N. 185 SENTENZA 8 - 23 luglio 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Circostanze del reato - Recidiva obbligatoria in caso di condanna per
  uno dei delitti indicati all'art. 407, comma  2,  lettera  a),  del
  codice di procedura penale. 
- Codice penale, art. 99, quinto comma, come sostituito  dall'art.  4
  della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice  penale  e
  alla legge 26  luglio  1975,  n.  354,  in  materia  di  attenuanti
  generiche,  di  recidiva,  di  giudizio   di   comparazione   delle
  circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione). 
-   
(GU n.30 del 29-7-2015 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici :Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI,
  Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano
  AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art.  99,  quinto
comma, del codice penale, come sostituito dall'art. 4 della  legge  5
dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale  e  alla  legge  26
luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva,
di  giudizio  di  comparazione  delle  circostanze  di  reato  per  i
recidivi, di usura  e  di  prescrizione),  promossi  dalla  Corte  di
cassazione, quinta sezione penale, con  ordinanza  del  10  settembre
2014, e dalla Corte d'appello di Napoli, terza  sezione  penale,  con
ordinanza del 19 novembre 2014, rispettivamente iscritte  al  n.  227
del registro ordinanze 2014 e al n. 35 del registro ordinanze 2015  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  52,  prima
serie speciale,  dell'anno  2014  e  n.  12,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2015. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio dell'8  luglio  2015  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Corte di cassazione, quinta sezione penale, con  ordinanza
del 10 settembre 2014 (r.o.  n.  227  del  2014),  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della  Costituzione,  una
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 99, quinto  comma,
del codice penale, come sostituito dall'art. 4 della legge 5 dicembre
2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975,
n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di  giudizio
di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e
di prescrizione). 
    Il giudice a quo premette che, con sentenza emessa il 21 dicembre
2011, la Corte d'assise di Napoli aveva dichiarato N.F. colpevole dei
reati di cui agli  artt.  81,  cpv.,  600  e  600-bis  cod.  pen.  e,
applicate  le  circostanze  attenuanti  generiche   ed   esclusa   la
contestata recidiva, lo aveva condannato alla pena di cinque  anni  e
sei mesi di reclusione. Il giudice  di  primo  grado  aveva  altresi'
condannato N.M., per il reato di cui all'art. 600-bis cod. pen., alla
pena di giustizia, assolvendola dall'imputazione  ex  art.  600  cod.
pen. per non aver commesso il fatto. 
    La  Corte  d'assise  d'appello   di   Napoli,   in   accoglimento
dell'appello del procuratore generale, aveva  parzialmente  riformato
la sentenza di primo grado e,  ritenendo,  con  riferimento  a  N.F.,
obbligatoria la recidiva contestata  ed  equivalenti  le  circostanze
attenuanti generiche, aveva rideterminato la pena in otto anni e  due
mesi di reclusione. 
    La Corte rimettente riferisce che gli imputati avevano  proposto,
a mezzo del proprio  difensore,  ricorso  per  cassazione  contro  la
sentenza di secondo grado, sostenendo, tra l'altro, che  erroneamente
era stata  ritenuta  obbligatoria  l'applicazione  della  recidiva  e
aggiungendo che, nel caso  in  cui  questo  motivo  non  fosse  stato
accolto, si sarebbe dovuta sollevare una  questione  di  legittimita'
costituzionale «degli artt. 99 e 69 cod. pen., dell'art.  407,  comma
2, cod. proc. pen. in riferimento agli artt. 3, 25, 27 e 111 Cost.». 
    Il  giudice  a  quo  ricorda  che,  secondo   la   giurisprudenza
costituzionale (sentenza n. 192 del 2007) e di legittimita' (Corte di
cassazione, sezioni unite penali, 27 maggio 2010, n.  35738),  l'art.
99,  quinto  comma,  cod.  pen.,  prevede  un'ipotesi   di   recidiva
obbligatoria,  che  si  affianca  alle  diverse  forme  di   recidiva
facoltativa  disciplinate  dai  primi  quattro  commi  del   medesimo
articolo, che diventano obbligatorie nel  caso  in  cui  il  soggetto
commette un nuovo delitto incluso fra quelli indicati dall'art.  407,
comma 2, lettera a), del codice di procedura penale,  non  occorrendo
che anche il delitto per il quale vi  e'  stata  precedente  condanna
rientri nell'elencazione di cui al  menzionato  art.  407  (Corte  di
cassazione, sezioni unite penali, 24 febbraio 2011, n. 20798). 
    La questione  di  legittimita'  costituzionale  sarebbe  pertanto
rilevante, in quanto la richiamata giurisprudenza costituzionale e di
legittimita'  «rende  ragione   [...]   della   qualificazione   come
obbligatoria della recidiva [semplice] applicata nel caso  di  specie
all'imputato, posto che  [...]  entrambi  i  reati  per  i  quali  e'
intervenuta condanna sono ricompresi nel "catalogo" di  cui  all'art.
407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen.» e che l'imputato e'  gravato
da un precedente penale per il reato di rissa  di  cui  all'art.  588
cod. pen. 
    La questione sarebbe inoltre non  manifestamente  infondata,  con
riferimento  all'art.  3  Cost.,  sotto  il  duplice  profilo   della
manifesta  irragionevolezza  e  dell'identita'  di   trattamento   di
situazioni diverse cui la norma  da'  luogo,  e  all'art.  27,  terzo
comma, Cost. 
    La Corte rimettente ricorda che la giurisprudenza costituzionale,
intervenuta in seguito alla sostituzione, ad opera dell'art. 4  della
legge n. 251 del 2005, dell'art. 99 cod. pen., ha messo  a  fuoco  la
fisionomia  dell'istituto  della  recidiva,   individuando   il   suo
fondamento  nella  piu'  accentuata  colpevolezza  e  nella  maggiore
pericolosita' del reo (sentenza n. 192  del  2007).  Con  riferimento
alla recidiva facoltativa, in particolare, l'aumento di pena  per  il
fatto per il quale si procede puo' essere disposto «solo allorche' il
nuovo episodio  delittuoso  appaia  concretamente  significativo,  in
rapporto alla natura ed al tempo di commissione dei precedenti, sotto
il profilo  della  piu'  accentuata  colpevolezza  e  della  maggiore
pericolosita' del reo» (ordinanza  n.  409  del  2007;  conformi,  ex
plurimis, ordinanze n. 193, n. 90 e n. 33 del 2008). 
    In linea con l'impostazione adottata dalla Corte costituzionale -
prosegue il  giudice  a  quo  -  le  sezioni  unite  della  Corte  di
cassazione hanno sottolineato, da una parte, che «il  giudizio  sulla
recidiva non riguarda l'astratta pericolosita' del soggetto o un  suo
status personale svincolato dal fatto reato» e,  dall'altra,  che  il
riconoscimento e  l'applicazione  della  recidiva  quale  circostanza
aggravante  postulano,  invece,  «la   valutazione   della   gravita'
dell'illecito  commisurata  alla  maggiore  attitudine  a  delinquere
manifestata dal soggetto agente, idonea ad  incidere  sulla  risposta
punitiva - sia in termini retributivi che in termini  di  prevenzione
speciale - quale aspetto della  colpevolezza  e  della  capacita'  di
realizzazione di nuovi reati, soltanto nell'ambito di  una  relazione
qualificata tra i precedenti del reo e il nuovo  illecito  da  questo
commesso, che deve essere concretamente significativo -  in  rapporto
alla natura e  al  tempo  di  commissione  dei  precedenti,  e  avuto
riguardo ai parametri indicati dall'art. 133 cod.  pen.  -  sotto  il
profilo  della  piu'  accentuata  colpevolezza   e   della   maggiore
pericolosita' del reo» (Corte di cassazione, sezioni unite penali, 24
febbraio 2011, n. 20798). 
    Alla luce della richiamata  giurisprudenza  costituzionale  e  di
legittimita', quindi, l'applicabilita' della  recidiva  richiede  una
relazione qualificata tra i precedenti del reo e il  nuovo  illecito,
che deve risultare da un accertamento condotto,  nel  caso  concreto,
sulla base di criteri enucleati dalle sezioni unite  della  Corte  di
cassazione, quali la natura dei reati, il tipo  di  devianza  di  cui
sono  il  segno,  la  qualita'  dei  comportamenti,  il  margine   di
offensivita' delle condotte, la distanza temporale e  il  livello  di
omogeneita' esistente  fra  loro,  l'eventuale  occasionalita'  della
ricaduta  e  ogni   altro   possibile   parametro   individualizzante
significativo della personalita' del reo e del grado di colpevolezza,
al  di  la'   del   mero   ed   indifferenziato   riscontro   formale
dell'esistenza di precedenti penali  (Corte  di  cassazione,  sezioni
unite penali, 27 maggio 2010, n. 35738). 
    Ad avviso della  Corte  rimettente,  «I  criteri  indicati  dalle
Sezioni   unite   riflettono   le   condizioni   "sostanziali"    per
l'applicazione  della  circostanza  aggravante,  fungendo  cosi'   da
strumento  necessario  ad  assicurare   che,   nel   caso   concreto,
l'applicazione della recidiva sia coerente  con  il  suo  fondamento,
ossia con la riconoscibilita', nella ricaduta  nel  delitto,  di  una
piu' accentuata colpevolezza e  di  una  maggiore  pericolosita'  del
reo». 
    Tuttavia, prosegue il giudice a  quo,  l'accertamento,  nel  caso
concreto, della significativita' del nuovo episodio delittuoso  sotto
il profilo  della  piu'  accentuata  colpevolezza  e  della  maggiore
pericolosita'  del  reo  e'   precluso   nell'ipotesi   di   recidiva
obbligatoria prevista dalla norma  censurata,  che  pone  appunto  un
automatismo  basato  su  una  presunzione.  «Attesa,   evidentemente,
l'identita' del fondamento della recidiva  facoltativa  e  di  quella
obbligatoria,  l'oggetto  di  detta  presunzione  coincide   con   le
condizioni  "sostanziali"  per   l'applicazione   della   circostanza
aggravante, sicche' lo scrutinio di legittimita' costituzionale della
norma censurata rinvia, in  prima  battuta,  alla  valutazione  della
ragionevolezza  della  presunzione  assoluta   di   piu'   accentuata
colpevolezza e  di  maggiore  pericolosita'  del  reo  delineata  dal
legislatore con riferimento  ai  delitti  espressivi  ricompresi  nel
"catalogo" di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen.». 
    Richiamata  la  giurisprudenza   costituzionale   relativa   alle
presunzioni assolute (sentenza n. 139 del 2010), la Corte  rimettente
conclude che i criteri in forza dei quali il giudice, nei casi di cui
ai primi quattro commi dell'art. 99 cod. pen., accerta se in concreto
la reiterazione  del  delitto  sia  espressione  di  piu'  accentuata
colpevolezza e di maggiore pericolosita' del reo non possono  formare
oggetto di una presunzione assoluta basata esclusivamente sul  titolo
del  reato.  Infatti,  «il  riferimento  ad  un   determinato   reato
espressivo  (ovvero  a  una  categoria  o  a  un  "elenco"  di  reati
espressivi) e' in radice inidoneo a fornire alla presunzione  in  cui
si sostanzia la norma censurata dati di esperienza  generalizzati  in
ordine alla sintomaticita' del nuovo  episodio  delittuoso  sotto  il
profilo  della  piu'  accentuata  colpevolezza   e   della   maggiore
pericolosita' del reo  (Corte  cost.,  sentenza  n.  183  del  2011),
sintomaticita' il cui accertamento  [...]  richiede  la  verifica  in
concreto di una serie di elementi  [...]  insuscettibili  di  trovare
effettiva espressione nella mera indicazione  del  titolo  del  nuovo
delitto commesso e, dunque,  di  formare  oggetto  della  presunzione
assoluta di cui alla norma censurata». 
    La norma censurata sarebbe allora  manifestamente  irragionevole,
perche'  l'applicazione  obbligatoria  della  recidiva,   «Svincolata
dall'accertamento in concreto  sulla  base  dei  criteri  applicativi
indicati e affidata  alla  sola  indicazione  del  titolo  del  nuovo
delitto», viene privata di una base empirica adeguata a preservare il
fondamento della circostanza  aggravante  (ossia  l'attitudine  della
ricaduta nel delitto ad esprimere una piu' accentuata colpevolezza  e
una maggiore pericolosita' del reo), risolvendosi in una  presunzione
assoluta - appunto - di piu' accentuata colpevolezza  o  di  maggiore
pericolosita' del tutto irragionevole. 
    La manifesta irragionevolezza della  norma  impugnata,  peraltro,
troverebbe   ulteriore   conferma   nel   criterio   legislativo   di
individuazione dei reati che  comportano  la  recidiva  obbligatoria,
«criterio incentrato sul catalogo di cui all'art. 407, comma 2, lett.
a), cod. proc. pen., che contiene "un elenco di  reati  ritenuti  dal
legislatore, a vari fini, di particolare gravita' e allarme  sociale"
(Corte cost., sentenza n. 192 del 2007)»: invero, una valutazione  di
gravita'  e  allarme  sociale  di  determinati  reati  effettuata  in
relazione ad istituti processuali (quali  la  durata  delle  indagini
preliminari ovvero la sospensione dei termini di durata massima della
custodia cautelare) e' priva di correlazione con l'accertamento della
sussistenza, nel caso concreto, delle  condizioni  applicative  della
recidiva e, in particolare, e' inidonea ad esprimere  una  «relazione
qualificata tra i precedenti del reo e il nuovo delitto», in grado di
offrire un congruo fondamento  giustificativo  al  giudizio  di  piu'
accentuata colpevolezza e  di  maggiore  pericolosita'  in  cui  deve
sostanziarsi l'applicazione della recidiva. 
    L'art. 3 Cost. sarebbe violato anche per  l'identico  trattamento
riservato, dall'art.  99,  quinto  comma,  cod.  pen.,  a  situazioni
diverse: «infatti, ad identica riconducibilita' del nuovo delitto nel
"catalogo" di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), cod.  proc.  pen.,
ben possono corrispondere situazioni connotate, dal  punto  di  vista
delle condizioni "sostanziali" di applicazione della circostanza,  da
profonda diversita', avuto riguardo, ad esempio, al tipo di  devianza
di cui i reati sono sintomatici o all'eventuale occasionalita'  della
ricaduta». 
    La norma censurata,  insomma,  darebbe  luogo  ad  un'illegittima
uguaglianza  di  trattamento  di  situazioni   diverse,   in   quanto
precluderebbe  l'accertamento  della  concreta  significativita'  del
nuovo episodio delittuoso sotto  il  profilo  della  piu'  accentuata
colpevolezza e della maggiore pericolosita' del reo. 
    Ad avviso della Corte rimettente, infine,  la  questione  sarebbe
non manifestamente infondata anche con riferimento  al  principio  di
proporzionalita' della pena riconducibile all'art. 27,  terzo  comma,
Cost., in quanto  la  preclusione  dell'accertamento  giurisdizionale
della sussistenza, nel caso concreto, delle condizioni  "sostanziali"
legittimanti l'applicazione della recidiva rende la pena  palesemente
sproporzionata - e, dunque, inevitabilmente avvertita  come  ingiusta
dal condannato  -  vanificandone,  gia'  a  livello  di  comminatoria
legislativa astratta, la finalita' rieducativa. 
    2.- E' intervenuto nel giudizio di  legittimita'  costituzionale,
con memoria depositata il 7 gennaio 2015, il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile  o,
comunque, infondata. 
    Ad avviso della difesa dello Stato, come rilevato dalla Corte  di
cassazione, la maggiore severita'  della  disciplina  della  recidiva
reiterata nel caso di realizzazione di un  delitto  di  cui  all'art.
407, comma 2, lettera a), cod. proc. pen., «non e'  irragionevole  in
quanto limitata a fattispecie specifiche, caratterizzate da  notevole
allarme sociale, indice del perdurare della  capacita'  a  delinquere
del reo», secondo una scelta  legislativa  non  in  contrasto  con  i
principi  costituzionali,  essendo  finalizzata  a  sanzionare   piu'
severamente, sia pure comprimendo gli spazi di  discrezionalita'  del
giudice,  chi  abbia  continuato  a   commettere   reati   nonostante
l'irrogazione di precedenti condanne. 
    La questione, comunque, sarebbe inammissibile in quanto la  Corte
rimettente non ha preliminarmente verificato la possibilita'  di  una
soluzione interpretativa diversa da quella posta a base dei dubbi  di
costituzionalita' ipotizzati. 
    Infatti il giudice a quo  non  ha  considerato  che,  secondo  la
giurisprudenza di legittimita', vi sarebbero delle ipotesi in cui  e'
consentito non applicare l'aumento di pena per la recidiva, ancorche'
obbligatoria. 
    Cio' accade, in primo luogo, nel caso di concorso tra la recidiva
obbligatoria (non reiterata) e una o piu' circostanze attenuanti,  in
quanto il divieto di prevalenza sancito dall'art. 69,  quarto  comma,
cod. pen., opera solamente nelle ipotesi di recidiva reiterata di cui
al quarto comma dell'art. 99 cod. pen.  e  non  anche  in  quelle  di
recidiva obbligatoria di cui al quinto comma del medesimo articolo. 
    L'esclusione della recidiva obbligatoria dalle limitazioni  poste
al   giudizio   di   bilanciamento   tra    circostanze    eterogenee
permetterebbe, dunque, al giudice di ritenere prevalenti, su di essa,
eventuali  circostanze  attenuanti,  «in  tal  modo  recuperando   la
possibilita' di adattare la pena al caso  concreto,  venuta  meno  la
causa della obbligatorieta' della recidiva». Insomma, la  perdita  di
discrezionalita' nella decisione sull'applicabilita'  della  recidiva
«verrebbe compensata  dalla  facolta'  di  ritenerla  subvalente  nel
giudizio di bilanciamento con circostanze di segno opposto». 
    In secondo luogo, come hanno ricordato  le  sezioni  unite  della
Corte di cassazione, la recidiva e' circostanza aggravante ad effetto
speciale quando comporta un aumento di pena superiore a  un  terzo  e
pertanto soggiace, in caso di  concorso  con  circostanze  aggravanti
dello stesso tipo, alla regola dell'applicazione della pena  prevista
per la circostanza piu' grave, e cio' pur  quando  l'aumento  che  ad
essa segua sia obbligatorio, per avere il soggetto, gia' recidivo per
un qualunque reato, commesso uno dei delitti indicati  all'art.  407,
comma 2, lettera a), cod. proc. pen. 
    L'applicabilita' dell'art. 63, terzo comma,  cod.  pen.,  quindi,
puo' comportare una deroga al regime di obbligatorieta'  dell'aumento
di pena per la recidiva di cui al quinto comma dell'art. 99 cod. pen. 
    3.- La Corte d'appello  di  Napoli,  terza  sezione  penale,  con
ordinanza del 19 novembre 2014 (r.o. n. 35 del 2015),  ha  sollevato,
in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma,  Cost.,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 99, quinto  comma,  cod.  pen.,
come sostituito dall'art. 4 della legge n. 251 del 2005. 
    La Corte rimettente - richiamato «interamente il contenuto  della
ordinanza emessa dalla V sezione della S.C.C. in data 3 luglio  2014,
dep. 10 settembre 2014, che in tutto [...] condivide»  -  ritiene  la
questione non manifestamente infondata, con  riferimento  all'art.  3
Cost., sotto il duplice profilo della  manifesta  irragionevolezza  e
dell'identita' di trattamento di  situazioni  diverse  cui  la  norma
impugnata da' luogo, e all'art. 27, terzo comma, Cost. 
    Sotto  il  profilo  della  ragionevolezza,  la  norma   censurata
introdurrebbe un «discutibile automatismo basato su  una  presunzione
assoluta di piu' accentuata colpevolezza e maggiore pericolosita' del
reo,  delineata  dal  legislatore  con  un  altrettanto   discutibile
riferimento alla categoria disomogenea dei reati  cui  all'art.  407,
co. 2 lett. a) c.p.p.», individuati a fini processuali (durata  delle
indagini preliminari o sospensione  dei  termini  di  durata  massima
della  custodia  cautelare),  senza  alcuna   correlazione   con   le
condizioni che fondano l'aumento di pena per la recidiva. 
    Si tratterebbe, peraltro, «di un elenco comprensivo di  alcuni  -
ma non di tutti  -  i  delitti  di  particolare  gravita'  e  allarme
sociale». 
    La norma censurata si porrebbe, inoltre, in contrasto con  l'art.
3 Cost. sotto il profilo della disparita' di trattamento, «sub specie
di trattamento  identico,  riservato  dall'art.  99,  co.  5  c.p.  a
situazioni diverse: quelle in cui  il  nuovo  delitto  e'  indice  di
maggiore colpevolezza/pericolosita', e quelle in cui  invece  non  lo
e'». 
    Sarebbe violato infine il  principio  di  proporzionalita'  della
pena sancito dall'art. 27, terzo comma, Cost. 
    Ad avviso del giudice  rimettente,  la  questione  sarebbe  anche
rilevante «atteso che vengono in rilievo,  per  tutti  gli  imputati,
precedenti datati e disomogenei rispetto alla regiudicanda». 
    4.- E' intervenuto nel giudizio di  legittimita'  costituzionale,
con memoria depositata il 14 aprile 2015, il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile  o,
comunque, infondata. 
    Ad  avviso  della  difesa  dello  Stato,  la  questione   sarebbe
manifestamente  inammissibile,  perche'  l'ordinanza  di   rimessione
presenta  un'assoluta  carenza  di  descrizione   della   fattispecie
concreta e di motivazione sulla rilevanza. 
    La questione, nel merito, sarebbe infondata, in quanto  la  Corte
rimettente non ha preliminarmente verificato la possibilita'  di  una
soluzione interpretativa diversa da quella posta a base dei dubbi  di
costituzionalita' ipotizzati. 
    Al  riguardo,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  formula   le
medesime  considerazioni  svolte  in   relazione   all'ordinanza   di
rimessione della Corte di cassazione. 
    La difesa dello Stato ricorda, infine, che la Corte di cassazione
ha  gia'  ritenuto  la  maggiore  severita'  della  disciplina  della
recidiva reiterata nel caso di realizzazione di  un  delitto  di  cui
all'art. 407, comma 2, lettera a), cod. proc. pen., non irragionevole
in  quanto  limitata  a  fattispecie  specifiche,  caratterizzate  da
notevole allarme sociale, e indicative del perdurare della  capacita'
a delinquere del reo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte di cassazione, quinta  sezione  penale,  dubita,  in
riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, della
legittimita' costituzionale dell'art. 99, quinto  comma,  del  codice
penale, come sostituito dall'art. 4 della legge 5 dicembre  2005,  n.
251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n.  354,
in materia di attenuanti  generiche,  di  recidiva,  di  giudizio  di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione). 
    La  Corte  rimettente  ricorda  che,  secondo  la  giurisprudenza
costituzionale (sentenza n. 192 del 2007) e di legittimita' (Corte di
cassazione, sezioni unite penali, 27 maggio 2010, n.  35738),  l'art.
99,  quinto  comma,  cod.  pen.,  prevede  un'ipotesi   di   recidiva
obbligatoria,  che  si  affianca  alle  diverse  forme  di   recidiva
facoltativa  disciplinate  dai  primi  quattro  commi  del   medesimo
articolo (Corte di cassazione,  sezioni  unite  penali,  24  febbraio
2011,  n.  20798),  e  ritiene  che  la  questione  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 99, quinto comma, cod. pen., con riferimento
all'art. 3 Cost., non sia manifestamente infondata.  Infatti,  a  suo
avviso,  l'applicazione  obbligatoria  della  recidiva,   «Svincolata
dall'accertamento in concreto  sulla  base  dei  criteri  applicativi
indicati [dalla giurisprudenza] e affidata alla sola indicazione  del
titolo del  nuovo  delitto»,  viene  privata  di  una  base  empirica
adeguata a preservare  il  fondamento  della  circostanza  aggravante
(ossia l'attitudine della ricaduta nel delitto ad esprimere una  piu'
accentuata  colpevolezza  e  una  maggiore  pericolosita'  del  reo),
risolvendosi  in  una  presunzione  assoluta   di   piu'   accentuata
colpevolezza o di maggiore pericolosita', del tutto irragionevole. 
    La manifesta irragionevolezza della  norma  impugnata,  peraltro,
troverebbe   ulteriore   conferma   nel   criterio   legislativo   di
individuazione dei reati che comportano la  recidiva  obbligatoria  -
«criterio incentrato sul catalogo di cui all'art. 407, comma 2, lett.
a), cod. proc. pen., che contiene "un elenco di  reati  ritenuti  dal
legislatore, a vari fini, di particolare gravita' e allarme  sociale"
(Corte  cost.,  sentenza  n.  192  del  2007)»  -  che  e'  privo  di
correlazione con l'accertamento della sussistenza, nel caso concreto,
delle condizioni della recidiva e, in  particolare,  e'  inidoneo  ad
esprimere una «relazione qualificata tra i precedenti del  reo  e  il
nuovo  delitto»  in  grado   di   offrire   un   congruo   fondamento
giustificativo al giudizio  di  piu'  accentuata  colpevolezza  e  di
maggiore pericolosita', da cui deve  essere  sorretta  l'applicazione
della recidiva. 
    La norma censurata violerebbe, in secondo luogo, il principio  di
uguaglianza dettato dall'art. 3 Cost., in  quanto  darebbe  luogo  ad
un'illegittima uguaglianza  di  trattamento  di  situazioni  diverse,
precludendo l'accertamento della concreta significativita' del  nuovo
episodio  delittuoso  sotto  il   profilo   della   piu'   accentuata
colpevolezza e della maggiore pericolosita' del reo. 
    Infine, la questione  sarebbe  non  manifestamente  infondata  in
relazione al principio di proporzionalita' della pena,  riconducibile
all'art.  27,  terzo  comma,  Cost.,   in   quanto   la   preclusione
dell'accertamento  giurisdizionale  della   sussistenza,   nel   caso
concreto, delle condizioni "sostanziali" legittimanti  l'applicazione
della recidiva renderebbe la pena  palesemente  sproporzionata  -  e,
dunque, inevitabilmente avvertita  come  ingiusta  dal  condannato  -
vanificandone, gia' a livello di comminatoria  legislativa  astratta,
la finalita' rieducativa. 
    2.- La Corte d'appello di Napoli, terza  sezione  penale,  sempre
con riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., muove analoghe
censure  all'art.  99,   quinto   comma,   cod.   pen.,   richiamando
«interamente il contenuto della  ordinanza  emessa  dalla  V  sezione
della S.C.C. in data 3 luglio 2014, dep. 10 settembre 2014», con  cui
e'  stata   sollevata   la   medesima   questione   di   legittimita'
costituzionale. 
    3.- Le ordinanze di rimessione sollevano  questioni  identiche  o
analoghe,  sicche'  i  relativi  giudizi  vanno  riuniti  per  essere
definiti con un'unica decisione. 
    4.-   L'Avvocatura   generale    dello    Stato    ha    eccepito
l'inammissibilita' della questione sollevata dalla Corte d'appello di
Napoli (r.o. n. 35  del  2015),  perche'  l'ordinanza  di  rimessione
presenta  un'assoluta  carenza  di  descrizione   della   fattispecie
concreta e di motivazione sulla rilevanza. 
    L'eccezione e' fondata. 
    La Corte rimettente - dopo aver enunciato le  ragioni  della  non
manifesta infondatezza della questione, anche  attraverso  il  rinvio
all'ordinanza della Corte di cassazione - ha  ritenuto  la  questione
rilevante «atteso che vengono in rilievo,  per  tutti  gli  imputati,
precedenti datati e disomogenei rispetto alla regiudicanda». 
    Il giudice a quo, pero', ha omesso, sia di indicare  il  capo  di
imputazione e il titolo di reato per cui procede, sia  di  descrivere
il fatto contestato agli imputati. Dall'ordinanza di  rimessione  non
emerge se il reato per cui  si  procede  e  a  cui  si  riferisce  la
recidiva rientra nel catalogo dell'art. 407, comma 2, lettera a), del
codice di procedura penale, situazione che costituisce il presupposto
per l'applicazione della norma censurata. 
    La mancanza di indicazione del reato contestato e di  descrizione
della fattispecie impedisce a questa Corte di verificare la rilevanza
della questione, rendendola manifestamente inammissibile (ex  multis,
ordinanze n. 16 del 2014 e n. 295 del 2013). 
    5.- Ad avviso dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  anche  la
questione sollevata dalla Corte di cassazione (r.o. n. 227 del  2014)
sarebbe inammissibile, perche' il rimettente non  ha  preliminarmente
verificato la possibilita' di una soluzione interpretativa diversa da
quella posta a  base  dei  dubbi  di  costituzionalita',  non  avendo
considerato  che,  secondo  la  giurisprudenza  di  legittimita',  vi
sarebbero delle ipotesi in cui al giudice e' consentito non applicare
l'aumento di pena per la recidiva, ancorche' obbligatoria. 
    Cio' accade, in primo luogo, nel caso di concorso tra la recidiva
obbligatoria (non reiterata) e una o piu' circostanze attenuanti,  in
quanto il divieto di prevalenza sancito dall'art. 69,  quarto  comma,
cod. pen., opera solamente nelle ipotesi di recidiva reiterata di cui
al quarto comma dell'art. 99 cod. pen.  e  non  anche  in  quelle  di
recidiva obbligatoria di cui al quinto comma del medesimo articolo. 
    L'esclusione della recidiva obbligatoria dalle limitazioni  poste
al   giudizio   di   bilanciamento   tra    circostanze    eterogenee
permetterebbe, dunque, al giudice di ritenere prevalenti, su di essa,
eventuali  circostanze  attenuanti,  «in  tal  modo  recuperando   la
possibilita' di adattare la pena al caso  concreto,  venuta  meno  la
causa della obbligatorieta' della recidiva». 
    In secondo luogo, come hanno ricordato  le  sezioni  unite  della
Corte di cassazione, la recidiva e' circostanza aggravante ad effetto
speciale quando comporta un aumento di pena superiore a  un  terzo  e
pertanto soggiace, in caso di  concorso  con  circostanze  aggravanti
dello stesso tipo, alla regola dell'applicazione della pena  prevista
per la circostanza piu' grave, e cio' pur  quando  l'aumento  che  ad
essa segua sia obbligatorio, per avere il soggetto, gia' recidivo per
un qualunque reato, commesso uno dei delitti indicati  all'art.  407,
comma 2, lettera a), cod. proc. pen. L'applicabilita'  dell'art.  63,
terzo comma, cod. pen., percio', puo' comportare una deroga al regime
di obbligatorieta' dell'aumento di pena per la  recidiva  di  cui  al
quinto comma dell'art. 99 cod. pen. 
    L'eccezione e' priva di fondamento. 
    La Corte rimettente - premesso che la Corte d'assise d'appello di
Napoli, in parziale riforma della sentenza di primo grado  che  aveva
condannato gli imputati per i reati di cui agli artt. 81, cpv., 600 e
600-bis cod. pen., ha rideterminato la pena, ritenendo la  contestata
recidiva  obbligatoria  e   le   circostanze   attenuanti   generiche
equivalenti - ha ritenuto la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 99, quinto  comma,  cod.  pen.,  rilevante,  in  quanto  la
giurisprudenza costituzionale  e  di  legittimita'  sulla  disciplina
della recidiva, cosi' come ridisegnata dalla legge n. 251  del  2005,
«rende ragione [...] della  qualificazione  come  obbligatoria  della
recidiva [semplice] applicata nel caso di specie all'imputato,  posto
che [...] entrambi i reati per i quali e' intervenuta  condanna  sono
ricompresi nel "catalogo" di cui all'art. 407,  comma  2,  lett.  a),
cod. proc. pen.» e che l'imputato e' gravato da un precedente  penale
per il reato di rissa di cui all'art. 588 cod. pen. 
    Il giudice a quo chiarisce, quindi, che la recidiva contestata ad
uno degli imputati ed applicata dalla sentenza di appello e' semplice
ma obbligatoria, rientrando il nuovo episodio delittuoso  nell'elenco
dell'art. 407, comma 2, lettera a), cod. proc. pen. 
    Considerato che la recidiva obbligatoria si affianca alle diverse
forme di recidiva facoltativa disciplinate dai  primi  quattro  commi
dell'art. 99 cod. pen. (Corte di cassazione, sezioni unite penali, 24
febbraio 2011, n. 20798) e che, nel caso  di  specie,  si  tratta  di
un'ipotesi  di  recidiva  si'  obbligatoria  ma  semplice,  l'aumento
relativo e' quello, indicato dal primo comma dell'art. 99 cod.  pen.,
di un terzo della pena da infliggere per il nuovo  reato.  Non  viene
pertanto  in  considerazione  l'applicabilita'  dell'art.  63,  terzo
comma, cod. pen. 
    E' vero, invece,  che,  trattandosi  di  recidiva  semplice,  non
dovrebbe operare, nella  fattispecie  in  esame,  l'art.  69,  quarto
comma, cod. pen., che introduce,  nei  casi  previsti  dall'art.  99,
quarto comma, cod. pen., ossia nelle ipotesi di  recidiva  reiterata,
il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti. Pero' la Corte
d'assise d'appello di Napoli ha ritenuto la recidiva equivalente alle
attenuanti generiche e con il ricorso  per  cassazione  gli  imputati
hanno  contestato  l'applicazione  della  recidiva  e  non  anche  il
giudizio di comparazione, che e' rimasto sottratto  al  sindacato  di
legittimita'  della  Corte  di  cassazione.  Percio'  la  Corte   era
inevitabilmente tenuta a fare applicazione della norma impugnata. 
    6.- Nel merito la questione sollevata dalla Corte  di  cassazione
e' fondata. 
    7.- L'art. 4 della legge n. 251 del 2005 ha sostituito l'art.  99
cod. pen., introducendo  nel  quinto  comma  un'ipotesi  di  recidiva
obbligatoria, che ricorre «Se si tratta di uno dei  delitti  indicati
all'articolo 407, comma  2,  lettera  a),  del  codice  di  procedura
penale». 
    Nel ricostruire  i  lineamenti  della  recidiva  dopo  l'avvenuta
sostituzione dell'art. 99 cod. pen., effettuata con  l'art.  4  della
legge n. 251 del 2005, la giurisprudenza costituzionale  ha  messo  a
fuoco  l'istituto,  individuando  il  suo   fondamento   nella   piu'
accentuata colpevolezza e nella maggiore pericolosita' del reo, e  ha
prospettato la facoltativita' di tutte le ipotesi di recidiva diverse
da quella del quinto comma dell'art. 99 cod. pen., e quindi anche  la
facoltativita' della recidiva reiterata, prevista  dal  quarto  comma
(sentenza n. 192 del 2007; ordinanze n. 171 del 2009, n. 257, n. 193,
n. 90 e n. 33 del 2008). 
    In particolare  e'  stato  chiarito  che  nel  caso  di  recidiva
facoltativa l'aumento di pena puo' essere disposto «solo allorche' il
nuovo episodio  delittuoso  appaia  concretamente  significativo,  in
rapporto alla natura ed al tempo di commissione dei precedenti, sotto
il profilo  della  piu'  accentuata  colpevolezza  e  della  maggiore
pericolosita' del reo» (ordinanza  n.  409  del  2007;  conformi,  ex
plurimis, ordinanze n. 193, n. 90 e n. 33 del 2008). 
    8.- L'orientamento prospettato da questa Corte e' stato  recepito
dalla giurisprudenza di legittimita', che ha riconosciuto  la  natura
facoltativa di tutte le ipotesi di recidiva, ad eccezione  di  quella
rappresentata dal quinto comma dell'art. 99 cod. pen., e ha  ritenuto
che quando la contestazione concerne una  delle  ipotesi  contemplate
dai primi quattro commi dell'art. 99 cod. pen. e' compito del giudice
verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito e'  effettivo
sintomo di riprovevolezza e pericolosita', tenendo conto della natura
dei reati, del tipo di devianza di cui sono il segno, della  qualita'
dei comportamenti, del margine di offensivita' delle condotte,  della
distanza temporale e del livello di omogeneita' esistenti  fra  loro,
dell'eventuale  occasionalita'  della  ricaduta  e  di   ogni   altro
possibile   parametro    individualizzante,    significativo    della
personalita' del reo e del grado di colpevolezza, al di la' del  mero
riscontro formale dei precedenti penali. All'esito di  tale  verifica
si  ritiene  che  al  giudice  sia  consentito  negare  la  rilevanza
aggravatrice  della  recidiva  ed  escludere  la   circostanza,   non
applicando il relativo aumento della sanzione (Corte  di  cassazione,
sezioni unite penali, 27 maggio 2010, n. 35738.  In  senso  conforme,
Corte di cassazione, sezioni  unite  penali,  24  febbraio  2011,  n.
20798). 
    9.- Nel caso della recidiva prevista dall'art. 99, quinto  comma,
cod. pen., questa verifica e' preclusa; l'aumento della pena consegue
automaticamente al mero riscontro formale della precedente condanna e
dell'essere il nuovo reato compreso nell'elenco dell'art. 407,  comma
2, lettera a), cod. proc. pen., senza che il giudice  sia  tenuto  ad
accertare in  concreto  se,  in  rapporto  ai  precedenti,  il  nuovo
episodio  delittuoso  sia   indicativo   di   una   piu'   accentuata
colpevolezza e di una maggiore pericolosita' del reo. 
    La  norma  censurata,  quindi,  introduce  un  vero   e   proprio
automatismo sanzionatorio, basato sul titolo del nuovo reato, e  piu'
precisamente sulla sua appartenenza al catalogo dell'art. 407,  comma
2, lettera a), cod. proc. pen.. 
    Ad avviso del giudice rimettente, e' questo automatismo che,  per
la sua irragionevolezza, si pone in contrasto con gli artt.  3  e  27
Cost. 
    9.1.-  Secondo   la   costante   giurisprudenza   costituzionale,
l'individuazione delle condotte  punibili  e  la  configurazione  del
relativo trattamento sanzionatorio rientrano  nella  discrezionalita'
legislativa, il cui esercizio non puo' formare oggetto di  sindacato,
sul piano della legittimita' costituzionale, salvo che si traduca  in
scelte manifestamente irragionevoli o arbitrarie (ex multis: sentenze
n. 68 del 2012, n. 47 del 2010, n. 161 del 2009, n. 22 del 2007 e  n.
394 del 2006). 
    Nel caso di specie, il rigido automatismo sanzionatorio  cui  da'
luogo la norma censurata -  collegando  l'automatico  e  obbligatorio
aumento di pena esclusivamente al dato formale del  titolo  di  reato
commesso - e' del tutto privo di ragionevolezza, perche' inadeguato a
neutralizzare gli elementi eventualmente desumibili  dalla  natura  e
dal tempo di commissione dei precedenti reati e dagli altri parametri
che dovrebbero formare oggetto della valutazione del  giudice,  prima
di riconoscere che i precedenti penali sono indicativi  di  una  piu'
accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosita' del reo. 
    L'obbligatorieta' stabilita dal quinto comma  dell'art.  99  cod.
pen. impone l'aumento della pena anche nell'ipotesi in cui esiste  un
solo precedente, lontano nel tempo, di poca gravita' e  assolutamente
privo di significato ai fini della recidiva. 
    E' da notare che «la funzione  del  quinto  comma  e'  quella  di
prefigurare,  in  rapporto  a  ciascuna  delle  forme   di   recidiva
facoltativa  in  precedenza  disciplinate,  altrettante  ipotesi   di
recidiva obbligatoria» (Corte di cassazione, sezioni unite penali, 24
febbraio 2011, n. 20798). Cio' significa che mentre nei primi quattro
commi dell'art.  99  cod.  pen.  sono  previste  ipotesi  di  diversa
gravita' della recidiva, con il passaggio da quella  semplice  (primo
comma) a quella aggravata (secondo comma),  a  quella  pluriaggravata
(terzo comma) e a quella reiterata (quarto comma), che possono  avere
un  significato  assai  diverso  ai  fini  della  valutazione   della
colpevolezza e della pericolosita' del reo, nel  quinto  comma  tutte
queste diverse ipotesi vengono irragionevolmente  parificate  in  una
previsione di obbligatorieta', che comporta un aumento di  pena  solo
in ragione del titolo del reato che e' stato commesso. Ne deriva  che
il giudice nell'applicare la pena  prevista  per  questo  reato  deve
aumentarla, anche se l'aumento e' privo di una reale giustificazione,
oggettiva o soggettiva. 
    L'irragionevolezza della norma impugnata e' ancor piu'  manifesta
se  si  considera   che   l'elenco   dei   delitti   che   comportano
l'obbligatorieta', contenuto nell'art. 407, comma 2, lettera a), cod.
proc. pen., concerne reati eterogenei, collegati dal legislatore solo
in funzione di esigenze processuali e in particolare del  termine  di
durata massima delle  indagini  preliminari,  e  quindi  inidonei  ad
esprimere un comune  dato  significativo  ai  fini  dell'applicazione
della recidiva. 
    9.2.-  L'automatismo   sanzionatorio   introdotto   dalla   norma
censurata non potrebbe giustificarsi neppure ritenendo  che  esso  si
fondi su una presunzione assoluta di piu' accentuata  colpevolezza  e
di maggiore pericolosita' del reo. 
    Secondo  la  giurisprudenza   costituzionale,   «le   presunzioni
assolute,  specie  quando  limitano  un  diritto  fondamentale  della
persona, violano il principio di eguaglianza, se  sono  arbitrarie  e
irrazionali,  cioe'  se  non  rispondono   a   dati   di   esperienza
generalizzati,  riassunti  nella  formula  dell'id   quod   plerumque
accidit».  In  particolare,  «l'irragionevolezza  della   presunzione
assoluta si puo'  cogliere  tutte  le  volte  in  cui  sia  "agevole"
formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione
posta a base della presunzione stessa» (ex multis, sentenze n. 232  e
n. 213 del 2013, n. 182 e n. 164 del 2011, n. 265 e n. 139 del 2010). 
    Nel caso di specie, la presunzione in  questione,  relativa  alla
colpevolezza e  alla  pericolosita'  del  reo,  sarebbe  giustificata
unicamente  dall'appartenenza  del  nuovo  episodio   delittuoso   al
catalogo dei reati indicati dall'art. 407, comma 2, lettera a),  cod.
proc. pen.,  ma  non  potrebbe  trovare  fondamento  in  un  dato  di
esperienza generalizzato. 
    Un dato del genere infatti non esiste, posto che per  le  ragioni
indicate ben possono  ipotizzarsi  accadimenti  reali  contrari  alla
generalizzazione presunta. 
    In conclusione, l'art. 99, quinto comma, cod. pen., nel prevedere
che nei casi di cui all'art. 407, comma 2,  lettera  a),  cod.  proc.
pen., la recidiva e' obbligatoria,  contrasta  con  il  principio  di
ragionevolezza e parifica  nel  trattamento  obbligatorio  situazioni
personali e ipotesi di  recidiva  tra  loro  diverse,  in  violazione
dell'art. 3 Cost. 
    9.3.- La previsione di un obbligatorio  aumento  di  pena  legato
solamente  al  dato  formale  del  titolo  di  reato,   senza   alcun
«accertamento della  concreta  significativita'  del  nuovo  episodio
delittuoso - in rapporto alla natura e al tempo  di  commissione  dei
precedenti e avuto riguardo ai parametri indicati dall'art. 133  cod.
pen. - "sotto il profilo della piu' accentuata colpevolezza  e  della
maggiore pericolosita' del reo" (sentenza n. 192 del 2007)» (sentenza
n. 183 del 2011), viola anche l'art.  27,  terzo  comma,  Cost.,  che
implica «"un costante  'principio  di  proporzione'  tra  qualita'  e
quantita'  della  sanzione,  da  una  parte,  e  offesa,  dall'altra"
(sentenza  n.  341  del  1994)»  (sentenza  n.  251  del  2012).   La
preclusione dell'accertamento della  sussistenza  nel  caso  concreto
delle condizioni  che  dovrebbero  legittimare  l'applicazione  della
recidiva puo' rendere la pena palesemente  sproporzionata,  e  dunque
avvertita come ingiusta dal condannato,  vanificandone  la  finalita'
rieducativa prevista appunto dall'art. 27, terzo comma, Cost. 
    10.- Deve pertanto  dichiararsi  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 99, quinto comma, cod. pen., come  sostituito  dall'art.  4
della  legge  n.  251  del  2005,  limitatamente  alle   parole   «e'
obbligatorio e,». 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 99,  quinto
comma, del codice penale, come sostituito dall'art. 4 della  legge  5
dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale  e  alla  legge  26
luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva,
di  giudizio  di  comparazione  delle  circostanze  di  reato  per  i
recidivi, di usura e di prescrizione), limitatamente alle parole  «e'
obbligatorio e,»; 
    2) dichiara la  manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 99, quinto  comma,  cod.  pen.,
come sostituito dall'art. 4 della legge n. 251 del  2005,  sollevata,
in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo  comma,  della  Costituzione,
dalla  Corte  d'appello  di  Napoli,  con  l'ordinanza  indicata   in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                     Giorgio LATTANZI, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI