N. 134 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 aprile 2015
Ordinanza del 23 aprile 2015 emessa dal Tribunale di Roma sull'istanza proposta da Rosati Roberto. Spese di giustizia - Liquidazione dell'onorario e delle spese al difensore d'ufficio - Previsione che l'onorario e le spese spettanti al difensore di ufficio sono liquidati dal magistrato, con le modalita' previste, quando il difensore dimostra di avere esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti professionali - Ingiustificato trattamento di favore del difensore di ufficio di un imputato resosi irreperibile rispetto a tutti gli altri difensori di fronte a una situazione di insolvenza del proprio assistito - Violazione del principio di buon andamento e imparzialita' della pubblica amministrazione e del principio della ragionevole durata del processo. - Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 116. - Costituzione, artt. 3, 97 e 111.(GU n.27 del 8-7-2015 )
TRIBUNALE DI ROMA Sezione IV Penale Ordinanza propositiva di questione di legittimita' costituzionale - articolo 23, comma 3, legge 11 marzo 1953, n. 87. Il giudice, dott. Pierluigi Picozzi, esaminati gli atti del procedimento iscritto al n. 13199 del Registro Generale del Dibattimento dell'anno 2014 e vista l'istanza presentata in data 26 febbraio 2015 (ma consegnata a questo stesso giudice solo in data 18 marzo 2015) dall'avv. Roberto Rosati, con la quale e' stata chiesta la liquidazione degli onorari professionali spettanti per l'attivita' prestata quale difensore di ufficio di Constantin Dinca ed Alin Ionut Dinca, imputati nel detto procedimento, rileva quanto segue. L'avv. Rosati ha avanzato la suddetta istanza ai sensi dell'articolo 116 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115. Egli, infatti, nominato difensore di ufficio, ai sensi dell'articolo 97, comma 1, c.p.p., dei cittadini rumeni Constantin Dinca ed Alin Ionut Dinca nell'udienza del 30 settembre 2014, non e' riuscito ad ottenere il pagamento delle proprie spettanze, in quanto non e' stato in grado di reperire i suoi assistiti, nonostante i tentativi di rintraccio posti in essere e documentati. Sussisterebbero, dunque, le condizioni previste dalla norma citata («... quando il difensore dimostra di aver esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti professionali») perche' questo giudice debba procedere all'accoglimento dell'istanza. Si dubita, tuttavia, della legittimita' costituzionale della norma richiamata in relazione agli articoli 3 - sotto un duplice profilo - nonche' 97 e 111 della Costituzione. Prima di esplicitare tali dubbi, peraltro, preme evidenziare, da un lato, come la questione proposta debba ritenersi ammissibile alla luce della natura giudiziale del procedimento introdotto dall'istanza del difensore, confermata dalla possibilita' di impugnazione del provvedimento decisorio, prevista dallo stesso articolo 116, secondo le modalita' di cui all'articolo 84 del medesimo d.P.R. n. 115/2002 e gia' ritenuta dalla Corte costituzionale in vari precedenti (si veda, da ultimo, l'ordinanza n. 191 del 2013, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 29 del 17 luglio 2013) che hanno preso in esame la norma evidenziata, sia pure sotto diversi profili. Dall'altro l'evidente rilevanza dell'eventuale pronuncia di illegittimita' costituzionale dell'articolo 116 nel procedimento sopra ricordato, atteso che cio' comporterebbe il rigetto dell'istanza proposta dall'avv. Rosati. Sotto un primo profilo, l'articolo 116 del d.P.R. n. 115/2002 appare introdurre un principio di irragionevole disparita' - in contrasto, dunque, con il disposto dell'articolo 3 della Costituzione - tra il difensore di ufficio di un imputato resosi irreperibile (indipendentemente da una formale dichiarazione al riguardo, ai sensi dell'articolo 159 c.p.p.: fattispecie presa in esame dal diverso articolo 117 del d.P.R. n. 115/2002) o, addirittura, semplicemente non in grado di onorare l'obbligazione relativa al compenso spettante al proprio legale (per come la norma viene interpretata dalla giurisprudenza della Suprema Corte: vedi Cassazione, Sezione VI civile, ordinanza 20 dicembre 2011, n. 27854, o Cassazione, Sezione IV penale, 26 marzo 2009, n. 27473) e tutti gli altri difensori impegnati in processi penali o civili - per non parlare delle altre categorie di liberi professionisti o imprenditori - che si trovino a fronteggiare una situazione di insolvenza del proprio assistito. Il difensore considerato dall'articolo 116 citato, in sostanza, vede garantito e tutelato il proprio credito dallo Stato, mentre il difensore di fiducia di un imputato altrettanto impossidente o irreperibile o il difensore di una parte in un processo civile, devono sopportare l'onere ed il rischio di non poter vedere soddisfatto il proprio credito. Tale disparita' non appare giustificata dal bilanciamento con il diritto di difesa previsto dall'articolo 24 della Costituzione, che, con tutta evidenza, mira a tutelare anche le parti dei procedimenti civili o gli imputati che intendono avvalersi di un difensore di propria fiducia. Ne' apparirebbe fondata l'eventuale obiezione che la necessita' di assicurare la difesa anche a coloro che si disinteressano del giudizio a proprio carico, giustifichi l'assunzione dell'onere delle spese del difensore da parte dello Stato: se, infatti, a differenza dell'assunzione di un mandato fiduciario, l'incarico della difesa di ufficio deve ritenersi obbligatorio per il professionista designato, l'iscrizione nelle liste dei difensori di ufficio avviene, comunque, su base volontaria. Ciononostante, in virtu' dell'articolo 116 del d.P.R. n. 115/2002, l'avvocato incaricato di ufficio viene escluso dalla condizione di accettazione del rischio di insolvenza del proprio assistito, in cui invece si trova il suo collega che assume un incarico fiduciario. Non puo' rilevare, peraltro, come elemento discriminante, l'anticipazione della valutazione di tale rischio - connessa al momento della iscrizione nelle liste e, dunque, disgiunta dalla conoscenza personale dell'assistito - che appare, invero, compensata dal meccanismo casuale di assunzione dell'incarico e dall'affidamento degli incarichi stessi indipendentemente dalla predisposizione di un'attivita' imprenditoriale di procacciamento della clientela. E' appena il caso di osservare che la previsione dell'articolo 116 del d.P.R. n. 115/2002 non appare necessitata dal dettato dell'articolo 24, comma 3, della Costituzione, che e' pienamente rispettato dal legislatore attraverso il meccanismo del patrocinio a spese dello Stato di cui agli articoli 74 e seguenti (in particolare 90 e seguenti con riferimento al processo penale) del d.P.R. n. 115/2002. Cosi' come l'articolo 36 della Costituzione, nel prevedere il diritto di qualunque lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del lavoro svolto, non ammette differenze tra lavoratori della medesima categoria che giustifichino l'intervento statale a tutela del compenso solo per alcuni di essi a parita' di prestazioni svolte. Il richiamo alla disciplina dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato consente di introdurre il secondo profilo di irragionevole disparita' - e, dunque, di contrasto con l'articolo 3 della Costituzione - cui si e' accennato con riferimento all'articolo 116 del d.P.R. n. 115/2002. Le norme in questione, invero, prevedono da un lato una serie di oneri e di assunzioni di responsabilita' per l'istante - riassunti nell'articolo 79 del d.P.R. n. 115/2002 - e dall'altro una serie di limiti alla possibilita' di accedere al beneficio - esplicitati negli articoli 76, 91 e 92 del richiamato Decreto. Inoltre, l'istante e' sottoposto al controllo della sussistenza delle condizioni per accedere al patrocinio, sia in via preventiva (articolo 96, comma 2, d.P.R. n. 115/2002) che successiva (articoli 88 e 98 del detto d.P.R.) ed il beneficio puo' essere revocato (articolo 112 del d.P.R. n. 115/2002). Senza considerare le sanzioni penali previste dall'articolo 95 in caso di dichiarazioni non corrispondenti al vero. Nulla di tutto cio' e' previsto dall'articolo 116 in questione: il pagamento dell'onorario difensivo e' rimesso a carico dello Stato indipendentemente dal reddito dell'assistito, dai suoi precedenti penali, dal titolo di reato per cui e' stato processato. E' sufficiente che egli non sia stato reperito dal difensore (peraltro senza neppure la garanzia di ricerche accurate, come quelle previste dall'articolo 159 c.p.p.) o che si sia dimostrato insolvente nei suoi confronti (senza alcuna valutazione in ordine al possibile occultamento di beni patrimoniali), perche' il credito del professionista venga garantito dallo Stato. Tenuto conto che il patrocinio a spese dello Stato e', ovviamente, garantito anche a chi e' assistito da un difensore di ufficio, la disparita' sopra evidenziata si rende palese nella considerazione del vantaggio che ha tale difensore a trovarsi nelle condizioni di cui all'articolo 116 citato (e, dunque, eventualmente a favorirne la realizzazione) piuttosto che a dover intraprendere la farraginosa procedura di cui agli articoli 74 e seguenti del d.P.R. n. 115/2002. Tanto piu' che, anche qualora il suo assistito dovesse vedersi rigettata l'istanza di ammissione, egli puo' comunque vedersi garantire il compenso qualora ricorrano le condizioni di cui all'articolo 116 in questione. L'agevole accesso al rimedio di cui alla norma che si intende sottoporre al vaglio di legittimita' introduce l'ultimo degli aspetti di contrasto della stessa con il dettato costituzionale e, in particolare, con i principi di buon andamento ed imparzialita' dell'amministrazione e di ragionevole durata da processo di cui agli articoli 97 e 111 della Costituzione. La certezza di veder remunerato il proprio operato, infatti, indipendentemente da ogni valutazione circa la sua efficacia e, soprattutto, la sua necessita' e da ogni confronto con il proprio cliente, puo', infatti, spingere il difensore - al di la' di ogni considerazione degli aspetti deontologici di tale comportamento - ad effettuare scelte di strategia processuale che non siano finalizzate al miglior interesse del suo assistito, ma a garantirsi un piu' alto compenso. Le modalita' di liquidazione degli onorari del difensore da parte del giudice, previste dalla legge, portano, infatti, a ritenere meno vantaggioso per il legale, ad esempio, adire un rito alternativo a quello ordinario ovvero inducono la proposizione di impugnazioni anche nel caso di palese infondatezza delle stesse. Tutte soluzioni che il controllo del proprio assistito o la consapevolezza della difficolta' nel recupero del proprio credito, comune a quella di qualsiasi altro professionista, contribuiscono a calmierare, con notevole sgravio per le gia' ingolfate strutture giudiziarie. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, il procedimento per la liquidazione delle competenze richieste dall'avv. Rosati deve essere sospeso, con rimessione degli atti dello stesso alla Corte costituzionale.
P. Q. M. Visto l'articolo 23, comma 3, della legge 11 marzo 1953, n. 87, solleva questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 116 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, per contrasto con gli articoli 3, 97 e 111 della Costituzione, nei termini di cui in motivazione. Dispone la sospensione del procedimento di liquidazione degli onorari instaurato con istanza dell'avv. Roberto Rosati depositata in data 26 febbraio 2015 e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che la presente ordinanza sia notificata al pubblico ministero, all'avv. Rosati ed alla Presidenza del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato. Roma, addi' 22 aprile 2015. Il Giudice: Picozzi