N. 33 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 5 marzo 2015
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 5 marzo 2015 (della Regione Lombardia). Bilancio e contabilita' pubblica - Legge di stabilita' 2015 - Imposta regionale sulle attivita' produttive (IRAP) - Modalita' di calcolo della base imponibile - Prevista ammissibilita' in deduzione - per le societa' di capitali, gli enti commerciali, i produttori agricoli titolari di reddito agrario di cui all'art. 32 del TUIR, gli esercenti attivita' di allevamento di animali di cui all'art. 78 del TUIR - della differenza tra il costo complessivo per il personale dipendente con contratto a tempo indeterminato e le deduzioni gia' spettanti ai sensi dei commi 1, lett. a), 1-bis, 4-bis.1 e 4-quater dello stesso art. 11 - Prevista possibilita', per i produttori agricoli titolari di reddito agrario di cui all'art. 32 del TUIR della deduzione per ogni lavoratore dipendente avente i requisiti di cui al comma 1.1 dell'art. 11 - Ricorso della Regione Lombardia - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria regionale - Lesione del principio di copertura finanziaria - Lesione del principio della leale collaborazione. - Legge 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 20. - Costituzione, artt. 81, 119 e 120. Bilancio e contabilita' pubblica - Legge di stabilita' 2015 - Riduzione della spesa pubblica per acquisto di beni e servizi in ogni settore - Estensione all'anno 2017 di quanto previsto dall'art. 46 del decreto-legge n. 66 del 2014 - Conseguente rideterminazione del finanziamento degli ambiti individuati e delle modalita' di acquisizione delle risorse da parte dello Stato - Previsione che per gli anni 2015-2018 il contributo delle Regioni a statuto ordinario e' incrementato di 3.452 milioni di euro in contributi di spesa e per importi complessivamente proposti, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza, in sede di autocoordinamento delle Regioni da recepire con intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, entro il 31 gennaio 2015 - Previsione che, a seguito della predetta intesa, sono rideterminati i livelli di finanziamento degli ambiti individuati e le modalita' di acquisizione delle risorse da parte dello Stato - Previsione, altresi', che, in assenza della predetta intesa entro il termine del 31 gennaio 2015, si applica quanto previsto al secondo periodo, considerando anche le risorse destinate al finanziamento corrente del S.S.N. - Ricorso della Regione Lombardia - Denunciata violazione del principio di uguaglianza sotto il profilo del difetto di ragionevolezza per la contraddittorieta' tra quanto disposto dalle disposizioni di cui al comma impugnato e previsto dalle disposizioni di cui all'art. 1, commi 555, 556 e 557, della legge n. 190 del 2014 - Violazione del principio costituzionale che nelle materie concorrenti, quali il coordinamento della finanza pubblica, la potesta' regolamentare spetta alle Regioni - Lesione del principio di leale collaborazione. - Legge 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 398. - Costituzione, artt. 3, 117, comma sesto, e 119. Bilancio e contabilita' pubblica - Legge di stabilita' 2015 - Riduzione della dotazione organica delle Citta' metropolitane e delle Province, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di stabilita' 2015, in misura pari alla spesa del personale di ruolo alla data di entrata in vigore della legge 7 aprile 2014, n. 56, ridotta del 30% per le Citta' metropolitane, del 50% per le Province, del 30% per le Province con territorio interamente montano e confinanti con Paesi stranieri di cui all'art. 1, comma 3, secondo periodo, della legge n. 56 del 2014 - Ricorso della Regione Lombardia - Denunciata violazione della sfera di competenza legislativa residuale regionale in materia di ordinamento ed organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti locali - Lesione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Lesione dei principi di sussidiarieta', differenzazione ed adeguatezza - Violazione dell'autonomia finanziaria regionale. - Legge 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 421. - Costituzione, artt. 3, 97, 117, comma quarto, 118 e 119. Bilancio e contabilita' pubblica - Legge di stabilita' 2015 - Obbligo per le Regioni e gli enti locali, per gli anni 2015-2016, di destinare le risorse per le assunzioni a tempo indeterminato all'immissione nei ruoli dei vincitori di concorso pubblico collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate alla data di entrata in vigore della legge di stabilita' 2015, nonche' alla ricollocazione in ruolo delle unita' soprannumerarie destinate ai processi di mobilita' - Previsione della nullita' di tutte le assunzioni effettuate in violazione di detta previsione - Ricorso della Regione Lombardia - Denunciata violazione del principio di uguaglianza per irragionevolezza, attesa la contraddittorieta' con gli artt. 92-96 della legge di riforma n. 56 del 2014 - Violazione della sfera di competenza legislativa concorrente regionale in materia di coordinamento della finanza pubblica - Lesione dei principi di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione. - Legge 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 424. - Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, 118 e 119. Bilancio e contabilita' pubblica - Legge di stabilita' 2015 - Previsione che, per garantire il rispetto degli obblighi derivanti dall'ordinamento dell'Unione Europea e la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2014-2016 ed in attuazione del Patto per la salute per gli anni 2014-2016, di cui all'intesa 10 luglio 2014, sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, si applicano le disposizioni di cui ai commi da 556 a 588 - Previsione che il livello di finanziamento del S.S.N. a cui concorre lo Stato e' stabilito in euro 112.062.000.000 per l'anno 2015 e in euro 115.444.000.000 per l'anno 2016, salve eventuali rideterminazioni ai sensi dell'art. 46, comma 6, del d.l. n. 66 del 2014, convertito in legge n. 89 del 2014, come modificato dal comma 398 del presente articolo - Previsione che eventuali risparmi nella gestione del S.S.N. effettuati dalle Regioni rimangono nella disponibilita' delle Regioni stesse per finalita' sanitarie - Ricorso della Regione Lombardia - Denunciata violazione del principio di uguaglianza sotto il profilo del difetto di ragionevolezza per la contraddittorieta' tra quanto previsto dalle disposizioni di cui al comma impugnato e dalle disposizioni di cui all'art. 1, commi 555, 556 e 557, della legge n. 190 del 2014 - Violazione del principio costituzionale che nelle materie concorrenti, quali il coordinamento della finanza pubblica, la potesta' regolamentare spetta alle Regioni - Lesione del principio di leale collaborazione. - Legge 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, commi 555, 556 e 557. - Costituzione, artt. 3, 117, comma sesto, e 119.(GU n.15 del 15-4-2015 )
Ricorso della Regione Lombardia (C.F. 80050050154), con sede in Milano (20124), Piazza Citta' di Lombardia, n. 1, in persona del Presidente pro tempore, Roberto Maroni, rappresentata e difesa, in forza di procura a margine del presente atto ed in virtu' della Deliberazione di Giunta regionale n. 3150 del 18 febbraio 2015 (doc. 1), dal Prof. Avv. Francesco Saverio Marini del foro di Roma (CF. MRNFNC73D28H501U; pec:francescosaveriomarini@ordineavvocatiroma.org fax. 06.36001570), presso il cui studio in Roma, via dei Monti Parioli, 48, ha eletto domicilio; -ricorrente- Contro il Governo della Repubblica, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, con sede in Roma (00187), Palazzo Chigi - Piazza Colonna, 370, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma (00186), via dei Portoghesi, 12; -resistente- Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del Bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilita' 2015)», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, n. 300, Suppl. Ordinario n. 99, del 29 dicembre 2014, limitatamente all'art. 1, commi 20, 398, 421, 424, 555, 556, 557, di tale atto normativo. Fatto 1. La legge 23 dicembre 2014, n. 190, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 300, Suppl. Ordinario n. 99, del 29 dicembre 2014, reca «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2015)». 2. Molte delle norme contenute nella citata legge, tuttavia, incidono indebitamente su sfere di competenza e attribuzioni che la Costituzione riserva alla Regione, nonche' alle Province e Citta' metropolitane situate sul territorio di quest'ultima. Si tratta, in particolare, delle seguenti previsioni normative: l'art. 1, comma 20, che, a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, aggiunge all'art. 11 del d.lgs. n. 446 del 1997 (recante "Istituzione dell'imposta regionale sulle attivita' produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonche' riordino della disciplina dei tributi locali") il nuovo comma 4-septies. La norma in questione, nel disciplinare le modalita' di calcolo della base imponibile ai fini IRAP, ammette in deduzione - per le societa' di capitali, gli enti commerciali, i produttori agricoli titolari di reddito agrario di cui all'articolo 32 del TUIR, gli esercenti attivita' d'allevamento d'animali di cui all'art. 78 del predetto TUIR - la differenza tra il costo complessivo per il personale dipendente con contratto a tempo indeterminato e le deduzioni gia' spettanti ai sensi dei commi 1, lettera a), 1-bis, 4-bis.1 e 4-quater dello stesso art. 11. Per i produttori agricoli titolari di reddito agrario di cui all'articolo 32 del TUIR, la deduzione e' ammessa altresi' per ogni lavoratore agricolo dipendente avente i requisiti di cui al comma 1.1 dell'art. 11. l'art. 1, comma 398, che novella il comma 6 dell'art. 46 del d.l. n. 66 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 89 del 2014. Per cio' che qui rileva, la disposizione incrementa il contributo alla finanza pubblica dovuto dalle Regioni ordinarie, per gli anni 2015-2018, di 3.452 milioni di euro annui, in ambiti di spesa e per importi complessivamente proposti, fermi i livelli essenziali di assistenza, in sede di autocoordinamento dalle Regioni. La posizione espressa dalle Regioni, ai sensi della norma in questione, deve successivamente essere recepita in un'intesa, adottata in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio 2015. In caso non si addivenga ad intesa nel termine da ultimo menzionato, gli importi sono determinati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato previa deliberazione del Consiglio dei ministri, e sono assegnati ad ambiti di spesa nonche' alle singole Regioni, tenendo conto del PIL, della popolazione residente e delle risorse destinate al finanziamento corrente del Servizio Sanitario Nazionale. l'art. 1, comma 421, che stabilisce la dotazione organica delle Citta' metropolitane e delle Province, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di stabilita' 2015, in misura pari alla spesa del personale di ruolo alla data di entrata in vigore della legge 7 aprile 2014, n. 56, ridotta del 30% per le Citta' metropolitane, del 50% per le Province, del 30% per le Province con territorio interamente montano e confinanti con Paesi stranieri di cui all'art. 1, comma 3, secondo periodo, della legge n. 56 del 2014. l'art. 1, comma 424, che, per gli anni 2015-2016, vincola le Regioni e gli enti locali a destinare le risorse per le assunzioni a tempo indeterminato all'immissione nei ruoli dei vincitori di concorso pubblicato collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate alla data di entrata in vigore della legge di stabilita' 2015, nonche' alla ricollocazione in ruolo delle unita' soprannumerarie destinate ai processi di mobilita'. La norma prevede altresi' che siano affette da nullita' tutte le assunzioni effettuate in violazione della previsione. l'art. 1, comma 555, che, in attuazione del Patto per la salute per gli anni 2014-2016 di cui all'intesa 10 luglio 2014, sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, dichiara applicabili le disposizioni di cui ai commi da 556 a 588 del medesimo art. 1 della legge n. 190 del 2014. l'art. 1, comma 556, che fissa il livello del finanziamento del SSN cui concorre lo Stato in 112.062.000.000 euro per l'anno 2015 e in 115.444.000.000 euro per l'anno 2016, salve eventuali rideterminazioni in attuazione dell'articolo 46, comma 6, del d.l. n. 66 del 2014, come modificato dal comma 398 della legge di stabilita' 2015. l'art. 1, comma 557, il quale novella il terzo periodo dell'art. 30, comma 1, del d.lgs. n. 118 del 2011, prevedendo che gli eventuali risparmi nella gestione del SSN conseguiti dalle Regioni rimangono nella disponibilita' delle Regioni stesse per finalita' sanitarie. 3. Tutto cio' premesso, la Regione Lombardia, come sopra rappresentata e difesa, ritenuta la lesione della proprie competenze costituzionali per effetto della richiamata disciplina statale, impugna l'art. 1, commi 20, 398, 421, 424, 555, 556, 557 della legge n. 190 del 2014, alla luce dei seguenti motivi di Diritto Preliminarmente, per quanto riguarda la legittimazione della Regione a far valere in sede di giudizio in via principale l'interesse degli enti locali situati sul suo territorio, deve ricordarsi la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo cui "le Regioni sono legittimate a denunciare la legge statale anche per la lesione delle attribuzioni degli enti locali, indipendentemente dalla progettazione della violazione della competenza legislativa regionale. Questa Corte, infatti, ha piu' volte affermato il principio che la suddetta legittimazione sussiste in capo alle Regioni, in quanto da stretta connessione, in particolare [...] in tema di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali» (sentenze n. 169 e n. 95 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004). Tale giurisprudenza si riferisce, in modo evidente, a tutte le attribuzioni costituzionali delle Regioni e degli enti locali e prescinde, percio', dal titolo di competenza legislativa esclusivo, concorrente o residuale eventualmente invocabile nella fattispecie. Essa, in particolare, non richiede, quale condizione necessaria per la denuncia da parte della Regione di un vulnus delle competenze locali, che sia dedotta la violazione delle attribuzioni legislative regionali (cfr. sent. n. 298 del 2009, e, negli stessi termini anche la piu' recente sent. n. 220 del 2013). Cio' chiarito, si passera' ora all'analisi dei singoli profili di illegittimita' costituzionale delle norme impugnate. I. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 20, della legge n. 190 del 2014, in relazione agli artt. 81, 119 e al principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 cost. 1. Come anticipato in narrativa, il comma 20, a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, aggiunge all'art. 11 del d.lgs. n. 446 del 1997, il nuovo comma 4-septies. La norma in questione, nel disciplinare le modalita' di calcolo della base imponibile ai fini IRAP, ammette in deduzione - per le societa' di capitali, gli enti commerciali, i produttori agricoli titolari di reddito agrario di cui all'articolo 32 del TUIR, gli esercenti attivita' d'allevamento d'animali di cui all'art. 78 del predetto TUIR - la differenza tra il costo complessivo per il personale dipendente con contratto a tempo indeterminato e le deduzioni gia' spettanti ai sensi dei commi 1, lettera a), 1-bis, 4-bis.1 e 4-quater dello stesso art. 11. Per i produttori agricoli titolari di reddito agrario di cui all'articolo 32 del TUIR, la deduzione e' ammessa altresi' per ogni lavoratore agricolo dipendente avente i requisiti di cui al comma 1.1 dell'art. 11. Cosi' disponendo, il comma 20 determina una grave compressione della finanza regionale, illegittima ai sensi degli artt. 81, 119 e 120 Cost. 2. In particolare, la disposizione censurata importa una decurtazione del gettito IRAP atteso compresa fra il 20,15% e il 23,7% del totale, per importi che oscillano fra i 18 e i 24 milioni di Euro (doc. 2, p. 1). Ora, se si considera che l'IRAP rappresenta una delle principali fonti di gettito regionale, pari al 4-5% del totale delle entrate, e che la decurtazione ridurra' dell'1% l'ammontare degli introiti complessivi previsti (doc. 2, p. 4), emerge con evidenza come il comma 20 produca un significativo squilibrio nella finanza regionale, su base annuale e pluriennale. Squilibrio che assume un carattere di indiscussa gravita', tale da ingenerare una consistente alterazione del rapporto tra risorse e bisogni regionali, ove lo si ponga in rapporto con tutti gli altri oneri imposti alle Regioni - cui non corrisponde alcuna forma di compensazione - dalla legge n. 190 del 2014. Il riferimento, ovviamente, non e' solo agli incrementati obblighi di contribuzione alla finanza pubblica, ma pure, fra l'altro, all'obbligo (di cui al comma 424) di riassorbire, a valere su risorse proprie, il personale sovrannumerario delle Province. Senza contare, poi, che nell'ambito del processo di riordino avviato dalla legge n. 56 del 2014, e' assai verosimile che alla Regione vengano intestate nuove ed ulteriori funzioni. Tutto cio' si pone in contrasto sia con l'obbligo di copertura delle spese, di cui all'art. 81, comma 3, Cost.; sia con l'art. 119 Cost., il quale prescrive che siano assicurate alle Regioni le risorse necessarie all'integrale finanziamento delle funzioni. Non e' senza significato, del resto, che l'art. 11 del d.lgs. n. 68 del 2011 - nell'attuare quanto gia' prescritto dall'art. 2, comma 2, lett. t) della legge n. 42 del 2009 - disponga a chiare lettere che "gli interventi statali sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi regionali di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2), della citata legge n. 42 del 2009 sono possibili, a parita' di funzioni amministrative conferite, solo se prevedono la contestuale adozione di misure per la completa compensazione tramite modifica di aliquota o attribuzione di altri tributi". La disciplina di cui al comma 20 e' altresi' illegittima in relazione al principio di leale collaborazione, sancito dall'art. 120 Cost. e costituente il perno del federalismo fiscale, a partire dalla summenzionata legge n. 42 del 2009, infatti, l'intervento sull'IRAP e' stato deliberato dallo Stato al di fuori di qualunque forma, pur minima, d'interlocuzione con le Regioni. Anzi: di fronte alla rilevazione, in sede di Conferenza Unificata del 10 dicembre 2014, della mancata copertura delle minori entrate IRAP, lo Stato non ha alcun modo dato seguito alle proposte regionali (doc. 3, pp. 6-7). 3. Per i suesposti motivi, si insiste per la dichiarazione d'incostituzionalita' del comma censurato. II. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 398, 555, 556 e 557 della legge n. 190 del 2014, in relazione al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3, nonche' agli artt. 117, comma 6, e 119 cost. 1. Con il comma 398, il legislatore statale novella il comma 6 dell'art. 46 del d.l. n. 66 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 89 del 2014. La disposizione incrementa il contributo alla finanza pubblica dovuto dalle Regioni ordinarie, per gli anni 2015-2018, di 3.452 milioni di euro annui, in ambiti di spesa e per importi complessivamente proposti, fermi i livelli essenziali di assistenza, in sede di autocoordinamento dalle Regioni. La posizione espressa dalle Regioni, ai sensi della norma in questione, deve successivamente essere recepita in un'intesa, adottata in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio 2015. In caso non si addivenga ad intesa nel termine da ultimo menzionato, gli importi sono determinati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato previa deliberazione del Consiglio dei ministri, e sono assegnati ad ambiti di spesa nonche' alle singole Regioni, tenendo conto del PIL e della popolazione residente, nonche' considerando le risorse destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale (SSN). La previsione in questione si mostra illegittima in relazione agli artt. 3, 117, comma 6, e 119 Cost. Essa si rivela, inoltre, contraddittoria rispetto al disposto di cui all'art. 1, commi 555, 556 e 557 della medesima legge di stabilita' 2015, in forza dei quali - come rilevato in narrativa - gli eventuali risparmi nella gestione del SSN conseguiti dalle Regioni rimangono nella disponibilita' di queste per scopi sanitari. 2. Il comma 398 contrasta, innanzitutto, con l'art. 117, comma 6 Cost., che, nelle materie concorrenti quale e' il coordinamento della finanza pubblica, assegna alle Regioni la potesta' regolamentare: essa, infatti, attribuisce ad una fonte normativa secondaria dello Stato - nel caso di mancato raggiungimento dell'intesa in sede di Conferenza - sia l'individuazione degli importi e dei relativi ambiti di destinazione, sia la rideterminazione dei "livelli di finanziamento degli ambiti individuati e [del]le modalita' di acquisizione delle risorse da parte dello Stato scelta degli ambiti di assegnazione". Non pare dubbio che il d.P.C.M. cui la disposizione censurata rinvia sia atto sostanzialmente normativo, in quanto preordinato a disciplinare in via generale e astratta sia i livelli di finanziamento degli ambiti di spesa che le regole di acquisizione delle risorse da parte dello Stato. Peraltro, l'assenza di criteri stringenti cui il decreto deve attenersi nell'individuare tanto gli importi quanto gli ambiti di assegnazione - fatta eccezione per i vaghi riferimenti al PIL, alla popolazione residente e alle risorse per il SSN - lasciano allo Stato amplissimi margini di discrezionalita', rivelando la natura squisitamente politica, e non meramente "tecnica", del decreto in parola. Ebbene, se cosi' e', risulta chiara l'illegittimita' della norma censurata rispetto all'art. 117 comma 6: per consolidata giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte, nelle materie concorrenti gli atti statali sub-legislativi in tanto sono legittimi e vincolanti per le Regioni, in quanto abbiano carattere amministrativo e contenuto esclusivamente tecnico, ponendosi come immediatamente attuativi dei principi fondamentali della materia; viceversa, ove l'atto abbia contenuto normativo ed implichi ampi margini discrezionali, la sua previsione e' illegittima alla luce dell'evocato parametro, comportando una violazione del riparto costituzionale della potesta' regolamentare (cfr., fra le molte, la sentt. nn. 39 del 2014 e 278 del 2010). 3.1. Il comma 398 della legge n. 190 del 2014 e' poi illegittimo nella parte in cui, sempre nell'ipotesi di mancato raggiungimento dell'intesa con le Regioni, vincola il d.P.C.M. ad individuare gli ambiti e le Regioni beneficiarie del contributo aggiuntivo secondo i (vaghissimi) criteri di cui al primo periodo dell'art. 46, comma 6, del d.l. n. 66 del 2014: vale a dire, il PIL e la popolazione residente, in aggiunta, poi, alle "risorse destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale". Come e' evidente, l'adozione di tali criteri - gli unici legislativamente imposti ad un decreto altrimenti del tutto discrezionale nei contenuti - porta ad una penalizzazione irragionevole delle Regioni piu' virtuose, censuratile ex artt. 3 e 119 Cost. Infatti, il PIL e la popolazione residente non possono in alcun modo essere assunti a parametro per tagli ai fondi che finanziano i livelli essenziali delle prestazioni: un'operazione di spending review in questo settore non potrebbe che poggiare sul costo del fabbisogno standard. Adottando, invece, i criteri censurati di cui al comma 398, il legislatore statale ha ritenuto - per dirla con una frase - che "se il territorio produce tanto PIL ed e' molto popolato allora produce tanti sprechi": si tratta di un'equazione assolutamente irragionevole, se non addirittura risibile. Ad aggravare ulteriormente i profili d'irragionevole penalizzazione delle Regioni piu' virtuose, peraltro, concorre anche l'eliminazione dei criteri del "rispetto dei tempi di pagamento stabiliti dalla direttiva 2011/7/UE, nonche' dell'incidenza degli acquisti centralivati", contenuti nell'art. 46, comma 6, del d.l. n. 66 del 2014 e abrogati dal censurato comma 398. E' d'immediata evidenza che il venir meno di tali criteri rende aggredibili indistintamente dalla spending review anche le Regioni piu' attente al contenimento degli sprechi e al corretto impiego delle risorse pubbliche, disincentivando cosi' le gestioni virtuose. Posto che il contributo aggiuntivo sia da un punto di vista letterale, sia da un punto di vista logico-sistematico, non ha e non potrebbe avere una finalita' perequativa - come dimostra, ad esempio, la radicale inconciliabilita' fra strumento del taglio lineare e scopo redistributivo - i vizi d'incostituzionalita' non verrebbero meno, anche se si volesse far finta che si tratti di una forma di perequazione. Infatti, il PIL e la popolazione residente non possono ritenersi indici sintomatici oggettivi e inequivoci della capacita' fiscale degli abitanti, la quale e' il parametro centrale - questo si realmente espressivo della ricchezza e dei bisogni - del sistema di perequazione disegnato dall'art. 119 Cost. Ancor piu' irragionevole e distorsivo e' il riferimento alla spesa corrente per il SSN: l'indice in questione non puo' che portare a premiare, attraverso l'assegnazione dei fondi, le Regioni con una piu' ingente spesa sanitaria, senza distinguere pero' - e in cio' sta il paradosso - fra Regioni che spendono di piu' a causa di una piu' ingente mole di servizi erogati, e Regioni che spendono di piu' a causa di diseconomie e inefficienze organizzative e funzionali. Nel complesso, dunque, i criteri latissimi fissati dal legislatore statale non solo non sono espressivi della obiettiva realta' economica delle diverse Regioni, ma producono dinamiche irragionevoli, che premiano gli enti meno virtuosi e disincentivano quelli piu' rispettosi del principio del buon andamento amministrativo. 3.2. Ancora, sempre ai sensi degli artt. 3 e 119 Cost., il comma 398 si pone in irriducibile contrasto con i commi 555, 556 e 557, attuativi del cd. "Patto per la salute" per gli anni 2014-2016, di cui all'intesa 10 luglio 2014, sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. Il contrasto appare evidente ove si consideri che, da un lato, ai sensi del comma 398, il d.P.C.M. individua importi e ambiti di destinazione del contributo aggiuntivo delle Regioni "considerando anche le risorse destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale"; dall'altro lato, il comma 557, nel novellare l'art. 30, comma 1, del d.lgs. n. 118 del 2011, prevede che "fermo restando quanto previsto dall'articolo 2, comma 80, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, eventuali risparmi nella gestione del Servizio sanitario nazionale e effettuati dalle regioni rimangono nella disponibilita' delle regioni stesse per finalita' sanitarie". Ebbene, non si vede come la norma introdotta dal comma 557 possa razionalmente conciliarsi con quella recata dal comma 398, la' dove la prima esclude il trasferimento allo Stato dei risparmi conseguiti nella gestione del SSN; la seconda, invece, non solo li ricomprende fra le risorse allocabili dal d.P.C.M. nell'ambito del contributo regionale alla finanza pubblica, ma rimette altresi' allo Stato la scelta circa la finalita' cui destinarli. Tale discrasia determina una irragionevolezza interna che inficia sia il comma 398, sia i commi 555-557, e produce una grave lesione all'autonomia finanziaria regionale, dal momento che si rende del tutto nebuloso e incerto il quadro delle risorse su cui impostare la programmazione finanziaria. 4. Infine, il comma 398 e' illegittimo alla luce dell'art. 119, comma 6 - nella denegata ipotesi in cui si ritenga che esso introduce un contributo perequativo - poiche' impone alla Regione di riversare allo Stato fondi, ma al di fuori delle forme e delle modalita' prescritte dalla Costituzione. In particolare, piu' volte codesta Ecc.ma Corte ha evidenziato come «gli interventi perequativi e solidali devono garantire risorse aggiuntive rispetto a quelle reperite per l'esercizio delle normali funzioni", devono avere uno specifico ambito territoriale di localizzazione" ed essere destinate a "particolari categorie svantaggiate destinatarie" (cfr., fra le molte, sentt. nn. 79 del 2014, 254 del 2013, 176 del 2012). Nel caso di specie, tali condizioni non sono rispettate. Infatti, il comma 398 introduce un ulteriore obbligo di riversamento - aggiuntivo e distinto rispetto agli importi di contribuzione alla finanza pubblica - privo di qualsivoglia indicazione, sia rispetto agli specifici ambiti territoriali interessati, sia rispetto ai soggetti destinatari. 5. Per tutti i suesposti motivi, si insiste per la dichiarazione d'incostituzionalita' sia del comma 398 che dei commi 555, 556 e 557. III. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 421, della legge n. 190 del 2014, in relazione agli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 cost. 1. Come rilevato in narrativa, il comma 421 stabilisce la dotazione organica delle Citta' metropolitane e delle Province, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di stabilita' 2015, in misura pari alla spesa del personale di ruolo alla data di entrata in vigore della legge 7 aprile 2014, n. 56, ridotta del 30% per le Citta' metropolitane, del 50% per le Province, del 30% per le Province con territorio interamente montano e confinanti con Paesi stranieri di cui all'art. 1, comma 3, secondo periodo, della legge n. 56 del 2014. Cosi' facendo, la previsione in parola da un lato realizza una indebita ingerenza dello Stato nella materia "ordinamento e organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti locali", la quale rientra nella potesta' legislativa residuale delle Regioni ai sensi dell'art. 117, comma 4, Cost.; dall'altro lato, introduce un taglio lineare e indiscriminato della dotazione organica delle Citta' metropolitane e delle Province, che non tiene conto delle funzioni esercitate da tali enti, ponendoli di fatto nell'impossibilita' di operare appieno. 2. In particolare, sotto il primo profilo, piu' volte codesta Ecc.ma Corte ha evidenziato come l'organizzazione amministrativa degli enti locali rientri nella potesta' legislativa residuale delle Regioni (cfr. sentt. nn. 326 del 2008, 233 del 2006; cfr. altresi' indicazioni in tal senso nelle sentt. nn. 397 del 2006, 456 e 244 del 2005): posto che il testo costituzionale - come noto - ha cura di riservare al legislatore statale la sola disciplina dell'ordinamento e dell'organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali (art. 117, lett. g), nonche' degli organi di governo e delle funzioni fondamentali degli enti locali (art. 117, lett. p), la materia innominata in questione viene necessariamente a rientrare, in forza della clausola di residualita', entro l'art. 117, comma 4. Peraltro, l'esorbitanza della norma impugnata rispetto all'ambito di competenza del legislatore statale e' ulteriormente accentuata, nel caso di specie, dalla circostanza che il comma 421 riduce anche le dotazioni organiche da destinarsi alle funzioni non fondamentali che la Regione ha allocato e allochera' a livello provinciale e metropolitano. In altre parole, la disposizione censurata non solo viola il riparto di competenze costituzionalmente stabilito, ma opera anche un taglio drastico del personale da impiegare nell'esercizio delle funzioni non fondamentali, che in base alla Costituzione spetta alla Regione allocare: con la conseguenza che quest'ultima si vedra' posta di fronte all'alternativa diabolica di riassumere le funzioni che erano trasferite alle Province o di affidarle a enti strutturalmente inidonei a esercitarle; scelta che, in ogni caso, produce esiti contrari rispetto sia al principio del buon andamento di cui all'art. 97 Cost., sia ai principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza di cui all'art. 118 Cost. 3. Sotto il secondo profilo, occorre subito osservare che la norma, benche' operi un richiamo (puramente nominale) alla legge n. 56 del 2014, mostra, in effetti, di non tenere in alcun conto il riordino delle funzioni di tali livelli di governo operato da quest'ultima legge. Anzi, a ben vedere, almeno con riguardo alle Citta' metropolitane, la rafia ispiratrice della legge n. 56 del 2014 e quella della disposizione censurata si pongono, fra loro, in irriducibile contraddizione. E' del tutto paradossale e irragionevole, infatti, che una riforma, la quale aumenta poteri e funzioni delle Citta' metropolitane, sia "attuata" da una normativa che, muovendosi in senso diametralmente opposto, riduce in modo consistente le risorse organiche dell'ente. In altri termini: come puo' ritenersi ragionevole la scelta di ridurre la dotazione organica delle Citta' metropolitane, nell'ambito del medesimo disegno di riforma che ne moltiplica le funzioni, configurandole quali enti centrali del governo d'area vasta? Venendo ad analizzare piu' nello specifico il comma 421, esso opera una riduzione aprioristica, rigida e uguale per tutti gli enti della dotazione organica, slegando la situazione di sovrannumero dei dipendenti dal dato della loro afferenza a settori connessi alle funzioni fondamentali degli enti, o a quelle che ad essi verranno successivamente attribuite in aderenza ai principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza. E del resto, non essendo ancora concluso il procedimento di individuazione delle funzioni non fondamentali delle Province e delle Citta' metropolitane, non si vede in che modo la legge di stabilita' 2015 possa pretendere di tener conto del riordino avviato dalla legge n. 56 del 2014. L'asimmetria che cosi' si determina fra risorse organiche e funzioni implica tutta una serie di conseguenze costituzionalmente illegittime. Innanzitutto, l'imposizione di tagli uguali per tutti gli enti esprime una pretesa di omogeneita' assolutamente priva di fondamento razionale: infatti, la realta' strutturale e funzionale degli enti locali italiani e' ben lungi dall'essere uniforme, presentando una moltitudine di situazioni distinte e fra loro non commensurabili. Tale situazione, peraltro, e' stata non solo espressamente recepita, ma anche valorizzata dal legislatore costituzionale del 2001, che all'art. 118 ha inserito il principio di differenziazione fra i criteri guida per l'allocazione delle funzioni amministrative. Dunque, puo' ben dirsi che la radicale omogeneizzazione che la norma censurata pretende di imporre e' irragionevole rispetto all'effettivo assetto degli enti locali, ed illegittima alla luce dei principi di struttura del sistema italiano delle autonomie territoriali. In secondo luogo, il taglio netto e aprioristico delle risorse organiche, operato a riassetto del complessivo quadro delle funzioni non ancora compiuto, pone le Citta' metropolitane e le Province nell'impossibilita' di esercitare le attribuzioni proprie e quelle conferite in modo efficace ed efficiente: il che si pone in chiara frizione rispetto al principio di buon andamento sancito dall'art. 97 Cost., riverberandosi anche in danno degli stessi enti territoriali - specie le Regioni, come visto sopra - conferenti le funzioni. Ma non e' tutto. Se si mettono a sistema la riduzione delle dotazioni organiche di cui al censurato comma 421, con l'ingente risparmio di spesa imposto dal comma 418 (pari a 1.000 milioni di euro per l'anno 2015, a 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e a 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017), risulta che la legge n. 190 del 2014 lede gravemente l'autonomia finanziaria sia delle Citta' metropolitane che delle Province: ai sensi dell'art. 119, tali enti devono infatti disporre di risorse tali da "finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite". La condizione in discorso non puo' dirsi certo rispettata dalla legge di stabilita' del 2015, che, al contrario, nell'imporre agli enti provinciali e metropolitani oneri finanziari cosi' gravosi e sin die - in contrasto, quindi, pure con il limite della necessaria transitorieta' del vincolo piu' volte sancito dalla Corte (cfr. da ultimo sent. n. 79 del 2014) - finisce per "devitalizzarli" tramite un esasperato drenaggio di risorse. Cio' non e' ovviamente possibile, giacche', a Costituzione vigente, questi restano enti costituzionalmente necessari e beneficiano di garanzie di esistenza non aggirabili in modo surrettizio dal legislatore ordinario. 4. Per tutti i suesposti motivi, si insiste per la dichiarazione d'incostituzionalita' del comma impugnato. IV. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 424, della legge n. 190 del 2014, in relazione agli articoli 117, commi 3 e 4, 118 e 119 cost. 1. Il comma 424 della legge n. 190 del 2014 - come si e' gia' anticipato in narrativa - vincola le Regioni e gli enti locali, per gli anni 2015-2016, a destinare le risorse per le assunzioni a tempo indeterminato all'immissione nei ruoli dei vincitori di concorso pubblicato collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate alla data di entrata in vigore della legge di stabilita' 2015, nonche' alla ricollocazione in ruolo delle unita' soprannumerarie destinate ai processi di mobilita'. La norma prevede altresi' che siano affette da nullita' tutte le assunzioni effettuate in violazione della previsione. Si deve osservare che il comma censurato - non diversamente dal comma 421 - si pone ictu oculi in contraddizione rispetto alle linee di riforma poste dalla legge 56 del 2014. In particolare, l'art. 1, commi 92-96 della legge da ultimo citata stabilisce che le Province devono trasferire, agli enti che ne assorbano il personale sovrannumerario, le corrispondenti dotazioni economiche. Tutto all'opposto, il comma 424 della legge n. 190 del 2014 sancisce che le Regioni e gli altri enti locali che assorbono il personale in mobilita' devono far fronte ai relativi costi con risorse proprie: precisamente, quelle destinate alle assunzioni a tempo indeterminato, nelle percentuali fissate dalla normativa vigente. In disparte la paradossale e irragionevole distonia fra riforma e attuazione della riforma, il comma 424 si espone a insuperabili censure, in relazione agli artt. 117, commi 3 e 4, 118 e 119 Cost. 2. In primo luogo, nel prevedere in modo dettagliato l'allocazione delle risorse regionali e locali destinate alle assunzioni a tempo indeterminato, la norma realizza un intervento di coordinamento della finanza pubblica che esorbita dalla potesta' attribuita allo Stato dall'art. 117, comma 3, limitata alle sole disposizioni di principio. Infatti, la legge statale vincola, in modo puntuale e senza lasciare margine alcuno di discrezionalita', l'impiego delle risorse a due sole "destinazioni": l'assorbimento dei dipendenti provinciali in esubero e l'immissione "nei ruoli dei vincitori di concorso pubblico collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate alla data di entrata in vigore della presente legge". In questo modo, peraltro, il limite in discorso introduce surrettiziamente un blocco generalizzato delle nuove assunzioni. Nel caso di specie, dunque, e' ben lungi dall'esser rispettata la regola, che codesta Ecc.ma Corte ha costantemente ribadito, secondo cui le disposizioni statali devono limitarsi a porre solo criteri ed obiettivi cui dovranno attenersi le Regioni e gli enti locali nell'esercizio della propria autonomia finanziaria, senza invece imporre loro precetti specifici, puntuali ed esaustivi (fra le molte, si vedano le sentt. nn. 95 del 2007, 449 del 2005 e 390 del 2004). Cio' anche ove si tratti di interventi di contenimento della spesa del personale: in termini chiarissimi, codesta Ecc.ma Corte, nel giudicare una norma statale che - con densita' prescrittiva analoga a quella del comma 424 - limitava il ricorso alle procedure di mobilita' entro percentuali non superiori al 50% delle cessazioni dal servizio avvenute nel 2002, ha ritenuto che un'analoga previsione "non si limita a fissare un principio di coordinamento della finanza pubblica, ma pone un precetto specifico e puntuale sull'entita' della copertura delle vacanze verificatesi nel 2002, imponendo che tale copertura non sia superiore al 50 per cento: precetto che, proprio perche' specifico e puntuale e per il suo oggetto, si risolve in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell'area (organizzazione della propria struttura amministrativa) riservata alle autonomie regionali e degli enti locali, alle quali la legge statale puo' prescrivere criteri [...] ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi (cfr., la sent. n. 390 del 2004; ma si vedano altresi' le sentt. nn. 159 e 120 del 2008). 3. In secondo luogo, la normativa statale, proprio tramite i vincoli di destinazione imposti alle risorse per i dipendenti e con il blocco surrettizio delle assunzioni, incide profondamente sulle dotazioni organiche delle Regioni e degli enti locali, invadendo la materia "ordinamento e organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti locali», la quale rientra nella potesta' legislativa residuale delle Regioni ai sensi dell'art. 117, comma 4, Cost. (cfr. ancora le sentt. nn. 326 del 2008, 233 del 2006; cfr. altresi' indicazioni in tal senso nelle sentt. nn. 397 del 2006, 456 e 244 del 2005). Infatti - come si e' gia' avuto modo di dire in riferimento al comma 421 - al legislatore statale spetta la sola disciplina dell'ordinamento e dell'organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali (art. 117, lett. g), nonche' degli organi di governo e delle funzioni fondamentali degli enti locali (art. 117, lett. p). 4. Infine, il comma 424 crea un disallineamento fra ammontare delle risorse, struttura organizzativa e funzioni, illegittimo sia rispetto all'art. 118 che all'art. 119 Cost. Quanto all'art. 118, la circostanza che le procedure di mobilita' e il blocco della contrattazione siano imposti prima ancora che sia completato il processo di allocazione delle funzioni osta ad una distribuzione delle stesse coerente con i principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza. Tale distribuzione, infatti, si trovera' a dover tener conto piu' della dislocazione delle risorse organiche, che dei criteri sanciti dalla Costituzione. Ben potra' accadere, poi, che i lavoratori in esubero assorbiti da un ente in una situazione di totale incertezza in ordine alla definitiva riarticolazione delle funzioni, debbano poi transitare, una volta conclusosi il predetto processo, in un ente diverso, dando cosi' - vita a una costosa e inefficiente catena di trasferimenti. Con riguardo all'art. 119, i vincoli al personale assumibile e l'obbligo di assunzione a valere sui fondi disponibili degli enti di destinazione, oltre ad erodere i fondi per la contrattazione integrativa, importano limiti finanziari e obblighi di riassorbimento slegati dalla riallocazione delle funzioni: col rischio di produrre oneri ingiustificati o, all'opposto, l'impossibilita' di assicurare la integrale copertura, in termini economici e di risorse, delle atttibuzioni regionali e locali. 5. Per tutti i suesposti motivi, si insiste per la dichiarazione d'incostituzionalita' del comma impugnato.
P.Q.M. Voglia l'Ecc.ma Corte costituzionale adita, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, accogliere il presente ricorso e per l'effetto dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 20, 398, 421, 424, 555, 556, 557 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, per violazione degli artt. 3, 81, 97, 117 commi terzo, quarto e sesto, 118, 119 e 120 della Costituzione, sotto i profili e per le ragioni suesposte. Roma, 26 febbraio 2015 Prof. Avv. Francesco Saverio Marini