espressamente la sentenza n. 244/1995 sopra citata, la Corte costituzionale ha confermato la legittimazione della Corte dei conti in sede di giudizio di parificazione a sollevare questione di legittimita' costituzionale «avverso tutte quelle disposizioni di legge che determinino effetti modificativi dell'articolazione del bilancio per il fatto stesso di incidere, in senso globale, sulle unita' elementari, vale a dire sui capitoli, con riflessi sugli equilibri di gestione, disegnati con il sistema dei risultati differenziali». Puo', pertanto, ritenersi che, allo stato attuale della giurisprudenza costituzionale, il giudizio di parifica ha come oggetto la verifica delle riscossioni e dei pagamenti e dei relativi resti (residui) e, soprattutto, ia verifica a consuntivo degli equilibri di bilancio sulla base dei bilancio preventivo e di tutte le disposizioni sopravvenute che ne hanno modificato la struttura. In tal modo, il giudizio di parificazione si pone in linea con il ruolo di «garante imparziale dell'equilibrio economico - finanziario del settore pubblico» che il legislatore ha attribuito alla Corte dei conti (al riguardo si rinvia a quanto sopra esposto al punto 1). Cio' premesso, la possibilita' di procedere ad una parifica parziale, gia' conosciuta dalla prassi applicativa (decisione n. 36/CONTR/2011 delle Sezioni Riunite per la Regione Trentino-Alto Adige/Seidtirol, decisione n. 36/2014/PARI della Sezione Regionale di controllo per la Calabria, decisione n. 46/201.4/PARI della Sezione Regionale di controllo per la Liguria, decisione n. 2/2014/SS.RR./PARI delle Sezioni Riunite per la Regione Siciliana) appare coerente con l'oggetto del giudizio che, come detto, si sostanzia in piu' parifiche distinte delle diverse poste, che confluiscono sul risultato complessivo. Nella fattispecie la parifica dei capitoli 59300 (UPB DB902) e 59350 (UPB DB902) in entrata, dei capitoli 200/0 (UPB DB09010) 156981 (UPB D620151), 156985 (UPB DB20151), comporta l'applicazione delle leggi regionali n. 16/2013 e n. 19/2013 che li hanno istituiti ed evidenzia la rilevanza nel presente giudizio della questione di costituzionalita' che si intende sollevare. E' evidente, infatti, che, nella vigenza delle menzionate leggi regionali, la Sezione dovrebbe parificare il rendiconto della Regione Piemonte, venendo meno alle finalita' per le quali e' stata intestata a questa Corte, tra le altre, la funzione di procedere alla parifica dei rendiconti regionali. Ancora a sostegno della rilevanza della proponenda ,questione di legittimita' costituzionale, va evidenziata l'incidenza che le variazioni di bilancio approvate dalle leggi regionali n. 16/2013 e n. 19/2013, sopra menzionate, hanno sull'equilibrio del bilancio, sul risultato d'amministrazione e, conseguentemente, anche sull'equilibrio dei bilanci futuri. Infatti, applicando le suddette leggi regionali, il disavanzo d'amministrazione dell'esercizio 2013 rimarrebbe fissato nell'importo di -364.983.307,72 esposto nel progetto di legge di approvazione del rendiconto. Invece, se esse fossero dichiarate costituzionalmente illegittime, le spese finanziate con le anticipazioni di liquidita' ottenute ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto-legge n. 35/2013 sarebbero prive di copertura e, conseguentemente, il disavanzo d'amministrazione aumenterebbe del relativo importo (euro 2.554.603,200,01). Al riguardo, appare opportuno sottolineare che il risultato d'amministrazione consente di accertare l'equilibrio finanZiario complessivo dell'ente. Pertanto, la sua esatta determinazione costituisce l'oggetto principale e lo scopo del giudizio di parificazione che, come sopra detto, riguarda, non solo la verifica delle riscossioni e del pagamenti e dei relativi resti (residui) ma anche, e soprattutto, la verifica a consuntivo degli equilibri di bilancio. Inoltre, trattandosi di disavanzo d'amministrazione che deve essere obbligatoriamente ripianato, esso condiziona anche l'equilibrio degli esercizi futuri. Alla luce di quanto esposto, la Sezione ritiene che la questione di legittimita' costituzionale che di seguito si illustra, sia rilevante, atteso il diverso esito del giudizio a seconda che vengano applicate o meno le disposizioni dl legge impugnate. 5. La Sezione dubita della legittimita' costituzionale delle leggi regionali 6 agosto 2013, n. 16 e 29 ottobre 2013, n. 19 - che hanno disposto le variazioni di bilancio con le quali sono state destinate le risorse finanziarie provenienti dai MEF, in virtu' degli articoli 2 e 3 del decreto legge 8 aprile 2013, n. 35 convertito in legge 6 giugno 2013, n. 64 - in riferimento all'art. 81, quarto comma (nel testo vigente antecedentemente alla modifica introdotta dalla L. cost. 20 aprile 2012, n. 1). In particolare, i dubbi di costituzionalita' riguardanti la legge n. 16/2013, avente per oggetto «Assestamento al bilancio di previsione per Panno finanziario 2013 e al bilancio pluriennale per gli anni finanziari 2013/2015», sono limitati alle variazioni apportate in entrata mediante l'istituzione del capitolo 59300 (UPB DB902) con uno stanziamento di euro 447.693.392,78 e del capitolo 59350 (UPB DB902) con uno stanziamento di euro 803.724.000,00, ed in uscita mediante la istituzione del capitolo 200/0 (UPB DB09010) dell'importo di euro 447.693.392,78 e del capitolo 156981 (UPB DB20151) con uno stanziamento di euro 803.724.000,00, I dubbi relativi alla legge n. 19/2013 riguardano gli articoli 1 e 2 che hanno approvato gli allegati A) e C). In particolare, l'allegato A) ha incrementato di euro 660.206.607,23 in entrata il capitolo 59300 (UPB DB902) ed in uscita il disavanzo d'amministrazione 2012 da ripianare (capitolo 200/0 UPB DB09010); l'allegato C) ha incrementato in entrata il capitolo 59350 (UPB DB902) di euro 642.979200,00 ed in uscita ha istituito il capitolo 156985 (UPB DB20151) con un stanziamento di pari importo. In entrambi i casi, le poste in entrata sono state iscritte al Titolo V (entrate derivanti da mutui, prestiti o altre operazioni creditizie) e quelle in uscita al Titolo I (spese correnti). Al fine di inquadrare correttamente la questione occorre individuare la natura delle risorse erogate dallo Stato, tramite il MEF, ai sensi degli articoli 2 e 3 dei decreto legge n. 35/2013 e, conseguentemente, la loro idoneita' a costituire valida copertura delle spese finanziate. Ritiene la Sezione che le risorse in questione costituiscono una mera anticipazione di cassa, definita dal legislatore «anticipazione di liquidita'», che avviene entro un plafond predeterminato dalla legge e la cui restituzione, ed in cio' consiste la sua peculiarita', e' prevista in un periodo non superiore a 30 anni. Tale conclusione e' fondata sulle seguenti considerazioni. In primo luogo l'interpretazione letterale delle disposizioni evidenzia il carattere di anticipazione di tali somme: in particolare, l'art. 2 comma 1 del decreto-legge dispone testualmente che le Regioni «che non possono far fronte ai pagamenti dei debiti ... a causa di carenza di liquidita' ... chiedono al Ministero dell'economia e delle finanze ... l'anticipazione di somme da destinare ai predetti pagamenti». Analogamente il primo comma dell'art. 3 autorizza lo Stato ad effettuare anticipazioni di liquidita' alle Regioni «al fine di favorire l'accelerazione dei pagamenti dei debiti degli enti del Servizio sanitario nazionale». Ancora l'art. 2, comma 6, prevede che «il pagamento dei debiti oggetto del presente articolo deve riguardare, per almeno due terzi, residui passivi in via prioritaria di parte capitale, anche perenti, nei confronti degli enti locali, purche' nel limite di corrispondenti residui attivi degli enti locali stessi ovvero, ove inferiori, nella loro totalita'». Appare evidente che se le somme servono per pagare residui passivi (cioe' spese gia' finanziate), non possono costituire esse stesse ulteriore finanziamento. Da un punto di vista sistematico si osserva, inoltre, che il legislatore, quando ha inteso erogare dei finanziamenti, non ha fatto ricorso all'istituto dell'anticipazione ma ha utilizzato diverse modalita', come, ad esempio, e' previsto dall'art. 11, commi 6 e 7, dello stesso decreto legge n. 35/2013 per il trasporto pubblico locale della Regione Piemonte. Depongono a favore della natura di anticipazione anche i motivi di urgenza che hanno determinato l'emanazione del decreto legge. Infatti, nelle premesse del decreto legge e' indicata «l'assoluta necessita' di predisporre interventi di immediata eseguibilita' rivolti a graduare il flusso dei pagamenti, accordando priorita' ai crediti che le imprese non hanno ceduto al sistema creditizio» e la «straordinaria necessita' ed urgenza di intervenire in materia di pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione»., La stessa conclusione e' avvalorata anche dall'esame dei lavori preparatori della legge di «, conversione, i quali evidenziano che l'intenzione del legislatore era di considerare l'erogazione delle risorse in questione quale mera anticipazione di cassa. Infatti, la Prima Commissione della Camera dei Deputati (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni) ha espresso parere favorevole dopo aver valutato le disposizioni alla luce dell'art. 119, sesto comma, della Costituzione, ed ha ritenuto che la norma costituzionale non risultava violata «in quanto nel caso delle disposizioni sopra citate si tratterebbe di un'erogazione avente natura di anticipazione di liquidita': come precisato in particolare in una nota della Ragioneria generale dello Stato - consegnata in occasione dell'audizione della medesima sul decreto-legge in esame - sulla base delle vigenti regole contabili le somme da pagare da parte degli enti territoriali risultano, relativamente a quelle diverse da spese di parte capitale, gia' iscritte in competenza, a fronte della fornitura del bene, del servizio o di altra prestazione e della insorgenza del corrispondente credito; in quanto iscritte in competenza, le somme medesime non rilevano - secondo la Ragioneria generale dello Stato - ai fini della copertura e, per i riflessi sui saldi di finanza pubblica, incidono solo sul fabbisogno e sul debito, ma non sull'indebitamento, su cui ha effetto solo la parte riguardante i pagamenti di conto capitale; di conseguenza, secondo la nota della Ragioneria, «non si tratta di un vero e proprio prestito da includere nel campo di applicazione dell'art. 119, comma sesto, della Costituzione, in quanto non comporta un ampliamento di copertura finanziaria in termini di competenza, ma si configura come mera anticipazione di liquidita', a fronte di coperture gia' individuate» (parere della I Commissione permanente, «Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni» sul disegno di legge n. 676-A). Infine, ad ulteriore conferma della tesi esposta, si osserva che l'art. 1, comma 13, dello stesso decreto legge, prevede un'anticipazione di liquidita' a favore degli enti locali, sostanzialmente analoga a quelle previste per le Regioni dagli articoli 2 e 3, con la sola differenza che e' concessa dalla Cassa Depositi e Prestiti. Con riferimento a questa fattispecie ii MEF, con nota del 7 maggio 2013 indirizzata alla predetta Cassa, ha precisato che per i debiti fuori bilancio puo' essere concessa l'anticipazione purche' essi siano stati preventivamente riconosciuti, prevedendo la relativa copertura finanziaria ed ha fornito le istruzioni per la loro corretta contabilizzazione (entrata titolo V, spesa titolo III), precisando che «l'anticipazione di liquidita' non comporta ampliamento di copertura finanziaria in termini di competenza». Tali concetti sono stati confermati con successiva nota del 28 giugno 2013, prot. n. 53240, indirizzata ad una Unione di comuni in risposta ad un quesito relativo alla corretta contabilizzazione delle anticipazioni di liquidita'. Non ignora la Sezione che la normativa in questione presenta alcuni profili di ambiguita' che sembrerebbero deporre per la concessione di un vero e proprio finanziamento. Innanzi tutto, va evidenziato che la restituzione delle somme, comprensive di capitale ed interessi, e' prevista per un periodo non superiore a 30 anni mediante la predisposizione di un piano di ammortamento, cosi' venendo meno la breve durata dell'indebitamento che costituisce uno degli elementi caratteristici dell'anticipazione (Corte costituzionale sentenza n. 188/2014, citata). Si evidenzia ancora che l'art. 3, comma 4, dello stesso decreto legge, afferma che l'anticipazione in questione e' fatta «in deroga all'art. 10, secondo comma, della legge 16 maggio 1970, n. 281, e all'art. 32, comma 24, lettera b), della legge 12 novembre 2011, n. 183H, norme che stabiliscono i limiti di indebitamento per le Regioni (analoga disposizione e' contenuta nell'art. 1 comma 13 per i Comuni dove la deroga e' riferita agli articoli 42, 203 e 204 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267). Altre ambiguita' si rilevano in ordine all'utilizzo delle anticipazioni nel settore sanitario: le previsioni normative, da un lato, fanno riferimento a «anticipazioni di liquidita'» ed a «pagamenti» (art. 3, comma 1), lasciando intendere che trattasi effettivamente di mera anticipazione di cassa, dall'altro prevedono l'utilizzo a copertura per gli «ammortamenti non sterilizzati» (art. 3, comma 1, lettera a) e per «mancate erogazioni per Competenza» (art. 3, comma 1, lettera b). Poiche' queste ultime due voci non avevano alcuna copertura finanziaria, potrebbe sorgere il dubbio che si possa fare riferimento a coperture di competenza, con un effetto ampliativo della capacita' di spesa. Tuttavia, qualora in base ai suddetti profili di ambiguita' dovesse ritenersi che le somme in questione costituiscono un vero e proprio finanziamento, e non una mera anticipazione di liquidita', sorgerebbero fondati dubbi sulla costituzionalita' del decreto legge n. 35/2013 in riferimento all'art. 119, sesto comma (al riguardo si rinvia a quanto sopra esposto sui lavori preparatori). Cio' comporta che in base ad un'interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata delle norme in esame, le risorse in questione vanno considerate come delle semplici anticipazioni di cassa. Peraltro, la natura di mera anticipazione delle risorse in questione e' stata affermata anche dalla Sezione autonomie nella deliberazione n. 19/2014, emessa ai sensi dell'art. 6, comma 4, del decreto-legge n. 174/2012, alla quale questa Sezione non puo' non conformarsi. In tale deliberazione, infatti, e' affermato il seguente principio di diritto «le Sezioni regionali di controllo, nell'ambito delle valutazioni di competenza finalizzate alla salvaguardia degli equilibri di bilancio e delle regole sull'indebitamento, verificano la corretta applicazione delle clausole contrattuali e dei principi di corretta contabilizzazione in bilancio delle anticipazioni di liquidita' concesse ai sensi degli art. 2 e 3, decreto-legge n. 35/2013, tenendo conto dell'esigenza di evitare che le relative somme possano concorrere alla determinazione del risultato di amministrazione, generando effetti espansivi della capacita' di spesa». Dalla ritenuta natura di semplici anticipazioni di cassa delle risorse in questione, i dubbi di costituzionalita' delle leggi regionali 6 agosto 2013, n. 16 e 29 ottobre 2013, n. 19 in riferimento all'art. 81, quarto comma (nel testo vigente antecedentemente alla modifica introdotta dalla L. cost. 20 aprile 2012, n. 1) sembrano al Collegio non manifestamente infondati. Si' osserva, infatti, che con la gia' citata sentenza n. 188/2014 la Corte costituzionale, dopo aver precisato che «l'anticipazione di cassa e' negozio caratterizzato da una causa giuridica nella quale si combinano la funzione di finanziamento con quella di razionalizzazione dello sfasamento temporale tra flussi di spesa e di entrata, attraverso un rapporto di finanziamento a breve termine», ha evidenziato che «la causa di finanziamento dell'anticipazione e' stata ritenuta compatibile col divieto di cui all'art. 119, sesto comma, Cost. nei casi in cui l'anticipazione sia di breve durata, sia rapportata a limiti ben precisi e non costituisca surrettiziamente un mezzo di copertura alternativo della spesa». Tali principi sono espressi nell'art. 3, comma 17, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, il quale dispone che agli effetti dell'art. 119, sesto comma, della Costituzione non costituiscono indebitamento «le operazioni che non comportano risorse aggiuntive, ma consentono di superare, entro il limite massimo stabilito dalla normativa statale vigente, una momentanea carenza di liquidita' e di effettuare spese per le quali e' gia' prevista idonea copertura di bilancio». L'anticipazione di cassa, pertanto, e' un indebitamento che ha lo scopo di costituire la provvista di cassa necessaria per procedere al pagamento di spese regolarmente impegnate e, quindi, finanziate. Cio' che la distingue dalle altre forme di indebitamento, oltre alla brevita' del termine di cui si e' gia' detto sopra, e' il fatto che essa non determina un ampliamento della capacita' di spesa perche' non comporta la disponibilita' di risorse aggiuntive. In altre parole, l'anticipazione di cassa si distingue da operazioni analoghe, quali l'apertura di credito, proprio perche' la disponibilita' di denaro non puo' essere utilizzata per finanziare nuove spese, ma serve unicamente per far fronte, in termini di cassa, a spese gia' regolarmente finanziate: proprio per questo motivo le anticipazioni non rientrano nel complesso del debito pubblico, rilevante ai fini degli obblighi comunitari. Giova ricordare, infatti, che la nozione di «indebitamento» fornita dall'art. 3, comma 17, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 e' ispirata ai criteri adottati in sede europea ai fini del controllo dei disavanzi pubblici; si tratta, in definitiva, di tutte le entrate che non possono essere portate a scomputo del disavanzo calcolato ai fini del rispetto dei parametri comunitari (Corte costituzionale sentenza n. 425/2004). Peraltro, la giurisprudenza costituzionale ha affermato che «l'applicazione alle Regioni dell'obbligo di copertura finanziaria delle disposizioni legislative e' stata sempre ribadita da questa Corte (ex plurimis, tra le piu' recenti: sentenze nn. 141 e 100 del 2010, nn. 386 e 213 del 2008, n. 359 del 2007), con la precisazione che il legislatore regionale non puo' sottrarsi alla fondamentale esigenza di chiarezza ed equilibrio del bilancio cui l'art. 81 Cost» (sentenza n. 106/2011) e che, in relazione all'art. 81, quarto comma Cost., la copertura finanziaria delle spese deve essere credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale (sentenze n. 106/2011, n. 68/2011, n. 141/2010, n. 100/2010, n. 213/2008, n. 384/1991 e n. 1/1966). Le leggi regionali piemontesi n. 16/2013 e n. 19/2013 hanno finanziato delle spese non previste in bilancio con le anticipazioni di liquidita' concesse dallo Stato in base agli articoli 2 e 3 del decreto-legge n. 35/2013, ampliando conseguentemente la capacita' di spesa della Regione. Cosi facendo, sembra alla Sezione che esse si pongano in contrasto con l'art. 81,) quarto comma, della Costituzione (nel testo vigente antecedentemente alla modifica introdotta dalla l. cost. 20 aprile 2012, n. 1), essendo prive di una adeguata ed effettiva copertura finanziaria. In particolare, esse hanno previsto delle nuove spese - intendendosi per tali quelle che, ai sensi del principio stabilito dall'art 156, secondo comma dei R.D. 23 maggio 1924 n 827, richiedono l'istituzione di uno o piu' capitoli nuovi - senza la necessaria copertura finanziaria, attesa «l'inutilizzabilita' ai fini della copertura della spesa» di una mera anticipazione di cassa e, conseguentemente, hanno alterato l'equilibrio di bilancio. Peraltro, il principio di copertura finanziaria nelle leggi di spesa sancito dall'art. 81, comma 4 vecchio testo, della Costituzione e' confermato dal novellato testo dell'art. 81, al comma 3, vigente a far data dall'esercizio 2014. 6. In conformita' alla consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, la Sezione ritiene di dover verificare se siano possibili ipotesi interpretative delle citate leggi regionali che consentano di superare i dubbi di costituzionalita' sopra esposti. Con riferimento alla fattispecie in esame si tratta di verificare se le risorse erogate dallo Stato, tramite il MEF, ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto-legge n. 35/2013, possano costituire una valida copertura delle spese finanziate, anche facendo ricorso «all'archetipo negoziale del mutuo» come ritenuto dalla Procura regionale. A tal fine, appare fondamentale accertare la natura delle spese finanziate con le leggi regionali in questione, giacche', ove si trattasse di spese di investimento, si potrebbe ritenere che le somme erogate dal MEF siano un vero e proprio mutuo e verrebbero superati i dubbi di costituzionalita' sopra prospettati. Come sopra esposto, le leggi regionali sospettate di incostituzionalita' utilizzano le risorse del decreto legge 35/2013 per finanziare parte dei disavanzo di amministrazione risultante dal rendiconto 2012, nonche' i trasferimenti alle ASR per allineamento con la situazione patrimoniale e per copertura delle perdite derivanti dagli ammortamenti non sterilizzati. In particolare, per quanto riguarda le spese relative al settore sanitario, le nuove spese previste sono i «trasferimenti alle aziende sanitarie regionali per l'erogazione delle risorse di cui all'anticipazione di liquidita ai sensi dell'art. 3, comma 2 del decreto-legge 35/2013» (capitolo 156981) ed i «trasferimenti alle aziende sanitarie regionali per l'erogazione delle risorse di cui all'anticipazione di liquidita ai sensi dell'art. 3, comma 2 del decreto-legge 35/2013 e dell'art. 13, comma 6 del decreto-legge 102/2013» (capitolo 156985). L'art. 3, comma 2, del decreto-legge n. 35/2013, richiamato nella denominazione dei capitoli, prevede il riparto tra le Regioni di un'anticipazione di liquidita' in proporzione ai valori degli ammortamenti non sterilizzati (art. 3 comma 1, lettera a, del decreto-legge n, 35/2013), come risultanti dai modelli CE per il periodo dal 2001 al 2011, ponderati al 50%, ed ai valori delle mancate erogazioni per competenza e/o per cassa delle somme dovute dalle regioni ai rispettivi servizi sanitari regionali a titolo di finanziamento del Servizio sanitario nazionale, ivi compresi i trasferimenti di somme dai conti di tesoreria e dal bilancio statale e le coperture regionali dei disavanzi sanitari, come risultanti nelle voci «crediti verso regione per spesa corrente» e «crediti verso regione per ripiano perdite» nelle voci di credito degli enti del SSN verso le rispettive regioni dei modelli SP (art. 3, comma 1, lettera b, del decreto-legge n. 35/2013), ponderati al 50%, come presenti nell'NSIS alla data di entrata in vigore del decreto-legge. L'art. 13, comma 6, del decreto-legge 31 agosto 2013, n, 102 convertito con modificazioni dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, richiamato nell'oggetto del capitolo 156985, si limita a prevedere la possibilita' di accesso anticipato alle risorse stanziate dal decreto legge 35/2013 per il 2014, per ie stesse finalita' dell'art. 3, comma 2, fino ad un importo pari all'80% delle somme gia' assegnate in attuazione della suddetta norma e dell'art. 3-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98. Quest'ultima norma prevede che le risorse ripartite tra le Regioni ai sensi dell'art. 3, comma 2, del decreto-legge 35/2013 e non richieste dalle stesse, possano essere assegnate alle Regioni che ne facciano richiesta, «prioritariamente in funzione dell'adempimento alla diffida prevista dall'art. 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n, 311, e successive modificazioni» (la disposizione richiamata e' relativa al finanziamento del servizio sanitario regionale e prevede una diffida del Presidente del Consiglio dei ministri, con successiva eventuale nomina di un commissario ad acta, qualora, sulla base del monitoraggio trimestrale, si prospetti una situazione di squilibrio o si evidenzi un disavanzo di gestione e la Regione non adotti i provvedimenti necessari ovvero quelli adottati si siano rilevati insufficienti). Dalla complessa normativa sopra esposta si evince che le spese in materia sanitaria finanziate con le anticipazioni di liquidita' costituiscono in via prevalente, se non esclusiva, spese correnti. Con particolare riferimento al debito derivante dagli «ammortamenti non sterilizzati», appare opportuno precisare che nella contabilita' economica, adottata dalle aziende sanitarie, la sterilizzazione e' il procedimento contabile (consistente nello storno di una quota del contributo in conto capitale iscritto nel patrimonio netto e alla sua imputazione a ricavo), mediante il quale viene annullato (per l'appunto «sterilizzato») l'effetto sul risultato d'esercizio dell'ammortamento dei cespiti finanziati da contributi in conto capitale. Gli ammortamenti non sterilizzati, dunque, comportano un aggravio della gestione operativa e del risultato d'esercizio delle aziende e la conseguente necessita' di copertura da parte della Regione, prima del 2011, invece, gli ammortamenti non sterilizzati erano sottratti dalle perdite da coprire da parte delle Regione (circostanza peraltro stigmatizzata nelle relazioni di questa Sezione regionale di controllo, cfr, da ultimo la delibera 246/2011), dal momento in cui si e' riconosciuto l'obbligo di copertura dell'intera perdita di esercizio (comprensiva delle predette voci non monetarie) anche per gli anni pregressi, e' cresciuto il disavanzo sostanziale corrente della Regione, corrispondente a queste mancate coperture. Ad ulteriore conferma che le spese in questione non possono essere considerate spese di investimento, si evidenzia che le stesse leggi regionali hanno iscritto le poste in uscita al titolo primo, nel quale trovano allocazione le spese correnti. Per quanto riguarda il disavanzo d'amministrazione accertato con il rendiconto dell'esercizio 2012, alla cui copertura sono state destinate risorse per euro 447.693.392,78 e per euro 660,206,607,23, si osserva che la copertura del risultato d'amministrazione negativo non e' compresa tra le operazioni che, in base all'art. 3, comma 18, della legge 24 dicembre 2003, n, 350 costituiscono investimenti, ai fini di cui all'art. 119, sesto comma, della Costituzione. Inoltre, l'art. 193, comma 3, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, esclude espressamente che, «per il ripiano dell'eventuale disavanzo di amministrazione risultante dal rendiconto approvato», possano essere utilizzate le disponibilita' provenienti dall'assunzione di prestiti. Ad ulteriore conferma che le spese in questione non sono annoverabili tra quelle di investimento, vi sono i dati del conto del patrimonio dai quali non risulta alcun incremento dell'attivo patrimoniale che, ipercuotendosi nel tempo, giustifichi l'indebitamento in questione, i cui oneri, giova ricordarlo, saranno a carico delle generazioni future. In particolare, a fronte dell'iscrizione tra le passivita' patrimoniali del debito per la restituzione delle anticipazioni per complessivi euro 2.554.603.200,01, tra le attivita' patrimoniali non si rinviene alcun aumento corrispondente, anzi vi e' un saldo negativo delle variazioni per complessivi -16.725.787,36 derivante dal saldo tra le variazioni in aumento (40.381.308,31) e quelle in diminuzione (57.107.095,67). Come ha affermato la Corte costituzionale, «la ratio del divieto di indebitamento per finalita' diverse dagli investimenti trova fondamento in una nozione economica di relativa semplicita'. Infatti, risulta di chiara evidenza che destinazioni diverse dall'investimento finiscono inevitabilmente per depauperare il patrimonio dell'ente pubblico che ricorre al credito» (Corte costituzionale, sentenza n. 188/2014, gia' cit.). Conclusivamente, anche se si volessero qualificare le risorse erogate dallo Stato, tramite il MEF, ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto-legge n. 35/2013, non come anticipazioni di cassa ma come un vero e proprio mutuo, i dubbi di costituzionalita' sul finanziamento delle spese, disposto dalla leggi regionali in questione non sarebbero eliminati, ma verrebbero ulteriormente rafforzati, giacche' risulterebbe violato l'art. 119 sesto comma, che consente l'indebitamento solo per le spese di investimento, e, di rimando, sempre lo stesso art. 81, quarto comma della Costituzione (nel testo vigente antecedentemente alla modifica introdotta dalla L. cost. 20 aprile 2012, n. 1). Infatti, come precisato dalla Corte costituzionale, il precetto dettato dall'art. 119, sesto comma, e' inscindibilmente collegato ed integrato con altri principi costituzionali quali il coordinamento della finanza pubblica, di cui all'art. 117, terzo comma, Cost., la tutela degli equilibri di bilancio, di cui all'art. 81 Cost. (sia nella precedente formulazione che in quella introdotta dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, recante «Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale»). «In definitiva, il valore costituzionalmente protetto del divieto di indebitamento per spese diverse dagli investimenti trova espressa enunciazione nel predetto art. 119, sesto comma, Cost., ma viene declinato - in modo assolutamente coerente ed integrato, secondo esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale - attraverso altri parametri costituzionali, quali i citati artt. 81, 117, secondo comma, lettera I), e 117, terzo comma, Cost., venendo ad assumere consistenza di vera e propria clausola generale in grado di colpire direttamente - indipendentemente dall'esistenza di norme applicative nella pertinente legislazione di settore - tutti gli enunciati normativi che vi si pongono in contrasto (sulla immediata precettivita' dei parametri costituzionali inerenti agli equilibri di bilancio ed alla sana gestione finanziaria, sentenza n. 70 del 2012)» (sentenza n. 188/2014). Risulta in ogni caso alterato l'equilibrio del bilancio, principio «immanente nell'ordinamento finanziario delle Amministrazioni pubbliche», derivante sempre dall'art. 81 e la cui rilevanza si e' molto accentuata negli ultimi anni, tanto da essere formalmente introdotto nel testo della Costituzione dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, significativamente intitolata «Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale». Detto principio consiste nella «continua ricerca di un armonico e simmetrico bilanciamento tra risorse disponibili e spese necessarie per il perseguimento delle finalita' pubbliche» ed e' immanente nell'ordinamento finanziario delle amministrazioni pubbliche in quanto derivante dall'art. 81 della Costituzione e «non si realizza soltanto attraverso il rispetto del meccanismo autorizza tono della spesa, il quale viene salvaguardato dal limite dello stanziamento di bilancio, ma anche mediante la preventiva quantificazione e copertura degli oneri derivanti da nuove disposizioni» (sentenze n. 70/2012, n. 115/2012, n. 250/2013 e n. 266/2013).
P.Q.M. La Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Piemonte. Visti gli articoli 81, 119 e 134 della Costituzione, l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Visto l'art. 1, comma 5, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213; Solleva la questione di legittimita' costituzionale, in riferimento ai parametri stabiliti dall'art. 81, quarto comma, nel testo vigente antecedentemente alla modifica introdotta dalla l. cost. 20 aprile 2012, n. 1, e dall'art. 119, sesto comma, delle seguenti disposizioni di legge: a) legge regionale del Piemonte 6 agosto 2013 n. 16, avente per oggetto «Assestamento al bilancio di previsione per l'anno finanziario 2013 e al bilancio pluriennale per gli anni finanziari 2013/2015», limitatamente all'istituzione in entrata del capitolo 59300 (UPB DB902), con uno stanziamento di euro 447.693.392,78, e dei capitolo 59350 (UPB DB902), con uno Rtanziamento di euro 803.724.000,00, ed in uscita del capitolo 200/0 (UPB D809010), dell'importo di euro 447.693.392,78, e del capitolo 156981 (UPB DB20151), con uno stanziamento di euro 803.724.000,00; b) legge regionale del Piemonte 29 ottobre 2013, n. 19, avente ad oggetto «Ulteriori disposizioni finanziarie per l'anno 2013 e pluriennale 2013-2015», limitatamente agli articoli 1 e 2 che hanno approvato gli allegati A) e C). In particolare, l'allegato A) ha incrementato di euro 660.206.607,23 in entrata Il capitolo 59300 (UPB DB902) ed in uscita il disavanzo d'amministrazione 2012 da ripianare (capitolo 200/0 UPB DB09010); l'allegato C) ha incrementato in entrata il capitolo 59350 (UPB DB902) di € 642.979.200,00 ed in uscita ha istituito il capitolo 156985 (UPB DB20151) con uno stanziamento di pari importo. Ordina la sospensione del giudizio per le voci non parificate e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per l'esame della questione. Dispone che, a cura della Segreteria della Sezione, ai sensi dell'art. 23, ultimo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la presente ordinanza sia notificata al Presidente della Regione Piemonte e ai Procuratore Regionale quali parti in causa e sia comunicata al Presidente del Consiglio regionale del Piemonte. Cosi' deciso in Torino, nella Camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2014. Il Presidente f.f.: Pischedda I relatori: Mezzapesa - Olessina - Valero - Gribaudo Depositato in segreteria il 10 novembre 2014. Il funzionario preposto: Sola