N. 178 SENTENZA 24 giugno - 23 luglio 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Impiego  pubblico  -  Sospensione  delle  procedure  contrattuali   e
  negoziali, nonche' delle ordinarie dinamiche  retributive  per  gli
  anni 2010-2014. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in  materia  di
  stabilizzazione  finanziaria  e  di  competitivita'  economica)   -
  convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30
  luglio 2010, n. 122 - art. 9, commi 1, 2-bis, 17, primo periodo,  e
  21,  ultimo  periodo;  decreto-legge   6   luglio   2011,   n.   98
  (Disposizioni  urgenti  per  la  stabilizzazione   finanziaria)   -
  convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 15
  luglio 2011, n. 111 - art. 16, comma 1, lettere b) e c). 
-   
(GU n.30 del 29-7-2015 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici :Paolo Maria NAPOLITANO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo
  CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 9, commi  1,
2-bis, 17, primo periodo, e 21, ultimo periodo, del decreto-legge  31
maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di  stabilizzazione
finanziaria  e  di   competitivita'   economica),   convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio  2010,  n.
122 e dell'art. 16, comma 1, lettere b)  e  c)  del  decreto-legge  6
luglio 2011, n.  98  (Disposizioni  urgenti  per  la  stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art.  1,  comma  1,
della legge 15 luglio 2011, n. 111, promossi dal Tribunale  ordinario
di Roma con ordinanza del 27 novembre 2013 e dal Tribunale  ordinario
di Ravenna con ordinanza del 1° marzo 2014, rispettivamente  iscritte
ai nn. 76 e 125  del  registro  ordinanze  2014  e  pubblicate  nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  nn.  22  e  35,  prima  serie
speciale, dell'anno 2014. 
    Visti gli atti di costituzione di FLP  -  Federazione  lavoratori
pubblici e funzioni pubbliche  ed  altra,  di  Nardini  Graziella  ed
altri, nonche' gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio
dei ministri  e  della  Federazione  GILDA-UNAMS,  della  CONFEDIR  -
Confederazione autonoma  dei  dirigenti,  quadri  e  direttivi  della
pubblica amministrazione e della CSE  -  Confederazione  indipendente
sindacati europei; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  23  giugno  2015  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi  gli  avvocati  Tommaso  De  Grandis  per  la   Federazione
GILDA-UNAMS,  Sergio  Galleano  per  la  CONFEDIR  -   Confederazione
autonoma  dei  dirigenti,   quadri   e   direttivi   della   pubblica
amministrazione,  Michele  Lioi   per   la   CSE   -   Confederazione
indipendente sindacati europei, Michele Lioi, Stefano Viti e  Michele
Mirenghi per la FLP -  Federazione  lavoratori  pubblici  e  funzioni
pubbliche ed altra, Pasquale Lattari per Nardini Graziella ed altri e
l'avvocato dello Stato Vincenzo Rago per il Presidente del  Consiglio
dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Roma, in funzione  di  giudice  del
lavoro, con ordinanza depositata il 27 novembre 2013 e iscritta al n.
76  del  registro  ordinanze  2014,   ha   sollevato   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 9, commi 1 e 17, primo periodo,
del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  30
luglio 2010, n. 122, e dell'art. 16, comma  1,  del  decreto-legge  6
luglio 2011, n.  98  (Disposizioni  urgenti  per  la  stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art.  1,  comma  1,
della legge 15 luglio 2011, n. 111, prospettando la violazione  degli
artt. 2, 3, primo comma, 35, primo comma, 36, primo comma, 39,  primo
comma, e 53 della Costituzione. 
    1.1.- Il giudice rimettente espone di dover esaminare  i  ricorsi
presentati il 26 ottobre 2012 dalla Federazione lavoratori pubblici e
funzioni  pubbliche  (FLP)  e  dalla  Federazione  italiana  autonoma
lavoratori pubblici (FIALP), in qualita' di firmatarie dei  contratti
collettivi stipulati con l'Agenzia per  la  rappresentanza  negoziale
delle  pubbliche  amministrazioni  (ARAN)  per  il  personale   della
Presidenza del Consiglio dei ministri e del comparto ministeri e  per
il personale degli enti pubblici non economici. 
    I sindacati ricorrenti nel giudizio principale hanno  chiesto  di
accertare il diritto  a  dar  corso  alle  procedure  contrattuali  e
negoziali, relative al triennio 2010-2012, per il  personale  di  cui
all'art. 2, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo  2001,  n.  165
(Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle  dipendenze  delle
amministrazioni pubbliche) e  di  condannare  l'ARAN  ad  avviare  le
trattative per il rinnovo dei contratti,  deducendo,  a  sostegno  di
tali domande, l'illegittimita'  costituzionale  della  normativa  che
"congela" i trattamenti economici percepiti dai dipendenti e "blocca"
la contrattazione collettiva «con possibilita' di proroga  anche  per
l'anno 2014». 
    Nel giudizio principale,  si  e'  costituito  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri, per contestare  la  fondatezza  del  ricorso,
l'ammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale,  per
carenza del requisito dell'incidentalita', nonche' per contestare  la
sussistenza  dei  dedotti  profili  di  contrasto  con  i   parametri
costituzionali evocati. 
    Il giudice rimettente ha disatteso  le  eccezioni  pregiudiziali,
mosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, e  ha  ritenuto  che
risulti soddisfatto il requisito dell'incidentalita'. 
    L'esame della questione di legittimita'  costituzionale,  invero,
rappresenterebbe    l'antecedente    ineludibile     per     giungere
all'accertamento del diritto (art. 39, primo comma, Cost.),  invocato
dalla  parte  ricorrente.  Tali  considerazioni  confermerebbero   la
rilevanza della questione, poiche' il diritto della parte  ricorrente
ad avviare la contrattazione con  riferimento  al  periodo  2010-2012
discenderebbe dal vaglio di costituzionalita' della norma in esame. 
    Con riguardo alla non manifesta infondatezza delle  questioni  di
legittimita' costituzionale, il giudice rimettente argomenta  che  la
sospensione   della   contrattazione   collettiva    determina    una
interruzione delle procedure negoziali che si propongono di garantire
la proporzionalita' tra il lavoro prestato e la retribuzione dovuta. 
    La sospensione della contrattazione sui  trattamenti  retributivi
fino  al  31  dicembre  2014  si  accompagna  all'impossibilita'   di
qualsivoglia recupero, se solo si  considera  che,  indipendentemente
dalle ragioni poste a base della decretazione d'urgenza, si riscontra
un prolungamento dei limiti posti all'autonomia collettiva. 
    Tali limiti confliggerebbero con il dettato degli artt. 35, primo
comma, 36, primo comma, e 39, primo comma, Cost. 
    Le disposizioni censurate, inoltre, si  porrebbero  in  contrasto
con l'art. 3, primo comma, Cost., anche in relazione all'art. 2 Cost.
Le  misure   di   risanamento   sarebbero,   infatti,   destinate   a
ripercuotersi sulle retribuzioni dei soli pubblici dipendenti,  cosi'
violando il principio di eguaglianza tra i cittadini e il  dovere  di
solidarieta' politica, sociale ed economica  di  cui  agli  artt.  3,
primo comma, e 2 Cost. 
    Tale dovere di solidarieta', difatti, non  potrebbe  non  gravare
sull'intera comunita'. 
    Il giudice a quo  osserva  che  la  sospensione  delle  procedure
contrattuali riguardanti  gli  incrementi  retributivi,  protraendosi
fino al 31 dicembre 2014, con  esclusione  di  ogni  possibilita'  di
recupero  e  di   ogni   adeguamento   dell'indennita'   di   vacanza
contrattuale, interrompe la dinamica  retributiva,  senza  presentare
quei caratteri di eccezionalita' e  di  temporaneita'  che  la  Corte
costituzionale ha  ritenuto  imprescindibili  nel  vagliare  analoghe
misure di contenimento della spesa pubblica. 
    1.2.- Sono intervenute nel giudizio le  organizzazioni  sindacali
FLP e FIALP, chiedendo l'accoglimento della questione di legittimita'
costituzionale  e   lamentando,   in   particolare,   l'irragionevole
sacrificio dell'autonomia collettiva, costituzionalmente garantita ed
espressione del principio democratico e partecipativo che  permea  la
Carta costituzionale. 
    I sindacati intervenuti si dolgono del fatto che  il  legislatore
abbia inibito del tutto alle organizzazioni sindacali la liberta'  di
modulare la contrattazione nella materia retributiva, alla luce della
situazione economica  generale,  cosi'  da  impedire  la  ricerca  di
soluzioni volte a non far gravare i  sacrifici  sui  lavoratori  piu'
deboli. 
    A questa stregua, finanche i contratti collettivi  dal  contenuto
prettamente  normativo,  che  non  incidono  sulla  spesa   pubblica,
sarebbero stati arbitrariamente preclusi. 
    La disciplina, destinata a penalizzare in misura  esorbitante  il
lavoro  pubblico,   sarebbe   discriminatoria   rispetto   a   quella
applicabile al settore privato, non coinvolto  da  alcuna  misura  di
contenimento delle retribuzioni, e lo sarebbe anche rispetto a quella
che concerne il personale delle Forze armate, delle Forze di  polizia
e del Corpo nazionale dei vigili  del  fuoco,  che  beneficerebbe  di
assegni una tantum nel corso del triennio di blocco degli adeguamenti
retributivi. 
    1.3.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha chiesto di dichiarare l'infondatezza della questione. 
    Il  blocco  delle  retribuzioni  sarebbe  legittimo,  in   quanto
circoscritto  ad  un  periodo  contenuto,  in  concomitanza  con  una
situazione  eccezionale  di  emergenza  economica  e  finanziaria,  e
risponderebbe all'obiettivo di rispettare  l'equilibrio  di  bilancio
(art. 81 Cost.) adottando politiche  proiettate  in  un  periodo  che
necessariamente travalica l'anno. 
    La difesa dello Stato rileva che il giudice rimettente censura la
violazione dell'art. 53 Cost. soltanto nella parte dispositiva.  Tale
censura,  oltretutto,  sarebbe  carente  di  fondamento,  in   quanto
difetterebbero gli elementi caratteristici del prelievo tributario. 
    Quanto al  merito  della  questione  e  all'adombrata  violazione
dell'art. 39, primo comma, Cost., l'Avvocatura generale  dello  Stato
ribatte  che  non  ha  alcuna  ragion  d'essere  una   contrattazione
collettiva che non possa approdare ad un risultato utile per le parti
rappresentate. 
    La difesa dello Stato esclude che vi siano illegittime disparita'
di trattamento tra lavoratori privati e  lavoratori  alle  dipendenze
delle pubbliche amministrazioni, in considerazione delle  difformita'
delle fattispecie comparate. 
    1.4.- Nel giudizio e' intervenuta la Federazione GILDA-UNAMS, che
asserisce di essere legittimata ad intervenire, in quanto  portatrice
di  una  posizione  giuridica  suscettibile  di  essere  pregiudicata
dall'esito del giudizio di legittimita' costituzionale. 
    L'art. 64, comma 5, del d.lgs. n.  165  del  2001  offrirebbe  un
argomento a favore  dell'ammissibilita'  dell'intervento,  in  quanto
accorderebbe alle organizzazioni sindacali firmatarie  dei  contratti
collettivi la facolta' di intervenire nel  giudizio  anche  oltre  il
termine previsto dall'art. 419 del codice di procedura civile. 
    La  Federazione,  qualificandosi  come   firmataria   dell'ultimo
contratto di lavoro  del  27  novembre  2007  e  come  organizzazione
sindacale maggiormente rappresentativa  del  personale  del  comparto
scuola, ha chiesto, in prima battuta, la rimessione  della  questione
alla Corte di giustizia dell'Unione europea, ai sensi dell'art.  267,
comma 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione  europea  (TFUE),
in quanto la disciplina impugnata violerebbe la  direttiva  11  marzo
2002,  n.  2002/14/CE  (Direttiva  del  Parlamento  europeo   e   del
Consiglio,   che   istituisce    un    quadro    generale    relativo
all'informazione e alla consultazione dei lavoratori). 
    La normativa, inoltre, contravverrebbe alla Carta sociale europea
(art. 6, sul  diritto  di  negoziazione  collettiva),  riveduta,  con
annesso, fatta a Strasburgo il  3  maggio  1996,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 9 febbraio 1999, n. 30, e  agli  artt.  27  e  28
della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea,  proclamata
a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a  Strasburgo  il  12  dicembre
2007,  che  tutelano,  rispettivamente,  il  diritto  dei  lavoratori
all'informazione e alla consultazione nell'ambito dell'impresa  e  il
diritto di negoziazione e di azioni collettive. 
    La Federazione  ha  chiesto  l'accoglimento  della  questione  di
legittimita' costituzionale, rilevando che e' affidata  all'autonomia
collettiva, sacrificata dalle disposizioni impugnate, la garanzia del
rispetto del principio di proporzionalita' tra il lavoro svolto e  la
retribuzione e  che,  alla  luce  della  giurisprudenza  della  Corte
europea dei diritti dell'uomo (sentenza 7 giugno 2011, Agrati e altri
contro  Italia),  il  credito  del  lavoratore  si   configura   come
proprieta', tutelata anche ai  sensi  dell'art.  1  Primo  Protocollo
addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848. 
    La norma impugnata istituirebbe, in spregio all'art. 53 Cost., un
prelievo tributario e pregiudicherebbe il diritto  dei  lavoratori  a
percepire  una  retribuzione  proporzionata  alla  quantita'  e  alla
qualita'  del  lavoro  svolto,  violando,  inoltre,  i  principi   di
affidamento, di buona fede e di eguaglianza sostanziale. 
    1.5.- Nel giudizio e' intervenuta la Confederazione  indipendente
sindacati  europei  (CSE),  insistendo   per   l'accoglimento   della
questione di legittimita' costituzionale. 
    La CSE asserisce di vantare un interesse qualificato, inerente al
rapporto  sostanziale  e  idoneo  a   giustificare   l'ammissibilita'
dell'intervento, poiche' avrebbe sottoscritto, unitamente  alla  FLP,
ricorrente nel giudizio principale, il contratto collettivo nazionale
di lavoro relativo al personale della Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri  per  il  biennio  economico  2006-2007   e   il   contratto
collettivo,  riguardante  il  medesimo  comparto,  per   il   biennio
economico 2008-2009. 
    Da  tale   status   discenderebbe   l'interesse   qualificato   a
intervenire   nel   giudizio   di   costituzionalita',   poiche'   le
disposizioni  impugnate  lederebbero  l'esercizio  delle  prerogative
negoziali della Confederazione. 
    La Confederazione in parola, quanto al merito delle questioni, ha
rilevato che le norme  censurate  arrestano  per  un  quadriennio  la
dinamica salariale e comprimono, per lo stesso considerevole arco  di
tempo, l'autonomia collettiva, tutelata dall'art.  39,  primo  comma,
Cost. e dalle fonti sovranazionali. 
    Fra tali fonti sovranazionali, la Confederazione menziona  l'art.
6 della Carta sociale europea, l'art.  28  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea, l'art. 152 del TFUE, gli artt.  11,
12, 13 e 14 della Carta comunitaria dei diritti sociali  fondamentali
dei  lavoratori,  adottata  a  Strasburgo  il  9  dicembre  1989,  la
Convenzione n.  151  dell'Organizzazione  internazionale  del  lavoro
(OIL), relativa alla protezione del diritto di organizzazione e  alle
procedure per la determinazione delle  condizioni  di  impiego  nella
funzione pubblica, adottata a Ginevra il 27  giugno  1978  nel  corso
della 64ª sessione  della  Conferenza  generale,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 19 novembre 1984, n. 862. 
    La parte  intervenuta  osserva  che,  secondo  la  giurisprudenza
costituzionale, la mancata attuazione dell'art.  39,  secondo  comma,
Cost. non  dovrebbe  giustificare  alcun  impedimento  alla  liberta'
d'azione dei sindacati e al potere di  stipulare  contratti,  seppure
vincolanti soltanto per gli iscritti. 
    La Confederazione soggiunge che  le  uniche  limitazioni  ammesse
dovrebbero   essere   eccezionali,   transitorie,   non   arbitrarie,
consentanee con lo scopo prefisso. 
    Nel  caso  di  specie,  per  contro,  l'intervento   legislativo,
discriminatorio rispetto ai lavoratori pubblici e immemore del canone
di ragionevolezza, avrebbe «annichilito» la liberta' sindacale. 
    1.6.-  Nel  giudizio  e'  intervenuta  anche  la   Confederazione
autonoma  dei  dirigenti,   quadri   e   direttivi   della   pubblica
amministrazione     (CONFEDIR),     rivendicando,     a      sostegno
dell'ammissibilita'   dell'intervento,   un   ruolo    primario    di
rappresentanza delle aree dirigenziali, leso dalle norme censurate  e
idoneo   a   giustificare   la   partecipazione   al   giudizio    di
costituzionalita' di una organizzazione, firmataria degli accordi del
1993, del 1998, del 2009 e chiamata, in particolare, a partecipare  a
tutti i tavoli di contrattazione relativi alle aree dirigenziali  II,
III, IV. 
    La  CONFEDIR  sollecita  la  rimessione  della  questione,  anche
d'ufficio, alla Corte di giustizia dell'Unione europea,  individuando
una violazione della  direttiva  n.  2002/14/CE  sull'informazione  e
sulla consultazione dei lavoratori. 
    Essa denuncia, inoltre, la violazione degli artt.  5  e  6  della
Carta sociale  europea,  che  tutelano,  rispettivamente,  i  diritti
sindacali e il diritto  di  negoziazione  collettiva,  la  violazione
degli artt. 27 e 28 della Carta dei diritti fondamentali  dell'Unione
europea, che attengono al diritto dei lavoratori  all'informazione  e
alla  consultazione  nell'ambito  dell'impresa  e   al   diritto   di
negoziazione e di  azioni  collettive,  il  contrasto  inconciliabile
delle norme impugnate con la Convenzione OIL n.  87,  firmata  a  San
Francisco il 17 giugno 1948, concernente la liberta' sindacale  e  la
protezione del diritto sindacale, e con la  Convenzione  OIL  n.  98,
firmata a Ginevra l'8 giugno  1949,  concernente  l'applicazione  dei
Principi del diritto di organizzazione e di negoziazione  collettiva,
entrambe ratificate e rese esecutive con legge 23 marzo 1958, n. 367. 
    1.7.- In prossimita'  dell'udienza,  la  difesa  dello  Stato  ha
depositato una memoria illustrativa, che ribadisce le  argomentazioni
gia' svolte. 
    La difesa dello Stato ha imputato ai giudici  rimettenti  di  non
avere    esplorato    la    possibilita'    di     un'interpretazione
costituzionalmente orientata, di  non  avere  offerto  argomentazioni
convincenti in merito alla rilevanza, trascurando, inoltre, lo  stato
di emergenza, in cui le misure si collocano. 
    Cosi' inquadrata, la normativa impugnata  andrebbe  esente  dalle
censure di violazione degli artt. 2 e 3, primo comma, Cost. 
    Essa non avrebbe natura tributaria, perseguirebbe l'obiettivo  di
razionalizzare  e  contenere  la  spesa  pubblica,  in  un'ottica  di
programmazione  di  bilancio  necessariamente   pluriennale,   e   si
limiterebbe a imporre un contributo equamente distribuito  tra  tutte
le componenti dell'apparato pubblico, senza arrecare alcun vulnus  al
principio di proporzionalita' della retribuzione al lavoro svolto. 
    Neppure le doglianze sulla violazione dell'art. 39, primo  comma,
Cost. coglierebbero nel segno, giacche' la contrattazione  collettiva
avrebbe avuto occasione di svolgersi sia  a  livello  nazionale,  sia
decentrato. 
    1.8.-  In  vista  dell'udienza,  hanno  depositato  una   memoria
illustrativa anche la FIALP e la FLP, replicando che le  disposizioni
impugnate hanno irragionevolmente limitato e  perfino  «annichilito»,
per un arco temporale di ben cinque anni, quella liberta'  sindacale,
che proprio nella liberta' di contrattazione ha  la  sua  espressione
caratteristica. 
    La contrattazione collettiva nel settore del lavoro pubblico, che
puo' essere limitata in ragione di esigenze finanziarie di  carattere
generale e delle  risorse  concretamente  disponibili  (art.  47  del
d.lgs. n. 165 del 2001), non dovrebbe essere sospesa per  un  periodo
cosi' lungo. 
    Pur in  assenza  di  risorse  finanziarie,  le  parti  collettive
potrebbero  operare  interventi  redistributivi  e  perequativi,  per
erogare tutela nei confronti delle fasce di lavoratori a  piu'  basso
reddito. 
    Per contro, in conseguenza delle misure impugnate,  il  peso  del
risanamento dei conti pubblici graverebbe  in  misura  sproporzionata
sulla sola categoria dei dipendenti pubblici. 
    2.- Con ordinanza depositata il 1° marzo 2014 e  iscritta  al  n.
125 del registro ordinanze 2014, il Tribunale ordinario  di  Ravenna,
in  funzione  di  giudice  del  lavoro,  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 9, commi 1,  2-bis,  17,  primo
periodo, e 21, ultimo periodo, del d.l. n. 78 del  2010  e  dell'art.
16, comma 1, lettere b) e c), del d.l. n. 98 del 2011, in riferimento
agli artt. 2, 3, primo comma, 35, primo comma, 36, primo  comma,  39,
primo comma, e 53 Cost. 
    2.1.-  Il  giudice   rimettente   espone   di   conoscere   della
controversia promossa da dipendenti del Ministero della giustizia, in
servizio presso il Tribunale ordinario di Ravenna. 
    I    ricorrenti    hanno     chiesto,     previo     accertamento
dell'illegittimita' del blocco stipendiale e contrattuale, di  vedere
riconosciuto  il  diritto   all'aumento   e/o   all'adeguamento   del
trattamento  retributivo,  fermo  al  2010,  e  comunque  il  diritto
all'indennizzo e/o all'indennita' per il  danno  patito  per  effetto
della  violazione  del  diritto   a   una   retribuzione   giusta   e
proporzionata alla quantita' e alla qualita' del  lavoro  prestato  o
perlomeno adeguata all'inflazione e/o al costo della vita. 
    Il lavoro - allegano i  ricorrenti  -  si  sarebbe  aggravato  in
conseguenza della diminuzione del numero dei dipendenti  dell'Ufficio
per il "blocco" legislativo del turn over. 
    La controversia e' stata  incardinata  dinanzi  al  Tribunale  di
Ravenna  anche  dalla  CONFSAL-UNSA,  Confederazione   generale   dei
sindacati  autonomi  dei  lavoratori  -  Unione  nazionale  sindacati
autonomi. In qualita' di sindacato maggiormente  rappresentativo  del
comparto Ministeri e di sindacato primo  per  rappresentativita'  del
Ministero della giustizia, ha chiesto, in primo luogo, l'accertamento
del diritto a partecipare alle procedure contrattuali  collettive  e,
in secondo luogo, e' intervenuta in senso adesivo  alle  ragioni  dei
propri iscritti. 
    Il Ministero  della  giustizia  si  e'  costituito  nel  giudizio
principale, deducendo l'infondatezza delle domande e delle  questioni
di legittimita' costituzionale e sollevando  eccezioni  pregiudiziali
d'incompetenza per territorio, di carenza di legittimazione attiva  e
passiva delle parti. 
    Il giudice rimettente ha scelto di decidere, unitamente al merito
della causa, le eccezioni relative all'incompetenza  per  territorio,
con riguardo alla posizione di D'A.C. e P.A., le eccezioni di difetto
di legittimazione attiva dei ricorrenti e di  legittimazione  passiva
del Ministero della giustizia. 
    Quanto alle domande proposte dal sindacato, volte ad ottenere  la
riapertura della contrattazione collettiva, il giudice rimettente  si
e' spogliato della controversia a favore del Tribunale  ordinario  di
Roma, in funzione di giudice del lavoro. La competenza per territorio
si radicherebbe innanzi a tale giudice, in quanto a Roma ha  sede  il
Ministero convenuto in causa. 
    Tale  declaratoria  d'incompetenza  -  ad  avviso   del   giudice
rimettente - non elide la rilevanza delle questioni  di  legittimita'
costituzionale del blocco della contrattazione. 
    Il sindacato, difatti, avrebbe comunque  titolo  a  sostenere  le
domande   degli   iscritti,    che    presuppongono    l'accertamento
dell'illegittimita' costituzionale di tale blocco. 
    In punto di rilevanza, il giudice  rimettente  evidenzia  che  la
normativa  censurata  preclude  l'accoglimento  delle   domande   dei
ricorrenti. 
    Per  quel  che  attiene  alla  non  manifesta  infondatezza,   le
disposizioni  impugnate  contrasterebbero   con   il   principio   di
eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), poiche'  si  rivolgerebbero
ai soli pubblici dipendenti  "contrattualizzati",  senza  coinvolgere
altre categorie del lavoro pubblico (appartenenti al comparto scuola,
forze armate, prefetti, ambasciatori, magistrati). 
    Tali misure confliggerebbero con l'art. 3,  primo  comma,  Cost.,
anche sotto il  profilo  dell'irragionevolezza  intrinseca,  giacche'
sarebbero  irrispettose  dei  caratteri  di   transitorieta'   e   di
eccezionalita', che la giurisprudenza costituzionale ha indicato come
parametri di legittimita' di provvedimenti affini. 
    Il giudice rimettente scorge un  altro  profilo  d'illegittimita'
costituzionale nel contrasto con la gradualita' dei sacrifici imposti
(art. 53 Cost.) e la solidarieta' (art. 2 Cost.). 
    La   disciplina   censurata,   secondo   questa   prospettazione,
penalizzerebbe i dipendenti pubblici che  percepiscono  gli  stipendi
piu' bassi, preservando la  posizione  di  quelli  con  redditi  piu'
elevati. 
    Il giudice rimettente segnala, inoltre, la  violazione  dell'art.
36, primo comma,  Cost.,  rilevando  che  il  blocco  contrattuale  e
stipendiale, protraendosi dal 2010, pregiudicherebbe il diritto a una
retribuzione  adeguata  e  proporzionata   al   lavoro   svolto.   Il
pregiudizio si aggraverebbe per effetto del blocco del turn over. 
    Il blocco contrattuale sarebbe  lesivo  dei  principi  consacrati
dagli artt. 35, primo comma, e 39,  primo  comma,  Cost.,  visto  che
andrebbe a  detrimento  dell'autonomia  negoziale  e  della  liberta'
sindacale  riservata  alle  parti  nell'ambito  della  contrattazione
collettiva. 
    Gli interventi normativi, che limitano al 2013/2014 la riapertura
delle procedure contrattuali soltanto per  la  parte  normativa,  non
varrebbero a mutare il quadro appena delineato. 
    2.2.- Nel giudizio sono intervenuti i lavoratori, ricorrenti  nel
giudizio  a  quo,  e  la   Confederazione   CONFSAL-UNSA,   chiedendo
l'accoglimento  della  questione  di   legittimita'   costituzionale,
sollevata dal Tribunale ordinario di Ravenna, sotto tutti  i  profili
evocati  (violazione  della  liberta'  sindacale   e   dell'autonomia
collettiva, tutelate dall'art. 39,  primo  comma,  Cost.,  violazione
degli artt. 35, primo comma, e 36, primo comma, Cost., violazione del
principio di eguaglianza e di ragionevolezza). 
    2.3.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  con  una  memoria  corredata  anche  da   una   nota   del
Dipartimento della funzione  pubblica,  chiedendo  di  respingere  le
questioni  di  legittimita'  costituzionale  proposte  dal  Tribunale
ordinario  di  Ravenna,  in  quanto  irrilevanti,   inammissibili   e
manifestamente infondate. 
    L'Avvocatura generale dello Stato adombra, in via  pregiudiziale,
la carenza d'interesse  dell'organizzazione  sindacale,  che  non  ha
impugnato gli atti lesivi applicativi. 
    Per quel che concerne il merito delle questioni, la difesa  dello
Stato ribadisce che le disposizioni censurate  mirano  a  ridurre  la
spesa  pubblica,  in  adempimento   degli   obblighi   che   derivano
dall'appartenenza     all'Unione     europea     e      dell'obbligo,
costituzionalmente sancito, di raggiungere  l'equilibrio  strutturale
delle entrate e delle spese del bilancio. 
    Sarebbe legittima, alla  luce  delle  enunciazioni  di  principio
della  giurisprudenza  costituzionale,   l'introduzione   di   misure
eccezionali, transitorie, non arbitrarie  e  consentanee  allo  scopo
prefisso,  volte   a   fissare   limiti   di   compatibilita'   della
contrattazione collettiva con le finanze pubbliche. 
    Tali   misure   non   sarebbero    irragionevoli,    in    quanto
salvaguarderebbero   l'erogazione    dell'indennita'    di    vacanza
contrattuale e non assoggetterebbero al  vincolo  ne'  le  componenti
retributive legate ad eventi straordinari della dinamica  retributiva
individuale, ne' la parte accessoria variabile. 
    Tali peculiarita' garantirebbero il  rispetto  del  principio  di
parita'  di  trattamento,  del   vincolo   sinallagmatico,   tutelato
dall'art. 36, primo comma, Cost., del diritto di azione  sindacale  e
dell'autonomia negoziale, che non sarebbe stata  affatto  esclusa  in
radice,  come   dimostrerebbe   l'esplicarsi   della   contrattazione
integrativa e della contrattazione nazionale. 
    La  difesa  dello   Stato   revoca   in   dubbio   il   carattere
pregiudizievole   della    mancata    applicazione    dell'indicatore
d'inflazione IPCA (indice dei prezzi al consumo armonizzato  europeo)
e  della  conseguente  applicazione,  per  la   rivalutazione   dello
stipendio, del tasso d'inflazione programmata. 
    I  dipendenti  pubblici,  inoltre,  avrebbero   percepito   quote
aggiuntive di salario in misura percentualmente maggiore rispetto  al
settore  privato,  erogate  dalla  contrattazione   integrativa.   Le
retribuzioni di fatto del pubblico  impiego  beneficerebbero  di  una
dinamica  superiore  al  TIP  (tasso  di  inflazione  programmata)  e
resisterebbero all'inflazione reale registrata a consuntivo. 
    Non sarebbero, dunque, fondati  i  rilievi  sulla  disparita'  di
trattamento tra il settore  pubblico  e  il  settore  privato,  anche
perche' pretermettono la specialita' del rapporto di lavoro  pubblico
e le esigenze di perseguimento di interessi generali, coessenziali  a
tale ambito. 
    A fronte di una misura sfornita di ogni carattere tributario, non
parrebbero aver pregio neppure le censure di violazione degli artt. 2
e 53 Cost. 
    La normativa,  pertanto,  ripromettendosi  di  neutralizzare  gli
effetti della crisi economica, in un'ottica di razionalizzazione e di
riduzione della  spesa  pubblica,  non  presterebbe  il  fianco  alle
censure proposte. 
    2.4.- Nella memoria, depositata in prossimita'  dell'udienza,  il
Presidente del Consiglio dei  ministri  ha  passato  in  rassegna  le
argomentazioni gia' spese nel giudizio r.o. n. 76 del 2014  (si  veda
supra punto 1.7. del Ritenuto in fatto). 
    2.5.-  In  vista  dell'udienza,  hanno  depositato  una   memoria
illustrativa anche i dipendenti del Ministero della  giustizia  e  la
CONFSAL-UNSA, confutando le tesi propugnate dalla difesa dello  Stato
e puntualizzando che, con la legge di  stabilita'  per  il  2015,  il
blocco della contrattazione economica e'  stato  esteso  fino  al  31
dicembre 2015. 
    Le parti intervenute lamentano che la normativa abbia  bilanciato
in  maniera  irragionevole  e  sproporzionata   i   diritti   sociali
fondamentali (artt. 35, primo comma, 36, primo  comma,  e  39,  primo
comma,  Cost.)  e  gli  obiettivi  di  pareggio  di  bilancio  e   di
risanamento economico (art. 81 Cost.). 
    La reiterazione delle misure, cosi'  come  congegnata  in  questi
anni, implicherebbe una deroga costante al meccanismo di  adeguamento
retributivo, pregiudizievole per i dipendenti  che  percepiscono  una
retribuzione modesta e sono costretti, in conseguenza del blocco  del
turn over, a un carico di lavoro superiore. 
    Quanto ai contratti integrativi,  enumerati  dalla  difesa  dello
Stato, riguarderebbero aspetti estranei al  trattamento  retributivo,
sottoposto, con il decorrere del tempo, a una rilevante erosione  del
potere  d'acquisto,  dovuta  anche  al   temporaneo   abbandono   del
meccanismo di adeguamento secondo l'indice IPCA,  che  registra  dati
costantemente superiori al tasso d'inflazione programmata. 
    3.- All'udienza pubblica, le parti costituite nel giudizio  e  il
Presidente  del  Consiglio   dei   ministri   hanno   insistito   per
l'accoglimento delle conclusioni formulate nelle difese scritte. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Roma, in funzione  di  giudice  del
lavoro, dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 9, commi 1
e 17, primo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78  (Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,
della legge 30 luglio 2010, n. 122, e  dell'art.  16,  comma  1,  del
decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98  (Disposizioni  urgenti  per  la
stabilizzazione   finanziaria),   convertito,   con    modificazioni,
dall'art. 1, comma  1,  della  legge  15  luglio  2011,  n.  111,  in
riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 35, primo comma, 36,  primo
comma, 39, primo comma, e 53 Cost. 
    La normativa impugnata, che determina per  i  lavoratori  di  cui
all'art. 2, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo  2001,  n.  165
(Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle  dipendenze  delle
amministrazioni pubbliche) una prolungata sospensione delle procedure
negoziali e  dell'ordinaria  dinamica  retributiva,  si  porrebbe  in
contrasto con i principi di eguaglianza, di  tutela  del  lavoro,  di
proporzionalita' della retribuzione al lavoro svolto, di liberta'  di
contrattazione collettiva. 
    Le limitazioni, imposte dal legislatore per il periodo 2010-2014,
introdurrebbero  una  disciplina  irragionevole   e   sproporzionata,
discriminando,  per  un  periodo  tutt'altro   che   transitorio   ed
eccezionale, i lavoratori pubblici rispetto ai lavoratori del settore
privato. 
    2.- Il Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del
lavoro, sospetta di illegittimita' costituzionale l'art. 9, commi  1,
2-bis, 17, primo periodo, e 21, ultimo periodo, del d.l.  n.  78  del
2010, e l'art. 16, comma 1, lettere b) e c), del d.l. n. 98 del 2011,
in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma,  35,  primo  comma,  36,
primo comma, 39, primo comma, e 53 Cost. 
    Il  giudice  rimettente  assume  che  il   "congelamento"   delle
retribuzioni dei pubblici  dipendenti  rientranti  nel  regime  della
contrattazione collettiva, prolungatosi  per  il  periodo  2010-2014,
senza alcuna possibilita' di recupero, riveli molteplici  profili  di
contrasto con la Carta costituzionale. 
    Tale  disciplina,  destinata  ad  applicarsi   per   un   periodo
apprezzabile, comprometterebbe irreparabilmente  lo  svolgersi  della
contrattazione collettiva  e  il  diritto  dei  lavoratori  pubblici,
sottoposti ad un carico di lavoro sempre piu'  gravoso,  a  percepire
una retribuzione proporzionata al lavoro svolto. 
    Le norme impugnate, che trascendono i limiti della transitorieta'
e dell'eccezionalita' tracciati dalla  giurisprudenza  costituzionale
per gli interventi di contenimento della  spesa,  introdurrebbero  un
prelievo tributario a carico  dei  pubblici  dipendenti,  in  spregio
all'universale dovere di solidarieta' economica (art. 2 Cost.)  e  al
principio di gradualita' dei sacrifici imposti (art. 53 Cost.). 
    La disciplina in  esame  discriminerebbe  i  lavoratori  pubblici
rispetto  ai  lavoratori  privati  e  introdurrebbe   disparita'   di
trattamento arbitrarie anche tra le  varie  categorie  di  dipendenti
pubblici. 
    3.- Alle censure dei giudici rimettenti la difesa dello Stato  ha
contrapposto  l'eccezionalita'  dell'intervento  normativo,  che,  in
armonia con le esigenze costituzionalmente  imposte  di  salvaguardia
della stabilita' di bilancio, si articola comunque in un  periodo  di
tempo circoscritto e impone un sacrificio  ragionevole  all'autonomia
collettiva e ai diritti tutelati dall'art. 36,  primo  comma,  Cost.,
senza  introdurre  alcun  prelievo  tributario  e  senza   ingenerare
discriminazioni di sorta con altre categorie di lavoratori. 
    4.- I due giudizi, in ragione dell'omogeneita' delle questioni  e
dell'intima connessione delle censure, devono essere riuniti e decisi
con un'unica sentenza. 
    5.- In via preliminare, dev'essere confermata  l'ordinanza  letta
nel corso dell'udienza pubblica e qui  allegata,  che  ha  dichiarato
ammissibile l'intervento della Confederazione indipendente  sindacati
europei  (CSE)  e  inammissibili  gli   interventi   spiegati   dalla
Federazione  GILDA-UNAMS  e   dalla   Confederazione   autonoma   dei
dirigenti,  quadri  e  direttivi   della   pubblica   amministrazione
(CONFEDIR), nel giudizio iscritto al n.  76  del  registro  ordinanze
2014. 
    6.- La normativa  impugnata,  nei  termini  esposti  dai  giudici
rimettenti, concerne le previsioni del d.l. n. 78 del 2010 e del d.l.
n. 98 del 2011,  nella  parte  in  cui  sacrificano  la  liberta'  di
accedere  alla  contrattazione  collettiva  e  circondano  di  limiti
rigorosi l'incremento delle retribuzioni nel lavoro pubblico. 
    Il d.l. n. 78 del 2010 stabilisce che non  si  dia  luogo,  senza
possibilita' di recupero, «alle procedure  contrattuali  e  negoziali
relative al triennio 2010-2012 del personale di cui  all'articolo  2,
comma 2 [...] del decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n.  165,  e
successive modificazioni» e salvaguarda l'erogazione  dell'indennita'
di vacanza contrattuale «nelle misure previste a decorrere  dall'anno
2010 in applicazione  dell'articolo  2,  comma  35,  della  legge  22
dicembre 2008, n. 203» (art. 9, comma 17). 
    Alla sospensione delle «procedure contrattuali  e  negoziali»  si
associa la previsione del "congelamento" dei trattamenti retributivi,
che, per gli anni 2011, 2012, 2013,  non  possono  superare,  neppure
nelle componenti accessorie, «il trattamento ordinariamente spettante
per l'anno 2010» (art. 9, comma 1). 
    Anche il  trattamento  accessorio  del  personale,  ivi  compreso
quello di livello dirigenziale, e il  trattamento  retributivo  delle
progressioni di carriera soggiacciono a  limitazioni  drastiche,  che
sono fatte segno delle specifiche censure del Tribunale ordinario  di
Ravenna. 
    Quanto al trattamento accessorio del personale, l'art.  9,  comma
2-bis, del d.l. n. 78 del 2010 sancisce che  «non  puo'  superare  il
corrispondente   importo   dell'anno   2010    ed    e',    comunque,
automaticamente ridotto in misura proporzionale  alla  riduzione  del
personale in servizio». 
    L'art. 9, comma 21, del d.l. n.  78  del  2010  attribuisce  alle
progressioni di carriera, per gli anni 2011, 2012, 2013, una  valenza
esclusivamente giuridica. 
    A prolungare gli effetti di tali  misure  di  contenimento  della
spesa, interviene il d.l. n. 98 del 2011, che persegue l'obiettivo di
assicurare il consolidamento  delle  misure  di  razionalizzazione  e
contenimento della spesa in  materia  di  pubblico  impiego  adottate
nell'ambito della manovra di finanza pubblica per gli anni 2011-2013,
indicando ulteriori risparmi in termini di indebitamento netto che si
spingono fino al 2016 (art. 16, comma 1). 
    In tale  ottica,  il  legislatore  ha  demandato  a  uno  o  piu'
regolamenti, da emanare ai sensi dell'art. 17, comma 2,  della  legge
23 agosto 1988,  n.  400  (Disciplina  dell'attivita'  di  Governo  e
ordinamento della Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri),  previa
proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione
e dell'economia e delle finanze, la previsione della «proroga fino al
31 dicembre 2014 delle vigenti disposizioni che limitano la  crescita
dei  trattamenti  economici  anche  accessori  del  personale   delle
pubbliche amministrazioni previste dalle disposizioni medesime» (art.
16, comma 1, lettera b), e «la fissazione delle modalita' di  calcolo
relative all'erogazione dell'indennita' di vacanza  contrattuale  per
gli anni 2015-2017» (art. 16, comma 1, lettera c). 
    Il d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122  (Regolamento  in  materia  di
proroga  del  blocco  della  contrattazione   e   degli   automatismi
stipendiali per i pubblici  dipendenti,  a  norma  dell'articolo  16,
commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98,  convertito,
con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111) si colloca nel
solco di tali indicazioni normative. 
    L'art. 1, comma 1, lettera a), proroga sino al 31  dicembre  2014
le disposizioni di cui all'art. 9, commi 1, 2-bis e 21 del d.l. n. 78
del  2010,  in  tema  di  trattamenti   economici   individuali,   di
trattamenti accessori, di progressioni di carriera. L'art.  1,  comma
1, lettera c), precisa che «si da' luogo, alle procedure contrattuali
e negoziali ricadenti negli anni 2013-2014 del  personale  dipendente
dalle amministrazioni  pubbliche  cosi'  come  individuate  ai  sensi
dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre  2009,  n.  196,  e
successive  modificazioni,  per  la  sola  parte  normativa  e  senza
possibilita' di recupero per la parte economica». 
    Quanto all'indennita' di vacanza contrattuale, l'art. 1, comma 1,
lettera d), esclude che,  per  il  periodo  2013-2014,  siano  dovuti
incrementi. Per la tornata 2015-2017, l'indennita' e' dovuta «secondo
le modalita' ed  i  parametri  individuati  dai  protocolli  e  dalla
normativa vigenti». 
    Le previsioni regolamentari sono state trasfuse in una  fonte  di
rango  legislativo  (legge  27  dicembre  2013,   n.   147,   recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - Legge di stabilita' 2014»), con riguardo all'indennita'
di vacanza contrattuale per il periodo 2015-2017 (art. 1, comma 452),
alla  sospensione  delle  procedure  negoziali  inerenti  alla  parte
economica per il periodo 2013-2014 (art. 1, comma 453), all'ammontare
dei trattamenti accessori (art. 1, comma 456). Per effetto  dell'art.
1, comma 254, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -  legge
di stabilita' 2015), la  sospensione  delle  procedure  negoziali  e'
destinata a protrarsi, per la parte economica, fino  al  31  dicembre
2015. 
    A  tale   sospensione   non   fa   riscontro   alcun   incremento
dell'indennita' di vacanza contrattuale, ancorata, fino al  2018,  ai
valori del 31 dicembre 2013 (art. 1, comma 255, della  legge  n.  190
del 2014). 
    7.- Le questioni di  legittimita'  costituzionale  devono  essere
esaminate  alla  stregua  del  quadro  normativo  appena   delineato,
caratterizzato da disposizioni susseguitesi nel tempo, legate  da  un
evidente nesso di continuita', al fine di  perseguire  un  dichiarato
obiettivo di contenimento della spesa. 
    7.1.- La difesa dello Stato formula alcune eccezioni preliminari. 
    Quanto al paventato difetto di incidentalita', si  deve  rilevare
che  entrambi  i  giudizi  non   si   esauriscono   nell'accertamento
dell'illegittimita' costituzionale della normativa censurata. 
    Nel giudizio pendente dinanzi al Tribunale ordinario di Roma,  le
organizzazioni  sindacali,  oltre  all'accertamento  del  diritto  di
accedere alla contrattazione collettiva, hanno  chiesto  la  condanna
dell'ARAN ad avviare le  trattative.  Nel  contenzioso  ravennate  il
giudice  e'  investito  delle  questioni   concernenti   le   pretese
retributive dei  lavoratori  ricorrenti,  nonche'  delle  domande  di
natura indennitaria e risarcitoria. 
    Da tali considerazioni si evince  che  il  petitum  del  giudizio
principale, in ambedue i casi, ha una  maggiore  latitudine  rispetto
all'oggetto della questione di legittimita' costituzionale e  involge
un tema di indagine piu' complesso, che impone ai giudici rimettenti,
dopo la soluzione del dubbio di costituzionalita',  di  orientare  su
aspetti diversi il  dibattito  processuale.  Nei  giudizi  a  quibus,
pertanto, non e' dato discernere  quella  perfetta  sovrapponibilita'
del petitum del giudizio principale rispetto all'oggetto del giudizio
di legittimita' costituzionale (sentenza n. 84 del 2006), che snatura
il carattere incidentale del giudizio. 
    7.2.- La difesa dello Stato, nel giudizio iscritto al n. 125  del
registro  ordinanze  2014,  adombra  una  carenza  d'interesse  delle
organizzazioni  sindacali  ricorrenti,  desumendola   dalla   mancata
impugnazione degli atti lesivi, chiamati  a  dare  applicazione  alle
norme censurate. 
    Tale rilievo non puo' essere condiviso. 
    E' palese l'interesse delle organizzazioni ricorrenti a reclamare
l'effettiva   tutela   di   prerogative   costituzionali,   ad   esse
riconoscibili, che si ritiene siano messe a repentaglio  dalle  norme
impugnate. 
    7.3.- Nelle memorie integrative, depositate il 29 maggio 2015, la
difesa dello Stato lamenta che i giudici rimettenti abbiano omesso di
esplorare la praticabilita' di un'interpretazione conforme al dettato
costituzionale e di offrire una motivazione esaustiva sulla rilevanza
della questione. 
    Le  ordinanze  di  rimessione  superano,  anche  da  tale  angolo
visuale, il vaglio di ammissibilita', sollecitato a questa Corte.  Le
censure di illegittimita'  costituzionale  si  appuntano  contro  una
normativa con un significato letterale e sistematico  inequivocabile,
che non offre alcun  appiglio  ad  una  interpretazione  alternativa,
rispettosa dei principi della Carta fondamentale. 
    8.- Le ordinanze di rimessione, nondimeno, non appaiono scevre da
lacune, che ridondano sul piano dell'inammissibilita' di alcune delle
questioni proposte. 
    8.1.-  Presentano,  anzitutto,  profili  di  inammissibilita'  le
censure riguardanti l'indennita' di vacanza contrattuale. 
    I giudici rimettenti, nell'impugnare l'art. 16, comma 1,  lettera
c), del d.l. n. 98 del 2011,  non  spiegano  per  quale  ragione  sia
rilevante ratione temporis, alla luce delle  domande  proposte  dalle
parti  sindacali  e  dai  lavoratori,  una  normativa  che   riguarda
specificamente  le  modalita'  di  calcolo  relative   all'erogazione
dell'indennita' di vacanza contrattuale per gli anni 2015-2017. 
    Le ordinanze non chiariscono, inoltre, il profilo attinente  alla
non manifesta infondatezza, incentrato sulla violazione dell'art. 36,
primo comma, Cost. 
    I giudici a quibus, nell'esaminare la disciplina che concerne  la
determinazione dell'indennita' di vacanza contrattuale e l'esclusione
degli incrementi di questa voce fino al 2017 (e poi,  nella  pendenza
della lite, fino al 2018), non enunciano  le  ragioni  del  contrasto
della  normativa  con  il   canone   della   proporzionalita'   della
retribuzione (art. 36, primo comma, Cost.). 
    Secondo l'insegnamento costante di questa Corte,  la  conformita'
della retribuzione ai requisiti  di  proporzionalita'  e  sufficienza
indicati dall'art. 36, primo comma, Cost.  deve  essere  valutata  in
relazione alla retribuzione nel suo complesso, non gia' alle  singole
componenti di essa (fra le tante, sentenze n. 366 del 2006 e  n.  164
del 1994). 
    Le ordinanze non si soffermano su tale valutazione complessiva. 
    8.2.- Con riguardo alla dedotta violazione  dell'art.  35,  primo
comma, Cost., le ordinanze di rimessione non offrono, a sostegno  dei
dubbi di costituzionalita', argomentazioni autonome, che  valgano  ad
affrancare il richiamo al precetto costituzionale dalla sua  funzione
ancillare rispetto alle censure fondate sugli artt. 36, primo  comma,
e 39, primo comma, Cost. 
    8.3.-  Sono  inammissibili  anche  le  questioni   proposte   dal
Tribunale ordinario di Roma in riferimento all'art. 53 Cost. 
    Su  tale  profilo,  l'ordinanza  di  rimessione   e'   parca   di
riferimenti circostanziati e - come la  difesa  dello  Stato  non  ha
mancato di eccepire - si  limita  a  menzionare  nel  dispositivo  il
parametro  costituzionale,  omettendo  di  fornire  un'argomentazione
esaustiva sulle ragioni del contrasto con le norme invocate. 
    9.- Cosi' delimitato l'ambito del giudizio, occorre esaminare  le
censure che postulano  l'illegittimita'  radicale  dei  provvedimenti
legislativi restrittivi della dinamica contrattuale e  salariale  nel
lavoro pubblico, senza  annettere  alcun  rilievo  al  fattore  della
durata di tali misure. 
    9.1.- Il Tribunale ordinario di Ravenna  ritiene  di  argomentare
tale illegittimita' sulla scorta del richiamo  all'art.  53  Cost.  e
configura, per il caso di specie, un prelievo tributario a tutti  gli
effetti. Il giudice rimettente raccorda il principio di  "gradualita'
dei sacrifici  imposti",  di  progressivita'  dell'imposizione  e  di
capacita' contributiva (art. 53 Cost.) al  piu'  generale  dovere  di
solidarieta', prescritto dall'art. 2 Cost. 
    Le censure, cosi' articolate,  muovono  dall'erroneo  presupposto
interpretativo che il meccanismo di "blocco" si sostanzi,  in  ultima
analisi, nell'imposizione di un tributo. 
    Le caratteristiche delle misure impugnate, che si traducono in un
mero risparmio  di  spesa  e  non  si  atteggiano  come  decurtazione
definitiva  del  patrimonio  del  soggetto  passivo   e   come   atto
autoritativo di carattere ablatorio, diretto a reperire  risorse  per
l'erario, divergono dagli elementi distintivi del prelievo tributario
(fra le tante, sentenza n. 70 del 2015, punto 4. del  Considerato  in
diritto). 
    Gli  elementi   indefettibili   della   prestazione   tributaria,
enucleati  dalla  costante  giurisprudenza  di   questa   Corte,   si
identificano, per un verso, nella presenza di una disciplina  legale,
finalizzata  in  via  prevalente   a   provocare   una   decurtazione
patrimoniale del soggetto passivo, svincolata da  ogni  modificazione
del rapporto sinallagmatico. Per altro verso, a  definire  la  natura
tributaria concorre l'elemento teleologico. 
    In particolare, le risorse derivanti dal prelievo e connesse a un
presupposto economicamente rilevante,  idoneo  a  porsi  come  indice
della capacita' contributiva, devono essere destinate a «sovvenire le
pubbliche spese» (sentenza n. 310 del 2013, punto 11. del Considerato
in diritto). Caduta la premessa che si tratti di un tributo, anche le
censure di violazione dell'art. 53 Cost. perdono consistenza. 
    9.2.- Altre censure sono accomunate dal riferimento  all'art.  3,
primo comma, Cost., evocato dal Tribunale ordinario di Roma anche  in
rapporto ai doveri  di  solidarieta'  di  cui  all'art.  2  Cost.,  e
additano,  in  prima   istanza,   un'ingiustificata   disparita'   di
trattamento tra il lavoro pubblico e il lavoro privato. 
    Il Tribunale ordinario di Ravenna, dal canto suo, evidenzia altre
sperequazioni con riferimento a diversi pubblici dipendenti, lungo il
discrimine che corre, da un lato, tra il lavoro pubblico assoggettato
a una disciplina  contrattuale  e,  dall'altro,  il  lavoro  pubblico
escluso da tale disciplina. Disparita' di trattamento sarebbero anche
ravvisabili tra i diversi comparti del lavoro pubblico regolato dalla
fonte contrattuale. 
    Neppure tali censure sono fondate. 
    La disciplina impugnata, che  non  lascia  indenne  il  personale
della carriera diplomatica (sentenza n. 304 del 2013) menzionato come
termine di paragone dal giudice ravennate, persegue l'obiettivo di un
risparmio di spesa, che «opera  riguardo  a  tutto  il  comparto  del
pubblico impiego, in una dimensione solidaristica - sia pure  con  le
differenziazioni rese necessarie dai  diversi  statuti  professionali
delle categorie che vi appartengono» (sentenza n. 310 del 2013, punto
13.5. del Considerato in diritto). 
    I giudici rimettenti non tengono  conto  della  diversita'  degli
statuti professionali delle categorie appartenenti al lavoro pubblico
e comparano fattispecie dissimili, che non possono fungere  da  utile
termine di raffronto. 
    Il lavoro pubblico e il lavoro  privato  non  possono  essere  in
tutto e per tutto assimilati (sentenze n. 120 del 2012 e n.  146  del
2008) e le differenze, pur attenuate,  permangono  anche  in  seguito
all'estensione della contrattazione collettiva a una vasta  area  del
lavoro prestato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. 
    La medesima eterogeneita' dei termini posti a  raffronto  connota
l'area del lavoro pubblico  contrattualizzato  e  l'area  del  lavoro
pubblico   estraneo   alla   regolamentazione   contrattuale.    Tale
eterogeneita' preclude ogni plausibile  valutazione  comparativa  sul
versante dell'art. 3, primo comma, Cost. e risalta ancor  piu'  netta
in ragione dell'irriducibile specificita' di  taluni  settori  (forze
armate, personale della magistratura), non governati dalla logica del
contratto e indicati dal giudice ravennate come tertia comparationis.
Si valorizza in tal modo  una  funzione  solidaristica  delle  misure
adottate, strettamente collegata all'eccezionalita' della  situazione
economica generale, in piena armonia con il dettato dell'art. 2 Cost. 
    Con riguardo al trattamento differenziato riservato al  personale
della scuola, il Tribunale ordinario di Ravenna non  offre  ragguagli
di  sorta  in  merito  alle  peculiarita'  di   tale   disciplina   e
all'irragionevolezza intrinseca delle differenze che intercorrono tra
il genus del  lavoro  pubblico,  disciplinato  dal  contratto,  e  la
species del comparto della  scuola  che,  pur  nella  comune  matrice
negoziale  della  disciplina  del  rapporto,  serba  intatta  la  sua
particolarita'. 
    10.-  Sgombrato  il  campo  dalle   censure   che   presuppongono
l'indiscriminata illegittimita'  della  sospensione  delle  procedure
negoziali, l'analisi non puo' che  riguardare  ciascun  provvedimento
legislativo, ricostruendone la ratio e le finalita',  allo  scopo  di
saggiarne  la   compatibilita'   con   i   parametri   costituzionali
richiamati. 
    10.1.- In tal modo si e' mossa la giurisprudenza di questa Corte,
sin dalle pronunce sulla  legittimita'  costituzionale  dell'art.  7,
comma 3, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure  urgenti
in materia di previdenza, di sanita' e di pubblico  impiego,  nonche'
disposizioni fiscali), convertito, con modificazioni, nella legge  14
novembre 1992, n. 438 (sentenza n. 245 del 1997, ordinanza n. 299 del
1999). 
    Nella  disamina  di  una  normativa   che,   per   l'anno   1993,
disconosceva ogni incremento retributivo, questa Corte ha mostrato di
ponderare le finalita' particolari, che ispiravano quei provvedimenti
di contenimento della spesa. Le misure  a  quel  tempo  adottate  non
trasmodavano  in   una   disciplina   arbitraria,   proprio   perche'
circoscritte entro un anno (sentenza n. 245 del 1997,  punto  3.  del
Considerato in diritto). 
    10.2.- Quanto ai vincoli legali all'autonomia collettiva, volti a
garantire la  «compatibilita'  con  obiettivi  generali  di  politica
economica»,  questa  Corte  ne  ha  riconosciuto   la   legittimita',
giustificando   in   «situazioni   eccezionali»   ed    eminentemente
transitorie, allorche' sia in gioco  la  «salvaguardia  di  superiori
interessi  generali»,  la  compressione   della   liberta'   tutelata
dall'art. 39, primo comma, Cost. (sentenza n. 124 del 1991, punto  6.
del Considerato in diritto). 
    Anche  tali  rilievi  sottendono  una  valutazione   particolare,
condotta caso per caso, e non si accordano con la tesi  che  sia  per
cio' stesso illegittima ogni misura che  precluda,  per  un  arco  di
tempo comunque  definito,  gli  incrementi  salariali  e  arresti  lo
svolgimento delle procedure negoziali. 
    10.3.- Tale  valutazione  si  incentra  sul  contemperamento  dei
diritti, tutelati dagli artt. 36, primo comma,  e  39,  primo  comma,
Cost.,  con  «l'interesse  collettivo  al  contenimento  della  spesa
pubblica», che deve essere adeguatamente ponderato «in un contesto di
progressivo deterioramento degli equilibri  della  finanza  pubblica»
(sentenza n. 361 del 1996, punto 3. del Considerato in diritto). 
    Si  tratta  di  misure   oggi   piu'   stringenti,   in   seguito
all'introduzione nella Carta fondamentale dell'obbligo di pareggio di
bilancio (art. 81, primo comma, Cost., come  sostituito  dall'art.  1
della  legge  costituzionale  20   aprile   2012,   n.   1,   recante
«Introduzione del principio del  pareggio  di  bilancio  nella  Carta
costituzionale»). 
    Il sistema della contrattazione collettiva nel  lavoro  pubblico,
inteso nella sua interezza, contempla la pianificazione  degli  oneri
connessi al suo svolgersi nel tempo, secondo un modello dinamico, «in
coerenza con i parametri previsti dagli strumenti di programmazione e
di bilancio di cui all'articolo 1-bis della legge 5 agosto  1978,  n.
468, e successive modificazioni e integrazioni» (art.  48,  comma  1,
del d.lgs. n. 165 del 2001). 
    11.-  Cio'  posto,  l'analisi  deve  muovere  dalle  disposizioni
dell'art. 9 del d.l. n. 78 del 2010,  che  reca  l'eloquente  rubrica
«Contenimento delle spese in  materia  di  impiego  pubblico»  e,  in
ossequio a tale linea programmatica,  preclude  ogni  incremento  dei
trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti per gli anni
2011,  2012,  2013  (comma  1),  ogni   efficacia   economica   delle
progressioni di carriera (comma 21), e - per il periodo  che  dal  1°
gennaio 2011 giunge fino al 31 dicembre 2013 - vieta ogni  incremento
dell'ammontare complessivo delle  risorse  destinate  annualmente  al
trattamento accessorio del personale (comma 2-bis). 
    La scelta di  adottare  disposizioni  restrittive  culmina  nella
sospensione  dello  svolgimento  delle  procedure   "contrattuali   e
negoziali" per il triennio 2010-2012 (comma 17). 
    12.- Le disposizioni in esame sfuggono alle censure  dei  giudici
rimettenti. 
    12.1.- Con l'assetto normativo delineato dall'art. 9 del d.l.  n.
78 del 2010, questa Corte ha gia'  avuto  occasione  di  confrontarsi
(sentenze n. 219 del 2014 e n. 310 del 2013). 
    Seppure sotto angolazioni specifiche, le  sentenze  citate  hanno
respinto le censure di  illegittimita'  costituzionale  delle  misure
contenute nel d.l.  n.  78  del  2010,  sulla  base  di  un  percorso
argomentativo  che  instrada  alla  soluzione  delle   questioni   di
legittimita' costituzionale qui considerate. 
    Si  e'  precisato,  in  quell'occasione,   che   le   prospettive
necessariamente pluriennali del  ciclo  di  bilancio  non  consentono
analogie con situazioni risalenti in cui  le  manovre  economiche  si
ponevano obiettivi temporalmente delimitati. A tale riguardo,  questa
Corte ha valorizzato «[l]a recente riforma dell'art. 81 Cost., a  cui
ha dato attuazione la legge 24 dicembre 2012,  n.  243  (Disposizioni
per l'attuazione del principio del  pareggio  di  bilancio  ai  sensi
dell'articolo   81,   sesto   comma,   della    Costituzione),    con
l'introduzione, tra l'altro, di regole sulla spesa, e  dell'art.  97,
primo comma, Cost., rispettivamente ad opera degli artt. 1 e 2  della
legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio
del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), ma ancor  prima
il nuovo primo comma dell'art. 119 Cost.» (sentenza n. 310 del  2013,
punto 13.4. del Considerato in diritto). 
    Anche la direttiva 8 novembre 2011, n. 2011/85/UE (Direttiva  del
Consiglio relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli  Stati
membri) corrobora  la  necessita'  di  considerare  le  politiche  di
bilancio  in  una  dimensione  pluriennale,  puntualizzando  che  «la
maggior  parte  delle  misure  finanziarie  hanno  implicazioni   sul
bilancio che vanno oltre il ciclo di bilancio annuale» e  che  «[u]na
prospettiva annuale non costituisce pertanto una  base  adeguata  per
politiche di bilancio solide» (considerando n. 20). 
    Alla stregua di tali rilievi, questa  Corte  ha  riconosciuto  la
ragionevolezza di un sistema  di  misure  dotate  di  una  proiezione
strutturale, che esclude in  radice  ogni  possibilita'  di  recupero
delle procedure negoziali per il periodo di riferimento (sentenza  n.
189 del 2012, punto 4.1. del Considerato in diritto). 
    La natura pluriennale delle politiche di bilancio,  espressamente
considerata nei precedenti citati, e' speculare alla durata triennale
delle tornate contrattuali, nei termini consacrati nell' "Intesa  per
l'applicazione  dell'Accordo  quadro  sulla  riforma  degli   assetti
contrattuali del 22 gennaio 2009 ai comparti contrattuali del settore
pubblico", siglata a Roma il 30 aprile 2009 dai ministri competenti e
da alcune organizzazioni sindacali (si veda, in particolare, art.  2,
lettera a). 
    Si prefigura, in tal modo, sia per la parte  normativa,  sia  per
quella  economica,  una  spiccata  dimensione   programmatica   della
contrattazione collettiva. A conferma di una natura dinamica,  tipica
dei meccanismi  di  rinnovo  dei  contratti  collettivi,  si  possono
osservare le interrelazioni degli stessi con la manovra triennale  di
finanza pubblica, secondo le cadenze scandite dall'art. 11, comma  1,
della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilita' e finanza
pubblica) e secondo i criteri indicati dall'art. 17,  comma  7  della
stessa legge. 
    Spetta alla legge di stabilita' indicare, per ciascuno degli anni
compresi nel  bilancio  pluriennale,  l'importo  complessivo  massimo
destinato al rinnovo dei contratti del  pubblico  impiego  (art.  11,
comma 3, lettera g, della legge n. 196 del 2009, ai  sensi  dell'art.
48, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001). 
    12.2.- La legittimita' delle misure ricordate,  oltre  che  nella
prospettiva programmatica ora esposta, risiede  nella  ragionevolezza
che ne ispira le linee direttrici. 
    Si  tratta,  invero,  di  provvedimenti  che,  pur   diversamente
modulati, si  applicano  all'intero  comparto  pubblico  e  impongono
limiti e restrizioni generali, in una dimensione che questa Corte  ha
connotato in senso solidaristico (sentenza n.  310  del  2013,  punto
13.5. del Considerato in diritto, gia' citato). 
    La  ragionevolezza  delle  misure  varate  discende  anche  dalla
particolare  gravita'  della  situazione  economica  e   finanziaria,
concomitante con l'intervento normativo. 
    Tali dati contingenti sono confermati sia dalle  fonti  ufficiali
(Rapporto semestrale ARAN sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti,
giugno 2010), sia  dai  lavori  preparatori.  Il  dibattito  che,  al
Senato, scandisce l'iter parlamentare della conversione in legge  del
decreto polarizza  l'attenzione  sulla  «particolare  gravita'  della
situazione  economica   e   finanziaria   internazionale»   e   sulle
«ripercussioni  sull'economia   nazionale»   (seduta   della   Quinta
Commissione del Senato - Commissione Bilancio - del 16 giugno 2010). 
    Dal canto suo, la magistratura contabile  avvalora  l'urgenza  di
intervenire con misure di contenimento delle retribuzioni (Corte  dei
conti, sezioni riunite  in  sede  di  controllo,  rapporto  2012  sul
coordinamento della finanza pubblica,  e  Corte  dei  conti,  sezioni
riunite in sede di controllo, rapporto 2011 sul  coordinamento  della
finanza pubblica). 
    La ragionevolezza dell'intero impianto normativo si coglie  anche
nell'incidenza delle misure su una dinamica retributiva pubblica, che
si attestava «su valori  piu'  sostenuti  di  quanto  registrato  nei
settori privati dell'economia» (si veda il citato Rapporto semestrale
ARAN, giugno 2010). Nella seduta della Quinta Commissione del  Senato
(Commissione  Bilancio),  tenutasi  il  16   giugno   2010,   si   e'
sottolineato che nell'ultimo decennio le retribuzioni dei  dipendenti
pubblici hanno visto «un incremento di fatto sensibilmente  superiore
per la pubblica amministrazione rispetto a  quello  degli  altri  due
comparti» dell'industria e dei servizi di mercato. Tale dato  collima
con quanto e' stato segnalato dalla Corte dei conti, sezioni  riunite
di controllo, nel  rapporto  2012  sul  coordinamento  della  finanza
pubblica. 
    Il carattere generale delle misure varate  dal  d.l.  n.  78  del
2010, inserite in un disegno organico  improntato  a  una  dimensione
programmatica,   scandita   su   un   periodo   triennale,   risponde
all'esigenza di governare una voce rilevante  della  spesa  pubblica,
che  aveva  registrato  una  crescita  incontrollata,   sopravanzando
l'incremento delle retribuzioni del settore privato. 
    Sono dunque da disattendere le censure di violazione degli  artt.
36, primo comma, e 39, primo comma, Cost., in  quanto  il  sacrificio
del diritto alla retribuzione commisurata  al  lavoro  svolto  e  del
diritto di accedere alla contrattazione collettiva non e', nel quadro
ora delineato, ne' irragionevole ne' sproporzionato. 
    13.- Quanto alle disposizioni introdotte dall'art. 16,  comma  1,
lettera b), del d.l. n. 98 del 2011, che demandavano a un regolamento
la possibilita' di prorogare fino al  31  dicembre  2014  le  vigenti
disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici anche
accessori del personale  delle  pubbliche  amministrazioni,  si  deve
rilevare che il sindacato di costituzionalita' non  puo'  tralasciare
le norme della legge di stabilita' per il 2014, che hanno  recuperato
al rango primario la normativa di matrice  regolamentare  (d.P.R.  n.
122 del 2013), inizialmente intervenuta a specificare e a  completare
il contenuto precettivo delle norme di legge (sentenza  n.  1104  del
1988, punto 6.  del  Considerato  in  diritto).  In  particolare,  le
previsioni di tale legge riguardano la  sospensione  delle  procedure
negoziali inerenti alla parte  economica  per  il  periodo  2013-2014
(art. 1, comma 453, della legge n. 147 del  2013)  e  la  limitazione
dell'ammontare dei trattamenti accessori (art. 1,  comma  456,  della
legge n. 147 del 2013). 
    Intercorre, dunque, un nesso inscindibile tra le disposizioni del
d.l. n. 98 del 2011,  specificamente  impugnate,  e  le  disposizioni
della legge di stabilita' per il 2014 (sentenze n. 186 del 2013 e  n.
310 del 2010). 
    14.- In primo luogo, si  devono  esaminare  le  censure  relative
all'estensione fino al 31 dicembre 2014 delle disposizioni  mirate  a
bloccare  l'incremento  dei  trattamenti  economici  complessivi  dei
singoli  dipendenti  e  dell'ammontare  complessivo   delle   risorse
destinate ai trattamenti accessori  e  gli  effetti  economici  delle
progressioni di carriera (art. 1, comma 1, lettera a, del  d.P.R.  n.
122 del 2013), estensione di cui si deduce anzitutto il contrasto con
l'art. 36, primo comma, Cost. 
    Sotto  tale  profilo,   le   censure   formulate   con   riguardo
all'estensione delle misure restrittive  oltre  i  confini  temporali
originariamente tracciati non  si  dimostrano  fondate,  al  pari  di
quelle che riguardavano le originarie disposizioni del d.l. n. 78 del
2010. 
    14.1.- Entrambi i giudici rimettenti  paventano  i  riflessi  del
prolungato blocco della  dinamica  negoziale  sulla  proporzionalita'
della retribuzione al lavoro prestato. 
    Il giudice ravennate, in particolare, correla la  violazione  del
citato  canone  di  proporzionalita'  al  mancato  adeguamento  delle
retribuzioni al costo della vita e al fatto che le  retribuzioni  non
rispecchino il livello di professionalita' acquisito dai lavoratori e
la maggiore gravosita' del lavoro prestato, dovuta al blocco del turn
over. 
    Neppure tali rilievi persuadono circa la fondatezza dei dubbi  di
costituzionalita'. 
    Si  deve  ribadire,  in  linea  di  principio,  che   l'emergenza
economica, pur potendo giustificare  la  stasi  della  contrattazione
collettiva,  non  puo'  avvalorare  un  irragionevole  protrarsi  del
"blocco" delle retribuzioni. Si finirebbe, in tal modo, per  oscurare
il criterio di proporzionalita'  della  retribuzione,  riferito  alla
quantita' e alla qualita' del lavoro  svolto  (sentenza  n.  124  del
1991, punto 6. del Considerato in diritto). 
    Tale criterio e' strettamente correlato anche alla valorizzazione
del merito, affidata alla contrattazione collettiva, ed e'  destinato
a proiettarsi positivamente  nell'orbita  del  buon  andamento  della
pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). 
    Nondimeno, il giudizio sulla conformita' al  parametro  dell'art.
36 Cost. non puo' essere svolto in relazione a singoli istituti,  ne'
limitatamente a periodi brevi, poiche'  si  deve  valutare  l'insieme
delle voci che compongono il trattamento complessivo  del  lavoratore
in un arco temporale di una qualche significativa ampiezza, alla luce
del canone della onnicomprensivita' (sentenza n. 154 del  2014).  Con
tale valutazione complessiva l'ordinanza non si confronta. 
    Nel considerare - alla stregua  della  giurisprudenza  di  questa
Corte - un siffatto arco temporale, si deve notare, anzitutto, che le
disposizioni censurate hanno cessato di operare a  decorrere  dal  1°
gennaio 2015. 
    La  legge  di  stabilita'  per  il  2015  non  ne  ha   prorogato
l'efficacia,  in  quanto  ha  dettato  disposizioni  che   riguardano
unicamente l'estensione fino al 31 dicembre 2015 del  "blocco"  della
contrattazione economica (art. 1, comma 254, della legge n.  190  del
2014)  ed  escludono  gli  incrementi  dell'indennita'   di   vacanza
contrattuale (art. 1, comma 255, della  medesima  legge  n.  190  del
2014). Emerge dunque con chiarezza l'orizzonte delimitato  entro  cui
si collocano le misure restrittive citate. 
    Tra i fattori rilevanti, da valutare in un  arco  temporale  piu'
ampio, si deve annoverare, in secondo luogo,  la  pregressa  dinamica
delle retribuzioni nel lavoro pubblico, che, attestandosi  su  valori
piu' elevati di quelli riscontrati in altri settori, ha poi richiesto
misure di contenimento della spesa pubblica. 
    A  questo  riguardo,  l'ordinanza  di  rimessione  del  Tribunale
ordinario  di  Ravenna  non  offre  una  dimostrazione  puntuale  del
«macroscopico  ed  irragionevole  scostamento»,   che,   secondo   la
giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 126 del  2000,  punto  5.
del Considerato in diritto), in difetto di un  principio  cogente  di
costante allineamento delle retribuzioni, denota il  contrasto  della
legge con il precetto dell'art. 36, primo comma, Cost. 
    L'argomento suggestivo del "blocco" del turn  over,  legato  alla
specificita' del settore della  giustizia  e  della  realta'  locale,
analizzata nella predetta ordinanza di rimessione,  non  vale  a  dar
conto della violazione dei precetti costituzionali denunciata in capo
a una normativa destinata ad applicarsi - nella sua valenza  generale
ed astratta - a una platea  piu'  vasta  di  dipendenti  del  settore
pubblico. 
    Peraltro, dall'incremento delle pendenze da  trattare,  congiunto
con l'assottigliarsi del numero dei dipendenti, non si puo' inferire,
per  cio'  stesso,  un  aumento  del  carico  di  lavoro,  che  renda
radicalmente sproporzionata la retribuzione percepita. 
    Un'inferenza come quella ipotizzata potrebbe  essere  accreditata
di un qualche fondamento empirico,  soltanto  se  le  metodologie  di
lavoro  e  i  moduli  organizzativi  permanessero  inalterati,  senza
riverberarsi sul lavoro degli uffici, e se il disbrigo  degli  affari
avvenisse  secondo  le  medesime   scansioni   temporali,   imponendo
conseguentemente ai dipendenti un carico di lavoro piu' gravoso. 
    Nel caso di specie, pertanto, alla  stregua  di  una  valutazione
necessariamente proiettata su un periodo piu' ampio e  del  carattere
non decisivo degli elementi addotti a fondamento delle  censure,  non
risulta  dimostrato  l'irragionevole  sacrificio  del  principio   di
proporzionalita' della retribuzione. 
    14.2.- L'infondatezza  delle  censure  incentrate  sull'art.  36,
primo comma, Cost. ha come  corollario  l'infondatezza  di  eventuali
pretese risarcitorie o indennitarie. 
    15.- Sono, invece, fondate, nei  termini  di  cui  si  dira',  le
censure mosse, al regime di sospensione per la parte economica  delle
procedure contrattuali e negoziali in riferimento all'art. 39,  primo
comma, Cost. Esse si incentrano sul protrarsi del "blocco" negoziale,
cosi' prolungato nel tempo da rendere evidente  la  violazione  della
liberta' sindacale 
    15.1.- Le norme impugnate  dai  giudici  rimettenti  e  le  norme
sopravvenute della legge di stabilita'  per  il  2015  si  susseguono
senza soluzione di continuita', proprio perche' accomunate da analoga
direzione finalistica. 
    Tale scansione temporale  preclude,  in  relazione  all'art.  39,
primo comma, Cost., ogni considerazione atomistica del "blocco" della
contrattazione economica  per  il  periodo  2013-2014,  avulso  dalla
successiva proroga. Il "blocco", cosi' come emerge dalle disposizioni
che,  nel  loro  stesso  concatenarsi,  ne  definiscono   la   durata
complessiva, non puo' che essere colto in una prospettiva unitaria. 
    Cio' risulta anche  dalla  formulazione  letterale  dell'art.  1,
comma 254, della legge n. 190 del 2014, che estende fino al  2015  il
"blocco" ed e' quindi destinato a incidere sui giudizi in corso. 
    15.2.- La  disamina  unitaria  delle  misure  di  "blocco"  della
contrattazione collettiva le colloca in un orizzonte meno  angusto  e
contingente, per porne in luce l'incidenza, tutt'altro che episodica,
sui valori costituzionali coinvolti. 
    La valutazione di tali  profili  problematici  emerge  anche  dal
dibattito parlamentare, che ha preceduto l'emanazione del regolamento
governativo (Commissioni  riunite  I,  Affari  costituzionali,  della
Presidenza del Consiglio e Interni, e XI, Lavoro pubblico e  privato,
della Camera dei deputati, parere reso il 19 giugno 2013). 
    Inoltre, l'entrata in vigore delle disposizioni  della  legge  di
stabilita'  per  il  2015  tende  a  rendere  strutturali  le  misure
introdotte per effetto del d.P.R. n. 122 del 2013 e  della  legge  n.
147 del 2013. 
    Il fatto che tali misure  fossero  destinate  a  perpetuarsi  nel
tempo si evince dall'art. 1, comma 255, della legge n. 190 del  2014,
che,  fino  al  2018,  cristallizza  l'ammontare  dell'indennita'  di
vacanza contrattuale ai valori del 31 dicembre 2013. 
    Il carattere strutturale delle misure e la conseguente violazione
dell'autonomia negoziale non possono essere esclusi, sol perche', per
la tornata 2013-2014, e' stata salvaguardata la liberta' di  svolgere
le procedure negoziali riguardanti la parte normativa (art. 1,  comma
1, lettera c, del d.P.R. n. 122 del 2013). 
    La contrattazione deve potersi esprimere nella  sua  pienezza  su
ogni  aspetto  riguardante  la  determinazione  delle  condizioni  di
lavoro, che attengono immancabilmente anche alla  parte  qualificante
dei profili economici. 
    Non appaiono decisivi, per escludere il contrasto con l'art.  39,
primo comma, Cost., i molteplici  contratti  enumerati  dalla  difesa
dello Stato, che non attestano alcun  superamento  della  sospensione
delle procedure negoziali per la parte  squisitamente  economica  del
rapporto di lavoro e per gli  aspetti  piu'  caratteristici  di  tale
ambito. 
    L'estensione  fino  al  2015  delle  misure  che  inibiscono   la
contrattazione economica e che, gia' per il  2013-2014,  erano  state
definite eccezionali, svela, al contrario,  un  assetto  durevole  di
proroghe. In ragione di una vocazione che mira a rendere  strutturale
il regime del "blocco", si fa sempre piu' evidente che lo  stesso  si
pone di per se' in contrasto con il principio di  liberta'  sindacale
sancito dall'art. 39, primo comma, Cost. 
    16.- La liberta' sindacale e' tutelata dall'art. 39, primo comma,
Cost., nella sua duplice valenza individuale e collettiva,  e  ha  il
suo necessario complemento  nell'autonomia  negoziale  (ex  plurimis,
sentenze n. 697 del 1988, punto 3. del Considerato in diritto,  e  n.
34 del 1985, punto 4. del Considerato in diritto). 
    Numerose fonti internazionali soccorrono  nella  definizione  del
nesso funzionale che lega un diritto a esercizio collettivo, quale e'
la   contrattazione,   con   la   liberta'    sindacale.    Pertanto,
l'interpretazione della fonte  costituzionale  nazionale  si  collega
sincronicamente con l'evoluzione  delle  fonti  sovranazionali  e  da
queste trae ulteriore coerenza. 
    Tra  tali  fonti  spiccano  la  Convenzione   dell'Organizzazione
internazionale del lavoro (OIL) n. 87, firmata a San Francisco il  17
giugno 1948, concernente la liberta' sindacale e  la  protezione  del
diritto sindacale, la Convenzione OIL n. 98, firmata  a  Ginevra  l'8
giugno 1949, concernente l'applicazione dei Principi del  diritto  di
organizzazione e di negoziazione collettiva,  entrambe  ratificate  e
rese esecutive con legge 23 marzo 1958,  n.  367,  e,  con  specifico
riguardo al lavoro pubblico, la Convenzione OIL n. 151, relativa alla
protezione del diritto di organizzazione  e  alle  procedure  per  la
determinazione delle condizioni di impiego nella  funzione  pubblica,
adottata a Ginevra il 27 giugno 1978 nel  corso  della  64ª  sessione
della Conferenza generale, ratificata e resa esecutiva con  legge  19
novembre 1984, n. 862. 
    Un rapporto  di  mutua  implicazione  tra  liberta'  sindacale  e
contrattazione    collettiva    traspare    dall'evoluzione     della
giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  sulla
liberta' sindacale, che interpreta  estensivamente  l'art.  11  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n.  848  (Grande
Camera, sentenza 12 novembre 2008, Demir e  Baykara  contro  Turchia,
riguardante il diritto di stipulare contratti collettivi  nel  lavoro
pubblico). 
    Si deve inoltre citare l'art.  6  della  Carta  sociale  europea,
riveduta,  con  annesso,  fatta  a  Strasburgo  il  3  maggio   1996,
ratificata e resa esecutiva con legge 9 febbraio  1999,  n.  30,  che
affianca all'esercizio collettivo del diritto  di  contrattazione  la
procedura  dei  reclami  collettivi,  disciplinata   dal   Protocollo
addizionale alla Carta del 1995. 
    Il «diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi» e'
riconosciuto anche dall'art. 28 della Carta dei diritti  fondamentali
dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata
a Strasburgo il 12 dicembre  2007,  che  ha  ora  «lo  stesso  valore
giuridico dei trattati», in forza dell'art. 6, comma 1, del  Trattato
sull'Unione europea (TUE), come modificato dal Trattato  di  Lisbona,
firmato il 13 dicembre 2007, ratificato e reso esecutivo con legge  2
agosto 2008 n. 130, ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009. 
    Infine, in un quadro inteso a riconoscere e a promuovere il ruolo
delle parti sociali,  a  favorire  il  dialogo  tra  le  stesse,  nel
rispetto della loro autonomia, si deve ricordare l'art. 152, comma 1,
del Trattato sul  funzionamento  dell'Unione  europea  (TFUE),  norma
introdotta con il Trattato di Lisbona. 
    17.- Il reiterato protrarsi della sospensione delle procedure  di
contrattazione economica altera la dinamica negoziale in  un  settore
che al contratto collettivo assegna un ruolo  centrale  (sentenza  n.
309 del 1997, punti  2.2.2.,  2.2.3.  e  2.2.4.  del  Considerato  in
diritto). Nei limiti tracciati dalle  disposizioni  imperative  della
legge (art. 2, commi 2, secondo periodo, e 3-bis del  d.lgs.  n.  165
del 2001), il contratto collettivo si atteggia  come  imprescindibile
fonte, che disciplina anche il trattamento economico (art.  2,  comma
3, del d.lgs. n. 165 del 2001), nelle sue componenti fondamentali  ed
accessorie (art. 45, comma 1, del d.lgs.  n.  165  del  2001),  e  «i
diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro,
nonche' le materie relative alle relazioni sindacali» (art. 40, comma
1, primo periodo, del d.lgs. n. 165 del 2001). 
    In una costante dialettica con la  legge,  chiamata  nel  volgere
degli anni a disciplinare aspetti  sempre  piu'  puntuali  (art.  40,
comma 1, secondo e terzo periodo, del d.lgs. n.  165  del  2001),  il
contratto collettivo contempera in maniera efficace e trasparente gli
interessi  contrapposti  delle  parti  e  concorre  a  dare  concreta
attuazione  al  principio  di  proporzionalita'  della  retribuzione,
ponendosi, per un verso, come strumento di garanzia della parita'  di
trattamento dei lavoratori (art. 45, comma 2, del d.lgs. n.  165  del
2001) e, per altro verso, come fattore propulsivo della produttivita'
e del merito (art. 45, comma 3, del d.lgs. 165 del 2001). 
    Il contratto collettivo che disciplina il lavoro alle  dipendenze
delle  pubbliche  amministrazioni  si  ispira,  proprio  per   queste
peculiari caratteristiche che ne garantiscono l'efficacia  soggettiva
generalizzata, ai doveri di solidarieta' fondati sull'art. 2 Cost. 
    Tali elementi danno conto sia delle molteplici funzioni che,  nel
lavoro pubblico, la contrattazione collettiva  riveste,  coinvolgendo
una complessa trama di valori costituzionali (artt. 2, 3, 36, 39 e 97
Cost.), in un quadro di tutele che  si  e'  visto  essere  presidiato
anche da numerose fonti sovranazionali, sia delle disarmonie e  delle
criticita', che una protratta sospensione  della  dinamica  negoziale
rischia di produrre. 
    Se  i  periodi  di  sospensione  delle  procedure  "negoziali   e
contrattuali" non possono essere ancorati al  rigido  termine  di  un
anno, individuato dalla giurisprudenza di questa Corte in relazione a
misure diverse e a un diverso contesto di emergenza (sentenza n.  245
del 1997, ordinanza n. 299 del 1999),  e'  parimenti  innegabile  che
tali periodi debbano essere comunque definiti e  non  possano  essere
protratti ad libitum. 
    Su tale  linea  converge  anche  la  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, che ha sottolineato l'esigenza di «un "giusto  equilibrio"
tra le esigenze di interesse generale della comunita' e  i  requisiti
di  protezione  dei  diritti  fondamentali   dell'individuo»   e   ha
salvaguardato le misure adottate dal legislatore portoghese - in tema
di  riduzione  dei   trattamenti   pensionistici   -   sulla   scorta
dell'elemento chiave del limite  temporale  che  le  contraddistingue
(Seconda  sezione,  sentenza  8  ottobre  2013,  Antonio  Augusto  da
Conceiçao Mateus e Lino  Jesus  Santos  Januario  contro  Portogallo,
punti 23 e seguenti del Considerato in diritto). 
    Il carattere ormai  sistematico  di  tale  sospensione  sconfina,
dunque, in un  bilanciamento  irragionevole  tra  liberta'  sindacale
(art. 39, primo comma, Cost.), indissolubilmente connessa  con  altri
valori di rilievo costituzionale e gia' vincolata da limiti normativi
e da controlli contabili penetranti (artt. 47 e 48 del d.lgs. n.  165
del 2001), ed esigenze di razionale  distribuzione  delle  risorse  e
controllo della spesa, all'interno  di  una  coerente  programmazione
finanziaria (art. 81, primo comma, Cost.). 
    Il sacrificio del  diritto  fondamentale  tutelato  dall'art.  39
Cost., proprio per questo, non e' piu' tollerabile. 
    Solo ora si e'  palesata  appieno  la  natura  strutturale  della
sospensione  della  contrattazione  e  puo',  pertanto,  considerarsi
verificata la sopravvenuta illegittimita' costituzionale, che  spiega
i suoi effetti a seguito della pubblicazione di questa sentenza. 
    18.- Rimossi, per il futuro, i limiti  che  si  frappongono  allo
svolgimento delle procedure negoziali riguardanti la parte economica,
sara'  compito  del  legislatore  dare  nuovo  impulso  all'ordinaria
dialettica contrattuale, scegliendo i modi e le forme che  meglio  ne
rispecchino la natura, disgiunta da ogni vincolo di risultato. 
    Il  carattere  essenzialmente  dinamico   e   procedurale   della
contrattazione  collettiva  non  puo'  che  essere   ridefinito   dal
legislatore,  nel  rispetto   dei   vincoli   di   spesa,   lasciando
impregiudicati, per il periodo gia' trascorso, gli effetti  economici
derivanti dalla disciplina esaminata. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    1)  dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  sopravvenuta,   a
decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione di questa sentenza
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e nei termini  indicati  in
motivazione,  del  regime   di   sospensione   della   contrattazione
collettiva,  risultante  da:  art.  16,  comma  1,  lettera  b),  del
decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98  (Disposizioni  urgenti  per  la
stabilizzazione   finanziaria),   convertito,   con    modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della  legge  15  luglio  2011,  n.  111,  come
specificato dall'art. 1, comma 1,  lettera  c),  primo  periodo,  del
d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in  materia  di  proroga
del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i
pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi 1, 2  e  3,  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111); art. 1, comma 453,  della  legge
27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilita' 2014) e  art.
1, comma 254, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -  Legge
di stabilita' 2015); 
    2)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 1, lettera c), del d.l. n. 98  del
2011, come specificato dall'art. 1, comma 1, lettera d),  del  d.P.R.
n. 122 del 2013, e dall'art. 1, comma 452, della  legge  n.  147  del
2013, promosse,  in  riferimento  all'art.  36,  primo  comma,  della
Costituzione, dal Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice
del lavoro, e dal Tribunale ordinario  di  Ravenna,  in  funzione  di
giudice del lavoro,  con  le  ordinanze  di  rimessione  indicate  in
epigrafe; 
    3)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  9,  commi  1  e  17,  primo  periodo,  del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  30
luglio 2010, n. 122, e dell'art. 16, comma 1, lettera b), del d.l. n.
98 del 2011, come specificato dall'art. 1, comma 1, lettera a), primo
periodo, del d.P.R. n. 122 del 2013, con  riguardo  alla  limitazione
dei trattamenti  economici  complessivi  dei  singoli  dipendenti,  e
dall'art. 1, comma 1, lettera c), primo periodo, del  d.P.R.  n.  122
del 2013 e dall'art. 1, comma 453, della legge n. 147 del  2013,  con
riguardo alla sospensione delle procedure  contrattuali  e  negoziali
per la parte  economica  per  il  periodo  2013-2014,  sollevate,  in
riferimento agli artt. 35, primo comma, e 53, primo e secondo  comma,
della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Roma, in  funzione  di
giudice  del  lavoro,  con  l'ordinanza  di  rimessione  indicata  in
epigrafe; 
    4)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 9, commi 1, 2-bis, 17,  primo  periodo,  e
21, ultimo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, e 16, comma  1,  lettera
b), del d.l. n. 98 del 2011, come specificato dall'art. 1,  comma  1,
lettera a), primo periodo, del d.P.R. n. 122 del 2013,  con  riguardo
alla limitazione dei trattamenti economici  complessivi  dei  singoli
dipendenti, del trattamento accessorio, degli effetti economici delle
progressioni di carriera, dall'art. 1, comma 456, della legge n.  147
del 2013, con riguardo alla limitazione  dei  trattamenti  accessori,
dall'art. 1, comma 1, lettera c), primo periodo, del  d.P.R.  n.  122
del 2013 e dall'art. 1, comma 453, della legge n. 147 del  2013,  con
riguardo alla sospensione delle procedure  contrattuali  e  negoziali
per la  parte  economica  per  il  periodo  2013-2014,  promosse,  in
riferimento  all'art.  35,  primo  comma,  della  Costituzione,   dal
Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di  giudice  del  lavoro,
con l'ordinanza di rimessione indicata in epigrafe; 
    5)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 9, commi 1 e 17, primo periodo, del d.l.  n.
78 del 2010, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, primo  comma,
36, primo comma, e 39, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale
ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con l'ordinanza
di rimessione indicata in epigrafe; 
    6)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 1, lettera b), del d.l. n. 98  del
2011, come specificato  dall'art.  1,  comma  1,  lettera  a),  primo
periodo, del d.P.R. n. 122 del 2013, con  riguardo  alla  limitazione
dei  trattamenti  economici  complessivi  dei   singoli   dipendenti,
dall'art. 1, comma 1, lettera c), primo periodo, del  d.P.R.  n.  122
del 2013, e dall'art. 1, comma 453, della legge n. 147 del 2013,  con
riguardo alla sospensione delle procedure  contrattuali  e  negoziali
per la parte  economica  per  il  periodo  2013-2014,  sollevate,  in
riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, e 36,  primo  comma,  della
Costituzione, dal Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice
del lavoro, con l'ordinanza di rimessione indicata in epigrafe; 
    7)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 9, commi 1, 2-bis, 17, primo periodo, e  21,
ultimo periodo, del d.l. n. 78 del  2010,  promosse,  in  riferimento
agli artt. 2, 3, primo comma, 36, primo comma, 39, primo comma, e 53,
primo e secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di
Ravenna, in funzione  di  giudice  del  lavoro,  con  l'ordinanza  di
rimessione indicata in epigrafe; 
    8)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 1, lettera b), del d.l. n. 98  del
2011, come specificato  dall'art.  1,  comma  1,  lettera  a),  primo
periodo, del d.P.R. n. 122 del 2013, con  riguardo  alla  limitazione
dei trattamenti economici complessivi  dei  singoli  dipendenti,  del
trattamento accessorio, degli effetti economici delle progressioni di
carriera, dall'art. 1, comma 456, della legge n. 147  del  2013,  con
riguardo alla limitazione dei  trattamenti  accessori,  dall'art.  1,
comma 1, lettera c), primo periodo, del d.P.R. n.  122  del  2013,  e
dall'art. 1, comma 453, della legge n. 147  del  2013,  con  riguardo
alla sospensione delle procedure  contrattuali  e  negoziali  per  la
parte economica per il periodo 2013-2014,  promosse,  in  riferimento
agli artt. 2, 3, primo comma, 36, primo comma, e 53, primo e  secondo
comma, della Costituzione, dal Tribunale  ordinario  di  Ravenna,  in
funzione  di  giudice  del  lavoro,  con  l'ordinanza  di  rimessione
indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 giugno 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                     Silvana SCIARRA, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI 
 
 
                                                            Allegato: 
                       Ordinanza letta all'udienza del 23 giugno 2015 
 
                              ORDINANZA 
 
    Visti   gli   atti   relativi   al   giudizio   di   legittimita'
costituzionale introdotto con ordinanza del  Tribunale  ordinario  di
Roma, in funzione di giudice del lavoro, depositata  il  27  novembre
2013 (n. 76 del Registro ordinanze 2014); 
    rilevato che,  in  tale  giudizio,  sono  intervenute,  con  atto
d'intervento depositato il 6 giugno 2014, la Federazione  GILDA-UNAMS
e,  con  atto  d'intervento  depositato  il  10   giugno   2014,   la
Confederazione   indipendente   sindacati   europei   (CSE)   e    la
Confederazione autonoma  dei  dirigenti,  quadri  e  direttivi  della
Pubblica amministrazione (CONFEDIR); 
    che i soggetti sopra indicati non sono stati parti nel giudizio a
quo; 
    che la costante giurisprudenza di questa Corte (tra le tante,  si
vedano le ordinanze allegate alle sentenze n. 37 del 2015, n. 162 del
2014, n. 231 del 2013, n. 272 del 2012 e n.  349  del  2007)  e'  nel
senso   che   la   partecipazione   al   giudizio   di   legittimita'
costituzionale e' circoscritta, di norma, alle parti del  giudizio  a
quo, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e,  nel  caso
di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale (artt. 3 e 4
delle  Norme  integrative  per   i   giudizi   dinanzi   alla   Corte
costituzionale); 
    che a tale disciplina e' possibile derogare  -  senza  venire  in
contrasto   con   il   carattere   incidentale   del   giudizio    di
costituzionalita' - soltanto a favore di soggetti  terzi,  che  siano
portatori di un interesse  qualificato,  immediatamente  inerente  al
rapporto  sostanziale  dedotto  in  giudizio  e   non   semplicemente
regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di
censura; 
    che,   pertanto,   l'incidenza   sulla    posizione    soggettiva
dell'interveniente  non  deve  derivare,  come  per  tutte  le  altre
situazioni sostanziali disciplinate  dalla  legge  denunciata,  dalla
pronuncia della Corte sulla legittimita' costituzionale  della  legge
stessa, ma  dall'immediato  effetto  che  la  pronuncia  della  Corte
produce sul rapporto sostanziale dedotto nel giudizio a quo; 
    che, nel  giudizio  da  cui  traggono  origine  le  questioni  di
legittimita'  costituzionale  oggi  in  discussione,  GILDA-UNAMS   e
CONFEDIR  non  rivestono  la  posizione  di  terzo,   legittimato   a
partecipare al giudizio dinanzi a questa Corte; 
    che, infatti, GILDA-UNAMS e CONFEDIR sarebbero soltanto investite
dagli effetti riflessi della pronuncia di questa Corte, al pari degli
altri soggetti sindacali che si trovino in posizione analoga a quella
degli organismi (Federazione lavoratori  pubblici-FLP  e  Federazione
italiana lavoratori pubblici-FIALP), che hanno promosso il giudizio a
quo; 
    che, inoltre, si tratta di  soggetti  sindacali  che  mancano  di
qualsiasi  collegamento  con  il  rapporto  sostanziale  dedotto  nel
giudizio a quo, concernente la stipulazione dei  contratti  applicati
al personale della  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  e  del
comparto ministeri e al personale degli enti pubblici non economici; 
    che,  difatti,  GILDA-UNAMS  allega  di   essere   organizzazione
sindacale maggiormente rappresentativa  del  diverso  comparto  della
scuola e CONFEDIR non ha dimostrato di aver partecipato  alle  stesse
procedure negoziali che hanno coinvolto i  sindacati  ricorrenti  nel
giudizio principale  (FLP  e  FIALP),  avendo  documentato  di  avere
sottoscritto  il  contratto  collettivo   nazionale   del   personale
dirigente per i diversi comparti  delle  Regioni  e  delle  autonomie
locali (area II) e del servizio sanitario nazionale; 
    che deve ritenersi, per contro, ammissibile l'intervento di  CSE,
organizzazione sindacale intercategoriale senza fini di  lucro,  alla
quale  aderiscono  FLP  e  FIALP,  parti  ricorrenti   nel   giudizio
principale; 
    che  l'interveniente  CSE  ha  sottoscritto,  unitamente  a  FLP,
sindacato ricorrente nel giudizio principale, il contratto  nazionale
di lavoro relativo al personale della Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri per il quadriennio 2006-2009 (biennio economico 2006-2007) e
il contratto collettivo relativo al medesimo comparto per il  biennio
economico 2008-2009; 
    che, pertanto, CSE, in quanto organizzazione rappresentativa,  ai
sensi dell'art. 43 del decreto legislativo  30  marzo  2001,  n.  165
(Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle  dipendenze  delle
amministrazioni  pubbliche),  e   firmataria   della   contrattazione
rilevante nel giudizio a quo, vanta un interesse qualificato, che  si
differenzia rispetto all'interesse generale della piu'  vasta  platea
delle organizzazioni sindacali; 
    che  si  configura,  nella  specie,  un  interesse   direttamente
connesso con la posizione soggettiva dedotta in giudizio da  FLP,  in
considerazione  dell'unitarieta'  della  situazione  sostanziale  dei
sindacati  ammessi  alla   medesima   procedura   di   contrattazione
collettiva e firmatari del medesimo contratto. 
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara inammissibili gli interventi spiegati da  GILDA-UNAMS
e CONFEDIR (Confederazione autonoma dei dirigenti, quadri e direttivi
della  Pubblica  amministrazione)  nel   giudizio   di   legittimita'
costituzionale di cui al numero 76 del Registro ordinanze 2014; 
    2)   dichiara   ammissibile,    nel    presente    giudizio    di
costituzionalita', l'intervento di CSE  (Confederazione  indipendente
sindacati europei). 
 
               F.to: Alessandro Criscuolo, Presidente