N. 103 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 gennaio 2015

Ordinanza  del  19  gennaio  2015  della  Corte  dei  conti  -   Sez.
giurisdizionale per la Regione  siciliana  sul  ricorso  proposto  da
Bertolami Anna contro INPS. 
 
Procedimento amministrativo - Nuove norme in materia di  procedimento
  amministrativo e di diritto di accesso ai documenti  amministrativi
  -  Annullabilita'  del  provvedimento  -  Previsione  che  non   e'
  annullabile il provvedimento emesso  in  violazione  di  norme  sul
  procedimento   (nella   specie,   inosservanza   dell'obbligo    di
  motivazione) o sulla forma  degli  atti,  qualora,  per  la  natura
  vincolata del  provvedimento,  sia  palese  che  il  suo  contenuto
  dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto
  adottato  -   Violazione   del   principio   di   uguaglianza   per
  l'ingiustificata deroga al principio  dell'obbligo  di  motivazione
  dei provvedimenti amministrativi  anche  a  contenuto  vincolato  -
  Lesione  di  obblighi  internazionali  derivanti  dalla   normativa
  comunitaria. 
- Legge 7 agosto  1990,  n.  241,  art.  21-octies,  comma  2,  primo
  periodo. 
- Costituzione, artt. 3 e 117, primo comma. 
(GU n.23 del 10-6-2015 )
 
                         LA CORTE DEI CONTI 
          Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana 
 
    Il  Giudice  Unico  delle  Pensioni  dott.  Giuseppe  Grasso   ha
pronunciato la seguente ordinanza n. 7/2015 sul ricorso in materia di
pensioni civili, iscritto al n.  23726  ex  9899C,  del  registro  di
segreteria proposto da Bertolami Anna, elettivamente  domiciliata  in
Palermo, in Via S. Lorenzo  n.  7,  presso  lo  studio  dell'avvocato
Giuseppe Russo, che  la  rappresenta  e  difende  nei  confronti  del
Ministero del Tesoro, direzione provinciale  di  Palermo,  oggi  INPS
gestione INPDAP. 
    Visto l'atto  introduttivo  del  giudizio  depositato  presso  la
segreteria della Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana  il
14/10/1997. 
    Uditi nella pubblica udienza del 10 novembre 2014 l'avv. Antonino
Rizzo per l'INPS. 
    Esaminati gli atti e documenti del fascicolo processuale. 
 
                  Fatto e svolgimento del processo 
 
    La signora Bertolami Anna ha presentato ricorso a questa  sezione
giurisdizionale con  il  quale  ha  contestato  la  legittimita'  del
provvedimento  n.  209660  del  27/6/1997  della   allora   Direzione
provinciale del Tesoro, oggi INPS gestione INPDAP, con  il  quale  si
disponeva il recupero per indebito di £ 9.979.582  «per  applicazione
mod. 755 del 20.2.1996 conferisce una PAL al 30.6.95 di £ 8.434.000=,
al 1.12.95 di £ 8.660.400= contro una PAL al 30.6.95 di £ 13.533.700=
pagata». 
    A seguito  di  tale  provvedimento  con  la  citata  motivazione,
l'amministrazione provvedeva ad effettuare una trattenuta mensile  di
£ 143.063 sul trattamento pensionistico. 
    La signora Bertolami proponeva ricorso a questa  Corte,  che  con
ordinanza  cautelare  del  14/11/1997  sospendeva   l'efficacia   del
provvedimento di recupero. 
    Il motivo principale ed  essenziale  del  ricorso  e'  costituito
dalla richiesta di annullamento del provvedimento impugnato,  poiche'
privo di motivazione in violazione dell'art. 3 della legge  241/1990,
dalla lettura dello stesso non si  puo'  comprendere  la  ragione  di
fatto e di diritto per la quale il provvedimento  di  recupero  della
somma indebitamente erogata sia stato emanato. 
    Con   memoria   depositata   il    14/11/1997    si    costituiva
l'amministrazione del Tesoro, la quale non prendeva  posizione  sulla
specifica censura proposta dalla ricorrente,  argomentando  questioni
non pertinenti, ma evidenziando nel merito e tentando di integrare il
contenuto  motivazionale  del  provvedimento  impugnato,  che:   «...
trattasi di conguaglio tra due provvedimenti amministrativi  entrambi
di natura provvisoria» e  che,  trattandosi  «di  pensione  indiretta
sarebbe stata pari o  addirittura  superiore  all'intero  trattamento
spettante al de cuius». 
    Con memoria depositata il 31/10/2014 si e' costituito l'INPS,  il
quale, oltre a riportare il contenuto del provvedimento impugnato, ha
ulteriormente tentato di integrarne la  motivazione,  precisando  che
trattasi di: «... errore nel  quale  e'  incorsa  la  amministrazione
datrice di lavoro, comune di Palermo  -  che  nel  primo  mod.  aveva
inglobato erroneamente la IIS, laddove la voce andava scorporata, per
essere il dante causa destinatario dell'art. 2 comma 20 L. 335/1995 -
e'  chiaro  che  ogni  conseguenza,   per   il   caso   di   ritenuta
irripetibilita'   del   debito,   deve   ricadere   sulla    medesima
amministrazione. Cio' ai sensi dell'art. 8 D.P.R. 538/1986». 
    In sostanza l'amministrazione tenta di integrare  la  motivazione
del provvedimento n. 209660 del 27/6/1997 in sede processuale,  anche
alla luce della disciplina sul provvedimento amministrativo contenuta
nel comma 2, primo alinea, dell'art.  21-octies  della  L.  241/1990,
introdotto con l'art. 14 della L. 15/2005, ritenuta norma processuale
immediatamente applicabile. 
    Tale norma prevede:  «2.  Non  e'  annullabile  il  provvedimento
adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma  degli
atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento,  sia  palese
che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da
quello in concreto adottato». 
 
                               Diritto 
 
    Questo giudice si trova di fronte in corso di  giudizio,  ad  una
questione sulla  compatibilita'  costituzionale  dell'art.  21-octies
comma 2 primo periodo, rispetto agli artt. 3, 97, 24, 113 e 117 comma
1  della  Costituzione,  questione  che  ritiene  rilevante   e   non
manifestamente    infondata    atteso    che,     come     accennato,
l'amministrazione  intende  integrare  la  motivazione  in  corso  di
giudizio dopo un rilevante periodo di tempo. 
    Quindi, la questione e' rilevante ai fini della decisione poiche'
questo giudice deve valutare tale integrazione in sede processuale se
accettarla o meno. 
    Conseguentemente,  la  questione  di  costituzionalita'  non   e'
manifestamente infondata per i seguenti motivi. 
    Codesta Corte costituzionale  con  la  sentenza  n.  310/2010  ha
affermato che: «Si deve premettere che l'art. 3, comma 1, della legge
n. 241 del 1990 (e  successive  modificazioni)  stabilisce  che "ogni
provvedimento    amministrativo,    compresi    quelli    concernenti
l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi
ed il personale,  deve  essere  motivato,  salvo  che  nelle  ipotesi
previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i  presupposti  di
fatto e le ragioni giuridiche  che  hanno  determinato  la  decisione
dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria".
Il comma 2, poi, esclude la necessita' della motivazione per gli atti
normativi e per quelli a contenuto generale. 
    La  norma  sancisce  ed  estende   il   principio,   di   origine
giurisprudenziale, che in epoca anteriore all'entrata in vigore della
legge n. 241 del  1990  aveva  gia'  affermato  la  necessita'  della
motivazione,  con  particolare  riguardo  al  contenuto  degli   atti
amministrativi discrezionali, nonche'  al  loro  grado  di  lesivita'
rispetto alle situazioni giuridiche dei privati,  individuando  nella
insufficienza  o  mancanza  della  motivazione  stessa   una   figura
sintomatica di eccesso di potere. 
    L'obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi e' diretto a
realizzare la conoscibilita', e quindi  la  trasparenza,  dell'azione
amministrativa. Esso e' radicato negli  artt.  97  e  113  Cost.,  in
quanto, da un lato,  costituisce  corollario  dei  principi  di  buon
andamento  e  d'imparzialita'  dell'amministrazione  e,   dall'altro,
consente al destinatario del  provvedimento,  che  ritenga  lesa  una
propria situazione  giuridica,  di  far  valere  la  relativa  tutela
giurisdizionale... Restano, dunque, elusi i principi di pubblicita' e
di trasparenza dell'azione amministrativa, pure  affermati  dall'art.
1, comma 1, della legge n. 241 del 1990, ai quali va riconosciuto  il
valore  di  principi  generali,  diretti  ad  attuare  sia  i  canoni
costituzionali di imparzialita' e buon andamento dell'amministrazione
(art. 97, primo comma, Cost.),  sia  la  tutela  di  altri  interessi
costituzionalmente protetti, come il diritto di difesa nei  confronti
della stesse amministrazione (artt. 24 e 113 Cost.; sul principio  di
pubblicita', sentenza n. 104 del 2006, punto 3.2 del  Considerato  in
diritto). E resta altresi' vanificata  l'esigenza  di  conoscibilita'
dell'azione amministrativa, anch'essa intrinseca ai principi di  buon
andamento  e  d'imparzialita',  esigenza  che  si  realizza   proprio
attraverso la motivazione, in quanto strumento volto ad esternare  le
ragioni   e   il   procedimento   logico    seguiti    dall'autorita'
amministrativa. Il tutto in presenza di provvedimenti non soltanto  a
carattere discrezionale, ma anche dotati di indubbia lesivita' per le
situazioni giuridiche del soggetto che ne e' destinatario». 
    Se cosi' e', come  affermato  da  codesta  Corte,  l'integrazione
della motivazione in corso  di  giudizio  deve  essere  ritenuta  non
ammissibile, anche per  un  atto  avente  natura  vincolata,  poiche'
l'obbligo  motivazione,  seppure  minimale  esiste  anche  per   tale
categoria di atti. 
    Ad  avviso  di  questo  giudice  non  ha  rilevanza   la   natura
discrezionale o vincolata (interesse legittimo o  diritto  soggettivo
secondo tradizione) dell'atto  amministrativo  per  esistere  o  meno
l'obbligo di motivazione. 
    Tra l'altro, l'obbligo di motivazione e' previsto anche  per  gli
atti di natura tributaria dall'art. 7 della legge 212/2000,  ritenuti
atti vincolati. 
    Anche un atto totalmente vincolato non puo' sfuggire  all'obbligo
di motivazione nel suo contenuto minimo  della  evidenziazione  della
norma giuridica applicata al caso di specie e/o dell'indicazione  del
presupposto di fatto richiamato dalla stessa. 
    In realta', tornando alle origini, sono proprio questi i  termini
della questione, che fu affrontata e risolta  dall'Adunanza  plenaria
del Consiglio di Stato n. 2/1962 ove in materia di atti  di  recupero
di  indebiti  si  affermo':  «In  questioni  di  natura   prettamente
patrimoniale non trovano applicazione i principi dell'annullamento di
ufficio:  in  qualsiasi  tempo,  entro  i  termini  di  prescrizione,
l'amministrazione ha il potere di correggere gli errori che inficiano
precedenti   deliberazioni,   le   quali   sono   implicitamente   ed
automaticamente annullate dalla  nuova.  Il  pubblico  interesse  che
legittima la rettifica si  identifica  nell'esatta  liquidazione  del
dovuto e la nuova deliberazione e' sufficientemente motivata  con  il
semplice richiamo alle norme di legge in cui trovano base immediata i
diritti patrimoniali regolati. In tali casi, infine, in  mancanza  di
una qualsiasi valutazione  discrezionale,  non  e'  configurabile  il
vizio  di  disparita'  di  trattamento:  se   ad   altri   e'   stato
illegittimamente    dato    piu'    del    dovuto,     e'     obbligo
dell'amministrazione ripetere l'indebito, non gia' estendere a  terzi
il  trattamento  illegittimamente  accordato,  commettendo  un  nuova
illegittimita'». 
    Quindi, non corrisponderebbe al vero che  un  atto  vincolato  di
recupero di indebito possa essere totalmente  privo  di  motivazione,
ossia in bianco, e  senza  l'indicazione  della  norma  giuridica  di
riferimento, salva la  possibilita'  di  successiva  integrazione  in
corso di giudizio. 
    Vi  e'  pure  da  aggiungere  che  tali  considerazioni   trovano
specifica conferma anche per gli atti  vincolati  inerenti  la  spesa
pubblica, in specifici atti normativi come l'art.  1  del  D.P.R.  n.
367/1994, ove si prevede: «le procedure di spesa  sono  rette,  oltre
che dal principio di legalita', da principi di certezza, pubblicita',
trasparenza, concentrazione e speditezza». 
    Di conseguenza, e' facile sostenere che l'obbligo di  motivazione
e' espressione dei principi di legalita', trasparenza  e  pubblicita'
richiamati nella citata sentenza  di  codesta  Corte  costituzionale,
nonche' del principio di certezza del diritto, previsto  dalla  norma
citata e implicitamente  richiamato  pure  dall'art.  1  della  legge
241/1990 ove si fa  riferimento  all'applicazione  dei  principi  del
diritto     comunitario,     che     devono     essere     rispettati
dall'amministrazione, norma richiamata sempre nella  citata  sentenza
di codesta Corte costituzionale; e riguardo al tale principio  si  e'
affermato: «Il principio  di  certezza  del  diritto  costituisce  un
principio generale del diritto dell'Unione che esige, in  particolare
che ogni atto delle istituzioni dell'Unione,  in  particolare  quando
impone  o  permette  di  imporre  sanzioni,  sia  chiaro  e  preciso,
affinche' le persone interessate possano  conoscere  con  certezza  i
loro diritti e gli obblighi che ne derivano e  possano  regolarsi  di
conseguenza... Tribunale Unione europea n. T40/06 del 13/9/2010». 
    Pertanto, come affermato da codesta Corte  costituzionale,  se  i
principi di pubblicita' e trasparenza contenuti nell'art. 1  comma  1
della  legge  241/1990  si  configurano  come  norme  di   attuazione
dell'art. 97 comma 1 della  Costituzione,  come  dovrebbero  esserle,
anche quelli contenuti nell'art. 1 del D.P.R. 367/1994, lo sono anche
i principi del diritto comunitario richiamati dalla stessa norma,  in
cui rientra anche l'obbligo di motivazione dell'atto  amministrativo,
testualmente  previsto  dall'art.  296  comma  2  del  Trattato   sul
funzionamento dell'Unione europea  ove  si  prevede  che:  «gli  atti
giuridici sono motivati» e dall'art. 41 comma 2 lett. c), in  cui  e'
previsto «l'obbligo per  l'amministrazione  di  motivare  le  proprie
decisioni».  Con  il  trattato  di  Lisbona  alla  Carta   e'   stato
riconosciuto rango pari a quello dei  trattati  istitutivi  (art.  6,
par. 1 TUE). 
    E la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione  europea
ha sempre affermato l'impossibilita' di integrazione  nel  corso  del
processo del provvedimento amministrativo: «La motivazione prescritta
dall'art. 190 del Trattato  (ora  296),  deve  essere  adeguata  alla
natura dell'atto. Essa deve  far  apparire  in  forma  chiara  e  non
equivoca l'iter logico  seguito  dall'autorita'  comunitaria  da  cui
promana l'atto, onde consentire  agli  interessati  di  conoscere  le
ragioni  del  provvedimento  adottato  ed  a  permettere  al  giudice
competente di esercitare il proprio controllo.  La  necessita'  della
motivazione deve essere valutata in funzione  delle  circostanze  del
caso, in particolare del contenuto dell'atto, della natura dei motivi
esposti e dell'interesse che i destinatari dell'atto o altre  persone
da questo riguardate direttamente e individualmente, possano avere  a
ricevere  spiegazioni.  La  motivazione  non   deve   necessariamente
specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto  pertinenti,  in
quanto l'accertamento del se la motivazione di  un  atto  soddisfi  i
requisiti di cui all'art. 190 del Trattato va  effettuato  alla  luce
non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto  e  del  complesso
delle norme giuridiche che disciplinano la materia...  un  difetto  o
un'insufficienza di motivazione, rientra nella violazione delle forme
sostanziali, e costituisce un motivo  di  ordine  pubblico  che  deve
essere sollevato  d'ufficio  dal  giudice  comunitario,  C265/97  del
30/3/2000 VBA, Florimex/Commissione. 
    L'obbligo di motivare una decisione che reca  pregiudizio  ha  lo
scopo di consentire alla Corte di esercitare il suo  controllo  sulla
legittimita'  della   decisione   e'   di   fornire   all'interessato
indicazioni sufficienti per stabilire se la decisione sia  fondata  o
sia  inficiata  da  un  vizio  che   permette   di   contestarne   la
legittimita', ne deriva che la motivazione deve, in via di principio,
essere comunicata all'interessato contemporaneamente  alla  decisione
che gli reca pregiudizio e che la mancanza di  motivazione  non  puo'
essere sanata dal fatto che  l'interessato  venga  a  conoscenza  dei
motivi della decisione nel corso del procedimento dinanzi alla Corte.
C195/80  del  26/11/1981  Michel».  Tale  orientamento   ha   trovato
ulteriore conferma: «l'obbligo di motivare una decisione  individuale
ha lo scopo di consentire alla Corte di esercitare il  suo  controllo
sulla legittimita'  della  decisione  e  di  fornire  all'interessato
indicazioni sufficienti per stabilire se  la  decisione  sia  fondata
oppure sia eventualmente  inficiata  da  un  vizio  che  consenta  di
contestarne la validita'. 
    La  motivazione  in  linea  di  principio,  deve  quindi   essere
comunicata all'interessato contemporaneamente alla decisione che  gli
reca pregiudizio... La mancanza di motivazione non puo' essere sanata
dal fatto che l'interessato venga a conoscenza del ragionamento  alla
base della decisione nel corso del procedimento dinanzi  alla  Corte.
Cause riunite C189/02, 202/02, 205/02, 206/02, 207/02, 208/02, 213/02
del 28/6/2005 Dansk Rorindustri ed altri». 
    Quindi vi sarebbe la violazione degli artt. 24, 97  e  113  della
Costituzione. 
    Alla luce di quanto esposto vi sarebbe una palese  contraddizione
tra l'art. 21-octies legge 241/1990 che consentirebbe  l'integrazione
della motivazione in sede processuale e l'art. 1 della stessa  legge,
ove si richiama  l'applicazione  da  parte  dell'amministrazione  dei
principi dell'ordinamento comunitario cosi' come  interpretati  dalla
Corte di giustizia, in cui rientra quello dell'obbligo di motivazione
dell'atto amministrativo e del divieto di integrazione  della  stessa
in sede processuale. 
    Con la conseguente  violazione  dell'art.  3  della  Costituzione
nonche' dell'art. 117 comma 1 della Costituzione  per  disparita'  di
trattamento in termini di tutela giurisdizionale  tra  atti  derivati
dalla normativa comunitaria ed atti esclusivamente interni. 
    Infine, la possibilita' da parte di un giudice  di  accettare  la
motivazione dell'atto amministrativo in sede  processuale  cozzerebbe
con il principio della separazione  dei  poteri,  tale  principio  e'
espressione della tradizionale separazione tra il potere  giudiziario
e il potere  amministrativo,  ed  ha  trovato  recente  e  definitiva
consacrazione normativa, - naturalmente avente valenza  di  principio
generale - nell'ambito delle situazioni  oppositive,  con  l'art.  34
comma 2 c.p.a., ove si prevede:  «In  nessun  caso  il  giudice  puo'
pronunciare  con  riferimento  a  poteri  amministrativi  non  ancora
esercitati». 
    In  quanto  il  giudice  si   sostituirebbe   all'amministrazione
integrando la motivazione dell'atto. 
    Infine si  precisa,  che  la  natura  provvedimentale,  ancorche'
vincolata dei provvedimenti di  indebito  in  materia  pensionistica,
scaturisce dalla volonta'  testuale  del  Legislatore  contenuta  nel
titolo IV della parte III del D.P.R. 1092/1973, intitolato: «Revoca e
modifica del provvedimento», dal contenuto dell'art. 203 ove  si  usa
il termine «provvedimento», e dai successivi  artt.  204,  205,  206,
207, ove si parla dei revoca o modifica del provvedimento. 
    Che trattasi di un atto esecutorio non puo' esservi dubbio  vista
la previsione contenuta nell'art. 21-ter comma 2 della  stessa  legge
241/1990, ove si prevede: ai fini dell'esecuzione delle  obbligazioni
aventi ad oggetto somme di denaro si applicano  le  disposizioni  per
l'esecuzione coattiva dei crediti dello Stato. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Corte dei conti  -  Sezione  Giurisdizionale  per  la  Regione
Siciliana - Il Giudice Unico delle pensioni, sospende il processo. 
    Visti gli artt. 134 Cost., 1 legge  costituzionale  1/1948  e  23
della legge 87/1953. 
    Ritenendo   che   il   giudizio   non   possa   essere   definito
indipendentemente dalla risoluzione della questione  di  legittimita'
costituzionale. 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 21-octies comma 2 primo periodo
della legge 241/1990. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale  per  la  risoluzione  della  superiore  questione  di
legittimita' costituzionale. 
    Dispone che  la  segreteria  provveda  alla  comunicazione  della
presente ordinanza alle parti costituite, nonche' al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, con la comunicazione ai Presidenti di  Camera
e Senato. 
    Cosi' deciso  in  Palermo,  nella  Camera  di  Consiglio  del  10
novembre 2014. 
 
                  Il Giudice Unico: Giuseppe Grasso 
 
    Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge. 
    Palermo, 19 gennaio 2015 
    Pubblicata il 22 gennaio 2015 
 
          Il Funzionario di Cancelleria: Piera Maria Tiziana Ficalora