N. 39 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 novembre 2014

Ordinanza del 7  novembre  2014  del  Collegio  arbitrale  di  Padova
nell'arbitrato in corso tra S.I.PER. - Societa' Immobiliare Perginese
Snc di Ferruccio Pegoretti & C contro Pegoretti Ferruccio.. 
 
Prescrizione e decadenza - Cause di  sospensione  della  prescrizione
  per rapporti tra le parti - Sospensione della prescrizione  tra  la
  societa' in nome collettivo ed i suoi amministratori per le  azioni
  sociali di responsabilita'  nei  loro  confronti  finche'  sono  in
  carica  -  Omessa  previsione  -   Ingiustificata   disparita'   di
  trattamento tra le societa' in nome collettivo e le altre  societa'
  commerciali (di capitali e in accomandita  semplice)  -  Violazione
  del principio di eguaglianza - Menomazione del  diritto  di  difesa
  della societa' in nome collettivo rispetto agli  illeciti  compiuti
  dai propri amministratori - Riproposizione di questione  dichiarata
  manifestamente  inammissibile  dalla   Corte   costituzionale   con
  l'ordinanza n. 123 del 2014. 
- Codice civile, art. 2941, primo comma, n. 7). 
- Costituzione, artt. 3 e 24. 
(GU n.12 del 25-3-2015 )
    Nel  procedimento  arbitrale  promosso  da  S.I.PER.  -  Societa'
Immobiliare Perginese s.n.c. di Ferruccio Pegoretti & C. corrente  in
Pergine Valsugana (TN) v. Crivelli 3 (CCIA n. 86663  -  C.f.  e  p.i.
0031260222) in persona degli amministratori e  legali  rappresentanti
Zanei Giovanni e Zanei Guido rappresentata e difesa dall'avv. Claudia
Vettorazzi        del        foro        di        Trento        (pec
avvclaudiavettorazzi@recapitopec.it)  ed  elettivamente   domiciliata
presso lo Studio  di  quest'ultima  in  Trento  v.  Dei  Travai  130;
attrice; 
    Nei  confronti  di  Ferruccio  Pegoretti  residente  in   Pergine
Valsugana (TN) v. Padova - C.f. PGRFRC45904G452C, rappresentato dagli
avv.ti Enrico  Giammarco  (pec:  avvenricogiammarco@recapitopecit)  e
Michele Russolo (pec: avvmichelerussolo@recapitopec.it) del  foro  di
Trento ed elettivamente domiciliato preso  lo  Studio  di  questi  in
Trento v. Grazioli 6, convenuto. 
 
          Ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale 
 
    Il Collegio, 
    premesso che: 
        il  presente  arbitrato  prendeva  avvio  da  un   precedente
giudizio, rubricato sub 772/10 R.G., instaurato innanzi al  Tribunale
di Trento con atto di citazione notificato  dalla  S.I.PER.  Societa'
Immobiliare Perginese s.n.c (d'ora innanzi per brevita' S.I.PER.)  al
sig. Pegoretti Ferruccio in data 1° marzo  2010,  (cfr.  doc.  24  di
parte convenuta) e conclusosi con la sentenza n.  894/11,  depositata
in data 10 novembre 2011, in forza della quale l'anzidetto Tribunale,
rilevato che lo statuto della societa' attrice prevedeva all'art.  14
una clausola compromissoria che imponeva di devolvere ad un  collegio
arbitrale tutte le liti riguardanti i rapporti tra la  societa'  e  i
soci, e altresi' rilevato che  detta  clausola  era  da  considerarsi
valida ai sensi degli artt. 34 e 35  del  d.lgs.  5/2003,  dichiarava
l'improponibilita' della domanda attorea; 
        S.I.PER. dava quindi inizio  al  presente  arbitrato  rituale
mediante la notifica, in data 23  ottobre  2012,  al  sig.  Ferruccio
Pegoretti di atto di nomina di arbitro, giusta il quale indicava come
arbitro  di  parte  l'avv.  Paolo  Maria  Cape'  e,  contestualmente,
formulava al Collegio i seguenti  quesiti:  «Quesito  n.  1  Dica  il
Collegio se  accertata  e  dichiarata  la  responsabilita'  del  sig.
Pegoretti per le ragioni in fatto e in diritto esposte in  narrativa,
lo stesso vada condannato  a  rifondere  a  S.I.PER.  tutti  i  danni
patiti, oltre a interessi e/o rivalutazione, per mera approssimazione
-atteso che l'importo allo stato non e' recisamente quantificabile- e
salvo piu' approfondita  indagine  anche  a  mezzo  di  apposita  CTU
ricostruttiva, quantificati in non meno di € 8.587.917,99, ovvero  la
minore o la maggiore [somma che] dovesse essere accertata in corso di
causa, in ogni caso con rivalutazione e/o  interessi;  Quesito  n.  2
Dica il Collegio se accertata e  dichiarata  la  responsabilita'  del
sig. Pegoretti per le ragioni  in  fatto  e  in  diritto  esposte  in
narrativa, lo stesso debba esser condannato  in  ragione  della  mala
gestio nei confronti di S.I.PER.  al  risarcimento  e/o  rifusione  a
quest'ultima, per mera approssimazione  -atteso  che  l'importo  allo
stato non e' precisamente quantificabile- e salvo  piu'  approfondita
indagine anche a mezzo di apposita CTU ricostruttiva, dell'importo di
non meno di € 8.587.917,99, ovvero la minore  o  la  maggiore  [somma
che] dovesse essere accertata in corso di causa,  in  ogni  caso  con
rivalutazione e/o interessi. Quesito n. 3  Dica  il  Collegio  se  le
spese, le competenze e gli onorari del  presente  giudizio,  compresi
quelli che saranno dovuti per il funzionamento del collegio arbitrale
medesimo, debbano essere posti a carico  della  parte  convenuta,  in
virtu' del principio di soccombenza.»; 
        a sostegno delle domande su riportate S.I.PER.  esponeva  che
il sig.  Pegoretti  sin  dalla  fondazione  della  societa'  attrice,
avvenuta nel 1976 per opera dello stesso convenuto e dei  soci  Zanei
Dario, Zanei Guido e Zanei Giovanni, aveva svolto insieme allo  Zanei
Dario l'incarico di amministratore; esponeva,  altresi',  che  grazie
alle modifiche apportate allo statuto con delibera  del  1°  dicembre
1982, i  due  anzidetti  amministratori  erano  stati  autorizzati  a
compiere  disgiuntamente  tutti   gli   atti   inerenti   l'ordinaria
amministrazione; rilevava altresi' che, a seguito della  morte  dello
Zanei Dario, l'intera amministrazione  veniva  presa  in  carico  dal
convenuto, in quanto gli altri due soci, vuoi per pregressi  rapporti
di  amicizia,  vuoi  perche'  impegnati  nelle  rispettive  attivita'
imprenditoriali,   avevano    affidato    al    Pegoretti    l'intera
amministrazione della  societa'.  Secondo  la  difesa  S.I.PER.,  nel
periodo intercorso tra il 1976 e il giugno 2008, ovvero il periodo in
cui aveva svolto l'attivita' di amministratore fino  alla  revoca  di
cui si dira' appresso, il convenuto avrebbe compiuto  gravi  atti  di
mala gestio e in particolare: 
          a) avrebbe deliberato, senza il consenso degli altri  soci,
di liquidare agli eredi dello Zanei  Dario  le  quote  che  a  questi
sarebbero spettate in via successoria; 
          b) avrebbe ceduto ad un prezzo vile alcuni immobili siti in
Novaledo (TN)  p.ff.  911/4,  913/4,  915/4,  919/6,  916/1,  ad  una
societa',  la  Petrarca  s.r.l.,   di   cui   era   unico   socio   e
amministratore; 
          c) avrebbe venduto, all'oscuro degli  altri  soci  e  a  un
prezzo molto inferiore al reale  valore  di  mercato,  diversi  altri
immobili di proprieta' di S.I.PER.; 
          d)   avrebbe   affittato   gli   immobili   di   proprieta'
dell'attrice, individuati catastalmente come p.ed 129 e 131 in CC  di
Pergine  Valsugana,   facendo   pagare   un   canone   di   locazione
considerevolmente  inferiore  al  quello  di  mercato   e   in   piu'
riscuotendo in contanti le somme anzidette  che  in  parte  sarebbero
state distratte dalla Societa'; 
          e) avrebbe omesso di riscuotere il canone  di  affitto  del
capannone  di  proprieta'  della  S.I.PER.  e  ubicato   in   Pergine
Valsugana; 
          f) per conto di S.I.PER. avrebbe pagato al geom. Dal  Dosso
somme a titolo di compenso  per  l'attivita'  di  amministratore  dei
condomini di proprieta' della medesima societa', non dovute in quanto
lo stesso non aveva  i  requisiti  per  svolgere  detta  attivita'  e
comunque esorbitanti per la natura dell'attivita' medesima; 
          g) per conto di  S.I.PER.  avrebbe  affidato  incarichi  al
figlio Paolo Pegoretti, mai autorizzati dagli altri  soci,  caricando
la societa' dei connessi oneri; 
          h) si  sarebbe  liquidato  un'ingente  somma  a  titolo  di
compenso per l'attivita' di amministratore, senza  autorizzazione  da
parte degli altri soci; 
          i) avrebbe pagato alla sig.ra Paoli Rosalia somme a  titolo
di retribuzione per  attivita'  di  collaborazione  mai  prestata  in
realta'; 
          l) non avrebbe incassato dai conduttori, nel periodo tra il
1993 e il 2008, le somme dovute per le utenze di luce, acqua  e  gas,
tutte invece regolarmente  addebitate  alla  S.I.PER.  da  parte  dei
gestori; 
          m) tra il marzo e l'aprile 1996, avrebbe usato somme  della
S.I.PER. per acquistare a titolo personale alcuni fondi in Comune  di
Novaledo; 
          n) avrebbe contratto  per  conto  della  S.I.PER.  un  muto
ipotecario, senza che le somme cosi' ottenute fossero usate a  favore
della societa'; 
          o)  nonostante  la  revoca  giudiziale   dall'incarico   di
amministratore, disposta dal Tribunale di Trento (cfr.  sentenza  del
dott. Adilardi di data 23 luglio 2008 e, a  definizione  del  reclamo
del sig. Pegoretti, sentenza dei Collegio, di data 4 settembre  2008,
qui prodotti come docc. 9 e 10 di parte attorea)  avrebbe  continuato
per tutto l'anno 2008 a operare come amministratore  della  S.I.PER.,
anche tramite il geom. Dal Dosso; 
          p) avrebbe concesso a societa' a lui riferibili di usare  a
titolo gratuito, senza il  consenso  degli  altri  soci,  stabili  di
proprieta' di S.I.PER.; 
          q) avrebbe sostenuto per conto di S.I.PER. spese per lavori
di ristrutturazioni mai  effettuati  sugli  immobili  della  societa'
medesima; 
          r) avrebbe omesso di effettuare il pagamento dell'ICI sugli
immobili di proprieta' dell'attrice cosicche' la  stessa  si  sarebbe
trovata a dover pagare le relative sanzioni; 
          s) avrebbe causato in capo a S.I.PER,  mediante  operazioni
bancarie non autorizzate, un grave indebitamento  nei  confronti  del
ceto bancario; 
          t) avrebbe, infine, omesso di distribuire tra  i  soci  gli
utili postati a bilancio, sui quali i soci medesimi avrebbero in ogni
caso versato le relative imposte; 
        il sig. Pegoretti aderiva alla procedura arbitrale con  "atto
di nomina di arbitro di parte", notificato a mani il  12.11.2012,  in
forza del quale nominava proprio  arbitro  il  dott.  Paolo  Piccoli,
notaio  in  Trento,  e  contestava  tutte  le  deduzioni   avversarie
riservando di costituirsi nel procedimento con  il  deposito  di  una
successiva memoria al fine di meglio esporre le proprie difese; 
        all'udienza del 27.2.2013, le parti anzidette sottoscrivevano
l'atto di costituzione del Collegio arbitrale in  virtu'  del  quale,
tra le altre cose, confermavano la nomina degli  arbitri  nonche'  la
devoluzione in arbitrato della lite  giusta  art.  14  dello  Statuto
della S.I.PER., accettavano  le  regole  procedurali  indicate  dagli
arbitri medesimi e confermavano la natura rituale dell'arbitrato; 
        quindi con la  memoria  autorizzata  depositata  in  data  25
aprile 2013, il convenuto formulava le seguenti domande:  «Voglia  il
collegio arbitrale, 1) in via pregiudiziale  di  merito:  respingere,
per intervenuta prescrizione, che formalmente si eccepisce, ex  artt.
2947 e 2949 c.c. la domanda nella parte in cui trae origine da  fatti
e  circostanze  verificatisi  in  data  anteriore   al   quinquennio,
decorrente a  ritroso  dal  1°  marzo  2010,  data  di  notificazione
dell'atto introduttivo della causa promossa da S.I.PER.  snc  innanzi
al  Tribunale  di  Trento  e  per  l'effetto   in   via   istruttoria
disattendere ogni richiesta istruttoria di  prova  orale  o  volta  a
promuovere l'attivita' di consulenti tecnici, in relazione a fatti  o
circostanze temporalmente collocate in data anteriore al quinquennio.
2)  nel  merito:  respingere  per  infondatezza  la  domanda,  quando
relativa a fatti e circostanze rispetto alle quali non  sia  maturata
prescrizione e, in via subordinata, nel non creduto caso di reiezione
dell'eccezione di prescrizione a. respingere nel  merito  la  domanda
dell'attrice, come dettagliata nei capi da  b)  a  w)  pg.  8  e  ss.
dell'atto di nomina di arbitro S.I.PER. di data  29  settembre  2012,
per infondatezza, ovvero, nei casi volta  per  volta  indicati  nelle
difese,  per  l'assenza  di  legittimazione  attiva  dell'attrice   o
nullita', per indeterminatezza assoluta di petitum e  causa  petendi,
b. respingere nel merito la domanda dell'attrice dettagliata nel capo
a) dell'Atto di nomina d arbitro S.I.PER. di data 29 settembre  2012,
incontestata l'originaria annullabilita' dell'atto  di  compravendita
dd. 4 maggio 2004,  per  avere  il  Pegoretti  in  rappresentanza  di
S.I.PER. snc stipulato, contraendo  con  se  stesso,  in  difetto  di
autorizzazione del  rappresentato  -  avuto  riguardo  alle  seguenti
circostanze: (i) l'assenza di concreto pregiudizio  patrimoniale  per
la societa' S.I.PER. snc, in ragione delle modalita' con le quali  ad
essa fondi pervennero, nei termini illustrati nelle difese e (ii)  il
fatto che l'eventuale pregiudizio derivato dalla  definitiva  perdita
della proprieta' dei fondi e' conseguito dalla scelta di S.I.PER. snc
di  non  proporre,  nel  termine   di   prescrizione,   l'azione   di
annullamento della compravendita  che  avrebbe  consentito  la  certa
retrocessione dei fondi e quindi  dovuta  a  fatto  proprio.  In  via
riconvenzionale: accertare e dichiarare che S.I.PER. snc e' tenuta ai
sensi dell'art. 2261 c.c.  a  consentire  a  Pegoretti,  socio  della
stessa, di prendere conoscenza  degli  affari  correnti  ed  eseguire
ispezioni nella documentazione sociale e, accertata  l'illegittimita'
del diniego opposto al  Pegoretti  per  l'esercizio  di  tali  propri
diritti, condannare S.I.PER. a consentire  l'accesso  del  Pegoretti,
direttamente  o   tramite   professionista   a   sua   scelta,   alla
documentazione sociale, entro  un  termine  che  il  Collegio  vorra'
prescrivere. In  via  riconvenzionale:  accertare  e  dichiarare  che
S.I.PER. snc in forza dell'art. 2261 comma 2 c.c. ed in base all'art.
10 del contratto sociale e' tenuta a formare e  sottoporre  al  socio
Pegoretti uno  stato  patrimoniale  e  un  conto  economico  relativo
all'esercizio 2011 e, per quanto occorrer possa, dell'esercizio  2012
e, accertato l'inadempimento a tale obbligo, condannare S.I.PER.  con
lodo arbitrale, a comunicare al socio  Pegoretti  il  bilancio  della
societa' per l'esercizio  2011  e,  occorrendo,  dell'esercizio  2012
entro  un  termine  che  il  Collegio  vorra'  prescrivere.  In   via
riconvenzionale: quale giudice arbitrale del procedimento di  merito,
in relazione  al  quale  la  societa'  ha  agito  in  via  cautelare,
condannare S.I.PER. a risarcire al sig. Pegoretti, ex art. 96 comma 2
c.p.c., il  danno  derivante  dall'esecuzione  del  provvedimento  di
sequestro concesso dal G.D. del Tribunale di Trento, inaudita  altera
parte, prima del successivo provvedimento di revoca,  accertando  che
la societa' ha agito con colpa grave, condannare inoltre  o  comunque
S.I.PER. ai sensi  dell'art.  96  comma  3  c.p.c.,  determinando  in
entrambi i casi d'ufficio la somma dovuta. Porre a carico di S.I.PER.
snc  l'onere  del  corrispettivo  degli  arbitri  e  delle  spese  di
arbitrato per l'intero  ammontare,  condannandola  alla  rifusione  a
favore del Pegoretti della quota di corrispettivo e spese che  questi
avra' anticipato; Condannare S.I.PER. snc a rifondere  al  Pegoretti,
in base al criterio di cui  al  punto  5,  le  spese  di  difesa  del
procedimento.»; 
        sul  tema  specifico  della   prescrizione   dell'azione   di
responsabilita',  la  difesa  del  Pegoretti  rilevava  che  l'azione
proposta dalla societa' in nome collettivo nei confronti del  proprio
amministratore e' esercizio di un diritto afferente  ad  un  rapporto
sociale, per  il  quale  l'art.  2949  c.c.  prevede  un  termine  di
prescrizione di 5 anni.  Pertanto,  calcolando  il  predetto  termine
quinquennale a ritroso dalla data del primo atto interruttivo, ovvero
la data di notifica  dell'anzidetto  atto  di  citazione  innanzi  al
Tribunale di Trento, tutti i  fatti  antecedenti  al  1°  marzo  2005
dovevano considerarsi  prescritti.  Ne'  detto  effetto  interruttivo
poteva essere evitato, a parere del patrocinio della parte convenuta,
invocando l'applicazione dell'art. 2941  comma  7  c.c.,  in  quanto,
sebbene la Corte costituzionale con la sent. 322/1998  avesse  esteso
l'applicabilita' della norma in parola ad  un  tipo  di  societa'  di
persone, ovvero la s.a.s., l'applicazione analogica  anche  alle  snc
della norma medesima  era  da  escludersi  in  virtu'  della  diversa
struttura  e  dei  diversi  rapporti  tra  soci   e   amministratori,
caratterizzanti i due tipi di societa'; 
        il  patrocinio  della   parte   denunziante   (cfr.   memoria
depositata in data 14 maggio 2013), sul medesimo tema, replicava che,
invece, la sentenza n.  322/1998  della  Corte  costituzionale  aveva
affermato un principio di carattere generale in forza del  quale  era
possibile estendere anche alle snc l'applicazione  della  sospensione
del termine prevista all'art. 2941 comma 1 n. 7 c.c.  In  particolare
l'attrice faceva riferimento al seguente passaggio  della  decisione:
«... ed e' del pari noto che le cause di sospensione  sono  suddivise
dal codice in due categorie a seconda che  siano  costituite  da  una
speciale relazione giuridica esistente tra il titolare del diritto ed
il soggetto passivo o da una condizione particolare del titolare  del
diritto. Nella prima categoria e' contemplata la causa di sospensione
prevista dalla norma denunciata la quale sarebbe  giustificata  dalla
circostanza che la permanenza in carica degli  amministratori  viene,
di fatto,  ad  ostacolare  la  possibilita',  in  capo  alla  persona
giuridica, di acquisire una piena  conoscenza  del  loro  operato  e,
conseguentemente, di valutare se gli amministratori siano incorsi  in
violazioni dei loro obblighi rilevanti per l'esercizio dell'azione di
responsabilita'.  Mentre,  secondo  una  diversa   tesi   dottrinale,
formulata sotto il vigore del codice civile del 1865, la ratio  della
sospensione della prescrizione andrebbe individuata per  la  societa'
commerciale   nell'identita'   che   si   verrebbe   a    determinare
nell'esercizio dell'azione di  responsabilita'  tra  la  persona  che
dovrebbe agire e quella contro cui l'azione dovrebbe essere  rivolta.
Si e' detto, infatti,  che  essendo  la  societa'  commerciale,  come
persona giuridica, rappresentata  dagli  amministratori,  questi,  se
dovessero agire contro se stessi,  riunirebbero  in  se'  la  duplice
qualita'   di   attori   (in   senso   formale)   e   di   convenuti.
Indipendentemente  dall'opinione   che   si   ritenga   al   riguardo
preferibile, una ratio identica a quella posta  a  base  della  norma
denunciata ricorre anche per la societa' in accomandita semplice che,
come quelle dotate di personalita' giuridica, e'  gestita  da  uno  o
piu' amministratori che agiscono per la stessa e  che,  dunque,  sono
responsabili per la inosservanza degli obblighi posti a  loro  carico
dalla legge o dal contratto  sociale.  Se,  dunque,  la  ratio  della
sospensione della prescrizione e', comunque, riferibile  al  rapporto
gestorio che lega la societa' all'amministratore,  e'  evidente  come
resti del tutto irrilevante a tal fine che si tratti di una  societa'
avente personalita' giuridica o - come nel caso sottoposto  all'esame
del giudice a quo - di  una  societa'  in  accomandita  semplice.  La
diversita' di disciplina che il legislatore detta per le societa'  di
capitali e per la societa' in accomandita semplice in tema di  azione
di  responsabilita'  e  di  revoca  dell'amministratore  non  risulta
d'altro  lato  in  contrasto,  come  rilevato   anche   dalla   Corte
rimettente, con la ricorrenza in tutti i suddetti tipi  societari  di
una identica ratio legittimante la sospensione della prescrizione  e,
dunque, con l'omogeneita', sotto  tale  aspetto,  della  societa'  in
accomandita semplice  rispetto  a  quelle  di  capitali...».  Quindi,
secondo la difesa attorea, Giudice delle Leggi aveva  definitivamente
superato l'interpretazione tradizionale in forza della quale non  era
possibile  estendere  alle  societa'  di  persone  la   norma   sulla
sospensione della prescrizione in quanto nell'art. 2941 comma 1 n.  7
c.c. vi e' un espresso riferimento  alle  societa'  con  personalita'
giuridica, e  tale  attributo,  per  consolidata  opinione,  non  era
ritenuto sussistente in capo alle societa' di persone. Sempre secondo
il patrocinio  attoreo,  dunque,  se  la  Corte  si  era  pronunciata
unicamente con riferimento alle  societa'  in  accomandita  semplice,
cio', era  da  attribuirsi  al  solo  fatto  che  il  caso  specifico
sottoposto dal giudice rimettente (Corte di cassazione ord. 176/1997)
riguardava i rapporti tra una  societa'  in  accomandita  ed  un  suo
amministratore; 
        sul punto, l'attrice, in principalita', chiedeva al  Collegio
di applicare analogicamente la norma dell'art. 2941 comma 1 n. 7 alla
fattispecie in esame e di rigettare cosi' l'eccezione di prescrizione
sollevata dal Pegoretti. In via gradata, nell'ipotesi  cioe'  in  cui
detta norma non fosse ritenuta analogicamente applicabile,  l'attrice
sollevava questione di illegittimita' costituzionale  dell'art.  2941
comma 1 n. 7 c.c. in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione
nella parte in cui la stessa norma non prevede la  sospensione  della
prescrizione tra  le  societa'  di  persone,  e  nello  specifico  le
societa' nonne collettivo, e i loro amministratori. Detta  differenza
di  trattamento,  secondo  l'attrice,  risulterebbe  irragionevole  e
quindi discriminatoria in quanto la ragione che, in base all'opinione
consolidata, giustifica la sospensione della prescrizione, ovvero  la
particolare relazione tra gli amministratori e la  societa',  sarebbe
ancora piu' incisiva nelle societa' di persone,  laddove  il  vincolo
personale e' piu' forte e i condizionamenti piu' agevoli e frequenti; 
        con  ordinanza  pronunciata  all'esito  dell'udienza  del  27
maggio 2013, il Collegio, ritenuto che l'eccezione di prescrizione ai
sensi dell'art. 2941 comma  1  n.  7  c.c.  sollevata  dal  convenuto
Pegoretti era tale, potenzialmente,  da  definire,  seppure  solo  in
parte, il giudizio e ritenuto,  per  contro,  di  dover  valutare  se
l'eccezione di incostituzionalita' della norma succitata sollevata da
parte della attrice fosse rilevante e non  manifestamente  infondata,
rinviava la causa all'udienza del 25 giugno 2013 per la  precisazione
delle conclusioni sulla " questione succitata, assegnando alle  parti
termine sino al  17  giugno  2013  per  il  deposito  di  brevi  note
conclusionali sul punto; 
        le parti, quindi,  con  il  deposito  delle  note  anzidette,
definitivamente  precisavano  le  rispettive   posizioni   sul   tema
dell'applicabilita' della sospensione  della  prescrizione  e,  nello
specifico, S.I.PER., richiamando gli  argomenti  gia'  esposti  nella
memoria del 14 maggio 2013, ulteriormente  rilevava  che  a)  poiche'
comunemente si ritiene che la causa di sospensione della prescrizione
sarebbe da ricollegare al  fatto  che  nelle  societa'  di  capitali,
quando gli amministratori sono in carica, non sarebbe possibile avere
piena conoscenza del loro operato, si  dovrebbe  altresi'  concludere
che la medesima situazione si ripropone, forse in maniera ancora piu'
marcata, nel caso delle societa' di persone; b) nel caso  di  specie,
l'amministrazione era disgiunta e non affidata a tutti i soci  bensi'
al sig. Pegoretti con durata a tempo  indeterminato,  quindi  sarebbe
stato difficile per i sig.ri Zanei poter avere piena  contezza  delle
operazioni compiute  lungo  gli  oltre  trent'anni  di  attivita'  di
amministratore  da  parte  del  convenuto;  c)  di   conseguenza   la
sospensione del termine rappresenterebbe un giusto bilanciamento  dei
diritti  dei  soci  in  contesti,  come  quello  in  discussione,  di
cristallizzazione del potere di  amministrare  e  di  difficolta'  ad
esercitare un controllo efficace; d) in ogni caso, al fine di provare
l'omogeneita' dei due tipi di societa' in parola,  avrebbe  efficacia
dirimente  l'art.  2315  c.c.  che  prevede  che  alla  societa'   in
accomandita semplice si  applichino  le  disposizioni  relative  alle
societa' in nome collettivo, in quanto compatibili. 
    Il patrocinio del Pegoretti per contro rilevava che a)  la  norma
di cui all'art. 2941 n.7 c.c. non potrebbe  ritenersi  analogicamente
applicabile  alle  societa'  in  nome  collettivo,   in   quanto   si
tratterebbe, secondo interpretazione costante, di norma eccezionale e
tassativa;  b)  l'eccezione  di  incostituzionalita'   sollevata   da
controparte  se  pur  rilevante,  dovrebbe  in  ogni  caso  ritenersi
manifestamente infondata in quanto i. la Corte costituzionale con  la
sent. 322/1998 avrebbe pronunciato l'incostituzionalita' della  norma
ridetta solo nella parte in cui la  stessa  non  risulta  applicabile
alle sas, e non invece con riferimento a tutti gli enti sprovvisti di
personalita' giuridica, e cio' in base alla considerazione che  nelle
societa' in accomandita semplice vi sarebbe uno speciale assetto  dei
rapporti tra amministratori  e  soci  che  renderebbe  tale  tipo  di
societa' del tutto affine ad una societa' di  capitali.  Infatti,  in
questo tipo di societa' i  soci  accomandanti  non  possono  svolgere
attivita' gestoria,  che  invece  e'  pienamente  demandata  ai  soci
illimitatamente responsabili tra  i  quali  soltanto  possono  essere
scelti gli  amministratori,  e  in  piu'  hanno  limitati  poteri  di
controllo, ovvero  in  sostanza,  hanno  solo  diritto  di  avere  un
rendiconto della gestione. Queste caratteristiche accomunerebbero  le
sas alle societa' a responsabilita' limitata, nelle quali vi  e'  una
netta separazione tra i poteri e le responsabilita' dei soci e  degli
amministratori, e, almeno secondo  l'interpretazione  del  patrocinio
convenuto, i poteri di controllo dei soci sono grandemente  limitati.
ii. Per contro, nelle societa' in nome collettivo, sebbene vi sia  la
possibilita' con delibera unanime di affidare l'amministrazione  solo
ad alcuni dei soci, vi  sarebbe  una  tendenziale  coincidenza  delle
persone dei soci e degli amministratori, nonche' tendenzialmente  una
durata illimitata nell'incarico di amministratore . Non solo, laddove
l'amministrazione  e'  affidata  solo  ad  alcuni  soci,  agli  altri
sarebbero attribuiti  per  legge  penetranti  poteri  di  indagine  e
verifica sull'attivita' degli amministratori e della  societa'.  iii.
pertanto, queste caratteristiche che, da una  parte,  accomunerebbero
la sas  agli  enti  con  personalita'  giuridica  e,  dell'altra,  la
differenzierebbero  nettamente  da  una  snc,  rappresenterebbero  la
ragione per cui la Corte costituzionale avrebbe ritenuto  estensibile
la norma sulla sospensione della prescrizione alle sole  societa'  in
accomandita. Per le  stesse  ragioni  non  sarebbe  quindi  possibile
invocare una disparita' di trattamento  tra  due  situazioni  uguali,
sanzionabile quindi per violazione all'art. 3  Cost.,  in  quanto  le
differenze strutturali tra le due  tipologie  di  societa'  sarebbero
tali da legittimare l'applicazione di una  diversa  disciplina  sulla
prescrizione. c) Infine, l'eccezione di costituzionalita' sarebbe  da
rigettare anche con riferimento all'art. 24 Cost.  in  quanto,  fermi
restando i poteri di vigilanza dei soci, anche  nel  caso  di  doloso
occultamento di un atto o fatto dal quale sorgerebbe  un  diritto  al
risarcimento  in  capo  alla  societa',  la  prescrizione  resterebbe
sospesa ex art. 2941 n. 8 c.c., e pertanto il diritto della  societa'
medesima di agire verso gli amministratori resterebbe impregiudicato. 
    Lette le note e sentite le parti all'udienza del 25 giugno  2013,
Collegio, ritenuto che la questione sulla prescrizione e'  di  grande
rilevanza per la definizione  del  giudizio,  che  e'  da  escludersi
l'applicabilita' diretta, o analogica, della norma  di  cui  all'art.
2941 n.7 c.c., e  che  altresi'  e'  da  ritenersi  rilevante  e  non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
sollevata  dalla  attrice,  deliberava  di  rimettere  la   questione
medesima alla Corte costituzionale, con separata ordinanza, e  quindi
sospendeva il giudizio sino alla comunicazione della decisione  della
ridetta Corte. 
    Con l'ordinanza di data 26 agosto 2013, iscritta al  n.  250  del
registro delle ordinanze dell'anno 2013 e pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica al n. 47 prima serie speciale del 2013, il
Collegio dichiarava "rilevante e  non  manifestamente  infondata,  in
relazione agli artt. 3 e  24  Cost.,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2941, n. 7, c.c., nella  parte  in  cui  non
prevede la sospensione della prescrizione tra  la  societa'  in  nome
collettivo  e  suoi  amministratori  per   le   azioni   sociali   di
responsabilita'  nei  loro  confronti  finche'  sono  in  carica"   e
conseguentemente sottoponeva all'adita Corte la questione medesima. 
    Con  l'ordinanza  n.  123  di  data  5  maggio  2014,  la   Corte
costituzionale  dichiarava  la   manifesta   inammissibilita'   della
questione di legittimita' costituzionale  sollevata,  rilevando  che,
alla luce del piu' recente orientamento della Cassazione circa l'art.
34 d.lgs. n. 5/2003, «il mancato esame, ...,  della  validita'  della
clausola compromissoria si risolve in una  carenza  argomentativa  in
ordine alla potestas iudicandi»  (degli  arbitri)  «che  comporta  la
manifesta   inammissibilita'   della   questione   di    legittimita'
costituzionale per difetto di motivazione sulla rilevanza». 
    Quindi, in data 18 luglio 2014, parte attrice depositava  istanza
di prosecuzione dell'Arbitrato ai sensi dell'art. 819-bis c.p.c. e il
Collegio, verificato che  l'istanza  medesima  era  stata  depositata
entro il termine di cui alla citata norma, rinviava  all'udienza  del
22 settembre 2014 per la comparizione delle parti. 
    All'esito di tale udienza, gli scriventi Arbitri: 
        I. rilevato che le parti insistevano per raccoglimento  delle
conclusioni come rassegnate nelle rispettive  memorie  depositate  17
giugno 2013; 
        II. rilevata, quindi, la necessita' di ottenere  dalla  Corte
costituzionale  una  pronuncia   di   merito   sulla   questione   di
costituzionalita' qui in rilievo; 
        III. considerato che, per costante giurisprudenza della Corte
costituzionale (v., per tutte, Corte cost. n. 61/2012 e n.  270/2010,
citate nella stessa ordinanza n. 123/2014, cui adde  Corte  cost.  n.
62/1992, cui le prime testualmente si richiamano) «non rientra tra  i
poteri  di  questa  Corte   quello   di   sindacare,   in   sede   di
ammissibilita',  la  validita'  dei  presupposti  di  esistenza   del
giudizio a quo, a meno che  questi  non  risultino  manifestamente  e
incontrovertibilmente carenti»; 
        IV. considerato che nel caso di specie non puo' dirsi  che  i
presupposti di esistenza del giudizio a quo siano  "manifestamente  e
incontrovertibilmente carenti", poiche', a fronte di un  orientamento
della Cassazione, peraltro espresso sempre da singole sezioni, che di
recente  e'  andato   consolidandosi   nel   senso   della   nullita'
sopravvenuta  delle  clausole  compromissorie  che  non  siano  state
adeguate ai dettami dell'art. 34 d.lgs. n. 5/2003,  si  continuano  a
rinvenire decisioni dei giudici di merito  (cfr.,  ex  multis,  Trib.
Torre Annunziata, 22.10.2013, in Societa', 2014, 360;  App.  Bologna,
26.3.2012, in IlCaso.it; Trib. Modena, 7.10.2011, in IlCaso.it; Trib.
Padova, 17.6.2010, in Leggi d'Italia - Repertorio di  giurisprudenza,
oltre a Trib. Trento, 10.11.2011, resa nell'ambito della controversia
che ci occupa) che, con diverse motivazioni, affermano la  permanente
validita' di quelle clausole, soprattutto se contenute nei  documenti
costitutivi di societa' di persone; 
        V. considerato che, quindi, la censura che  ha  portato  alla
dichiarazione di inammissibilita' dell'ordinanza  di  rimessione  del
26.8.2013 concerne essenzialmente  un  difetto  di  motivazione,  con
riferimento  al  "mancato  esame  della  validita'   della   clausola
compromissoria", difetto certamente  sanabile  nel  contesto  di  una
nuova ordinanza di rimessione; 
        VI.  considerato,  infine,  che,  alla  luce  della  costante
giurisprudenza della Corte costituzionale  (cfr.,  ex  multis,  Corte
cost. nn. 263/2009; 399/2002 e 189/2001), quando il vizio posto  alla
base di una dichiarazione di inammissibilita' sia un vizio  sanabile,
nulla osta alla riproposizione davanti al Giudice delle  leggi  della
medesima questione di legittimita' gia' dichiarata inammissibile; 
    deliberavano di promuovere nuovamente innanzi all'adita Corte  la
questione di legittimita' costituzionale della norma di cui  all'art.
2941 comma 1 n.7 c.c. nella parte in cui la stessa non prevede che la
sospensione del termine di prescrizione opera anche nei rapporti  tra
le societa' in nome collettivo e i loro amministratori. 
 
                               Diritto 
 
Sulla competenza a decidere del Collegio arbitrale. 
    Va preliminarmente chiarito che il  Collegio,  nell'ordinanza  di
rimessione del 26.8.2013, non aveva illustrato le  ragioni  in  forza
delle quali riteneva sussistente la propria competenza a decidere  la
controversia insorta tra S.I.PER.  s.n.c.  e  Pegoretti,  sulla  base
dell'assunto che un giudice che si ritenga competente, in assenza  di
eccezioni sul punto da parte del convenuto in giudizio - si consideri
che nel caso di specie, il convenuto, non soltanto nulla ha  eccepito
nelle sue difese circa la devoluzione ad arbitri  della  controversia
de qua, ma addirittura, sottoscrivendo personalmente  il  verbale  di
costituzione del collegio, ha, tra l'altro, confermato  espressamente
che tale controversia rientra tra quelle devolute  ad  arbitri  dalla
clausola compromissoria di cui all'art. 14 del contratto  sociale  di
S.I.PER., con cio' evidentemente ritenendola affatto valida -, non ha
la necessita' di argomentare preliminarmente  sulla  questione  della
competenza. 
    Poiche', tuttavia, la Corte costituzionale  proprio  sull'assenza
di argomentazioni sul  punto  ha  fondato  la  propria  decisione  di
dichiarare inammissibile la questione di legittimita'  costituzionale
sollevata da  questo  Collegio,  il  medesimo  ritiene  doveroso,  in
ossequio a quanto stabilito dalla Corte, premettere  in  questa  sede
alla  trattazione  nel  merito  della   questione   di   legittimita'
l'enunciazione delle ragioni in  forza  delle  quali  ha  ritenuto  e
ritiene valida ed efficace la clausola compromissoria di cui all'art.
14 del contratto sociale di S.I.PER. e, quindi, di essere  competente
a decidere la controversia de  qua,  nonostante  che  di  recente  la
Cassazione  si  sia  orientata,  dopo  una  fase  di  incertezza,  ad
affermare in generale la nullita' sopravvenuta di tutte  le  clausole
compromissorie  comunque  non  adeguate  al  dettato  del  2°   comma
dell'art. 34 d.lgs. n. 5/2003. 
    Al riguardo, va in primo  luogo  sottolineato  che  nel  caso  di
specie la societa' nel cui atto costitutivo e' contenuta la  clausola
compromissoria e' una societa' in nome collettivo,  una  societa'  di
persone,  quindi.  Va,  in  secondo   luogo,   considerato   che   la
stipulazione di tale atto costitutivo e l'iscrizione  della  societa'
nel registro delle imprese risalgono a epoca precedente  l'emanazione
e l'entrata in vigore del d.lgs.  n.  5/2003,  nel  cui  art.  34  si
sanzionano  con  la  nullita'  le  clausole  compromissorie  che  non
conferiscano il potere di nomina di  tutti  gli  arbitri  a  soggetto
estraneo alla societa'. 
    Ebbene, la circostanza che S.I.PER. sia una societa' di  persone,
in una con quella che la clausola compromissoria  contenuta  nel  suo
atto costitutivo  risalga  a  un'epoca  che  precede  l'emanazione  e
l'entrata in vigore del d.lgs. n. 5/2003, appare decisiva al fine  di
affermare la permanente validita' di tale clausola. 
    Infatti, dal combinato disposto degli artt. 41 d.lgs. n.  5/2003,
dall'un lato, e 223-bis e 223-duodecies disp. att. c.c.,  dall'altro,
emerge con grande evidenza che l'obbligo di adeguare, entro un  certo
termine  temporale,  le  clausole  compromissorie  preesistenti  alle
disposizioni inderogabili contenute nell'art.  34  d.lgs.  n.  5/2203
concerne  esclusivamente  le   societa'   di   capitali   (e   quelle
cooperative),  per  le  quali  la  legge  predispone  anche,  in  via
transitoria, un procedimento decisionale  "facilitato".  Da  cio'  si
ricava,  a  parere  del  Collegio,  ma  si  tratta  di   affermazione
rinvenibile in piu' decisioni recenti [cfr., per tutte,  Trib.  Torre
Annunziata, 22.10.2013, in Societa', 2014, 360 («Non  e'  affetta  da
nullita' per  contrarieta'  all'art.  34  del  d.lgs.  n.  5/2003  la
clausola compromissoria prevista dallo statuto  di  una  societa'  in
accomandita semplice adottato anteriormente all'entrata in vigore del
d.lgs. n. 5/2003, in quanto l'obbligo di adeguare lo statuto e' stato
previsto per legge esclusivamente per le  societa'  di  capitali»)  e
Trib.  Padova,  17.6.2010,  in  Leggi  d'Italia   -   Repertorio   di
giurisprudenza, nonche' Trib. Trento, 10.11.2011, che ha declinato la
propria competenza nella controversia de qua], che nessun  dovere  di
adeguamento alla disciplina contenuta nell'art. 34 d.lgs.  n.  5/2003
e' stato imposto dalla legge alle societa' di persone, gia'  iscritte
nel registro delle imprese all'epoca dell'entrata in vigore  di  tale
disciplina. 
    Ma c'e' di piu'. Nel medesimo  art.  34  d.lgs.  n.  5/2003,  nel
mentre  (comma  2°)  si  sanziona  con  la   nullita'   la   clausola
compromissoria che non preveda la nomina "esterna" degli arbitri,  si
stabilisce (comma 6°) che le modifiche statutarie tese, a  regime,  a
introdurre o a  sopprimere  clausole  compromissorie  debbano  essere
approvate dai soci che rappresentino almeno i due terzi del  capitale
sociale, con diritto di recesso concesso ai  soci  non  consenzienti,
norma, questa seconda, che assume un senso soltanto se riferita  alle
societa' di capitali. Nelle societa'  di  persone,  infatti,  dall'un
lato,  le  modifiche  del  contratto  sociale  sono  possibili   solo
all'unanimita',  salva  diversa  previsione  (art.  2252  c.c.),   e,
dall'altro, le maggioranze non si calcolano ordinariamente per  quote
di capitale, bensi' per quote  di  partecipazione  agli  utili  (art.
2257, comma 3°, c.c., ritenuto comunemente espressione di una  regola
di generale applicazione). 
    Da cio', pertanto,  si  potrebbe,  addirittura,  argomentare  nel
senso che l'intero sistema del c.d. arbitrato  societario  sia  stato
pensato e voluto per le sole societa' di capitali (e cooperative). 
    E ancora, si potrebbe giungere, cosi' come recenti  decisioni  di
merito hanno fatto [cfr., per  tutte,  App.  Bologna,  26.3.2012,  in
IlCaso.it («La validita' di una clausola compromissoria in  relazione
all'art. 34, comma 2, d.lgs. 17  gennaio  2003,  n.  5,  deve  essere
valutata con riferimento al momento in cui e' stata redatta; sotto il
profilo sostanziale trova, infatti, applicazione il  principio  della
irretroattivita' della legge nel tempo») e Trib.  Modena,  7.10.2011,
ibidem] a ritenere che una clausola compromissoria non conforme  alla
previsione del 2° comma  dell'art.  34  d.lgs.  n.  5/2003  contenuta
nell'atto costitutivo di  una  societa'  di  persone  concluso  prima
dell'entrata  in  vigore  del  d.lgs.  n.  5/2003  mantenga  la   sua
validita', in assenza di un obbligo per questa tipologia di  societa'
di adeguarsi alle nuove disposizioni  inderogabili,  in  applicazione
del principio dell'irretroattivita' della legge. 
    Ad abundantiam, a sostegno della  tesi  qui  sostenuta,  si  puo'
aggiungere  anche  la  considerazione  che,  alla  luce  della   gia'
ricordata circostanza che nelle societa' di persone le modifiche  del
contratto  sono  possibili  soltanto  all'unanimita',  salva  diversa
espressa previsione, sanzionare  con  la  nullita'  sopravvenuta,  in
assenza di una previsione di un procedimento decisionale "facilitato"
di adeguamento,  le  clausole  compromissorie  contenute  negli  atti
costitutivi di dette societa' non conformi ai  dettami  dell'art.  34
d.lgs. n. 5/2003,  porterebbe  con  se'  all'inevitabile  effetto  di
vanificare definitivamente, nella stragrande maggioranza dei casi, la
chiara opzione dei paciscenti originali per il deferimento ad arbitri
delle controversie societarie. E  cio'  nonostante  si  versi  in  un
contesto di crescente favor legislativo per il ricorso all'arbitrato. 
    Per tutto quanto sopra  illustrato,  il  Collegio  rimettente  ha
ritenuto e ritiene che la clausola compromissoria di cui all'art.  14
del contratto sociale di S.I.PER sia tuttora valida e che,  pertanto,
validamente si sia instaurato il procedimento arbitrale de quo. 
    Va tuttavia soggiunto che, anche nella denegata ipotesi in cui si
dovesse ritenere nulla la clausola compromissoria sopra ricordata, la
sussistenza  del  potere  del  Collegio  rimettente  di  decidere  la
controversia a esso deferita da S.I.PER nei confronti di Pegoretti si
dovrebbe, comunque, ricavare aliunde. 
    A proposito del caso di specie,  va  rilevato,  infatti,  che  le
parti non hanno mai  sollevato  nel  corso  del  procedimento  alcuna
eccezione in merito alla validita' della clausola arbitrale in  esame
e anzi,  sottoscrivendo  personalmente  l'atto  di  costituzione  del
collegio arbitrale di data 27 febbraio 2013, hanno dichiarato che  la
controversia insorta  rientrava  nell'ambito  di  applicazione  della
clausola medesima, riconoscendone, quindi, la piena validita'. 
    Ebbene, sono numerosi e autorevoli gli autori  che  in  dottrina,
seppure con riferimento alla fattispecie del deferimento  ad  arbitri
di una controversia non rientrante nella sfera di applicazione di una
determinata clausola compromissoria, fattispecie non coincidente  con
quella che ci occupa, ma, ai fini  che  qui  interessano,  certamente
analoga a essa,  affermano  che  la  mancata  tempestiva  rilevazione
dell'eccezione di incompetenza degli  arbitri  configura  un  assenso
implicito  alla  trattazione  della  domanda  proposta  di  tal   che
l'allargamento dell'oggetto  del  giudicato  avverrebbe  per  effetto
della  conclusione  di  un   compromesso   tacito   (Luiso,   Diritto
Processuale Civile IV, I processi speciali, III ediz., Milano,  2000,
321  e  322,  Cecchella  Il  processo  e  il  giudizio  arbitrale  in
L'arbitrato, a cura  di  C.  Cecchella,  Torino,  2005,  56,  Velani,
Eccezione di incompetenza in  Dizionario  dell'arbitrato.,  Torino  ,
1997, 292 e ss.). 
    In tal senso, poi, si e' espressa anche la Corte  di  cassazione,
sebbene con un semplice obiter dictum, nella sentenza Cass. 30 agosto
1999 n. 9111: «cio' premesso, va considerato che lo  pronuncia  fuori
dai limiti del compromesso, prevista dall'art. 829, comma  1,  n.  4,
ricorre quando i  quesiti  o  alcuni  dei  quesiti,  sottoposti  agli
arbitri, non rientrino nell'oggetto della clausola  compromissorio  o
del compromesso, cosicche' la loro potestas iudicandi,  non  trovando
la sua attribuzione nella clausola o nel compromesso, non puo' essere
legittimamente esercitata, con conseguente nullita' del lodo,  sanata
(a norma dell'art. 817 c.p.c.) ove nessuna delle parti deduca dinanzi
agli arbitri l'esorbitanza del quesito dai limiti  della  clausola  o
del compromesso, dovendosi ritenere che con tale mancata deduzione le
parti abbiano inteso tacitamente ampliarne l'oggetto». 
    Applicando allora questi principi al caso di specie, discende che
il contegno processuale tenuto dalle parti, le quali si ripete -  non
soltanto   mai   hanno   eccepito   la   nullita'   della    clausola
compromissoria,  ma  addirittura,  sottoscrivendo  personalmente   il
verbale di costituzione del collegio, ne hanno riaffermato  la  piena
validita',  dovrebbe  comunque  essere  considerato  come   implicita
manifestazione della volonta' di deferire agli  arbitri  la  presente
lite in forza di un nuovo e autonomo, seppure tacito, compromesso. 
    In ragione di quanto sopra, non  appare  bisognosa  di  ulteriore
approfondimento l'ulteriore questione  sollevata  dalla  Corte  nella
citata ordinanza di inammissibilita'  relativa  al  rapporto  tra  la
sentenza del Tribunale di Trenta del 10 novembre 2011, con  la  quale
e' stata declinata la competenza del giudice ordinario  a  favore  di
quello arbitrale, e il presente arbitrato. 
    Si tratta, infatti, di questione da considerarsi  assorbita  alla
luce dell'affermata, in via autonoma, competenza di questo Collegio. 
    Al piu', si puo' osservare che il  presente  arbitrato  e'  stato
introdotto prima che la  Corte  costituzionale  con  la  sentenza  n.
223/2013  dichiarasse  incostituzionale  la  norma  di  cui  all'art.
819-ter c.p.c.  nella  parte  in  cui  escludeva,  nei  rapporti  tra
arbitrato e processo, l'applicabilita' dell'art.  50  c.p.c.  e  che,
pertanto, nel caso  di  specie  una  questione  di  traslatio  iudici
neppure in astratto potrebbe porsi. 
Sul merito della questione di costituzionalita' sollevata. 
    Venendo  ora  al  merito  della  questione  di  costituzionalita'
sollevata, va, in primo luogo, esclusa l'applicazione  diretta  della
norma dell'art. 2941, n. 7, c.c.  alle  societa'  di  persone  e,  in
specie, per cio' che in questa sede interessa, alla societa' in  nome
collettivo. 
    Per quanto si possa - e si debba - ridimensionare  l'impatto  che
l'attribuzione  della  personalita'  giuridica  ha   sulla   concreta
disciplina di un ente  collettivo  e  a  prescindere  che  si  voglia
cogliere il tratto distintivo dell'ente personificato sul  piano  dei
rapporti esterni, ovvero su quello dei rapporti interni,  non  sembra
possibile, infatti, aderire a quella tesi - con un qualche seguito in
dottrina, ma  contrastata  dalla  giurisprudenza  dominante  e  dalla
stessa  Corte  costituzionale  -  che,  in  forza   di   una   totale
svalutazione   del   concetto   di   persona    giuridica,    predica
l'applicazione diretta della norma in esame anche  alle  societa'  di
persone. 
    Non foss'altro, appare di ostacolo a una  simile  conclusione  la
circostanza che il  legislatore,  nonostante  abbia  a  piu'  riprese
dall'emanazione del codice civile dettato regole che hanno  eliminato
alcune significative divergenze tra la disciplina degli enti dotati e
di quelli privi di personalita' (vedi, per tutti gli enti, la novella
degli artt. 2659, comma 1°, n. 1, e 2839, comma 2°, n. 1,  c.c.;  con
specifico  riferimento  agli  enti  del  primo   libro   del   codice
l'abrogazione degli artt. 600 e 786 c.c.; con  specifico  riferimento
agli enti del quinto libro, la riforma delle societa' di capitali  e,
in particolare, della societa' a responsabilita' limitata del  2003),
non ha mai provveduto a riconoscere a  tutti  gli  "enti  collettivi"
l'attributo della personalita' giuridica. 
    Per quanto in questa sede interessa, a differenza  di  quanto  e'
accaduto in  ordinamenti  vicini  al  nostro  (in  Francia  tutte  le
societa'  commerciali  acquistano   la   personnalite'   morale   con
l'iscrizione nel Registre du commerce  et  des  societes),  la  legge
continua, quindi, ad attribuire la personalita' giuridica  alle  sole
societa' di capitali e alle cooperative. 
    Va, in  secondo  luogo,  esclusa  la  possibilita'  di  ricorrere
all'analogia per estendere l'applicazione dell'art. 2941, n. 7,  alle
societa' di persone. E cio' per l'assorbente  ragione  che,  come  e'
pacifico  (v.  Cass.,  12  giugno  2007,  n.  13765,   in   relazione
all'applicabilita' della sospensione della prescrizione all'azione di
responsabilita' contro sindaci e  direttori  generali,  e  anche  sul
punto qui affrontato Corte cost., 24 luglio 1998, n. 322),  le  norme
che prevedono  cause  di  sospensione  del  decorso  del  termine  di
prescrizione hanno carattere eccezionale. 
    Con  specifico  riferimento  al  caso  della  societa'  in   nome
collettivo - e'  il  caso  che  ci  occupa  -,  non  appare,  infine,
possibile ritenere applicabile anche a tale tipo sociale l'art. 2941,
n. 7, in forza della decisione della Corte cost. n. 322/1998  (cosi',
invece, ma, a  parere  del  Collegio,  non  correttamente,  Cass.  n.
13765/2007, in motivazione). Sebbene con  la  relativa  ordinanza  di
rimessione (v. Cass., ord. 12 febbraio  1997,  n.  127)  fosse  stata
sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2941, n.
7, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., «... nella parte in cui  non
prevede la sospensione della prescrizione tra le societa' di  persone
(enfasi del redattore) ed i loro  amministratori  per  le  azioni  di
responsabilita' contro costoro finche' sono in carica», la Corte  ha,
infatti, limitato la sua pronuncia alla sola societa' in  accomandita
semplice. E non soltanto il dispositivo  della  sentenza  («La  Corte
costituzionale  dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.
2941, numero 7, del codice civile, nella parte in cui non prevede che
la  prescrizione  rimane  sospesa  tra  la  societa'  in  accomandita
semplice ed i suoi amministratori, finche' sono  in  carica,  per  le
azioni di responsabilita' contro di  essi»)  e'  inequivoco  in  tale
senso, ma neppure la motivazione offre argomenti tali  da  consentire
una  lettura  diversa.  Al  contrario,  in  essa  si   ha   cura   di
puntualizzare che, nonostante l'ordinanza di rimessione  abbracciasse
tutte  le  societa'  di  persone,  la   questione   di   legittimita'
costituzionale poteva concretamente essere  affrontata  soltanto  con
riferimento alla societa'  in  accomandita  semplice,  «in  relazione
all'oggetto del giudizio a quo», che  concerneva  appunto  tale  tipo
sociale. 
    Allo stato, dunque, pur considerando la sentenza "additiva" della
Corte costituzionale del 1998, alle azioni sociali di responsabilita'
promosse nei confronti  degli  amministratori  di  societa'  in  nome
collettivo non si applicherebbe  la  sospensione  della  prescrizione
prevista nell'art. 2941, n. 7, per le societa' munite di personalita'
giuridica e, al seguito dell'intervento del Giudice delle leggi,  per
le societa' in accomandita semplice. 
    Alla luce di tutto cio', emerge la rilevanza della  questione  di
legittimita' costituzionale sollevata nel presente giudizio  ai  fini
della decisione che il Collegio dovra' assumere. 
    Per dare adeguato conto di cio', e' sufficiente porre in evidenza
che, essendosi verificata l'interruzione della  prescrizione  con  la
notificazione  dell'azione  di  responsabilita'  nei  confronti   del
Pegoretti avanti Tribunale di Trento, cioe' a dire il 1° marzo  2010,
giusta l'art. 2949, comma 1°,  c.c.,  risulterebbero  prescritte,  in
assenza della dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 2941, n.
7, le pretese risarcitorie  dell'attrice  concernenti  i  fatti  e  i
comportamenti antecedenti al 1° marzo 2005, pretese che, a fronte  di
una domanda complessivamente pari a € 8.587.917,99, ammontano a circa
€ 8.044.665,94. 
    Cio' rilevato, a parere del Collegio, la disparita' di disciplina
tra la societa' in nome collettivo e le altre  societa'  commerciali,
sopra   evidenziata,   non    troverebbe    giustificazione    alcuna
nell'ordinamento, con l'effetto che la norma dell'art.  2941,  n.  7,
nella parte in cui non include tutte le societa', dotate  o  meno  di
personalita' giuridica, e, in specie, la societa' in nome collettivo,
nel  proprio  catalogo,  appare  costituzionalmente  illegittima  per
violazione dell'art. 3 Cost. 
    Per  motivare  adeguatamente  tale  affermazione,  e'  necessario
procedere  dall'individuazione  di  quale  possa  essere  la  ragione
giustificatrice della sospensione della prescrizione prevista nel  n.
7 dell'art.  2941,  per  verificarne  la  tenuta  in  relazione  alla
differenza di trattamento che, per effetto della norma,  si  instaura
tra le societa' di capitali, dall'un lato,  e  la  societa'  in  nome
collettivo, dall'altro. 
    a) Come e' noto, secondo la tesi  piu'  risalente,  tale  ragione
andrebbe individuata  nella  sostanziale  coincidenza  tra  attore  e
convenuto che si verrebbe a determinare quando la  persona  giuridica
agisse nei confronti dei propri amministratori / rappresentanti. 
    b) Secondo altra tesi la sospensione della prescrizione di cui al
n. 7 dell'art.  2941  si  spiegherebbe  con  la  considerazione  che,
finche' sono in carica,  gli  amministratori  di  enti  personificati
sarebbero in grado di occultare i loro illeciti, e, comunque, sarebbe
difficoltoso per la persona giuridica averne contezza. 
    c) Secondo una terza tesi, che si pone in una prospettiva analoga
alla precedente, la ragione giustificatrice del trattamento peculiare
riservato   alle    persone    giuridiche    andrebbe    rintracciato
nell'organizzazione di tipo corporativo, caratterizzata da una rigida
separazione  di  competenze   tra   organi,   tutti   egualmente   di
obbligatoria  istituzione,  che  sarebbe  tipica  esclusivamente   di
queste. 
    A ben vedere e concentrando l'analisi sui fenomeni societari, che
in questa sede interessano, nessuna delle rationes sopra ricordate e'
in grado di fornire una giustificazione logica del diverso regime tra
societa' di capitali e societa' di persone,  in  specie  societa'  in
nome collettivo, quanto al decorso del termine  di  prescrizione  per
l'esercizio dell'azione  sociale  di  responsabilita'  nei  confronti
degli amministratori. 
    E, infatti. 
    Sub a).  Premesso  in  generale  che  a  tale  tesi  si  potrebbe
obiettare che, per quanto qui  interessa,  la  legge  predispone  per
tutti i tipi sociali  disciplinati,  siano  essi  dotati  o  meno  di
personalita', rimedi, sia di carattere sostanziale (la  revoca  degli
amministratori), sia di carattere processuale (la nomina di  curatori
speciali), affatto in grado  di  ovviare  a  quell'inconveniente,  va
sottolineato che da decenni, infatti,  e'  ormai  acquisito  tra  gli
interpreti che anche le societa' di persone, al  pari  di  quelle  di
capitali,  lungi  dall'esaurirsi  nella   molteplicita'   dei   soci,
rientrano a pieno  titolo  tra  i  fenomeni  associativi  "a  rilievo
reale",  o  "a  rilevanza  esterna",  come  altri  preferisce   dire,
caratterizzati dall'autonomia patrimoniale,  seppure  differentemente
graduata,  dall'essere  soggetti  di  diritto   distinti   dai   loro
componenti e dall'avere al loro centro  l'esercizio  di  un'attivita'
"metaindividuale",  nel  senso  che  nei  confronti  dei   terzi,   a
prescindere da chi (e sulla base  di  quali  regole)  agisca,  e'  il
gruppo dei contraenti unitariamente inteso che emerge come produttore
di diritto comune nell'ordinamento ed e' al gruppo che gli  eventuali
risultati negativi di essa vengono imputati. E, quindi,  se  problema
dovesse essere, come da alcuno si ritiene, quello  della  coincidenza
tra attore (la societa') e il convenuto (l'amministratore),  esso  si
presenterebbe  nei  medesimi  termini  in  tutti  i   tipi   sociali,
personificati e non. 
    Sub b). Per rendersi conto che la differenza di  trattamento  tra
societa' di capitali e societa' di persone, circa  il  decorso  della
prescrizione, non troverebbe giustificazione alcuna anche seguendo la
tesi di quanti ritengono che la sospensione di cui al n. 7  dell'art.
2941 si spieghi con la considerazione che, finche'  sono  in  carica,
gli amministratori sarebbero in grado di occultare i  loro  illeciti,
e, comunque, sarebbe difficoltoso per  la  persona  giuridica  averne
contezza, e' sufficiente porre mente alla  disciplina  attuale  della
societa' a responsabilita' limitata, persona giuridica  a  tutti  gli
effetti, e, in particolare, all'art. 2476 c.c. 
    La previsione (comma 2°) che ciascun socio ha il  diritto,  anche
quando siano stati nominati il collegio sindacale o un revisore,  non
soltanto di avere  notizie  dagli  amministratori  sullo  svolgimento
degli affari sociali, ma anche di consultare, se del caso  per  mezzo
di professionisti di fiducia, i libri sociali  e  tutti  i  documenti
relativi all'amministrazione, in una con la previsione (comma 3°) che
l'azione   sociale   di   responsabilita'   nei    confronti    degli
amministratori e' esercitabile da ciascun  socio,  qualunque  sia  il
peso della sua partecipazione, con la facolta' anche di  chiedere  la
loro revoca, rendono evidente, infatti, che il livello di trasparenza
della gestione e gli strumenti di reazione  alla  mala  gestio  degli
amministratori sono  addirittura  superiori  oggi  nella  societa'  a
responsabilita' limitata, rispetto a quanto accade nelle societa'  di
persone e, in particolare, nella societa' in nome collettivo. 
    Sub   c).   Quanto,   infine,   alla   giustificazione    fondata
sull'ipotizzato discrimine dell'organizzazione di  tipo  corporativo,
caratterizzata da una rigida separazione di  competenze  tra  organi,
tutti egualmente di obbligatoria  istituzione,  che  sarebbe  propria
delle societa' munite di personalita' giuridica, e che  difetterebbe,
invece, nelle societa' di persone, in specie nella societa'  in  nome
collettivo, ove - ma soltanto naturalmente, si badi -  tutti  i  soci
sono anche amministratori, anch'essa entra irrimediabilmente in crisi
ove  si  ponga  mente  alla  disciplina  attuale  della  societa'   a
responsabilita' limitata. 
    In tale tipo sociale, la rigida  separazione  di  competenze  tra
organi puo' cedere, infatti, il passo ad assetti  anche  radicalmente
diversi. E'  sufficiente  al  riguardo  considerare  la  disposizione
dell'art. 2479, comma 1°, c.c., a mente del quale, dall'un  lato,  e'
l'atto costitutivo - e  non  la  legge,  che  si  limita  a  indicare
soltanto quelle comunque riservate alla competenza dei soci (comma 2°
dell'articolo) - a determinare su  quali  materie  siano  chiamati  a
decidere i soci, senza  che  un  limite  possa  essere  rappresentato
dall'attivita' di gestione, e, dall'altro e a  prescindere  da  cio',
qualsivoglia    argomento    concreto    puo'    essere    sottoposto
all'approvazione dei soci -  e,  quindi,  sottratto  alla  competenza
degli amministratori - sulla base della mera richiesta  anche  di  un
solo amministratore o di tanti soci che rappresentino almeno un terzo
del capitale. 
    E ancora, sotto altra  prospettiva,  e'  sufficiente  considerare
che, al pari di quanto accade  nella  societa'  in  nome  collettivo,
anche nella societa' a responsabilita' limitata si puo' prevedere  un
sistema di  amministrazione  non  collegiale,  bensi'  disgiuntivo  o
congiuntivo. 
    In definitiva, come viene sottolineato  dalla  generalita'  degli
interpreti, oggi la societa' a responsabilita' limitata, se  continua
a potere  essere  convenzionalmente  modellata  a  somiglianza  della
societa'  per  azioni,  puo',  pero',  venire   modellata   anche   a
somiglianza  della  societa'  in  nome  collettivo,   con   specifico
riferimento  all'organizzazione  e  ai  rapporti   tra   ente   -   e
collettivita' dei soci - e suoi gestori. 
    A parere del Collegio, nessuna  delle  rationes  che  sono  state
individuate per  spiegare  la  disposizione  dell'art.  2941,  n.  7,
appare, quindi, in grado di offrire elementi decisivi di  distinzione
delle societa' di capitali e, per effetto dell'intervento del Giudice
delle leggi, della societa' in accomandita  semplice,  rispetto  alla
societa' in nome collettivo, tali da giustificare  la  disparita'  di
trattamento tra le prime e le seconde quanto  alla  disciplina  della
sospensione della prescrizione dell'azione sociale di responsabilita'
nei confronti degli amministratori. 
    Analoghe apparendo le situazioni, in specie se si confrontano  la
societa' a responsabilita' limitata, dall'un lato, e la  societa'  in
nome collettivo, dall'altro, il mantenimento di quella disparita'  di
trattamento  rappresenterebbe  pertanto  una  palese  violazione  del
principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. 
    Sempre  a  parere  del  Collegio,  le  superiori   considerazioni
contribuiscono anche a fare ritenere non manifestamente infondata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2941, n. 7,  anche
in  relazione  all'art.  24  Cost.,   risolvendosi   l'ingiustificata
disparita' di trattamento che essa introduce tra societa' di capitali
e societa' in nome collettivo  in  una  minorazione  del  diritto  di
difesa di questa seconda nei confronti degli  illeciti  compiuti  dai
propri amministratori. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Collegio, 
    Visti gli artt. 1 legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 legge 11
marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata,
in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2941, n. 7, c.c., nella  parte  in  cui  non
prevede la sospensione della prescrizione tra  la  societa'  in  nome
collettivo  e  i  suoi  amministratori  per  le  azioni  sociali   di
responsabilita' nei loro confronti finche' sono in carica; 
    conferma la sospensione del presente procedimento arbitrale, gia'
disposta con ordinanza del 22 settembre 2014; 
    dispone, previa notificazione al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e alle parti del procedimento e comunicazione ai  Presidenti
delle due Camere  del  Parlamento,  la  trasmissione  della  presente
ordinanza alla Corte costituzionale, in una con tutti  gli  atti  del
procedimento e la prova delle predette notificazioni e comunicazioni. 
 
        Padova, 7 novembre 2014 
 
       prof. avv. Maurizio De Acutis (Presidente del Collegio) 
 
 
                     avv. Paolo Cape' (Arbitro) 
 
 
                    dott. Paolo Piccoli (Arbitro)