N. 127 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 novembre 2014
Ordinanza del 17 novembre 2014 del Tribunale di Bari nel procedimento penale a carico di Arminio Erminio. Processo penale - Misure cautelari - Criteri di scelta delle misure - Obbligatorieta' della custodia cautelare in carcere quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in relazione al delitto di cui all'art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006 (attivita' organizzate per il traffico illecito di rifiuti), salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari - Mancata previsione della salvezza dell'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure - Ingiustificata parificazione della posizione del partecipe ad attivita' organizzate per il traffico illecito di rifiuti con i partecipi all'associazione di cui all'art. 416-bis cod. pen. - Irragionevole assoggettamento a un medesimo regime cautelare delle diverse ipotesi concrete riconducibili ai paradigmi punitivi considerati - Contrasto con i principi di inviolabilita' della liberta' personale e di non colpevolezza sino alla sentenza di condanna definitiva. - Codice di procedura penale, art. 275, comma 3, come modificato dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38. - Costituzione, artt. 3, 13, primo comma, e 27, comma secondo.(GU n.26 del 1-7-2015 )
TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI BARI III Sezione Penale Il Tribunale, in funzione ex art. 310 c.p.p.; Riunito in Camera di consiglio nelle persone dei signori magistrati: Dott. Francesca La Malfa, Presidente - Dott. Maria Teresa Romita, Giudice relatore - Dott. Ida Iura, Giudice. Per deliberare sull'appello, depositato in Cancelleria in data 11 luglio 2014, interposto nell'interesse di Arminio Erminio, nato a Avellino il 17 aprile 1977, avverso l'ordinanza emessa in data 4 giugno 2014 dal GIP del Tribunale di Bari, reiettiva dell'istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare carceraria in atto nei confronti del predetto, ristretto per il seguente reato: Gerio Ciaffa, Erminio Arminio, Marco Specchio Difonzo, Pasquale Martino Di Ieso, Zenga Giuseppe, Gianluca Cantarelli, Giuseppe Francesco Caruso, Tommaso Bruno, Luca Pipoli, Michele Brandonisio, Donato Petronzi, Giuseppe Gammarota, Francesco Di Leno, Donato Del Grosso, Claudio Durante, Francesco Pelullo, Giuseppe De Nittis, unitamente a Pasquale Del Grosso (deceduto): A) delitto di cui agli artt. 110 c.p. e 260 d.lgs. 152/06 perche', in concorso tra loro e con ripartizione delle modalita' esecutive della condotta, al fine di conseguire l'ingiusto profitto rappresentato dal risparmio di spesa derivante dalla mancata attivazione delle corrette procedure di gestione dei rifiuti prescritte dalla legge, con piu' operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi ed attivita' continuative organizzate, gestivano abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti speciali (non inferiori a 5.400 tonnellate di frazione umida e 3.550,35 di frazione secca) conferiti da ditte campane (Sele Ambiente, Gesia, ILSIDE), trasportandoli e smaltendoli illecitamente nelle province di Foggia, della BAT, di Benevento e Potenza, secondo una duplice modalita': La frazione secca veniva conferita alla "SPAZIO VERDE PLUS" Societa' Cooperativa di Carapelle (FG) e dopo essere stata trasportata presso l'impianto di stoccaggio di Foggia veniva gradualmente smaltita illecitamente (mediante abbandono) in cave abbandonate di Trani e Poggio Imperiale nonche' in terreni agricoli ed aree protette in agro delle provincie di Foggia, Potenza e Benevento, utilizzando come base operativa per gli smaltimenti illeciti l'area di parcheggio di Carapelle (FG) della societa' ECOBALL BAT; La frazione umida veniva conferita all'impianto di compostaggio "BIOCOMPOST IRPINO SRL" di Bisaccia (Avellino), ove il rifiuto, in tempo reale e senza subire alcun trattamento, veniva semplicemente triturato e miscelato, per poi essere trasportato (con DDT che ne attestavano falsamente la natura di "ammendante compostato misto" ed in assenza, quindi, della prescritta documentazione per il trasporto dei rifiuti) e smaltito all'interno di una ex cava dell'EDIL C. di Ordona (ove era in corso un ripristino ambientale); Con i seguenti ruoli: Pasquale Del Grosso sovrintendeva e coordinava il traffico illecito, avendo rapporti diretti con le imprese campane che conferivano i rifiuti (Sele Ambiente, Ilside e Gesia), gestendo direttamente il filone correlato al trasporto e allo smaltimento illecito della frazione secca e cooperando, mediante stabili contatti con Erminio Arminio e Ciaffa Gerio, alla gestione illecita della frazione umida; Gerio Ciaffa, amministratore di fatto dell'Edil C e della PL Trasporti, concorreva nel traffico illecito, attraverso l'utilizzo dei complessi aziendali relativi alle due imprese sopra indicate, occupandosi della direzione, del coordinamento, del trasporto e dello smaltimento illecito della frazione umida presso l'ex cava dell'Edil C. in Ordona e fornendo, all'occorrenza, supporto operativo al trasporto e allo smaltimento illecito della frazione secca; Giuseppe De Nittis, amministratore di diritto della Edil C, concorreva nel traffico illecito, mettendo consapevolmente a disposizione dell'organizzazione il complesso aziendale della predetta impresa, con riferimento alla fase di smaltimento illecito della frazione umida presso l'ex cava dell'Edil C. in Ordona; Arminio Erminio e Pasquale Martino Di Ieso, rispettivamente amministratore e responsabile dei flussi della Biocompost Irpino srl, concorrevano nel traffico illecito, mettendo consapevolmente e stabilmente a disposizione dell'organizzazione lo stabilimento di Bisaccia della Biocompost, ove i rifiuti umidi venivano inizialmente portati per poi essere messi in circolazione come comnpost - ancorche' il rifiuto non subisse alcun tipo di trattamento di compostaggio ma fosse unicamente triturato e miscelato- per poi essere trasportati presso l'ex cava della Edil C., ove venivano illecitamente smaltiti; Michele Brandonisio, amministratore della Ecoball Bat, concorreva nel traffico illecito, mettendo consapevolmente e stabilmente a disposizione dell'organizzazione il compresso aziendale della Ecoball Bat e, in particolare, l'area immobiliare di sua proprieta' in Carapelle, ufficialmente indicata come sede della Ecoball Bat, ma, in realta' utilizzata esclusivamente come base operativa del traffico illecito riguardante la frazione secca; Gianluca Cantarelli, Giuseppe Zenga, Francesco Giuseppe Caruso, Tommaso Bruno, Luca Pipoli, Francesco Di Leno e Donato Del Grosso, tutti nella qualita' di autisti, concorrevano nel traffico illecito occupandosi consapevolmente e stabilmente, in qualita' di autotrasportatori, della conduzione dei camion con cui si effettuava il trasporto e lo smaltimento illecito dei rifiuti; Donato Petronzi, titolare dell'ominma ditta individuale, concorreva nel traffico illecito, mettendo consapevolmente e stabilmente a disposizione dell'organizzazione, con particolare riferimento alla fase del trasporto e dello smaltimento illecito della c.d. frazione secca, i camion aziendali e la sua licenza per il trasporto dei rifiuti per conto terzi; Claudio Durante e Francesco Pelullo, concorrevano nel traffico illecito, mettendo consapevolmente e stabilmente a disposizione dell'organizzazione i terreni di cui avevano il possesso per effettuare gli sversamenti illeciti della frazione secca del rifiuto oggetto del traffico illecito; In Ordona (FG), Carapelle (FG) ed altri luoghi da febbraio 2013 con perdurante attualita'. Letti gli atti, pervenuti in Cancelleria in data 14 luglio 2014; Ascoltato il giudice relatore; Visti i motivi di gravame, assente il difensore; Sciogliendo la riserva di cui al verbale di udienza. Premette Con l'impugnata ordinanza il Gip del Tribunale di Bari rigettava l'istanza di revoca della misura cautelare carceraria in atto nei confronti di Erminio Arminio,- ristretto in forza di ordinanza notificata in data 11 aprile 2014 quale organizzatore, in concorso con altri, di un traffico illecito di rifiuti operante Ordona (Fg), Carapelle (Fg) ed altri luoghi da febbraio 2013 con perdurante attualita- per la permanenza delle esigenze cautelari gia' evidenziate nell'ordinanza impositiva della misura, sulla scorta del preliminare ed assorbente profilo dell'impossibilita' di sostituire la misura in atto ai sensi dell'art. 275, 3 comma, c.p.p., nonche' per le condizioni soggettive dell'indagato che non consentivano di ritenere cessate le esigenze di cautele come gia' ravvisate nell'ordinanza applicativa della misura (inquinamento probatorio e pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie anche attraverso diverse strutture aziendali). Avverso l'ordinanza del 4 giugno 2014 interponeva appello ex art. 310 c.p.p. la difesa dell'Arminio deducendo: 1)l'incostituzionalita' dell'art. 275, comma 3, c.p.p.; 2) l'insussistenza delle esigenze cautelari ex art. 274 c.p.p., 3) la violazione dei criteri di scelta delle misure cautelari ex art. 275 c.p.p. Instava quindi la difesa per la preliminare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 275 c.p.p. per contrasto con gli artt. 13 comma l e 27 comma 2 Cost.; in subordine si riportava ai motivi di appello ed instava per la sostituzione della misura in atto con quella degli arresti domiciliari. Osserva Ritiene questo Collegio che non e' manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 3, 13 e 27, secondo comma, della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 275, comma 3, del codice di procedura penale nella parte in cui prescrivendo che «quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater....e' applicata la misura cautelare della custodia in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari", non fa salva l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure, e cio' in particolar modo in relazione al reato di cui all'art. 260 d.lgs. 152/06, reato contestato all'odierno appellante e rientrante tra quelli che la disposizione di cui all'art. 51 comma 3-bis c.p.p., attribuisce tassativamente alla competenza funzionale della DDA. In primis va rilevato che la proposta questione di legittimita' costituzionale e' rilevante nel presente procedimento. Arminio Erminio e' sottoposto alla misura carceraria dal mese di aprile 2014. Ritiene il Tribunale che sussistono ancora le esigenze cautelari in considerazione del ruolo determinante che l'Arminio ha rivestito nella vicenda consentendo che l'impianto di Bisaccia, fosse destinato esclusivamente a luogo di passaggio temporaneo di rifiuti, senza alcuna modificazione degli stessi, con il conseguente accumulo continuato e indiscriminato di rifiuti e la sicura alterazione del terreno interessato (la cava di Ordona) e degli altri componenti naturali esistenti nella zona, -ove sono avvenuti gli interramenti di consistenti quantitativi di rifiuti, solo apparentemente trattati dalla societa' gestita dall'Arminio. Tuttavia la necessita' di un complesso apparato organizzativo la cui disponibilita' e' necessaria per la realizzazione delle condotte illecite contestate, unitamente alla personalita' del prevenuto che a suo carico ha un solo precedente penale non specifico commesso nel 2001; sono circostanze che induco a far ritenere attualmente la misura cautelare degli arresti domiciliari adeguata a prevenire il pericolo di reiterazione di fatti di reato del tipo di quali si procede, dovendosi escludere che una volta ristretto nella propria abitazione l'Arminio possa mettere nuovamente a disposizione le proprie capacita' tecniche e di gestione in favore del gruppo criminale di riferimento. Tuttavia, partendo dalla sussistenza attuale delle esigenze cautelari, l'applicazione al caso concreto dell'art. 275, comma 3 del codice di procedura penale, che prescrive che quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine, tra gli altri, al delitto di cui all'art. 260 d.lgs. n. 152/2006 per effetto del richiamo "mediato" alla norma processuale di cui all'art. 51, comma 3-bis, c.p.p., e' applicata la misura cautelare della custodia in carcere, impone il mantenimento della misura cautelare in atto a carico di Arminio Erminio. Va quindi affermato che il presente procedimento non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della prospettata questione di legittimita' costituzionale. Sul punto preliminarmente, va ribadito che, cosi' come affermato dalla Corte costituzionale, deve escludersi la praticabilita', nel caso in esame, di un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma sospettata di illegittimita' costituzionale. Infatti, la Corte ha piu' volte affermato che «l'univoco tenore della norma segna il confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimita' costituzionale» (sentenza n. 78 del 2012) e, a proposito della presunzione assoluta dettata dall'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. , ha gia' ritenuto che «le parziali declaratorie di illegittimita' costituzionale della norma impugnata, relative esclusivamente ai reati oggetto delle varie pronunce, non si possono estendere alle altre fattispecie criminose ivi disciplinate (sentenza n. 110 del 2012). Fatta questa premessa va detto che la Corte costituzionale, con l'ordinanza n. 450 del 1995 ha statuito la piena compatibilita' della richiamata presunzione con i principi costituzionali, rilevando che la scelta del tipo di misura non implica necessariamente l'attribuzione al giudice di un potere di apprezzamento in concreto, perche' ben puo' essere oggetto di una valutazione in termini generali del legislatore, «nel rispetto della ragionevolezza della scelta e del corretto bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti»; il Giudice delle leggi ha sostenuto che ricade nell'ambito della discrezionalita' legislativa l'individuazione dei punti di equilibrio tra diverse esigenze, e in particolare tra quella della minore possibile restrizione della liberta' personale e quella della tutela degli interessi costituzionali presidiati attraverso la previsione degli strumenti cautelari. Muovendo da tali premesse, si e' ritenuto che la predeterminazione in linea generale dell'area dei delitti di criminalita' organizzata di tipo mafioso, per l'operativita' della presunzione di adeguatezza della custodia cautelare carceraria, rendesse-manifesta la non irragionevolezza dell'esercizio della discrezionalita' legislativa, atteso il coefficiente di pericolosita' per le condizioni di base della convivenza e della sicurezza collettiva che agli illeciti di quel genere e' connaturato: non puo', infatti, dirsi che sia soluzione costituzionalmente obbligata l'affidamento sempre e comunque al giudice della fissazione del punto di equilibrio e contemperamento tra il sacrificio della liberta' personale e gli opposti interessi collettivi, anch'essi di rilievo costituzionale. La deroga, costituita dalle presunzioni di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della misura carceraria per i delitti di mafia in senso stretto, ha in seguito superato anche il vaglio della Corte Europea dei diritti dell'uomo, la quale ha ritenuto che la disciplina derogatoria in esame appariva giustificabile alla luce «della natura specifica del fenomeno della criminalita' organizzata e soprattutto di quella di stampo mafioso», e segnatamente in considerazione del fatto che la carcerazione provvisoria delle persone accusate del delitto in questione «tende a tagliare i legami esistenti tra le persone interessate e il loro ambito criminale di origine, al fine di minimizzare il rischio che esse mantengano contatti personali con le strutture delle organizzazioni criminali e possano commettere nel frattempo delitti» (sentenza 6 novembre 2003, Pantano c. Italia). Ebbene, le conclusioni alle quali e' giunta la Corte costituzionale con l'ordinanza n. 450 del 1995, che statuiva la piena compatibilita' della presunzione in argomento con i principi costituzionali in relazione all'art. 416-bis, hanno subito una rimeditazione alla luce della pluralita' di interventi attraverso i quali la stessa Corte costituzionale ha recentemente ridisegnato i confini delle presunzioni in materia cautelare (il cui ambito applicativo era stato ampliato, ben oltre il settore della criminalita' mafiosa, dall'intervento normativo sulla sicurezza settore della criminalita' mafiosa, dall'intervento normativo sulla sicurezza pubblica, vale a dire dal decreto-legge n. l l del 2009, convertito con modifiche, con legge n. 38 del 2009). In particolare la Corte costituzionale con sentenza n. 231 del 2011 ha dichiarato la illegittimita' dell'art. 275, comma 3, del codice di rito, nella parte concernente il riferimento ai Procedimenti per il delitto di cui all'art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990. La Corte ha ritenuto che per tale delitto la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia carceraria e' stata considerata non rispondente a un dato di esperienza generalizzato, ricollegabile alla struttura stessa e alle connotazioni criminologiche della figura criminosa, pur se essa presuppone uno stabile vincolo di appartenenza a un sodalizio criminoso. Con tale sentenza e' stato precisato che il delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope si concretizza in una forma speciale del delitto di associazione per delinquere, qualificata unicamente dalla natura dei reati-fine, che non postula necessariamente la creazione di una struttura complessa e gerarchicamente ordinata, essendo sufficiente una qualunque organizzazione, anche rudimentale, di attivita' personali e di mezzi economici, benche' semplici ed elementari. Detta figura criminosa, ha osservato ancora la Corte costituzionale, si presta, pertanto, a qualificare penalmente fatti e situazioni in concreto i piu' diversi ed eterogenei, trattandosi di fattispecie, per cosi' dire "aperta" si' che non e' possibile enucleare una regola di esperienza, ricollegabile ragionevolmente a tutte le "connotazioni criminologiche" del fenomeno, secondo cui la custodia carceraria sarebbe l'unico strumento idoneo a fronteggiare le esigenze cautelari. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 110 del 2012, e' intervenuta con una ulteriore (parziale) declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., con specifico riferimento alla fattispecie di cui all'art. 416 cod. pen. realizzata allo scopo di commettere i delitti previsti dagli artt. 473 e 474 dello stesso codice, facendo cosi' venir meno la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in Carcere per tale reato associativo. Nel riprendere le argomentazioni delle precedenti pronunce, la Corte ha significativamente precisato che anche per la fattispecie presa in esame puo' dirsi che mancano quelle connotazioni normative (forza intimidatrice del vincolo associativo e condizione di assoggettamento ed omerta') proprie dell'associazione di' tipo mafioso e in grado di fornire una congrua base statistica alla presunzione assoluta di adeguatezza. Con tale decisione, la stessa Corte ha definito «particolarmente significativa» la propria sentenza n. 231 del 2011, con la quale e' stata dichiarata illegittima la presunzione in argomento in riferimento ad una fattispecie associativa (art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990), ed ha evidenziato che nell'occasione e' stato in particolare sottolineato che il delitto di associazione di tipo mafioso e' «normativamente connotato - di riflesso ad un dato empirico-sociologico - come quello in cui il vincolo associativo esprime una forza di intimidazione e condizioni di assoggettamento e di omerta', che da quella derivano, per conseguire determinati fini illeciti. Caratteristica essenziale e' proprio tale specificita' del vincolo, che, sul piano concreto, implica ed e' suscettibile di produrre, da un lato, una solida e permanente adesione tra gli associati, una rigida organizzazione gerarchica, una rete di collegamenti e un radicamento territoriale e, dall'altro, una diffusivita' dei risultati illeciti, a sua volta produttiva di accrescimento della forza intimidatrice del sodalizio criminoso. Sono tali peculiari connotazioni a fornire una congrua «base statistica» alla presunzione considerata, rendendo ragionevole la convinzione che, nella generalita' dei casi, le esigenze cautelari derivanti dal delitto in questione non possano venire adeguatamente fronteggiate se non con la misura carceraria. Come si vede la Suprema Corte ha valorizzato nei casi appena descritti» circostanza che oggetto delle pronunce erano delle associazioni a delinquere in relazione alle quali il vincolo di appartenenza alla organizzazione malavitosa non poteva ritenersi di per se' solo idoneo a giustificare la presunzione assoluta di adeguatezza della piu' affittiva misura cautelare, in assenza delle altre connotazioni specifiche del legame che caratterizza gli appartenenti ad un'associazione di tipo mafioso. Appare assolutamente rilevante, inoltre, la motivazione della sentenza n. 57 del 2013 con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato «l'illegittimita' costituzionale dell'art. 275, comma 3, secondo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonche' in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui - nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo, e' applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari - non fa salva, altresi', l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure». Nella motivazione della sentenza si legge che «la congrua "base statistica" della presunzione in questione e' collegata all'appartenenza ad associazioni di tipo mafioso» (sentenza n. 265 del 2010) e, pertanto, «una fattispecie che, anche se collocata in un contesto mafioso, non presupponga necessariamente siffatta "appartenenza" non assicura alla presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere un fondamento giustificativo costituzionalmente valido»; la Corte ha, quindi, affermato che «...la finalizzazione della condotta criminosa all'agevolazione di un'associazione mafiosa non costituisce una condotta equiparabile necessariamente, ai fini della presunzione in questione, alla partecipazione all'associazione, ed e' a questa partecipazione che e' collegato il dato empirico, ripetutamente constatato, della inidoneita' del processo, e delle stesse misure cautelari, a recidere il vincolo associativo e a far venir meno la connessa attivita' collaborativa, sicche', una volta riconosciuta la perdurante pericolosita' dell'indagato o dell'imputato del delitto previsto dall'art. 416-bis cod. pen., e' legittimo presumere che solo la custodia in carcere sia idonea a contrastarla efficacemente». Ne consegue che la presunzione assoluta sulla quale fa leva il regime cautelare speciale «non risponda, con riferimento ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis cod. pen. o al fine di agevolare le attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo, a dati di esperienza generalizzati, essendo "agevole" formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa. Infatti, la possibile estraneita' dell'autore di tali delitti a un'associazione di tipo mafioso fa escludere che si sia sempre in presenza di un "reato che implichi o presupponga necessariamente un vincolo di appartenenza permanente a un sodalizio criminoso con accentuate caratteristiche di pericolosita' - per radicamento nel territorio, intensita' dei collegamenti personali e forza intimidatrice - vincolo che solo la misura piu' severa risulterebbe, nella generalita' dei casi, in grado di interrompere» (sentenza n. 164 del 2011). Se, come si e' visto, la congrua "base statistica" della presunzione in questione e' collegata all'«appartenenza ad associazioni di tipo mafioso» (sentenza n. 265 del 2010), una fattispecie che, anche se collocata in un contesto mafioso, non presupponga necessariamente siffatta "appartenenza" non assicura alla presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere un fondamento giustificativo costituzionalmente valido»... Fatte queste premesse va quindi esaminata la figura del concorrente nel delitto di cui all'art. 260 d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 che sanziona "Attivita' organizzate per il traffico illecito di rifiuti" e che prevede la condotta di "Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con piu' operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attivita' continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti e' punito con la reclusione da uno a sei anni....". Trattasi di organizzazione caratterizzata dall'allestimento di mezzi e attivita' continuative e per il compimento di piu' operazioni finalizzate alla gestione abusiva di rifiuti cosi' da esporre a pericolo la pubblica incolumita' e la tutela dell'ambiente. La terminologia "comunque gestisce abusivamente'' individua evidentemente una fattispecie molto ampia, atteso che la condotta si riferisce a qualsiasi gestione abusiva di rifiuti, intesa con riferimento alla necessita' di ricomprendere qualsiasi attivita' abusiva inerente i rifiuti che si connoti nei termini anzidetti. In relazione poi all'elemento costitutivo degli "ingenti quantitativi di rifiuti" il termine "ingente" deve riferirsi all'attivita' abusiva nel suo complesso, ovvero al quantitativo di rifiuti complessivamente gestito attraverso la pluralita' di operazioni, che considerate singolarmente potrebbero anche essere qualificate quali modeste. Cio' posto, le considerazioni svolte in relazione al reato di cui all'art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 o all'associazione per delinquere prevista dall'art. 416 c.p. ben possono valere per la fattispecie in questione ove rileva unicamente una struttura organizzata finalizzata alla gestione abusiva di rifiuti, struttura che puo' quindi essere di svariate dimensioni. La Corte costituzionale, d'altro cqnto ha avuto modo di precisare come la presunzione assoluta in esame valida in rapporto al delitto di associazione di tipo mafioso, si giustifica alla luce ''non del mero vincolo associativo a scopi criminosi, quanto piuttosto delle particolari caratteristiche che esso assume nella cornice di detta lattispecie" (sentenze n. 164 del 2001 e n. 265 del 2010). Da cio' si trae la logica conseguenza che il delitto di cui all'art. 260 d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 difettando di quelle peculiari caratteristiche che connotano l'associazione di tipo mafioso, non puo' assoggettarsi allo stessa presunzione cautelare ravvisandosi invece per tale fattispecie criminosa le stesse argomentazioni poste a fondamento delle decisioni con le quali la Corte Cost. ha dichiarata l'illeggittimita' costituzionale dell'art. 275, comma 3, secondo periodo, c.p.p. nella parte in cui "non fa salva, altresi', l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure". Diversamente, si finirebbe con il parificare sotto il profilo del disvalore sociale e giuridico manifestazioni delittuose da considerarsi, per le ragioni sopra descritte, in maniera differente sia con riferimento alla loro portata criminale sia con riferimento alla pericolosita' dell'agente, circostanza che attiene alla violazione dell'art. 3 Cost.; verrebbe, in altri termini, sottratto al giudice il potere di adeguare .1a misura al caso concreto, sicche', in violazione del principio di uguaglianza, la norma Si risolverebbe nel parificare con una uguale risposta cautelare situazioni che, sotto il profilo oggettivo e soggettivo devono essere considerate diversamente. Inoltre, dalla lettura combinata degli artt. 13 e 27 Cost. emerge l'esigenza di circoscrivere allo strettamente necessario le misure limitative della liberta' personale, attribuendo alla custodia in carcere il connotato del rimedio estremo, laddove la norma censurata stabilirebbe un automatismo applicativo tale da rendere inoperanti i criteri di proporzionalita' e di adeguatezza. Alla stregua di tutte le argomentazioni sin qui svolte, deve conclusivamente dichiararsi rilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 275, comma 3, secondo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall'art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonche' in tema di atti-persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui - nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all'art. 260 d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (reato contestato nella concreta fattispecie), e' applicata la custodia cautelare in carcere, salvo' che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari - non fa salva, altresi', l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. Va precisato che la norma appare essere, per i profili enunciati, viziata da illegittimita' Costituzionale in relazione ai seguenti articoli della Costituzione: art. 3, per l'ingiustificata parificazione della posizione del partecipe ad "attivita' organizzate per il traffico illecito di rifiuti" con i partecipi all'associazione di. cui all'art. 416-bis c.p. nonche' per l'irrazionale assoggettamento ad un medesimo regime cautelare delle diverse ipotesi concrete riconducibili ai paradigmi punitivi considerati; art. 13, primo comma, quale referente fondamentale del regime ordinario delle. misure cautelari privative della liberta' personale: art. 27, secondo comma, con riferimento all'attribuzione alla coercizione personale di tratti funzionali tipici della pena. A norma dell'art. 23 della legge 1l marzo 1953, n. 87, deve dichiararsi la sospensione del procedimento e deve disporsi l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ferma restando la misura cautelare in atto. La Cancelleria provvedera' alla notifica di copia della presente ordinanza alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri ed alla comunicazione della stessa ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
P.Q.M. Pronunciando sulla richiesta di appello depositata in data 11 luglio 2014 dal difensore di Arminio Erminio, avverso l'ordinanza, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Bari in data 4 giugno 2014, di rigetto di revoca della misura cautelare della custodia in carcere; Visti gli artt. 1 Legge Cost. 9 febbraio 1948 n. 1 e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; Solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 275, comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen., in riferimento agli arti. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, Cost.; Riservata ogni decisione nel presente giudizio alla pronunzia della Corte; Ordina la trasmissione degli atti all'Ecc.ma Corte costituzionale, affinche' si pronunzi sulla costituzionalita' dell'art. 275, comma 3, del codice di procedura penale, come modificato dall'art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonche' in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui non consente di applicare la misura degli arresti domiciliari, o altra misura cautelare comunque meno afflittiva della custodia in carcere, in relazione al delitto di cui all'art. 260, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). Dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Pubblico Ministero e alle altre parti. Dispone la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri. Dispone che la presente ordinanza sia comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Manda alla cancelleria per gli adempimenti. Cosi' deciso in Bari il 6 ottobre 2014 Il Presidente: La Malfa Il Giudice estensore: Romita