N. 187 ORDINANZA 24 giugno - 23 luglio 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Confisca  dei  terreni  abusivamente   lottizzati   e   delle   opere
  abusivamente costruite - Applicabilita' in caso di  estinzione  del
  reato per prescrizione. 
- D.P.R. 6 giugno  2001,  n.  380  (Testo  unico  delle  disposizioni
  legislative e regolamentari in materia edilizia -  Testo  A),  art.
  44, comma 2. 
-   
(GU n.30 del 29-7-2015 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici :Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA,
  Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,  Silvana
  SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
  
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  44,  comma
2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico  delle  disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia - Testo A),  promosso
dal Tribunale ordinario di Rieti, sezione  penale,  nel  procedimento
penale a carico di R.M. ed altri, con ordinanza del 29  luglio  2014,
iscritta al n. 235 del registro ordinanze  2014  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  54,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2014. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 24  giugno  2015  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi. 
    Ritenuto che il Tribunale ordinario di Rieti, sezione penale, con
ordinanza depositata il 29 luglio 2014 (reg. ord. n. 235  del  2014),
ha sollevato una questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
44, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001,  n.  380  (Testo  unico  delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia -  Testo
A), in riferimento agli artt. 2, 9, 25,  32,  41,  42  e  117,  primo
comma,  della  Costituzione,   nella   parte   in   cui,   in   forza
dell'interpretazione della Corte europea dei diritti dell'uomo,  tale
disposizione «non  puo'  applicarsi  nel  caso  di  dichiarazione  di
prescrizione del reato anche qualora la  responsabilita'  penale  sia
stata accertata in tutti i suoi elementi»; 
    che il giudice a quo premette che sta procedendo nei confronti di
alcune persone imputate del reato di lottizzazione abusiva e  che  e'
gia' decorso il termine di prescrizione; 
    che cio' renderebbe «altamente probabile» che il giudizio  penale
debba concludersi con una pronuncia di non doversi  procedere,  posto
che gli imputati non hanno rinunciato alla prescrizione; 
    che gli atti compiuti non consentirebbero, «al momento, di  avere
l'evidenza della innocenza degli imputati»; 
    che dovrebbe pertanto trovare applicazione l'art.  44,  comma  2,
del d.P.R. n. 380 del 2001, secondo cui «La sentenza  definitiva  del
giudice penale che accerta che vi  e'  stata  lottizzazione  abusiva,
dispone la confisca dei  terreni,  abusivamente  lottizzati  e  delle
opere abusivamente costruite»; 
    che a tale  proposito  il  rimettente  osserva  che  la  confisca
urbanistica, sulla base della giurisprudenza di  legittimita',  della
sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo 20  gennaio  2009,
Sud Fondi srl e altri contro Italia, e della sentenza di questa Corte
n. 239 del 2009, deve ritenersi una sanzione amministrativa, soggetta
alle garanzie  proprie  della  "pena"  ai  sensi  dell'art.  7  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (d'ora in avanti «CEDU»), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva  con  la  legge  4  agosto
1955,  n.  848,  e  puo'  essere  disposta  con   una   sentenza   di
proscioglimento,  ove  siano  stati   accertati   il   fatto   e   la
responsabilita' di chi subisce la misura; 
    che la sentenza della Corte EDU del 29  ottobre  2013,  resa  nel
caso  Varvara  contro  Italia  (ric.  n.  17475  del  2009),  avrebbe
modificato il contenuto della disposizione censurata; 
    che secondo questa sentenza, infatti, in base  all'art.  7  della
CEDU e all'art. 1  del  relativo  Primo  Protocollo  addizionale,  la
confisca non potrebbe essere disposta quando non e'  pronunciata  una
sentenza di condanna per il reato  di  lottizzazione  abusiva,  e  in
particolare quando si e' verificata l'estinzione di tale reato; 
    che il giudice a quo  ricorda  che  la  Corte  di  cassazione  ha
sollevato una questione di legittimita' costituzionale dell'art.  44,
comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, nel significato da  attribuirgli
in base alla sentenza Varvara, in quanto sarebbe in contrasto con gli
artt. 2, 9, 32, 41, 42 e 117, primo comma, Cost., i  quali  impongono
che il paesaggio, l'ambiente, la vita  e  la  salute  siano  tutelati
quali  valori   costituzionali   oggettivamente   fondamentali,   cui
riconoscere  prevalenza  nel  bilanciamento   con   il   diritto   di
proprieta'; 
    che anche per il giudice a  quo,  che  svolge  in  modo  autonomo
analoghe  censure,  il  significato  assunto  dalla  norma  impugnata
contrasterebbe  con  i  parametri  costituzionali  appena   indicati,
perche' potrebbe determinare  il  sacrificio  dei  valori  da  questi
tutelati, a vantaggio del diritto di proprieta'; 
    che la  norma  impugnata  contrasterebbe  anche  con  l'art.  25,
secondo comma, Cost., secondo il quale nessuno puo' essere punito  se
non in forza di una legge; 
    che, infatti, l'art. 44, comma 2 non potrebbe essere reputato,  a
tal fine, una legge, posto che esso «non ha introdotto  una  sanzione
penale» ma una mera sanzione amministrativa; 
    che la questione sarebbe  rilevante,  «atteso  che  le  norme  in
esame,  delle  quali  si  chiede  il  vaglio  di   costituzionalita',
costituiscono l'immediato paradigma normativo di riferimento  per  la
decisione dei reati contestati»; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che questa Corte interpreti la norma  impugnata  nel
senso che essa impone la confisca urbanistica quando  il  reato,  pur
dichiarato estinto per prescrizione, e'  stato  accertato  anche  con
riferimento all'elemento soggettivo; 
    che l'Avvocatura generale ritiene  che  ai  fini  della  confisca
urbanistica  debba   ritenersi   sufficiente   l'accertamento   della
responsabilita' e che la sentenza Varvara possa essere letta in senso
conforme a questa regola; 
    che in tal caso  la  questione  potrebbe  essere  dichiarata  non
fondata «con una sentenza interpretativa di rigetto»; 
    che, ove la giurisprudenza della Corte EDU dovesse invece  essere
intesa nel senso che occorre la condanna penale, si determinerebbe un
contrasto con gli artt. 2, 9, 32, 41 e  42  Cost.,  perche'  verrebbe
attribuita un'ingiustificata  prevalenza  al  diritto  di  proprieta'
rispetto ai valori espressi da tali parametri costituzionali. 
    Considerato che il Tribunale ordinario di Rieti, sezione  penale,
ha sollevato questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  44,
comma 2, del  d.P.R.  6  giugno  2001,  n.  380  (Testo  unico  delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia  edilizia  -Testo
A), in riferimento agli artt. 2, 9, 25,  32,  41,  42  e  117,  primo
comma,  della  Costituzione,   nella   parte   in   cui,   in   forza
dell'interpretazione della Corte europea dei diritti dell'uomo,  tale
disposizione «non  puo'  applicarsi  nel  caso  di  dichiarazione  di
prescrizione del reato anche qualora la  responsabilita'  penale  sia
stata accertata in tutti i suoi elementi»; 
    che un'analoga questione, sollevata dalla Corte di cassazione con
riferimento ai medesimi  parametri,  eccezion  fatta  per  l'art.  25
Cost., e' stata  giudicata  inammissibile  da  questa  Corte  con  la
sentenza n. 49 del 2015, sopravvenuta all'ordinanza di rimessione; 
    che  il  giudice   a   quo   incorre   nei   medesimi   vizi   di
inammissibilita'; 
    che, in particolare,  viene  erroneamente  censurato  l'art.  44,
comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, anziche' la legge 4 agosto 1955,
n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il
4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa,
firmato a Parigi il 20 marzo 1952), nella parte in cui determinerebbe
l'introduzione nell'ordinamento  di  una  norma  reputata  di  dubbia
costituzionalita',  cioe'  del  divieto  di  applicare  la   confisca
urbanistica se non e' pronunciata una condanna penale; 
    che nei casi in cui si dubita della  legittimita'  costituzionale
della norma convenzionale, per come essa  vive  nella  giurisprudenza
della   Corte   di   Strasburgo,   oggetto   della    questione    di
costituzionalita' non puo' che  essere  tale  legge  di  ratifica  ed
esecuzione (sentenze n. 49 del 2015, n. 311 del 2009, n. 349 e n. 348
del 2007); 
    che  la  questione  e'  inammissibile  anche   per   difetto   di
motivazione sulla rilevanza; 
    che, infatti, il divieto di applicare  la  confisca  in  caso  di
estinzione del reato per prescrizione, tratto dalla sentenza Varvara,
non sarebbe rilevante ai fini della decisione, ove  tale  misura  non
dovesse essere disposta dal giudice a quo; 
    che al fine di disporre la  confisca  urbanistica  e'  necessario
accertare la responsabilita' della persona che sarebbe colpita  dalla
misura (sentenza n. 239 del 2009); 
    che il rimettente in proposito si limita  ad  osservare  che  gli
atti compiuti «non consentono, al momento, di avere l'evidenza  della
innocenza degli imputati»; 
    che in tal modo non e'  stata  superata  la  presunzione  di  non
colpevolezza degli imputati, e non e' percio' stata data  un'adeguata
motivazione della ritenuta rilevanza della questione di  legittimita'
costituzionale; 
    che la questione e' inammissibile  anche  per  erroneita'  di  un
presupposto interpretativo; 
    che la sentenza della Corte EDU  nel  caso  Varvara  puo'  essere
letta nel senso che la confisca urbanistica non esige una sentenza di
condanna da parte del giudice penale, posto  che  il  rispetto  delle
garanzie previste dalla CEDU  richiede  solo  un  pieno  accertamento
della responsabilita'  personale  di  chi  e'  soggetto  alla  misura
ablativa; 
    che   i   canoni   dell'interpretazione   costituzionalmente    e
convenzionalmente conforme avrebbero dovuto orientare  il  giudice  a
quo verso tale soluzione; 
    che, infatti, esigere la condanna penale  per  l'applicazione  di
una sanzione  di  carattere  amministrativo  (quale  e',  secondo  la
giurisprudenza costante, la confisca di una  lottizzazione  abusiva),
per quanto assistita dalle garanzie della "pena" ai sensi dell'art. 7
della  CEDU,  determina   l'integrale   assorbimento   della   misura
nell'ambito del diritto penale e rappresenta una soluzione di  dubbia
compatibilita' con il «principio di sussidiarieta', per il  quale  la
criminalizzazione,  costituendo  l'ultima  ratio,  deve   intervenire
soltanto allorche', da parte degli altri rami  dell'ordinamento,  non
venga offerta adeguata tutela ai beni da garantire» (sentenza n.  487
del 1989; in seguito, sentenza n. 49 del 2015); 
    che ai fini dell'osservanza della CEDU rileva non la forma  della
pronuncia con  cui  e'  applicata  una  misura  sanzionatoria  ma  la
pienezza dell'accertamento di responsabilita',  tale  da  vincere  la
presunzione di non colpevolezza; 
    che  tale  accertamento  e'  compatibile  con  una  pronuncia  di
proscioglimento   per   estinzione   del   reato   conseguente   alla
prescrizione (sentenze n. 49 del 2015, n. 239 del 2009 e  n.  85  del
2008); 
    che percio' il rimettente ha proposto la questione sulla base  di
un erroneo presupposto, relativo al significato  da  attribuire  alla
sentenza Varvara; 
    che la questione e' inammissibile anche per  l'erroneita'  di  un
secondo presupposto interpretativo; 
    che il giudice a quo infatti e' convinto di  essere  vincolato  a
recepire l'art. 7 della CEDU, nel significato che la sentenza Varvara
gli avrebbe attribuito e di cui contesta la  conformita'  alle  norme
costituzionali richiamate; 
    che la sentenza Varvara pero' non costituisce espressione di  una
giurisprudenza consolidata della Corte di Strasburgo; 
    che il coordinamento tra gli obblighi  derivanti  dall'art.  117,
primo comma,  Cost.,  e  la  liberta'  interpretativa  assicurata  al
giudice comune dall'art. 101,  secondo  comma,  Cost.,  comporta  che
questo, al di la' dei casi di esecuzione di una sentenza  pronunciata
dalla Corte EDU, sia tenuto a conformarsi  alla  sola  giurisprudenza
consolidata di Strasburgo e alle sentenze  pilota  in  senso  stretto
(sentenza n. 49 del 2015); 
    che, pertanto, la difettosa  valutazione  in  ordine  al  vincolo
ricavabile dalla sentenza Varvara si risolve nella erroneita' di tale
presupposto interpretativo. 
      
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibile    la    questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 44, comma 2, del d.P.R. 6  giugno  2001,  n.
380 (Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari  in
materia edilizia - Testo A), sollevata, in riferimento agli artt.  2,
9, 25, 32, 41,  42  e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,  dal
Tribunale  ordinario  di  Rieti,  sezione  penale,  con   l'ordinanza
indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 giugno 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                     Giorgio LATTANZI, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI