N. 20 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 novembre 2014

Ordinanza del 10 novembre 2014 del Tribunale dei minorenni di  Napoli
sul ricorso proposto da M.G. e D.D.A.. 
 
Procedimento civile - Ricorso degli ascendenti per far valere il loro
  diritto a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni -
  Adozione dei provvedimenti piu' idonei nell'esclusivo interesse del
  minore - Competenza del tribunale per  i  minorenni,  anziche'  del
  tribunale ordinario - Eccesso di delega -  Esorbitanza  dai  limiti
  della revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione
  - Irragionevolezza sotto piu' profili - Lesione  del  principio  di
  concentrazione processuale (segnatamente nelle ipotesi di  pendenza
  dinanzi al tribunale ordinario del giudizio di  separazione  tra  i
  coniugi o del procedimento per far valere il diritto del minore  ai
  rapporti con i nonni). 
- Disposizioni di attuazione del codice civile, art. 38, primo comma,
  come modificato dall'art.  96,  comma  1,  lett.  c),  del  decreto
  legislativo 28 dicembre 2013, n. 154. 
- Costituzione, artt. 3, 76, 77 e 111; legge  10  dicembre  2012,  n.
  219, art. 2, comma 1, lett. p). 
(GU n.9 del 4-3-2015 )
 
               IL TRIBUNALE PER I MINORENNI DI NAPOLI 
 
    riunito in camera di consiglio in persona dei magistrati: 
        A. Cirillo presidente relatore N.303\2014 V.G. 
        N. Ramadan B. giudice N. 5566/14 Cron. 
        A. Vitiello componente privato 
        C. Tucci componente privato 
    letti gli atti della procedura relativa alla minore M. G., nata a
S. G. a C. il , di F. e di A. C. , ha emesso la seguente 
 
        ORDINANZA DI SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO E TRASMISSIONE 
                DEGLI ATTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Premesso in fatto 
    I ricorrenti sono genitori di M. F. , padre della piccola G. 
    Con  l'atto   introduttivo   del   procedimento   premettono   la
sussistenza di una causa di separazione di fatto tra il figlio  e  la
nuora, rappresentano che quest'ultima, dal novembre del 2011,  si  e'
resa irreperibile insieme con la bambina, che ha denunciato il  padre
della minore per abusi sessuali in danno della figlioletta,  chiedono
pertanto al  tribunale,  a  mente  dell'art.  317  bis  cc  novellato
dall'art.42 DLGS 154\2013, di  adottare  i  provvedimenti  idonei  ad
assicurare  loro  significativi  rapporti  di  frequentazione  e   di
incontro con la piccola G. con previsione di modalita' e tempi. 
    Presenti  i  ricorrenti,  all'udienza  del  14.10.2014,   si   e'
costituita C. A., madre della minore che, nel ripercorrere le vicende
esposte, ha precisato che il padre della minore e'  stato  condannato
alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione  oltre  alle  pene
accessorie per la  condotta  di  violenza  sessuale  in  danno  della
figlia,  precisando  altresi'  che  risulta  pendente   giudizio   di
separazione. 
 
                               Osserva 
 
    Il Tribunale giudica rilevante e non manifestamente infondata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 38, comma I, disp.
att. c.c. (come modificato dall'art. 96,  comma  1,  lett.  c)  nella
parte in cui prevede che «sono, altresi', di competenza del tribunale
per i minorenni i provvedimenti  contemplati  dagli  articoli  251  e
317-bis del codice civile», limitatamente alla parte in  cui  include
l'art. 317-bis, per violazione degli artt. 76,  77  e  3,  111  della
Costituzione, gia' sollevata dal tribunale per i minorenni di Bologna
con ordinanza 2  -  5.  maggio  2014,  alla  quale  integralmente  si
riporta. 
    [1]. In punto di  rilevanza,  la  questione  e'  da  considerarsi
senz'altro rilevante. Il d.lgs. 28 dicembre 2013 n. 154,  con  l'art.
42, ha introdotto, nell'art. 317-bis c.c.,  la  legittimazione  degli
ascendenti a promuovere un giudizio per far valere il loro diritto di
mantenere   rapporti   significativi   con   i   nipoti    minorenni.
Contestualmente, il medesimo saggio normativo, con l'art.  96,  comma
I, lett. c., ha modificato  l'art.  38,  comma  I,  disp.  att.  c.c.
inserendo,  nell'ambito  della  competenza  del   tribunale   per   i
minorenni, anche il procedimento su accennato,  disegnato  nel  nuovo
art. 317-bis c.c. La questione  e',  dunque,  rilevante  perche',  in
difetto della previsione qui censurata, la controversia  non  sarebbe
di competenza del tribunale minorile, bensi' del tribunale ordinario.
Dalla  soluzione  della  questione,  pertanto,  dipende  la  potestas
decidendi di questo ufficio (primo profilo di censura: artt.  76,  77
Cost.). Sotto un altro angolo visuale, se la  previsione  consentisse
il cumulo processuale con il giudizio di  separazione  ove  pendente,
nel caso di specie il ricorso avrebbe dovuto  essere  introdotto  nel
giudizio separativo che pende dinanzi al tribunale di  Napoli  e  non
dinanzi a questo ufficio: ne seguirebbe una declaratoria in rito  per
dovere essere la casa riproposta dinanzi al giudice che sta trattando
la separazione.  Anche  in  questo  caso,  dunque,  la  questione  e'
rilevante (secondo profilo di censura: artt. 3, 111 Cost.). 
    [2].   In    punto    di    ammissibilita'    della    questione,
un'interpretazione adeguatrice risulta infruttuosa. E' noto a  questo
tribunale che  tra  i  diversi  significati  giuridici  astrattamente
possibili il giudice deve selezionare quello che  sia  conforme  alla
Costituzione; il sospetto di illegittimita' costituzionale,  infatti,
e'  legittimo  solo  allorquando  nessuno  dei  significati,  che  e'
possibile estrapolare dalla disposizione normativa, si sottragga alle
censure di incostituzionalita' (Corte Cost., 12 marzo 1999, n, 65  in
Cons. Stato, 1999, II, 366). E, tuttavia, se e' vero che in linea  di
principio,  le  leggi  si  dichiarano  incostituzionali  perche'   e'
impossibile darne interpretazioni "secundum Constitutionem" e non  in
quanto sia possibile darne interpretazioni incostituzionali, e' anche
vero che esiste  un  preciso  limite  all'esperimento  del  tentativo
salvifico della norma a livello  ermeneutico:  il  giudice  non  puo'
"piegare la disposizione fino a  spezzarne  il  legame  con  il  dato
letterale". Ed, in tal senso, di  fatto,  vi  sarebbe  il  rischio  -
dinnanzi ad una redazione cosi' chiara della norma - di invadere  una
competenza che al giudice odierno non compete, se non  altro  perche'
altri organi, nell'impalcatura  Costituzionale  (come  l'adita  Corte
delle Leggi), sono deputati ad  espletare  talune  funzioni  ad  essi
esclusivamente riservate. Ma vi' e' di piu': l'interpretatio secundum
constitutionem presuppone, indefettibilmente,  che  l'interpretazione
"altra" sia  "possibile",  cioe',  praticabile:  differentemente,  si
creerebbe un vulnus alla certezza del diritto poiche' anche  dinnanzi
a norme "chiare" ogni giudicante adito potrebbe  offrire  uno  spunto
interpretativo diverso. Svolte le  considerazioni  riportate,  reputa
l'odierno giudicante che il dato normativo non si possa  prestare  ad
interpretazioni diverse da quella emergente dalla  mera  lettura  del
testo. Rimane, pertanto infruttuoso il doveroso  tentativo  da  parte
dell'odierno giudice di  individuare  un'interpretazione  compatibile
con la Costituzione (Corte Cost.  ord.  427/2005;  ord.  n.  306  del
2005). 
    [3]. Cosi' introdotta, nel  rito,  la  questione  sollevata,  nel
merito la  disposizione  e'  sospettata  di  incostituzionalita'  per
violazione degli artt. 76, 111 e 3, 111 della  Carta  Costituzionale,
sub specie di eccesso di delega  legislativa.  L'introduzione  di  un
diritto di azione in capo agli ascendenti costituisce  l'applicazione
del criterio dettato all'articolo 2, comma 1, lettera p), della legge
delega (legge 219/2012), con il quale si attribuisce  al  legislatore
delegato  il  compito  di  disciplinare  "la   legittimazione   degli
ascendenti  a  far  valere   il   diritto   di   mantenere   rapporti
significativi  con  i  nipoti";  il  criterio  e'  attuato   mediante
sostituzione dell'articolo 317-bis c.c. in cui ora si prevede che «l.
Gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi  con
i nipoti minorenni. 2. L'ascendente al quale e' impedito  l'esercizio
di tale diritto puo' ricorrere al  giudice  del  luogo  di  residenza
abituale del minore affinche' siano  adottati  i  provvedimenti  piu'
idonei nell'esclusivo interesse del  minore.  Si  applica  l'articolo
336, secondo comma». 
    Il Legislatore delegato, tuttavia, introduce anche  una  modifica
di diritto processuale in seno all'art. 38 disp. att. c.c. prevedendo
che «sono, altresi', di competenza del tribunale per  i  minorenni  i
provvedimenti contemplati dagli articoli 251  e  317-bis  del  codice
civile».  La  competenza  per  tali  procedimenti  e'  attribuita  al
Tribunale   per   i   minorenni   «in    ossequio    all'orientamento
giurisprudenziale   dominante   che   riconduce   tali   controversie
nell'alveo dell'articolo 333 c.c. (cfr. Cassazione, 24 febbraio 1981,
n. 1115; Cassazione, 17 giugno 2009, n. 14091)» (in  questi  termini,
la relazione illustrativa della Commissione cd. Bianca, addetta  alla
redazione del testo normativo). 
    Reputa il tribunale che la scelta del legislatore delegato si sia
posta in stridente contrasto con  la  delega  legislativa,  eccedendo
dalla cornice disegnata dalla legge delega. Deve  ritenersi  che  non
spettava al legislatore  delegato  di  legiferare  sulla  competenza,
registrandosi, consequenzialmente, sul punto, una norma  da  ritenere
viziata  da  illegittimita'  costituzionale  per  eccesso  di  delega
legislativa per violazione degli artt. 76 e 77 Cost;  vizio  genetico
che appare particolarmente consistente dove si prenda atto del  fatto
che, gli stessi compilatori,  davano  atto  di  un  acceso  dibattito
giurisprudenziale attorno alla natura  delle  statuizioni  regolative
del diritto dei nonni a frequentare i nipoti; quanto doveva indurre a
rimettere agli interpreti o al legislatore futuro, un  intervento  ad
hoc per dirimere la controversia. E' vero, infatti, che  secondo  una
certa opinione le controversie de quibus rientrerebbero nell'art. 333
c.c. (con competenza, quindi, del giudice minorile), ma e' anche vero
che, secondo altra lettura, si tratta di  liti  che  afferiscono  ne'
piu' e ne' meno che all'art. 155 c.c. (oggi 337-ter  c.c.)  ovvero  i
provvedimenti regolativi dei  tempi  di  frequentazione  della  prole
presso l'uno e l'altro genitore: dunque, con competenza  del  giudice
ordinario. Infatti, la Suprema Corte, prendendo distanze  dalla  tesi
sposata in altre letture, ha in  tempi  piu'  recenti  affermato  che
l'art. 155 cod. civ., nel prevedere il diritto dei minori,  figli  di
coniugi  separati,  di  conservare  rapporti  significativi  con  gli
ascendenti (ed  parenti  di  ciascun  ramo  genitoriale)  «affida  al
giudice un elemento ulteriore di  indagine  e  di  valutazione  nella
scelta e nell'articolazione di provvedimenti da adottare in  tema  di
affidamento, nella prospettiva di una rafforzata tutela  del  diritto
ad una crescita serena ed equilibrata» (Cass. Civ., sez. I, 11 agosto
1011 n. 17191); non si versa, dunque, nell'ambito  delle  limitazioni
genitoriali (333 c.c.) bensi' in quello  della  regolamentazione  dei
rapporti genitoriali (337-ter c.c.). Peraltro, ad onor del  vero,  il
precedente citato dai  compilatori  nella  relazione  illustrativa  -
Cass. Civ., sez. I, 17 giugno 2009 n. 14091 - non  e'  argomento  per
sostenere che le controversie ex art. 317-bis  rientrino  nell'ambito
delle limitazioni ex art. 333 c.c. poiche', nell'arresto  citato,  la
Cassazione si limita  a  dichiarare  inammissibile  un  provvedimento
finale del giudice di merito che, in  un  procedimento  ex  art.  330
c.c., aveva sospeso le visite tra una minore e suoi  nonni;  ipotesi,
dunque, peculiare  e  rientrante  nell'ambito  dei  provvedimenti  de
potestate per motivi ontologici legati al tipo di intervento attivato
dal ricorrente. E' allora evidente che la questione non poteva e  non
doveva essere affrontata. dalla legge delegata che, cosi' facendo, ha
superato la cornice ben delineata dalla delega. Vi e' di  piu',  come
hanno scritto i primi commentatori,  «la  scelta  della  decretazione
delegata e' in contraddizione con lo stesso spirito della  l.  219/12
orientato  a  concentrare  dinanzi  al  giudice  ordinario  tutte  le
questioni relative all'esercizio della  responsabilita'  genitoriale,
ad eccezione di  quelle  riservate  al  Tribunale  per  i  Minorenni.
Comunque,  il  silenzio  del  legislatore  delegante  doveva   essere
interpretato come precisa scelta di metodo:  ai  sensi  dell'art.  38
disp. att. c.c., comma II,"Sono  emessi  dal  tribunale  ordinario  i
provvedimenti relativi ai minori per i  quali  non  e'  espressamente
stabilita  la  competenza  di  una  diversa  autorita'  giudiziaria";
dunque, il  silenzio  del  legislatore  equivaleva  ad  istituire  la
competenza del tribunale ordinario. Vi deroga la legge  attuativa  in
assenza di copertura legislativa». 
    Ad ogni modo, la norma si pone anche in contrasto con  gli  artt.
3, 111 Cost., per una intrinseca irragionevolezza e una  rottura  del
principio di concentrazione processuale, dove questo era all'evidenza
da  privilegiare.  Ebbene,  l'art.  317-bis  c.c.  ha  provocato   la
istituzione di una  competenza  funzionale  esclusiva  del  tribunale
minorenni ed esclude ogni ipotesi di  simultaneus  processus  poiche'
non e' ipotizzabile una connessione (con  il  conseguente  regime  ex
art. 40 c.p.c.) in ipotesi di competenza funzionale inderogabile  (v.
Cass. Civ., sez. I, 8 marzo 2002 n.  3457).  Questa  interpretazione,
tuttavia,  conduce  ad  una  aporia  logico-giuridica  insanabile.  I
compilatori della riforma conducono l'art. 317-bis c.c. nella cornice
semantica dell'art. 333 c.c.;  da  qui  la  contraddizione:  tutti  i
procedimenti ex art. 333 c.c. - in virtu' della legge 219/12  possono
essere  trattati  anche   dal   Tribunale   Ordinario   se   pendente
procedimento ex art. 337-bis c.c. (separazione, divorzio, 316  c.c.);
i soli procedimenti ex art. 317-bis c.c., invece -  in  virtu'  della
legge delegata  -  devono  essere  trattati  sempre  e  comunque  dal
tribunale  minorenni.  Cio'  anche  quanto  penda  un   giudizio   di
separazione  o  di  divorzio  o  di  regolamentazione  dei   rapporti
genitoriali in caso di  minore  non  nato  da  matrimonio.  In  altri
termini: se il 317-bis c.c. e'  un  procedimento  ex  art.  333  c.c.
allora allo stesso doveva restare applicabile la  norma.  in  cui  e'
previsto che "per  i  procedimenti  di  cui  all'articolo  333  resta
esclusa la competenza del tribunale per i minorenni  nell'ipotesi  in
cui sia in corso, tra le stesse  parti,  giudizio  di  separazione  o
divorzio o giudizio ai sensi dell'articolo 316 del codice civile;  in
tale ipotesi per tutta la durata del processo  la  competenza,  anche
per i provvedimenti contemplati  dalle  disposizioni  richiamate  nel
primo  periodo,  spetta   al   giudice   ordinario".   Il   risultato
irragionevole e' evidente nel caso di  specie:  i  minori  sono  gia'
coinvolti  nel  procedimento  di  separazione  pendente  dinanzi   al
tribunale ordinario; sono, ora, solo relativamente  ai  rapporti  con
gli ascendenti, chiamati  a  giudizio  dinanzi  al  tribunale  per  i
minorenni. Sia dinanzi al giudice della separazione,  sia  dinanzi  a
questo  ufficio,  dovranno  essere  necessariamente  ascoltati  (art.
336-bis c.c.). Si realizza, cosi', la  frantumazione  di  una  tutela
processale che dovrebbe essere  univoca  e  si  crea,  in  danno  dei
minori, una proliferazione di processi che non  tiene  affatto  conto
dell'interesse preminente del minore che  illuminava  l'intera  legge
219/12  e,  dunque,  la   delega   legislativa.   La   concentrazione
processuale   dinanzi   al   giudice   ordinario   nemmeno    avrebbe
rappresentato una previsione inedita:  come  noto,  gia'  la  Suprema
Corte ha aperto  i  giudizi  di  separazione  e  divorzio  al  figlio
maggiorenne, che puo' intervenire nel processo  come  parte  autonoma
(v. Cass. Civ., sez,  I,  sentenza  19  marzo  2012  n.  4296,  Pres.
Felicetti, rel. Campanile). 
    Gli effetti di manifesta  irragionevolezza  sono  visibili  anche
sotto  altro  aspetto:  il  dlgs  154/13  ha  lasciato  immutata   la
previsione dell'art. 155 c.c. (oggi trasfusa nell'art. 337-ter  c.c.)
relativa al diritto dei minori ad intrattenere regolari rapporti  con
gli ascendenti. Pertanto: dinanzi al tribunale per i minorenni, viene
fatta valere la situazione  giuridica  soggettiva  degli  ascendenti;
dinanzi al tribunale ordinario, la  situazione  giuridica  soggettiva
dei nipoti. L'effetto, in presenza di processi  pendenti,  e'  di  un
evidente contrasto di previsioni dispositive. Infatti, come in  tempi
recenti ha correttamente evidenziato il tribunale di Milano «il  dlgs
154/2013 ha riservato in modo elettivo al Tribunale per  i  Minorenni
la  competenza  a  pronunciarsi  sul  diritto  degli  ascendenti   e,
consacrando una situazione giuridica soggettiva degli stessi, ha loro
conferito  diretta  legittimazione  attiva  cosi'  non  essendo  piu'
ipotizzabile una sostituzione processuale (81 c.p.c.). Resta,  pero',
sempre ammissibile: 1) una competenza  del  Tribunale  ordinario  nei
limiti ex art. 337-ter comma c.c. dove, cioe',  i  genitori  facciano
valere il "diverso" e autonomo diritto del minore ai rapporti  con  i
nonni; 2) una competenza del Tribunale ordinario dove si tratti  solo
di "prendere atto" dell'accordo raggiunto dai genitori, Peraltro,  e'
appena il caso di ricordare che, nei tempi di spettanza  del  singolo
genitore, questi puo' richiedere e  decidere  il  coinvolgimento  dei
propri ascendenti come ritiene utile e opportuno, poiche'  si  tratta
di regolare il contenuto della situazione giuridica a lui  spettante»
(Trib. Milano, sez. IX. civ., ordinanza 20 marzo 2014, est. Buffone), 
    Pertanto, dove la Corte ritenesse che la  modifica  dell'art.  38
disp. att. c.c. sia coperta da delega legislativa, andrebbe  comunque
valutato tale secondo profilo e dovrebbe essere  comunque  dichiarata
l'incostituzionalita' della norma, per ripristinare l'euritmia creata
nel sistema. 
    [4]. NORME VIOLATE. Per quanto sin qui osservato, si ritiene  che
l'art. 38, comma I, disp. att. c.c. (come  modifrcato  dall'art.  96,
comma 1, lett. c) nella parte in cui prevede che «sono, altresi',  di
competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti  contemplati
dagli articoli 251 e 317-bis del codice civile»,  limitatamente  alla
parte in cui include l'art. 317-bis, si  ponga  in  violazione  degli
artt. 76, 77 e 3, 111 della Costituzione. 
    [5]. PETITUM. Per quanto sin qui  osservato,  e'  auspicabile  un
intervento  della  Corte  adita   che   dichiari   costituzionalmente
illegittimo l'art. 38, comma I,  disp.  att.  c.c.  (come  modificato
dall'art. 96, comma 1, lett. c) nella parte in cui prevede che «sono,
altresi', di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti
contemplati  dagli  articoli  251  e  317-bis  del  codice   civile»,
limitatamente alla parte in cui include l'art. 317-bis. 
    Alla luce di tutte le considerazioni svolte, il tribunale  per  i
minorenni di Napoli 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli artt. 134 Cost., 23 legge 11 marzo 1953 n. 87; 
    Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 38, comma I,  disp.  att.  c.c.
nella parte in cui prevede che «sono,  altresi',  di  competenza  del
tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli  articoli
251 e 317-bis del codice civile», limitatamente  alla  parte  in  cui
include l'art. 317-bis, per violazione degli artt. 76, 77  e  3,  111
della Costituzione. 
    Sospende il giudizio e  dispone  l'immediata  trasmissione  degli
atti  alla  Corte  Costituzionale,  unitamente   alla   prova   delle
comunicazioni e notificazioni previste a seguire. 
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza venga
notificata alle parti del processo, al Presidente del  Consiglio  dei
Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei  Deputati
e del Senato della Repubblica. 
        Cosi' deciso in Napoli, 14 ottobre 2014 
 
                         Il Giudice: Ramadan 
 
 
                                          Il presidente est.: Cirillo