N. 36 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 5 marzo 2015
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 5 marzo 2015 (della Regione Veneto). Bilancio e contabilita' pubblica - Legge di stabilita' 2015 - Province e Citta' metropolitane - Previsto ricorso al contenimento della spesa pubblica mediante riduzione della spesa corrente di 1.000 milioni di euro per l'anno 2015, 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e 3.000 milioni di euro per l'anno 2017 - Conseguente ripartizione delle predette riduzioni di spesa nella misura del 90 per cento per gli enti appartenenti alle Regioni a statuto ordinario e del restante 10 per cento per gli enti della Regione Siciliana e della Regione Sardegna - Previsto obbligo di inserimento da parte di ciascuna Provincia e Citta' metropolitana in apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato di un ammontare di risorse pari ai predetti risparmi di spesa - Prevista esclusione dell'obbligo di versamento per le Province in dissesto alla data del 15 ottobre 2014 - Previsione che con decreto del Ministro dell'interno, da emanare entro il 31 marzo 2015, con il supporto tecnico della Societa' per gli studi di settore - SOSE S.p.a., sentita la Conferenza Stato-Citta' ed autonomie locali, e' stabilito l'ammontare della riduzione della spesa corrente che ciascun ente deve conseguire e del corrispondente versamento, tenendo conto anche della differenza tra spesa storica e fabbisogni standard - Ricorso della Regione Veneto - Denunciata violazione dei principi di solidarieta' e di uguaglianza per il deteriore trattamento delle autonomie locali rispetto agli altri comparti della pubblica amministrazione - Lesione del principio di autonomia degli enti locali - Violazione del principio di coordinamento della finanza pubblica per irragionevolezza e sproporzione dell'intervento legislativo rispetto all'obiettivo prefissato - Illegittima imposizione di tagli generalizzati di spesa senza previsione di trasferimenti statali a sostegno delle funzioni deferite agli enti territoriali ed illegittimo trasferimento allo Stato di risorse proprie degli enti locali senza previsione del relativo impiego una volta acquisito dallo Stato - Imposizione di vincoli generali di contenimento della spesa non uniformi e non a carattere transitorio - Lesione dei principi di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione. - Legge 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 418. - Costituzione, artt. 2, 3, 5, 117, 118 e 119. Bilancio e contabilita' pubblica - Legge di stabilita' 2015 - Fondo di solidarieta' comunale di cui al comma 380-ter, dell'art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 - Riduzione di 1.200 milioni di euro annui, a decorrere dall'anno 2015 - Innalzamento al 20%, anziche' al 10%, della quota di ridistribuzione del medesimo Fondo di solidarieta' comunale basato sulle capacita' fiscali e sui fabbisogni standard del territorio - Ricorso della Regione Veneto - Denunciata violazione dei principi di solidarieta' e di uguaglianza per il deteriore trattamento delle autonomie locali rispetto agli altri comparti della pubblica amministrazione - Lesione del principio di autonomia degli enti locali - Violazione del principio di coordinamento della finanza pubblica per irragionevolezza e sproporzione dell'intervento legislativo rispetto all'obiettivo prefissato - Illegittima imposizione di tagli generalizzati di spesa senza previsione di trasferimenti statali a sostegno delle funzioni deferite agli enti territoriali ed illegittimo trasferimento allo Stato di risorse proprie degli enti locali senza previsione del relativo impiego una volta acquisito dallo Stato - Imposizione di vincoli generali di contenimento della spesa non uniformi e non a carattere transitorio - Lesione dei principi di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione. - Legge 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, commi 435 e 459. - Costituzione, artt. 2, 3, 5, 117, 118 e 119.(GU n.15 del 15-4-2015 )
Ricorso per la Regione Veneto (C.F. 80007580279 e P. I.V.A. 02392630279), in persona del Presidente della Giunta Regionale pro tempore, dott. Luca Zaia (C.F. ZAILCU68C27C957O), in giudizio giusta deliberazione di Giunta Regionale di data 24 febbraio 2015, n. 227 (doc. 1), rappresentato e difeso, come da mandato a margine del presente atto, dall'avv. prof. Luigi Garofalo (c.f. GRFLGU56A24L407D) del Foro di Treviso, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Foro Traiano n. 1/A (per eventuali comunicazioni: fax 0422.411045, PEC segreteria@pec.studiogarofalo.eu) contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della 1. 23 dicembre 2014, n. 190, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana in data 29 dicembre 2014, n. 300, avente a oggetto "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato", limitatamente all'art. 1, commi 418, 435 e 459, per violazione - con riguardo all'art. 1, comma 418, 1. n. 190/2014: degli artt. 2, 3, 5, 117 e 119 Cost.; - con riguardo all'art. 1, commi 435 e 459, 1. n. 190/2014: degli artt. 2, 3, 5, 117, 118 e 119 Cost.; nei modi e per i profili di seguito illustrati. Fatto Lo scorso 29 dicembre 2014 e' stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 300 (Supplemento Ordinario n. 99) la 1. 23 dicembre 2014, n. 190, avente a oggetto "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato" e meglio nota come Legge di Stabilita' 2015. Detto testo normativo ricomprende, in un unico articolo composto a sua volta di ben 735 commi, alcune disposizioni meritevoli di censura innanzi a codesta Ecc.ma Corte. La prima di queste, racchiusa nel comma 418, nell'imporre a Province e Citta' Metropolitane (pur con alcune eccezioni di cui si dira' in seguito) consistenti riduzioni della spesa corrente e correlativi obblighi di trasfusione delle risorse risparmiate "ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato", non solo introduce un meccanismo distorto di tagli a carico dei predetti enti territoriali e di correlativi trasferimenti delle risorse risparmiate in favore dell'Erario statale, ma integra la patente violazione dei basilari canoni di solidarieta', uguaglianza, adeguatezza, nonche' dei principi costituzionali dell'autonomia (anche finanziaria) degli enti locali, del decentramento e di sussidiarieta'. In piu', vi sono fondate ragioni per ritenere che il legislatore, attraverso la disposizione in commento, abbia travalicato le proprie prerogative, introducendo limitazioni all'autonomia di spesa degli enti territoriali poc'anzi menzionati con misure di carattere effettivamente permanente (e, dunque, non tese a sopperire ad esigenze contingenti e temporalmente circoscritte). Quanto ai commi 435 e 459 dell'art. 1, l. n. 190/2014 (che parimenti vengono impugnati in questa sede), essi, incidendo in senso deteriore sulla dotazione del Fondo di Solidarieta' comunale e sulle modalita' di riparto del medesimo, vanno a privare gli enti comunali delle risorse minime di cui i medesimi necessitano per assicurare l'esercizio delle rispettive funzioni istituzionali: cio', in totale spregio dei diritti della platea dei soggetti amministrati e con grave repentaglio per l'operativita' degli enti in parola. Cio' detto, giova preliminarmente chiarire il contesto da cui prende le mosse il presente ricorso, prima di passare all'esposizione degli argomenti di carattere tecnico-giuridico che inducono a ritenere costituzionalmente illegittime le disposizioni poc'anzi menzionate. Ebbene, le misure in contestazione si inseriscono in una spirale di interventi legislativi che, negli anni, ha creato crescenti distorsioni nei meccanismi di trasferimento di risorse tra Stato ed enti locali (e viceversa), finendo per esautorare questi ultimi della capacita' di esercitare le funzioni istituzionali loro demandate, per difetto dei mezzi a cio' necessari. I "tagli" alla spesa e la riduzione dei trasferimenti di risorse economiche apportati dall'ultima Legge di Stabilita' costituiscono, dunque, l'ultimo e decisivo "anello" di una "catena" che ostacola - in modo ormai irreparabile -l'attivita' degli enti locali e che portera', in tempi brevissimi, gli stessi alla totale incapacita' di operare: e cio', sia per l'assenza di fondi a disposizione, sia per l'impossibilita' di superare gli stringenti vincoli imposti dal vigente Patto di Stabilita' interno. Inoltre, si ritiene che le criticita' che verranno evidenziate sotto forma di specifica censura all'art. 1, commi 418, 435 e 459, 1. n. 190/2014, ben suggeriscano l'abnormita' e la sproporzione dei sacrifici imposti dal legislatore al comparto delle autonomie locali, oltre che la sperequazione esistente tra diverse realta' territoriali. Si assiste, dunque, all'assurdo per cui a territori, come il Veneto, che vantano ridotti livelli di spesa e di indebitamento (e che, pertanto, non possono essere ritenuti i principali responsabili del dissesto della finanza pubblica cui si tenta di rimediare con le recenti manovre di austerity) vengono ciononostante richiesti i sacrifici maggiori, in termini di contenimento alla spesa corrente e di progressiva erosione dei trasferimenti Stato-autonomie locali: il tutto, senza che il legislatore sia in grado di (o voglia) valorizzare la virtuosita' delle predette realta' territoriali. Gli enti locali veneti, da un lato, sostanzialmente non dispongono piu' di alcuna "compartecipazione al gettito dei tributi erariali riferibili al loro territorio" (come, invece, sarebbe ai medesimi garantito dall'art. 119 Cost.) e, dall'altro lato, subiscono l'onere di una crescente contribuzione alle finanze centrali, anche sotto forma di prelievo statale sui tributi comunali. Si arriva, per tale via, a quanto lucidamente rilevato dalla Corte dei Conti, Sezione delle Autonomie, nella Relazione sulla gestione finanziaria 2013 degli enti territoriali, ove si afferma che e' stato "richiesto alle Autonomie territoriali (a quelle regionali in particolare) uno sforzo di risanamento non proporzionato all'entita' delle risorse gestibili dalle stesse, a vantaggio di altri comparti amministrativi che compongono il conto economico consolidato delle Amministrazioni pubbliche" (cfr. doc. 2, p. VII delle Premesse); con la conseguenza che "le predette misure di austerita', riducendo gravemente le possibilita' di intervento e di gestione degli enti territoriali, hanno inciso profondamente sul grado di autonomia finanziaria e funzionale ad essi garantiti dal Titolo V, della Parte II, della Costituzione" (cfr. doc. 2 cit., p. 15). Da cio' la necessita' di proporre il presente gravame. Diritto Come e' noto, la Regione e' pacificamente legittimata a proporre ricorso in via principale per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale di norme che ledono le prerogative costituzionali non soltanto proprie, ma anche degli enti territoriali diffusi sul proprio territorio (cfr. Corte Cost., sent., n. 298/2009; Corte Cost., sent., n. 169/2007; Corte Cost., sent., n. 95/2007; Corte Cost., sent., n. 417/ 2005; Corte Cost., sent., n. 196/2004). E' stato osservato da codesta Ecc.ma Corte, infatti, che "la stretta connessione ... in tema di finanza regionale tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali" (cfr. Corte Cost., sent., n. 236/2013; Corte Cost., sent., n. 311/2012): il che, evidentemente, legittima la Regione all'impugnazione in via principale per rimuovere tale vulnus. Inoltre, e' pacifico che la Regione sia legittimata a denunciare la legge statale anche per la lesione di parametri diversi da quelli relativi al riparto delle competenze legislative, "ove la loro violazione comporti una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite o ridondi sul riparto di competenze legislative" (cfr. Corte Cost., sent., n. 128/2011; Corte Cost., sent., n. 33/2011; Corte Cost., sent., n. 156/2010). Nel caso di specie, come subito si avra' modo di spiegare, la politica di tagli generalizzati alla spesa e alle risorse degli enti territoriali - di cui la recente Legge di Stabilita' rappresenta l'ultimo afflato - impedisce a questi ultimi di svolgere le funzioni loro deferite: il che si riverbera, evidentemente, sulle garanzie che la Costituzione assicura a tali enti per l'esercizio delle rispettive funzioni. I) Sull'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 418, 1. 23 dicembre 2014, n. 190, per violazione degli artt. 2, 3, 5, 117 e 119 Cost. L'art. 1, comma 418, 1. n. 190/2014 dispone che "le Province e le Citta' metropolitane concorrono al contenimento della spesa pubblica attraverso una riduzione della spesa corrente di 1.000 milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017. In considerazione delle riduzioni di spesa di cui al periodo precedente, ciascuna provincia e Citta' metropolitana versa ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato un ammontare di risorse pari ai predetti risparmi di spesa. Sono escluse dal versamento di cui al periodo precedente, fermo restando l'ammontare complessivo del contributo dei periodi precedenti, le Province che risultano in dissesto alla data del 15 ottobre 2014. Con decreto di natura non regolamentare del Ministero dell'Interno, di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, da emanare entro il 15 febbraio 2015, con il supporto tecnico della Societa' per gli studi di settore - SOSE S.p.a., sentita la Conferenza Stato-Citta' ed autonomie locali, e' stabilito l'ammontare della riduzione della spesa corrente che ciascun ente deve conseguire e del corrispondente versamento tenendo conto anche della differenza tra spesa storica e fabbisogni standard". Giova osservare, innanzitutto, che la disposizione impugnata impone a Province e Citta' metropolitane consistenti tagli alla spesa corrente, non parametrati ad analoghe riduzioni degli esborsi sostenuti da altri comparti (in particolare dell'Amministrazione centrale dello Stato). Cio' pare rispecchiare un modus procedendi ormai tipico delle piu' recenti scelte legislative. Gia' la Corte dei Conti, Sezione delle Autonomie, nella Relazione sulla gestione finanziaria degli enti territoriali per l'esercizio 2013, evidenziava il fatto che lo sforzo di risanamento richiesto alle Amministrazioni territoriali risulta sproporzionato rispetto all'entita' delle risorse gestibili dalle stesse, "il che ha prodotto un drastico ridimensionamento delle funzioni di spesa di queste ultime a vantaggio degli altri comparti amministrativi che compongono il conto economico consolidato delle Amministrazioni pubbliche" (cfr. doc. 2 cit., p. 15). La logica di "tagli" perseguita dal legislatore statale determina, pero', un'evidente disparita' di trattamento e di sacrifici tra i vari comparti di cui si compone la Pubblica Amministrazione: disparita' che va a detrimento delle predette autonomie locali, in violazione dei principi di solidarieta' e del canone costituzionale di uguaglianza recati dagli artt. 2 e 3 Cost., deducibili anche in relazione a enti pubblici. Vero e' che codesta Ecc.ma Corte, in passato, ha affermato che "il legislatore statale puo', con una disciplina di principio, legittimamente imporre alle Regioni e agli enti locali, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti territoriali" (cfr. Corte Cost., sent., n. 182/2011). Del pari vero e' che detti limiti, imposti dal legislatore statale nell'esercizio della funzione di coordinamento della finanza pubblica a lui riservata (ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.) e al fine di garantire il perseguimento di obiettivi nazionali - anche condizionati da obblighi comunitari -, possono considerarsi rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali quando stabiliscono "un limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa" (cfr. Corte Cost., sent., n. 182/2011; Corte Cost., sent., n. 297/2009); tuttavia, e' anche vero che "la disciplina dettata dal legislatore non deve ledere il canone generale di ragionevolezza e proporzionalita' dell'intervento normativo rispetto all'obiettivo prefissato" (cfr. Corte Cost., sent., n. 236/2013). Nel caso di specie, il citato canone di ragionevolezza e proporzionalita' dell'intervento normativo e' trasgredito, nei limiti in cui il sacrificio imposto alle autonomie locali (peraltro in modo diseguale tra le stesse, poiche' esclude dalla misura le Province che risultano in dissesto) non e' accompagnato - per quanto detto anche in precedenza - da un pari sacrificio imposto ad altri comparti (in particolar modo, alle Amministrazioni di livello centrale). Ulteriore profilo di incostituzionalita' della disposizione impugnata si percepisce in relazione al parametro rappresentato dall'art. 5 Cost. Il dettato normativo, poiche' coarta le predette autonomie locali a uno sforzo di riduzione della propria spesa corrente non parametrato ad analoghi sacrifici richiesti ad altri comparti della P.A., finisce per accordare alle prime un trattamento deteriore rispetto a questi ultimi, in violazione - non solo degli artt. 2 e 3 Cost., di cui si e' detto in precedenza, ma anche - delle esigenze basilari dell'autonomia e del decentramento. Come noto, ai sensi dell'art. 5 Cost. la Repubblica ha il preciso dovere di riconoscere e promuovere le autonomie locali, anche adeguando "i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento''. Se, pero', si apportano tagli indiscriminati ed eccessivi alle risorse finanziarie a disposizione delle Amministrazioni locali - che gia' si trovano in grave difficolta', sotto il profilo del reperimento dei fondi necessari a garantire l'erogazione dei servizi essenziali ai cittadini -, le esigenze dell'autonomia e del decentramento tutelate dall'art. 5 Cost. vengono totalmente vanificate. Attraverso il drastico taglio delle risorse degli enti territoriali viene non solo gravemente compromessa l'autonomia delle realta' locali, ma altresi' pericolosamente minato l'intero assetto ordinamentale che si regge sui principi del federalismo e della sussidiarieta'. In altri termini, se e' vero che l'art. 5 Cost. impone al legislatore statale di garantire e di adeguarsi alle esigenze dell'autonomia e del decentramento, tale obiettivo, pero', viene totalmente vanificato dall'adozione della disposizione impugnata (che, peraltro, si pone nel solco di svariati interventi legislativi che, negli anni, hanno progressivamente svuotato gli enti locali della loro autonomia, attraverso la progressiva riduzione delle risorse a disposizione). Il taglio alla spesa corrente ordinato dalla norma in commento, l'imposizione del trasferimento all'Erario centrale delle risorse risparmiate e, contestualmente, la mancata previsione di adeguati trasferimenti statali che vadano a coprire il depauperamento subito dagli enti locali (i quali non solo si vedono negate risorse trasferite dallo Stato ma, addirittura, sono chiamati essi stessi a trasferire le proprie risorse al livello centrale, secondo un meccanismo di versamento che non trova addentellato nel nostro ordinamento costituzionale, come si dira' oltre), pregiudicano grandemente la programmazione di bilancio degli enti medesimi e determinano l'impossibilita' per gli stessi di far fronte alle spese programmate, con grave pregiudizio dei bisogni primari della cittadinanza. Ancora una volta e' la Corte dei Conti, Sezione delle Autonomie, nella piu' volte citata Relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali per il 2013, a formulare espliciti dubbi sulla coerenza e sostenibilita' di iniziative legislative che impongono tagli cosi' pesanti e indiscriminati, tali da incidere sull'esistenza stessa degli enti locali, nei termini in cui ha sottolineato che le misure di austerita' determinate a livello statale, "riducendo gravemente le possibilita' di intervento e di gestione degli enti territoriali, hanno inciso profondamente sul grado di autonomia finanziaria e funzionale ad essi garantiti dal Titolo V, della Parte II, della Costituzione. Cio' implica la necessita' che i nuovi interventi di contenimento della spesa, in assenza di uno stabile coordinamento tra le misure di finanza pubblica varate dallo Stato e gli ordinamenti della finanza territoriale espressi dai diversi livelli istituzionali di governo, siano adottati mediante l'uso di strumenti idonei ad assicurare che i mezzi di copertura finanziaria vengano individuati salvaguardando, da un lato, il corretto adempimento dei livelli essenziali delle prestazioni nonche' delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali, dall'altro, assicurando un adeguato concorso finanziario dello Stato per gli interventi correttivi degli squilibri economico-sociali emersi tra le diverse aree del paese" (cfr. doc. 2 cit., p. 15). Il comma 418 dell'art. 1, l. n. 190/2014, peraltro, presenta profili di illegittimita' costituzionale anche con riguardo ai parametri rappresentati dall'art. 119, primo, secondo, terzo e quarto comma, cost. e dall'art. 117 Cost. La disposizione in questione, infatti, attraverso una logica di "tagli" sproporzionati e non ragionevoli imposti a Province e Citta' metropolitane, va a privare le stesse della propria autonomia di spesa, incidendo in maniera pregiudizievole sull'equilibrio dei relativi bilanci (che sostanzialmente vengono "svuotati"), in spregio di quanto sancito dal primo comma dell'art. 119 Cost.; inoltre, imponendo alle medesime di versare "ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato" le risorse risparmiate attraverso i predetti tagli alla spesa corrente, non solo sostanzialmente elimina le risorse autonome di cui i medesimi enti territoriali possono fruire, ma addirittura distorce e capovolge i meccanismi di compartecipazione e di trasferimento di risorse dallo Stato alla periferia, in violazione dei commi secondo e terzo dell'art. 119 Cost. (giacche' e' lo Stato a fruire di trasferimenti di risorse da parte degli enti territoriali sopradetti, e non viceversa). La diretta conseguenza della misura contestata risiede nel fatto che Province e Citta' metropolitane si vedono private delle risorse minime per assicurare il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche loro attribuite, in violazione del quarto comma dell'art. 119 Cost. Giova osservare che la Costituzione non legittima meccanismi di trasferimento di risorse economiche dal livello periferico a quello centrale che siano modulati sulla falsariga del modello di cui all'art. 1, comma 418, 1. n. 190/2014. Se davvero l'obiettivo del legislatore, attraverso la disposizione impugnata, fosse stato quello di ridurre la spesa di Province e Citta' metropolitane, egli si sarebbe dovuto limitare alla previsione di adeguati "tagli"; ma non si sarebbe potuto spingere sino a prevedere l'obbligo, a carico degli enti territoriali, di versare i risparmi di spesa al bilancio dello Stato, senza alcuna previsione delle modalita' del loro impiego da parte dell'Amministrazione centrale: cio' che, invece, ha fatto, nei limiti in cui ha previsto che "in considerazione delle riduzioni di spesa" normativamente imposte dall'art. 1, comma 418, 1. n. 190/2014, "ciascuna provincia e Citta' metropolitana versa ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato un ammontare di risorse pari ai predetti risparmi di spesa". La misura criticata e' costituzionalmente illegittima, allora, non solo perche' impone un evidente sacrificio alle autonomie locali attraverso l'imposizione di tagli generalizzati alla spesa corrente (senza, al contempo, sopperire a tale lacuna di risorse prevedendo correlativi trasferimenti statali a sostegno dell'esercizio delle funzioni deferite agli enti territoriali), ma anche perche' obbliga gli enti territoriali a trasferire allo Stato risorse proprie, senza prevedere come queste ultime, una volta acquisite dallo Stato, saranno impiegate. Il contestato comma 418 dell'art. 1, l. n. 190/2014, infatti, non chiarisce se le risorse locali frutto dei risparmi di spesa imposti a Province e Citta' metropolitane verranno destinate all'incremento del fondo perequativo indirizzato ai soli territori con minore capacita' fiscale per abitante (cosi' come previsto dall'art. 119, terzo comma, Cost.), ovvero comunque andranno a costituire quelle risorse aggiuntive che lo Stato deve destinare esclusivamente a determinate realta' territoriali, per il raggiungimento di scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni (a mente dell'art. 119, quinto comma, Cost.). L'impugnato comma 418, in altri termini, istituisce un percorso illegittimo nelle modalita' di contribuzione a cui sono chiamate le autonomie locali, poiche' non e' ammissibile nel nostro ordinamento il riversamento allo Stato di risorse locali che vadano a finanziare genericamente la spesa statale (cfr. Corte Cost., sent., n. 79/2014; a contrariis, anche Corte Cost., sent., n. 341/2009). Con riguardo al parametro rappresentato dall'art. 3 Cost., in relazione agli artt. 117 e 119 Cost., merita poi sottolineare che l'esclusione degli enti territoriali in dissesto dal meccanismo del versamento allo Stato dei risparmi prodotti dai tagli di spesa imposti dall'art. 1, comma 418, 1. n. 190/2014, introduce una discriminazione tra Regioni e tra enti territoriali con differenti gradi di sviluppo. Al riguardo, giova rammentare che "gli interventi statali fondati sulla differenziazione tra Regioni, volti a rimuovere gli squilibri economici e sociali, devono seguire le modalita' fissate dall'art. 119, quinto comma, Cost." (fondo perequativo, destinazione di risorse aggiuntive e interventi speciali ad opera dello Stato in favore delle realta' svantaggiate), ma non possono prescindere dal fatto che "i vincoli generali di contenimento della spesa pubblica debbono essere uniformi" (cfr. Corte Cost., sent., n. 284/2009). Nel caso di specie, il legislatore statale non poteva semplicemente esentare gli enti in dissesto dall'obbligo di riversare allo Stato le risorse finanziarie risparmiate in virtu' dei "tagli" di cui all'art. 1, comma 418, 1. n. 190/2014, perche' cosi' ha determinato una ingiustificata disparita' di trattamento tra enti: viceversa, egli avrebbe semmai dovuto sopperire "a valle" al sacrificio richiesto anche agli enti territoriali in dissesto, non gia' escludendoli a priori dall'applicazione della misura di cui all'art. 1, comma 418, 1. n. 190/2014, bensi', se del caso, garantendo a questi ultimi risorse adeguate a colmare il sacrificio patito, sotto forma del riconoscimento di interventi speciali o comunque in virtu' dei meccanismi della perequazione. Viceversa, la disposizione impugnata, in modo discriminatorio, finisce per accordare misure premiali proprio agli enti che hanno dato prova di cattiva gestione della cosa pubblica Ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale della disposizione impugnata emerge in relazione ai parametri costituiti dagli artt. 117, commi 3 e 4, e 119, primo comma, Cost., sotto l'aspetto della non transitorieta' della misura adottata. Si rammenti che la riduzione della spesa corrente imposta dal comma 418 dell'art. 1, 1. n. 190/2014, trova applicazione, nelle mire del legislatore statale, "per l'anno 2015", "per l'anno 2016" e, infine, "a decorrere dal 2017". Sotto questo specifico aspetto, ci si permette di ricordare che codesta Ecc.ma Corte, sebbene abbia riconosciuto che "e' consentito al legislatore statale imporre limiti alla spesa di enti pubblici regionali" nell'esercizio del proprio potere di formulazione dei principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, ha tuttavia richiesto che "il citato contenimento sia comunque 'transitorio', in quanto necessario a fronteggiare una situazione contingente"; ha, inoltre, soggiunto che una disposizione "non soddisfa la condizione della necessaria 'transitorieta' delle misure restrittive ... nella parte in cui stabilisce che dette misure, che si impongono all'autonomia di spesa e organizzativa della Regione, sono adottate non per un periodo limitato, per fronteggiare una situazione contingente, ma a tempo indeterminato" (cfr. Corte Cost., sent., n. 79/2014). Cio' detto, e' evidente che, nel caso che qui viene in rilievo, l'intervento di contenimento della spesa che trova fondamento nel comma contestato della Legge di Stabilita' ha una portata potenzialmente permanente (ben percepibile nell'utilizzo dell'inciso " a decorrere dal 2017..."): donde la sicura incostituzionalita' della misura anche sotto tale profilo, a mente dell'insegnamento di codesta Ecc.ma Corte poc'anzi menzionato. II) Sull'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 435 e 459, 1. 23 dicembre 2014, n. 190, per violazione degli artt. 2, 3, 5, 117, 118 e 119 Cost. L'art. 1, comma 435, 1. n. 190/2014, dispone che "la dotazione del Fondo di Solidarieta' comunale di cui al comma 380 ter dell'art. 1, l. 24 dicembre 2012, n. 228, e' ridotta di 1.200 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2015". A sua volta, il menzionato comma 380 ter dell'art. 1, 1. 24 dicembre 2012, n. 228, individuava la dotazione del Fondo di Solidarieta' comunale per l'anno 2014 in 6.647.114.923,12 euro e per l'anno 2015 e successivi in 6.547.114.923,12 euro, di cui una parte consistente (pari a 4.717,9 milioni di euro) era rappresentata da una quota dell'imposta municipale unica (IMU), di spettanza dei Comuni. Nell'ottica del legislatore della citata 1. n. 228/2012, ai Comuni veniva riconosciuto l'intero gettito fiscale relativo all'imposta municipale unica afferente al proprio territorio, con l'eccezione dell'imposta sugli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D (il cui gettito doveva e deve essere riconosciuto direttamente allo Stato: art. 1, comma 380, lett. f, 1. n. 228/2012) e della quota dell'imposta municipale unica di cui si e' detto al paragrafo precedente, finalizzata ad alimentare il neocostituito Fondo di Solidarieta' comunale. Quest'ultimo Fondo, creato ai sensi dell'art. 1, comma 380, lett. b, l. n. 228/2012, mira a garantire un'equa distribuzione di risorse tra enti comunali; la dotazione del medesimo, in difetto di alternative misure perequative disposte dall'Amministrazione centrale e, in generale, di trasferimenti da parte dell'Erario, e' fondamentale per assicurare ai Comuni le risorse finanziarie necessarie all'esercizio delle proprie attivita' istituzionali e all'erogazione dei servizi alla platea dei soggetti amministrati. Come noto, i criteri di riparto del Fondo, a mente dell'art. 1, comma 380 ter, lett. b, l. n. 190/2014, sono stati fissati per il 2014 con d.P.C.M. 1 dicembre 2014 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 21 del 27 gennaio 2015), con la precisazione, recata dall'art. 1, comma 380 quater, 1. n. 190/2014, che, con riferimento ai Comuni appartenenti a Regioni a statuto ordinario, una percentuale del medesimo Fondo deve essere accantonata per essere redistribuita tra i Comuni "sulla base delle capacita' fiscali nonche' dei fabbisogni standard approvati dalla Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale di cui all'art. 4, l. 5 maggio 2009, n. 42, entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello di riferimento". Detta percentuale di accantonamento e redistribuzione della dotazione del Fondo di Solidarieta' sulla base delle capacita' fiscali e dei fabbisogni standard afferenti ad uno specifico territorio e' stata modificata dall'art. 1, comma 459, l. n. 190/2014, che l'ha portata dal 10% al 20% del totale. La riduzione della dotazione del Fondo di Solidarieta' comunale decisa dall'art. 1, comma 435, 1. n. 190/2014, incidendo in senso deteriore sul meccanismo perequativo istituito dalla 1. n. 228/2012 al fine di assicurare ai Comuni le risorse minime per l'espletamento delle proprie funzioni (cosi' come costituzionalmente garantite dall'art. 118 Cost. e determinate anche in base alle previsioni dell'art. 19, d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito in 1. 7 agosto 2012, n. 135), finisce sostanzialmente per comprimere le competenze degli enti locali citati, pregiudicando l'esercizio delle rispettive attivita' istituzionali attraverso una misura unilateralmente assunta a livello centrale. Cio' avviene, anzitutto, in totale spregio degli artt. 117 e 118 Cost. Precisamente, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, Cost., lo Stato non puo' spingersi oltre la fissazione dei principi fondamentali in tema di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario: viceversa, nel caso di specie, il legislatore statale finisce per ridurre unilateralmente le risorse finanziarie a disposizione degli enti locali con una misura specifica, che prescinde dal necessario coinvolgimento delle Regioni in sede di valutazione congiunta della situazione economico-finanziaria in cui effettivamente versano i Comuni presenti sul proprio territorio. Il progressivo svuotamento delle casse comunali, poi, evidentemente priva di significato le garanzie trasfuse nell'art. 118, primo e secondo comma, Cost., con riguardo al fatto che ai Comuni dovrebbe essere assicurata l'effettiva possibilita' di svolgere le funzioni amministrative proprie e delegate (anche a mente dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza). Viceversa, nel caso in esame, la riduzione della dotazione del Fondo di Solidarieta' di cui si e' detto priva i Comuni di adeguati mezzi per finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro demandate. Fermo quanto detto in ordine al fatto che il consistente taglio al Fondo di Solidarieta' comunale operato dal predetto art. 1, comma 435, l. n. 190/2014 (misura deteriore che rende del tutto inutile l'innalzamento al 20% della quota di redistribuzione del medesimo Fondo di Solidarieta' comunale basata sulle capacita' fiscali e sui fabbisogni standard del territorio, cosi' come stabilito sempre dalla l. n. 190/2014, art. 1, comma 459) rischia seriamente di compromettere lo svolgimento delle funzioni demandate agli enti locali, non si puo' sottacere che la scelta di ridurre le risorse a disposizione di questi ultimi lede le garanzie primarie assicurate dagli artt. 2, 3 e 5 Cost. Anche in questo caso (come gia' accaduto con riguardo alla misura recata dall'art. 1, comma 418, 1. n. 190/2014 su cui ci si e' soffermati in precedenza), vengono imposti a uno specifico comparto dell'Amministrazione sacrifici non parametrati a quelli richiesti ad altri settori, in violazione del canone costituzionale di uguaglianza, del dovere inderogabile di solidarieta' e delle esigenze basilari dell'autonomia e del decentramento (cui la legislazione della Repubblica dovrebbe adeguare i propri principi e metodi). Il che e' tanto piu' irragionevole se si pensa che dal 2009 al 2013 la spesa primaria dei Comuni si e' ridotta del 7,8% (cfr. doc. 2 cit., p. 16, tabella 3), con un contenimento degli esborsi che rappresenta quasi il doppio della correlativa riduzione di spesa realizzata dalle Amministrazioni centrali dello Stato (cfr. doc. 2 cit., p. 16, tabella 3; riduzione, quella da ultimo citata, che peraltro si azzera se si volesse tenere conto anche dei bilanci degli enti previdenziali). Considerando la peculiare situazione dei Comuni veneti, le piu' recenti stime disponibili rivelano che gli stessi sono al penultimo posto nella graduatoria nazionale per spesa media pro capite (719,21 euro/abitante; dato ricavato dalle tabelle elaborate dalla Banca d'Italia, bollettino n. 25/2014 "Finanza pubblica, fabbisogno e debito": cfr. doc. 3): sicche' i medesimi manifestano la propria virtuosita' nel fatto di contenere i propri esborsi ben al di sotto di quanto necessario ad assicurare alla platea dei soggetti amministrati i servizi al livello medio/standard individuato su base nazionale. Di tale virtuosita', pero', il legislatore statale dimostra di non tenere il benche' minimo conto. In piu', e' dimostrabile che la progressiva riduzione delle risorse a disposizione degli enti locali (financo ad arrivare al loro totale azzeramento) e la correlativa imposizione a questi ultimi di crescenti versamenti in favore dello Stato non apportano i benefici auspicati, in termini di riduzione del deficit pubblico. I tagli di risorse al comparto enti locali, attuati da ultimo con le disposizioni della 1. n. 190/2014 in questa sede impugnate, vanno a incidere sui bilanci di enti territoriali che contribuiscono solo per il 5,1% al complessivo debito pubblico statale; laddove, invece, non viene richiesto un corrispondente sacrificio ai comparti dell'Amministrazione centrale, responsabili dell'inasprirsi del deficit complessivo per il 94,9% (dato risalente a marzo 2014, desumibile dal bollettino n. 25/2014 "Finanza pubblica, fabbisogno e debito" a cura della Banca d'Italia: cfr. doc. 3 cit., p. 12, tavola 6). Tale disparita' di trattamento non considera la circostanza che nell'ultimo biennio il debito maturato dagli enti locali e' diminuito dell'8,5% (con una punta del -12,2% registrata dalle Amministrazioni locali del Nordest), a fronte di un aumento del debito delle Amministrazioni centrali del 9,3% (cfr. doc. 3 cit., p. 12, tavola 6 e p. 18, tavola 11). Tali dati dimostrano non solo il fallimento del sistema di spending review sinora applicato dall'Amministrazione centrale, ma anche l'incompatibilita' con l'assetto costituzionale a garanzia delle autonomie (che vengono trattate in senso peggiorativo rispetto ad altri comparti e private di qualsivoglia tutela). Il consistente taglio delle risorse finanziarie a disposizione dei Comuni, operato da ultimo con le misure versate nell'art. 1, commi 435 e 459, 1. n. 190/2014, integra anche la violazione dell'art. 119 Cost., nei limiti in cui vengono pregiudicati l'autonomia di spesa dell'ente locale e il rispetto dell'equilibrio del relativo bilancio. La norma costituzionale poc'anzi richiamata, come ben noto, in prima battuta assicura a Comuni, Province, Citta' metropolitane e Regioni "autonomia finanziaria di entrata e di spesa" (cfr. art. 119, primo comma, Cost.): sennonche', nel caso di specie, i Comuni veneti vengono sostanzialmente privati di tale autonomia, giusto quanto detto in precedenza in ordine all'insufficienza delle risorse a disposizione dei medesimi per l'esercizio delle proprie competenze. Tale insufficienza, evidentemente, concretizza anche la lesione del quarto comma dell'art. 119 Cost., nei limiti in cui gli enti locali non godono di risorse sufficienti a finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro conferite. Peraltro, il citato quarto comma dell'art. 119 Cost. istituisce un chiaro parallelismo tra le entrate del singolo ente territoriale (sotto forma di gettito tributario, di cui al secondo comma dell'art. 119 Cost. o, comunque, di trasferimenti provenienti dal fondo perequativo di cui al terzo comma della medesima disposizione) e l'esercizio, da parte di quest'ultimo, delle proprie funzioni: venute meno le prime, non e' certo possibile assicurare il secondo. Eppure, di fronte al pericolo di totale inattivita' delle autonomie locali, lo Stato persevera nella propria logica di taglio indiscriminato delle risorse: il che, a ben vedere, integra anche la violazione del quinto comma dell'art. 119 Cost., nei limiti in cui l'Amministrazione centrale rimane inerte rispetto all'adozione di interventi speciali che - anche assicurando l'effettivo esercizio del diritti della persona, in un'ottica di solidarieta' sociale imposta anche dall'art. 2 cost. - vadano a sopperire alle difficolta' economiche ed istituzionali attualmente patite dagli enti locali. Infine, anche l'art. 1, comma 435, 1. n. 190/2014 - analogamente a quanto evidenziato in precedenza con riguardo al comma 418 del medesimo articolo - manifesta un profilo di illegittimita' costituzionale nel fatto di recare una misura pregiudizievole dell'autonomia finanziaria degli enti locali che non e' transitoria. La riduzione della dotazione del Fondo di Solidarieta' comunale imposta dal menzionato comma 435, infatti, vale "a decorrere dall'anno 2015": sicche', se anche il legislatore statale puo' imporre riduzioni alle risorse finanziarie degli enti pubblici, e' imprescindibile che "il citato contenimento sia comunque 'transitorio', in quanto necessario a fronteggiare una situazione contingente" (cfr. Corte Cost., sent., n. 79/2014). In altri termini, le misure restrittive delle risorse finanziarie a disposizione degli enti locali devono necessariamente essere temporalmente circoscritte e tese a "fronteggiare una situazione contingente": non certo istituite a tempo potenzialmente indeterminato (sul punto, ancora, Corte Cost., sent., n. 79/2014).
P.Q.M. Tutto cio' premesso, la Regione Veneto, in persona del Presidente della Giunta Regionale pro tempore, ut supra rappresentato e difeso chiede che codesta Ecc.ma Corte costituzionale voglia accogliere il presente ricorso, dichiarando l'illegittimita' costituzionale dei commi 418, 435 e 459 dell'art. 1, 1. 23 dicembre 2014, n. 190, per i profili suesposti. Si allegano: 1) deliberazione della Giunta Regionale del Veneto di data 24 febbraio 2015, n. 227; 2) Relazione sulla gestione finanziaria 2013 degli enti territoriali licenziata dalla Corte dei Conti, Sezione delle Autonomie; 3) bollettino n. 25/2014 "Finanza pubblica, fabbisogno e debito" a cura della Banca d'Italia. Venezia-Roma, 24 febbraio 2015 Avv. prof. Luigi Garofalo