N. 69 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 ottobre 2014

Ordinanza del 9 ottobre 2014  del  Consiglio  di  Stato  sul  ricorso
proposto da  GSE  -  Gestore  dei  servizi  energetici S.p.a.  contro
Briziarelli Angelo e Ministero dello Sviluppo economico.. 
 
Energia - Attuazione  della  Direttiva  2009/28/CE  sulla  promozione
  dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili - Previsione che  quando
  sia  accertato  che  i  lavori   di   installazione   dell'impianto
  fotovoltaico non sono stati conclusi entro il 31 dicembre  2010,  a
  seguito dell'esame della richiesta di incentivi, il GSE rigetta  la
  richiesta e dispone l'esclusione dagli incentivi degli impianti che
  utilizzano anche in altri  siti  le  componenti  dell'impianto  non
  ammesso all'incentivazione -  Previsione  che  il  GSE  dispone  la
  esclusione dalla concessione degli incentivi per la  produzione  di
  energia elettrica di sua competenza per un periodo  di  dieci  anni
  dei soggetti che avevano presentato la  richiesta  di  incentivi  -
  Lesione  del  principio  di  uguaglianza  per  irragionevolezza   -
  Violazione  del  principio  di  irretroattivita'   delle   sanzioni
  amministrative  -  Eccesso  di  delega  -  Violazione  di  obblighi
  internazionali derivanti dalla CEDU e dal diritto comunitario. 
- Decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, art. 43. 
- Costituzione, artt. 3, 25, comma secondo, 76 e  117,  primo  comma;
  legge 4 giugno 2010, n. 96, art. 2, comma 1, lett. c);  Convenzione
  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle   liberta'
  fondamentali, artt. 6 e 7. 
(GU n.18 del 6-5-2015 )
 
                        IL CONSIGLIO DI STATO 
               In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  Ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 6385 del 2013, proposto da: 
      Gse - Gestore dei servizi  energetici  S.p.a.  in  persona  del
legale  rappresentante  in  carica,  rappresentato  e  difeso   dagli
avvocati Stefano Crisci e  Andrea  Panzarola,  con  domicilio  eletto
presso Sergio Fidanzia in Roma, viale Bruno Buozzi n. 109; 
 
                               Contro 
 
    Angelo Briziarelli; 
 
                          Nei confronti di 
 
    Ministero dello Sviluppo economico; 
    Per la riforma della sentenza del T.A.R. Lazio  -  Roma:  Sezione
III TER n. 3312/2013, resa tra le parti,  concernente  decadenza  dal
diritto alle tariffe incentivanti per impianto fotovoltaico; 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza  pubblica  del  giorno  8  aprile  2014  il
consigliere Roberta  Vigotti  e  udito  per  l'appellante  l'avvocato
Crisci; 
    Il Gestore dei servizi energetici (d'ora in poi: Gse, o  Gestore)
chiede la riforma della sentenza, in epigrafe indicata, con la  quale
il  Tribunale  amministrativo  del  Lazio  ha  accolto   il   ricorso
presentato dall'ingegner Angelo  Briziarelli,  legale  rappresentante
della societa' Cirio Agricola S.r.l., avverso l'esclusione decennale,
ai sensi dell'art. 43, del decreto legislativo 3 marzo  2011,  n.  28
(Attuazione della  direttiva  2009/28/CE  sulla  promozione  dell'uso
dell'energia da fonti  rinnovabili,  recante  modifica  e  successiva
abrogazione  delle  direttive   2001/77/CE   e   2003/30/CE),   dalla
concessione  degli  incentivi  per  la  realizzazione   di   impianti
fotovoltaici, in dipendenza della non veridicita' delle dichiarazioni
di fine lavori per gli impianti  denominati  "Cirio  impianto  FV  su
parcheggi" e "Cirio impianto su fienili". 
    La  societa'  Cirio  Agricola   ha   inviato   al   Gestore   due
comunicazioni di fine lavori relative agli impianti  sopra  indicati,
delle  quali  il  Gestore  stesso  ha  contestato   la   veridicita',
applicando la sanzione interdittiva decennale ai sensi  dell'art.  43
anche al ricorrente in primo grado,  nella  sua  qualita'  di  legale
rappresentante della societa' richiedente. 
    Con la sentenza impugnata il Tribunale amministrativo ha ritenuto
che le sanzioni previste dalla norma appena  citata  possano  trovare
applicazione solo se e' stata presentata la richiesta di accesso agli
incentivi, non essendo sufficiente  la  mera  dichiarazione  di  fine
lavori e, in ragione della mancata presentazione di tale  domanda  da
parte della Cirio Agricola, ha accolto il ricorso. 
    I) Le questioni poste all'esame della Sezione attengono a vicende
relative a procedimenti di concessione  di  incentivi  economici  nel
settore degli impianti di produzione di energia elettrica prodotta da
fonti energetiche rinnovabili. 
    In via preliminare e' necessario ricostruire il quadro  normativa
rilevante. 
    L'art. 7, del  decreto  legislativo  29  dicembre  2003,  n.  387
(Attuazione  della  direttiva  2001/77/CE  relativa  alla  promozione
dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili  nel
mercato interno dell'elettricita') ha  demandato  al  Ministro  delle
attivita' produttive, di concerto con  il  Ministro  dell'ambiente  e
della tutela del territorio, d'intesa con la Conferenza unificata, di
adottare decreti  volti  a  definire,  tra  l'altro,  i  criteri  per
l'incentivazione  della  produzione  di  energia  elettrica  mediante
conversione fotovoltaica dalla fonte solare. In  particolare,  devono
essere stabilite le  modalita'  per  la  determinazione  dell'entita'
dell'incentivazione, costituita da una specifica tariffa, di  importo
decrescente e di durata tale da garantire una equa remunerazione  dei
costi di investimento e di esercizio. 
    In attuazione di quanto  disposto  dalla  riportata  disposizione
sono stati  adottati  i  decreti  ministeriali  28  luglio  2006,  19
febbraio 2007, 6 agosto 2010 e 5 maggio 2011 (che  hanno  introdotto,
rispettivamente, i cosiddetti primo, secondo, terzo  e  quarto  conto
energia). 
    In particolare, gli articoli 5 e 6 del  decreto  ministeriale  19
febbraio 2007 hanno previsto che  i  soggetti  che  hanno  realizzato
impianti fotovoltaici, entrati in  esercizio  entro  il  31  dicembre
2008, hanno diritto a  una  tariffa  incentivante  avente  un  valore
parametrato alla potenza nominale  e  alla  tipologia  dell'impianto.
Detti soggetti, a questo fine, devono inoltrare al «gestore di  rete»
il progetto preliminare dell'impianto, chiedere la  connessione  alla
rete ed «entro sessanta giorni dalla data  di  entrata  in  esercizio
dell'impianto» fare pervenire «al soggetto attuatore»  la  «richiesta
di concessione della  pertinente  tariffa  incentivante».  L'art.  11
dello stesso decreto  prevede  che  l'eventuale  falsa  dichiarazione
comporta  la  decadenza  dal  diritto   alla   tariffa   «sull'intera
produzione e per l'intero periodo di diritto alla stessa tariffa». 
    L'art, 2-sexies del decreto-legge 25 gennaio 2010, n.  3  (Misure
urgenti per garantire la sicurezza di approvvigionamento  di  energia
elettrica nelle isole maggiori), inserito dalla legge di  conversione
22 marzo 2010, n. 41, in  vigore  dal  19  agosto  2010,  modificando
parzialmente le  modalita'  procedimentali,  ha  disposto,  al  primo
comma, che le tariffe incentivanti di cui al decreto ministeriale  19
febbraio 2007 «sono riconosciute a tutti i soggetti che, nel rispetto
di quanto previsto dall'art. 5  del  medesimo  decreto  ministeriale,
abbiano  concluso,  entro  il  31  dicembre   2010,   l'installazione
dell'impianto fotovoltaico,  abbiano  comunicato  all'amministrazione
competente al rilascio dell'autorizzazione, al gestore di rete  e  al
Gestore dei servizi elettrici-GSE S.p.a., entro la medesima data,  la
fine lavori ed entrino in esercizio entro il 30  giugno  2011»  (tale
comma e' stato cosi' sostituito dall'art.  1-septies,  comma  1,  del
decreto-legge 8 luglio 2010, n. 105, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 13 agosto 2010, n. 129, che  ha  sostituito  l'originario
comma 1 con gli attuali commi 1 e 1-bis). 
    Il comma 1-bis dello stesso articolo, aggiunto  dal  citato  art.
1-septies, comma 1, del d.l. n. 105 del 2010, ha  stabilito  che  «da
comunicazione di cui al comma 1  e'  accompagnata  da  asseverazione,
redatta da tecnico abilitato di effettiva conclusione dei  lavori  di
cui al comma 1 e  di  esecuzione  degli  stessi  nel  rispetto  delle
pertinenti normative. Il gestore di rete e il  GSE  S.p.a.,  ciascuno
nell'ambito delle proprie competenze, possono effettuare controlli  a
campione per la verifica  delle  comunicazioni  di  cui  al  presente
comma, ferma restando la medesima  facolta'  per  le  amministrazioni
competenti al rilascio dell'autorizzazione». 
    Il GSE, al fine di chiarire le modalita' di  presentazione  delle
domande, ha dettato le linee guida relative alla «procedura operativa
per la gestione delle comunicazioni  al  GSE  di  fine  lavori  degli
impianti fotovoltaici». 
    In particolare, le linee guida distinguono due fasi: 
      Nella prima fase, relativa all'«inserimento richiesta incentivi
al GSE», il soggetto responsabile deve allegare, tra l'altro: I)  «la
richiesta di accesso ai benefici previsti dalla legge n. 129  del  13
agosto 2010» (recte: art. 1-speties, comma 1,  del  decreto-legge  n.
105 del 2010, che ha modificato l'art. 2-sexies del decreto-legge  n.
3  del  2010);  II)  «l'asseverazione,  redatta  e  sottoscritta   in
originale da un  tecnico  abilitato,  di  effettiva  conclusione  dei
lavori»; III) «la copia della richiesta di connessione  elettrica  al
gestore di rete territorialmente competente»; 
      Nella seconda fase, relativa  al  «completamento  richiesta  di
incentivi al GSE», il  «soggetto  responsabile  potra'  inviare,  nel
rispetto della tempistica dei sessanta giorni dalla data  di  entrata
in esercizio, la richiesta di incentivo secondo  regole  del  decreto
ministeriale 19 febbraio 2007». 
    La legge 4 giugno 2010, n. 96 (Disposizioni per l'adempimento  di
obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  alle   Comunita'
europee - Legge comunitaria 2009) ha: 
      I) con gli artt. 2 e 3 delegato il Governo  ad  introdurre  una
disciplina sanzionatoria «di violazione di disposizioni comunitarie»; 
      II) con l'art. 17 stabilito principi e  criteri  direttivi  per
l'attuazione, tra l'altro, della direttiva 2009/28/CE. 
    Il decreto legislativo n. 28 del  2011  ha  attuato  la  predetta
delega, definendo «gli strumenti, i meccanismi, gli  incentivi  e  il
quadro istituzionale,  finanziario  e  giuridico,  necessari  per  il
raggiungimento degli obiettivi fino  al  2020  in  materia  di  quota
complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale  lordo
di energia e di quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti». 
    Il Titolo V del predetto decreto ha previsto, tra  l'altro,  agli
articoli 23  e  seguenti,  i  nuovi  «Regimi  di  sostegno»,  per  la
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. In particolare,
l'art. 24 ha disposto che la produzione di energia elettrica da fonti
rinnovabili  entrate  in  esercizio  dopo  il  31  dicembre  2012  e'
incentivata sulla base di nuovi criteri specificamente previsti. 
    Il Titolo V, Capo II, dello stesso decreto ha previsto il sistema
di «Controlli e sanzioni», stabilendo, all'art. 42, comma 1, che: 
      l'erogazione di incentivi nel settore elettrico e  termico,  di
competenza del GSE, e' subordinata alla verifica dei dati forniti dai
soggetti responsabili che presentano istanza; 
      la  verifica,  che  puo'  essere  affidata  anche   agli   enti
controllati dal GSE, e'  effettuata  attraverso  il  controllo  della
documentazione trasmessa, nonche'  con  controlli  a  campione  sugli
impianti; 
      i controlli sugli impianti, per i quali i soggetti preposti dal
GSE rivestono la qualifica di pubblico ufficiale, sono  svolti  anche
senza preavviso  ed  hanno  ad  oggetto  la  documentazione  relativa
all'impianto, la sua configurazione impiantistica e le  modalita'  di
connessione alla rete elettrica. 
    L'art. 42, comma 2, ha disposto che, «restano ferme le competenze
in tema di  controlli  e  verifiche  spettanti  alle  amministrazioni
statali, regionali, agli enti locali nonche' ai gestori di rete». 
    L'art. 42, comma  3,  ha  previsto  che,  «nel  caso  in  cui  le
violazioni riscontrate nell'ambito dei controlli di cui ai commi 1  e
2 siano rilevanti ai fini dell'erogazione  degli  incentivi,  il  GSE
dispone il rigetto dell'istanza ovvero la decadenza dagli  incentivi,
nonche'  il  recupero  delle  somme   gia'   erogate,   e   trasmette
all'Autorita'   l'esito    degli    accertamenti    effettuati    per
l'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 2,  comma  20,  lettera
c), della legge 14 novembre 1995, n. 481». 
    Sul punto, deve aggiungersi che l'art. 23, comma 3, ha  previsto,
pur nell'ambito del diverso  Titolo  V,  che  non  hanno  diritto  «a
percepire gli  incentivi  per  la  produzione  di  energia  da  fonti
rinnovabili, da qualsiasi fonte normativa previsti, i soggetti per  i
quali le autorita' e gli enti competenti abbiano  accertato  che,  in
relazione alla richiesta di: qualifica degli impianti o di erogazione
degli incentivi, hanno fornito dati o documenti non veritieri, ovvero
hanno reso  dichiarazioni  false  o  mendaci».  La  stessa  norma  ha
aggiunto che, «fermo restando il recupero delle  somme  indebitamente
percepite, la condizione ostativa alla percezione degli incentivi  ha
durata di dieci anni dalla data dell'accertamento e si  applica  alla
persona fisica o giuridica che ha presentato la  richiesta»,  nonche'
ai  soggetti,  specificamente  indicati,  che  rivestono   ruoli   di
responsabilita' nell'ambito della societa'. 
    L'art. 43 dello stesso decreto, che rileva  in  questa  sede,  ha
stabilito, con norma applicabile al vecchio regime, che: «Fatte salve
le norme  penali,  qualora  sia  stato  accertato  che  i  lavori  di
installazione dell'impianto  fotovoltaico  non  sono  stati  conclusi
entro il 31 dicembre 2010, a seguito dell'esame  della  richiesta  di
incentivazione  ai  sensi  del  comma  1,  dell'art.   2-sexies   del
decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 3 (...), il GSE  rigetta  l'istanza
di incentivo e dispone contestualmente l'esclusione  dagli  incentivi
degli impianti che utilizzano  anche  in  altri  siti  le  componenti
dell'impianto non ammesso all'incentivazione». La medesima  norma  ha
previsto  che,  «con  lo  stesso  provvedimento,   il   GSE   dispone
l'esclusione dalla concessione di  incentivi  per  la  produzione  di
energia elettrica di sua competenza, per un  periodo  di  dieci  anni
dalla data dell'accertamento, della persona fisica o giuridica che ha
presentato  la  richiesta»,   nonche'   dei   soggetti   responsabili
specificamente indicati. Il secondo  comma  ha  disposto  che  «fatte
salve piu' gravi ipotesi di reato, il proprietario  dell'impianto  di
produzione e il soggetto  responsabile  dell'impianto  che  con  dolo
impiegano pannelli fotovoltaici le  cui  matricole  sono  alterate  o
contraffatte sono puniti con la reclusione da due a tre  anni  e  con
l'esclusione da qualsiasi incentivazione, sovvenzione o  agevolazione
pubblica per le fonti rinnovabili». 
    2) Chiarito cio', ai fini della risoluzione della controversia in
esame (alla risoluzione della quale il  Gestore  mantiene  interesse,
essendo stato respinto  all'odierna  camera  di  consiglio  l'appello
incidentale proposto dalla Cirio Agricola relativamente  all'impianto
"su  fienili",  relativo  ad   altro   appello   del   Gestore),   e'
pregiudiziale  sollevare  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 43, del decreto legislativo n. 28 del 2011. 
    3) Il giudizio di rilevanza impone di  interpretare  la  suddetta
disposizione anche al fine di valutare la  possibilita'  di  fornirne
una interpretazione di essa costituzionalmente orientata (da  ultimo,
Corte cost. n. 21 e n. 10 del 2013). 
    Il Tribunale amministrativo regionale, con la sentenza impugnata,
ha ritenuto che tale disposizione debba essere intesa nel  senso  che
la stessa contempli un fatto illecito che si perfeziona all'esito del
completamento  di  due  fasi  temporalmente   separate:   la   prima,
costituita dalla comunicazione di fine lavori, deve concludersi entro
il 31 dicembre 2010;  la  seconda  fase,  successiva  all'entrata  in
esercizio che deve avvenire entro il 30 giugno 2011, costituita dalla
richiesta di incentivi da  presentare  al  GSE  entro  il  successivo
termine di sessanta giorni. Si sarebbe, pertanto, in presenza  di  un
fatto illecito a formazione progressiva. 
    Questa  Sezione  ritiene,  invece,  che  il  fatto  illecito   si
perfeziona  in  un  unico  contesto  temporale  nel  momento  in  cui
l'impresa presenta la comunicazione  di  fine  lavori  (incompleta  o
falsa) unitamente alla richiesta di incentivi. 
    Tale esito interpretativo e' l'unico possibile  per  le  seguenti
ragioni. 
    In primo luogo, dall'esame complessivo della normativa  rilevante
e, in particolare, dalle linee guida predisposte dal GSE, risulta che
sussistono  due  richieste  di  incentivi:  la  prima  da  presentare
unitamente  alla  comunicazione  di  fine  lavori;  la   seconda   da
presentare successivamente all'entrata in esercizio dell'impianto. 
    L'art, 43, codificando tale prassi operativa, prevede che debbano
essere  presenti,  per  il  perfezionamento  del  fatto  illecito,  i
requisiti costituiti dalla  comunicazione  di  fine  lavori  e  dalla
richiesta di incentivi. Tale richiesta, genericamente  indicata,  e',
anche in ragione di quanto si dira' oltre,  quella  che  deve  essere
presentata, entro il 31 dicembre 2010, unitamente alla  comunicazione
fine lavori. Nelle fattispecie oggetto del presente giudizio  risulta
dagli  atti  che  la  societa'  Cirio  Agricola  ha  depositato   nel
procedimento, unitamente all'attestazione di fine  lavori,  anche  la
suddetta richiesta nel termine sopra indicato. 
    In secondo luogo, il significato assegnato alla  disposizione  e'
l'unico coerente con il potere di controllo dell'amministrazione.  Il
legislatore, infatti, ha previsto che  tale  potere  e'  esercitabile
alla scadenza del predetto  termine  del  31  dicembre  2010.  Se  il
perfezionamento del fatto illecito fosse ricollegabile alla richiesta
di  incentivi  successiva  all'entrata  in  esercizio   dell'impianto
sarebbe stato questo il momento che  avrebbe  consentito  l'esercizio
della funzione di verifica da parte del GSE. La stretta  correlazione
tra fatto illecito, potere di controllo e potere interdittivo induce,
pertanto,  a   ritenere   che   il   comportamento   che   giustifica
l'applicazione della misura in esame sia posto  in  essere  entro  il
suddetto termine del 31 dicembre 2010, Si tenga conto,  inoltre,  che
l'esito negativo dei controlli per l'impresa determina  di  fatto  un
arresto   del   procedimento   con   conseguente   normale    mancata
presentazione   della   seconda   richiesta.    Ne    consegue    che
l'interpretazione  seguita  dal  TAR  condurrebbe  di  fatto  ad  una
sostanziale inapplicabilita' della norma. 
    Infine, il sistema a regime, contemplato dal riportato  art.  23,
del  decreto  legislativo  n.  28  del  2011,  prevede,  quale  unico
presupposto per l'applicazione della suddetta misura, l'avere fornito
ai soggetti competenti dati o documenti non veritieri,  ovvero  avere
reso dichiarazioni false. Non sarebbe, pertanto, conforme  al  canone
della ragionevolezza diversificare  i  requisiti  a  seconda  che  il
rimedio trovi applicazione a fattispecie soggette  alla  pregressa  o
alla nuova  forma  di  regolazione.  L'interpretazione  fornita,  che
conduce, per le ragioni indicate nel successivo punto, a ritenere  la
norma contraria a  Costituzione,  non  e'  superabile  attraverso  la
ricerca  di  un  diverso  significato  conforme  a  Costituzione.  La
scissione temporale del comportamento sanzionato porta,  infatti,  ad
esiti anch'essi contrari a Costituzione. Se, infatti, si ritiene  che
il completamento della fattispecie illecita si realizza  nel  momento
della presentazione della seconda richiesta di  incentivi  successiva
all'entrata in esercizio dell'impianto si verrebbe a determinare  una
irragionevole discriminazione, consentita dalla norma, tra  operatori
economici a seconda che la funzione di controllo sia esercitata prima
o dopo la  scadenza  del  predetto  termine.  Solo  nel  primo  caso,
infatti, l'impresa sarebbe indotta a non presentare l'istanza proprio
allo scopo di non subire il divieto  decennale  di  percezione  degli
incentivi. 
    Alla  luce  di  quanto  sin   qui   esposto,   l'amministrazione,
contrariamente da quanto affermato dal TAR,  ha  fatto  una  corretta
applicazione alla fattispecie concreta di quanto stabilito  dall'art.
43, inibendo, sostanzialmente, per un periodo decennale,  l'attivita'
ai  soggetti  che  avevano  presentato   una   incompleta   o   falsa
comunicazione di fine lavori con contestuale richiesta di incentivi. 
    L'appello dovrebbe, pertanto, trovare  accoglimento  qualora  non
venga   dichiarata   costituzionalmente   illegittima   la   predetta
disposizione. 
    In definitiva, il Collegio ritiene che  non  sia  possibile  dare
alla norma in esame una interpretazione costituzionale e che  l'unica
interpretazione  possibile,  rendendo  tale  norma  applicabile  alle
fattispecie oggetto del presente giudizio, assegna rilevanza, ai fini
della risoluzione della  presente  controversia,  alla  questione  di
costituzionalita'. 
    4) Il giudizio di non manifesta infondatezza della  questione  di
legittimita' costituzionale risulta dal ritenuto contrasto  dell'art.
43 del decreto legislativo n. 28 del 2011 con  gli  articoli  3,  25,
secondo comma, 76 e 117, primo comma, della Costituzione. 
    5) In via preliminare, deve accertarsi se  il  rimedio  in  esame
possa essere inquadrato nell'ambito della categoria dei provvedimenti
sanzionatoti, individuandone natura, tipologia ed effetti. 
    Le   sanzioni,   irrogate    dalla    pubblica    amministrazione
nell'esercizio di funzioni amministrative, rappresentano la  reazione
dell'ordinamento alla violazione di un precetto. 
    La dottrina, valorizzando il  profilo  funzionale,  distingue  le
sanzioni in senso lato e le sanzioni in senso stretto: le prime hanno
una finalita' ripristinatoria, in forma specifica o per  equivalente,
dell'interesse pubblico  leso  dal  comportamento  antigiuridico;  le
seconde hanno una finalita' afflittiva, essendo indirizzate a  punire
il responsabile dell'illecito allo scopo di assicurare  obiettivi  di
prevenzione generale e speciale. 
    Le  principali  tipologie  di  sanzioni  in  senso  stretto  sono
pecuniarie, quando consistono nel pagamento di una somma  di  denaro,
ovvero interdittive, quando  impediscono  l'esercizio  di  diritti  o
facolta' da parte del soggetto inadempiente. 
    La disciplina generale delle sanzioni pecuniarie, modellata  alla
luce dei principi di matrice penalistica, e' contenuta nella legge 24
novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale). 
    La disciplina delle altre sanzioni  e'  contenuta  nelle  singole
discipline di settore, cui si applicano, ove compatibili, i  principi
generali sanciti dalla predetta legge. 
    Il decreto legislativo n. 28 del 2001 ha previsto  uno  specifico
sistema sanzionatorio nel settore delle fonti di energia rinnovabili. 
    L'art. 43 dello stesso decreto contempla una sanzione afflittiva,
non pecuniaria, di tipo interdittivo, con effetti retroattivi. 
    La natura afflittiva e' conseguenza del fatto  che  l'effetto  di
ripristinazione  dell'interesse  pubblico  leso  e'  assicurato   dal
divieto di concessione di incentivi in relazione a  quello  specifico
impianto cui si riferisce la comunicazione di  fine  lavori,  nonche'
agli  impianti  che  utilizzano   in   altri   siti   le   componenti
dell'impianto  non  ammesso  all'incentivazione.   L'estensione   del
divieto anche in relazione ad incentivi previsti da fonti regolatrici
diverse per una durata di dieci anni  non  puo'  che  perseguire  uno
scopo di punizione del soggetto che  ha  violato  il  precetto  (cfr.
Cons. Stato, sez. VI, 16 gennaio 2014, n. 148). 
    L'appartenenza  al  tipo   di   sanzioni   interdittive   risulta
chiaramente  dalla  descrizione  normativa  della   fattispecie:   il
rimedio, infatti, vietando la concessione di benefici  economici  per
un periodo di dieci anni, si risolve in  un  sostanziale  impedimento
allo svolgimento dell'attivita' di impresa. 
    La produzione  retroattiva  degli  effetti  e'  desumibile  dalla
circostanza che la sanzione  e'  applicabile  per  illeciti  commessi
prima della sua entrata in vigore, in quanto, come  sottolineato,  la
disciplina di legge vigente al momento della  avvenuta  comunicazione
di fine di lavori e  richiesta  di  incentivi  non  contemplava  tale
misura. Gli operatori economici del settore non  sapevano,  pertanto,
che   l'eventuale   accertata   incompletezza   o   falsita'    della
comunicazione di fine lavori avrebbe  determinato  l'applicazione  di
una sanzione consistente nel divieto di concessione di incentivi  per
un  cosi'  lungo  periodo  temporale.  La  norma,  pertanto,   incide
negativamente sulle prevedibilita'  delle  conseguenze  derivanti  da
azioni o omissioni di coloro che esercitano  liberamente  la  propria
iniziativa economica. 
    6) L'art. 76  Cost.  prevede  che  la  delega  al  Governo  della
funzione legislativa non puo' avvenire «se non con determinazione dei
principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato  e  per
oggetto definiti». 
    La giurisprudenza costituzionale e' costante nel ritenere che  il
sindacato di legittimita' costituzionale sulla delega legislativa  si
esplichi attraverso un confronto  tra  gli  esiti  di  due  processi,
ermeneutici  paralleli.  Il  primo  riguarda  le   disposizioni   che
determinano l'oggetto, i principi  e  i  criteri  direttivi  indicati
dalla legge di delegazione, tenuto conto del  contesto  normativo  in
cui si collocano e si individuano le ragioni e le finalita' relative.
Il  secondo  riguarda  le  disposizioni  stabilite  dal   legislatore
delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi
e i criteri direttivi della delega (da ultimo,  sentenza  n.  50  del
2014). 
    Nella fattispecie in esame la legge n. 96 del 2010 ha, agli artt.
2 e 3, delegato il Governo ad adottare disposizioni recanti  sanzioni
penali o amministrative per violazione di  obblighi  contenuti  nella
normativa europea da attuare. In  particolare,  l'art.  2,  comma  1,
lettera c), prevede,  quali  principi  e  criteri  direttivi  per  le
sanzioni  amministrative,  che  esse:  I)   devono   consistere   nel
«pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e  non  superiore  a
150.000  euro»;  II)  nell'ambito  di  detti  limiti  devono   essere
determinate  nella  loro  entita'  «tenendo   conto   della   diversa
potenzialita' lesiva dell'interesse protetto che ciascuna  infrazione
presenta in astratto, di specifiche qualita' personali del colpevole,
comprese quelle che  impongono  particolari  doveri  di  prevenzione,
controllo  o  vigilanza,  nonche'  del  vantaggio  patrimoniale   che
l'infrazione puo' recare al colpevole ovvero alla persona o  all'ente
nel cui interesse egli agisce». 
    L'art. 43, del decreto legislativo n. 23 del 2011, nella parte in
cui ha introdotto una sanzione interdittiva e non  pecuniaria  senza,
peraltro,  graduarne  l'applicazione  nel  rispetto  delle  modalita'
predeterminate dalla suddetta legge, ha disciplinato un oggetto privo
di copertura da parte  della  legge  di  delegazione  e  comunque  in
contrasto con i principi e criteri stabiliti dalla legge delega,  con
conseguente violazione dell'art. 76 Cost. 
    7) L'art. 25, secondo comma,  Cost.  dispone  che  «nessuno  puo'
essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in  vigore
prima del fatto commesso». 
    La Corte costituzionale ha piu'  volte  affermato,  su  un  piano
generale, che la legge puo' introdurre norme che modifichino in senso
sfavorevole  per  gli  interessati  la  disciplina   di   determinati
rapporti, anche quando l'oggetto di questi sia costituito da  diritti
soggettivi perfetti, purche' tali disposizioni non trasmodino  in  un
regolamento  irrazionale,  frustrando,  con  riguardo  a   situazioni
sostanziali fondate su leggi precedenti, l'affidamento dei  cittadini
nella «certezza  dell'ordinamento  giuridico»,  da  intendersi  quale
elemento fondamentale dello Stato di diritto»  (sentenze  n.  69  del
2014, n. 310 e n. 83 del 2013, n. 166 del 2012, n. 202 del  2010,  n.
206 del 2009). 
    Sul piano specifico delle sanzioni, la  Corte  costituzionale  ha
ritenuto che  l'art.  25,  secondo  comma,  Cost.  ponga  un  divieto
assoluto di retroattivita' nella materia penale (da  ultimo  sentenza
n. 5 del 2014). 
    La stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 196 del  2010,
ha innovativamente ritenuto che il citato art. 25, secondo comma,  in
ragione dell'ampiezza della sua formulazione, ricompre nel suo ambito
di applicazione anche le sanzioni amministrative, con la  conseguenza
che   «ogni   intervento   sanzionatorio,   il   quale   non    abbia
prevalentemente  la  funzione  di  prevenzione  criminale  (...)   e'
applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti gia'  vigente
al momento della commissione del fatto sanzionato» (si  vedano  anche
sentenze n. 447 del 1988 e n. 78 del  1967,  che  hanno  ritenuto  le
sanzioni  amministrative  soggette  al  rispetto  del  principio   di
tassativita'). 
    In questa prospettiva l'art. 1, della legge n.  689  del  1981  -
nella parte in cui dispone che «nessuno puo'  essere  assoggettato  a
sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia  entrata
in vigore prima della commissione  della  violazione»  -  costituisce
espressione di regole costituzionali. 
    In definitiva, per le sanzioni amministrative di tipo  afflittivo
opera il principio di legalita' nella connotazione che  esso  ha  nel
settore penale, con conseguente necessita' di rispettare  i  principi
di riserva di legge, tassativita' e irretroattivita'. 
    L'art. 43, del decreto legislativo n. 28 del 2011, prevedendo una
misure afflittiva finalizzata a  sanzionare  comportamenti  posti  in
essere prima della entrata in vigore del  decreto  stesso,  si  pone,
pertanto, in contrasto con l'rt. 25, secondo comma, Cost. 
    8) L'art. 117, primo comma, Cost.,  stabilisce  che  la  potesta'
legislativa deve essere esercitata dallo Stato e  dalle  Regioni  nel
rispetto «degli obblighi internazionali». 
    La giurisprudenza costituzionale ritiene  che  la  CEDU  contenga
norme  interposte,  oggetto  di  bilanciamento,   nel   giudizio   di
costituzionalita' al fine di assicurare la integrazione delle  tutele
(da ultimo, sentenza n. 264 del 2012). 
    L'art. 6 della CEDU  stabilisce  quali  sono  le  condizioni  che
devono essere rispettate perche' si abbia un «equo processo». 
    L'art. 7 della stessa CEDU prevede che «non puo' essere  inflitta
una pena piu' grave di quella che sarebbe stata applicata al tempo in
cui il reato e' stato consumato». 
    La Corte di Strasburgo ha elaborato propri e autonomi criteri  al
fine di stabilire la natura penale o meno  di  un  illecito  e  della
relativa sanzione. 
    In particolare, sono stati individuati tre criteri, costituiti: 
      I) dalla qualificazione  giuridica  dell'illecito  nel  diritto
nazionale, con la puntualizzazione che la stessa  non  e'  vincolante
quando si accerta la valenza "intrinsecamente penale" della misura; 
      II)  dalla  natura  dell'illecito,   desunta   dall'ambito   di
applicazione della norma che lo prevede e dallo scopo perseguito; 
      III) dal grado di severita' della sanzione  (sentenze  4  marzo
2014, r. n. 18640/10, resa nella causa  Grande  Stevens  e  altri  c.
Italia;  10  febbraio  2009,  ric.  n.  1439/03,  resa  nella   causa
Zolotoukhine c. Russia; si v. anche Corte  di  giustizia  UE,  grande
sezione, 5 giugno 2012, n. 489, nella causa C-489/10). 
    L'assegnazione alla "materia  penale"  di  un  significato  ampio
conduce a ritenere che anche il potere  amministrativo  sanzionatorio
deve  essere  esercitato  nel  rispetto,  non  solo  delle   garanzie
dell'equo processo, ma anche dai principi sanciti dal citato art. 7. 
    L'art. 43, del decreto legislativo n. 28 del 2011, nella parte in
cui introduce una sanzione afflittiva  con  effetti  retroattivi,  si
pone, pertanto, in contrasto non  soltanto  con  l'art.  25,  secondo
comma  Cost.,  ma  anche  con  la  suddetta  norma  convenzionale  e,
conseguentemente, con l'art. 117, primo Cost. 
    9) L'art. 3, della Cost., nell'applicazione che di esso ha  fatto
la giurisprudenza costituzionale, pone il vincolo  del  rispetto  del
principio di  ragionevolezza  nell'esercizio  della  discrezionalita'
legislativa. 
    Nello specifico settore delle sanzioni amministrative deve essere
osservato, nella fase applicativa, il principio di  proporzionalita',
il quale impone che la misura sia idonea, necessaria e  proporzionata
in senso stretto rispetto allo scopo perseguito. 
    Il rispetto di tale principio, nelle sue declinazioni, impone, in
concreto, l'attribuzione all'autorita' amministrativa  di  un  potere
discrezionale in grado di individualizzare  la  sanzione  modulandone
l'entita' alla luce della  tipologia  e  gravita'  della  violazione,
nonche' della intensita'  dell'elemento  soggettivo  (si  veda  Corte
cost. n. 299 del 1992, con  riferimento  all'entita'  delle  sanzioni
penali; si veda anche art. 11, della  legge  n.  689  del  1981,  con
riferimento all'esigenza di una  commisurazione  discrezionale  della
sanzione  amministrativa  pecuniaria),  elemento,  quest'ultimo,  che
assume particolare  rilevanza  laddove,  come  nella  fattispecie  in
esame, ad essere colpito e' il legale rappresentante  della  societa'
sanzionata. 
    La proiezione di  tale  principio  a  livello  costituzionale  ne
comporta  la  sua  collocazione  nell'ambito   della   regola   della
ragionevolezza. Non e', infatti, conforme a tale  regola  una  misura
sanzionatoria che, risolvendosi in una applicazione generalizzata non
aderente alla specificita'  delle  singole  condotte,  determina  una
ingiustificata discriminazione tra operatori economici. 
    L'art. 43, del decreto legislativo n. 28 del  2011,  contemplando
un sistema sanzionatoria rigido applicabile indistintamente  a  tutte
le fattispecie senza che l'autorita' amministrativa competente  possa
modulare l'irrogazione della sanzione a seconda della  valenza  degli
elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie  stessa,  si  pone,
pertanto, in contrasto con l'indicato parametro costituzionale. 
    10) L'art. 117, primo comma, Cost., stabilisce  che  la  potesta'
legislativa deve essere esercitata dallo Stato e  dalle  Regioni  nel
rispetto «dei vincoli  derivanti  dall'ordinamento  comunitario».  La
Corte di giustizia  dell'Unione  europea  ritiene  che  le  autorita'
preposte all'irrogazione delle  sanzioni,  in  materie  di  rilevanza
europea, quale quella in esame, debbano rispettare  il  principio  di
proporzionalita' (si veda Corte di giustizia UE, sez. I,  9  febbraio
2012, n. 210, in causa C-210/10; cfr. anche Corte cost.  n.  313  del
1990). 
    L'art.  43,  del  decreto  legislativo  n.  23  del   2011,   non
assicurando il rispetto del principio di proporzionalita',  si  pone,
pertanto, in contrasto anche con il  parametro  costituzionale  sopra
indicato. 
    11) Il giudizio di rilevanza  e  di  non  manifesta  infondatezza
della  questione  di  costituzionalita'  dell'art.  43,  del  decreto
legislativo n.  23  del  2011  impone  la  sospensione  del  presente
giudizio   in   attesa   della   definizione    del    giudizio    di
costituzionalita'. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Consiglio di Stato in sede  giurisdizionale  (Sezione  Sesta),
non definitivamente pronunciando: 
      a) Solleva questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
43 del decreto legislativo 3 marzo  2011,  n.  28  (Attuazione  della
direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da  fonti
rinnovabili,  recante  modifica  e   successiva   abrogazione   delle
direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), in riferimento agli  articoli  3,
25, 76 e 117, primo comma (in relazione, quest'ultimo, anche all'art.
7  della   Convenzione   europea   dei   diritti   dell'uomo)   della
Costituzione; 
    b) Sospende il giudizio e ordina la trasmissione degli atti  alla
Corte costituzionale; 
      c) Dispone che, a cura della segreteria, la presente  ordinanza
sia notificata alle parti in causa e al Presidente del  Consiglio  di
ministri  e  sia  comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
Parlamento. 
    Spese al definitivo. 
    Cosi' deciso in Roma nella  Camera  di  consiglio  del  giorno  8
aprile 2014 con l'intervento dei magistrati: 
      Luciano Barra Caracciolo, Presidente; 
    Gabriella De Michele, Consigliere; 
    Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere; 
      Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore; 
      Bernhard Lageder, Consigliere. 
 
                   Il Presidente: Barra Caracciolo 
 
 
                                                 L'estensore: Vigotti