N. 56 SENTENZA 10 - 31 marzo 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Gioco e scommesse - Nuovi  requisiti  per  i  concessionari  e  nuovi
  obblighi a loro carico. 
- Legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione  del
  bilancio annuale e pluriennale dello Stato -  legge  di  stabilita'
  2011), art. 1, comma 79, nonche' i precedenti commi  77  e  78,  in
  quanto richiamati dal comma 79. 
-   
(GU n.14 del 8-4-2015 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici :Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo  GROSSI,  Aldo
  CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma
79, nonche' dei precedenti commi 77 e 78, in  quanto  richiamati  dal
comma 79, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge  di
stabilita' 2011) promosso dal Consiglio  di  Stato  nel  procedimento
vertente tra B Plus  Giocolegale  ltd  e  l'Amministrazione  autonoma
monopoli di Stato ed altro, con  ordinanza  del  23  settembre  2013,
iscritta al n. 280 del registro ordinanze  2013  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  2,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2014. 
    Visti l'atto di costituzione di B Plus Giocolegale  ltd,  nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 10 marzo 2015 il Giudice relatore
Daria de Pretis; 
    uditi gli avvocati Andrea Scuderi e Carmelo Barreca  per  B  Plus
Giocolegale ltd e l'avvocato  dello  Stato  Amedeo  Elefante  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 23 settembre 2013, il Consiglio di Stato ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
79, della legge  13  dicembre  2010,  n.  220  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge  di
stabilita' 2011), nonche' dei commi 77 e 78 del medesimo art.  1,  in
quanto richiamati dal comma 79, in  riferimento  agli  artt.  3,  41,
primo comma, e 42, terzo comma, della Costituzione. 
    1.1.- La questione e' sorta  nel  corso  del  giudizio  d'appello
avverso la sentenza pronunciata il 22  dicembre  2011  dal  Tribunale
amministrativo regionale del  Lazio,  adito  dalla  societa'  B  Plus
Giocolegale ltd per ottenere, con un  primo  ricorso,  l'annullamento
del  decreto  interdirigenziale  28   giugno   2011   del   direttore
dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (d'ora in avanti,
«AAMS»), recante  la  determinazione  dei  requisiti  delle  societa'
concessionarie  del  gioco  pubblico  non  a  distanza  e  dei   loro
amministratori, e per ottenere, con un  secondo  ricorso  per  motivi
aggiunti, l'annullamento del bando di gara  indetto  dalla  AAMS  per
l'affidamento in concessione della realizzazione e  conduzione  della
rete per la gestione telematica del gioco lecito, mediante apparecchi
da divertimento e intrattenimento, compresi il capitolato d'oneri, il
capitolato tecnico, lo schema di convenzione e l'atto di approvazione
di quest'ultimo. 
    1.2.- La societa' B  Plus  Giocolegale  ltd,  concessionaria  per
l'attivazione e la conduzione operativa della rete  per  la  gestione
telematica del gioco lecito mediante  apparecchi  da  divertimento  e
intrattenimento, ha aderito alla fase di «concreta sperimentazione  e
[...] avvio a regime di sistemi di  gioco  costituiti  dal  controllo
remoto attraverso  videoterminali  in  ambienti  dedicati»,  prevista
dall'art. 12, comma 1, lettera l), del decreto-legge 28 aprile  2009,
n. 39 (Interventi urgenti in favore delle popolazioni  colpite  dagli
eventi sismici nella regione  Abruzzo  nel  mese  di  aprile  2009  e
ulteriori interventi urgenti di protezione civile),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 24 giugno  2009,  n.
77, a norma del quale la AAMS doveva definire con propri decreti  «le
procedure  di  autorizzazione  dei  concessionari  all'installazione,
previo versamento di euro 15.000 ciascuno, di videoterminali fino  ad
un massimo del quattordici per cento del numero di nulla  osta  dagli
stessi gia' posseduti». 
    La  societa'  ha  sostenuto  in  giudizio  di  avere  diritto  di
proseguire la concessione "senza alcuna  soluzione  di  continuita'",
perche' e' stata autorizzata  all'installazione  dei  videoterminali,
dietro versamento delle  somme  come  sopra  stabilite,  e  ha  fatto
tempestiva richiesta di affidamento, ai sensi dell'art. 21, comma  7,
del decreto-legge 1° luglio 2009,  n.  78  (Provvedimenti  anticrisi,
nonche' proroga di termini), convertito, con modificazioni, dall'art.
1, comma 1, della legge  3  agosto  2009,  n.  102.  Secondo  la  sua
prospettazione, questa norma ha previsto due distinte "modalita'"  di
affidamento in concessione della rete per la gestione telematica  del
gioco lecito, al fine di garantire l'esito  positivo  della  fase  di
sperimentazione e avvio a regime di cui al citato art. 12,  comma  1,
lettera l), del d.l. n. 39  del  2009:  a)  «affidamento  [...]  agli
attuali concessionari che ne facciano richiesta entro il 20  novembre
2009  e   che   siano   stati   autorizzati   all'installazione   dei
videoterminali,  con  conseguente  prosecuzione  della  stessa  senza
alcuna  soluzione  di  continuita'»  (comma   7,   lettera   a);   b)
«affidamento della  concessione  ad  ulteriori  operatori  di  gioco,
nazionali e comunitari», selezionati sulla base di requisiti definiti
dall'amministrazione  «in  coerenza  con  quelli  gia'  richiesti   e
posseduti dagli attuali concessionari» (comma 7, lettera b). 
    La successiva legge n. 220 del 2010 (legge di stabilita'  per  il
2011), ai commi 77, 78 e 79 dell'art. 1, ha introdotto, a garanzia di
plurimi  interessi  pubblici,  disposizioni  relative   ai   rapporti
concessori   sia   in   essere   che   da   costituire,    prevedendo
l'aggiornamento  alle  nuove  prescrizioni  dello  schema   tipo   di
convenzione accessiva alla concessione nonche' la  sottoscrizione  di
un atto di integrazione della  convenzione  entro  180  giorni  della
entrata in vigore della legge. 
    Assumendo che  queste  nuove  prescrizioni  sono  lesive  di  sue
consolidate posizioni, perche' impongono intollerabili pesi  e  oneri
sia gestionali che economici, in assenza di indennizzi di  sorta,  la
societa'  ne  ha  eccepito   l'illegittimita'   costituzionale,   per
violazione degli artt. 3, 41 e 42, Cost., oltre che per il  contrasto
con i principi di tutela dell'affidamento e dei diritti  patrimoniali
sanciti dal diritto europeo e dalla Convenzione per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848. 
    1.3.- Il giudice a quo riferisce che con sentenza non  definitiva
n. 4371 del 2 settembre 2013, in accoglimento dell'appello "nei sensi
e limiti di cui in motivazione", ha statuito che nell'ipotesi in  cui
versa la societa' appellante non e' necessario l'affidamento  di  una
nuova  concessione  mediante   gara,   avendo   essa   diritto   alla
prosecuzione del  rapporto  senza  soluzione  di  continuita',  e  ha
pertanto riformato la sentenza  impugnata,  che  aveva  accolto  solo
parzialmente alcuni motivi del ricorso  principale,  respingendo  nel
resto le domande. 
    Riferisce altresi' che, dovendo scrutinare -  in  riferimento  al
secondo, terzo e quarto motivo di appello  -  la  legittimita'  degli
atti che impongono alla societa' la sottoscrizione di uno «schema  di
atto integrativo» della convenzione di concessione,  ha  ritenuto  di
sollevare, ai fini della definizione del giudizio,  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 79, della legge n. 220
del 2010, e  dei  precedenti  commi  77  e  78,  in  quanto  da  esso
richiamati  e  per  la  parte  in  cui   risultano   applicabili   ai
concessionari che si siano avvalsi della facolta' di cui all'art. 21,
comma 7, del d.l. n. 78 del 2009. 
    1.4.- Sulla rilevanza il Consiglio di Stato espone che l'art.  1,
comma 79, della legge n. 220 del 2010 prevede l'introduzione di nuovi
«requisiti» e «obblighi» a carico, oltre che dei nuovi concessionari,
verosimilmente anche dei concessionari per i quali e' stata accertata
la «prosecuzione» della concessione, ai sensi dell'art. 21, comma  7,
del d.l. n. 78 del 2009, cosicche' la  soluzione  della  controversia
non puo' prescindere dall'applicazione delle norme denunciate. 
    1.5.-  La  non  manifesta  infondatezza  della  questione   viene
circoscritta ai parametri di cui agli artt. 3, 41, primo comma, e 42,
terzo comma, Cost., sotto un duplice profilo. 
    In primo luogo, con riguardo alla possibilita' per il legislatore
di introdurre ex novo  una  disciplina  recante  nuovi  requisiti  ed
obblighi, tali da poter pregiudicare una posizione "consolidata"  del
concessionario, il  cui  conseguimento  ha  implicato  l'esborso  non
irrilevante di somme di denaro. 
    In secondo luogo, con riguardo al fatto che "le norme  introdotte
con la l. n. 220/2010 comportano una  incidenza  diretta  sul  libero
esercizio della liberta'  di  impresa  restringendo  pesantemente  ed
inammissibilmente la  possibilita'  di  accedere  alla  posizione  di
concessionario del gioco lecito e comunque gravando  i  concessionari
di intollerabili oneri aggiunti e prescrizioni eccedenti la natura  e
il contenuto del rapporto". 
    Pur non ignorando che il principio di  irretroattivita',  sancito
dall'art. 11 delle disposizioni  preliminari  al  codice  civile,  ha
ricevuto "copertura" dalla Costituzione  solo  con  riferimento  alle
leggi penali, il rimettente osserva  che  secondo  la  giurisprudenza
della Corte la retroattivita' (ovvero l'applicazione ex novo  di  una
legge sopravvenuta a situazioni preesistenti e diversamente regolate)
incontra un limite nei principi di eguaglianza e  di  ragionevolezza,
cosicche'  devono  essere   censurate   norme   incidenti   in   modo
irragionevole, come quelle in esame, «sul legittimo affidamento nella
sicurezza giuridica, che costituisce un elemento  fondamentale  dello
Stato di diritto (sentenza n. 236 del 2009)»  (sentenza  n.  209  del
2010). 
    A cio' si aggiunga che l'intervento legislativo  pregiudica,  nel
caso  concreto,  una  posizione  conseguita  dal  concessionario  "in
prosecuzione" esercitando una facolta' "a titolo oneroso", senza  che
la nuova disciplina preveda un indennizzo per il sacrificio  imposto,
onde la non manifesta infondatezza della  questione  di  legittimita'
costituzionale anche con riferimento all'art. 42, terzo comma, Cost. 
    A questo riguardo, il rimettente osserva che la concessione e' in
generale revocabile per sopravvenute ragioni di  pubblico  interesse,
ma che in tali casi l'art. 21-quinquies, comma 1-bis, della  legge  7
agosto  1990,  n.  241  (Nuove   norme   in   materia   di   processo
amministrativo e di diritto di accesso ai  documenti  amministrativi)
prevede il diritto del concessionario a un indennizzo, determinandone
la misura. 
    2.- Il 27 gennaio 2014  si  e'  costituita  la  societa'  B  Plus
Giocolegale ltd, appellante nel processo principale, per sostenere le
ragioni  esposte  nell'ordinanza  di  rimessione  ed  insistere   per
l'accoglimento della questione. 
    Descritto  lo  svolgimento  del  giudizio  a  quo  e  ricostruita
l'evoluzione del quadro normativo  della  materia,  ha  a  sua  volta
sostenuto che le norme denunciate contrastano  con  l'art.  3  Cost.,
perche' violano  il  legittimo  affidamento  da  essa  riposto  nella
stabile prosecuzione del  rapporto  di  concessione  non  solo  senza
soluzione di  continuita',  ma  anche  senza  modifiche  contrattuali
peggiorative della sua posizione giuridica,  acquisita  con  notevoli
investimenti    compiuti    per    ottenere     le     autorizzazioni
all'installazione dei videoterminali  e  pregiudicata  dalla  forzata
introduzione nel contratto di nuove clausole penali, di  nuove  cause
di decadenza e di  numerose  disposizioni  vessatorie,  non  previste
nella generalita' dei contratti pubblici, cosi' da mettere  in  forse
la conservazione del titolo concessorio. 
    Ha inoltre ribadito l'esistenza del contrasto con gli artt. 41  e
42  Cost.,  poiche'  il  vulnus  al  principio  dell'affidamento   si
sottrarrebbe  al  giudizio  di   irragionevolezza   solo   se   fosse
accompagnato da un giusto indennizzo, analogo a quello previsto,  nel
caso di revoca della concessione per sopravvenute ragioni di pubblico
interesse, dall'art. 21-quinquies, comma 1-bis, della  legge  n.  241
del 1990. 
    Infine, ha passato in rassegna i singoli obblighi  ai  quali,  ai
sensi  delle  norme   denunciate,   dovrebbe   essere   adeguata   la
convenzione, rilevandone nel dettaglio il conflitto con  i  parametri
evocati. 
    3.- Il 22 gennaio 2014 e' intervenuto nel giudizio il  Presidente
del Consiglio dei ministri, che ha eccepito l'inammissibilita'  della
questione  per  difetto  di  rilevanza  e,   nel   merito,   la   sua
infondatezza. 
    Sotto il primo aspetto,  la  difesa  dello  Stato,  richiamati  i
motivi dell'impugnazione proposta nel frattempo davanti alle  sezioni
unite della Corte di cassazione dalle amministrazioni resistenti  nel
giudizio a quo, ha censurato la scelta  del  Consiglio  di  Stato  di
pronunciare  una   sentenza   di   accertamento   del   diritto   del
concessionario a proseguire il rapporto e di sollevare al contempo la
questione di legittimita' costituzionale. Secondo  l'intervenuto,  il
giudice  a  quo,  nel  caso  in  cui  avesse  nutrito  un  dubbio  di
costituzionalita' delle norme che introducono i  nuovi  obblighi  del
concessionario, avrebbe dovuto sospendere l'intero giudizio ai  sensi
dell'art. 295 del codice di procedura civile,  senza  cimentarsi  nel
"ritaglio" di un rapporto unitario derivante dalla concessione di  un
servizio pubblico; operando diversamente, il Consiglio  di  Stato  ha
sostanzialmente disapplicato  tali  norme,  anticipando  la  sentenza
della Corte costituzionale. 
    Inoltre,  il  rimettente  non  avrebbe  considerato  il  disposto
dell'art. 24, comma 35,  del  decreto-legge  6  luglio  2011,  n.  98
(Disposizioni   urgenti   per   la   stabilizzazione    finanziaria),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  15
luglio  2011,  n.  111,  che,  nel  disciplinare   l'affidamento   in
concessione della rete telematica del gioco lecito,  con  riferimento
ai sistemi  di  gioco  costituiti  dal  controllo  remoto  del  gioco
attraverso videoterminali, prevede alla lettera a), che «nel caso  in
cui risultino aggiudicatari soggetti gia'  concessionari  gli  stessi
mantengono le autorizzazioni alla  installazione  dei  videoterminali
gia' acquisite, senza soluzione  di  continuita'  [...]».  Da  questa
norma  si  desume,  secondo  l'intervenuto,  che  ai  soggetti   gia'
concessionari del servizio sono comunque affidate nuove  concessioni,
a cui si applicano le norme denunciate, pertanto gli atti  dovrebbero
essere restituiti al giudice a quo per una  nuova  valutazione  della
rilevanza  della  questione,  alla  luce  delle   disciplina   teste'
menzionata. 
    Nel  merito,  ricostruito  il  complesso  quadro  normativo,   ha
osservato che l'attuale disciplina delle concessioni per la  raccolta
e gestione del gioco lecito e' improntata alla  tutela  di  rilevanti
interessi pubblici, indicati nel comma 77 dell'art. 1 della legge  n.
220 del 2010 (la garanzia di trasparenza, la pubblica fede,  l'ordine
pubblico e la sicurezza, la salute dei giocatori, la  protezione  dei
minori e delle fasce di giocatori adulti piu' deboli,  la  protezione
degli interessi erariali circa i proventi del gioco ed  il  contrasto
alle infiltrazioni della criminalita' organizzata), che  giustificano
un piu' severo ed attento regime di controlli dei  soggetti  i  quali
eseguono tali attivita' per conto dello Stato, anche con riguardo  ai
requisiti soggettivi e patrimoniali che devono possedere. 
    Le norme denunciate, pertanto, non violano gli artt. 3 e 41 Cost.
e rispettano anche i  principi  comunitari  in  tema  di  parita'  di
trattamento e di liberta' d'impresa, perche' i nuovi  requisiti,  che
restringono l'accesso alle attivita' in concessione,  sono  richiesti
in eguale misura a tutti i soggetti  selezionati  o  da  selezionare;
rispetto al quale non si ispira, invece, la tesi accolta dal  giudice
a  quo,  secondo  cui  la  ricorrente  ha  diritto  a  proseguire  la
concessione per altri nove anni, senza procedura selettiva aperta. 
    L'intervenuto esclude altresi' il contrasto con l'art. 42  Cost.,
per la mancata previsione normativa di un indennizzo per i  sacrifici
imposti al concessionario dai nuovi obblighi contrattuali,  rilevando
che gli investimenti compiuti nel corso della concessione scaduta nel
2009 devono considerarsi gia' ammortizzati e che  quelli  diretti  ad
acquisire le autorizzazioni  ad  installare  i  videoterminali  "sono
divenuti liberamente commerciabili dall'avente diritto anche prima ed
indipendentemente dal rilascio di una nuova concessione o proroga". 
    Infine,  le  norme  denunciate  non  determinano   l'applicazione
retroattiva alle concessioni in corso di clausole  contrattuali  piu'
severe, come ha  sostenuto  il  giudice  a  quo,  bensi'  prescrivono
l'adeguamento alla disciplina sopravvenuta delle  concessioni  nuove,
prorogate o rinnovate, sulla base di atti integrativi volontari. 
    In  ogni  caso,  anche  qualora  si  trattasse  di   applicazione
retroattiva, la  questione  sarebbe  infondata,  perche'  secondo  la
giurisprudenza  costituzionale  l'assetto  di  preesistenti  rapporti
giuridici  puo'  essere  legittimamente   alterato   da   una   norma
sopravvenuta in presenza di interessi generali, sempre  che  il  loro
contemperamento con il  contrapposto  principio  di  affidamento  sia
improntato a criteri di ragionevolezza. Sotto tale aspetto, le  norme
denunciate sembrano sorrette  da  adeguata  ragione  giustificatrice,
avendo prescritto anche per i soggetti gia' concessionari il possesso
di   determinati    requisiti    per    l'esercizio    dell'attivita'
imprenditoriale  nel  settore  dei  giochi,  al  fine  di  conseguire
specifici e  ragionevoli  obiettivi,  funzionali  alla  realizzazione
degli interessi generali indicati nelle norme denunciate. 
    4.- Con memoria depositata in prossimita'  dell'udienza,  B  Plus
Giocolegale  ltd  ha   ulteriormente   illustrato,   richiamando   la
giurisprudenza costituzionale, la violazione dei  parametri  evocati,
con particolare riguardo al principio di affidamento di cui  all'art.
3 Cost., la lesione del quale si connoterebbe di particolare  rilievo
nel caso di specie, attesa  l'incidenza  sostanzialmente  retroattiva
delle norme denunciate su un rapporto di durata, fonte di  situazioni
consolidate del concessionario, che in base ad esse  aveva  calibrato
gli oneri economici e le corrispondenti aspettative. 
    Riesaminate nel dettaglio le singole disposizioni alle  quali  la
convezione dovrebbe adeguarsi, la parte ne ha illustrato il contrasto
anche con l'art. 117 Cost., in relazione sia all'art. 41 della  Carta
dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  europea   che   all'art.   1
(protezione  della  proprieta')  del  Protocollo   addizionale   alla
Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), rilevando, sotto il
primo profilo, che il principio dell'affidamento rientra, secondo  la
consolidata  giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia  dell'Unione
europea, tra i principi fondamentali dell'Unione  europea,  cosicche'
la  Corte  costituzionale  ben  potrebbe  richiedere  una   pronuncia
pregiudiziale ai sensi dell'art. 267 del Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea (ex art.  234  del  Trattato  che  istituisce  la
Comunita' europea), ovvero disporre la  restituzione  degli  atti  al
giudice a quo, perche' decida la controversia non applicando le norme
interne confliggenti con il diritto  dell'Unione  europea;  sotto  il
secondo  profilo,  che  le  aspettative  economiche  derivanti  dalla
concessione di gioco lecito, di cui essa e' titolare, rientrano nella
sfera di tutela apprestata dall'art.  1  del  Protocollo  addizionale
alla CEDU,  estesa  dalla  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei
diritti  dell'uomo  agli  interessi   patrimoniali   e   ai   diritti
immateriali, cosicche' nella specie dovrebbe ritenersi  violato,  per
le stesse ragioni addotte a sostegno  del  denunciato  contrasto  con
l'art. 3 Cost.,  il  principio  di  proporzionalita'  del  sacrificio
imposto al diritto fondamentale del  singolo,  rispetto  al  fine  di
pubblica utilita' perseguito dal legislatore. 
    5.-  Con  memoria  depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  il
Presidente del Consiglio dei ministri ha meglio illustrato le ragioni
dell'eccezione di inammissibilita' per  difetto  di  rilevanza,  gia'
proposta nell'atto di intervento,  osservando  che  il  Consiglio  di
Stato ha sollevato la questione nonostante  avesse  gia'  pronunciato
sentenza di annullamento degli atti impugnati, definendo il  giudizio
e  facendo  cosi'   venir   meno   la   necessaria   pregiudizialita'
dell'incidente di costituzionalita' rispetto alla  causa  principale,
nella quale, una volta accertata  la  prosecuzione  del  rapporto  di
concessione  sulla  base  degli  obblighi  preesistenti,   le   norme
denunciate sono state sostanzialmente disapplicate. 
    Altro profilo di inammissibilita' della questione deriva, secondo
l'intervenuto,  dal  difetto   di   motivazione   dell'ordinanza   di
rimessione, essendosi il giudice a quo limitato a ricostruire i fatti
di causa e a indicare le  norme  sospettate  di  incostituzionalita',
senza formulare chiaramente il petitum e omettendo  di  assolvere  al
doveroso tentativo  di  un'interpretazione  adeguatrice  delle  norme
denunciate, che consideri le peculiarita' del  settore  economico  in
esame, l'accesso al quale e' necessariamente ristretto  dall'esigenza
di assicurare, mediante la previsione ex lege di specifici  requisiti
soggettivi  ed  oggettivi,  idonei  livelli  di  onorabilita'  e   di
solidita'  economico-finanziaria  di  coloro  ai  quali  la  pubblica
amministrazione affida l'attivita' di raccolta e gestione dei  giochi
e delle scommesse, in  funzione  dei  preminenti  interessi  pubblici
coinvolti, che giustificano eventuali limitazioni della  liberta'  di
iniziativa economica privata ed escludono la violazione del principio
di uguaglianza. 
    Nel merito, ha ribadito che non esiste violazione  dei  parametri
evocati, sottolineando la ragionevolezza delle modifiche contrattuali
introdotte dalle norme  denunciate,  anche  a  volerne  ammettere  la
maggiore onerosita' per il concessionario (in analogia con quanto  si
e'  verificato,  previo  superamento  del  vaglio  comunitario,   nel
simmetrico  settore  delle  concessioni  autostradali),  al  fine  di
perseguire primari interessi di tutela  dell'ordine  pubblico  e  del
consumatore, nonche' di prevenzione delle frodi e delle infiltrazioni
criminali, cui si e' ispirata anche la legislazione  successiva,  che
ha inasprito i requisiti di onorabilita' a carico dei  rappresentanti
legali delle societa'  concessionarie  e  di  tutti  i  soggetti  che
partecipano direttamente o indirettamente al loro capitale, con quote
superiori al 2 per cento (art. 24, commi 24, 25 e 26, del d.l. n.  98
del 2011). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-   Il   Consiglio   di   Stato   dubita   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 79, nonche' dei precedenti commi 77
e 78, in quanto richiamati dal comma  79,  della  legge  13  dicembre
2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato - legge di stabilita' 2011),  in  riferimento
agli artt. 3, 41, primo comma, e 42, terzo comma, Cost. 
    Le norme denunciate prevedono l'aggiornamento  dello  schema-tipo
di convenzione  accessiva  alle  concessioni  per  l'esercizio  e  la
raccolta non a distanza, ovvero comunque attraverso rete fisica,  dei
giochi pubblici, in modo che i concessionari siano dotati  dei  nuovi
«requisiti»   e   accettino   i    nuovi    «obblighi»    prescritti,
rispettivamente, nelle lettere  a)  e  b)  del  comma  78,  e  che  i
contenuti delle convenzioni in essere siano adeguati agli  «obblighi»
di cui sopra. 
    In particolare, il comma  79  prevede  che  «[e]ntro  centottanta
giorni dalla data di  entrata  in  vigore  della  presente  legge,  i
soggetti concessionari ai quali sono gia' consentiti l'esercizio e la
raccolta non a distanza dei giochi pubblici sottoscrivono  l'atto  di
integrazione della convenzione accessiva alla concessione  occorrente
per adeguarne i contenuti ai principi di cui al comma 78, lettera b),
numeri 4), 5), 7), 8), 9), 13), 14), 17), 19),  20),  21),  22),  23,
24), 25) e 26)». 
    1.1.- La questione e' sorta nel corso  di  un  giudizio  promosso
contro l'Amministrazione autonoma dei monopoli  di  Stato  (d'ora  in
avanti, «AAMS») dalla societa' B Plus Giocolegale ltd, concessionaria
della rete per la  gestione  telematica  del  gioco  lecito  mediante
apparecchi da divertimento e intrattenimento, nonche' delle attivita'
connesse. 
    La societa' ha aderito alla fase di «concreta  sperimentazione  e
[...] avvio a regime di sistemi di  gioco  costituiti  dal  controllo
remoto attraverso  videoterminali  in  ambienti  dedicati»,  prevista
dall'art. 12, comma 1, lettera l), del decreto-legge 28 aprile  2009,
n. 39 (Interventi urgenti in favore delle popolazioni  colpite  dagli
eventi sismici nella regione  Abruzzo  nel  mese  di  aprile  2009  e
ulteriori interventi urgenti di protezione civile),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 24 giugno  2009,  n.
77, a norma del quale la AAMS doveva definire con propri decreti  «le
procedure  di  autorizzazione  dei  concessionari  all'installazione,
previo versamento di euro 15.000 ciascuno, di videoterminali fino  ad
un massimo del quattordici per cento del numero di nulla  osta  dagli
stessi gia' posseduti». 
    Essendo stata autorizzata  all'installazione  dei  videoterminali
dietro pagamento delle somme sopra indicate, B Plus  Giocolegale  ltd
sostiene di avere diritto di proseguire la concessione senza  obbligo
di partecipare ad una gara, ai  sensi  dell'art.  21,  comma  7,  del
decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonche'
proroga di termini),  convertito,  con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 3 agosto 2009,  n.  102,  secondo  il  quale  le
concessioni della rete per la gestione telematica  del  gioco  lecito
sono  affidate  agli  attuali  concessionari  che  ne  abbiano  fatto
richiesta entro il 20 novembre 2009 e  che  siano  stati  autorizzati
all'installazione dei videoterminali, «con  conseguente  prosecuzione
della stessa senza alcuna  soluzione  di  continuita'»  (lettera  a),
ovvero «ad ulteriori operatori di  gioco,  nazionali  e  comunitari»,
selezionati sulla base di requisiti definiti dall'amministrazione «in
coerenza  con  quelli  gia'  richiesti  e  posseduti  dagli   attuali
concessionari» (lettera b). 
    Per tali ragioni ha adito il Tribunale  amministrativo  regionale
del  Lazio   impugnando,   con   un   primo   ricorso,   il   decreto
interdirigenziale 28 giugno 2011 del direttore della AAMS, recante la
determinazione dei requisiti delle societa' concessionarie del  gioco
pubblico non a distanza e dei loro amministratori, e, con un  secondo
ricorso per motivi aggiunti, il bando di gara indetto dalla AAMS  per
l'affidamento in concessione della realizzazione e  conduzione  della
rete per  la  gestione  telematica  del  gioco  lecito,  compresi  il
capitolato d'oneri, il capitolato tecnico e lo schema di convenzione,
nonche' l'atto di approvazione dello schema di atto di convenzione. 
    Assumendo che le nuove prescrizioni introdotte dall'art. 1, commi
77, 78 e 79, della legge n. 220 del 2010, nella  parte  in  cui  sono
applicabili ai  rapporti  di  concessione  in  atto,  ledono  le  sue
consolidate posizioni, la societa' ne  ha  eccepito  l'illegittimita'
costituzionale per violazione degli artt. 3, 41 e 42 Cost., oltre che
il contrasto con i principi di tutela dell'affidamento e dei  diritti
patrimoniali sanciti dal diritto europeo e dalla Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva  con  legge  4  agosto  1955,  n.  848,  perche'  impongono
intollerabili pesi e oneri sia gestionali che economici,  in  assenza
di indennizzi di sorta. 
    Accolti dal TAR del Lazio solo in  parte  i  motivi  del  ricorso
principale e rigettata nel resto la domanda, B Plus  Giocolegale  ltd
ha proposto appello al Consiglio di Stato, che, pronunciata  sentenza
con la quale ha riconosciuto il diritto della societa' di  proseguire
il rapporto di concessione  senza  essere  assoggettata  a  gara,  ha
sollevato con separata ordinanza  la  questione  di  legittimita'  in
esame. 
    2.- Il giudice a quo sospetta che il comma 79 dell'art.  1  della
legge n. 220 del 2010 (legge di stabilita' 2011), e i commi 77  e  78
dello stesso art. 1,  in  quanto  richiamati  dal  comma  79  e  resi
applicabili anche ai soggetti  gia'  concessionari  che,  avvalendosi
della facolta' prevista dal citato art. 21, comma 7, del d.l.  n.  78
del 2009, abbiano richiesto l'affidamento delle concessioni entro  il
20 novembre 2009 e ottenuto  l'autorizzazione  all'installazione  dei
videoterminali, con conseguente prosecuzione della concessione stessa
«senza  alcuna  soluzione  di  continuita'»,   violino   i   seguenti
parametri: 
    a) l'art. 3 Cost., perche' impongono al concessionario  al  quale
sono gia' stati consentiti l'esercizio e la raccolta non  a  distanza
dei giochi pubblici di  integrare  la  convenzione  che  accede  alla
concessione  con  nuovi  requisiti  e  obblighi,  incidendo  in  modo
irragionevole sul  suo  legittimo  affidamento  nella  sicurezza  dei
rapporti giuridici; 
    b)  l'art.  41,  primo  comma,  Cost.,  perche'  restringono   la
possibilita' di diventare concessionario  della  gestione  del  gioco
lecito  e  gravano  il  concessionario  di   requisiti   e   obblighi
aggiuntivi, incidendo sull'esercizio  della  liberta'  di  iniziativa
economica privata; 
    c) l'art. 42, terzo comma, Cost.,  perche'  non  prevedono  alcun
indennizzo  per  il  sacrificio  imposto  al  concessionario  che  ha
ottenuto di proseguire il rapporto dietro un esborso non  irrilevante
di somme di denaro. 
    2.1.- Le norme denunciate  fanno  parte  della  disciplina  delle
concessioni per l'esercizio e la raccolta dei giochi pubblici. 
    La materia dei giochi pubblici e' riservata  al  monopolio  dello
Stato, che ne puo' affidare a privati l'organizzazione e  l'esercizio
in regime di concessione di servizio, sulla base  di  una  disciplina
che trova origine negli artt. 1 e 2 del decreto legislativo 14 aprile
1948, n. 496 (Disciplina dell'attivita' di giuoco). 
    Il gioco pubblico e' lecitamente praticato mediante apparecchi  e
congegni da intrattenimento, differenziati in base alla  possibilita'
di conseguire vincite in denaro, alla componente aleatoria del  gioco
e alla sua maggiore o minore rischiosita', ai  sensi  dell'art.  110,
commi 6 e 7, del regio decreto 18 giugno 1931, n.  773  (Testo  unico
delle leggi di pubblica sicurezza). 
    L'art. 14-bis, comma 4,  del  d.P.R.  26  ottobre  1972,  n.  640
(Imposta  sugli  spettacoli),  nel  testo  sostituito  dal  comma   4
dell'art. 22 della legge 27 dicembre 2002, n. 289  (Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -  legge
finanziaria 2003), ha previsto l'istituzione di una o piu'  reti  per
la gestione telematica degli apparecchi per il gioco  lecito  di  cui
all'art. 110, comma 6,  del  testo  unico  delle  leggi  di  pubblica
sicurezza; ha altresi' previsto che per la gestione di queste reti la
AAMS possa avvalersi di uno  o  piu'  concessionari  individuati  con
procedura ad evidenza pubblica. 
    Lo  Stato  ha  quindi  affidato  un  numero   predeterminato   di
concessioni  onerose  per  la  gestione  e   l'organizzazione   degli
apparecchi denominati con l'acronimo  AWP  (Amusement  With  Prizes),
collegati a reti telematiche, ma con un sistema  di  gioco  residente
all'interno degli apparecchi stessi.  I  concessionari  iniziali  AWP
furono dieci, tra  i  quali  la  societa'  B  Plus  Giocolegale  ldt,
appellante nel processo principale. La durata  della  convenzione  fu
stabilita in cinque anni, decorrenti dal luglio 2004 e  con  scadenza
al 31 ottobre 2009, prorogabile per un anno. 
    L'art. 1, comma  525,  della  legge  23  dicembre  2005,  n.  266
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello  Stato  -  legge  finanziaria  2006),  novellando  il  comma  6
dell'art. 110 del testo unico delle leggi di pubblica  sicurezza,  ha
introdotto  apparecchiature  denominate  con  l'acronimo  VLT  (Video
Lottery  Terminal).  La  maggiore  rischiosita'   di   questi   nuovi
apparecchi avrebbe dovuto essere compensata dal  fatto  che  il  loro
utilizzo e' consentito solo in locali ad accesso  limitato  e  che  i
corrispondenti sistemi di gioco sono collocati in ambienti telematici
remoti distanti dalle sale da gioco, con  i  quali  il  giocatore  si
collega attraverso videoterminali. 
    Dopo una  prima  fase  di  stallo  (il  regolamento  ministeriale
contemplato dal novellato art. 110, comma 6, del  Testo  unico  delle
leggi di pubblica sicurezza non e' mai stato emanato),  un'improvvisa
accelerazione  all'avvio  delle  VLT  si  e'  avuta  nel   2009,   in
concomitanza con il terremoto dell'Aquila  e  per  la  necessita'  di
reperire in via d'urgenza risorse finanziarie aggiuntive, con  l'art.
12, comma 1, lettera l), del  d.l.  n.  39  del  2009.  Secondo  tale
disposizione, a decorrere dal 2009 la AAMS avrebbe potuto attuare «la
concreta sperimentazione e l'avvio  a  regime  di  sistemi  di  gioco
costituiti dal controllo remoto del gioco  attraverso  videoterminali
in ambienti dedicati», definendo con propri decreti «le procedure  di
autorizzazione dei concessionari all'installazione, previo versamento
di euro 15.000 ciascuno, di videoterminali fino  ad  un  massimo  del
quattordici per cento del numero di  nulla  osta  dagli  stessi  gia'
posseduti». 
    L'art. 21 del successivo d.l. n. 78 del 2009 ha disposto  l'avvio
delle «procedure occorrenti per un nuovo affidamento  in  concessione
della rete per la gestione telematica del gioco lecito», al  fine  di
«garantire  l'esito  positivo  della   concreta   sperimentazione   e
dell'avvio a regime di sistemi  di  gioco  costituiti  dal  controllo
remoto del gioco attraverso videoterminali di  cui  all'articolo  12,
comma 1, lettera  l),  del  decreto-legge  28  aprile  2009,  n.  39,
convertito, con modificazioni, dalla legge 24  giugno  2009,  n.  77»
(comma 7, alinea). 
    Per pervenire al «nuovo affidamento», la norma  ha  previsto  due
distinte "modalita'", in ambedue le ipotesi a fronte  del  versamento
di euro 15.000 per videoterminale e nei limiti del 14 per  cento  del
numero  di  nulla  osta  gia'  posseduti:   a)   «affidamento   delle
concessioni agli attuali  concessionari  che  ne  facciano  richiesta
entro  il  20  novembre  2009   e   che   siano   stati   autorizzati
all'installazione dei videoterminali,  con  conseguente  prosecuzione
della stessa senza alcuna soluzione di continuita'» (comma 7, lettera
a); b) «affidamento  della  concessione  ad  ulteriori  operatori  di
gioco, nazionali e comunitari», selezionati sulla base  di  requisiti
definiti dall'amministrazione «in coerenza con quelli gia'  richiesti
e posseduti dagli attuali concessionari» (comma 7, lettera b). 
    La successiva legge n. 220 del 2010 (legge di stabilita'  per  il
2011), ai commi 77, 78 e 79  dell'art.  1,  ha  introdotto  le  norme
oggetto di censura, a garanzia di plurimi interessi  pubblici,  quali
la trasparenza, la pubblica fede, l'ordine pubblico e  la  sicurezza,
la salute dei giocatori, la protezione dei minori e  delle  fasce  di
giocatori adulti piu' deboli, la protezione degli interessi  erariali
relativamente ai  proventi  pubblici  derivanti  dalla  raccolta  del
gioco. Con esse, sia i nuovi  concessionari,  sia  i  titolari  delle
concessioni in  corso,  sono  assoggettati  a  nuovi  «obblighi»,  in
prevalenza di natura gestionale, diretti al mantenimento di indici di
solidita' patrimoniale per tutta la durata del rapporto. A questi  si
affiancano «obblighi» che concorrono alla protezione dei  consumatori
e alla riduzione dei rischi  connessi  al  gioco  o  che  introducono
clausole penali e meccanismi diretti a rendere effettive le cause  di
decadenza dalla  concessione.  Sono  infine  previsti  «obblighi»  di
prosecuzione interinale dell'attivita' e di cessione non onerosa o di
devoluzione all'amministrazione concedente, su sua  richiesta,  della
rete infrastrutturale di gestione  e  raccolta  del  gioco,  dopo  la
scadenza del rapporto. 
    3.- Cosi' ricostruito il quadro normativo della  fattispecie,  va
esaminata in limine, al fine di delimitare l'oggetto del giudizio  di
costituzionalita', l'ammissibilita' di alcune deduzioni svolte  da  B
Plus  Giocolegale  ltd,  appellante  nel  processo  principale,   non
contenute nell'ordinanza di rimessione, che tendono  ad  ampliare  il
thema decidendum. 
    Verranno  esaminati  subito  dopo  alcuni  preliminari  dubbi  di
ammissibilita', sollevati dalla difesa dello Stato, attinenti sia  al
requisito della rilevanza  che  alla  sufficienza  della  motivazione
sulla non manifesta infondatezza. 
    3.1.- Nella memoria depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  B
Plus Giocolegale ltd ha dedotto, tra l'altro, che le norme denunciate
si pongono in contrasto  con  l'art.  117  Cost.,  in  relazione  sia
all'art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea,
che  tutela  il  principio  dell'affidamento,  sia  all'art.  1   del
Protocollo  addizionale  alla   Convenzione   europea   dei   diritti
dell'uomo, in tema  di  protezione  della  proprieta',  estesa  dalla
giurisprudenza della Corte  europea  per  i  diritti  dell'uomo  agli
interessi patrimoniali e ai diritti immateriali. 
    Sotto il primo profilo, ha rilevato che la  Corte  costituzionale
potrebbe anche richiedere una pronuncia pregiudiziale alla  Corte  di
giustizia dell'Unione europea ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea  (ex  art.  234  del  trattato  che
istituisce la Comunita' europea),  ovvero  disporre  la  restituzione
degli atti al giudice a  quo,  perche'  decida  la  controversia  non
applicando le norme interne confliggenti con il  diritto  dell'Unione
europea. 
    Come  si  desume  dall'espresso   riferimento   alla   violazione
dell'art. 117 Cost. (da intendere limitato al  primo  comma,  ratione
materiae), tali  deduzioni  si  traducono  in  ulteriori  censure  di
costituzionalita', per contrasto con le  indicate  norme  dell'Unione
europea e della CEDU, assunte quali parametri interposti. 
    Si tratta di questioni inammissibili, perche' non  sollevate  dal
giudice rimettente. 
    In relazione al thema decidendum, invero, si deve  precisare  che
l'oggetto del giudizio di costituzionalita'  in  via  incidentale  e'
limitato alle norme  e  ai  parametri  indicati  nelle  ordinanze  di
rimessione. Secondo la costante giurisprudenza di questa  Corte,  non
possono essere presi in considerazione,  oltre  i  limiti  in  queste
fissati, ulteriori questioni o profili di  costituzionalita'  dedotti
dalle parti, sia che siano stati eccepiti ma  non  fatti  propri  dal
giudice a quo,  sia  che  siano  diretti  ad  ampliare  o  modificare
successivamente il contenuto delle  stesse  ordinanze  (ex  plurimis,
sentenze n. 275 del 2013, n. 271 del 2011, n. 236 del 2009). 
    Quanto alle subordinate  istanze  di  rinvio  pregiudiziale  alla
Corte di giustizia dell'Unione europea o di restituzione  degli  atti
al  giudice  a  quo,  la  loro  inammissibilita'   deriva,   in   via
consequenziale e assorbente, dalla mancata pendenza davanti a  questa
Corte,  per  le  ragioni  appena  esposte,  di   una   questione   di
legittimita' delle norme nazionali, in riferimento agli  artt.  11  e
117 Cost., per incompatibilita' con il diritto  dell'Unione  europea,
tale  per  cui  una  questione  pregiudiziale  interpretativa   possa
assumere  rilevanza  al  fine  della  definizione  del  giudizio   di
costituzionalita'. 
    3.2.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri  ha  eccepito  in
primo  luogo  l'inammissibilita'  della  questione  per  difetto   di
rilevanza, perche' il Consiglio di  Stato  avrebbe  gia'  pronunciato
l'annullamento degli atti impugnati, definendo il giudizio e  facendo
cosi' venir meno, con l'esaurimento  del  suo  potere  decisorio,  la
necessaria  pregiudizialita'  dell'incidente   di   costituzionalita'
rispetto alla causa principale. 
    L'eccezione e' infondata. 
    Nell'ordinanza di rimessione si legge che con la sentenza n. 4371
del 2 settembre 2013 il Consiglio di Stato ha accolto l'appello  "nei
sensi e limiti di cui in motivazione" e, per l'effetto,  "in  riforma
della sentenza impugnata", ha accolto "il  ricorso  instaurativo  del
giudizio di I grado ed il ricorso per  motivi  aggiunti",  rigettando
invece la domanda di risarcimento dei danni. 
    L'accoglimento   dell'appello   nei   termini   precisati   nella
motivazione  della  sentenza  -  riportata  pressoche'  integralmente
nell'ordinanza  di  rinvio  -  consente  di  ritenere  limitato,   il
conseguente accoglimento del ricorso  instaurativo  del  giudizio  di
primo grado e del ricorso per motivi aggiunti, alle  statuizioni  dei
provvedimenti impugnati in primo grado che  assoggettano  all'obbligo
di gara i titolari  di  concessioni  in  atto.  Essendo  stato  cosi'
escluso che  questi  ultimi,  i  quali  siano  stati  autorizzati  ad
installare i videoterminali e abbiano fatto tempestiva  richiesta  di
affidamento, in forza del  cosiddetto  "sistema  binario"  introdotto
dall'art. 21, comma 7, del d.l. n. 78 del 2009, «sia[no]  tenut[i]  a
partecipare a una nuova gara per il (ri)affidamento della concessione
in  essere»,  resta  da  definire  la  questione  della  legittimita'
dell'imposizione anche ad essi, con apposito atto  integrativo  della
convenzione, dei nuovi «obblighi» introdotti dalle norme  denunciate.
Di modo che, rispetto a questa seconda questione,  si  deve  ritenere
non esaurito il potere decisorio del giudice a quo, il  quale  si  e'
riservato il giudizio definitivo su di essa all'esito della pronuncia
sulla legittimita' costituzionale delle disposizioni censurate. 
    Ne consegue la  sicura  rilevanza  della  questione,  perche'  il
contestato adeguamento della convenzione, nel  caso  sottoposto  alla
cognizione del giudice a quo, deriva esclusivamente dall'applicazione
del comma 79 dell'art. 1 della legge n. 220 del 2010. 
    3.3.- Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  eccepito
l'inammissibilita'  della   questione   sotto   l'ulteriore   profilo
dell'insufficiente  motivazione  sulla  non  manifesta  infondatezza,
perche' il rimettente si sarebbe limitato a ricostruire  i  fatti  di
causa e a indicare le norme sospettate di incostituzionalita',  senza
formulare chiaramente il petitum e omettendo di assolvere al doveroso
tentativo di un'interpretazione adeguatrice delle norme denunciate. 
    L'eccezione e' infondata. 
    Secondo  la   giurisprudenza   costituzionale,   la   motivazione
dell'ordinanza di rimessione deve contenere indicazioni sufficienti a
una corretta ricostruzione della fattispecie oggetto del  giudizio  a
quo,  necessaria  al  fine  di  valutare  tanto  la  rilevanza  della
questione di legittimita' costituzionale, quanto la sua non manifesta
infondatezza (ex plurimis, da ultimo, sentenza n. 128 del 2014). 
    Nel caso concreto all'esame della  Corte,  tale  onere  e'  stato
assolto  anche  con  riguardo  al  requisito  della   non   manifesta
infondatezza, perche', nonostante  l'indubbia  sintesi  dell'impianto
argomentativo della questione, l'ordinanza pone con chiarezza il tema
della  violazione  del  principio  dell'affidamento  nella  sicurezza
giuridica, che sarebbe stato inciso dall'intervento legislativo su un
rapporto  di  durata  in  atto,  con  l'introduzione   di   modifiche
contrattuali irragionevolmente peggiorative di consolidate  posizioni
del concessionario, specie se valutate in relazione agli investimenti
e agli oneri economici da esso gia' assunti, e stabiliti ex lege, per
ottenere la prosecuzione del rapporto. Ne' sono  individuabili  spazi
per una diversa interpretazione  delle  norme  denunciate,  alla  cui
stregua l'adeguamento della convenzione e' imposto, senza equivoci, a
tutti  i  soggetti  concessionari  ai  quali  sono  gia'   consentiti
l'esercizio e la raccolta a distanza dei giochi pubblici. 
    Analoghe considerazioni valgono  per  la  motivazione  della  non
manifesta infondatezza delle altre censure, riferite agli  artt.  41,
primo comma, e 42, terzo  comma,  Cost.,  le  quali,  partendo  dalle
stesse  premesse  di  fatto,  giungono  alla  conclusione  che  dalla
sopravvenuta modifica normativa consegue, sia un inammissibile limite
all'iniziativa economica dei concessionari,  ai  quali  sono  imposti
oneri aggiuntivi e prescrizioni eccedenti la natura  e  il  contenuto
del  rapporto,  sia  un  forzato  sacrificio  di  posizioni  ottenute
esercitando una facolta' "a titolo oneroso", senza alcun  indennizzo,
previsto invece nella disciplina della  revoca  dei  provvedimenti  a
efficacia durevole per sopravvenuti motivi di pubblico interesse. 
    4.- Nel merito  la  questione  non  e'  fondata  innanzitutto  in
relazione alla violazione dell'art. 3 Cost. 
    4.1.- Il giudice a quo risolve la sostanza  della  censura  nella
considerazione che il legislatore ha inciso sul preesistente  assetto
di  interessi  in   senso   peggiorativo   per   il   concessionario,
determinando cio' una irragionevole violazione  del  suo  affidamento
nella certezza della sua posizione giuridica. 
    Secondo la giurisprudenza di questa Corte,  tuttavia,  il  valore
del legittimo affidamento riposto nella sicurezza giuridica trova si'
copertura costituzionale nell'art. 3 Cost., ma non  gia'  in  termini
assoluti  e  inderogabili.  Per  un  verso,  infatti,  la   posizione
giuridica che da' luogo a un ragionevole affidamento nella permanenza
nel tempo  di  un  determinato  assetto  regolatorio  deve  risultare
adeguatamente consolidata, sia per essersi protratta per  un  periodo
sufficientemente lungo, sia per essere sorta in un contesto giuridico
sostanziale atto a  far  sorgere  nel  destinatario  una  ragionevole
fiducia nel suo mantenimento. Per  altro  verso,  interessi  pubblici
sopravvenuti possono esigere interventi normativi diretti a  incidere
peggiorativamente anche su posizioni consolidate, con l'unico  limite
della proporzionalita'  dell'incisione  rispetto  agli  obiettivi  di
interesse pubblico perseguiti. Con la conseguenza che «non e' affatto
interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano  a
modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la  disciplina  dei
rapporti di durata, anche se l'oggetto di questi  sia  costituito  da
diritti soggettivi perfetti»,  unica  condizione  essendo  «che  tali
disposizioni  non   trasmodino   in   un   regolamento   irrazionale,
frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi
precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da
intendersi  quale  elemento  fondamentale  dello  Stato  di   diritto
(sentenze n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009)»  (ex  plurimis,
ordinanza n. 31 del 2011). 
    A maggior ragione  cio'  vale  per  rapporti  di  concessione  di
servizio pubblico, come quelli investiti dalle norme  censurate,  nei
quali, alle menzionate condizioni, la possibilita' di  un  intervento
pubblico modificativo delle condizioni originarie e'  da  considerare
in qualche modo connaturata al rapporto fin dal  suo  instaurarsi.  E
ancor piu', si puo' aggiungere, cio' deve essere vero,  allorche'  si
verta in un ambito cosi' delicato come quello  dei  giochi  pubblici,
nel quale i valori e gli interessi coinvolti appaiono  meritevoli  di
speciale e continua attenzione da parte del legislatore. 
    Proprio in ragione  dell'esigenza  di  garantire  un  livello  di
tutela dei consumatori particolarmente elevato e di  padroneggiare  i
rischi connessi  a  questo  settore,  la  giurisprudenza  europea  ha
ritenuto legittime restrizioni all'attivita' (anche contrattuale)  di
organizzazione  e  gestione   dei   giochi   pubblici   affidati   in
concessione, purche'  ispirate  da  motivi  imperativi  di  interesse
generale, quali sono certamente quelli evocati dall'art. 1, comma 77,
della legge n. 220 del 2010 (contrasto  della  diffusione  del  gioco
irregolare o illegale in Italia; tutela della sicurezza,  dell'ordine
pubblico e dei consumatori, specie minori  d'eta';  lotta  contro  le
infiltrazioni  della  criminalita'  organizzata  nel  settore),  e  a
condizione che esse siano  proporzionate  (sentenza  della  Corte  di
giustizia dell'Unione europea, 30 giugno 2011, in causa C-212/08). 
    Le norme denunciate introducono  «requisiti»  in  tema  di  forma
giuridica dell'impresa, sede legale, residenza delle  infrastrutture,
capacita'   tecnico-infrastrutturale,   solidita'   patrimoniale    e
finanziaria, nonche' garanzie e misure atte a prevenire conflitti  di
interessi o  a  garantire  l'onorabilita'  e  professionalita'  degli
amministratori, e impongono  «obblighi»  di  periodica  comunicazione
alla AAMS di informazioni e dati contabili, di immediata e  integrale
ricostituzione  del  capitale  sociale  in   determinati   casi,   di
mantenimento di un certo rapporto di indebitamento, di  distribuzione
di dividendi solo subordinatamente al  mantenimento  dei  livelli  di
servizio  richiesti  al  concessionario,  di   sottoposizione   delle
operazioni che implicano mutamenti soggettivi del  concessionario  ad
autorizzazione preventiva della AAMS, di adozione  di  strumenti  per
escludere  i  minori  dall'accesso  al  gioco,   di   promozione   di
comportamenti responsabili di gioco, di cessione  non  onerosa  della
rete infrastrutturale alla scadenza della concessione. 
    Poiche' nell'ordinanza di rimessione la  questione  e'  sollevata
con generico e indistinto riferimento a  tutte  le  disposizioni  che
prescrivono i requisiti e  gli  obblighi  descritti,  senza  che  sia
precisato sotto quale specifico profilo sia stato leso  l'affidamento
del concessionario in relazione ad essi (in termini, ad  esempio,  di
minore redditivita', di irrecuperabilita' di costi e investimenti, di
mancato possesso di alcuni  dei  requisiti  introdotti),  ne'  se  le
misure imposte  siano,  nel  loro  complesso,  sproporzionate  (e  in
particolare  idonee  in  concreto   ad   alterare   irrimediabilmente
l'equilibrio contrattuale o a  espellere  indirettamente  l'operatore
dal  mercato),  l'effettivo  impatto  delle  norme  denunciate  sulle
posizioni   del   concessionario    non    puo'    essere    valutato
comparativamente con le effettive esigenze di tutela degli  interessi
pubblici alla cui cura esse sono preordinate. 
    Peraltro, anche volendo entrare nel merito della valutazione  dei
singoli obblighi imposti al concessionario, si puo' osservare che  in
vari casi la loro effettiva consistenza non e' definita  direttamente
dalla   legge,   ma   affidata   da    essa    alla    determinazione
dell'amministrazione e in particolare a un decreto  interdirigenziale
del  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  o  a   un   decreto
direttoriale   della   AAMS.   Cosi'   e'   per   i   requisiti    di
patrimonializzazione  e  indebitamento,  per  la  trasmissione  delle
informazioni, dei dati e delle contabilita' relativi all'attivita' di
gioco, nonche' per la trasmissione  annuale  del  quadro  informativo
minimo dei dati economici, finanziari, tecnici e  gestionali  (numeri
4, 9, 19 e 20 del comma 78, lettera  b,  richiamati  dal  comma  79).
Sicche', escluso che l'imposizione di oneri aggiuntivi  in  corso  di
rapporto sia di per se' in assoluto intollerabile,  la  sua  concreta
tollerabilita', nel caso delle specifiche disposizioni di legge della
cui costituzionalita' il rimettente dubita, andrebbe  valutata  anche
in ragione della misura di tali oneri e, di conseguenza, la  verifica
della  loro  ragionevolezza  e  proporzionalita'   andrebbe   operata
sull'atto amministrativo che tale misura determina. 
    Quanto alla specifica posizione dei concessionari  «preesistenti»
- aventi diritto alla prosecuzione del rapporto  ai  sensi  dell'art.
21, comma 7, del d.l. n. 78 del 2009,  e  assoggettati  anch'essi  ai
nuovi obblighi in base alle norme  censurate  -  e  al  suo  supposto
carattere  consolidato,  non  si  puo'  non   rilevare   innanzitutto
l'originaria instabilita' del nuovo  rapporto  concessorio  (o  della
prosecuzione   del   rapporto   concessorio   scaduto,   secondo   la
prospettazione del rimettente), derivante, per un verso,  dall'essere
esso sorto  nel  contesto  di  quella  che  la  legge  definisce  una
«concreta sperimentazione» dei nuovi sistemi di gioco (art. 12, comma
1, lettera l), del  d.l.  n.  39  del  2009),  e,  per  altro  verso,
dall'essere stati individuati,  gli  stessi  concessionari,  con  una
modalita' di affidamento (l'assegnazione  diretta  per  legge,  sulla
base di una loro semplice opzione, ancorche' a fronte  del  pagamento
di una somma di  denaro),  costituente  una  vistosa  eccezione  alla
regola generale della concorrenzialita'. Quest'ultima circostanza  in
particolare - anche al di la' di ogni  considerazione  sulle  ragioni
eccezionali che possono aver determinato la scelta del legislatore  -
contribuisce ad accentuare il carattere pubblicistico del rapporto di
concessione  in  questione  e,  con  esso,  la  sua  ancora  maggiore
attitudine  a  essere  oggetto  di  interventi  regolativi   pubblici
funzionali alla cura degli interessi per  i  quali  le  attivita'  di
raccolta e gestione dei giochi pubblici sono legittimamente riservate
al monopolio statale. 
    Si consideri, inoltre, che la mancata estensione ai concessionari
«preesistenti», che gia' avevano ottenuto in affidamento  diretto  la
gestione dei nuovi apparecchi, dei requisiti e obblighi introdotti ex
lege, avrebbe creato un irragionevole vantaggio competitivo di questi
rispetto ai nuovi concessionari che a tali requisiti e obblighi  sono
ovviamente   soggetti,   con   la   conseguenza    di    un'ulteriore
ingiustificata lesione del principio di concorrenza (sentenza  n.  34
del 2015, in materia di incrementi tariffari concernenti  l'attivita'
di cava). 
    In definitiva, i pesi imposti dalle  norme  denunciate  non  solo
sono connaturali al regime di concessione  del  gioco  pubblico,  che
deve tutelare plurimi interessi generali, ma costituiscono anche, nel
caso di specie, una misura minima di ripristino  della  par  condicio
dei gestori, del tutto giustificata dalla situazione di vantaggio del
concessionario  «preesistente»  che,  avendo  aderito  alla  fase  di
sperimentazione e avvio a regime di sistemi di gioco  costituiti  dal
controllo remoto del gioco attraverso videoterminali, non  ha  dovuto
sottoporsi alla gara per il nuovo affidamento. 
    4.2. - Ne consegue che la questione e' infondata  in  riferimento
all'art. 3 Cost. 
    5.- La questione non e'  fondata  nemmeno  con  riferimento  alla
lamentata violazione dell'art. 41, primo comma, Cost. 
    5.1.- Secondo il giudice a quo, il dubbio di legittimita'  sorge,
"[...]  come  prospettato  dalla  stessa  societa'  appellante,   con
riferimento al fatto che 'le norme introdotte con la l.  n.  220/2010
comportano una incidenza diretta sul libero esercizio della  liberta'
di  impresa  restringendo  pesantemente   ed   inammissibilmente   la
possibilita' di accedere alla posizione di concessionario  del  gioco
lecito e comunque gravando i  concessionari  di  intollerabili  oneri
aggiunti e prescrizioni  eccedenti  la  natura  e  il  contenuto  del
rapporto'". 
    Questa Corte ha costantemente negato che sia  «configurabile  una
lesione della liberta' d'iniziativa economica allorche' l'apposizione
di  limiti  di  ordine  generale   al   suo   esercizio   corrisponda
all'utilita' sociale», oltre, ovviamente, alla protezione  di  valori
primari attinenti alla persona umana, ai sensi dell'art. 41,  secondo
comma, Cost., purche', per un verso,  l'individuazione  dell'utilita'
sociale «non appaia arbitraria» e, «per altro verso,  gli  interventi
del  legislatore  non  la  perseguano  mediante  misure   palesemente
incongrue» (ex plurimis, sentenze n. 247 e n. 152 del  2010;  n.  167
del 2009). 
    Questi principi, secondo la giurisprudenza costituzionale, devono
essere osservati anche nella disciplina legislativa  di  un'attivita'
economica considerata quale pubblico  servizio,  che  e'  pur  sempre
espressione del diritto di iniziativa economica  garantito  dall'art.
41 Cost., con la  particolarita'  che  al  regime  di  ogni  servizio
pubblico e' connaturale l'imposizione di controlli  e  programmi  per
l'indirizzo dell'attivita' economica a fini sociali, sicche' in  tali
ipotesi  «[...]  la   individuazione   da   parte   del   legislatore
dell'utilita' sociale puo' sostanziarsi di valutazioni attinenti alla
situazione del mercato» e «puo' dar luogo ad  interventi  legislativi
tali da condizionare in qualche modo le  scelte  organizzative  delle
imprese»,  sempre  che  l'individuazione  dell'utilita'  sociale  non
appaia arbitraria e che gli interventi del legislatore non perseguano
l'individuata utilita' sociale mediante misure palesemente incongrue,
ed in  ogni  caso  che  l'intervento  legislativo  non  sia  tale  da
condizionare le scelte imprenditoriali  in  grado  cosi'  elevato  da
indurre la funzionalizzazione  dell'attivita'  economica  di  cui  si
tratta sacrificandone le opzioni  di  fondo»  (sentenza  n.  548  del
1990). 
    Il contrasto con l'art. 41 Cost. di limiti, vincoli  e  controlli
imposti dal legislatore all'attivita' del  concessionario,  anche  in
costanza del  rapporto,  non  discende  dunque  dal  solo  fatto  che
l'intervento normativo censurato incide,  anche  in  modo  rilevante,
sull'organizzazione     imprenditoriale      del      concessionario,
condizionandone le scelte e  i  programmi  di  investimento,  ma,  in
applicazione dei principi espressi dalla giurisprudenza della  Corte,
perche' sussista, richiede che  a  questi  effetti  limitativi  della
liberta'  d'impresa   si   accompagni   l'arbitraria   individuazione
dell'utilita'  sociale  perseguita  dal  legislatore  o   la   palese
incongruita' delle misure adottate per perseguirla. 
    Nella specie, si versa in un caso di attivita'  economica  svolta
dal  privato  in  regime  di  concessione  di  un  servizio  pubblico
riservato al monopolio statale e connotato dai  preminenti  interessi
generali menzionati nel comma 77 dell'art. 1 della legge n.  220  del
2010. Al regime concessorio, in questa materia, e' dunque connaturale
l'imposizione di penetranti limitazioni della liberta' di  iniziativa
economica, che rispondono alla protezione di tali interessi. E  tanto
piu' lo e' in un settore che, per le ragioni gia' indicate,  presenta
profili  di  delicatezza  del  tutto   particolari,   connessi   alla
rischiosita' e ai pericoli propri della peculiare attivita' economica
soggetta al regime di concessione. 
    Le norme denunciate sono dichiaratamente rivolte  a  contemperare
gli interessi privati dei concessionari con  i  prevalenti  interessi
pubblici coinvolti nel settore dei  giochi  e  delle  scommesse  e  a
migliorarne la tutela, senza che sia dato di  rinvenire  elementi  di
arbitrarieta' nella loro individuazione. Al raggiungimento di  questi
obiettivi  sono  funzionali  infatti  anche  elevati   requisiti   di
onorabilita', di affidabilita' e di  solidita'  economico-finanziaria
dei concessionari, in considerazione del rilevante  valore  economico
delle attivita' connesse con il gioco e della conseguente  necessita'
di  prevenirne  l'esercizio  in  maniera  fraudolenta  o   per   fini
criminali. 
    Le nuove prescrizioni  introdotte  dalle  norme  denunciate,  che
richiedono il mantenimento di un piu'  elevato  indice  di  solidita'
economico-finanziaria  dell'impresa  del  concessionario  e  il   suo
rispetto per l'intera durata della  concessione,  o  che  introducono
clausole penali e meccanismi volti a rendere effettive  le  cause  di
decadenza  dalla  concessione,  non  sono  pertanto  ne'  palesemente
incongrue rispetto alle finalita' individuate  dal  legislatore,  ne'
«eccedenti il contenuto e la natura del rapporto» o  apportatrici  di
«intollerabili oneri aggiunti»», come assume il giudice a quo. 
    6.- Nemmeno  e'  fondata,  infine,  la  questione  relativa  alla
violazione dell'art. 42, terzo comma, Cost. 
    6.1.- La censura si fonda sulla tesi,  sostenuta  dall'appellante
nel processo principale e fatta propria dal rimettente, secondo cui i
nuovi «obblighi»  da  inserire  nella  convenzione,  nell'imporre  il
mantenimento di un piu' rigoroso  indice  di  solidita'  patrimoniale
anche al concessionario avente diritto alla prosecuzione del rapporto
«senza soluzione di continuita'», ai sensi dell'art. 21, comma 7, del
d.l. n.  78  del  2009,  vanificherebbero  i  rilevanti  investimenti
realizzati per ottenere tale prosecuzione,  che  era  subordinata  al
conseguimento     dell'autorizzazione      all'installazione      dei
videoterminali per il controllo remoto del gioco,  dietro  versamento
di euro 15.000 per ciascuno  di  essi.  Ne  deriverebbe,  secondo  il
rimettente,  l'illegittimita'  di  una   norma   che,   come   quella
denunciata, determina un sacrificio patrimoniale del  concessionario,
incidendo su posizioni conseguite a titolo oneroso,  senza  prevedere
un adeguato indennizzo, come stabilito  invece,  in  caso  di  revoca
della concessione per sopravvenute  ragioni  di  pubblico  interesse,
dall'art. 21-quinquies, comma 1-bis, della legge 7  agosto  1990,  n.
241 (Nuove norme in materia di processo amministrativo e  di  diritto
di accesso ai documenti amministrativi). 
    Il riferimento della censura alla violazione dell'art. 42,  terzo
comma, Cost., circoscrive il tema della violazione del principio  del
giusto indennizzo al caso di atti a contenuto espropriativo. 
    Secondo la giurisprudenza costituzionale sussiste  il  principio,
tratto dall'art. 42, terzo comma,  Cost.  secondo  il  quale  rientra
«nell'ambito della tutela della proprieta', accanto alla  fattispecie
dell'espropriazione formale, il complesso delle situazioni, le quali,
pur non concretando  un  trasferimento  totale  o  parziale  di  tale
diritto, ne svuotino il contenuto» (ex plurimis, sentenze n.  92  del
1982, n. 89 del 1976, n. 55 del 1968).  Questo  principio,  tuttavia,
opera esclusivamente nei confronti delle ablazioni  reali,  cioe'  di
quelle espropriazioni che concernono i  beni,  con  l'imposizione  di
limiti e vincoli che li svuotino del loro contenuto. Mentre esso  non
e' applicabile alle prestazioni (o ablazioni) obbligatorie  (sentenza
n. 290 del 1987). 
    Nel caso ora sottoposto all'esame della  Corte,  un  fenomeno  di
ablazione reale non viene ipotizzato dal giudice a quo, e nemmeno  e'
ipotizzabile con riferimento alle somme pagate dal concessionario per
conseguire le autorizzazioni  all'installazione  dei  videoterminali,
giacche' la supposta perdita totale o parziale del capitale investito
(di  cui  l'ordinanza  di  rimessione  non  fornisce  tuttavia  alcun
riscontro, a fronte del presumibile ammortamento dei relativi  costi,
come ha  rilevato  la  difesa  dello  Stato)  costituirebbe  al  piu'
un'incidenza solo riflessa dei  vincoli  di  gestione  imposti  dalle
norme denunciate, e si collocherebbe, come tale, fuori dall'ambito di
protezione della norma costituzionale. 
    Non e' pertinente, infine, il richiamo alla  disciplina  generale
della revoca del provvedimento amministrativo  a  efficacia  durevole
per sopravvenuti motivi di  pubblico  interesse  (art.  21-quinquies,
commi 1 e 1-bis, della legge n. 241 del 1990), che prevede  l'obbligo
dell'amministrazione  di  indennizzare  il  pregiudizio  subito   dai
soggetti direttamente interessati. Non  solo,  infatti,  l'indennizzo
ivi contemplato non si collega a un atto ablativo, ma nemmeno,  nella
fattispecie  in  esame,  viene  in   discussione   una   ipotesi   di
sopravvenuta inefficacia della concessione. Ne' e'  ipotizzabile  che
il  richiamo  all'indennizzo  in  caso  di  revoca  si  colleghi  per
implicito a una censura di disparita'  di  trattamento  normativo  ai
sensi  dell'art.  3  Cost.,  non  avendo   il   rimettente   motivato
sull'idoneita' a fungere da tertium  comparationis  della  situazione
disciplinata dall'art. 21-quinquies, commi 1 e 1-bis, della legge  n.
241 del 1990. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art.  1,  comma  79,  della  legge  13  dicembre  2010,  n.  220
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge di stabilita' 2011) nonche' dei precedenti  commi
77 e 78, in quanto richiamati dal comma 79, sollevata  dal  Consiglio
di Stato, in riferimento agli artt. 3, 41, primo comma, e  42,  terzo
comma, della Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                     Daria de PRETIS, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 31 marzo 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI