N. 14 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 giugno 2014
Ordinanza del 17 giugno 2014 del Tribunale di Lecce sull'istanza proposta da M.M.. Patrocinio a spese dello Stato - Spese di giustizia - Compensi dell'ausiliario del magistrato - Modifiche normative, introdotte con la legge n. 147 del 2013, dei criteri di determinazione dei compensi - Previsione che gli importi spettanti sono ridotti di un terzo - Applicabilita' della novella legislativa a tutte le liquidazioni, ancora da operarsi ad opera del giudice, anche se relative ad operazioni peritali e prestazioni dell'ausiliario gia' interamente compiute prima dell'entrata in vigore della legge - Denunciata previsione di una norma retroattiva comportante ingiustificate disparita' di trattamento - Violazione del principio della capacita' contributiva. - Legge 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 607. - Costituzione, artt. 3 e 53. Patrocinio a spese dello Stato - Spese di giustizia - Compensi dell'ausiliario del magistrato - Modifiche normative, introdotte con la legge n. 147 del 2013, dei criteri di determinazione dei compensi - Previsione che gli importi spettanti sono ridotti di un terzo - Operativita' della novella subordinata all'effettivo adeguamento periodico delle tabelle relative ai compensi spettanti agli ausiliari del giudice di cui all'art. 54 del d.P.R. n. 115 del 2002 - Mancata previsione - Violazione dei principi di ragionevolezza e della retribuzione proporzionata ed adeguata. - Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 106-bis, introdotto dall'art. 1, comma 606, lett. b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147. - Costituzione, artt. 3 e 36.(GU n.8 del 25-2-2015 )
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCE Sezione prima penale In composizione monocratica nella persona del Giudice dott. Stefano Sernia Vista la istanza, depositata in data 05.08.2013, con cui il dott. M.M. ha chiesto la liquidazione del proprio compenso, avendo depositato relazione scritta ed esaurito il suo esame peritale, in esito all'espletamento dell'incarico peritale conferito da questa A.G. e relativo alla persona dell'imputato L.E., ammesso al patrocinio a spese dello Stato, con riferimento alla imputabilita' all'epoca dei fatti; Escusso il perito all'udienza del 07.02.2014 ed apprezzatane positivamente la completezza dell'indagine e l'esaustivita' dell'accertamento, ha pronunziato la seguente Ordinanza A. La liquidazione ai sensi dell'art. 24 del D.M. 30.05.2002 e dell'art. 106-bis d.P.R. 105/2002. Al dott. M. e' stata affidata indagine tecnica riconducibile sotto la previsione dell'art. 24 D.M. 30/5/2002, che prevede un compenso oscillante tra un minimo di euro 96,58 ed un massimo di euro 387,86 (inferiore alle tariffe professionali spesso previste per tali attivita', attesa la natura pubblicistica dell'incarico e la conseguente natura indennitaria del compenso corrisposto al perito, come previsto dall'art. 50 co. 2 del d.P.R. 115/02: «Le tabelle sono redatte con riferimento alle tariffe professionali esistenti, eventualmente concernenti materie analoghe, contemperate con la natura pubblicistica dell'incarico»); per tali accertamenti non e' prevista una liquidazione a vacazioni, ma ad onorario variabile, la cui determinazione concreta va operata tenendo conto della complessita' dell'incarico e del pregio dell'accertamento. Va quindi rilevata la non minima complessita' dei quesiti, avendo dovuto il perito sottoporre ad esame diretto il periziando per due volte, assumendo informazioni ed esaminando anche le sue sorelle a verifica del contesto socio culturale di provenienza del periziando e della possibile influenza dello stesso sulla sua interpretazione paranoidea degli eventi; e va altresi' apprezzata la qualita' dell'accertamento peritale (la relazione e' esaustiva e ben motivata, l'accertamento appare essere stato condotto con scrupolo, attenzione e completezza). Si ritiene quindi che, nel contemperare gli indicatori di complessita' di cui ai capoversi precedenti, sia congruo liquidare la somma di euro 240,00. Sono state altresi' documentate, come da fattura, spese per euro 205,81 per competenze dell'ausiliario (psicologo che ha proceduto alla somministrazione di test psicodiagnostici al periziando) della cui opera il perito era stato debitamente e preventivamente autorizzato ad avvalersi. Va peraltro osservato che, ai sensi dell'art. 56 co. 3 del d.P.R. 115/02, i compensi degli ausiliari del perito costituiscono una spesa la cui entita' va «determinata sulla base delle tabelle di cui all'art. 50» del citato d.P.R. 115/02, e quindi nell'ambito della stessa forbice tra minimi e massimi prevista dal citato art. 24 del D.M. 30.05.2002; conseguentemente va ritenuto che il compenso dell'ausiliario possa essere riconosciuto, come spesa autorizzata, nei limiti di euro 150,00, per ovvie ed evidenti ragioni di proporzionalita' rispetto al compenso riconosciuto al perito. Va quindi rilevato che il compenso spettante al perito (se non anche quello liquidabile a titolo di spesa giusta il richiamo all'art. 50 d.P.R. 115/02 contenuto nell'art. 56 dello stesso d.P.R., e la conseguente evocazione di una disciplina unitaria dei criteri di liquidazione dei compensi al perito e delle spese liquidabili ai suoi ausiliari) va ulteriormente ridotta di 1/3: sulla disciplina sopra descritta opera infatti, con effetti sensibilmente riduttivi degli importi da liquidarsi, l'art. 106-bis del d.P.R. 115/02, introdotto dal comma 606 lett. b) dell'art. l della L. 147/2013, c.d. «legge stabilita'» per il 2014, che prevede la riduzione di 1/3 degli onorari spettanti ai difensori, ai custodi, ai consulenti nominati dal Giudice e dalle parti ed agli altri ausiliari del giudice: norma che, ai sensi dell'art. 1 co. 607 della L. 147/2013, va applicata anche retroattivamente, a tutte le liquidazioni non ancora operate dal Giudice alla data di entrata in vigore della legge. Nonostante quindi la maggior parte delle operazioni peritali (tutte tranne l'esame dibattimentale del perito) sia stata portata a termine prima dell'entrata in vigore della L. n. 147/2013, la stessa e' applicabile anche a tale caso, ai sensi del citato comma 607 dell'art. l della suddetta legge. L'imputato e' stato ammesso al beneficio a spese dello Stato con decreto emesso da questo Tribunale in data 13.12.2012 e pertanto al presente caso e' senz'altro applicabile la nuova norma, la cui collocazione si pone nel capo V del d.P.R. 115/02, relativo all'ammissione al patrocinio a spese dello Stato (sebbene possa legittimamente ritenersi che la norma abbia portata generale anche nei giudizi in cui non vi e' stata ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non avendo senso ipotizzare che il Legislatore abbia voluto introdurre una disposizione che comporti un'ingiustificata disparita' di trattamento economico dell'ausiliario per fatto assolutamente indipendente dalla sua volonta' e ininfluente sulle caratteristiche della sua prestazione, e cioe' essere stata o meno una delle parti ammessa al patrocinio a spese dello Stato). B. Contrasto degli articoli 106-bis d.P.R. 115/02 e 1 co. 607 legge 147/2013 con gli articoli 3, 53, 36 Cost. Va quindi osservato che la riduzione di 1/3 dei compensi spettanti al perito, introdotta dalla norma in oggetto, non appare giustificabile con la natura pubblicistica dell'incarico, atteso che la decurtazione introdotta dall'art. 106-bis d.P.R. 115/02 va ad operare su di un sistema tariffario che, ai sensi dell'art. 50 d.P.R. medesimo, gia' e' impostato con decreti ministeriali che mitighino l'onere dei tariffari professionali contemperandoli con la suddetta natura pubblicistica dell'incarico, pervenendo alla determinazione di un impianto indennitario talora di modesta entita' economica, laddove si tenga conto di come la prestazione professionale del perito (nel caso concreto, consistente nella acquisizione di atti e documenti, accessi in cancelleria, esecuzione di visite diagnostiche, redazione di una relazione sugli esiti delle stesse, esposizione orale nell'esame dibattimentale) sia piu' complessa ed articolata della classica prestazione diagnostica del professionista che riceva un paziente nel proprio studio professionale. B.1 Il contrasto dell'art. 1 co. 607 legge 147/2013 con i principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione. A parere del Tribunale, appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale - per contrasto con gli artt. 3, 53 e 36 della Costituzione - dell'art. 106-bis d.P.R. 115/02, nella parte in cui prevede la decurtazione degli onorari spettanti al perito, nonche' - per contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione - dell'attuale disciplina, nella parte in cui prevede l'applicazione del citato art. 106-bis d.P.R. 115/02 e del conseguente nuovo tariffario - come risultante dalla riduzione di 1/3 degli onorari risultanti dalla previgente disciplina - ai sensi dell'art. l co. 607 della legge 147/2013, anche alla liquidazione di prestazioni peritali gia' operate nel vigore della precedente normativa, ma ancora non liquidate dal giudice. Va in primo luogo ritenuta la natura di decisione, a carattere giurisdizionale, del provvedimento di liquidazione del compenso dell'ausiliario emesso dal Giudice, come gia' ritenuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 88 del 1970; ne consegue che, nonostante la apparente natura amministrativa dell'atto di liquidazione, appartenendo pero' questo pur sempre al giudice nell'esercizio delle sue funzioni giurisdizionali, tanto da essere previsto gia' dall'art. 232 del cpp, esso ha legalmente natura giurisdizionale, e l'autorita' che e' chiamato ad emetterlo e' quindi «Giudice» nel senso previsto dall'art. 1 della L. Cost. n. l del 1948, sicche' la questione di costituzionalita' delle leggi che disciplinano l'atto di liquidazione e' conseguentemente sollevabile d'ufficio dal Giudice ai sensi del citato 1 della L. Cost. n. 1 del 1948. B.2 Contrasto dell'art. 1 co. 607 legge 147/13 con l'art. 3 Cost. Come si e' anticipato, la norma in oggetto opera con effetti retroattivi, atteso che si applica non solo per il futuro, ma anche per il passato, concorrendo a determinare l'entita' monetaria dell'indennita' da liquidarsi anche agli ausiliari del giudice che abbiano gia' prestato - in tutto o in parte (nel caso presente, la maggior parte) - la propria opera ed esaurito l'ufficio loro affidato; e tale modifica, come si e' detto, opera in peius, introducendo la riduzione di 1/3 di quanto altrimenti sarebbe stato loro liquidato nel vigore della normativa esistente nel momento in cui e' stato loro affidato l'incarico di ausiliario del giudice. Invero, va in primo luogo escluso che il complesso di norme di cui agli artt. 50 segg,, 106-bis d.P.R. 115/02, 24 D.M. 30.05.2002, abbia natura processuale e soggiaccia pertanto al principio secondo cui «tempus regit actum»; invece, le norme surrichiamate, concorrendo a determinare non solo le modalita' procedimentali con cui si procede al pagamento dell'ausiliario, ma anche alla determinazione del quantum da pagarsi, hanno evidente natura sostanziale, in quanto determinano (analogamente ai decreti ministeriali che stabiliscono i tariffari forensi per quel che riguarda la liquidazione degli onorari ai difensori di imputati ammessi al patrocinio a spese dello Stato) il contenuto stesso del diritto economico spettante all'ausiliario del Giudice. Cio' posto, ne emerge un delicato problema di compatibilita' con il principio di eguaglianza, in quanto ne deriva la sottoposizione a diverso trattamento economico dei periti che abbiano svolto la medesima prestazione, a seconda che, anche senza nessuna loro colpa ma per semplice difficolta' di alcuni dei giudici ad esaurire rapidamente tutte le operazioni di liquidazione, le loro istanze siano gia' state evase, o meno. Una legge retroattiva, di per se', pone poi problemi di rispetto dell'art. 3 Cost. introducendo il rischio di ingiustificate disparita' di trattamento tra consociati, sia che siano parte di un rapporto di cui mutino la natura, o l'oggetto ed il contenuto concreto, per effetto della norma retroattiva, venendo cosi alterato l'equilibrio del rapporto come concordato tra le parti (con lesione altresi' dell'art. 41 Cost. che, tutelando l'iniziativa economica privata, e' altresi' fondamento del principio dell'autonomia contrattuale, senza la quale non puo' esservi liberta' di iniziativa economica), sia che - non intervenendo su situazioni interamente esaurite (come nel caso in oggetto, in cui non sono interessati i provvedimenti di liquidazione gia' emessi) - disciplini diversamente il diritto di soggetti nella stessa situazione. La Corte Costituzionale ha gia' affrontato il tema della legittimita' costituzionale delle leggi retroattive; pur, condivisibilmente, rilevando la natura non costituzionale dell'art. 11 delle preleggi (che appunto dispone che la legge disponga solo per l'avvenire), ha comunque evidenziato dei principi di ordine costituzionale che limitano i casi in cui il Legislatore possa emettere leggi con efficacia retroattiva. In particolare, codesto Giudice delle leggi ha statuito, con la sentenza n. 0092 del 2013, la «l'illegittimita' costituzionale dell'art. 38, commi 2, 4, 6 e 10, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, - convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, nella parte in cui riconosce al custode giudiziario di autoveicoli sottoposti al fermo amministrativo, con effetto retroattivo, compensi inferiori rispetto a quelli previgenti, per violazione del principio di ragionevolezza». Osservava infatti la Corte come «la giurisprudenza di questa Corte si sia piu' volte soffermata sulla legittimita' delle norme retroattive, in genere, e di quelle destinate ad incidere sui rapporti di durata, in specie; affermando, in sintesi, che non puo' ritenersi interdetto al legislatore di emanare disposizioni modificative in senso sfavorevole, anche se l'oggetto dei rapporti di durata sia costituito da diritti soggettivi «perfetti»: cio', peraltro, alla condizione che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irragionevole, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate su disposizioni di leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto (ex multis, sentenza n. 166 del 2012). Infatti, pur se non puo' ritenersi interdetto al legislatore di emanare disposizioni modificative in senso sfavorevole, e anche se l'oggetto dei rapporti di durata sia costituito da diritti soggettivi «perfetti», nel caso di specie viene in risalto non soltanto un «generico» affidamento in un quadro normativo dal quale scaturiscano determinati diritti, ma uno «specifico» affidamento in un fascio di situazioni (giuridiche ed economiche) iscritte in un rapporto convenzionale regolato iure privatorum tra pubblica amministrazione e titolari di aziende di deposito di vetture, secondo una specifica disciplina in ossequio alla quale le parti (entrambe le parti) hanno raggiunto l'accordo e assunto le rispettive obbligazioni. Il rapporto tra depositario e amministrazione e' risultato, pertanto, in itinere, stravolto in alcuni dei suoi elementi essenziali, al di fuori, peraltro, della previsione di qualsiasi meccanismo di concertazione o di accordo e, anzi, con l'imposizione di oneri non previsti ne' prevedibili, ne' all'origine ne' in costanza del rapporto medesimo; al punto da potersi escludere che, al di la' delle reali intenzioni del legislatore, sia stato operato un effettivo e adeguato bilanciamento tra le esigenze contrapposte.». Sempre la Corte Costituzionale, con la richiamata sentenza n. 166/2012, aveva osservato il principio dell'affidamento nella sicurezza giuridica delle situazioni soggettive «trova si copertura costituzionale nell'art. 3 Cost., ma non gia' in termini assoluti e inderogabili. Da un lato, infatti, la fiducia nella permanenza nel tempo di un determinato assetto regolatorio dev'essere consolidata, dall'altro, l'intervento normativo incidente su di esso deve risultare sproporzionato. Con la conseguenza che non e' interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, unica condizione essendo che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto. Analoghi principi risultano affermati anche nella sentenza num. 0271 del 2011, in cui egualmente si rimarcava l'illegittimita' di una normativa che intervenisse retroattivamente su di una disciplina pubblicistica (nel caso, quella che disciplinava l'entita' monetaria del trattamento di buonuscita dei dipendenti della Regione Calabria in caso di risoluzione consensuale del trattamento di lavoro) su cui avessero fatto ragionevole affidamento i cittadini nel compiere loro scelte negoziali (anche di particolare rilievo, nel caso concreto). Questo giudicante osserva quindi che, dalle menzionate sentenze, possano trarsi i seguenti principi, risultanti esplicitamente o implicitamente dalle statuizioni dalla Corte Costituzionale: a) l'art. 3 della Costituzione tutela l'affidamento dei consociati in ordine alla immutabilita' del contenuto dei loro diritti sorti sotto il vigore di una previgente disciplina, essendo peraltro la sicurezza del contenuto delle situazioni giuridiche un elemento fondamentale dello Stato di diritto; b) tale immutabilita' e' peraltro relativa, potendo essa cedere di fronte alla necessita' del Legislatore di operare diversi contemperamenti degli interessi coinvolti, purche' la soluzione operata sia ragionevole anche in relazione al rango ed al grado dei principi costituzionali interessati; c) tanto vale in specie per le norme che vadano ad incidere sui rapporti di durata, in relazione ai quali, in particolare, si puo' porre la necessita' di operare un diverso contemperamento degli interessi coinvolti di fronte al mutare delle condizioni sociali e storiche e delle connesse mutevoli esigenze della convivenza; d) lo stesso e' a dirsi quanto a quelle situazioni in cui venga «in risalto non soltanto un "generico" affidamento in un quadro normativo dal quale scaturiscano determinati diritti, ma uno "specifico" affidamento in un fascio di situazioni (giuridiche ed economiche) iscritte in un rapporto convenzionale regolato iure privatorum tra pubblica amministrazione e privati. E' bene quindi osservare che la Corte non ha affermato, ed appare anzi negare, la legittimita' costituzionale di una disciplina che venga ad intervenire, in senso sfavorevole al destinatario, in relazione ad una situazione che non attenga ad un rapporto di durata, ma ad un normale rapporto in cui una parte abbia gia' adempiuto (per la maggior parte) ai propri obblighi, e sia l'altra, non ancora adempiente, che si veda beneficiaria di una norma di particolare favore che riduca l'entita' della propria obbligazione, in assenza di qualsiasi giustificazione razionale alla luce degli interessi coinvolti. Ed invero, puo' senz'altro escludersi che a fondamento della disposizione di cui all'art. 1 co. 607 della L. 147/2013 possano porsi ragioni in alcun modo connesse a necessita' di ricondurre ad equita' un rapporto eventualmente squilibrato in favore della parte gia' adempiente: e' vero, infatti, semmai il contrario, posto che il diritto economico dell'ausiliario del giudice e' determinato dal contenuto di una normativa (art. 4 della L. n. 319/80; D.M. 30.05.2002) la quale, a norma di quanto previsto dall'art. 54 del d.P.R. 115/02, avrebbe dovuto essere periodicamente (per la precisione, ogni tre anni) rivista per adeguarla al mutato costo della vita, laddove invece non e' mai stata assoggettata ad alcuna rivisitazione dal 2002 ad oggi: quindi da dodici anni, in cui il Legislatore ha omesso ben 4 rivisitazioni periodiche, le «tariffe» relative alle indennita' spettanti agli ausiliari del giudice subiscono la non indifferente erosione del loro valore legato al costante aumento dei prezzi, sicche' sarebbe un evidente controsenso economico e logico sottoporle ad un'ulteriore riduzione ope legis sul presupposto della loro «esosita'». Ne' valga osservare che la Corte abbia fatto riferimento a leggi che intervengano su rapporti di natura negoziale, perche' cio' non vale ad escludere, di per se', la pregnanza delle argomentazioni svolte nelle due citate sentenze anche con riferimento al caso in oggetto. Invero, la Corte ha inteso affermare come debba essere garantita la sicurezza dei consociati in ordine ai rapporti consolidati, e come sarebbe ingiusta e foriera di disparita' di trattamento una disciplina che intervenisse a mutare irragionevolmente i rapporti tra le parti: il che normalmente - ma non necessariamente - implica un rapporto di natura negoziale, pur potendosi facilmente determinare casi in cui, al di fuori dello schema del negozio giuridico, vengano a realizzarsi dei rapporti il cui sorgere ed articolarsi comunque poggi sull'affidamento in una determinata regolamentazione suscettibile di miglioramenti ma non di peggioramenti: il che appunto riguarda il caso dei compensi stabiliti per gli ausiliari. Ed invero, pur essendo quello dell'ausiliario del giudice un ufficio legalmente dovuto, e che quindi non puo' essere liberamente rifiutato, e' bene osservare come il conferimento di detto ufficio non prescinda totalmente dalla volonta' del nominando, posto che il giudice e' tenuto a nominare, in via ordinaria, i propri periti o ausiliari scegliendo nell'ambito dei soggetti che - su propria domanda - siano iscritti negli appositi albi tenuti presso ogni Tribunale (cfr. artt. 221 cpp e 67 segg. disp. att. cpp); ed il singolo professionista, deve ritenersi, si determinera' o meno alla presentazione della domanda di iscrizione nell'albo, anche in ragione delle sue valutazioni sulla convenienza economica o meno dell'assunzione dell'ufficio di ausiliario: convenienza che discende dalla normativa esistente, e di cui e' previsto tra l'altro l'adeguamento periodico agli incrementi del costo della vita. Di fatto, pertanto, pur non instaurandosi un rapporto di natura negoziale tra ausiliario del Giudice e Stato, non puo' negarsi che al conferimento dell'incarico peritale ad un determinato soggetto concorre la manifestazione originaria di volonta' da questi operata alla disponibilita' all'incarico, manifestata con l'iscrizione nell'albo dei periti; questa volonta' e' orientata dall'affidamento in un determinato sistema normativo; un mutamento in peius di detto sistema non puo' non assumere rilevanza, specie qualora esso venga ad applicarsi, addirittura, ad un rapporto gia' per la maggior parte compiutosi e di cui e' in sospeso, in pratica (stante la usuale marginalita' - dal punto di vista dell'impegno professionale e dell'esame dibattimentale del perito), solo l'adempimento degli obblighi di una delle parti (quella stessa parte - e cio' non puo' non assumere rilievo, amplificando la misura della disparita' di trattamento - che modifica le norme a suo favore). Deve pertanto essere qui sollevata la questione della illegittimita' costituzionale della norma di cui all'art. l co. 607 della L. 147/2013, che e' rilevante trattandosi di norma che questo Giudice e' chiamato ad applicare al fine di operare la presente liquidazione, atteso anche che, come di seguito si osservera', l'applicazione retroattiva dell'art. 106-bis d.P.R. 115/02 non appare essere giustificabile in relazione alla natura pubblicistica dell'incarico ed alla sua obbligatorieta'. B.2 I limiti costituzionali alla pretensibilita' di prestazioni patrimoniali o personali ai sensi degli artt. 2 e 23 Cost. Invero, occorre in primo luogo ricordare che l'interprete ed il perito hanno l'obbligo giuridico (artt. 143 co. 4 e 221 co. 3 cpp), sotto pena di legge in caso di rifiuto (art. 366 c.p.) di prestare la propria opera, che ha - da un punto di vista oggettivo ed ontologico - indubbiamente natura lavorativa, in quanto comporta l'esplicazione di energie intellettuali e/o fisiche esattamente corrispondenti a quelle oggetto delle attivita' di specifiche figure professionali normalmente operanti nel mercato del lavoro; il perito peraltro puo' rinunziare all'incarico solo per giustificato motivo, laddove in tale concetto senz'altro non puo' farsi rientrare in via generale l'inadeguatezza o non convenienza dell'indennita' prevista dalla legge, atteso che questa e' fissata con norma generale e fonderebbe quindi per ogni perito un motivo atto a giustificare il rifiuto o la rinunzia all'ufficio: il che e' contraddittorio con la natura dell'istituto, con l'obbligatorieta' dell'ufficio, e con la evidente natura straordinaria dei casi in cui all'ufficio si possa rinunziare. Gli artt. 143 e 221 cpp prevedono pertanto ipotesi in cui il giudice impone a determinati soggetto l'obbligo di eseguire una prestazione lavorativa, al di fuori di un rapporto contrattuale, con controprestazione predeterminata normativamente in misura sostanzialmente indennitaria, poiche' ex art. 50 d.P.R. 115/02 le tariffe professionali, cui pure occorre far riferimento, devono essere contemperate con la natura pubblicistica dell'incarico. La fonte della legittimita' costituzionale di tale disciplina appare riposare nell'art. 23 Cost. che ammette che la legge possa imporre una prestazione personale, oltre che patrimoniale; e nell'art. 2 Cost., che chiama i cittadini all'adempimento dei doveri di solidarieta' sociale, nel cui ambito possono senz'altro farsi rientrare le ipotesi di occasionale in forza di un obbligo scaturente dalla legge. Sebbene non espressamente previsto dalla due norme teste' citate, deve ritenersi che nell'impianto costituzionale sia comunque insito un limite di ragionevolezza alle prestazioni che possono richiedersi. Lo si evince dal rispetto che la carta Costituzionale assegna e riconosce alla persona umana ed ai suoi diritti inviolabili, tra i quali senz'altro rientra - aspetto generale dei diritti di liberta' personale - quello di scegliere come disporre del proprio tempo ed il diritto a non essere assoggettati, neppure ad opera dello Stato, a forme di sfruttamento della propria opera lavorativa (cfr. proprio l'art. 2 Cost.; ma anche l'art. 36 Cost. nella parte in cui riconoscendo il diritto alle ferie retribuite ed ad un orario massimo di lavoro, tutela anche il diritto al tempo libero); lo si evince dalla principale norma in tema di prestazioni patrimoniali, l'art. 53 Cost., che commisura i doveri fiscali alla capacita' contributiva; lo si evince dalla tutela accordata alla proprieta' privata, espropriabile - giusta la previsione di cui all'art. 42 co. 3 Cost. - solo per ragioni di pubblico interesse e dietro indennizzo: indennizzo che, nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, deve avere le caratteristiche di un serio ristoro della perdita patrimoniale subita, e non un carattere irrisorio o simbolico (cfr., ad es., la sentenza n. 38/2011 della Corte Costituzionale). Invero, gli artt. 2 e 23 Cost., pur legittimando i casi in cui al cittadino la legge richieda l'adempimento di doveri di solidarieta', e finanche la corresponsione di prestazioni di natura personale, vivono pur sempre nel contesto di altri principi costituzionali coi quali vanno coordinati, ed in primis gli artt. 35, 36 e 3 Cost., che impongono dei limiti al sacrificio che la legge ordinaria possa imporre al cittadino: limiti che sono sia di ragionevolezza - per evitare marcate situazioni di disparita' di trattamento con altri cittadini lavoratori chiamati a rendere prestazioni analoghe - che di entita' economica, per evitare che una prestazione lavorativa sia retribuita in maniera tale da mortificare la sua natura di riconoscimento del valore della prestazione lavorativa e di strumento di dignitoso sostentamento dell'individuo e della sua famiglia. Tanto premesso, va invece rilevato che la vigente disciplina del trattamento economico degli ausiliari del giudice vede periti ed interpreti, in relazione ad un ufficio al quale sono chiamati in adempimento di doveri sociali ed al quale non possono sottrarsi se non per giustificato motivo (e senz'altro non per ragioni legate esclusivamente alla scarsa remunerazione dell'incarico), ricevere emolumenti che, per effetto della decurtazione di 1/3 operata dall'art. 106-bis d.P.R. 115/02, per di piu' applicabile retroattivamente ex art. l co. 607 L. 147/2013, in un contesto in cui da dodici anni l'Esecutivo omette gli adeguamenti periodici imposti dalla legge, appaiono essere assolutamente inidonei a garantire il rispetto del principio di ragionevolezza che deve mitigare l'onere ad essi imposto e inadatti a fungere da serio ristoro rispetto all'impegno loro richiesto ed alla vera e propria espropriazione delle loro energie lavorative e del loro tempo. B.3 Contrasto con gli artt. 3 e 36 Cost. Alla stregua delle riflessioni appena svolte, e considerandosi quindi lo squilibrio che la decurtazione operata dall'art. 106-bis d.P.R. 115/02 produce tra ragioni della collettivita' a potersi avvalere, nell'amministrazione della giustizia, dell'opera occasionale di specialisti per l'accertamento dei fatti, e le ragioni del singolo a non vedersi caricato di oneri irragionevoli, non appare manifestamente infondata neanche la questione della legittimita' costituzionale dello stesso art. 106-bis d.P.R. 115/02 in se' - e cioe', a prescindere da ogni questione in ordine ad una sua applicazione retroattiva - per contrasto con l'art. 36 Cost. - in quanto viene a garantire ai periti ed agli ausiliari del Giudice un compenso irragionevolmente inferiore rispetto a quello che sarebbe loro spettato a parita' di condizioni rispetto ad una prestazione remunerata sul mercato privato. Inoltre, intervenendo la decurtazione di cui all'art. 106-bis d.P.R. 115/02 su di un sistema che, per contro, avrebbe dovuto essere adeguato «al rialzo» per tener conto delle variazioni del potere di acquisto, non solo ne appare rafforzata l'irragionevolezza del sistema - e quindi la violazione dell'art. 3 Cost. - ma appare porsi anche un problema di violazione dell'art. 36 Cost. Ed invero, ai sensi dell'art. 36 della Costituzione, alla prestazione di ogni attivita' lavorativa deve corrispondere la controprestazione di una retribuzione: a) proporzionata alla qualita' e quantita' del suo lavoro; b) sufficiente ad assicurare a se' ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Le riflessioni sinora svolta evidenziano come tali condizioni possano non essere soddisfatte dalla vigente normativa, configgente con la necessita' - gia' valutata e ritenuta dal Legislatore ex art. 54 d.P.R. 115/02 - che la remunerazione prevista per periti venisse periodicamente aggiornata per tutelarla dagli effetti dell'inflazione, nella consapevolezza che, altrimenti, il loro trattamento economico sarebbe divenuto inadeguato. Valgano le ulteriori riflessioni che seguono. B.3.a. La precedente giurisprudenza della Corte. Questo Tribunale non ignora che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 41 del 1996, richiamando quanto gia' affermato con la sentenza n. 88 del 1970, ha gia' affrontato - negandone la fondatezza - la questione della compatibilita' dell'art. 4 della L. 319/80 (che disciplina sistema della remunerazione a vacazioni, unita' biorarie di misura della prestazione peritale) con l'art. 36 Cost., negando che tale ultima norma potesse assurgere a parametro di riferimento della legittimita' costituzionale delle norme disciplinanti la remunerazione spettante agli ausiliari del giudice. In detta occasione la Corte ebbe ad affermare di aver «gia' avuto occasione (sentenza n. 88 del 1970) di osservare che l'art. 36 della Costituzione «e' male addotto, innanzitutto perche' il lavoro svolto dai consulenti tecnici d'ufficio non si presta a rientrare in uno schema che involga un necessario e logico confronto tra prestazioni e retribuzione e quindi un qualsiasi giudizio sull'adeguatezza e sufficienza di quest'ultima. Ed in secondo luogo, perche' non c'e' modo di valutare in che misura quel lavoro giochi nella complessiva attivita' di coloro che in concreto lo svolgono e come i compensi per le relative operazioni (a parte l'impossibilita' o difficolta' di coglierne la totale entita') concorrano alla formazione dell'intero reddito professionale del singolo prestatore». Nella richiamata decisione la Corte concludeva affermando che: «La situazione in cui si trovano i consulenti d'ufficio, e che non e' dissimile da quella delle categorie dei periti, degli interpreti e dei traduttori, potrebbe anche apparire tale da suggerire iniziative o modifiche sul terreno legislativo nel rispetto delle esigenze di carattere pubblico e privato concorrenti nello svolgimento del processo civile. Ma essa non conduce, a proposito delle norme che la comportano, ad alcuna violazione dell'art. 36, comma primo». 7. Puo' solo aggiungersi che il riferimento fatto dall'art. 2 della legge n. 319 del 1980 alle tariffe professionali non puo' qualificarsi come rinvio recettizio, ma rappresenta solo l'indicazione di un possibile, non tassativo, parametro di liquidazione, limitatamente comunque agli onorari fissi e variabili e sempre con il contemperamento dovuto alla «natura pubblicistica dell'incarico». Conclusivamente, questa Corte non puo' non rinnovare l'auspicio che - in attesa di norme migliori - le autorita' indicate dalla legge impugnata provvedano a rispettare le scadenze triennali di adeguamento dei compensi dovuti in base alle variazioni accertate dall'ISTAT.» B.3.b Novita' normative e sociali - Le ragioni di una necessaria rimeditazione della questione. Ritiene tuttavia, il tribunale che, a distanza di quasi venti anni dall'ultima di tali pronunzie (ed a piu' di 40 dalla prima), possa e debba accedersi ad una rimeditazione della costituzionalita' della normativa citata, sia alla luce dell'art. 36 Cost., sia alla luce dell'art. 3 Cost., che qui si evoca sotto profili anche diversi da quelli considerati nella predette sentenze della Corte (che riguardavano principalmente il raffronto tra onorari a vacazione e onorari tabellari), essendo nel frattempo mutate alcune delle norme di riferimento, entrato in vigore ed a pieno regime il nuovo codice di procedura penale che - esaltando la fase dibattimentale - amplifica il numero dei casi in cui occorre ricorrere ad ausiliari come periti ed interpreti (e quindi anche l'impegno richiesto a questi ultimi), e per contro perdurando la ingiustificata omissione dei provvedimenti di adeguamento del corrispettivo delle vacazioni ai meccanismi inflattivi; devono inoltre considerati altresi' taluni spunti di riflessione rinvenibili anche nella stessa giurisprudenza della stessa Corte Costituzionale, sia possibile e doverosa. Come si e' osservato, la Corte ha gia' affrontato, negandolo, il tema della riconducibilita' dell'attivita' prestata dal perito all'art. 36 Cost.; ma lo ha fatto con due sentenze molto datate, l'una del 1970, l'altra del 1996, e quindi risalenti non solo ad una diversa epoca di evoluzione del pensiero giuridico, ma anche ad una diversa realta' sociale e processuale, atteso che nel 1970 vigeva ancora il vecchio codice di procedura penale, e nel 1996 questo non aveva ancora dieci anni di vita. Invero, nel vigore del previgente codice di procedura penale e nei primi anni di applicazione di quello attualmente vigente; e nel contesto di fenomeni migratori piu' modesti di quelli attuali, l'essere chiamati ad assolvere ad un pubblico ufficio peritale o di interprete/traduttore era un'evenienza del tutto isolata ed occasionale, e pertanto inidonea a tradursi in pesi gravosi a carico di una cerchia determinata di soggetti; l'assoluta sporadicita' della necessita' di conferire l'incarico di ausiliario del giudice, permetteva che, ove distribuito su di un numero adeguato di soggetti, esso non assumesse carattere di gravosita'. Profondamente mutata e', invece, la situazione attuale, in cui la necessita' di nominare ausiliari quali periti o interpreti ha oggi invece assunto (e tanto piu' assumera', per i compiti di interpretariato e traduzione, alla stregua degli obblighi di traduzione imposti dal d.lvo n. 32/2014) una notevolissima frequenza statistica, che comporta che numerosi soggetti, a causa delle loro specifiche competenze professionali, siano frequentemente distolti dalle (ed impediti alle) loro ordinarie occupazioni lavorative venendo chiamati ad assolvere l'ufficio di perito. Il fenomeno ha dimensioni tali che non e' affatto raro che alcuni di tali soggetti si siano specificamente attrezzati, acquistando macchinari anche sofisticati, per far fronte alle richieste della macchina giudiziaria (si pensi agli psichiatri e psicologi chiamati a verificare la capacita' dell'imputato di partecipare coscientemente al processo, adempimento non previsto dal previgente codice di rito e la cui frequenza statistica, invece, va aumentando con l'accrescersi della sensibilita' giudiziaria alle ipotesi in cui patologie anche minori possano - senza escludere la capacita' di intendere e di volere - incidere sensibilmente sulla possibilita' per l'imputato di esporre una propria linea difensiva, spiegare i fatti, le ragioni della propria condotta, le convinzioni che la ressero; si pensi ai periti fonici, chiamati a verificare la paternita' di una voce carpita in un'intercettazione; si pensi ai soggetti chiamati a trascrivere intercettazioni in lingua straniera, specie nella fase delle indagini, in cui le necessita' di riservatezza connotano di un intuibile rapporto fiduciario la scelta del c.t., che tendera' a ricadere su di un numero limitato di soggetti; si pensi, ancora, al periti grafologi chiamati a verificare nel dettaglio le caratteristiche di una grafia, il tipo di inchiostro utilizzato, l'epoca ed il tipo della carta sui cui e' vergato un testo; ecc.). La diffusione dei casi in cui l'A.G. abbia necessita' di ricorrere all'opera di ausiliari, ed in particolare di periti, e' infatti divenuta particolarmente considerevole parallelamente all'evolvere della tecnologia e delle scienze (che aumenta i casi in cui possa o debba farsi ricorso a valutazioni scientifiche o tecniche nella acquisizione e valutazione della prova) e dei fenomeni sociali legati all'accentuazione dei movimenti transazionali dl merci e persone (che, ad es., comporta un crescente bisogno di ricorrere ad interpreti e traduttori), nonche' alla stesse caratteristiche del nuovo codice di procedura penale che, accentrando nel dibattimento la formazione della prova, comporta frequentemente la necessita' di reiterare in contraddittorio tra le parti - cui spetta anche la facolta' di nominare cc.tt. ex art. 225 cpp, facolta' che, ai sensi dell'art. 233 cpp, possono esercitare anche fuori dei casi di perizia - quegli accertamenti tecnici che, col vecchio rito, erano spessi limitati alla sola fase di indagine, e che, per il regime di incompatibilita' previsto dagli artt. 144 co. 1 lett. d) e 222 lett. d) ed e) cpp, non possono, nel giudizio, essere affidati agli stessi soggetti che gia' li abbiano eseguiti nella fase delle indagini. Si sono cosi' moltiplicati enormemente sia i casi in cui e' necessario ricorrere all'opera di un esperto, sia - anche per effetto del descritto meccanismo delle incompatibilita' - il numero degli esperti cui e' necessario ricorrere nell'ambito dello stesso processo; conseguentemente, il numero di uffici legalmente dovuti - che si riversa e concentra sulla platea dei soggetti iscritti negli appositi albi cui e' possibile rivolgersi ex art. 221 cpp - e' enormemente aumentato, al punto che molti di loro ne traggono notevoli limitazioni alle possibilita' di esercizio di una normale attivita' lavorativa, e conseguentemente la prestazione di attivita' specialistiche per conto dell'A.G. ha spesso assunto le caratteristiche di un'attivita' stabile o comunque di notevole rilevanza nell'ambito della propria attivita' lavorativa (evoluzione favorita anche dal concentrarsi di taluni incarichi su di una cerchia ristretta di soggetti, a causa del carattere fiduciario che, specie in materia penale, detti incarichi talora assumono in relazione alla loro delicatezza; si pensi ad es. alle ragioni di riservatezza ed affidabilita' inerenti ai compiti di traduzione in italiano di intercettazioni in corso di conversazioni in lingua straniera proprie di comunita' piccole e coese ed in cui una eventuale fuga di notizie avrebbe effetti di immediata compromissione delle indagini). Appaiono quindi superati, dall'evoluzione storica e processuale, gli argomenti spesi dalla Corte Costituzionale con le citate sentenze nn. 88 del 1970 e n. 412/1996, allorche' affermava che «il lavoro svolto dai consulenti tecnici d'ufficio non si presta a rientrare in uno schema che involga un necessario e logico confronto tra prestazioni e retribuzione e quindi un qualsiasi giudizio sull'adeguatezza e sufficienza di quest'ultima. Ed in secondo luogo, perche' non c'e' modo di valutare in che misura quel lavoro giochi nella complessiva attivita' di coloro che in concreto lo svolgono e come i compensi per le relative operazioni (a parte l'impossibilita' o difficolta' di coglierne la totale entita') concorrano alla formazione dell'intero reddito professionale del singolo prestatore: cio' che oggi accade e' infatti che la quantita' di impegno continuamente richiesto agli iscritti negli albi dei periti e traduttori e' tale da assumere le specifiche caratteristiche di un'attivita' lavorativa se non prevalente, comunque tale da incidere notevolmente sulla loro possibilita' di dedicarsi in maniera proficua e redditizia - in maniera tale da garantire loro il diritto ad un'esistenza dignitosa ai sensi dell'art. 36 della Costituzione - ad altre attivita'. A tali soggetti, pertanto, appare necessario che le indennita' previste per gli ausiliari del giudice assumano un valore economico adeguato ai fini di cui all'art. 36 Cost.: ed in cio' appare risiedere la ragione del riferimento, operato dall'art. 50 co. 2 d.P.R. 115/02, alle tariffe professionali, e la previsione - ex art. 50 co. 4 del medesimo d.P.R. - di adeguamenti periodici in relazione all'andamento del tasso di inflazione. Ma questa ragione e' illogicamente contraddetta dal menzionato art. 106-bis d.P.R. 115/02. A conferma della natura tutt'altro che peregrina del richiamo agli artt. 35 e 36 Cost. come norme poste a tutela dell'opera del perito e della sua retribuzione, deve poi richiamarsi l'ordinanza n. 306/2012 della Corte Costituzionale che, pur dichiarando manifestamente infondata la questione relativa alla incostituzionalita' dell'art. 71 d.P.R. 115/02 (norma che prevede il brevissimo termine di decadenza di 100 giorni per la presentazione della richiesta di liquidazione da parte del perito), nel ricordare che «questa corte ha piu' volte ribadito la ampia discrezionalita' di cui gode il legislatore nel fissare termini temporali per l'esercizio dei diritti, anche laddove essi siano, come nel caso del diritto alla retribuzione per il lavoro prestato, sorretti da garanzia costituzionale (sentenza n. 192 del 2005), col solo limite che siffatto termine venga determinato in modo tale da non rendere effettivo (ordinanza n. 166 del 2006) o comunque oltremodo difficoltoso (ordinanza n. 382 del 2005) l'esercizio del diritto cui esso si riferisce», ha significativamente evocato un collegamento assimilativo tra prestazione peritale e prestazione lavorativa. B.4 Contrasto con l'art. 53 Cost. Il Legislatore, con gli artt. 106-bis d.P.R. 115/02, e 1 co. 607 della L. 147/2013 che ne impone l'applicazione retroattiva, col dichiarato scopo di operare risparmi di bilancio, ne scarica l'onere sulle categorie chiamate a svolgere l'ufficio di ausiliario del giudice, invece di ricorrere alla leva fiscale, nonostante le finalita' latu senso tributarie, perche' mirate all'equilibrio di bilancio, chiaramente perseguite dalle norme in oggetto: di talche', la disposizione di cui all'art. 106-bis d.P.R. 115/02 (tanto piu' nella sua applicazione retroattiva) appare porsi in contrasto anche con l'art. 53 Cost., in quanto mirato a perseguire finalita' di bilancio scaricandone, almeno in parte, il costo solo su alcune categorie di lavoratori e senza alcun riguardo alla loro concreta capacita' contributiva. Poiche' per decidere l'entita' dell'onorario da riconoscersi al perito istante questa A.G. e' tenuta ad applicare il menzionato art. 106-bis d.P.R. 115/02, come introdotto dall'art. 1 co. 606 della L. 147/2013, che nella sua cogente letteralita' non appare suscettibile di interpretazione costituzionalmente orientata, la questione di costituzionalita' che si va a proporre appare assolutamente rilevante ai fini della decisione, e deve pertanto necessariamente essere sollevata.
P.Q.M. Visti gli artt. 1 L. cost. n. 1/48, e 23 della L. n. 87/53; Ritenuta d'ufficio rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita': per contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, dell'art. l co. 607 della L. n. 147/2013, nella parte in cui prevede che l'art. 106-bis d.P.R. 115/02, introdotto dall'art. 1 co. 606 della stessa legge, si applichi a tutte le liquidazioni, ancora da operarsi ad opera del giudice, anche se relative ad operazioni peritali e prestazioni dell'ausiliario gia' interamente o per la maggior parte compiute prima dell'entrata in vigore dell'art. 106-bis del d.P.R. 115/02; per contrasto con gli artt. 3 e 36 Cost., dell'art. 106-bis d.P.R. 115/02, nella parte in cui la sua operativita' non e' subordinata all'effettivo adeguamento periodico delle tabelle relative ai compensi spettatati agli ausiliari del giudice, previsto dall'art. 54 del d.P.R. 115/02. Ordina la notificazione della presente ordinanza al P.M., all'imputato ed al suo difensore e al Presidente del Consiglio dei Ministri, e la sua comunicazione ai Presidenti dei due rami del Parlamento; Ordina la successiva trasmissione della presente ordinanza e degli atti del procedimento alla Corte Costituzionale; Sospende il procedimento di liquidazione del compenso al perito. Lecce, addi' 16 giugno 2014 Il giudice: dott. Stefano Sernia