N. 127 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 novembre 2014

Ordinanza del 17 novembre 2014 del Tribunale di Bari nel procedimento
penale a carico di Arminio Erminio. 
 
 Processo penale - Misure cautelari - Criteri di scelta delle  misure
  -  Obbligatorieta'  della  custodia  cautelare  in  carcere  quando
  sussistono gravi indizi di colpevolezza in relazione al delitto  di
  cui all'art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006 (attivita'  organizzate
  per il traffico illecito di rifiuti),  salvo  che  siano  acquisiti
  elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari  -
  Mancata  previsione  della  salvezza  dell'ipotesi  in  cui   siano
  acquisiti elementi specifici, in relazione al  caso  concreto,  dai
  quali risulti che le esigenze cautelari possono essere  soddisfatte
  con altre misure - Ingiustificata parificazione della posizione del
  partecipe ad attivita' organizzate  per  il  traffico  illecito  di
  rifiuti con i partecipi all'associazione di  cui  all'art.  416-bis
  cod. pen. - Irragionevole  assoggettamento  a  un  medesimo  regime
  cautelare delle diverse ipotesi concrete riconducibili ai paradigmi
  punitivi considerati - Contrasto con i principi  di  inviolabilita'
  della liberta' personale e di non colpevolezza sino  alla  sentenza
  di condanna definitiva. 
- Codice di procedura penale, art.  275,  comma  3,  come  modificato
  dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 23 febbraio  2009,  n.  11,
  convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38. 
- Costituzione, artt. 3, 13, primo comma, e 27, comma secondo. 
(GU n.26 del 1-7-2015 )
 
                  TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI BARI 
                         III Sezione Penale 
 
    Il Tribunale, in funzione ex art. 310 c.p.p.; 
    Riunito  in  Camera  di  consiglio  nelle  persone  dei   signori
magistrati: Dott. Francesca La Malfa, Presidente - Dott. Maria Teresa
Romita, Giudice relatore - Dott. Ida Iura, Giudice. 
    Per  deliberare  sull'appello, depositato   in   Cancelleria   in
data 11 luglio 2014, interposto nell'interesse  di  Arminio  Erminio,
nato a Avellino il 17 aprile  1977,  avverso  l'ordinanza  emessa  in
data 4  giugno  2014  dal  GIP  del  Tribunale  di  Bari,   reiettiva
dell'istanza  di  revoca  o  sostituzione  della   misura   cautelare
carceraria in atto nei  confronti  del  predetto,  ristretto  per  il
seguente  reato:  Gerio  Ciaffa,  Erminio  Arminio,  Marco   Specchio
Difonzo,  Pasquale  Martino  Di  Ieso,   Zenga   Giuseppe,   Gianluca
Cantarelli, Giuseppe Francesco Caruso, Tommaso  Bruno,  Luca  Pipoli,
Michele Brandonisio, Donato Petronzi, Giuseppe  Gammarota,  Francesco
Di Leno, Donato  Del  Grosso,  Claudio  Durante,  Francesco  Pelullo,
Giuseppe De Nittis, unitamente a Pasquale Del Grosso (deceduto): 
        A) delitto di cui agli artt. 110 c.p.  e  260  d.lgs.  152/06
perche', in concorso tra loro  e  con  ripartizione  delle  modalita'
esecutive della condotta, al fine di conseguire  l'ingiusto  profitto
rappresentato  dal  risparmio  di  spesa  derivante   dalla   mancata
attivazione  delle  corrette  procedure  di  gestione   dei   rifiuti
prescritte  dalla   legge,   con   piu'   operazioni   e   attraverso
l'allestimento  di  mezzi  ed  attivita'  continuative   organizzate,
gestivano abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti speciali  (non
inferiori a 5.400 tonnellate di frazione umida e 3.550,35 di frazione
secca) conferiti da ditte campane  (Sele  Ambiente,  Gesia,  ILSIDE),
trasportandoli e smaltendoli illecitamente nelle province di  Foggia,
della BAT, di Benevento e Potenza, secondo una duplice modalita': 
          La frazione secca veniva conferita alla "SPAZIO VERDE PLUS"
Societa'  Cooperativa  di  Carapelle  (FG)  e   dopo   essere   stata
trasportata  presso  l'impianto  di  stoccaggio  di   Foggia   veniva
gradualmente smaltita  illecitamente  (mediante  abbandono)  in  cave
abbandonate di Trani e Poggio Imperiale nonche' in  terreni  agricoli
ed aree protette  in  agro  delle  provincie  di  Foggia,  Potenza  e
Benevento,  utilizzando  come  base  operativa  per  gli  smaltimenti
illeciti l'area  di  parcheggio  di  Carapelle  (FG)  della  societa'
ECOBALL BAT; 
          La  frazione  umida  veniva   conferita   all'impianto   di
compostaggio "BIOCOMPOST IRPINO SRL" di Bisaccia (Avellino),  ove  il
rifiuto, in tempo reale e  senza  subire  alcun  trattamento,  veniva
semplicemente triturato e miscelato, per poi essere trasportato  (con
DDT che ne attestavano falsamente la natura di "ammendante compostato
misto" ed in assenza, quindi, della prescritta documentazione per  il
trasporto  dei  rifiuti)  e  smaltito  all'interno  di  una  ex  cava
dell'EDIL C. di Ordona (ove era in corso un ripristino ambientale); 
    Con i seguenti ruoli: 
        Pasquale Del Grosso sovrintendeva e  coordinava  il  traffico
illecito,  avendo  rapporti  diretti  con  le  imprese  campane   che
conferivano i rifiuti  (Sele  Ambiente,  Ilside  e  Gesia),  gestendo
direttamente il filone correlato  al  trasporto  e  allo  smaltimento
illecito della frazione secca e cooperando, mediante stabili contatti
con Erminio Arminio e Ciaffa  Gerio,  alla  gestione  illecita  della
frazione umida; 
        Gerio Ciaffa, amministratore di fatto dell'Edil C e della  PL
Trasporti, concorreva nel traffico  illecito,  attraverso  l'utilizzo
dei complessi aziendali relativi alle  due  imprese  sopra  indicate,
occupandosi della direzione, del coordinamento, del trasporto e dello
smaltimento illecito della frazione umida presso l'ex cava  dell'Edil
C. in  Ordona  e  fornendo,  all'occorrenza,  supporto  operativo  al
trasporto e allo smaltimento illecito della frazione secca; 
        Giuseppe De Nittis, amministratore di diritto della  Edil  C,
concorreva  nel  traffico  illecito,   mettendo   consapevolmente   a
disposizione  dell'organizzazione  il   complesso   aziendale   della
predetta impresa, con riferimento alla fase di  smaltimento  illecito
della frazione umida presso l'ex cava dell'Edil C. in Ordona; 
        Arminio Erminio e Pasquale Martino Di  Ieso,  rispettivamente
amministratore e responsabile dei flussi della Biocompost Irpino srl,
concorrevano  nel  traffico  illecito,  mettendo  consapevolmente   e
stabilmente a disposizione  dell'organizzazione  lo  stabilimento  di
Bisaccia della Biocompost, ove i rifiuti umidi venivano  inizialmente
portati  per  poi  essere  messi  in  circolazione  come  comnpost  -
ancorche' il  rifiuto  non  subisse  alcun  tipo  di  trattamento  di
compostaggio ma fosse  unicamente  triturato  e  miscelato-  per  poi
essere trasportati presso l'ex  cava  della  Edil  C.,  ove  venivano
illecitamente smaltiti; 
        Michele  Brandonisio,  amministratore  della   Ecoball   Bat,
concorreva  nel  traffico  illecito,   mettendo   consapevolmente   e
stabilmente a disposizione dell'organizzazione il compresso aziendale
della Ecoball Bat  e,  in  particolare,  l'area  immobiliare  di  sua
proprieta' in  Carapelle,  ufficialmente  indicata  come  sede  della
Ecoball Bat, ma,  in  realta'  utilizzata  esclusivamente  come  base
operativa del traffico illecito riguardante la frazione secca; 
        Gianluca  Cantarelli,  Giuseppe  Zenga,  Francesco   Giuseppe
Caruso, Tommaso Bruno, Luca Pipoli, Francesco Di Leno  e  Donato  Del
Grosso, tutti nella qualita' di autisti,  concorrevano  nel  traffico
illecito occupandosi consapevolmente e stabilmente,  in  qualita'  di
autotrasportatori, della conduzione dei camion con cui si  effettuava
il trasporto e lo smaltimento illecito dei rifiuti; 
        Donato  Petronzi,  titolare  dell'ominma  ditta  individuale,
concorreva  nel  traffico  illecito,   mettendo   consapevolmente   e
stabilmente  a  disposizione  dell'organizzazione,  con   particolare
riferimento alla fase del  trasporto  e  dello  smaltimento  illecito
della c.d. frazione secca, i camion aziendali e la sua licenza per il
trasporto dei rifiuti per conto terzi; 
        Claudio  Durante  e  Francesco  Pelullo,   concorrevano   nel
traffico  illecito,  mettendo   consapevolmente   e   stabilmente   a
disposizione dell'organizzazione i terreni di cui avevano il possesso
per effettuare gli sversamenti  illeciti  della  frazione  secca  del
rifiuto oggetto del traffico illecito; 
    In Ordona (FG), Carapelle (FG) ed altri luoghi da  febbraio  2013
con perdurante attualita'. 
    Letti gli atti, pervenuti in Cancelleria in data 14 luglio 2014; 
    Ascoltato il giudice relatore; 
    Visti i motivi di gravame, assente il difensore; 
    Sciogliendo la riserva di cui al verbale di udienza. 
 
                              Premette 
 
    Con l'impugnata ordinanza il Gip del Tribunale di Bari  rigettava
l'istanza di revoca della misura cautelare  carceraria  in  atto  nei
confronti di  Erminio  Arminio,-  ristretto  in  forza  di  ordinanza
notificata in data 11 aprile 2014 quale  organizzatore,  in  concorso
con altri, di un traffico illecito di rifiuti operante  Ordona  (Fg),
Carapelle (Fg) ed  altri  luoghi  da  febbraio  2013  con  perdurante
attualita-  per  la  permanenza   delle   esigenze   cautelari   gia'
evidenziate nell'ordinanza impositiva della misura, sulla scorta  del
preliminare ed assorbente profilo dell'impossibilita'  di  sostituire
la misura in atto ai sensi dell'art. 275, 3  comma,  c.p.p.,  nonche'
per le condizioni soggettive dell'indagato che  non  consentivano  di
ritenere  cessate  le  esigenze  di  cautele  come   gia'   ravvisate
nell'ordinanza applicativa della misura  (inquinamento  probatorio  e
pericolo  di  reiterazione  di  delitti  della  stessa  specie  anche
attraverso diverse strutture aziendali). 
    Avverso l'ordinanza del 4 giugno 2014 interponeva appello ex art.
310 c.p.p. la difesa dell'Arminio deducendo:  1)l'incostituzionalita'
dell'art. 275, comma 3, c.p.p.;  2)  l'insussistenza  delle  esigenze
cautelari ex art. 274 c.p.p., 3) la violazione dei criteri di  scelta
delle misure cautelari ex art. 275 c.p.p. 
    Instava  quindi  la  difesa  per  la  preliminare  questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 275 c.p.p.  per  contrasto  con
gli artt. 13 comma l e 27 comma 2 Cost.; in subordine si riportava ai
motivi di appello ed instava per la sostituzione della misura in atto
con quella degli arresti domiciliari. 
 
                               Osserva 
 
    Ritiene questo Collegio che non e' manifestamente  infondata,  in
riferimento  agli  articoli  3,  13  e  27,  secondo   comma,   della
Costituzione, la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
275, comma 3, del codice di  procedura  penale  nella  parte  in  cui
prescrivendo che «quando sussistono gravi indizi di  colpevolezza  in
ordine ai delitti di cui all'art. 51, commi  3-bis  e  3-quater....e'
applicata la misura cautelare della custodia in  carcere,  salvo  che
siano  acquisiti  elementi  dai  quali  risulti  che  non  sussistono
esigenze cautelari", non fa salva l'ipotesi in  cui  siano  acquisiti
elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali  risulti
che le  esigenze  cautelari  possono  essere  soddisfatte  con  altre
misure, e cio' in particolar  modo  in  relazione  al  reato  di  cui
all'art. 260 d.lgs. 152/06, reato contestato all'odierno appellante e
rientrante tra quelli che la disposizione di cui  all'art.  51  comma
3-bis c.p.p., attribuisce tassativamente alla  competenza  funzionale
della DDA. 
    In primis va rilevato che la proposta questione  di  legittimita'
costituzionale e' rilevante nel presente procedimento. 
    Arminio Erminio e' sottoposto alla misura carceraria dal mese  di
aprile 2014. 
    Ritiene il Tribunale che sussistono ancora le esigenze  cautelari
in considerazione del ruolo determinante che l'Arminio  ha  rivestito
nella vicenda consentendo che l'impianto di Bisaccia, fosse destinato
esclusivamente a luogo di  passaggio  temporaneo  di  rifiuti,  senza
alcuna  modificazione  degli  stessi,  con  il  conseguente  accumulo
continuato e indiscriminato di rifiuti e la  sicura  alterazione  del
terreno interessato (la cava di  Ordona)  e  degli  altri  componenti
naturali esistenti nella zona, -ove sono avvenuti gli interramenti di
consistenti quantitativi di  rifiuti,  solo  apparentemente  trattati
dalla societa' gestita dall'Arminio. 
    Tuttavia la necessita' di un complesso apparato organizzativo  la
cui disponibilita' e' necessaria per la realizzazione delle  condotte
illecite contestate, unitamente alla personalita' del prevenuto che a
suo carico ha un solo precedente penale non  specifico  commesso  nel
2001; sono circostanze che  induco  a  far  ritenere  attualmente  la
misura cautelare degli arresti domiciliari adeguata  a  prevenire  il
pericolo di reiterazione di fatti di  reato  del  tipo  di  quali  si
procede, dovendosi escludere che una volta  ristretto  nella  propria
abitazione l'Arminio  possa  mettere  nuovamente  a  disposizione  le
proprie capacita'  tecniche  e  di  gestione  in  favore  del  gruppo
criminale di riferimento. 
    Tuttavia,  partendo  dalla  sussistenza  attuale  delle  esigenze
cautelari, l'applicazione al caso concreto dell'art. 275, comma 3 del
codice di procedura penale, che prescrive che quando sussistono gravi
indizi di colpevolezza in ordine, tra gli altri, al  delitto  di  cui
all'art. 260 d.lgs. n. 152/2006 per effetto  del  richiamo  "mediato"
alla norma processuale di cui all'art. 51,  comma  3-bis,  c.p.p., e'
applicata la misura cautelare della custodia in  carcere,  impone  il
mantenimento della misura cautelare  in  atto  a  carico  di  Arminio
Erminio. 
    Va quindi affermato che il presente procedimento non puo'  essere
definito  indipendentemente  dalla  risoluzione   della   prospettata
questione di legittimita' costituzionale. 
    Sul punto preliminarmente, va ribadito che, cosi' come  affermato
dalla Corte costituzionale, deve escludersi  la  praticabilita',  nel
caso in esame,  di  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata
della norma sospettata di illegittimita' costituzionale. Infatti,  la
Corte ha piu' volte affermato che «l'univoco tenore della norma segna
il confine in presenza del quale  il  tentativo  interpretativo  deve
cedere  il  passo  al  sindacato  di   legittimita'   costituzionale»
(sentenza n. 78 del 2012) e, a proposito della  presunzione  assoluta
dettata dall'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. ,  ha  gia'  ritenuto
che «le parziali declaratorie di illegittimita' costituzionale  della
norma impugnata, relative esclusivamente ai reati oggetto delle varie
pronunce, non si possono estendere alle altre  fattispecie  criminose
ivi disciplinate (sentenza n. 110 del 2012). 
    Fatta questa premessa va detto che la Corte  costituzionale,  con
l'ordinanza n. 450 del 1995 ha statuito la piena compatibilita' della
richiamata presunzione con i principi costituzionali,  rilevando  che
la  scelta  del  tipo   di   misura   non   implica   necessariamente
l'attribuzione al giudice di un potere di apprezzamento in  concreto,
perche' ben  puo'  essere  oggetto  di  una  valutazione  in  termini
generali del legislatore, «nel rispetto  della  ragionevolezza  della
scelta  e  del  corretto  bilanciamento  dei  valori   costituzionali
coinvolti»;  il  Giudice  delle  leggi  ha   sostenuto   che   ricade
nell'ambito della discrezionalita' legislativa  l'individuazione  dei
punti di equilibrio tra diverse esigenze, e in particolare tra quella
della minore possibile restrizione della liberta' personale e  quella
della tutela degli interessi costituzionali presidiati attraverso  la
previsione degli strumenti  cautelari.  Muovendo  da  tali  premesse,
si e' ritenuto che la predeterminazione in linea  generale  dell'area
dei  delitti  di  criminalita'  organizzata  di  tipo  mafioso,   per
l'operativita'  della  presunzione  di  adeguatezza  della   custodia
cautelare  carceraria,  rendesse-manifesta  la  non  irragionevolezza
dell'esercizio  della   discrezionalita'   legislativa,   atteso   il
coefficiente  di  pericolosita'  per  le  condizioni  di  base  della
convivenza e della sicurezza collettiva che  agli  illeciti  di  quel
genere e' connaturato: non puo', infatti,  dirsi  che  sia  soluzione
costituzionalmente  obbligata  l'affidamento  sempre  e  comunque  al
giudice della fissazione del punto di  equilibrio  e  contemperamento
tra il sacrificio della liberta' personale e  gli  opposti  interessi
collettivi, anch'essi di rilievo costituzionale. 
    La deroga, costituita  dalle  presunzioni  di  sussistenza  delle
esigenze cautelari e di adeguatezza della  misura  carceraria  per  i
delitti di mafia in senso stretto, ha in seguito  superato  anche  il
vaglio della  Corte  Europea  dei  diritti  dell'uomo,  la  quale  ha
ritenuto  che   la   disciplina   derogatoria   in   esame   appariva
giustificabile alla luce «della natura specifica del  fenomeno  della
criminalita' organizzata e soprattutto di quella di stampo  mafioso»,
e segnatamente  in  considerazione  del  fatto  che  la  carcerazione
provvisoria delle persone accusate del delitto in questione «tende  a
tagliare i legami esistenti tra le  persone  interessate  e  il  loro
ambito criminale di origine, al fine di minimizzare  il  rischio  che
esse  mantengano  contatti   personali   con   le   strutture   delle
organizzazioni criminali e possano commettere nel frattempo  delitti»
(sentenza 6 novembre 2003, Pantano c. Italia). 
    Ebbene,  le   conclusioni   alle   quali e'   giunta   la   Corte
costituzionale con l'ordinanza n. 450 del 1995, che statuiva la piena
compatibilita'  della  presunzione  in  argomento  con   i   principi
costituzionali  in  relazione  all'art.  416-bis,  hanno  subito  una
rimeditazione alla luce della pluralita' di interventi  attraverso  i
quali la stessa Corte costituzionale ha  recentemente  ridisegnato  i
confini  delle  presunzioni  in  materia  cautelare  (il  cui  ambito
applicativo  era  stato  ampliato,  ben  oltre   il   settore   della
criminalita'  mafiosa,  dall'intervento  normativo  sulla   sicurezza
settore della criminalita' mafiosa, dall'intervento  normativo  sulla
sicurezza pubblica, vale a dire dal decreto-legge n. l  l  del  2009,
convertito con modifiche, con legge n. 38 del 2009). 
    In particolare la Corte costituzionale con sentenza  n.  231  del
2011 ha dichiarato la illegittimita'  dell'art.  275,  comma  3,  del
codice  di  rito,  nella  parte   concernente   il   riferimento   ai
Procedimenti per il delitto di cui all'art.  74  d.P.R.  n.  309  del
1990. La Corte ha  ritenuto  che  per  tale  delitto  la  presunzione
assoluta di  adeguatezza  della  sola  custodia  carceraria e'  stata
considerata non rispondente a un dato  di  esperienza  generalizzato,
ricollegabile   alla   struttura   stessa   e    alle    connotazioni
criminologiche della figura criminosa, pur  se  essa  presuppone  uno
stabile vincolo di appartenenza a un sodalizio  criminoso.  Con  tale
sentenza e'  stato  precisato  che   il   delitto   di   associazione
finalizzata al traffico di  sostanze  stupefacenti  o  psicotrope  si
concretizza in una forma speciale del  delitto  di  associazione  per
delinquere, qualificata unicamente dalla natura dei  reati-fine,  che
non postula necessariamente la creazione di una struttura complessa e
gerarchicamente   ordinata,   essendo   sufficiente   una   qualunque
organizzazione, anche rudimentale, di attivita' personali e di  mezzi
economici, benche' semplici ed elementari. Detta figura criminosa, ha
osservato ancora la Corte  costituzionale,  si  presta,  pertanto,  a
qualificare penalmente fatti e situazioni in concreto i piu'  diversi
ed eterogenei, trattandosi di fattispecie, per  cosi'  dire  "aperta"
si'  che  non e'  possibile  enucleare  una  regola  di   esperienza,
ricollegabile    ragionevolmente    a    tutte    le    "connotazioni
criminologiche" del fenomeno,  secondo  cui  la  custodia  carceraria
sarebbe  l'unico  strumento  idoneo  a   fronteggiare   le   esigenze
cautelari. 
    La Corte costituzionale, con la  sentenza  n.  110  del  2012, e'
intervenuta   con   una   ulteriore   (parziale)   declaratoria    di
incostituzionalita' dell'art. 275, comma  3,  cod.  proc.  pen.,  con
specifico riferimento alla fattispecie di cui all'art. 416 cod.  pen.
realizzata allo scopo di commettere i delitti  previsti  dagli  artt.
473  e  474  dello  stesso  codice,  facendo  cosi'  venir  meno   la
presunzione assoluta di adeguatezza della  custodia  in  Carcere  per
tale reato associativo. 
    Nel riprendere le argomentazioni delle  precedenti  pronunce,  la
Corte ha significativamente precisato che anche  per  la  fattispecie
presa in esame puo' dirsi che mancano quelle  connotazioni  normative
(forza  intimidatrice  del  vincolo  associativo  e   condizione   di
assoggettamento  ed  omerta')  proprie  dell'associazione  di'   tipo
mafioso e in grado  di  fornire  una  congrua  base  statistica  alla
presunzione assoluta di adeguatezza. Con tale  decisione,  la  stessa
Corte ha definito «particolarmente significativa» la propria sentenza
n. 231 del 2011, con la  quale e'  stata  dichiarata  illegittima  la
presunzione  in  argomento  in   riferimento   ad   una   fattispecie
associativa (art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990), ed  ha  evidenziato
che  nell'occasione e'  stato  in  particolare  sottolineato  che  il
delitto di associazione di tipo mafioso e' «normativamente  connotato
- di riflesso ad un dato empirico-sociologico - come quello in cui il
vincolo associativo esprime una forza di intimidazione  e  condizioni
di  assoggettamento  e  di  omerta',  che  da  quella  derivano,  per
conseguire determinati fini  illeciti.  Caratteristica  essenziale e'
proprio tale specificita'  del  vincolo,  che,  sul  piano  concreto,
implica ed e' suscettibile di produrre, da  un  lato,  una  solida  e
permanente adesione tra  gli  associati,  una  rigida  organizzazione
gerarchica, una rete di collegamenti e un radicamento territoriale e,
dall'altro, una diffusivita' dei  risultati  illeciti,  a  sua  volta
produttiva di accrescimento della forza intimidatrice  del  sodalizio
criminoso. Sono tali peculiari connotazioni  a  fornire  una  congrua
«base statistica» alla presunzione considerata, rendendo  ragionevole
la convinzione che, nella generalita' dei casi, le esigenze cautelari
derivanti dal delitto in questione non possano  venire  adeguatamente
fronteggiate se non con la misura carceraria. 
    Come si vede la Suprema Corte  ha  valorizzato  nei  casi  appena
descritti»  circostanza  che  oggetto  delle  pronunce  erano   delle
associazioni a delinquere in  relazione  alle  quali  il  vincolo  di
appartenenza alla organizzazione malavitosa non poteva  ritenersi  di
per se'  solo  idoneo  a  giustificare  la  presunzione  assoluta  di
adeguatezza della piu' affittiva misura cautelare, in  assenza  delle
altre  connotazioni  specifiche  del  legame  che  caratterizza   gli
appartenenti ad un'associazione di tipo mafioso. 
    Appare assolutamente rilevante,  inoltre,  la  motivazione  della
sentenza n. 57 del 2013 con  la  quale  la  Corte  costituzionale  ha
dichiarato «l'illegittimita' costituzionale dell'art. 275,  comma  3,
secondo periodo, del codice  di  procedura  penale,  come  modificato
dall'art. 2, comma 1,  del  decreto-legge  23  febbraio  2009,  n. 11
(Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto  alla
violenza sessuale, nonche' in tema di atti persecutori),  convertito,
con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte  in
cui  -  nel  prevedere  che,  quando  sussistono  gravi   indizi   di
colpevolezza  in  ordine  ai  delitti  commessi   avvalendosi   delle
condizioni previste dall'art. 416-bis del  codice  penale  ovvero  al
fine di  agevolare  l'attivita'  delle  associazioni  previste  dallo
stesso articolo, e' applicata la custodia cautelare in carcere, salvo
che siano acquisiti elementi dai quali  risulti  che  non  sussistono
esigenze cautelari - non fa salva, altresi', l'ipotesi in  cui  siano
acquisiti elementi specifici, in  relazione  al  caso  concreto,  dai
quali risulti che le esigenze cautelari  possono  essere  soddisfatte
con altre misure». 
    Nella motivazione della sentenza si legge che «la  congrua  "base
statistica"   della    presunzione    in    questione e'    collegata
all'appartenenza ad associazioni di tipo mafioso»  (sentenza  n.  265
del 2010) e, pertanto, «una fattispecie che, anche se collocata in un
contesto   mafioso,   non   presupponga   necessariamente    siffatta
"appartenenza" non assicura alla presunzione assoluta di  adeguatezza
della custodia cautelare  in  carcere  un  fondamento  giustificativo
costituzionalmente valido»; la Corte ha, quindi, affermato che «...la
finalizzazione   della   condotta   criminosa   all'agevolazione   di
un'associazione mafiosa non  costituisce  una  condotta  equiparabile
necessariamente,  ai  fini  della  presunzione  in  questione,   alla
partecipazione all'associazione, ed e' a questa partecipazione che e'
collegato  il  dato   empirico,   ripetutamente   constatato,   della
inidoneita' del processo, e delle stesse misure cautelari, a recidere
il vincolo associativo e a  far  venir  meno  la  connessa  attivita'
collaborativa,  sicche',  una  volta   riconosciuta   la   perdurante
pericolosita' dell'indagato  o  dell'imputato  del  delitto  previsto
dall'art. 416-bis cod.  pen., e'  legittimo  presumere  che  solo  la
custodia in carcere sia  idonea  a  contrastarla  efficacemente».  Ne
consegue che la presunzione assoluta sulla quale fa  leva  il  regime
cautelare speciale «non risponda, con riferimento ai delitti commessi
avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis  cod.  pen. o
al fine di agevolare le attivita' delle associazioni  previste  dallo
stesso  articolo,  a  dati  di  esperienza   generalizzati,   essendo
"agevole"  formulare  ipotesi  di  accadimenti  reali  contrari  alla
generalizzazione posta a base della presunzione stessa.  Infatti,  la
possibile estraneita' dell'autore di tali delitti  a  un'associazione
di tipo mafioso fa escludere che si sia  sempre  in  presenza  di  un
"reato che implichi  o  presupponga  necessariamente  un  vincolo  di
appartenenza permanente  a  un  sodalizio  criminoso  con  accentuate
caratteristiche di pericolosita' - per  radicamento  nel  territorio,
intensita' dei collegamenti personali e forza intimidatrice - vincolo
che solo la misura piu' severa risulterebbe,  nella  generalita'  dei
casi, in grado di interrompere» (sentenza n. 164 del 2011). 
    Se,  come  si e'  visto,  la  congrua  "base  statistica"   della
presunzione   in   questione e'   collegata   all'«appartenenza    ad
associazioni di  tipo  mafioso»  (sentenza  n.  265  del  2010),  una
fattispecie che, anche se  collocata  in  un  contesto  mafioso,  non
presupponga necessariamente siffatta "appartenenza" non assicura alla
presunzione assoluta  di  adeguatezza  della  custodia  cautelare  in
carcere un fondamento giustificativo costituzionalmente valido»... 
    Fatte  queste  premesse  va  quindi  esaminata  la   figura   del
concorrente nel delitto di cui all'art. 260 d.lgs. 3 aprile  2006  n.
152 che sanziona "Attivita' organizzate per il traffico  illecito  di
rifiuti"  e  che  prevede  la  condotta  di  "Chiunque,  al  fine  di
conseguire un ingiusto profitto, con  piu'  operazioni  e  attraverso
l'allestimento di mezzi e attivita' continuative  organizzate,  cede,
riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente
ingenti quantitativi di rifiuti e' punito con la reclusione da uno  a
sei anni....". 
    Trattasi di organizzazione  caratterizzata  dall'allestimento  di
mezzi e attivita' continuative e per il compimento di piu' operazioni
finalizzate alla gestione abusiva  di  rifiuti  cosi'  da  esporre  a
pericolo la pubblica incolumita' e la tutela dell'ambiente. 
    La  terminologia  "comunque  gestisce  abusivamente''   individua
evidentemente una fattispecie molto ampia, atteso che la condotta  si
riferisce  a  qualsiasi  gestione  abusiva  di  rifiuti,  intesa  con
riferimento alla  necessita'  di  ricomprendere  qualsiasi  attivita'
abusiva inerente i rifiuti che si connoti nei termini  anzidetti.  In
relazione poi all'elemento costitutivo degli "ingenti quantitativi di
rifiuti" il termine "ingente" deve  riferirsi  all'attivita'  abusiva
nel suo complesso, ovvero al quantitativo di rifiuti complessivamente
gestito attraverso  la  pluralita'  di  operazioni,  che  considerate
singolarmente potrebbero anche essere qualificate quali modeste. 
    Cio' posto, le considerazioni svolte in relazione al reato di cui
all'art. 74 del  d.P.R.  n.  309  del  1990  o  all'associazione  per
delinquere prevista dall'art. 416 c.p.  ben  possono  valere  per  la
fattispecie  in  questione  ove  rileva  unicamente   una   struttura
organizzata finalizzata alla gestione abusiva di  rifiuti,  struttura
che puo' quindi essere di svariate dimensioni. 
    La Corte costituzionale, d'altro cqnto ha avuto modo di precisare
come la presunzione assoluta in esame valida in rapporto  al  delitto
di associazione di tipo mafioso, si giustifica  alla  luce ''non  del
mero vincolo associativo a scopi criminosi,  quanto  piuttosto  delle
particolari caratteristiche che esso assume nella  cornice  di  detta
lattispecie" (sentenze n. 164 del 2001 e n. 265 del 2010). 
    Da cio' si trae la logica  conseguenza  che  il  delitto  di  cui
all'art. 260 d.lgs.  3  aprile  2006  n.  152  difettando  di  quelle
peculiari  caratteristiche  che  connotano  l'associazione  di   tipo
mafioso, non puo' assoggettarsi  allo  stessa  presunzione  cautelare
ravvisandosi  invece  per  tale  fattispecie  criminosa   le   stesse
argomentazioni poste a fondamento delle decisioni  con  le  quali  la
Corte Cost. ha dichiarata l'illeggittimita' costituzionale  dell'art.
275, comma 3, secondo periodo, c.p.p. nella  parte  in  cui  "non  fa
salva, altresi', l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici,
in relazione al caso concreto, dai  quali  risulti  che  le  esigenze
cautelari possono essere soddisfatte con altre misure". 
    Diversamente, si finirebbe con il parificare sotto il profilo del
disvalore  sociale   e   giuridico   manifestazioni   delittuose   da
considerarsi, per le ragioni sopra descritte, in  maniera  differente
sia con riferimento alla loro portata criminale sia  con  riferimento
alla  pericolosita'  dell'agente,  circostanza   che   attiene   alla
violazione dell'art. 3 Cost.; verrebbe, in altri  termini,  sottratto
al giudice il  potere  di  adeguare  .1a  misura  al  caso  concreto,
sicche', in violazione del principio  di  uguaglianza,  la  norma  Si
risolverebbe  nel  parificare  con  una  uguale  risposta   cautelare
situazioni che, sotto il profilo oggettivo e soggettivo devono essere
considerate diversamente. 
    Inoltre, dalla lettura combinata degli artt. 13 e 27 Cost. emerge
l'esigenza di circoscrivere allo strettamente  necessario  le  misure
limitative della liberta' personale,  attribuendo  alla  custodia  in
carcere il connotato del rimedio estremo, laddove la norma  censurata
stabilirebbe un automatismo applicativo tale da rendere inoperanti  i
criteri di proporzionalita' e di adeguatezza. 
    Alla stregua di tutte le  argomentazioni  sin  qui  svolte,  deve
conclusivamente dichiararsi rilevante la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 275, comma 3, secondo periodo, del codice di
procedura penale, come modificato dall'art. 2  del  decreto-legge  23
febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica
e  di  contrasto  alla  violenza  sessuale,  nonche'   in   tema   di
atti-persecutori), convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  23
aprile 2009, n. 38, nella parte in cui - nel  prevedere  che,  quando
sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto  di  cui
all'art. 260 d.lgs. 3 aprile 2006  n.  152  (reato  contestato  nella
concreta fattispecie), e' applicata la custodia cautelare in carcere,
salvo' che  siano  acquisiti  elementi  dai  quali  risulti  che  non
sussistono esigenze cautelari - non fa salva, altresi', l'ipotesi  in
cui  siano  acquisiti  elementi  specifici,  in  relazione  al   caso
concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono  essere
soddisfatte con altre misure. 
    Va precisato che la norma appare essere, per i profili enunciati,
viziata da illegittimita' Costituzionale  in  relazione  ai  seguenti
articoli   della   Costituzione:   art.   3,   per   l'ingiustificata
parificazione della posizione del partecipe ad "attivita' organizzate
per il traffico illecito di rifiuti" con i partecipi all'associazione
di.   cui   all'art.   416-bis   c.p.   nonche'   per   l'irrazionale
assoggettamento ad un medesimo regime cautelare delle diverse ipotesi
concrete riconducibili ai paradigmi punitivi  considerati;  art.  13,
primo comma, quale referente fondamentale del regime ordinario delle.
misure cautelari privative della liberta' personale: art. 27, secondo
comma, con riferimento all'attribuzione alla coercizione personale di
tratti funzionali tipici della pena. 
    A norma dell'art. 23 della  legge 1l  marzo  1953,  n.  87,  deve
dichiararsi  la  sospensione  del  procedimento   e   deve   disporsi
l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale,  ferma
restando la misura cautelare in atto. La Cancelleria provvedera' alla
notifica di copia della presente ordinanza alle parti in causa  e  al
Presidente del Consiglio dei ministri  ed  alla  comunicazione  della
stessa ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Pronunciando sulla richiesta di appello  depositata  in  data  11
luglio 2014 dal difensore di Arminio  Erminio,  avverso  l'ordinanza,
emessa dal G.I.P. del Tribunale di Bari in data  4  giugno  2014,  di
rigetto di revoca della misura cautelare della custodia in carcere; 
    Visti gli artt. 1 Legge Cost. 9 febbraio 1948 n. 1 e 23 legge  11
marzo 1953, n. 87; 
    Solleva questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  275,
comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen., in riferimento agli  arti.
3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, Cost.; 
    Riservata ogni decisione nel  presente  giudizio  alla  pronunzia
della Corte; 
    Ordina   la   trasmissione   degli    atti    all'Ecc.ma    Corte
costituzionale,  affinche'  si   pronunzi   sulla   costituzionalita'
dell'art.  275,  comma  3,  del  codice  di  procedura  penale,  come
modificato dall'art. 2 del decreto-legge  23  febbraio  2009,  n.  11
(Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto  alla
violenza sessuale, nonche' in tema di atti persecutori),  convertito,
con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte  in
cui non consente di applicare la misura degli arresti domiciliari,  o
altra misura cautelare comunque meno  afflittiva  della  custodia  in
carcere, in relazione al delitto di cui  all'art.  260,  del  decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). 
    Dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Dispone che a cura della cancelleria la  presente  ordinanza  sia
notificata al Pubblico Ministero e alle altre parti. 
    Dispone la notifica della presente ordinanza  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
    Dispone che la presente ordinanza sia  comunicata  al  Presidente
della  Camera  dei  deputati  e  al  Presidente  del   Senato   della
Repubblica. 
    Manda alla cancelleria per gli adempimenti. 
    Cosi' deciso in Bari il 6 ottobre 2014 
 
                       Il Presidente: La Malfa 
 
 
                                         Il Giudice estensore: Romita