N. 95 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 dicembre 2014
Ordinanza del 22 dicembre 2014 del Consiglio di Stato sul ricorso proposto da Societa' Mapia S.r.l. contro Comune di Acquaviva delle Fonti, Regione Puglia e Lega nazionale per la difesa del cane - Sezione di Turi.. Animali - Norme della Regione Puglia - Interventi per la tutela degli animali d'affezione e la prevenzione del randagismo - Previsione che le associazioni iscritte nell'apposito Albo regionale possono, mediante convenzioni, senza fini di lucro, con i Comuni: a) costruire e gestire rifugi per cani; b) svolgere compiti di assistenza volontaria ai canili sanitari e ai rifugi; c) promuovere iniziative di aggiornamento delle guardie zoofile; d) partecipare alle iniziative di cui agli artt. 5 e 6 - Previsione che il ricovero e la custodia dei cani sono assicurati dai Comuni mediante apposite strutture, la cui gestione e' esercitata in proprio o affidata in convenzione, previa formale concessione alle associazioni protezionistiche o animaliste iscritte all'Albo regionale depositato presso l'Assessorato alle politiche della salute - Violazione della sfera di competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza e, in via subordinata, della sfera di competenza legislativa concorrente in materia di tutela della salute. - Legge della Regione Puglia 3 aprile 1995, n. 12, art. 14, comma 2-bis, aggiunto dall'art. 45 della legge della Regione Puglia 25 febbraio 2010, n. 4. - Costituzione, art. 117, commi secondo, lett. e), e terzo.(GU n.21 del 27-5-2015 )
IL CONSIGLIO DI STATO In Sede Giurisdizionale (Sezione Quinta) Ha pronunciato la presente Ordinanza sul ricorso numero di registro generale 6970 del 2014, proposto dalla Societa' Mapia S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Mariangela Bux, con domicilio eletto presso il Consiglio di Stato - Segreteria in Roma, piazza Capo di Ferro 13; Contro Comune di Acquaviva delle Fonti; Regione Puglia, rappresentata e difesa dall'avv. Maria Giuseppa Scattaglia, con domicilio eletto presso la Delegazione della Regione in Roma, via Barberini 36; Nei confronti di Lega Nazionale per la Difesa del Cane - Sezione di Turi; Per la riforma della sentenza del T.A.R. Puglia - Bari, Sezione II, n. 811/2014, resa tra le parti, concernente l'affidamento della gestione del canile comunale. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Vista, in particolare, la sentenza non definitiva della Sezione 11 dicembre 2014, n. 6103; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 novembre 2014 il Cons. Nicola Gaviano e uditi per le parti gli avvocati Berardengo, per delega di Bux, e Scattaglia; La M.A.P.I.A. s.r.l. proponeva ricorso al T.A.R. per la Puglia impugnando il bando, pubblicato il 3 aprile 2013, della gara indetta dal comune di Acquaviva delle Fonti per l'affidamento del servizio di gestione del canile comunale (canile rifugio e sanitario), del quale la societa' era gestore uscente, nella parte in cui tale atto restringeva la partecipazione alla procedura selettiva alle sole associazioni protezionistiche o animaliste iscritte all'Albo regionale. E poiche' la gara si era conclusa, subito dopo, con l'affidamento del servizio all'associazione animalista "Lega Nazionale per la Difesa del Cane - Sezione di Turi BA", anche tale aggiudicazione veniva investita dall'impugnativa. Dal momento che la clausola di bando in contestazione era sostanzialmente riproduttiva dell'art. 14, della L.R. n. 12/1995, come modificato dalla L.R. n. 4/2010, la ricorrente denunziava anche l'incostituzionalita' del comma 2 bis di tale articolo con riferimento agli artt. 3, 41, 97 e 117 della Carta. La Regione Puglia si costituiva in giudizio deducendo l'infondatezza del gravame e chiedendone il rigetto. All'esito il Tribunale adito, con la sentenza n. 811/2014 in epigrafe, respingeva il ricorso. La societa' soccombente insorgeva indi avverso tale decisione proponendo appello a questa Sezione, con il quale riproponeva le proprie domande, doglianze e prospettazioni, contestando gli argomenti sulla base dei quali il primo Giudice le aveva disattese. La Regione Puglia resisteva anche in questo grado di giudizio all'impugnativa avversaria, deducendo l'infondatezza dell'appello e concludendo per la sua reiezione. Alla pubblica udienza del 4 novembre 2014 la causa e' stata trattenuta in decisione. 1. La Sezione, che con separata sentenza non definitiva 11 dicembre 2014 n. 6103 ha respinto tutti i motivi d'appello diversi da quello oggetto, in questa sede, di residuo scrutinio, ritiene di sollevare con la presente ordinanza, anche alla luce della corrispondente eccezione della parte ricorrente, la questione di' legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 2 bis, l. reg. Puglia 3 aprile 1995 n. 12 - Interventi per la tutela degli animali d'affezione e prevenzione del randagismo - come introdotto dall'art. 45, l. reg. Puglia 25 febbraio 2010 n. 4, comma in base al quale: "Il ricovero e la custodia dei cani sono assicurati dai comuni mediante apposite strutture; la gestione e' esercitata in proprio o affidata in concessione, previa formale convenzione, alle associazioni protezionistiche o animaliste iscritte all'Albo regionale depositato presso l'Assessorato alle politiche della salute". Tale norma e' stata espressamente riprodotta nella clausola di bando oggetto del giudizio principale, e, come tale, e' stata contestata in ragione del rapporto conflittuale in cui si pone rispetto alla regola di legge statale recata dall'art. 4, comma 1, l. 14 agosto 1991 n. 281 - Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo, comma che e' stato dapprima sostituito dal comma 829 dell'art. 1, l. 27 dicembre 2006 n. 296 e, in seguito, modificato dai commi 370 e 371 dell'art. 2, l. 24 dicembre 2007, n. 244. La pertinente norma statale dispone quanto segue: "I comuni, singoli o associati, e le comunita' montane provvedono prioritariamente ad attuare piani di controllo delle nascite attraverso la sterilizzazione. A tali piani e' destinata una quota non inferiore al 60 per cento delle risorse di cui all'art. 3, comma 6. I comuni provvedono, altresi', al risanamento dei canili comunali esistenti e costruiscono rifugi per i cani, nel rispetto dei criteri stabiliti con legge regionale e avvalendosi delle ricorse di cui all'art. 3, comma 6. I comuni, singoli o associati, e le comunita' montane provvedono a gestire i canili e gattili sanitari direttamente o tramite convenzioni con le associazioni animaliste e zoofile o con soggetti privati che garantiscano la presenza nella struttura di volontari delle associazioni animaliste e zoofile preposti alla gestione delle adozioni e degli affidamenti dei cani e dei gatti". Quest'ultima disposizione, dettata in tema di accesso dei "Privati" alle convenzioni per la gestione dei canili, e' suscettibile di essere riguardata quale regola posta a tutela della concorrenza, o se non altro, ma in ultima analisi, quale principio fondamentale inerente alla materia oggetto della fonte legislativa regionale. Con tale previsione il legislatore statale ha espresso con sufficiente chiarezza l'intenzione di non operare alcuna riserva in favore delle predette associazioni, ammettendo a concorrere ai fini dei relativi affidamenti, a tutela appunto della concorrenza, anche ogni altro soggetto privato (pur con il temperamento costituito dalla inserzione nelle loro strutture di volontari delle associazioni stesse per la gestione di specifiche aree di attivita'). Viceversa, l'art. 14, comma 2 bis, l. reg. Puglia n. 12 del 1995 - introdotto dalla l. reg. n. 4 del 2010 posteriormente alla novella legislativa statale del 2007 - denota l'intenzione del legislatore regionale di riservare alle associazioni iscritte a tale Albo la gestione sia dei canili sanitari che dei canili rifugio (dei quali si occupano, rispettivamente, gli artt. 8 e 9 della stessa l. reg. n. 12 del 1995), che i Comuni non intendano esercitare in proprio. 2. La Sezione, anticipati cosi' i termini del conflitto che forma il nucleo della questione di costituzionalita' che si intende sollevare, ritiene utile, per offrire un adeguato inquadramento della vicenda contenziosa, ma anche per far meglio constare la rilevanza della questione stessa, riportare di seguito le considerazioni poste a motivazione della sentenza non definitiva che si e' contestualmente deliberata. "...La clausola di bando formante oggetto d'impugnazione non costituisce se non la lineare e pressoche' automatica applicazione di una specifica norma legislativa regionale, la quale fornisce alla clausola invisa alla ricorrente una piena copertura. Di conseguenza le molteplici argomentazioni svolte, con i primi motivi di ricorso, per evidenziare dei supposti elementi di conflitto della clausola sub judice con altri dati normativi (in particolare, con la legge n. 266/1991, nonche' con l'art. 2, comma 371, della legge n. 244/2007) non potrebbero in alcun modo tradursi recta via nell'illegittimita' della clausola impugnata, bensi' potrebbero condurre, al piu', a far dubitare dell'incoerenza con il sistema ordinamentale della norma regionale di cui la clausola rimane, comunque, fedele espressione. Cio' posto, poiche' la ricorrente dedica un'apposita sezione della propria impugnativa alla prospettazione di dubbi di legittimita' costituzionale a carico della norma regionale in discussione (pag. 25 e segg. dell'appello), e' in occasione della disamina di tale sezione che si avra' riguardo al relativo aspetto della controversia (infra, nel paragr. 3). Quanto ai richiami che parte ricorrente fa ai momenti di conflitto che esisterebbero con la legge n. 266/1991 (la legge-quadro sul volontariato) va qui ad ogni modo osservato, da un lato, che la disciplina di settore sugli animali di affezione e la prevenzione del randagismo, che mette capo alla legge statale n. 281 /1921, integra una disciplina spedale rispetto a quella dettata dalla legge-quadro sul volontariato (come del resto si ipotizza anche alla pag. 12 del corrente appello); dall'altro, e comunque, che il capitolato a base della gara, nello stabilire, all'art. 3, che all'affidataria del servizio sarebbe andata, quale "corrispettivo", una diaria per il sostentamento di € 0,75 pro-cane (importo da ribassare della percentuale offerta in sede di gara), puntualizza eloquentemente quanto segue: "Si precisa che tale corrispettivo e' stato calcolato in considerazione del fatto che l'attivita' di gestione in questione deve essere svolta ... da associazioni protezionistiche a carattere volontario e con esclusione di fini di lucro, e, pertanto, il corrispettivo in questione e' da considerarsi a titolo di rimborso spese di gestione": con il che si delinea, pertanto, un assetto del tutto coerente con quello disciplinato in termini generali dalla legge n. 266/1991, che nel suo art. 7 prevede espressamente che le convenzioni con le organizzazioni di volontariato debbano stabilire le modalita' di rimborso delle spese incontrate da queste ultime. 2. Le valutazioni espresse dall'impugnata sentenza meritano di essere sostanzialmente condivise anche per la parte in cui il Tribunale ha disatteso i richiami a parametri di diritto comunitario operati dall'originario ricorso. 2a. Il Giudice locale ha in proposito osservato: "Quanto al motivo sub 4, con cui parte ricorrente cerca di far valere l'anticomunitarieta' della richiamata disposizione regionale, asseritamente incidente in senso restrittivo sulla concorrenza, non puo' condurre all'invocato risultato di ottenerne la disapplicazione. La societa' ricorrente non individua, invero, precise disposizioni di rango comunitario, suscettibili di immediata e diretta applicazione, con le quali la norma regionale in parola si porrebbe un irrimediabile contrasto, ma si limita ad invocare generici principi desumibili dal trattato e dalla direttiva 2004/18/CE (concorrenza, liberta' di stabilimento e libera prestazione dei servizi)". 2b. Con il presente appello questa motivazione e' stata contestata. 2c. L'itinerario argomentativo seguito dalla ricorrente si e' pero' confermato anche in questa sede basato su enunciazioni del tutto astratte dei suddetti principi, invocati in forma del tutto generica e, per cosi' dire, in blocco ("i principi di derivazione comunitaria di concorrenza, liberta' di stabilimento, e libera prestazione dei servizi ..., nonche' delle regole della concorrenza nel mercato comune di cui al Trattato di Lisbona"). E, soprattutto, senza che la parte si sia fatta carico di contestualizzate siffatto suo richiamo, spiegando per quali ragioni, nella concretezza della vicenda in esame, i detti principi dovessero ritenersi violati, tenuta nel debito conto la particolarita' della materia (attinente incontestatamente ad un servizio pubblico locale) e quella della specifica procedura seguita (connotata dalla previsione che il "corrispettivo" riconoscibile al gestore avrebbe integrato solo un mero "rimborso spese di gestione"), oltre che le caratteristiche del particolare settore in rilievo. Ne discende che anche questo aspetto dell'appello deve essere disatteso. 3. Restano da esaminare le perplessita' che la ricorrente ha riproposto in termini di sospetta illegittimita' costituzionale della norma regionale della cui applicazione si tratta. 3a. Il TAR ha ritenuto che nessuna delle questioni prospettate superasse il vaglio della non manifesta infondatezza. Questa la motivazione del primo Giudice. "La questione di costituzionalita', invece, della cui centralita' - per quanto detto - non puo' dubitarsi, non supera il vaglio della non manifesta infondatezza. In primo luogo non puo' condividersi la censura di irragionevolezza della norma in esame, posto che una riserva di gestione dei canili agli enti che si occupano in via esclusiva di animali appare una scelta coerente e tutt'altro che illogica da parte del legislatore regionale, certamente sollecitato dalla comprensibile preoccupazione di affidare il servizio a soggetti che diano particolari garanzie di affidabilita'. Tanto meno si ravvisano gli estremi della violazione del principio di uguaglianza sub specie di disparita' di trattamento, che presupporrebbe un'identita' di situazioni trattate in modo diseguale. Ma, nel caso di specie, i soggetti esclusi dalla gestione hanno natura diversa. Ne' appare violato l'art. 41 della costituzione. L'affermazione della liberta' di iniziativa economica privata non esclude - ai sensi della stessa norma costituzionale - limitazioni per mano del legislatore, purche' non irragionevoli. Infine, neanche si ravvisano gli estremi della violazione dell'art. 117 Cost. Sostiene la societa' ricorrente che l'art. 14 in esame si porrebbe in contrasto con i principi dettati dalla normativa di rango statale in un ambito riservato alla competenza legislativa concorrente; ovvero dall'art. 4, della legge 14 agosto 1991, n. 281, il quale estende il novero dei soggetti cui puo' essere affidata la gestione dei canili e dei gattili - come gia' su evidenziato - ai "...soggetti privati che garantiscano la presenza nella struttura di volontari delle associazioni animaliste e zoofile preposti alla gestione delle adozioni e degli affidamenti dei cani e dei gatti". In realta' la norma statale contempla l'affidamento ai soggetti privati come mera eventualita' e non gia' in termini di tassativita'; cio' che esclude la vincolativita' della relativa previsione per il legislatore regionale. 3b. I sospetti di incostituzionalita' cosi' disattesi sono stati qui riproposti. 3c. La Sezione ritiene di poter condividere la valutazione di manifesta infondatezza espressa dal primo Giudice rispetto ai primi tre parametri costituzionali evocati dalla ricorrente (i principi di ragionevolezza e uguaglianza, nonche' quelli degli artt. 41 e 97 Cost.). 3c1. Sotto il primo profilo, in particolare, quello della ragionevolezza, il T.A.R. ha espresso la considerazione che «una riserva di gestione dei canili agli enti che si occupano in via esclusiva di animali appare una scelta coerente e tutt'altro che illogica da parte del legislatore regionale, certamente sollecitato dalla comprensibile preoccupazione di affidare il servizio a soggetti che diano particolari garanzie di affidabilita'». E tale considerazione si presenta tanto piu' giustificata alla luce delle specifiche regole poste dal capitolato d'oneri. L'art. 1 del capitolato, infatti, stabilisce: che "i cani presenti nel canile non potranno essere fatti oggetto di sperimentazione, ne' di commercio, ne' potranno essere soppressi" (cfr. l'art. 2, commi 2 e 3, della legge n. 281/1991); che "all'intento della struttura non potranno trovare ricovero cani di proprieta' di privati, sia per brevi periodi che per la restante parte della loro vita". Cio' posto, non sembra ragionevole dubitare del fatto che un'associazione protezionistica o animalista iscritta all'Albo regionale delle associazioni per la protezione degli animali fornirebbe, per sua propria natura, maggiori garanzie circa il rispetto delle regole anzidette e, piu' in generale, circa l'adeguatezza ed effettivita' delle proprie prestazioni di custodia, alimentazione, pulizia e complessivo mantenimento degli animali di cui si tratta, rispetto ad un soggetto non iscritto e, per contro, statutariamente mosso da un fine lucrativo. La stessa appellante, d'altra parte, riconosce che "il fine ultimo della normativa in commento e' garantire il benessere degli animali ricoverati nelle strutture dianzi indicate" (appello, pag. 30). Donde l'immunita' da vizi della valutazione del Tribunale. 3c2. Quanto alla disparita' di trattamento pure denunziata, il primo Giudice ragionevolmente ha osservato che questa "presuporebbe un'identita' di situazioni trattate in modo diseguale", laddove i soggetti esclusi dalla gestione hanno natura del tutto diversa da quella di coloro ai quali la partecipazione alla procedura e' stata, invece, riservata. Natura che si conferma irriducibilmente diversa anche quando gli uni e gli altri possano, potenzialmente, venire in rilievo quali portatori di requisiti simili. 3c3. Rispetto al riferimento qui reiterato al canone dell'art. 41 della Costituzione, oltre a quanto appena osservato in punto di ragionevolezza della scelta legislativa, deve aggiungersi che il relativo richiamo al precetto costituzionale risulta del tutto astratto, non tenendo conto della specificita' dell'oggetto della controversia gia' emersa nel parag. 2c in relazione alla particolarita' della materia (servizio pubblico locale), a quella della procedura del cui svolgimento si tratta (incentrata sulla previsione del riconoscimento di un mero "rimborso spese di gestione") e alle esigenze collettive inerenti al settore in rilievo. 3c4. Nessuna argomentazione affettiva suscettibile di dar corpo ad una compiuta censura a carico della norma regionale giustifica, infine, il richiamo operato dalla ricorrente all'art. 97 della Costituzione. 3d. La Sezione reputa di doversi discostare, invece, dalla decisione di prime cure rispetto alla valutazione di manifesta infondatezza espressa dal T.A.R. sulla conclusiva eccezione di incostituzionalita' che ha investito la norma regionale piu' volte citata per contrasto, stavolta, con l'art. 117 della Carta. Sotto questo profilo verra' pertanto sollevata, con separata ordinanza, una questione di legittimita' costituzionale. (fin qui la sentenza non definitiva n. 6103 del 2014 di questa Sezione). 3. La rilevanza della questione che con il presente provvedimento si solleva riposa sulla circostanza che, ove la norma regionale in disamina dovesse essere giudicata coerente con la norma statale dianzi indicata, e pertanto conforme a Costituzione, la legittimita' del bando di gara impugnato non potrebbe che essere confermata. Laddove e' solo nell'ipotesi di un esito opposto del giudizio di costituzionalita' che la ricorrente potrebbe ottenere, di converso, con l'annullamento della clausola di bando preclusiva della sua partecipazione alla gara, almeno l'accesso alle conseguenti misure ripristinatorie e/o riparatorie del pregiudizio nel frattempo patito. 4. Inquadrando piu' da vicino, a questo punto, i termini del conflitto tra le norme di cui si tratta (i cui contenuti sono stati anticipati nel paragr. 1), e' possibile osservare quanto segue. 4a. La disciplina attinente agli animali di affezione e alla prevenzione del randagismo, cui hanno riguardo sia la legge regionale n. 12/1995 che la legge statale n. 281/1991, si presenta inquadrabile, per le sue implicazioni sanitarie e - piu' marginalmente - ambientali, sia nella materia della tutela della salute che in quella dell'ambiente: in questo senso milita la previsione dell'art. 1, l. n. 281 del 1991, che affida allo Stato la promozione e la disciplina di settore "...al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l'ambiente". La disciplina in questione si inscrive pertanto sotto il primo profilo (tutela della salute), che sembra prevalente, nell'ambito proprio della legislazione concorrente; sotto il secondo (tutela dell'ambiente) nell'ambito di quella esclusiva. 4b. L'art. 117, comma 3, della Costituzione stabilisce, come noto, che nelle materie che rientrano nella legislazione concorrente la potesta' legislativa regionale deve esercitarsi nel rispetto dei principi fondamentali posti dalla legislazione dello Stato. Tanto premesso, non si presenta manifestamente infondato l'assunto di parte che il legislatore regionale, con riferimento alle modalita' di gestione dei canili, debba uniformarsi alla previsione normativa statale introdotta con l'art. 2, comma 371, della legge n. 244/2007, a guisa di principio fondamentale della relativa materia. 4c. Deve pero' evidenziarsi, ancor prima, che quest'ultima norma, che e' specificamente intesa ad estendere il novero dei soggetti cui puo' essere affidata la gestione dei canili e gattili, al di la' delle associazioni, anche ai comuni "soggetti privati", prima di poter essere astrattamente riguardata quale una possibile norma fondamentale del settore si presenta obiettivamente come norma riconducibile, di per se stessa, alla tutela della concorrenza, e pertanto si configura come espressione di una potesta' legislativa addirittura esclusiva. Sicche' la questione di legittimita' costituzionale a carico della norma regionale va sollevata innanzitutto, e d'ufficio, per violazione dell'art. 117, comma 2, lett. e) Cost., e solo in via subordinata, per l'eventualita', cioe', che la norma statale non dovesse essere qualificata come norma di tutela della concorrenza, per violazione dell'art. 117, comma 3 (qui conformemente all'eccezione di parte ricorrente), in quanto in tale subordinata ipotesi la medesima norma statale verrebbe in rilievo come norma fondamentale in materia inerente alla tutela della salute, nell'ambito della legislazione concorrente. 5. Quanto al senso da attribuire alla norma statale di cui si tratta, la Sezione non ritiene di poter condividere l'avviso del primo Giudice che la medesima contemplerebbe "l'affidamento ai soggetti privati come mera eventualita' e non gia' in termini di tassativita'; cio' che esclude la vincolativita' della relativa previsione per il legislatore regionale". Come ha dedotto la societa' ricorrente, infatti, la norma esprime la volonta' del legislatore statale di garantire al settore in discussione una struttura concorrenziale, escludendone la riserva a favore delle associazioni piu' volte menzionate. La norma stessa, stante la sua ratio, contempla quindi l'affidamento ad un soggetto privato non associativo non come una remota "eventualita'", bensi' come una possibilita' alternativa che deve essere effettivamente preservata e fatta salva. Da qui l'ineludibilita' del rapporto conflittuale tra le norme in discussione. 6. Tale rapporto conflittuale va pero' a questo punto meglio precisato, prendendo in esame degli ulteriori dati normativi offerti dalle rispettive fonti. 6a. Con riferimento alla legge statale n. 281/1991, e' opportuno notare che il suo art. 2, comma 11, che risulta tuttora vigente, recita: "Gli enti e le associazioni protezioniste possono gestite le strutture di cui al comma 1 dell'articolo 4, sotto il controllo sanitario dei servizi veterinari dell'unita' sanitaria locale". Tale norma si riferisce sia ai canili che ai rifugi, come si evince dal richiamo fatto alle strutture di cui all'art. 4. Essa, peraltro, sembra esaurire la propria portata nell'enunciazione della necessita' tecnica, del tutto neutra ai fini della presente ordinanza, che il gestore delle strutture in discorso agisca sotto il controllo dei servizi veterinari pubblici. A seguito della riformulazione dell'art. 4 della stessa legge operata con la legge n. 244/2007, l'art. 2, comma 11 sembra, allora, dover essere senz'altro coordinato con il nuovo precetto, e quindi inteso nel senso che, allorche' la gestione in discorso venga affidata in concreto ad un "privato", secondo la possibilita' che il legislatore statale ha voluto introdurre, in tal caso anche questi dovra' operare "sotto il controllo sanitario dei servizi veterinari dell'unita' sanitaria locale". Sicche' nell'economia della questione di costituzionalita' che si sta delineando il suddetto comma 11 non sembra rivestire alcun ruolo di rilievo. 6b. Venendo al versante della normativa regionale della materia, occorre invece porre in risalto il fatto che l'art. 9, comma 4, della l. reg. n. 12/1995 riservava gia' ab origine la gestione dei rifugi per cani ai soggetti (enti e associazioni) iscritti all'Albo regionale di cui all'art. 13 della stessa fonte regionale, in coerenza con le previsioni dell'art. 14, comma 1, della stessa legge. Di conseguenza, l'introduzione nell'art. 14, della l. reg. n. 12/1995 del nuovo comma 2 bis ha portato - data l'ampiezza della novella formulazione normativa, riferita a tutte le strutture di "ricovero" e "custodia" dei cani - ad estendere il regime di riserva alle associazioni iscritte a tale Albo, anteriormente gia' vigente per i soli rifugi, anche ai canili sanitari. La portata innovativa della norma regionale oggetto di scrutinio deve dunque intendersi cosi' limitata. E, di riflesso, va analogamente circoscritto il rapporto conflittuale configurabile tra i due precetti, regionale e statale, oggetto di raffronto: anche l'art. 2, comma 371, della legge n. 244/2007, del resto, riguarda testualmente i soli "canili e gattili sanitari". La problematica di cui si tratta, pur cosi' circoscritta, conserva pero' rilevanza ai fini di causa, poiche' la legittimita' del bando impugnato continua nondimeno a dipenderne, nei termini che sono stati esposti nel paragr. 3. 7. La Sezione deve a questo punto mettere meglio a fuoco la non manifesta infondatezza della questione che si sta sollevando. 7a. La norma statale piu' volte citata si presenta funzionale alla tutela della concorrenza, e come tale espressiva della competenza statale esclusiva sancita dal comma 2, lett. e), dell'art. 117 della Costituzione. Sul tema giova invero seguire l'approccio sistematico recentemente offerto dalla pronuncia della Corte costituzionale 15 marzo 2013, n. 38. "Questa Corte, chiamata ad esaminare varie questioni di legittimita' costituzionale..., sollevate da diverse Regioni (alcune delle quali a statuto speciale), con la recente sentenza n. 299 del 2012 le ha dichiarate inammissibili o non fondate, ponendo in luce, tra l'altro (e per quanto qui rileva) che: 1) per costante giurisprudenza costituzionale la nozione di concorrenza - di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. «riflette quella operante in ambito comunitario e comprende: a) sia gli interventi regolatori che a titolo principale incidono sulla concorrenza, quali le misure legislative di tutela in senso proprio, che contrastano gli atti ed i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull'assetto concorrenziale dei mercati e che ne disciplinano le modalita' di controllo, eventualmente anche di sanzione; b) sia le misure legislative di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidare l'apertura, eliminando barriere all'entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacita' imprenditoriale e della competizione tra imprese, rimuovendo cioe', in generale, i vincoli alle modalita' di esercizio delle attivita' economiche (ex multis: sentenze n. 270 e n. 45 del 2010, n. 160 del 2009, n. 430 e n. 401 del 2007)»; 2) la materia «tutela della concorrenza», dato il suo carattere finalistico, non e' una materia di estensione certa o delimitata, ma e' configurabile come trasversale, «corrispondente ai mercati di riferimento delle attivita' economiche incise dall'intervento e in grado di influire anche su materie attribuite alla competenza legislativa, concorrente o residuale, delle regioni (sentenze n. 80 del 2006, n. 175 del 2005, n. 272 e n. 14 del 2004)». Orbene, la norma statale in rilievo sembra suscettibile di essere specificamente considerata in termini di misura legislativa di promozione della concorrenza, mirando essa ad aprite un mercato o a consolidarne l'apertura. 7b. Cio' posto, poiche' la norma regionale in contestazione incide sull'assetto concorrenziale degli operatori del settore in modo difforme da quanto previsto dalla normativa statale, essa sembra finire con l'invadere la potesta' legislativa esclusiva dello Stato nella materia della "tutela della concorrenza", in quanto viene sostanzialmente ad operare in termini anti-concorrenziali (cfr. Corte costituzionale, 19 dicembre 2012, n. 291). D'altra parte, la giurisprudenza costituzionale ha ribadito anche di recente "che «e' alla competenza esclusiva dello Stato che spetta tale regolamentazione, ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.», essendo inibiti alle Regioni interventi normativi diretti ad incidere sulla disciplina dettata dallo Stato, finanche in modo meramente riproduttiva della stessa (sentenza n. 245 del 2013, che richiama le sentenze n. 18 del 2013, n. 271 del 2009, n. 153 e n. 29 del 2006)" (Corte cost., 14 marzo 2014, n. 49). Cosi' come e' stato confermato che "... la tutela della concorrenza, attesa la sua natura trasversale, assume carattere prevalente e funge, quindi, da limite alla disciplina che le Regioni possono dettare in forza della competenza in materia di commercio (sentenze n. 38 del 2013 e n. 299 del 2012) o in altre materie" (Corte cost. 1° giugno 2014, n. 165). Ne' guasta infine soggiungere, per completezza, per un verso, che la giurisprudenza comunitaria ha riconosciuto che l'assenza del fine di lucro non esclude l'esercizio dell'attivita' economica (cfr. Corte giust. CE, 19 maggio 2009, C-538; Sez. III, 29 novembre 2007 C-119/06); per altro verso, che l'Autorita' garante della concorrenza, con due segnalazioni al Parlamento relative proprio a leggi regionali (cfr. 13 novembre 2008 AS487 e 19 marzo 2009 AS509), ha osservato che gli enti no profit, sebbene ispirati a principi solidaristici, sono imprese ai sensi del diritto antitrust, sicche' non sono consentiti affidamenti diretti in loro favore, ma affidamenti con gare in concorrenza con altri operatori. 7c. Appare dunque non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale che si solleva d'ufficio a carico dell'art. 14, comma 2 bis, della l. reg. n. 12/1995 (come modificata dall'art. 45, della l. reg. n. 4/2010) per violazione dell'art. 117, comma 2, lett. e), della Costituzione. 7d. Solo in via subordinata, per l'eventualita' che la norma statale di riferimento non dovesse essere qualificata come norma di tutela della concorrenza, si deve dubitare della legittimita' costituzionale della norma regionale che e' in conflitto con la prima per violazione del comma 3 dello stesso art. 117 (conformemente all'eccezione di parte ricorrente): prospettiva gradata entro la quale la norma statale verrebbe in rilievo (se non altro) come norma fondamentale in materia inerente alla tutela della salute, nell'ambito della legislazione concorrente. Sempre sotto un'angolazione subordinata, infine, puo' sottolinearsi che la norma regionale in contestazione appare distonica anche in relazione ai limiti (delineati dalla giurisprudenza costituzionale: dr, fra le tante Corte cost. 26 marzo 2010, n. 120; 14 gennaio 2010, n. 1) agli interventi consentiti alle regioni nell'ambito di competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente. Lo scopo della norma regionale, per vero, per tutte le ragioni sopra illustrate non appare quello di incrementare (nell'esercizio delle competenze concorrenti in materia di salute, governo del territorio e valorizzazione dei beni ambientali) livelli di tutela dell'ambiente piu' elevati di quelli stabiliti dallo Stato. La rimessione degli atti alla Corte costituzionale comporta la sospensione del processo in corso.
P. Q. M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), visti l'art. 134 della Costituzione, l'art. 1, l. Cost. 9 febbraio 1948, n. 1, l'art. 23, l. 11 marzo 1953, n. 87 e l'art. 1, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale 7 ottobre 2008: a) Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione, che rimette alla Corte costituzionale, della legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 2 bis, della l. reg. n. 12/1995, come modificata dall'art. 45, della l. reg. n. 4/2010, nei sensi indicati in motivazione; b) Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il presente giudizio; c) Ordina che a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza: sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' al Presidente della Giunta regionale della Puglia; sia comunicata al Presidente del Consiglio regionale della Puglia; d) Manda alla Segreteria per la trasmissione alla Corte costituzionale degli atti di causa presenti nel fascicolo d'ufficio, in copia conforme, inclusa la sentenza non definitiva di questa Sezione n. 6103 dell'11 dicembre 2014. Cosi' deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 4 novembre 2014 con l'intervento dei magistrati: Vito Poli, Presidente FF; Francesco Caringella, Consigliere; Antonio Amicuzzi, Consigliere; Doris Durante, Consigliere; Nicola Gaviano, Consigliere, Estensore. Il presidente: Poli L'estensore: Gaviano