N. 107 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 febbraio 2015
Ordinanza del 13 febbraio 2015 del Tribunale di Lanusei nel procedimento penale a carico di Molteni Fabio ed altri. Ambiente - Risarcimento del danno ambientale - Legittimazione all'esercizio dell'azione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare - Mancata previsione della legittimazione concorrente o sostitutiva della Regione o degli enti locali sul cui territorio si e' verificato il danno - Disparita' di trattamento tra soggetti portatori di identica posizione giuridica rispetto al diritto dell'ambiente - Disparita' di trattamento del bene ambientale rispetto agli altri beni che hanno riconoscimento nella Costituzione - Lesione del diritto di difesa - Lesione del diritto alla salute e al paesaggio - Violazione del principio di ragionevolezza. - Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 311, comma 1. - Costituzione, artt. 2, 3, 9, 24 e 32.(GU n.23 del 10-6-2015 )
TRIBUNALE DI LANUSEI ORDINANZA Il giudice dott. Nicola Caschili, nel procedimento penale iscritto al N.R.G 264/2014 a carico di Gen. Fabio Molteni e piu', imputati del reato di cui all'art. 437 commi 1 e 2 c.p., a scioglimento della riserva, Osserva 1. Con decreto dell'11.7.2014 il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Lanusei ha rinviato a giudizio i comandanti militari del Poligono Interforze Salto di Quirra e del suo distaccamento a mare di Capo S. Lorenzo, succedutisi nei rispettivi comandi dal marzo 2001 al 2012, imputando loro il reato previsto dall'art. 437, comuni 1 e 2, c.p.. Segnatamente, agli imputati e' contestato di avere omesso l'adozione di precauzioni e cautele nell'esercizio delle attivita' militari, tra cui anche la collocazione di segnali di pericolo di esposizione di uomini ed animali a sostanze tossiche e radioattive presenti nelle aree ad alta intensita' militare, cagionando cosi' un persistente e grave disastro ambientale con enorme pericolo chimico e radioattivo per la salute del personale civile e militare del Poligono, dei cittadini dei centri abitati circostanti, dei pastori insediati in quel territorio e dei loro animali da allevamento. Tra le persone offese indicate nel decreto di rinvio a giudizio, figurano lo Stato, la Regione Autonoma della Sardegna, le Province di Cagliari e d'Ogliastra nonche' i Comuni il cui territorio e' stato esposto alle sostanze contaminanti. Nel corso dell'udienza preliminare e nella prima udienza dibattimentale, si sono costituiti o hanno fatto richiesta di costituzione di parte civile per il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale la Regione Autonoma della Sardegna, la Provincia di Cagliari ed alcuni Comuni, nonche' numerose persone, tra cittadini, personale militare, allevatori e loro familiari, che hanno lamentato danni patrimoniali, alla salute, da esposizione a sostanze nocive e da perdita parentale. Tutti questi soggetti hanno altresi' chiesto la chiamata in causa quale responsabile civile dei danni asseritamente patiti lo Stato Italiano, il quale si e' costituito in persona del presidente del Consiglio dei ministri. Con istanza depositata all'udienza del 29.10.2014, la Regione Autonoma della Sardegna ha chiesto altresi' di costituirsi parte civile per il risarcimento del danno ambientale, previa dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 311, comma 1, decreto legislativo n. 152/2006, recante il Testo unico in materia ambientale, quale ente sul cui territorio si e' prodotto il danno descritto nel capo d'imputazione. In particolare, l'avvocatura della regione ha chiesto che venisse sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 311, comma 1, cit. nella parte in cui attribuisce esclusivamente al Ministero dell'ambiente e per esso allo Stato la legittimazione a chiedere il risarcimento del danno ambientale, lamentando la violazione degli articoli 2, 3, 9, 24 e 32 della Costituzione. La difesa degli imputati si e' opposta alla istanza, depositando ampia ed articolata memoria con cui ha contestato la sussistenza del presupposto della non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale. Il Ministero dell'ambiente e per la tutela del territorio e del mare non si e' costituito parte civile per chiedere il risarcimento del danno ambientale. 2. Ad avviso dello scrivente, la questione posta dalla Regione Autonoma della Sardegna e' rilevante e non manifestamente infondata. La Regione Autonoma della Sardegna chiede il risarcimento del danno ambientale mediante costituzione di parte civile nel processo penale. Essa, pertanto, nel momento in cui ha scelto di praticare la tutela dei propri diritti ed interessi lesi nel processo penale, ha diritto, in presenza di tutti i presupposti di legge, di partecipare al processo mediante la costituzione di parte civile. Ne' tale diritto puo' essere limitato in ragione di valutazioni estranee alla verifica dei presupposti della legittimazione. La Suprema Corte di Cassazione in diverse occasioni ha affermato che l'ordinanza di esclusione della parte civile per ragioni estranee alla oggettiva valutazione dei requisiti per la costituzione costituisce provvedimento abnorme sempre impugnabile con ricorso ex art. 111 Cost. (Cass. Sez. pen. III, n. 39321 del 9 luglio 2009). Pertanto, il giudice penale non puo' escludere una parte per mere ragioni di opportunita' processuale, ma e' tenuto a valutare i profili di ammissibilita' della domanda di costituzione di parte civile secondo i canoni propri della legittimazione ad agire. Ne', ancora, costituisce motivo di irrilevanza della questione il fatto che la Regione Autonoma della Sardegna sia stata ammessa a costituirsi parte civile per il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale c.d. iure proprio, che costituisce domanda diversa rispetto a quella portante la richiesta di risarcimento del danno ambientale (cosi', Cass. Civ. n, 1087 del 3 febbraio 1998). L'ammissione alla costituzione di parte civile circoscrive i poteri processuali di prova e di legittimazione allo specifico danno leso di cui si chiede tutela. Pertanto, la sola ammissione relativa al danno iure proprio non consentirebbe alla Regione di partecipare al processo penale per chiedere il risarcimento del danno ambientale, la cui domanda dovrebbe essere rimessa ad una separata sede, con lesione del diritto alla scelta della strada processuale ritenuta dal danneggiato piu' opportuna. In considerazione di queste argomentazioni, poiche' la costituzione di parte civile per il risarcimento del danno ambientale e' ostacolata dalla disposizione di legge contenuta nell'art. 311 comma 1 cit., la questione di legittimita' costituzionale risulta rilevante, in quanto per consentire alla Regione di esercitare il proprio diritto, occorre rimuovere la norma della cui legittimita' costituzionale si dubita. 3. A tal proposito, e sempre in punto di rilevanza della questione, l'art. 311 comma 1 cit. non stabilisce espressamente la legittimazione esclusiva dello Stato. Tuttavia, sin dalla sua entrata in vigore, la giurisprudenza, sia di merito che di legittimita', ha inteso in tal senso la norma. Secondo la Suprema Corte di Cassazione, la norma attribuisce esclusivamente allo Stato e, in particolare, al Ministero dell'Ambiente, la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati contro l'ambiente per ottenere il risarcimento del danno ambientale, inteso come interesse alla tutela dell'ambiente in se' considerato ovvero come lesione dell'interesse pubblico e generale all'ambiente (da ultimo, Cass., Sez. 4; Sentenza n. 24619 del 27/05/2014; Sez. 3, Sentenza n. 19437 del 17/01/2012; Sez. 3, Sentenza n. 633 del 29/11/2011; Sez. 3ª, 11.2.2010, n. 14828; Sez. 3, Sentenza n. 41015 del 21/10/2010; Sez. 3, Sentenza n. 36514 del 03/10/2006). Una diversa interpretazione della norma risulterebbe testualmente percorribile, come gia' osservato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 235 del 23 maggio 2009. Chiamata su ricorso in via principale a pronunciarsi sulla legittimita' costituzionale dell'art. 311, comma 1, la Corte, pur dichiarando inammissibile la domanda, ha avuto modo di affermare che la disposizione impugnata, pur non riconoscendo espressamente la legittimazione ad agire delle regioni, «neppure la esclude in modo esplicito». Insomma, una ipotetica lettura alternativa, che estendesse la legittimazione ad agire anche alle regioni, potrebbe essere percorribile. Tuttavia, si deve prendere atto che le pronunce della Suprema Corte di Cassazione, anche successive alla richiamata sentenza n. 235 del 2009 della Corte costituzionale, hanno ribadito l'esclusivita' dello Stato ad agire per il risarcimento del danno ambientale, conferendo alla norma cosi' interpretata rango di diritto vivente, in quanto affermata e ribadita costantemente da una univoca giurisprudenza della Suprema Corte. Pur potendo questo giudice discostarsi da tale orientamento, considerato tuttavia che una diversa interpretazione sarebbe inevitabilmente riformata nei gradi successivi in presenza di una solida giurisprudenza di legittimita', si ritiene opportuno denunciare al giudice delle leggi il dubbio del contrasto della stessa norma con la Costituzione (in tal senso, Corte costituzionale, sentenze 191/2013, 258/2012, 117/2012 e 91/2004). 4. Per evidenziare i profili di non manifesta infondatezza della questione, si riportano alcuni cenni relativi al sistema del risarcimento del danno ambientale, antecedente l'entrata in vigore del testo unico ambientale e disciplinato dalla L. 8 luglio 1986, n. 349, il cui art. 18, al comma 1, attribuiva allo Stato il diritto al risarcimento del danno ambientale e, al comma 3, legittimava lo Stato e gli enti territoriali sui quali incidono i beni oggetto del fatto lesivo a promuovere anche in sede penale la relativa azione per il risarcimento del danno. Tale normativa, in realta', s'inseriva nel solco gia' tracciato dalla giurisprudenza (Cass. Civ., n. 1087 del 3 febbraio 1998). La combinazione dei commi 1 e 3 ha dato adito ad incertezza sull'identificazione del titolare del diritto al risarcimento, potendosi sostenere, da una parte, la tesi che attribuiva agli enti territoriali una legittimazione surrogatoria e sostitutiva di quella statale. Seguendo tale approccio, il diritto al risarcimento del danno ambientale sarebbe spettato esclusivamente allo Stato in qualita' di ente esponenziale della collettivita' nazionale al quale il bene pubblico ambiente veniva imputato nella sua unitarieta'. Altra tesi, invece, ampliando il concetto di Stato come inteso nel comma 1, e richiamando il concetto di Stato-ordinamento, ossia come insieme di poteri pubblici, interpreto' la legittimazione degli enti territoriali come concorrente con quella statale, e dunque fondante un diritto autonomo. Tale tesi, fondata sulla considerazione che il danno ambientale, incidendo su un elemento costitutivo degli enti, ossia il territorio, produce una lesione di un diritto della personalita' pubblica spettante ai medesimi, si consolido' nella giurisprudenza prevalente, che ebbe cosi' modo di affermare la legittimazione ad agire degli enti locali in via principale e non in via sostitutiva (Cass., sez. III, 19 giugno 1996, n. 5650; Cass., sez. III, 3 febbraio 1998, n. 1087). La giurisprudenza di legittimita', compiendo un ulteriore passo in avanti, ebbe modo anzi di precisare che la legittimazione ad agire degli enti minori non costituiva il portato innovatore della L. 349 del 1986, risultando invece il ricaduto interpretativo della stessa Costituzione e dei principi generali in materia di risarcimento del danno, in quanto «anche prima della legge cit. la Costituzione e la norma generale dell'art. 2043 c.c. apprestavano all'ambiente una tutela organica e piena, di cui era gia' allora espressione la legittimazione attiva degli enti territoriali direttamente danneggiati, rappresentativi della collettivita' organizzata lesa in un suo bene primario ed assoluto (Cass. Civ. 19 giugno 1996 n. 5650; Cass. Civ 3 febbraio 1998, n. 1087). Tale quadro normativo e giurisprudenziale trovava, dopo il 1986, un'ulteriore conferma in sede legislativa nell'art. 4, L. n. 265 del 1999, poi introdotto nell'art. 9, decreto legislativo n. 267 del 2000 (t.u. enti locali), secondo il quale «le associazioni di protezione ambientale di cui all'art. 13, L. n. 349 del 1986, possono proporre le azioni risarcitorie di competenza del giudice ordinario che spettino al Comune e alla Provincia, conseguenti al danno ambientale. L'eventuale risarcimento e' liquidato in favore dell'ente sostituito e le spese processuali sono liquidate in favore o a carico dell'associazione». Il legislatore confermava la tesi secondo cui il risarcimento del danno ambientale non era di esclusiva spettanza dello Stato, bensi' anche degli enti pubblici territoriali, cui sarebbe stato devoluto il risarcimento ottenuto dalle associazioni ambientali che avessero agito in sostituzione degli stessi. In questa cornice, l'art. 18, L. n, 349 del 1986 non definiva un nuovo diritto ne' individuava un nuovo bene giuridico meritevole di tutela, ma si limitava a ripartire la legittimazione attiva tra i soggetti preposti alla protezione dell'ambiente, bene gia' tutelato sulla base del solo art. 2043 c.c. e della Costituzione. La legittimazione delle associazioni di protezione dell'ambiente, ex art. 18 legge 8 luglio 1986, n. 349, era invece pacificamente una legittimazione sostitutiva, avendo fini meramente processuali di «impulso e controllo sociale». Tali associazioni potevano domandare al giudice il ripristino della situazione dei luoghi a spese dell'obbligato, ove possibile, mentre non potevano ottenere la liquidazione del danno ambientale in termini monetari, in quanto tale liquidazione andava devoluta a favore dello Stato e degli altri Enti Pubblici territoriali (Cass. Pen. Sez. 3, Sentenza n. 439 del 10/11/1993; Sez, 3, Sentenza n. 2603 del 19/12/1990). 5. L'art. 18 L. 349 del 1986, ad eccezione del comma 5, che riconosce alle associazioni ambientaliste il diritto di intervenire nei giudizi per danno ambientale, e' stato abrogato dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 318, comma 2, lettera a). Attualmente, secondo il diritto vivente proclamato dalla giurisprudenza di legittimita' dianzi richiamata, l'art. 311 comma 1 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, riserva allo Stato, ed in particolare al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, il potere di agire per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, anche esercitando l'azione civile in sede penale. Le somme ottenuto a titolo risarcitorio, come espressamente previsto dall'art. 317, comma 5, «sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere integralmente riassegnate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze ad un pertinente capitolo dello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per essere destinate alla realizzazione delle misure di prevenzione e riparazione in conformita' alle previsioni della direttiva 2004/35/CE ed agli obblighi da essa derivanti». Le regioni e gli enti locali, nonche' le persone fisiche o giuridiche che sono o potrebbero essere colpite dal danno ambientale, in forza dell'art. 309, comma 1, possono presentare denunce ed osservazioni nell'ambito di procedimenti finalizzati all'adozione di misure di prevenzione, precauzione e ripristino oppure possono sollecitare l'intervento statale a tutela dell'ambiente mentre non hanno piu' il potere di agire per il risarcimento del danno ambientale in sede giurisdizionale. E' stato peraltro sin da subito chiaro, anche in forza di quanto dispone l'art. 313 comma 7 del testo unico, che la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati ambientali spetta non soltanto al ministro dell'ambiente, ma anche all'ente pubblico territoriale ed ai soggetti privati che per effetto della condotta illecita abbiano subito un danno risarcibile ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. diverso da quello ambientale (Cassazione Pen. , Sez. 3ª, 3.10.2006, n. 36514; Sez. 3ª, 28.10.2009, n. 755/10; Sez. 3ª, 11.2.2010, n. 14828). Analogamente, sempre nell'ambito della generale disciplina aquiliana, tali soggetti possono agire ai sensi dell'art. 310 comma 1 «per il risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell'attivazione, da parte del medesimo Ministro, delle misure di precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno ambientale». 6. Il rapporto tra disciplina del danno ambientale e disciplina generale dell'illecito aquiliano ex art. 2043 c.c. e' stato ricostruito in termini di specialita'. Per effetto dell'entrata in vigore della norma speciale contenuta nell'art. 311 comma l, nella parte in cui riserva allo Stato la legittimazione ad agire, l'estensione della norma generale si e' ristretta, sicche' il suo ambito di applicazione non comprende piu' la fattispecie ora disciplinata dalla norma speciale. Di conseguenza, il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in se' considerato come lesione dell'interesse collettivo all'ambiente, e' ora previsto e disciplinato soltanto dall'art. 311 cit., ed il titolare della pretesa risarcitoria per tale danno ambientale, inteso quale diritto fondamentale a valore e rilevanza costituzionale, e' esclusivamente lo Stato, in persona del ministro dell'ambiente. Tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi compresi gli enti pubblici territoriali e le regioni, possono invece agire, in forza dell'art. 2043 cod. civ., per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale e non patrimoniale, ulteriore e concreto, che abbiano dato prova di aver subito dalla medesima condotta lesiva ovvero dall'inerzia dello Stato nella opera di prevenzione. 7. Punto fondamentale dell'elaborazione del concetto di ambiente e' l'insegnamento della Corte costituzionale cristallizzato nella sentenza n. 641/1987, secondo cui «l'ambiente e' protetto come elemento determinativo della qualita' della vita. La sua protezione non persegue astratte finalita' naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l'esigenza di un habitat naturale nel quale l'uomo vive ed agisce e che e' necessario alla collettivita' e, per essa, ai cittadini, secondo valori largamente sentiti; e' imposta anzitutto da precetti costituzionali (articoli 9 e 32 Cost.), per cui esso assurge a valore primario ed assoluto. ... L'ambiente e', quindi, un bene giuridico in quanto riconosciuto e tutelato da norme. Non e' certamente possibile oggetto di una situazione soggettiva di tipo appropriativo: ma, appartenendo alla categoria dei c.d. beni liberi, e' fruibile dalla collettivita' e dai singoli». Sul senso che deve essere attribuito alla primazia del bene ambientale, quale valore primario ed assoluto, e' di recente intervenuta la stessa Corte, la quale ha affermato che «tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non e' possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del 2012). Se cosi non fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe «tiranno» nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignita' della persona. La qualificazione come «primari» dei valori dell'ambiente e della salute significa pertanto che gli stessi non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorche' costituzionalmente tutelati, non gia' che gli stessi siano posti alla sommita' di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, proprio perche' dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato - dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo - secondo criteri di proporzionalita' e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale (Corte costituzionale, sentenza n. 85 del 9 maggio 2013). 8. Ad avviso dello scrivente, la norma che limita la legittimazione ad agire esclusivamente in capo allo Stato suscita il dubbio di conformita' a Costituzione, con particolare riferimento ai parametri costituiti dagli articoli 3, 9, 24 e 32. Partendo dal presupposto che l'ambiente costituisce un bene appartenente alla collettivita', occorre prendere atto che l'ordinamento, con il testo unico in materia ambientale, ha decisamente virato verso un sistema di tutela centralizzato, imperniato sul ruolo dello Stato quale soggetto capace di offrire uno standard di tutela elevato ed omogeneo in tutto il territorio nazionale. Questa impostazione e' frutto in gran parte della trasversalita' della materia ambientale, che nelle sue molteplici declinazioni si interseca con altri beni e valori di rango costituzionale, imponendo cosi' una difficile opera di contemperamento e bilanciamento, rimessa allo stesso Stato quale soggetto apicale dell'ordinamento. La tutela del diritto ad un ambiente integro e salubre, nella impostazione del codice, procede tramite un doppio binario, amministrativo e giurisdizionale. Al primo binario appartengono l'azione di prevenzione e ripristino ambientale di cui agli articoli 304, 305 e 306 e il potere di adottare l'ordinanza di cui agli articoli 312 e 313, mentre al secondo binario, quello giurisdizionale, appartiene la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno ambientale. L'art. 311 delinea chiaramente l'alternativita' tra risarcimento del danno in sede giurisdizionale, disciplinato dallo stesso art. 311, e risarcimento in sede amministrativa, che sfocia nell'adozione dell'ordinanza ministeriale prevista dall'art. 313. L'alternativita' e' altresi' ribadita dall'art. 315, che stabilisce l'improseguibilita' dell'azione giudiziaria in caso di adozione dell'ordinanza ministeriale di cui all'art. 313. La scelta di accentrare le funzioni amministrative di tutela dell'ambiente in capo allo Stato e' stata giudicata conforme a costituzione dalla Corte costituzionale, chiamata da numerose regioni in via principale a vagliare la legittimita' della parte sesta del testo unico. Di particolare rilievo per il nostro oggetto e' la gia' richiamata sentenza n. 235 del 2009, la quale, nell'esame delle norme della parte sesta del testo unico, ha espresso importanti principi che devono essere attentamente valutati per le loro dirette implicazioni. In quella occasione, la Corte costituzionale, al punto 9 della sentenza, ha ritenuto non fondato il dubbio di costituzionalita' relativo agli articoli 304, comma 3, 305, comma 2, e 306, comma 2, del Codice dell'ambiente, i quali nel disciplinare l'azione amministrativa di prevenzione e ripristino del danno ambientale, attribuiscono all'amministrazione statale il potere di chiedere informazioni all'operatore, di ordinargli specifiche misure di prevenzione o ripristino, nonche' di assumere direttamente tali misure. Secondo la Corte, che aveva quale parametro di costituzionalita' l'art. 118 Cost., «la scelta di attribuire all'amministrazione statale le funzioni amministrative trova una non implausibile giustificazione nell'esigenza di assicurare che l'esercizio dei compiti di prevenzione e riparazione del danno ambientale risponda a criteri di uniformita' e unitarieta', atteso che il livello di tutela ambientale non puo' variare da zona a zona e considerato anche il carattere diffusivo e transfrontaliero dei problemi ecologici, in ragione del quale gli effetti del danno ambientale sono difficilmente circoscrivibili entro mi preciso e limitato ambito territoriale». Analogo principio e' stato affermato in riferimento agli articoli 312 e 313 del Codice dell'ambiente, che regolano l'ordinanza per il risarcimento del danno ambientale e la relativa istruttoria. La Corte ha affermato che «la scelta legislativa di attribuire all'amministrazione statale, anziche' alle diverse amministrazioni regionali, il potere di adottare l'ordinanza che ingiunge al responsabile del danno ambientale il risarcimento trova una ragionevole giustificazione nell'esigenza di assicurare che tale speciale potere amministrativo venga esercitato secondo criteri di uniformita' e unitarieta' (sub 9)». Ora, ad avviso dello scrivente, non e' possibile trasfondere queste stesse argomentazioni in riferimento alla scelta legislativa di accentrare la legittimazione ad agire per il risarcimento dal danno ambientale in capo allo Stato. La stessa sentenza 235/2009, nell'affrontare la questione relativa all'art. 311 comma 1, ha precisato che il richiamo all'art. 118 Cost. non e' conferente, in quanto «regola il riparto della funzione amministrativa fra i diversi livelli di governo, mentre la legittimazione ad agire in sede giurisdizionale, da un lato, non costituisce una funzione amministrativa e, dall'altro lato, non risponde alla logica del riparto, dal momento che il riconoscimento della legittimazione dello Stato non esclude quella delle Regioni, e viceversa». Vale la pena altresi' precisare, proprio su questo solco, come non si possa tanto meno costruire un parallelismo tra titolarita' della legittimazione ad agire e titolarita' della funzione legislativa. La difesa degli imputati ha desunto la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dal rilievo che la legittimazione ad agire costituirebbe espressione della competenza esclusiva statale in materia di tutela ambientale sancita dall'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione. Tuttavia, mutuando le stesse parole della Corte costituzionale teste' richiamate, l'art. 117 regola il riparto della competenza legislativa, mentre la legittimazione ad agire in sede giurisdizionale non costituisce una funzione legislativa, ne' risponde alla logica. del suo riparto. In altri termini, una cosa e' attribuire la competenza di legiferare in una materia, altra cosa e' dislocare le funzioni amministrative tra i diversi organi di governo, altra cosa ancora e' attribuire la titolarita' ad agire in via giurisdizionale per la tutela di un diritto, nulla ostando che ognuna di queste competenze o poteri sia attribuita a soggetti diversi. 9. Alcuni commentatori hanno evidenziato che la limitazione della legittimazione ad agire introdotta con l'art. 311 cit. sarebbe stata motivata dalla volonta' di circoscrivere la partecipazione al processo per chiedere il risarcimento del danno ambientale ad un unico soggetto, evitando situazioni di aggressione processuale dell'imputato ovvero anche di difficile governo del processo per il numero di parti costituite. In realta', seppur tali ragioni, che in ultima analisi esprimono esigenze di tutela del contraddittorio e di ragionevole durata del processo, risultano apprezzabili, non di certo lo strumento per perseguirle puo' essere impedire al titolare di agire in giudizio per la tutela del suo diritto, tantomeno quando questo e' un diritto primario ed assoluto. Del resto, la scelta legislativa adottata con l'art. 311 in esame ha portato alle estreme conseguenze, introducendo una legittimazione esclusiva in capo ad un unico soggetto, cosi' passando da un sistema di tutela diffuso ed un sistema di tutela esclusivo, senza prendere in considerazione opzioni mediane. 10. Dunque, tenuto conto che l'accentramento della legittimazione ad agire in via giurisdizionale per il risarcimento del danno ambientale non puo' trovare giustificazione con l'esigenza di unitarieta' ed omogeneita' segnalata dalla Corte costituzionale per assolvere l'accentramento statale della funzione amministrativa, ne' puo' essere giustificata da una precisa politica processuale, si puo' osservare che, nella vigenza dell'art. 18 L. 346/1986, la legittimazione ad agire dello Stato e degli enti minori non era fondata nella lesione di un loro bene economico, «ma nella loro funzione a tutela della collettivita' e delle comunita' nel proprio ambito territoriale e degli interessi all'equilibrio ecologico, biologico e sociologico del territorio che ad essi fanno capo» (Corte Cost. 641/1987; analogamente, anche la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 22539 del 05/04/2002). Allo stesso tempo, la legittimazione autonoma e concorrente degli enti minori non trovava fondamento diretto nella L. 349/1986, bensi' nella stessa Costituzione e nella disciplina generale del danno aquiliano (Cass. Civ. 19 giugno 1996 n. 5650; Cass. Civ 3 febbraio 1998, n. 1087). Ad avviso dello scrivente, accentrare la legittimazione ad agire in capo ad un solo soggetto non e' in grado di garantire un sufficiente livello di tutela della collettivita' e delle comunita' nonche' degli interessi all'equilibrio economico biologico e sociologico del territorio, comportando un irragionevole sacrificio di un aspetto ineludibile nel sistema di tutela. Da qui la violazione delle norme costituzionali richiamate. 11 . Sotto il profilo della violazione dell'art. 3 Cost., si osserva che la disciplina prevista dall'art. 311 comma 1 del testo unico, speciale rispetto alla disciplina generale del danno aquiliano, vira decisamente in punto di legittimazione ad agire per il risarcimento del danno. Se e' vero che la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno ambientale non consegue alla titolarita' del diritto, ma al ruolo svolto dall'ente in finzione di tutela di un bene collettivo, e' anche vero che la regione e gli altri enti territoriali sono comunque soggetti esponenziali della collettivita' che opera nel territorio leso, quanto lo e' lo Stato. Inoltre, il territorio che ha subito il danno ambientale e' parte costitutiva della soggettivita' della regione e dell'ente territoriale, per cui ogni danno ambientale arrecato al territorio finisce per intaccare l'ente territoriale o la regione in un suo elemento costitutivo fondamentale. Privare la regione o l'ente territoriale dalla facolta' di tutelare in via giurisdizionale ogni aggressione ad un bene incidente direttamente sulla propria integrita' e comunque sulla collettivita' di cui e' esponente, introduce una disparita' di trattamento. Solo uno dei soggetti lesi o comunque interessati dalla lesione - lo Stato - puo' reagire in via giurisdizionale per la difesa del diritto, mentre tale facolta' non e' concessa ad altri soggetti portatori di identica posizione giuridica rispetto al diritto all'ambiente, in assenza di un ragionevole motivo, non potendo essere questo ravvisato, per le ragioni gia' esposte, in una esigenza di unitarieta' ed omogeneita', appartenente all'ambito del riparto della funzione amministrativa, ne' in una esigenza di natura meramente processuale. Sotto altro profilo, si osserva che la deroga alla disciplina generale della responsabilita' civile determina anche un trattamento deteriore del diritto ad un ambiente salubre, diritto primario ed assoluto rientrante tra i diritti inviolabili dell'uomo di cui all'art. 2 Cost., rispetto ai restanti diritti costituzionali di pari valore i quali, rientrando sotto la sfera di tutela della responsabilita' civile, non subiscono alcuna limitazione nella titolarita' della legittimazione ad agire. Con l'art. 311 comma 1, il legislatore ha introdotto una norma che, derogando alla regola generale dell'art. 2043, impedisce ad alcuni soggetti, che sarebbero stati altrimenti legittimati, ad agire in via giurisdizionale per la tutela del diritto. Pertanto, il diritto all'ambiente, in un suo aspetto fondamentale che ne indica il grado di protezione che l'ordinamento gli appresta, ovvero la tutela giurisdizionale, viene discriminato rispetto agli altri diritti primari ed assoluti, in assenza di una apprezzabile ragione giustificatrice. In definitiva, impedire alle regioni e agli altri enti locali minori di reagire davanti alla lesione del bene ambientale, impedendo loro quell'azione giudiziaria che altrimenti sarebbe spettata per regola generale, delinea una disparita' di trattamento sia in senso soggettivo, in quanto tratta diversamente soggetti che vantano la stessa posizione giuridica, sia in senso oggettivo, in quanto tratta diversamente un bene (inviolabile) rispetto agli altri beni che hanno riconoscimento nella Costituzione. 12. Per le stesse argomentazioni, la norma appare violare anche il diritto di difesa costituzionalmente tutelato dall'art. 24 Cost. Si impedisce infatti ad un soggetto portatore di un interesse concretamente leso dall'azione illecita altrui di reagire per la sua tutela in via giurisdizionale. Da tempo la giurisprudenza della Suprema Corte aveva inteso la lesione del bene ambientale incidere direttamente sull'ambiente inteso come «assetto qualificato del territorio, il quale e' elemento costitutivo di tali enti e percio' oggetto di un loro diritto di personalita' (Cass. Pet. Sez. 3, n. 9227 del 15 giugno 1993; Sez. 3, Sentenza n. 8091 del 26/01/2011). 13. Il confine piu' o meno ampio della legittimazione ad agire per la difesa di un diritto segna il campo della maggiore o minore tutela che l'ordinamento appresta in suo favore. Quanto piu' e' ampia questa legittimazione, tanto piu' il diritto potra' essere efficacemente tutelato da una pluralita' di soggetti. La giurisprudenza formatasi sull'art. 18 L. 346/1986, aveva rinvenuto la giustificazione della legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste in una esigenza di «impulso e controllo sociale», evidenziando cosi' che il diritto ad un ambiente salubre, proprio perche' diritto non intestato ad alcuno ma in realta' diritto di tutti, potesse essere per questo trascurato dai soggetti pubblici istituzionalmente deputati alla sua salvaguardia. Tali considerazioni costituiscono la premessa per la denuncia della violazione degli articoli 2, 9 e 32 della Costituzione, norme che tutelano il diritto alla salute e al paesaggio, quali espressione diretta del bene ad un ambiente salubre, diritto primario ed assoluto e, per questo, inviolabile. La disciplina introdotta dall'art. 311 comma 1, nel limitare la legittimazione ad agire rispetto a quella che discenderebbe dall'applicazione dei principi generali in materia di illecito, finisce per ledere lo stesso diritto all'ambiente, alla salute ed all'integrita' del paesaggio. Infatti si impedisce ai soggetti esponenziali delle rispettive comunita' che vivono nel territorio intaccato nella sua integrita' di farsi parte attiva nella richiesta di risarcimento del danno in forma specifica e per equivalente, relegando le loro istanze a corredo e pungolo dell'iniziativa statale, la quale procede tuttavia nelle sue determinazioni in maniera autonoma ed indipendente. L'eventuale inerzia statale nell'esercizio del diritto di agire in giudizio non e' evitabile ne' rimediabile. In tali casi, agli enti territoriali e' rimessa esclusivamente la possibilita' di chiedere i danni derivanti dall'inerzia, ma non certo di ottenere il risarcimento di quel danno ambientale che, nell'inerzia del suo unico titolare, restera' senza tutela. 14. La violazione appare tanto piu' evidente e per questo si profila anche l'irragionevolezza della stessa norma, laddove si consideri che i soggetti che la norma in oggetto intende escludere sono proprio quelli piu' vicini agli interessi concretamente lesi dal danno. La Regione e gli enti territoriali rappresentano un livello di amministrazione della cosa pubblica piu' vicino alle esigenze del territorio e della collettivita' di riferimento, con la conseguenza che essi, ancor prima dello Stato, sono i portatori delle istanze piu' radicate e forti ad un ambiente salubre in cui le persone auspicano di poter trascorrere una vita serena. Essi, proprio in quanto rappresentanti il livello di amministrazione piu' vicino al territorio ed alle persone che vi abitano, sono in grado di garantire un controllo del territorio maggiore ed un impulso piu' efficace alla sua tutela. Per questi motivi, si teme che limitare la legittimazione ad agire alla sola iniziativa statale produca un arretramento ingiustificato nella tutela giurisdizionale del diritto ad un ambiente salubre, in quanto depotenzia il ruolo di protezione e tutela storicamente personificato dagli enti territoriali e dalle comunita' locali, parti attrici fondamentali ed ineludibili proprio perche' direttamente interessate e coinvolte dalle negative ripercussioni provocate dall'illecito sulla vita quotidiana delle persone e portatrici delle istanze piu' forti e radicali al ripristino dell'integrita' ambientale perduta. L'arretramento cosi' determinato non sembra ispirato ad un proporzionato e ragionevole punto di equilibrio tra interessi contrapposti, quanto la conseguenza di un eccessivo ed ingiustificato sacrificio del diritto dei cittadini a vivere in un ambiente sano. 14. Anche se il dubbio di conformita' a Costituzione della scelta di escludere legittimazioni concorrenti a quella dello Stato dovesse essere fugato, non si puo' non evidenziare un ulteriore profilo critico della norma proprio alla luce dei caso concreto. Per comprenderne il motivo, occorre chiedersi quale rimedio appresta l'ordinamento nel caso in cui l'unico soggetto legittimato ad agire in via giurisdizionale per il risarcimento del danno ambientale sia allo stesso tempo il responsabile civile del danno. Nel caso specifico, per effetto della norma contestata, lo Stato in persona del Ministero dell'ambiente l'unico soggetto che sarebbe stato legittimato a chiedere il risarcimento del danno ambientale, sia in forma specifica che per equivalente, pur essendo chiamato, allo stesso tempo, a rispondere civilmente del danno. Viene il dubbio, allora, che chi rivesta al contempo il ruolo di unico attore e presumibile convenuto della domanda risarcitoria, sia in grado di agire efficacemente ed incondizionatamente per la tutela del diritto leso in presenza di interessi confliggenti e contrapposti, con la conseguenza che la decisione di chiedere o meno al giudice la condanna al risarcimento del danno rischi di essere il frutto di valutazioni di mera opportunita', e non di un apprezzabile e sincero bilanciamento dei valori primari in gioco. In questi casi, la presenza di un soggetto legittimato ad agire in sostituzione del soggetto titolare che non possa o non voglia agire, eviterebbe che il diritto all'ambiente venisse danneggiato ulteriormente - oltre al danno ambientale gia' verificatosi - dalla eventuale inerzia del soggetto chiamato in via principale a difenderlo. Sotto questo profilo, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali sopra richiamati di cui agli articoli 2, 3, 9, 24 e 32, e del parametro della ragionevolezza, e per gli stessi motivi, si dubita della legittimita' dell'art. 311 comma 1 cit. nella parte in cui non prevede una legittimazione ad agire in via sostitutiva e surrogatoria delle regioni e degli enti locali minori, capace di scongiurare l'inerzia statale, nel caso in cui lo Stato sia al contempo responsabile civile del danno o comunque rivesta posizioni giuridiche che in concreto confliggono con la tutela dell'ambiente.
P.Q.M. Visto l'art. 23 L. 11 marzo 1953 n. 87; Rimette alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 311 comma 1 decreto legislativo n. 152/2006, nella parte in cui attribuisce al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e per esso allo Stato la legittimazione all'esercizio dell'azione per il risarcimento del danno ambientale, escludendo la legittimazione concorrente o sostitutiva della regione e degli enti locali sul cui territorio si e' verificato il danno, in relazione agli articoli 2, 3, 9, 24, e 32 della Costituzione ed al parametro della ragionevolezza. Sospende il procedimento ed ai sensi dell'art. 159 c.p. il corso della prescrizione. Dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che l'ordinanza sia notificata alle parti in causa, al pubblico ministero ed al Presidente del Consiglio dei ministri nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Lanusei, 18 dicembre 2014 Il Giudice: Caschili