N. 10 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 16 gennaio 2015

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 16 gennaio 2015 (della Regione Veneto). 
 
Edilizia e urbanistica -  Misure  per  il  rilancio  dell'edilizia  -
  Modifiche al T.U. in materia di edilizia (d.P.R. n. 380 del 2001) -
  Contributo per il rilascio del permesso di  costruire  -  Incidenza
  degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria  -  Criteri  di
  valutazione - Introduzione del criterio del maggior valore generato
  da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga
  o con cambio di destinazione d'uso - Ricorso della Regione Veneto -
  Denunciata previsione di un  contributo  straordinario  determinato
  autoritativamente -  Omessa  individuazione  della  percentuale  di
  ripartizione del maggior valore tra l'amministrazione comunale e il
  privato - Contrasto con  la  competenza  concorrente  regionale  in
  materia di governo del territorio e urbanistica  -  Violazione  del
  principio di ragionevolezza e del principio della riserva di legge. 
- Decreto-legge  12  settembre  2014,   n.   133,   convertito,   con
  modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 11 novembre  2014,
  n. 164, art. 17, comma 1, lett. g). 
- Costituzione, artt. 3, 23, 117, commi terzo e quarto,  118,  119  e
  120. 
Ambiente - Misure urgenti per la realizzazione su scala nazionale  di
  un sistema adeguato e integrato di gestione dei  rifiuti  urbani  e
  per  conseguire  gli  obiettivi  di  raccolta  differenziata  e  di
  riciclaggio. Misure urgenti per la gestione e per la tracciabilita'
  dei rifiuti nonche' per il  recupero  dei  beni  in  polietilene  -
  Disposizioni finalizzate alla realizzazione di una  rete  nazionale
  di impianti di incenerimento - Individuazione  con  D.P.C.M.  degli
  impianti  esistenti  e  di  quelli  di  incenerimento  a   recupero
  energetico da realizzare - Recupero  della  frazione  organica  dei
  rifiuti  urbani  (FORSU)  raccolta  in  maniera   differenziata   -
  Previsione che tutti gli impianti sono  autorizzati  a  saturazione
  del  carico  termico  in  caso  di   valutazione   positiva   della
  compatibilita' ambientale dell'impianto - Previsione che tutti  gli
  impianti   dovranno   essere    realizzati    conformemente    alla
  classificazione di impianti di recupero energetico di cui al  punto
  R1 allegato C alla parte quarta del Codice dell'ambiente - Verifica
  della sussistenza dei requisiti per la loro qualifica  di  impianti
  di recupero energetico R1 - Dimezzamento o riduzione  a  un  quarto
  (in caso di procedure in  corso)  dei  termini  per  l'espletamento
  delle procedure  di  espropriazione  per  pubblica  utilita'  degli
  impianti di recupero da realizzare - Previsione della perentorieta'
  dei termini per VIA e AIA - Applicazione del potere sostitutivo  in
  caso di mancato rispetto dei termini per la verifica degli impianti
  e l'adeguamento delle autorizzazioni e  per  l'accelerazione  delle
  procedure autorizzative - Ricorso della Regione Veneto - Denunciata
  introduzione di norme di favore alla prospettiva dell'incenerimento
  a discapito  dell'economia  del  riciclo,  della  ricerca  e  della
  prevenzione dei rifiuti richiesta  dalle  direttive  comunitarie  -
  Lamentata previsione di nuovi oneri a carico del sistema  regionale
  anche in forza dell'incidenza dell'intervento governativo sui fondi
  gia' stanziati dalla  Regione  per  la  predisposizione  dei  Piani
  regionali di  gestione  dei  rifiuti  -  Mancata  previsione  della
  clausola di  salvezza  delle  competenze  regionali  nonostante  le
  implicazioni della nuova disciplina con la materia della produzione
  dell'energia -  Sovrapposizione  con  le  competenze  regionali  in
  materia di tutela della  salute,  di  governo  del  territorio,  di
  valorizzazioni dei beni ambientali e di turismo  -  Violazione  del
  principio   di   leale   collaborazione   -   Mancata    previsione
  dell'autorizzazione ambientale strategica (VAS) in contrasto con la
  direttiva 2001/42/CE - Inosservanza degli obblighi internazionali -
  Violazione del principio di legittimo affidamento che ridonda nella
  violazione delle competenze regionali in  materia  di  governo  del
  territorio. 
- Decreto-legge  12  settembre  2014,   n.   133,   convertito,   con
  modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 11 novembre  2014,
  n. 164, art. 35, commi 1, 2, 3, 4, 5, 8 e 9. 
- Costituzione, artt. 3, 11 e 117, primo  comma,  in  relazione  alla
  direttiva CE 2001/42/CE del 27 giugno 2001, nonche' commi  terzo  e
  quarto, 118, 119 e 120. 
Energia - Misure per  la  valorizzazione  delle  risorse  energetiche
  nazionali - Qualificazione delle attivita' di prospezione,  ricerca
  e coltivazione di idrocarburi e di stoccaggio  sotterraneo  di  gas
  naturale  come  attivita'  di  interesse  strategico,  di  pubblica
  utilita', urgenti e indifferibili - Attribuzione al Ministero dello
  sviluppo economico della predisposizione di un piano delle aree  in
  cui sono consentite le attivita' sopradette -  Trasferimento  dalle
  Regioni al Ministero dell'ambiente della competenza al rilascio del
  provvedimento  di  VIA  relativamente  ai  progetti   relativi   ad
  attivita' di prospezione, ricerca  e  coltivazione  di  idrocarburi
  sulla terraferma  -  Disciplina  transitoria  degli  effetti  dello
  spostamento di competenze  -  Disciplina  per  il  conferimento  di
  titoli minerari - Introduzione di un  titolo  concessorio  unico  -
  Applicazione delle nuove norme  sul  titolo  concessorio  anche  ai
  titoli rilasciati successivamente alla data di  entrata  in  vigore
  del codice ambientale  e  ai  procedimenti  in  corso  -  Modifiche
  normative concernenti i progetti sperimentali  di  coltivazione  di
  giacimenti di idrocarburi in mare in ambiti  posti  in  prossimita'
  delle  aree  di  altri  Paesi  rivieraschi  oggetto  di  ricerca  e
  coltivazione di  idrocarburi  -  Ricorso  della  Regione  Veneto  -
  Denunciata attrazione nella competenza statale, in  assenza  di  un
  adeguato  elemento  di  leale   collaborazione,   delle   attivita'
  sopradette - Violazione delle competenze regionali  in  materia  di
  produzione di energia, tutela della salute, governo del territorio,
  protezione civile, valorizzazione dei beni culturali e ambientali -
  Mancata   previsione   dell'assoggettamento    ad    autorizzazione
  ambientale  strategica  (VAS)   in   violazione   della   direttiva
  2001/42/CE  -  Inosservanza   degli   obblighi   internazionali   -
  Violazione  del  principio   di   ragionevolezza   -   Difetto   di
  proporzionalita'  -  Denunciata   irragionevole   esposizione   del
  territorio regionale a  gravi  rischi  in  relazione  ad  attivita'
  dapprima interdette per motivi ambientali, di tutela della salute e
  di protezione civile - Contrasto con il  principio  di  precauzione
  fissato  dal  Trattato  sul  Funzionamento  dell'Unione  europea  -
  Lesione all'integrita' del demanio regionale. 
- Decreto-legge  12  settembre  2014,   n.   133,   convertito,   con
  modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 11 novembre  2014,
  n. 164, art. 38, commi 1, 1-bis, 2, 3, 4, 5, 6, 8 e 10. 
- Costituzione, artt.  3,  9,  11,  32,  97,  117,  primo  comma,  in
  relazione alla direttiva CE 2001/42/CE del 27 giugno 2001,  nonche'
  commi terzo e quarto, 118, 119 e 120. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Misure urgenti per l'apertura  dei
  cantieri,   la   realizzazione   delle    opere    pubbliche,    la
  digitalizzazione  del  Paese,   la   semplificazione   burocratica,
  l'emergenza del dissesto  idrogeologico  e  per  la  ripresa  delle
  attivita' produttive - Disposizioni in  materia  di  finanza  delle
  Regioni - Contributo alla finanza pubblica delle Regioni a  statuto
  ordinario di cui all'art. 46, commi 6 e 7, del decreto-legge n.  66
  del 2014 (gia' impugnato dalla Regione Veneto con ric. n. 63/14)  -
  Anticipazione dal 31 ottobre 2014 al 31 settembre 2014 del  termine
  previsto  per  l'intesa  sul  riparto  dei  tagli   in   Conferenza
  Stato-Regioni  -  Ricorso  della  Regione   Veneto   -   Denunciata
  irragionevolezza - Contrasto con  un  corretto  e  leale  esercizio
  della funzione di coordinamento della finanza pubblica - Violazione
  del principio di leale collaborazione. 
- Decreto-legge  12  settembre  2014,   n.   133,   convertito,   con
  modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 11 novembre  2014,
  n. 164, art. 42, comma 1. 
- Costituzione, artt. 3, 77, 117, comma terzo, 119 e 120. 
(GU n.8 del 25-2-2015 )
    Proposto dalla  regione  Veneto  (codice  fiscale  80007580279  -
partita IVA 02392630279), in  persona  del  presidente  della  giunta
regionale  dott.  Luca  Zaia   (codice   fiscale   ZAILCU68C27C957O),
autorizzato con delibera  della  giunta  regionale  n.  2470  del  23
dicembre 2014 (allegato 1), rappresentato e  difeso,  per  mandato  a
margine del presente atto, tanto  unitamente  quanto  disgiuntamente,
dagli  avvocati  Ezio   Zanon   (codice   fiscale   ZNNZEI57L07B563K)
coordinatore dell'avvocatura regionale, prof. Luca  Antonini  (codice
fiscale NTNLCU63E27D869I) del foro di Milano e  Luigi  Manzi  (codice
fiscale MNZLGU34E15H501V) del foro  di  Roma,  con  domicilio  eletto
presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via Confalonieri n. 5  (per
eventuali   comunicazioni:   fax   06/3211370,   posta    elettronica
certificata luigimanzi@ordineavvocatiroma.org. 
    Contro il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  pro-tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  presso
la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12 per
la dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  delle  seguenti
disposizioni del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133,  intitolato
«Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la  realizzazione  delle
opere pubbliche, la digitalizzazione del  Paese,  la  semplificazione
burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la  ripresa
delle attivita' produttive» come convertito, con modificazioni, dalla
legge 11 novembre 2014, n.  164  (in  supplemento  ordinario  n.  85,
relativo alla Gazzetta Ufficiale 11 novembre 2014, n. 262): 
    art. 17, comma 1, lettera G, per violazione degli articoli 3, 23,
117, commi 3 e 4, 118, 119, 120 della Costituzione; 
    art. 35, commi 1, 2, 3,  4,  5,  8  e  9,  per  violazione  degli
articoli 3,  11,  117,  commi  1,  3  e  4,  118,  119  e  120  della
Costituzione; 
    art. 38, commi 1, 1-bis, 2, 3, 4, 5, 6, 8 e  10,  per  violazione
degli articoli 3, 9, 11, 32, 97, 117, I, III e IV  comma,  118,  119,
120 della Costituzione; 
    art. 42, comma 1, per violazione degli articoli 3, 77,  117,  III
comma, 119, Costituzione e il principio di  leale  collaborazione  di
cui all'art. 120 Costituzione. 
 
                               Motivi 
 
1) Illegittimita' costituzionale art. 17, comma  1,  lettera  G,  per
violazione degli articoli 3, 23, 117, commi 3  e  4,  118,  119,  120
della Costituzione. 
    L'art. 17 (Semplificazioni ed altre misure in materia  edilizia),
nell'apportare numerose modifiche al testo  unico  edilizia  (decreto
del Presidente della Repubblica n. 380/2001), al comma 1, lettera g),
contiene una serie di disposizioni che incidono sul contributo per il
rilascio del permesso di costruire. In  particolare  al  n.  3  della
lettera  g)  viene  introdotto  (nuova  lettera  d-ter  del  comma  4
dell'art. 16 del testo unico edilizia) un criterio di valutazione del
maggior valore generato da interventi su aree o immobili in  variante
urbanistica, in deroga o con  cambio  di  destinazione  d'uso.  Viene
altresi'   stabilito   che    tale    maggior    valore,    calcolato
dall'amministrazione  comunale,  venga  suddiviso   in   misura   non
inferiore al 50% tra il comune e  la  parte  privata  ed  erogato  da
quest'ultima,  al   comune   stesso   sotto   forma   di   contributo
straordinario,  che  attesta  l'interesse  pubblico,  in   versamento
finanziario,  vincolato  a  specifico  centro   di   costo   per   la
realizzazione  di  opere  pubbliche  e  servizi  da  realizzarsi  nel
contesto in cui ricade l'intervento, cessione di aree o  immobili  da
destinare a  servizi  di  pubblica  utilita',  edilizia  residenziale
sociale o opere pubbliche.  Con  riferimento  a  tale  disciplina  di
calcolo del maggior valore, il nuovo comma  4-bis  dell'art.  16  del
testo unico edilizia (decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
380/2001) - che viene introdotto dal numero 3-bis) della lettera g) -
fa salve le diverse disposizioni delle legislazioni regionali e degli
strumenti  urbanistici  generali  comunali.  La  salvezza   di   tali
disposizioni  viene  ribadita  dal  numero  4)   della   lettera   g)
dell'articolo che qui si censura, anche con riferimento all'utilizzo,
da  parte  dei  comuni,  dei  citati  criteri  nel  caso  di  mancata
definizione delle tabelle parametriche da parte della regione. 
    Il suddetto intervento  normativo  mira,  in  questi  termini,  a
disciplinare   la   cd.   perequazione    inerente    all'urbanistica
contrattata, ovvero quella forma di perequazione che e' diretta  alla
riappropriazione di quota  parte  del  valore  che  l'amministrazione
determina con le decisioni in materia urbanistica. Tale  quota  viene
ritenuta vuoi una sorta di prelievo fiscale  addizionale  diretto  al
parziale recupero del plusvalore fondiario, vuoi un contributo per il
miglioramento delle citta' in corrispettivo dell'attribuzione di  una
maggiore edificabilita' o di un mutamento di destinazione urbanistica
piu'  favorevole  (un  esempio,  a  livello  legislativo,  si   trova
nell'art. 11, comma 5 della legge regionale lombarda n. 12/2005). 
    E' utile  ricordare  che  su  questa  forma  di  perequazione  e'
intervenuta in piu' occasioni la  giurisprudenza  amministrativa  con
diverse pronunce, come ad esempio nel caso del  piano  regolatore  di
Roma, bocciato dal TAR Lazio e ritenuto legittimo  dal  Consiglio  di
Stato (in altri casi, ad es. Cons. di Stato, sez.  IV,  n.  4833  del
2006,  previsioni  analoghe,  anche  se  non  speculari,  sono  state
ritenute invece illegittime). Nella  fattispecie  si  trattava  delle
previsioni del PRG che introducevano la  possibilita'  di  attribuire
un'edificabilita' aggiuntiva per mezzo di un meccanismo convenzionale
che prevedeva la corresponsione  di  un  contributo  straordinario  a
favore del comune. Il  Consiglio  di  Stato  ritenne  legittimo  tale
contributo, in quanto derivante da  un  accordo  con  il  privato  ed
escludendo quindi il carattere di prestazione patrimoniale imposta in
violazione  della  riserva  di  legge  di  cui  all'art.   23   della
Costituzione. La pronuncia evidenziava, tuttavia «l'opportunita'  che
lo Stato intervenga a disciplinare in maniera chiara ed esaustiva  la
perequazione urbanistica,  nell'ambito  di  una  legge  generale  sul
governo del territorio la cui adozione appare quanto mai  auspicabile
alla luce dell'inadeguatezza della normativa pregressa a fronte delle
profonde innovazioni conosciute  negli  ultimi  decenni  dal  diritto
amministrativo e da quello urbanistico» (Cons. di Stato, sez. IV,  n.
4544/2010). 
    E' questo quindi il contesto normativo e giurisprudenziale in cui
si inserisce la disposizione impugnata, che introduce un  «contributo
straordinario» (che verra' dunque a far parte del contributo  per  il
rilascio del permesso di costruire) parametrato alla valutazione  del
maggior valore generato dagli interventi in variante urbanistica. 
    La  disposizione,  introdotta  in   sede   di   conversione   del
decreto-legge n. 133/2014, cosi' come strutturata, risulta, tuttavia,
viziata di incostituzionalita' sotto molteplici profili e palesemente
irragionevole, non risolvendo in alcun  modo  l'esigenza  prospettata
dal Consiglio di Stato. 
    Innanzitutto, infatti, in base  alla  disposizione  impugnata  il
contributo straordinario viene determinato  autoritativamente,  senza
possibilita' di contrattazione da parte del  privato,  sia  pure  con
riferimento alle tabelle parametriche regionali (se esistenti, ma  la
norma, come si e' visto - numero 4 della lettera g) -, attribuisce al
comune la facolta' di determinazione autoritativa anche se queste non
sono  adottate),  che  in  ogni  caso  lasciano   ampi   margini   di
discrezionalita' all'amministrazione. 
    Ma non solo. 
    Una volta determinato il maggior valore,  la  disposizione  nulla
dice in ordine alla ripartizione tra il comune e  il  privato.  Essa,
infatti,   afferma    che    «tale    maggior    valore,    calcolato
dall'amministrazione comunale, e' suddiviso in misura  non  inferiore
al 50 per  cento  tra  il  comune  e  la  parte  privata»,  ma  cosi'
stabilendo implica che  dopo  aver  individuato  il  maggior  valore,
dovra' essere definita una parte di esso  non  inferiore  al  50%,  e
questa parte dovra' essere suddivisa tra il  comune  ed  il  privato,
secondo una percentuale di ripartizione che la norma  non  individua.
Con la conseguenza  che  la  stessa  norma  potra'  giustificare  sia
previsioni perequative  che  sequestrino  pressoche'  interamente  il
plusvalore, sia previsioni che lo lascino pressoche'  interamente  al
privato. 
    Da questo punto di vista e' evidente la violazione  dell'art.  23
Cost., dal momento che l'amplissima  discrezionalita'  amministrativa
assegnata alle amministrazioni  comunali  non  trova  alcun  adeguato
contenimento nella base legislativa (cfr.  al  riguardo  corte  cost.
sent. n. 435/2001). 
    Ma vi e' di piu'. 
    La norma, infatti, da  un  lato,  si  configura  quale  principio
fondamentale in materia di urbanistica, ma nel contempo fa salve  «le
diverse disposizioni delle legislazioni regionali e  degli  strumenti
urbanistici generali comunali». Si  tratta  quindi  di  un  principio
fondamentale con una struttura del tutto irragionevole -  poiche'  lo
scopo dei principi fondamentali dovrebbe essere quello  di  garantire
l'uniformita' su tutto il territorio nazionale  -  al  punto  che  un
principio fondamentale cedevole  rappresenta  una  contraddizione  in
termini,  soprattutto  considerando  che  nel  caso  di   specie   la
cedevolezza e' disposta anche nei confronti di  atti  amministrativi,
ovvero degli strumenti urbanistici generali comunali. 
    Sotto  altro  profilo,  anche  l'affermazione  secondo   cui   il
contributo  straordinario  «attesta  l'interesse   pubblico»   appare
irragionevole, perche' sovrappone l'interesse pubblico  al  pagamento
del  contributo  straordinario  allo  specifico  interesse   pubblico
urbanistico che deve sostenere la variante  o  la  deroga.  In  altre
parole,  l'interesse  pubblico  deriva  ora   automaticamente   dalla
corresponsione  del  contributo  straordinario  e  non   piu'   dalla
valutazione della variante urbanistica  o  della  deroga:  in  questi
termini, con  le  perverse  conseguenze  che  si  possono  facilmente
immaginare anche in termini  di  rischi  ambientali  paesaggistici  e
idrogeologici, risultano legittimati interventi edilizi rivolti  solo
allo scopo dell'interesse fiscale senza piu' adeguata  considerazione
dell'interesse urbanistico. 
    La  nuova  norma  prosegue  poi  precisando  che  il   contributo
straordinario  potra'  essere  «erogato  in  versamento  finanziario,
vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione  di  opere
pubbliche  e  servizi  da  realizzare  nel  contesto  in  cui  ricade
l'intervento, cessione di aree o immobili da destinare a  servizi  di
pubblica utilita', edilizia residenziale sociale od opere pubbliche». 
    Si tratta di  un  periodo  nel  quale  sembra  difettare  qualche
congiunzione,  essendo  a  quanto  pare  intenzione  del  legislatore
stabilire un'alternativa tra il versamento finanziario e la  cessione
di aree o immobili (mentre e' difficile interpretarla nel  senso  che
la cessione di aree o immobili sia riferita al centro  di  costo  nel
quale confluisce il finanziamento  del  privato:  si  sarebbe  dovuto
trattare di acquisizione - per il  Comune  -  non  di  cessione,  che
riguarda invece la parte  privata).  In  ogni  caso  al  riguardo  va
ricordato che la  giurisprudenza  amministrativa  (ad  es.  Cons.  di
Stato, sez. IV, n. 616 del 2014), ha ribadito  con  grande  chiarezza
che la  perequazione  non  puo'  servire  ai  comuni  per  finanziare
qualsiasi  opera  pubblica  purche'  compresa  nella   programmazione
triennale, essendo necessario invece che vengano finanziate opere «in
prossimita'»  dell'intervento  (a  pena  altrimenti  di   determinare
effetti perversi, perche' mentre l'intervento grava su una parte  del
territorio comunale, sara' un'altra parte a beneficiare  delle  opere
rese possibili in correlazione con quell'intervento). Anche da questo
punto  di  vista  si  evidenzia   quindi   l'irragionevolezza   della
disciplina. 
    Le  suddette  disposizioni  impugnate  pertanto  si  pongono   in
contrasto con la  competenza  concorrente  regionale  in  materia  di
governo   del   territorio   e   urbanistica.    Data    l'amplissima
discrezionalita' amministrativa che  assegnano  alle  amministrazioni
comunali si  pongono  altresi'  in  contrasto  con  il  principio  di
ragionevolezza e con quello della riserva relativa di legge,  la  cui
lesione ridonda in una lesione delle suddette  competenze  regionali.
Le suddette norme risultano pertanto in violazione degli articoli  3,
23, 117, 3 e 4 comma, 118, 119, 120 Cost. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 35, commi 1, 2, 3, 5, 8  e
9 per violazione degli articoli 3, 11, 117, commi 1, 3 e 4, 118,  119
e 120 della Costituzione. 
    L'art. 35 del decreto-legge n. 133/2014, recante «Misure  urgenti
per la realizzazione su scala nazionale  di  un  sistema  adeguato  e
integrato di  gestione  dei  rifiuti  urbani  e  per  conseguire  gli
obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio. Misure  urgenti
per la gestione e per la tracciabilita' dei rifiuti  nonche'  per  il
recupero dei beni in polietilene», prevede  disposizioni  finalizzate
alla  realizzazione  di   una   rete   nazionale   di   impianti   di
incenerimento. A tal fine, in base al comma 1, viene demandata ad  un
apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri  non  solo
l'individuazione  degli  impianti  esistenti,  ma  anche  quelli   di
incenerimento a recupero energetico da realizzare; sia i primi che  i
secondi, verranno qualificati  come  «infrastrutture  e  insediamenti
strategici di preminente interesse nazionale  ai  fini  della  tutela
della salute e dell'ambiente». 
    Il comma 2  attiene  al  recupero  della  frazione  organica  dei
rifiuti urbani (FORSU) raccolta in maniera  differenziata.  Con  tale
comma si introduce una disposizione che, per  le  medesime  finalita'
del comma precedente, prevede l'emanazione di un  altro  decreto  del
Presidente del  Consiglio  dei  ministri  che  dovra'  effettuare  la
ricognizione  dell'offerta  esistente  e  individuare  il  fabbisogno
residuo, articolato per regioni, di impianti di recupero della  FORSU
raccolta  in  maniera  differenziata.  Tale  decreto  dovra'   essere
emanato, su proposta del Ministro  dell'ambiente,  entro  180  giorni
dall'entrata in vigore della presente legge di conversione. Lo stesso
comma consente alle regioni e alle province autonome di Trento  e  di
Bolzano, sino alla definitiva realizzazione degli impianti  necessari
per l'integrale copertura del fabbisogno residuo  cosi'  determinato,
di autorizzare, ove tecnicamente possibile, un incremento fino al 10%
della capacita' degli impianti di trattamento  dei  rifiuti  organici
per favorire  il  recupero  di  tali  rifiuti  raccolti  nel  proprio
territorio e la produzione di compost di qualita'. 
    Il  comma  3  impone  che  tutti  gli  impianti  (sia  nuovi  che
esistenti)  siano  autorizzati  a  saturazione  del  carico  termico,
qualora sia stata valutata positivamente la compatibilita' ambientale
dell'impianto in tale assetto operativo, incluso  il  rispetto  delle
disposizioni sulla qualita' dell'aria dettate dal decreto legislativo
n.  155/2010.  Inoltre  impone  l'adeguamento  delle   autorizzazioni
integrate ambientali degli impianti esistenti entro 90  giorni  dalla
entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione,  qualora  la  VIA
(valutazione  di  impatto  ambientale)  sia   stata   autorizzata   a
saturazione del carico termico, tenendo in  considerazione  lo  stato
della qualita' dell'aria. 
    Il comma 4 prevede che tutti i  nuovi  impianti  dovranno  essere
realizzati conformemente alla classificazione di impianti di recupero
energetico di cui al punto R1 (nota 4), allegato C alla parte  quarta
del Codice dell'ambiente (decreto legislativo n. 152/2006). 
    Il comma 5 prevede che le autorita' competenti, entro il  termine
di 90 giorni dalla entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione
verifichino, per gli impianti esistenti, la sussistenza dei requisiti
per  la  loro  qualifica  di  impianti  di  recupero  energetico  R1,
revisionando in tal senso e nello stesso termine, quando ne ricorrano
le condizioni, le autorizzazioni integrate ambientali. 
    Il comma 8 dispone che siano dimezzati, o ridotti a un quarto (se
si tratta di  procedura  gia'  in  corso),  i  termini  previsti  per
l'espletamento  delle  procedure  di  espropriazione   per   pubblica
utilita' degli impianti di  recupero  da  realizzare,  nonche'  siano
perentori i termini previsti per VIA e AIA. 
    Il comma 9 prevede l'applicazione del potere sostitutivo in  caso
di mancato rispetto dei termini fissati dai commi 3, 5  e  8  per  la
verifica degli impianti e l'adeguamento delle autorizzazioni, nonche'
dal comma 6 per l'accelerazione delle procedure autorizzative. 
    Si tratta di disposizioni che da diversi punti di  vista  violano
le competenze  costituzionalmente  attribuite  alle  regioni  e  che,
irragionevolmente favorendo la  prospettiva  dell'incenerimento  (dal
1995 negli Stati Uniti non si costruiscono piu'  impianti  di  questo
tipo, preferendo le politiche  di  riduzione,  riuso,  riciclaggio  e
recupero) a discapito dell'economia  del  riciclo,  della  ricerca  e
della prevenzione dei rifiuti richiesta dalle direttive  comunitarie,
non  tengono  minimamente   conto   che   il   quadro   impiantistico
sull'incenerimento in Italia e' ormai saturo: ci sono regioni dove la
potenzialita'   impiantistica   di   combustione   dei   rifiuti   e'
sovradimensionata e quindi dovra' essere ridotta, dismettendo,  senza
sostituirli, gli impianti piu' vecchi; ci sono  regioni,  soprattutto
al  centro  sud,  dove  sono  stati  costruiti  nell'ultimo  decennio
numerosi  impianti  per  bruciare  i  rifiuti,  colmando  il  deficit
impiantistico; ci  sono  regioni  dove  i  risibili  quantitativi  di
rifiuti in gioco rendono superfluo realizzare un  impianto  dedicato.
In questo nuovo scenario non ha piu' senso un programma nazionale per
implementare  e  accelerare  la  costruzione  di  nuovi  impianti  di
combustione dei rifiuti. Soprattutto questa prospettiva non considera
adeguatamente l'intervenuto incremento della  raccolta  differenziata
finalizzata al riciclaggio,  che  ha  sostenuto  sempre  di  piu'  la
filiera industriale del recupero delle materie  prime  seconde  e  ha
notevolmente ridimensionato il bisogno, per la chiusura del ciclo nei
vari territori, del recupero energetico  da  combustione  di  rifiuti
urbani non altrimenti riciclabili. L'aumento  del  riciclaggio  e  il
trend di riduzione  della  produzione  dei  rifiuti  rendera'  quindi
sempre piu' problematica l'alimentazione di  impianti  «rigidi»  come
gli inceneritori che notoriamente non  possono  essere  modulati  nel
flusso di rifiuti alimentati al forno e che quindi sono  un  evidente
problema per l'auspicata massimizzazione del riciclo e dello sviluppo
delle politiche di prevenzione. 
    Cio'  premesso,  riguardo  a  tali   disposizioni,   si   precisa
innanzitutto che il comma 1  riproduce,  ma  solo  in  parte,  quanto
previsto, all'intento di una ben piu'  articolata  disciplina,  dalla
lettera i) del comma 1  dell'art.  195  del  decreto  legislativo  n.
152/2006 (d'ora in poi testo  unico  ambiente),  che  gia'  prevedeva
«l'individuazione, nel  rispetto  delle  attribuzioni  costituzionali
delle regioni,  degli  impianti  di  recupero  e  di  smaltimento  di
preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e
lo sviluppo del paese, sentita la Conferenza unificata, a mezzo di un
programma, adottato con decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri su proposta del Ministro dell'ambiente e  della  tutela  del
territorio e del mare e  inserito  nei  documenti  di  programmazione
economico-finanziaria con indicazione  degli  stanziamenti  necessari
per la loro realizzazione. Nell'individuare le infrastrutture  e  gli
insediamenti strategici di cui al presente comma il  Governo  procede
secondo finalita' di riequilibrio socio-economico  fra  le  aree  del
territorio  nazionale.  Il  Governo  indica  nel  disegno  di   legge
finanziaria ai sensi dell'art. 11, comma  3,  lettera  i-ter),  della
legge 5 agosto 1978, n. 468, le risorse  necessarie,  anche  ai  fini
dell'erogazione dei  contributi  compensativi  a  favore  degli  enti
locali, che integrano i finanziamenti pubblici, comunitari e  privati
allo scopo disponibili». 
    Tale disposizione, quindi, nell'individuare le  infrastrutture  e
gli insediamenti strategici da realizzare, prevedeva che  il  Governo
procedesse  indicando  nel   disegno   di   legge   finanziaria   gli
stanziamenti necessari per  la  loro  realizzazione,  anche  ai  fini
dell'erogazione dei  contributi  compensativi  a  favore  degli  enti
locali. Inoltre, alla lettera g), l'art. 195  stabiliva,  in  termini
piu' generali, che lo Stato  determinasse  «garanzie  finanziarie  in
favore delle regioni». Nulla al riguardo viene invece previsto  nella
nuova formulazione che produce quindi anche nuovi oneri a carico  del
sistema regionale, in violazione dell'art. 119 cost., anche in  forza
dell'incidenza dell'intervento governativo sui fondi  gia'  stanziati
dalla regione per la predisposizione dei Piani regionali di  gestione
dei rifiuti. 
    Inoltre,  se  l'art.  195  del  testo  unico  ambiente  includeva
l'individuazione  di  impianti  di  recupero  e  di  smaltimento   da
realizzare  di  preminente  interesse  nazionale  tra  le  competenze
statali in materia di rifiuti, nel  successivo  art.  196  del  testo
unico ambiente venivano poi  indicate  le  competenze  affidate  alle
regioni,  quali  la  pianificazione  regionale  della  gestione   dei
rifiuti, la regolamentazione delle attivita' di gestione dei rifiuti,
l'approvazione dei progetti di nuovi  impianti  per  la  gestione  di
rifiuti,   l'autorizzazione   all'esercizio   delle   operazioni   di
smaltimento e recupero di  rifiuti  (fatta  salva  la  disciplina  in
materia  di   AIA),   nonche'   la   definizione   di   criteri   per
l'individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla
localizzazione degli  impianti  di  smaltimento  e  di  recupero  dei
rifiuti, nel rispetto dei criteri generali fissati a livello statale. 
    Nella differenza tra il testo del testo unico ambiente  e  quello
impugnato, che si limita a prevedere che il d.pc.m. di cui al comma 1
sia emanato solo «tenendo conto della pianificazione  regionale»,  si
precisa quindi ulteriormente la censura di incostituzionalita' di una
disciplina che attenendo a impianti  di  incenerimento  con  recupero
energetico, si inserisce anche nell'ambito della materia  «produzione
dell'energia» di cui al comma 3 dell'art. 117 Cost. 
    Il nuovo testo,  infatti,  anche  nonostante  la  suddetta  nuova
esplicita implicazione con la materia della produzione  dell'energia,
non contiene piu' quella vera e propria clausola di «salvezza»  («nel
rispetto delle attribuzioni costituzionali delle  regioni»)  -  cosi'
questa ecc.ma Corte costituzionale la defini' nella sentenza  n.  249
del 2009 - che invece era contenuta nella lettera  f)  dell'art.  195
del testo unico ambiente. 
    Non  si  tratta  di  mera  questione  formale,   in   quanto   la
generalizzata qualificazione  degli  impianti  di  incenerimento  sia
esistenti che da  realizzare,  come  «infrastrutture  e  insediamenti
strategici di preminente interesse nazionale  ai  fini  della  tutela
della salute e dell'ambiente» determina una evidente  sovrapposizione
con numerose competenze costituzionalmente attribuite alle regioni in
materia di  tutela  della  salute,  di  governo  del  territorio,  di
valorizzazione dei beni ambientali, di turismo, ecc. 
    In  particolare  la  nuova  disciplina  risulta  violare   quanto
stabilisce l'art. 196 del testo unico ambiente come competenze  delle
regioni. In primis la stessa funzione di pianificazione, che  prevede
che le regioni adottino, coinvolgendo  province  e  comuni,  i  piani
regionali di gestione  dei  rifiuti  e  procedano  a  programmare  la
tipologia ed il complesso degli impianti di smaltimento e di recupero
dei rifiuti urbani da realizzare nella regione (art. 196, lettera a).
Inoltre, il potere regionale di definizione di  criteri  (nell'ambito
dei criteri generali  stabiliti  dallo  Stato,  art.  195,  comma  1,
lettera p) per l'individuazione, da parte delle province, delle  aree
non idonee alla localizzazione degli impianti  di  smaltimento  e  di
recupero dei rifiuti (art. 196,  comma  1,  lettera  n),  nonche'  la
definizione dei criteri per l'individuazione dei  luoghi  o  impianti
idonei allo smaltimento (art. 196, comma 1, lettera o)  (si  veda  al
riguardo Corte cost. sent. n. 285 del 2013).  Al  riguardo  e'  utile
ricordare che questa ecc.ma Corte nella sentenza  n.  314  del  2009,
dopo  aver  precisato  che:  «La  disciplina  statale  dei   rifiuti,
collocandosi    nell'ambito    della    "tutela    dell'ambiente    e
dell'ecosistema" - di competenza esclusiva statale ai sensi dell'art.
117, secondo  comma,  lettera  s),  Cost.  -  costituisce,  anche  in
attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e
si impone sull'intero  territorio  nazionale,  come  un  limite  alla
disciplina che le regioni e le province  autonome  dettano  in  altre
materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello
di tutela ambientale stabilito dallo  Stato,  ovvero  lo  peggiorino»
(sentenze n. 62 del 2008 e n. 378 del 2007), ha tuttavia nel contempo
chiarito: «resta, peraltro, ferma la competenza delle regioni per  la
cura di interessi funzionalmente collegati  con  quelli  propriamente
ambientali: infatti,  anche  nel  settore  dei  rifiuti,  accanto  ad
interessi inerenti in via primaria alla tutela dell'ambiente, vengono
in rilievo altre materie, per cui la competenza statale  non  esclude
la  concomitante  possibilita'  per  le   regioni   di   intervenire,
ovviamente nel rispetto dei livelli  uniformi  di  tutela  apprestati
dallo Stato (da ultimo, sentenza n. 249 del 2009). La  localizzazione
degli  impianti  di  trattamento  dei  rifiuti  sul  territorio,  nel
rispetto dei criteri  tecnici  fondamentali  stabiliti  dagli  organi
statali (fissati in attuazione dell'art. 195 del decreto  legislativo
n. 152 del 2006), che rappresentano soglie inderogabili di protezione
ambientale, attiene al "governo del territorio"».  Concludeva  quindi
la sentenza ritenendo che «la disciplina dettata  dalla  disposizione
regionale risponde ad esigenze di coordinamento  territoriale  e  non
appronta una disciplina dei rifiuti di minor rigore rispetto a quella
statale». 
    In  definitiva,  un'ampia  gamma  di  poteri   regionali,   anche
potenzialmente rivolti a stabilire criteri  di  tutela  dell'ambiente
piu' rigorosi di  quelli  statali,  risulta  travolta  dalla  pretesa
costituzione di un sistema nazionale di impianti di incenerimento che
non contiene piu'  la  sopra  citata  clausola  di  «salvezza»  delle
competenze regionali. 
    A questo riguardo, a  titolo  esemplificativo,  si  evidenzia  il
contrasto con le disposizioni legislative della regione Veneto: legge
regionale n. 3 del 21 gennaio 2000 e n.  52  del  31  dicembre  2012,
anche in considerazione  del  fatto  che  quest'ultima  prevede,  fra
l'altro, all'art.  6  (Nuovi  impianti  di  trattamento  termico  per
rifiuti   solidi.   Disposizioni   transitorie):   «1.   Nelle   more
dell'approvazione del nuovo  piano  regionale  per  la  gestione  dei
rifiuti urbani e speciali, come previsto  dalla  legge  regionale  21
gennaio 2000,  n.  3,  che  definisce  il  fabbisogno  gestionale  di
recupero e smaltimento  dei  rifiuti,  non  puo'  essere  autorizzato
l'avvio e l'ampliamento di nuovi impianti di trattamento termico  per
rifiuti solidi urbani in Veneto». 
    Il comma 1 dell'art. 35 del decreto-legge n. 133/2014, per questi
motivi, si pone in contrasto: con l'art. 3 della Costituzione,  nella
misura   in   cui   irragionevolmente   favorisce   la    prospettiva
dell'incenerimento a discapito dell'economia del  riciclo  -  e  tale
violazione   ridonda   sulle   competenze   regionali,    anche    di
programmazione, in materia di tutela della  salute,  di  governo  del
territorio, di valorizzazione dei beni ambientali, di turismo,  ecc.;
nonche' con gli articoli 117,  III  e  IV  comma,  118  (quanto  alla
competenza regionale sui piani rifiuti) e 119 della Costituzione. 
    In questa prospettiva, risulta evidente anche la  violazione  del
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost.,  perche'
la semplice previsione che sia «sentita» la Conferenza Stato-regioni,
rappresenta rispetto alla nuova e ben piu' invasiva  disciplina,  che
riguarda anche la produzione di energia, una forma di  coinvolgimento
delle regioni che  si  rivela  del  tutto  inadeguata,  incidendo  la
predetta  disciplina  significativamente  sulle  suddette  competenze
regionali. Si ricorda al riguardo che questa ecc.ma Corte nella sent.
n. 383 del 2005 ha precisato che: «La predisposizione di un programma
di grandi infrastrutture per le finalita' indicate dalla disposizione
impugnata  implica  necessariamente  una  forte  compressione   delle
competenze regionali non soltanto nel  settore  energetico  ma  anche
nella materia del governo  del  territorio,  di  talche',  come  gia'
sottolineato nel  par.  15,  e'  condizione  imprescindibile  per  la
legittimita'  costituzionale  dell'attrazione  in  sussidiarieta'   a
livello statale di tale funzione  amministrativa,  la  previsione  di
un'intesa in senso forte con le regioni nel  cui  territorio  l'opera
dovra' essere realizzata» (cfr. inoltre, sentenze n. 179/2012 e n. 39
del 2013). 
    Ma vi e' di piu'. 
    La  disposizione   del   comma   1,   infatti,   pur   prevedendo
l'individuazione di un sistema integrato nazionale  di  gestione  dei
rifiuti urbani e speciali mediante impianti di  recupero  energetico,
ovvero un vero  e  proprio  atto  di  pianificazione  in  materia  di
gestione  dei  rifiuti,   non   ne   prevede   l'assoggettamento   ad
autorizzazione ambientale strategica (VAS), in violazione dell'art. 3
(1. I piani e i programmi di cui ai paragrafi 2, 3 e 4,  che  possono
avere effetti  significativi  sull'ambiente,  sono  soggetti  ad  una
valutazione ambientale ai sensi degli articoli da 4 a 9)  e  seguenti
della direttiva 2001/42/CE. 
    Tale direttiva - rivolta a imporre che gli effetti ambientali  di
piani e programmi vengano  considerati  «a  monte»,  consentendo,  se
necessario, di ricorrere a misure di mitigazione definite  attraverso
consultazioni con le altre autorita' competenti nonche' con le  parti
interessate  anche  attraverso  lo  svolgimento  di  consultazioni  e
informative e quindi a tempo debito e non solo  in  fasi  in  cui  le
possibilita' di apportare cambiamenti sensibili sono spesso  limitate
- e' stata recepita dall'Italia con il testo unico  ambiente,  mentre
la disposizione del comma 1 del decreto-legge n. 133/2014  assume  un
carattere derogatorio non consentito ne'  dal  suddetto  testo  unico
ambiente,  ne'  dalla   citata   direttiva   (peraltro,   sulla   non
assimilazione di oggetto tra VAS e VIA si ricordano  le  pronunce  di
questa ecc.ma Corte n. 58 del 2013 e n. 197 del 2014). 
    In questi termini si determina una violazione degli articoli 11 e
117, I comma della  Costituzione,  che  ridonda  evidentemente  nella
lesione delle sopramenzionate competenze costituzionalmente assegnate
alle regioni, anche inerenti lo  stesso  procedimento  di  VAS  (cfr.
legge regionale Veneto n.  11  del  2004;  articoli  4  e  141  legge
regionale n. 4 del 2008; art. 40 legge regionale n. 13 del 2012), dal
momento che la individuazione degli impianti non potra' avvenire  nel
rispetto  delle  procedure  di  tutela  prescritte  dalla   normativa
comunitaria. 
    Quanto al comma 2 dell'art. 35 del decreto-legge n. 133/2014, che
prevede l'emanazione di un decreto del Presidente del  Consiglio  dei
ministri diretto a effettuare la ricognizione dell'offerta  esistente
e individuare il  fabbisogno  residuo,  articolato  per  regioni,  di
impianti di recupero della FORSU raccolta in  maniera  differenziata,
si  evidenzia  che  tale  disposizione  in  modo   irragionevole   ed
illegittimo non prevede alcuna forma di coinvolgimento delle  regioni
e  quindi  estromette  la  programmazione  regionale  della   pretesa
definizione dell'offerta esistente su tutto il territorio  nazionale.
Risulta quindi violato il principio di leale  collaborazione  di  cui
all'art. 120 della Costituzione. 
    Quanto ai commi 3 e 5  con  cui  il  legislatore  statale  impone
unilateralmente che tutti gli impianti (sia nuovi che  esistenti)  di
recupero energetico da rifiuti siano autorizzati  a  saturazione  del
carico termico,  con  conseguente  adeguamento  delle  autorizzazioni
integrate ambientali, prevendendo, nel caso del mancato rispetto  dei
termini  l'intervento  (comma  9)  del  potere  sostitutivo   statale
(secondo l'art. 8 della  legge  n.  131/2003),  essi  si  pongono  in
contrasto, per i motivi sopra indicati, con le  competenze  regionali
relative   a   tutela   della   salute,   governo   del   territorio,
valorizzazione dei beni ambientali, turismo,  di  cui  agli  articoli
117, 3 e 4 comma e 118 Cost.,  nonche'  con  il  principio  di  leale
collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    Quanto al comma 4, che impone che tutti i nuovi impianti dovranno
essere realizzati conformemente alla classificazione di  impianti  di
recupero energetico di cui al punto R1  (nota  4),  allegato  C  alla
parte  quarta  del  Codice  dell'ambiente  (decreto  legislativo   n.
152/2006), esso si pone in contrasto con gli articoli 117, 3 comma, e
119  Cost.,  dal   momento   che,   a   fronte   di   tale   obbligo,
illegittimamente imposto stante la competenza  regionale  concorrente
in materia di energia, non vengono previste  garanzie  finanziarie  a
favore delle regioni. 
    Quanto al comma 8, che dispone la riduzione (pena l'esercizio del
potere   sostitutivo   statale),    in    vista    dell'irragionevole
accelerazione nella realizzazione degli inceneritori di cui al  comma
1, alla meta' o addirittura a un quarto (se si  tratta  di  procedura
gia'  in  corso),  dei  termini  previsti  per  l'espletamento  delle
procedure di espropriazione per pubblica utilita' degli  inceneritori
da realizzare, nonche' che siano perentori i termini previsti per VIA
e AIA, si tratta di una disposizione dall'effetto generalizzato  che,
da  un  lato,   coinvolgendo   tutte   le   fasi   del   procedimento
espropriativo,  travolge  tutte  le  differenti  previsioni  adottate
(legittimamente ai sensi dell'art. 5 del decreto del Presidente della
Repubblica  n.  327/2001),  nei  vari  settori,  dalla   legislazione
regionale e che, dall'altro, facendo riferimento ai  procedimenti  in
corso,  determina  una  irragionevole  violazione  del  principio  di
legittimo affidamento che ridonda anch'essa  nella  violazione  delle
competenze  regionali  in  materia  di  governo  del  territorio.  La
disposizione si pone pertanto in contrato con gli articoli 3 e 117, 3
comma, della Costituzione. 
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 38, commi 1, 1-bis, 2,  3,
4, 5, 6, 8 e 10, violazione degli articoli 3, 9, 11, 32, 97, 117,  I,
III e IV comma, 118, 119 e 120 della Costituzione. 
    L'art. 38, recante (Misure per la  valorizzazione  delle  risorse
energetiche nazionali) qualifica le attivita' di prospezione, ricerca
e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio  sotterraneo  di
gas naturale come attivita'  di  interesse  strategico,  di  pubblica
utilita', urgenti e indifferibili. Vengono  inoltre  stabilite  nuove
regole per il conferimento di titoli minerari, in modo da  ridurre  i
tempi necessari per il rilascio dei titoli abilitativi per la ricerca
e la produzione di idrocarburi, prevedendo il rilascio di  un  titolo
concessorio unico. Si modifica inoltre la disciplina che consente  lo
svolgimento di attivita' mineraria in forma sperimentale. 
    Piu'  precisamente,  il  comma  1  qualifica  le   attivita'   di
prospezione, ricerca  e  coltivazione  di  idrocarburi  e  quelle  di
stoccaggio sotterraneo di gas naturale come attivita': 
    a) di interesse strategico; 
    b) di pubblica utilita', urgenti e indifferibili. 
    Di conseguenza i relativi titoli abilitativi comportano: 
    a) la dichiarazione di  pubblica  utilita',  indifferibilita'  ed
urgenza dell'opera; 
    b) l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio  dei  beni
in essa compresi; 
    c) e, per quanto disposto dal comma 2, se le  opere  da  eseguire
comportano variazione degli strumenti urbanistici, hanno  effetto  di
variante urbanistica. 
    Il comma 1-bis demanda al  Ministero  dello  sviluppo  economico,
sentito il Ministero dell'ambiente, la predisposizione  di  un  piano
delle aree in  cui  sono  consentite  le  attivita'  di  prospezione,
ricerca  e  coltivazione  di  idrocarburi  e  quelle  di   stoccaggio
sotterraneo di  gas  naturale.  Il  piano,  per  le  attivita'  sulla
terraferma, e' adottato previa intesa con la Conferenza unificata. In
caso di  mancato  raggiungimento  dell'intesa,  si  provvede  con  le
modalita' di cui all'art. 1, comma 8-bis, della  legge  n.  239/2004.
Nelle more dell'adozione del piano i titoli  abilitativi  di  cui  al
comma 1 sono rilasciati sulla base delle norme  vigenti  prima  della
data di entrata in vigore della disposizione. 
    Il comma 3 trasferisce dalle regioni al  Ministero  dell'ambiente
la competenza al rilascio del provvedimento di  VIA  (valutazione  di
impatto ambientale) relativamente ai progetti relativi  ad  attivita'
di  prospezione,  ricerca  e  coltivazione   di   idrocarburi   sulla
terraferma. 
    Il  comma  4  contiene  una   norma   transitoria   destinata   a
disciplinare gli effetti dello spostamento di competenze operato  dal
comma 3 sui procedimenti di VIA in corso presso le regioni alla  data
di  entrata  in  vigore  del   presente   decreto-legge.   Per   tali
procedimenti viene  previsto  che  se  la  regione  non  conclude  il
procedimento entro il 31 marzo 2015, la stessa dovra': 
    a) provvedere alla trasmissione di  tutta  la  documentazione  al
Ministero dell'ambiente per i seguiti istruttori di competenza; 
    b) darne notizia al Ministero dello sviluppo economico. 
    Il comma 5 modifica la disciplina per il conferimento  di  titoli
minerari, con specifico riguardo al rilascio dei  titoli  abilitativi
per la ricerca  e  la  produzione  di  idrocarburi,  introducendo  un
«titolo concessorio unico» in luogo di due titoli distinti  (permesso
di ricerca e concessione di coltivazione). Si prevede che  il  titolo
sia  rilasciato  sulla  base  di  un  programma  generale  di  lavori
articolato nelle seguenti fasi: 
    a) fase di ricerca, della durata di  sei  anni,  prorogabile  due
volte per un periodo di tre anni nel caso sia  necessario  completare
le opere di ricerca; 
    b) fase di coltivazione (nel caso in  cui  la  prima  fase  abbia
condotto al rinvenimento di un giacimento  riconosciuto  tecnicamente
ed economicamente coltivabile da parte del Ministero  dello  sviluppo
economico), della durata di trenta anni, da prorogare per una o  piu'
volte per un periodo di dieci anni, ove  siano  stati  adempiuti  gli
obblighi derivanti dal decreto di concessione e il giacimento risulti
ancora coltivabile. Inoltre, viene altresi' previsto che  la  proroga
della fase di coltivazione da parte del  Ministero  per  lo  sviluppo
economico  non  sia  piu'  automatica,  ma  subordinata  al  caso  di
rinvenimento  di  un  giacimento   tecnicamente   ed   economicamente
coltivabile, riconosciuto dal Ministero dello sviluppo economico; 
    c) fase di ripristino finale. 
    Secondo il comma 6, il titolo concessorio unico e' accordato: 
    a) con decreto del Ministero dello sviluppo economico, sentita la
Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie e  le  Sezioni
territoriali   dell'Ufficio   nazionale   minerario   idrocarburi   e
georisorse, d'intesa, per le attivita' da svolgere in terraferma, con
la  regione  o  la  provincia  autonoma  di  Trento  o   di   Bolzano
territorialmente interessata; 
    b) a seguito di un  procedimento  unico  svolto  nel  termine  di
centottanta giorni tramite apposita Conferenza di  servizi,  nel  cui
ambito e' svolta  anche  la  valutazione  ambientale  strategica  del
programma complessivo dei lavori. Si  specifica  che  la  valutazione
ambientale preliminare e' svolta entro 60  giorni  con  parere  della
Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale  VIA/VAS  del
MATTM. Si ribadisce anche che per il decreto ministeriale di rilascio
del titolo per le attivita' in terraferma, e'  necessaria  la  previa
intesa con la regione. 
    Il comma 8 dispone l'applicazione delle nuove  norme  sul  titolo
concessorio unico anche ai  titoli  rilasciati  successivamente  alla
data di entrata in vigore del Codice ambientale e ai procedimenti  in
corso, su istanza del titolare o del richiedente, da presentare entro
90 giorni dall'entrata in  vigore  della  legge  di  conversione  del
decreto in commento,  facendo  salva  con  riguardo  all'applicazione
delle disposizioni  sui  procedimenti  di  VIA  in  corso  presso  le
regioni, l'opzione,  da  parte  dell'istante,  di  proseguimento  del
procedimento di valutazione di impatto ambientale presso la  regione,
da esercitarsi entro trenta giorni dal medesimo termine. 
    Il comma 10 integra l'art. 8 del decreto-legge n.  112/2008,  che
stabiliva precisi divieti e condizioni, per rendere ora possibili,  e
per assicurare il  relativo  gettito  fiscale  allo  Stato,  progetti
sperimentali di coltivazione di giacimenti di idrocarburi in mare  in
ambiti posti in prossimita' delle aree  di  altri  Paesi  rivieraschi
oggetto di attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi. 
    I progetti sperimentali: a) sono autorizzati dal Ministero  dello
sviluppo economico, di concerto  con  il  Ministero  dell'ambiente  e
della  tutela  del  territorio  e  del  mare,  sentite   le   regioni
interessate; b) sono corredati sia da un'analisi tecnico-scientifica,
che deve avvenire mediante VIA, sull'assenza di effetti di subsidenza
dell'attivita' sulla costa, sull'equilibrio dell'ecosistema  e  sugli
insediamenti antropici, sia da progetti e programmi di monitoraggio e
verifica, da condurre sotto il controllo del Ministero dello sviluppo
economico e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio
e del mare. Si prevede poi che qualora, nel corso delle attivita'  di
verifica  vengano  accertati  fenomeni  di  subsidenza  sulla   costa
determinati dall'attivita', il programma dei lavori e'  interrotto  e
l'autorizzazione alla  sperimentazione  decade.  Qualora  invece,  al
termine del periodo di validita' dell'autorizzazione, venga accertato
che  l'attivita'  e'  stata  condotta  senza  effetti  di  subsidenza
dell'attivita' sulla costa, nonche' sull'equilibrio dell'ecosistema e
sugli insediamenti antropici,  il  periodo  di  sperimentazione  puo'
essere prorogato per ulteriori cinque anni,  applicando  le  medesime
procedure di controllo. Infine si prevede, che nel caso di  attivita'
di cui sopra, ai territori costieri non solo le regioni, ma anche gli
altri enti locali territorialmente interessati,  abbiano  diritto  di
stipulare accordi con i soggetti proponenti che individuino misure di
compensazione e riequilibrio ambientale, coerenti con  gli  obiettivi
generali di politica energetica nazionale. 
    Nel  complesso  si  tratta  di  disposizioni  che,  da  un  lato,
favoriscono di fatto una nuova  e  irragionevole  colonizzazione  del
territorio e del mare italiano da parte dell'industria petrolifera, e
dall'altro che espongono il territorio italiano, ad ulteriori  rischi
geologici e ambientali, e marginalizzano, in modo  costituzionalmente
illegittimo, il ruolo delle regioni. Si apre cosi' il rischio di  una
nuova ondata di trivellazioni con irrilevanti  benefici  economici  e
sociali ed elevati pericoli ambientali. Nonostante i noti  rischi  di
incidenti e di inquinamento legati alle trivellazioni,  ad,  esempio,
ma non solo, come quello avvenuto nel Golfo del Messico nel 2010,  si
mettono quindi a rischio aree di pregio naturalistico e paesaggistico
e fiorenti attivita' economiche legate al turismo e alla  pesca,  con
lo scopo di estrarre idrocarburi di dubbia qualita' che agli  attuali
tassi di consumo, valutate le riserve certe a terra e a mare  censite
dal Ministero  dello  sviluppo  economico  (vedi  infra),  potrebbero
(prelevando tutte le riserve del sottosuolo)  coprire  il  fabbisogno
nazionale per un periodo non superiore ad un anno. 
    Cio' premesso, occorre ricordare che l'art. 117, comma 3,  Cost.,
ascrive alla  competenza  concorrente  la  «produzione,  trasporto  e
distribuzione nazionale dell'energia» e  non  gia'  le  attivita'  di
ricerca e di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi,  che,  in
quanto tali,  non  sarebbero  produttive  di  energia  e  che  quindi
dovrebbero collocarsi nell'ambito della competenza residuale  di  cui
al IV comma dell'art. 117 Cost. 
    In ogni caso, anche  a  voler  ritenere  la  materia  in  oggetto
rientrante in quella di cui  al  terzo  comma  dell'art.  117  Cost.,
occorre innanzitutto ricordare che questa ecc.ma Corte costituzionale
nella sentenza n. 383 del 2005 ha stabilito,  in  questo  ambito,  la
necessita'  di  un'«intesa   in   senso   forte»   per   giustificare
un'attrazione nella competenza statale quale  quella  disposta  dalle
norme impugnate. Infatti: «Se dunque non sembrano esservi problemi al
fine di giustificare in linea generale disposizioni legislative  come
quelle in  esame  dal  punto  di  vista  della  ragionevolezza  della
chiamata in  sussidiarieta',  in  capo  ad  organi  dello  Stato,  di
funzioni amministrative relative ai problemi  energetici  di  livello
nazionale, al fine di assicurare  il  loro  indispensabile  esercizio
unitario, resta invece da verificare analiticamente se sussistano  le
altre condizioni che la giurisprudenza di questa Corte ha individuato
come necessarie perche' possa essere  costituzionalmente  ammissibile
un meccanismo istituzionale del genere, che oggettivamente incide  in
modo significativo sull'ambito dei poteri regionali. In  particolare,
come questa Corte ha gia' chiarito nella sentenza n. 6 del  2004,  e'
necessario che la  legislazione  "detti  una  disciplina  logicamente
pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni, e
che risulti limitata  a  quanto  strettamente  indispensabile  a  tal
fine"; inoltre, "essa deve risultare adottata a seguito di  procedure
che assicurino la partecipazione dei  livelli  di  governo  coinvolti
attraverso  strumenti  di  leale  collaborazione  o,  comunque,  deve
prevedere  adeguati  meccanismi  di  cooperazione   per   l'esercizio
concreto  delle  funzioni   amministrative   allocate   agli   organi
centrali". Infatti, nella perdurante assenza di ogni innovazione  nei
procedimenti legislativi statali diretta ad assicurare il  necessario
coinvolgimento delle regioni, la legislazione statale che  preveda  e
disciplini il conferimento delle funzioni  amministrative  a  livello
centrale nelle materie affidate alla potesta'  legislativa  regionale
"puo' aspirare a superare il vaglio  di  legittimita'  costituzionale
solo in presenza di una disciplina  che  prefiguri  un  iter  in  cui
assumano  il  dovuto  risalto  le   attivita'   concertative   e   di
coordinamento orizzontale, ovverosia le  intese,  che  devono  essere
condotte in base al  principio  di  lealta'"  (sentenza  n.  303  del
2003)». (cfr, inoltre cent. n. 179/2012 e 39 del 2013). 
    Al contrario di quanto esplicitamente,  quindi,  stabilito  dalla
giurisprudenza  di  questa  ecc.ma  Corte  sulla  necessita'  di   un
coinvolgimento forte delle regioni,  il  comma  1  dell'art.  38  con
decisione unilaterale dello Stato, in assenza di un adeguato elemento
di  leale  collaborazione  capace  di  legittimare  tale   intervento
normativo,  attrae  nella  competenza   statale   le   attivita'   di
prospezione, ricerca  e  coltivazione  di  idrocarburi  e  quelle  di
stoccaggio sotterraneo di gas naturale, e la disciplina dei  relativi
titoli abilitativi, definendoli di interesse strategico, di  pubblica
utilita',  urgenti  e  indifferibili,  con  violazione  quindi  degli
articoli 117, comma 3, e 118, in materia di produzione di  energia  e
120 della Costituzione. 
    Il comma 1-bis (anche  nella  versione  modificata  dall'art.  1,
comma 554, della legge n.  190/2014)  prevede,  inoltre,  che,  senza
adeguato coinvolgimento delle regioni, sia il Ministro dello sviluppo
economico con proprio decreto, sentito il  Ministro  dell'ambiente  e
della tutela del territorio e del mare, a predisporre il piano  delle
aree in cui sono consentite le attivita' di cui al comma 1. Solo  per
le attivita' su terraferma, il piano e' adottato  (questa  previsione
e' stata appunto aggiunta dalla legge n. 190 del 2014) previa  intesa
con la Conferenza unificata, specificando tuttavia  che  in  caso  di
mancato raggiungimento dell'intesa, si provveda con le  modalita'  di
cui all'art. 1, comma 8-bis, della legge  n.  239/2004.  Al  riguardo
occorre evidenziare come sebbene per le attivita' in  terraferma  sia
prevista ora una intesa con le regioni, si tratta in ogni caso di una
intesa debole; si tratta quindi di un coinvolgimento delle stesse non
proporzionato alla tutela degli interessi in  gioco  in  una  materia
cosi' inerente, da diversi  profili,  alle  competenze  regionali  in
materia tutela  della  salute,  governo  del  territorio,  protezione
civile, valorizzazione dei beni culturali e ambientali, produzione di
energia (cfr. al riguardo sent. n. 6 del  2004,  dove  questa  ecc.ma
Corte  ha  precisato  l'esigenza  di  intese  «forti»  «a  causa  del
particolarissimo impatto che una struttura produttiva di questo  tipo
ha su tutta una serie di funzioni regionali relative al  governo  del
territorio, alla tutela della salute, alla  valorizzazione  dei  beni
culturali ed ambientali, al turismo, etc.»). Nessuna intesa viene poi
prevista per attivita' in mare, nonostante  questa  ecc.ma  Corte  in
piu' occasioni  (cfr.  ad  esempio  sent.  n.  102  del  2008)  abbia
precisato  «Il  mare,  infatti,  ben  puo'   essere   oggetto   della
legislazione regionale; come avviene, ad esempio, per  le  regioni  a
statuto  ordinario,  nell'ambito  della  competenza  concorrente   in
materia di porti o di grandi reti di  navigazione».  La  disposizione
del comma 1-bis si pone quindi in violazione degli  articoli  117,  3
comma, e 118, in  materia  di  produzione  di  energia  e  120  della
Costituzione. 
    Ma vi e' di piu'. 
    Come gia' rilevato in relazione al comma 1 dell'art. 35, anche la
disposizione del comma 1-bis dell'art. 38, infatti, pur prevedendo un
vero e  proprio  atto  di  pianificazione  delle  aree  in  cui  sono
consentite le attivita' di prospezione,  ricerca  e  coltivazione  di
idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas  naturale,  non
ne  stabilisce   l'assoggettamento   ad   autorizzazione   ambientale
strategica  (VAS),  in  violazione  dell'art.  3  e  seguenti   della
direttiva 2001/42/CE. Anche in questo caso, quindi, per  le  analoghe
argomentazioni esposte in relazione  al  comma  1  dell'art.  35,  si
determina una violazione degli articoli  11  e  117,  I  comma  della
Costituzione,  che  ridonda   evidentemente   nella   lesione   delle
competenze costituzionalmente assegnate alle  regioni  riguardo  alla
tutela della salute, del governo del territorio, alla  valorizzazione
dei  beni  ambientali  e  culturali  e  anche  inerenti   lo   stesso
procedimento di VAS (cfr. I. regione Veneto n. 11 del 2004;  articoli
4 e 14, legge regione n. 4 del 2008; art. 40, legge regionale  n.  13
del 2012), dal momento che la individuazione delle aree,  proprio  in
relazione ad un'attivita' a  forte  impatto  ambientale,  non  potra'
avvenire nel rispetto delle  procedure  di  tutela  prescritte  dalla
normativa comunitaria. 
    Il  comma  2,  inoltre  prevede  che  se  le  opere  da  eseguire
comportano variazione degli strumenti urbanistici, i suddetti  titoli
abilitativi  abbiano   effetto   di   variante   urbanistica,   senza
considerare quanto affermato da questa ecc.ma Corte nella sentenza n.
340 del 2009, per la quale: «Ai sensi  dell'art.  117,  terzo  comma,
ultimo periodo, Cost., in tali materie lo Stato ha soltanto il potere
di fissare i principi fondamentali, spettando alle regioni il  potere
di emanare la normativa di dettaglio. La relazione tra  normativa  di
principio e normativa di dettaglio va intesa nel senso che alla prima
spetta prescrivere  criteri  ed  obiettivi,  essendo  riservata  alla
seconda l'individuazione degli strumenti concreti da  utilizzare  per
raggiungere detti obiettivi (ex plurimis: sentenze n. 237  e  n.  200
del 2009). Orbene la norma in esame, stabilendo l'effetto di variante
sopra indicato ed escludendo che  la  variante  stessa  debba  essere
sottoposta a verifiche di conformita' ...  introduce  una  disciplina
che non e' finalizzata a prescrivere  criteri  ed  obiettivi,  ma  si
risolve  in  una  normativa  dettagliata   che   non   lascia   spazi
d'intervento al legislatore regionale, ponendosi cosi'  in  contrasto
con il, menzionato parametro  costituzionale  (sentenza  n.  401  del
2007).». Tale disposizione si pone quindi in palese violazione  degli
articoli 117, comma 3, e 118, in materia di urbanistica  nonche'  del
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    Quanto  al  comma  3  dell'art.  38,  esso  modifica  il  decreto
legislativo n. 152/2006, che attribuiva al Ministero dell'ambiente la
competenza al rilascio del provvedimento di VIA solo per  i  progetti
off-shore, cioe' relativi ad  attivita'  di  prospezione,  ricerca  e
coltivazione  in  mare  e  sottrae  integralmente   alla   competenza
regionale della VIA i progetti relativi ad attivita' di  coltivazione
sulla terraferma  degli  idrocarburi  liquidi  e  gassosi.  A  questo
riguardo occorre precisare che la valutazione di  impatto  ambientale
costituisce indubbiamente una materia «intrinsecamente  trasversale»,
essendo  correlata  in  modo  piu'  che  rilevante  al  governo   del
territorio e alla valorizzazione dei beni  culturali  ed  ambientali,
entrambi aspetti affidati alla competenza concorrente. Questa  ecc.ma
Corte ha infatti evidenziato: «La  materia  tutela  dell'ambiente  ha
natura intrinsecamente trasversale, con la conseguenza che, in ordine
alla stessa, si manifestano competenze diverse che ben possono essere
anche di tipo regionale. La trasversalita' della materia  emerge  con
particolare  evidenza  con  riguardo  alla   valutazione   ambientale
strategica,  che  abbraccia  anche  settori  di   sicura   competenza
regionale» (sentenza n. 398 del 2006). Peraltro, alle regioni  e'  in
ogni  caso  riconosciuta,  come  chiarito  da  questa  ecc.ma  Corte,
nell'esercizio delle loro competenze che interferiscano con la tutela
dell'ambiente, la potesta' di determinare una elevazione degli stessi
(sent. n. 93 del 2013). Gia' prima della riforma  del  titolo  V  del
2001 il decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile  del  1996,
recante «Atto di indirizzo e coordinamento per l'attuazione dell'art.
40, comma 1, della legge n. 146 del 1994, concernente disposizioni in
materia di valutazione di impatto ambientale»,  stabiliva  criteri  e
norme tecniche per l'applicazione della procedura di  VIA  a  livello
regionale e prevedeva che le regioni stesse, attraverso  l'emanazione
di proprie leggi e regolamenti,  implementassero  e  integrassero  la
normativa nazionale della valutazione di impatto ambientale. Inoltre,
in forza dell'art. 71 del decreto legislativo n. 112 del 1999,  molte
categorie di  progetti  rientrarono  nella  competenza  regionale,  a
condizione che queste ultime provvedessero all'adozione di una mirata
e specifica normativa in materia  di  VIA.  La  competenza  regionale
quanto al procedimento di VIA e' stata poi confermata dal testo unico
ambiente, in base al quale le regioni sono tenute, per  un  verso,  a
rispettare i livelli uniformi di tutela apprestati  in  materia,  per
l'altro,  a  mantenere  la  propria  legislazione  negli  ambiti   di
competenza fissati dal testo unico ambiente. In particolare, in  base
all'art. 7, comma 4, del testo unico ambiente, «sono sottoposti a VIA
secondo le disposizioni delle leggi regionali i progetti di cui  agli
allegati III e IV al decreto legislativo n. 152 del 2006».  Il  comma
3, pertanto, sottraendo ora integralmente alla  competenza  regionale
della VIA i progetti relativi  ad  attivita'  di  coltivazione  sulla
terraferma degli idrocarburi liquidi e gassosi, all'evidente scopo di
ridurre la tutela ambientale in  ambiti  strettamente  connessi  alle
competenze regionali, determina una violazione degli articoli 117,  3
e 4 comma, e 118  della  Costituzione  in  materia  di  tutela  della
salute, governo del territorio, protezione civile, valorizzazione dei
beni culturali e ambientali, produzione di energia. 
    Ma non solo. 
    Il successivo comma 4 stabilisce che le procedure di  valutazione
di impatto ambientale per la prospezione, ricerca e  coltivazione  di
idrocarburi a terra che siano state avviate  dalla  regione,  se  non
completate entro il 31 marzo 2015 debbano essere avocate dallo  Stato
e  trasmesse   automaticamente   al   Ministero   dell'ambiente.   Il
legislatore statale pretende quindi che i procedimenti di VIA avviati
dalla regione, sulla base di norme diverse per ogni amministrazione e
che quindi prevedono modalita' diverse di svolgimento e di assunzione
delle decisioni finali abbiano a cessare «per decorrenza dei termini»
passando automaticamente nella mani del Ministero dell'ambiente. 
    Quanto previsto avra' come conseguenze un forte  e  irragionevole
aggravio del lavoro  della  Commissione  VIA  nazionale:  infatti,  a
quanto risulta dai dati ufficiali, sono 173 i progetti  a  terra  che
con l'attuale legislazione, devono  ottenere  la  VIA  regionale  (68
istanze di permessi di ricerca, 96 permessi di ricerca, 9 istanze  di
concessione a coltivazione). Si tratta  quindi  di  una  disposizione
sulla quale non solo si riflettono, per gli stessi motivi esposti, le
censure dedotte in relazione al comma 3 del medesimo articolo, ma  si
rispetto   alla   quale   si   evidenzia   un'ulteriore   vizio    di
irragionevolezza e di difetto di proporzionalita', ex articoli 3 e 97
Cost., anche conseguente al carattere retroattivo della disposizione,
attuata anche in questo caso in violazione  del  principio  di  leale
collaborazione e con una evidente ricaduta  sulle  prime  evidenziate
competenze regionali. 
    Quanto al comma 5,  che  prevede  l'introduzione  di  un  «titolo
concessorio unico» in luogo  di  due  titoli  distinti  (permesso  di
ricerca e concessione di coltivazione), rilasciato  con  decreto  del
Ministro dello sviluppo economico sulla base di un programma generale
di lavori articolato nelle fase di ricerca, fase  di  coltivazione  e
fase di ripristino, esso supera la tradizionale  distinzione  tra  le
fasi di prospezione, ricerca e coltivazione di  idrocarburi  prevista
dalle leggi n. 9/1991, n.  239/2004  e  dal  decreto  legislativo  n.
625/1996  -  che  costituisce  peraltro  attuazione  della  direttiva
94/22/CE. Infatti, in base a tali disposizioni (art. 8, comma 1,  del
decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 484;  art.
6, comma 4, della legge n. 9/1991, nonche', per la terraferma, l'art.
1, comma 7, lettera n)  della  legge  n.  239/2004)  il  permesso  di
ricerca e' rilasciato a seguito di un  procedimento  unico  al  quale
partecipano  le   amministrazioni   statali,   regionali   e   locali
interessate (art. 1, commi 77 e 79 della legge  n.  239/2004),  e  in
esso  il  permissionario   s'impegna   ad   effettuare   lavori   per
l'individuazione di  un  eventuale  giacimento  coltivabile  presente
nell'area richiesta. Le operazioni ammesse sul campo e descritte  nel
programma dei lavori approvato all'atto del rilascio,  sono  ricerche
geofisiche e perforazioni di ricerca.  In  caso  di  ritrovamenti  di
idrocarburi possono essere anche ammesse delle  produzioni,  ma  solo
strettamente finalizzate alle valutazioni del giacimento e  dei  suoi
prodotti,  essenziali  per  la   richiesta   della   concessione   di
coltivazione. La concessione di coltivazione e' invece l'atto con cui
al concessionario, a seguito di un  ritrovamento  positivo  che  egli
stesso ha ottenuto, e' dato il diritto di  produrre  in  base  ad  un
programma di sviluppo del giacimento approvato all'atto del  rilascio
della concessione. L'attivita' principale  nella  concessione  e'  la
coltivazione del giacimento, cioe' la produzione, con l'obiettivo  di
massimizzarla. Nella nuova disciplina, invece,  i  poteri  concessori
vengono  attribuiti  ben  prima  della  dimostrazione   dell'utilita'
generale, in quanto non  e'  ancora  stato  scoperto  il  giacimento;
inoltre il contenuto  del  programma  dei  lavori,  che  deve  essere
predisposto prima dell'attivita'  di  ricerca,  difficilmente  potra'
specificare in maniera puntuale le  singole  aree  interessate  dalla
ricerca e successiva coltivazione (cfr. allegato n. 1 dossier Senato,
pag. 593, dove si rileva questa incongruenza).  Si  evidenzia  quindi
l'irragionevolezza dell'intera disciplina con violazione dell'art.  3
Cost. e la conseguente lesione delle  prerogative  regionali  di  cui
all'art. 117, comma 3 e 4 della Costituzione in  materia  di  governo
del territorio, protezione civile, valorizzazione dei beni  culturali
e ambientali, produzione di energia. 
    Quanto al comma 6, laddove prevede che il titolo  concessorio  e'
accordato (lettera  b)  con  decreto  del  Ministero  dello  sviluppo
economico, sentita la Commissione per gli idrocarburi  e  le  risorse
minerarie e le sezioni territoriali dell'Ufficio nazionale  minerario
idrocarburi  e  georisorse,  solo  d'intesa,  e  unicamente  per   le
attivita' da svolgere in terraferma, con la regione  territorialmente
interessata, esso determina  una  retrocessione  della  posizione  in
precedenza garantita  alla  regione.  Infatti,  la  disciplina  prima
prevista dall'art. 1,  commi  78,  82-ter  della  legge  n.  239/2004
disponeva che riguardo  alle  attivita'  su  terraferma  il  suddetto
decreto fosse rilasciato a seguito di un procedimento unico al  quale
partecipano le amministrazioni statali e  regionali  interessate.  La
regione quindi aveva (anche in base alla  interpretazione  deducibile
dalla citata sentenza n. 6 del  2004  di  questa  ecc.ma  Corte)  una
posizione forte,  che  non  risulta  piu'  prevista  nella  normativa
impugnata che non configura l'intesa «nel senso che  il  suo  mancato
raggiungimento costituisce ostacolo insuperabile alla conclusione del
procedimento». La mera previsione di una Conferenza di servizi di cui
alla lettera a) del comma 6 non implica invece analoga  garanzia.  In
ogni caso l'intesa e' esclusa quando si tratti di attivita'  in  mare
(a differenza della citata previgente normativa che invece  prevedeva
che la concessione di coltivazione di idrocarburi liquidi  e  gassosi
fosse in ogni caso rilasciata a seguito di un procedimento  unico  al
quale partecipavano anche le amministrazioni regionali e locali).  La
disposizione risulta pertanto violare gli articoli 117, commi 3 e  4,
e 118 della Costituzione in materia di tutela della  salute,  governo
del territorio, protezione civile, valorizzazione dei beni  culturali
e ambientali, produzione di energia, nonche' il  principio  di  leale
collaborazione di cui all'art. 120 Cost. Inoltre, la  previsione  che
la valutazione ambientale del programma complessivo dei  lavori  «sia
espressa, entro sessanta giorni, con parere della commissione tecnica
di   verifica   dell'impatto   ambientale   VIA/VAS   del   Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare» espropria  le
regione delle proprie competenze in materia di VIA: si  ripropongono,
pertanto, al riguardo le stesse censure esposte in relazione al comma
4 dell'art. 38. 
    Quanto al comma 8, che dispone l'applicazione delle  nuove  norme
sul   titolo   concessorio   unico   anche   ai   titoli   rilasciati
successivamente alla data di entrata in vigore del Codice  ambientale
e ai procedimenti in corso, si tratta di una disposizione nella quale
si riflettono le censure precedentemente  esposte,  cui  si  aggiunge
quella della violazione del principio di  ragionevolezza  ex  art.  3
Cost. stante l'effetto retroattivo  che  ridonda  in  una  violazione
delle competenze regionali in precedenza indicate in riferimento alla
nuova disciplina dei titoli abilitativi. 
    Quanto infine al comma 10, e' utile  premettere  che  secondo  le
valutazioni dello stesso MISE  nei  nostri  fondali  marini  esistono
circa 10 milioni di tonnellate di  petrolio  di  riserve  certe,  che
stando ai consumi attuali, coprirebbero il fabbisogno  nazionale  per
soli 2 mesi; quanto alle riserve certe di Gas presenti  nei  fondali,
queste ammontano complessivamente a 33,1 miliardi di Gmc, a fronte di
un fabbisogno annuo (dato 2013) di oltre 70 mld di  Gmc:  portando  a
intero esaurimento queste riserve di Gas  si  riuscirebbe  a  coprire
quindi il fabbisogno annuo per meno di 6 mesi  (cfr,  allegato  n.  2
dossier MISE, pag. 35). Cio' premesso,  al  fine  di  evidenziare,  i
profili di incostituzionalita' della disposizione impugnata, e' utile
ricordare che la legge n. 179/2002 all'art. 26 «Disposizioni relative
a Venezia e Chioggia», comma 2, a fronte  di  accertati  fenomeni  di
subsidenza,  ha  esteso  il  divieto  di   prospezione,   ricerca   e
coltivazione alle acque del Golfo di  Venezia,  nel  tratto  di  mare
compreso tra parallelo passante per la foce del fiume  Tagliamento  e
il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume  Po.  E'
poi seguito il decreto-legge n. 112/2008 che all'art. 8, comma 1,  ha
stabilito che: «Il divieto di prospezione, ricerca e coltivazione  di
idrocarburi nelle acque del golfo di Venezia, di cui all'art. 4 della
legge 9 gennaio 1991, n. 9, come modificata dall'art. 26 della  legge
31 luglio 2002, n. 179, si applica fino a  quando  il  Consiglio  dei
ministri, d'intesa con la regione Veneto, su  proposta  del  Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio e  del  mare,  non  abbia
definitivamente accertato la non sussistenza di  rischi  apprezzabili
di subsidenza sulle coste, sulla base di nuovi  e  aggiornati  studi,
che dovranno essere presentati dai titolari di permessi di ricerca  e
delle  concessioni  di  coltivazione,   utilizzando   i   metodi   di
valutazione piu'  conservativi  e  prevedendo  l'uso  delle  migliori
tecnologie   disponibili   per   la   coltivazione.».    Senza    che
l'accertamento   di   questa   definitiva   inesistenza   di   rischi
apprezzabili di subsidenza delle coste sia mai stata accertata  (anzi
la  regione  Veneto  interviene  sovente  a  stanziare  risorse   per
fronteggiare questo fenomeno - cfr.  solo  a  titolo  esemplificativo
allegato n. 3 DGR n. 180 del 27 febbraio 2014 - che ha portato  nella
zona del Polesine a fenomeni di abbassamento  dei  terreni  anche  in
termini di metri), il comma  10  legittima,  anche  in  queste  aree,
l'attivita' di ricerca e coltivazione di idrocarburi nella  forma  di
progetti sperimentali. La disposizione impugnata trasforma,  infatti,
gli studi  che  dovevano  essere  portati  a  termine  dal  Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare  in  «progetti
sperimentali  di  coltivazione»,  soggetti  al  regime   dei   titoli
abilitativi accelerati cui allo stesso art.  38,  da  portare  avanti
sotto il controllo del  Ministero  dello  sviluppo  economico  e  del
Ministero dell'ambiente. In modo del tutto contraddittorio,  infatti,
nella  relazione  al  decreto-legge  n.  133/2014,  con  riguardo  al
suddetto comma si afferma: «L'obiettivo  e'  la  realizzazione  degli
studi  volti  a  escludere   rischi   apprezzabili   di   subsidenza,
permettendo cosi' di acquisire i dati necessari  per  il  superamento
dell'attuale blocco delle attivita' in alcune aree, stabilito proprio
in attesa di acquisire i risultati di tali studi per la ripresa delle
attivita'  di  produzione  interrotte  nel  2002.  Tale  disposizione
permettera'  di  sviluppare  nuove  tecnologie  nazionali,  garantire
produzioni significative di gas  (oltre  un  miliardo  di  Smc/anno),
effettuare importanti investimenti  privati  con  rilevanti  ricadute
occupazionali e monitorare lo svolgimento delle attivita'  estrattive
gia' in corso in aree limitrofe ad opera di Paesi  frontisti».  Delle
due l'una: o lo scopo e' realizzare gli studi (e  quindi  logicamente
si dovrebbe attendere quanto previsto originariamente dall'art. 8 del
decreto-legge n. 112/2008 o in ogni caso ci si dovrebbe riservare una
grande prudenza nel prospettare lo sbocco delle attivita') o lo scopo
e'  piuttosto  quello  di  soprassedere  alla  esigenza   di   tutela
ambientale  del  territorio  italiano  e  sboccare   l'attivita'   di
coltivazione per  garantire  «produzioni  significative  di  gas»  ed
effettuare «importanti investimenti privati». I due scopi, antitetici
fra  di  loro,   vengono   invece   artatamente   sovrapposti   dalla
disposizione   impugnata,   rendendo   evidente   l'intenzione    del
legislatore statale di sacrificare il  primo  scopo  al  secondo.  In
questi termini, da un lato,  la  finalita'  economico-finanziaria  di
«assicurare  il  relativo  gettito  fiscale  allo  Stato»,  viene   a
prevalere decisamente su beni primari come la  tutela  dell'ambiente,
dell'integrita' del territorio nazionale, della tutela  della  salute
e, dall'altro, vengano esautorate le  competenze  della  regione  del
Veneto, in particolare svilendo la partecipazione  della  stessa  che
non si vedrebbe piu' quale interlocutrice dello Stato in  termini  di
intesa (che considerando gli interessi regionali  in  gioco  dovrebbe
essere del tipo «forte», cfr. al riguardo la gia' citata sent. n.  39
del 2013), dovendo, invece, solo essere sentita. La  nuova  effettiva
finalizzazione teleologica della disciplina emerge,  peraltro,  anche
dal coinvolgimento  del  MISE,  mentre  in  precedenza  era  solo  al
Ministero dell'ambiente che facevano capo gli  studi  sui  rischi  di
subsidenza  legati  alle  attivita'   di   prospezione,   ricerca   e
coltivazione  di  idrocarburi  nell'Alto  Adriatico.  Per  motivi  di
gettito fiscale, si espone quindi, irragionevolmente e senza rispetto
del principio  di  proporzionalita',  il  territorio  italiano  e  in
particolare quello  della  regione  Veneto  (e  delle  altre  regioni
soggette al fenomeno della subsidenza, con conseguente lesione  anche
dell'integrita'  territoriale  del  demanio   regionale)   a   rischi
gravissimi in relazione proprio a quelle attivita'  che  erano  state
giustificatamente interdette per motivi ambientali, di  tutela  della
salute e di protezione civile in questa delicatissima  zona,  le  cui
esigenze di tutela la legislazione statale in altre occasioni, non ha
mancato di rilevare (si pensi a tutta la legislazione a tutela  della
Laguna di Venezia a partire gia' dalla legge  n.  294/1956  e  quindi
dalla legge n. 171/1973  e  seguenti).  Tutto  questo  nonostante  le
evidenze del fenomeno. Ad esempio secondo i dati Arpa (allegato n. 4)
il  litorale  ravennate  (dove  e'  presente   un'intensa   attivita'
estrattiva offshore), presenta abbassamenti generalmente fino a circa
5 mm/anno,  con  alcune  aree  piu'  critiche  come  l'area  costiera
compresa tra il Lido Adriano e la foce del Bevano  che  presenta  una
depressione piu' importante, facendo registrare un abbassamento  pari
a 20 mm/anno in corrispondenza della foce dei Fiumi  Uniti.  Inoltre,
un  ulteriore  profilo  di  irragionevolezza  e  di  violazione   del
principio  di  proporzionalita'   della   disciplina   si   evidenzia
considerando  che  la   disposizione   prevede   una   durata   della
sperimentazione che puo' arrivare a ben cinque anni, al termine della
quale - precisa la  norma  -  «qualora  al  termine  del  periodo  di
validita' dell'autorizzazione  accertato  che  l'attivita'  e'  stata
condotta senza effetti  di  subsidenza  dell'attivita'  sulla  costa,
nonche'  sull'equilibrio   dell'ecosistema   e   sugli   insediamenti
antropici, il periodo di sperimentazione puo'  essere  prorogato  per
ulteriori  cinque  anni,  applicando   le   medesime   procedure   di
controllo». Si tratta di un periodo di  tempo  eccessivamente  lungo,
durante il quale possono essere stati prodotti effetti  irreversibili
proprio sull'ecosistema e  sugli  insediamenti  antropici:  il  fatto
stesso che  la  norma  ritenga  perlomeno  necessario  stabilire  una
verifica ex post, dimostra evidentemente i controlli ex ante previsti
dalla norma non sono in grado  di  escludere  il  pericolo  di  danni
ambientali. 
    Da questo punto di vista la disciplina introdotta dal comma 10 si
pone in contrasto con  l'art.  191  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea, ove e'  fissato  il  principio  di  precauzione,
disatteso nella specie  attraverso  la  legittimazione  di  attivita'
economica in assenza di una piena certezza  scientifica  e  di  prove
sufficienti a  dimostrare  l'inesistenza  di  un  nesso  causale  tra
l'esercizio di talune attivita' e gli effetti nocivi sull'ambiente  e
sul  territorio.  Il  bene  ambiente  e'  esposto  infatti   ad   una
possibilita' di danno che non potrebbe essere adeguatamente  riparato
attraverso  un  intervento  successivo,   in   considerazione   della
dimensione spaziale e temporale e della diffusivita'  dei  potenziali
eventi dannosi. Al  riguardo  va  anche  ricordata  la  comunicazione
1/2000 (COM(2000) 1 final del 2 febbraio 2000) dove la commissione ha
chiarito che si deve fare ricorso al principio di precauzione  quando
«le informazioni scientifiche sono insufficienti,  non  conclusive  o
incerte e vi sono indicazioni che i possibili effetti sull'ambiente e
sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante possono
essere potenzialmente pericolosi e incompatibili con  il  livello  di
protezione  prescelto».  Cosi'  come   deve   essere   ricordata   la
giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia,  che  ha  stabilito   le
autorita' pubbliche, pur in presenza di incertezze scientifiche, sono
tenute all'adozione di misure appropriate al fine di prevenire taluni
rischi potenziali per l'ambiente, facendo cosi' prevalere le esigenze
connesse alla protezione di tali interessi nei  confronti  di  quelli
economici  (Corte  di  giustizia,  sentenza  5  maggio  1998,   causa
C-180/96) e ancora (Corte  di  giustizia,  7  settembre  2004,  causa
C-127/02) che tenuto conto del principio di precauzione,  un  rischio
di pregiudizio sussiste quando non puo' essere escluso, sulla base di
elementi obiettivi, che il piano o il progetto pregiudichino in  modo
significativo il sito interessato. Cio' implica che in caso di dubbio
(e in questo caso l'esistenza di  rischi  di  subsistenza  era  stata
proprio affermata dal legislatore statale con le citate  disposizioni
del 2002 e del 2008  ora  irragionevolmente  superate),  quanto  alla
mancanza  di  effetti  significativi,  vada   effettuata   una   tale
valutazione proprio allo scopo di  evitare  che  vengano  autorizzati
piani o progetti in  grado  di  pregiudicare  l'integrita'  del  sito
interessato. 
    Il comma 10 risulta pertanto, in contrasto con gli articoli 11  e
117,  I  comma,  Cost.  nonche',  avendo   il   legislatore   statale
sacrificato rilevantissimi interessi in gioco senza  aver  effettuato
un  (perlomeno   adeguato)   bilanciamento,   con   i   principi   di
proporzionalita' e di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.,  e  con
gli articoli 9, 32 e 97 Cost., con una ripercussione sulle competenze
regionali, che risultano violate  anche  direttamente,  previste  dai
commi 3 e 4 dell'art. 117 Cost. in materia di  tutela  della  salute,
governo del territorio, protezione civile,  valorizzazione  dei  beni
culturali e ambientali, produzione di energia, turismo; oltre a porsi
in contrasto con l'art. 119, comma 6, per la  lesione  all'integrita'
del  demanio  regionale,  nonche'   con   il   principio   di   leale
collaborazione di cui all'art. 120 Cost., dal momento che prevede che
sia solo sentita la regione, senza una forma di intesa, che  peraltro
ai sensi della citata giurisprudenza di questa ecc.ma Corte  relativa
alla materia concorrente produzione dell'energia, nel caso di specie,
considerando gli interessi regionali in gioco, dovrebbe  configurarsi
come intesa forte. 
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 42 comma 1, per violazione
degli articoli  3,  77,  117,  III  comma,  119,  Costituzione  e  il
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Costituzione. 
    L'art. 42, al comma 1, in relazione al  contributo  alla  finanza
pubblica delle regioni a statuto ordinario  gia'  disposto  dall'art.
46, commi 6 e 7 del decreto-legge n. 66 del 2014 (rispetto  ai  quali
la regione Veneto ha provveduto, con la DGR n.  1322  del  28  luglio
2014, a proporre ricorso in via principale) ha anticipato in modo del
tutto arbitrario e irragionevole, senza peraltro che esistesse  alcun
reale presupposto di necessita' e  urgenza,  dal  31  ottobre  al  31
settembre 2014, il termine originariamente previsto per l'intesa  sul
riparto dei tagli in  Conferenza  Stato-regioni.  Tale  disposizione,
entrata in vigore il 13 settembre  2014,  ha  quindi  improvvisamente
anticipato di un mese la scadenza originariamente prevista e ha  reso
quindi impossibile di fatto il raggiungimento di una delicatissima  e
rilevante  intesa  diretta  a  permettere  di   evitare,   attraverso
l'autocoordinamento regionale, l'applicazione del criterio di riparto
stabilito dal comma 6,  che  individua  come  criteri  il  Pil  e  la
popolazione residente (criterio particolarmente penalizzante  per  la
regione Veneto). Se come questa ecc.ma Corte ha ribadito «costituisce
un  insuperabile   motivo   di   illegittimita'   costituzionale   la
predeterminazione di un termine irragionevolmente  breve»  (sent.  n.
274 del 2013) (che nel caso di specie era di 60 giorni) in  relazione
a complesse questioni, appare del tutto evidente,  in  una  questione
come quella in oggetto, dove in cui gioco erano i criteri di  riparto
di un taglio di 750 ml di euro per ciascuno degli anni  dal  2015  al
2018, l'arbitrarieta' e l'irragionevolezza della disposizione che  ha
improvvisamente ridotto il termine a 17 giorni,  rendendo  quindi  di
fatto impossibile l'intesa, probabilmente solo allo  scopo  di  poter
presentare gia' in sede di disegno di legge di stabilita' (presentato
in data 23 ottobre  2014)  una  piena  contabilizzazione  del  taglio
relativo all'anno 2015. 
    La suddetta disposizione si pone pertanto  in  contrasto  con  un
corretto e leale esercizio  della  funzione  di  coordinamento  della
finanza pubblica di cui all'art. 117, III comma,  Cost,  nonche'  con
gli articoli 3 e 77 Cost.  la  cui  violazione  ridonda  sulla  sfera
costituzionalmente garantita alla regione dagli articoli 117,  III  e
IV  comma,  e  119  comma,  Cost.  riflettendosi   sul   livello   di
finanziamento delle funzioni regionali, nonche' con il  principio  di
leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
 
                              P. Q. M. 
 
    La regione del Veneto chiede che  l'ecc.ma  Corte  costituzionale
dichiari l'illegittimita' costituzionale delle seguenti  disposizioni
del decreto-legge 12  settembre  2014,  n.  133,  intitolato  «Misure
urgenti per l'apertura dei cantieri,  la  realizzazione  delle  opere
pubbliche,  la  digitalizzazione  del   Paese,   la   semplificazione
burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la  ripresa
delle attivita'  produttive»,  come  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 (in supplemento ordinario n. 85,
relativo alla Gazzetta Ufficiale 11 novembre 2014, n. 262): 
    art. 17, comma 1, lettera G, per violazione degli articoli 3, 23,
117, commi 3 e 4, 118, 119, 120 della Costituzione; 
    art. 35, commi 1, 2, 3, 4, 5, 8 e 9 per violazione degli articoli
3, 11, 117, commi 1, 3 e 4, 118, 119 e 120 della Costituzione; 
    art. 38, commi 1, 1-bis, 2, 3, 4, 5, 6, 8 e 10, violazione  degli
articoli 3, 9, 32, 11, 97, 117, I, III e  IV  comma,  118,  119,  120
della Costituzione; 
    art. 42, comma 1, per violazione degli articoli 3, 77,  117,  III
comma, 119, Costituzione e il principio di  leale  collaborazione  di
cui all'art. 120 Costituzione. 
    Si depositano: 
    1) delibera della giunta regionale n. 2470 del 23 dicembre  2014,
di autorizzazione a proporre ricorso e affidamento  dell'incarico  di
patrocinio per la difesa regionale; 
    2) allegato n. 1 dossier Senato, pag. 593; 
    3) allegato n. 2 dossier MISE; 
    4) allegato n. 3 DGR n. 180 del 27 febbraio 2014; 
    5) allegato n. 4 dati Arpa. 
          Venezia-Roma, 9 gennaio 2014 
 
                          L'avvocato: Zanon 
 
 
                   L'avvocato professore: Antonini 
 
 
                          L'avvocato: Manzi