N. 189 SENTENZA 9 giugno - 24 luglio 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Disposizioni per il rilancio dell'economia (finanziamenti  statali  a
  favore  di  interventi  comunali  ricompresi  nel  Programma  "6000
  Campanili"; nuove costruzioni soggette al  permesso  di  costruire;
  destinazione al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato di una
  quota  delle  risorse  derivanti  dall'alienazione  del  patrimonio
  immobiliare regionale). 
- Decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni  urgenti  per  il
  rilancio dell'economia) - convertito, con modificazioni,  dall'art.
  1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98 - artt. 18,  comma  9,
  41, comma 4, e 56-bis, comma 11. 
-   
(GU n.30 del 29-7-2015 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Marta CARTABIA; 
Giudici :Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI,
  Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,  Silvana
  SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 18, comma
9, 41, comma 4, e 56-bis, comma 11, del decreto-legge 21 giugno 2013,
n.  69  (Disposizioni  urgenti  per   il   rilancio   dell'economia),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della  legge  9
agosto 2013,  n.  98,  promosso  dalla  Regione  Veneto  con  ricorso
notificato il 19  ottobre  2013,  depositato  in  cancelleria  il  29
ottobre 2013 ed iscritto al n. 98 del registro ricorsi 2013. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 9 giugno 2015 il Giudice relatore
Silvana Sciarra; 
    uditi gli avvocati Daniela Palumbo, Luigi Manzi ed Ezio Zanon per
la Regione Veneto e l'avvocato dello Stato Massimo  Salvatorelli  per
il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 19 ottobre 2013 e depositato  nella
cancelleria della Corte il 29 ottobre  2013,  la  Regione  Veneto  ha
promosso questione di legittimita' costituzionale, in via principale,
degli artt. 18, comma 9,  41,  comma  4,  e  56-bis,  comma  11,  del
decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69  (Disposizioni  urgenti  per  il
rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni, dall'art.  1,
comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, in riferimento agli  artt.
5, 42, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonche' al principio di
leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    1.1.- La Regione Veneto premette che l'art. 18, comma 9, del d.l.
n. 69 del 2013 e' impugnato nella parte in cui prevede la stipula  di
una convenzione tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
e  l'Associazione  nazionale  dei  comuni  italiani  (ANCI)  per   la
determinazione dei criteri relativi all'assegnazione di finanziamenti
statali a favore di interventi realizzati dai Comuni  ricompresi  nel
Programma denominato «6000 Campanili», disciplinando, nel contempo, i
requisiti dei beneficiari e i  limiti  di  spesa,  nonche'  l'importo
ammissibile del contributo per singolo progetto. 
    Tale norma, infatti, che destina «l'importo  di  100  milioni  di
euro per l'anno 2014, da iscriversi nello  stato  di  previsione  del
Ministero  delle  infrastrutture   e   dei   Trasporti   [...]   alla
realizzazione  del  primo  Programma  "6000  Campanili"   concernente
interventi infrastrutturali di adeguamento, ristrutturazione e  nuova
costruzione di edifici pubblici, ivi compresi gli interventi relativi
all'adozione  di  misure  antisismiche,  ovvero  di  realizzazione  e
manutenzione di reti viarie e infrastrutture accessorie e  funzionali
alle  stesse  o  reti  telematiche  di  NGN  e  WI-FI,   nonche'   di
salvaguardia e messa in sicurezza del  territorio»  (primo  periodo),
statuisce espressamente che «[p]ossono accedere al finanziamento solo
gli interventi muniti di tutti i pareri, autorizzazioni,  permessi  e
nulla osta previsti dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163  e
dal decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010,  n.  207»
(secondo periodo); e che «[e]ntro 30 giorni dalla data di entrata  in
vigore della legge di conversione del presente decreto, con  apposita
convenzione tra il Ministero delle infrastrutture e dei  trasporti  -
Dipartimento  per  le  infrastrutture,  gli  affari  generali  e   il
personale - e l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), da
approvare  con  decreto  del  Ministro  delle  infrastrutture  e  dei
trasporti e pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale, sono disciplinati  i
criteri per l'accesso all'utilizzo delle risorse degli interventi che
fanno parte del Programma. I Comuni con popolazione inferiore a 5.000
abitanti, le unioni composte da comuni con  popolazione  inferiore  a
5.000 abitanti e i comuni risultanti da fusione tra comuni,  ciascuno
dei quali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, per il  tramite
dell'ANCI, presentano  entro  60  giorni  dalla  pubblicazione  sulla
Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  italiana  della  sopra  citata
convenzione, le richieste  di  contributo  finanziario  al  Ministero
delle infrastrutture e dei trasporti. Il contributo richiesto per  il
singolo progetto non puo' essere inferiore a 500.000 euro e  maggiore
di 1.000.000 di euro e il costo totale del  singolo  intervento  puo'
superare il contributo richiesto soltanto nel caso in cui le  risorse
finanziarie   aggiuntive   necessarie   siano   gia'   immediatamente
disponibili e spendibili da parte del Comune proponente. Ogni  Comune
puo' presentare un solo progetto. Il Programma degli  interventi  che
accedono al finanziamento e' approvato con decreto del Ministro delle
infrastrutture e  dei  trasporti»  (terzo,  quarto,  quinto  e  sesto
periodo). 
    Il  legislatore  statale,   nel   disciplinare   una   «procedura
standardizzata di coordinamento interistituzionale»,  che  coinvolge,
da un lato, i Comuni e, dall'altro, il Ministero  competente,  ed  e'
orientata alla razionalizzazione delle modalita' di individuazione  e
realizzazione degli interventi, escluderebbe  radicalmente  qualsiasi
partecipazione dell'amministrazione regionale. Quest'ultima  verrebbe
invece  relegata  al  ruolo  secondario  ed  eventuale  di   soggetto
istituzionale solo incidentalmente  suscettibile  di  intervento  nel
singolo procedimento amministrativo, laddove  invece  l'ANCI  sarebbe
investita di fondamentali compiti istituzionali, in quanto chiamata a
determinare, in posizione paritetica con il Ministero  competente,  i
criteri di assegnazione dei finanziamenti. 
    Da cio' discenderebbe la violazione degli artt. 5, 117, 118 e 119
Cost.,   considerato   che   la   norma   impugnata    determinerebbe
l'irragionevole  estromissione  della  Regione  dai  procedimenti  di
individuazione e realizzazione degli interventi, nonche' da quelli di
determinazione dei criteri ai fini dell'erogazione dei contributi. In
particolare, la predetta norma  impugnata,  intervenendo  nell'ambito
del «governo del territorio», di  potesta'  legislativa  concorrente,
pregiudicherebbe   l'esercizio   di    competenze    legislative    e
amministrative della Regione, le  quali  si  configurerebbero,  nella
specie, come necessarie e aggiuntive rispetto all'attivita'  di  mera
selezione amministrativa dei progetti da parte dell'organismo statale
di riferimento, ledendo, conseguentemente, gli artt. 117 e 118 Cost. 
    La  Regione  ricorrente  deduce,  altresi',  la  violazione   del
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost.,  perche'
la  menzionata  estromissione  delle  Regioni  da   un   procedimento
amministrativo preordinato  all'assegnazione  delle  risorse  per  la
realizzazione di interventi che incidono sulla  materia  del  governo
del territorio, «ove e' radicato l'intreccio delle diverse competenze
tra Stato e Regione [...],  si  configura  come  [...]  lesiva  della
totalita'  delle   competenze   regionali   esistenti   in   materia,
particolarmente se avviene in assenza di un'intesa istituzionale  sul
punto», obbligatoria anche nel  caso  in  cui  si  ritenesse  che  la
disposizione  impugnata  fosse  espressione   di   un'attrazione   in
sussidiarieta'. 
    La norma impugnata  violerebbe,  inoltre,  sia  il  principio  di
sussidiarieta' cosiddetta "verticale" «ai sensi degli artt. 5  e  118
della Costituzione», sia il principio  di  sussidiarieta'  cosiddetta
"orizzontale", di  cui  all'art.  118,  quarto  comma,  Cost.,  oltre
all'art. 117, terzo comma, Cost. 
    Infatti, ove i menzionati  «fondamentali  compiti  istituzionali»
fossero stati attribuiti all'ANCI «in  posizione  di  "sussidiarieta'
verticale"», tale principio  risulterebbe  violato  dal  momento  che
detta associazione  non  rientrerebbe  tra  gli  enti  tassativamente
indicati  nell'art.  114  Cost.  e,  quindi,  non   potrebbe   essere
considerata soggetto abilitato ad esercitare funzioni  amministrative
a detto titolo. 
    Qualora, invece, i medesimi «fondamentali compiti  istituzionali»
fossero stati attribuiti all'ANCI in  «posizione  di  "sussidiarieta'
orizzontale"», la lesione di quest'ultimo principio deriverebbe dalla
circostanza che, da un lato, la stessa associazione non  rientrerebbe
tra le cosiddette autonomie funzionali, di  natura  pubblico-privata,
che la Corte costituzionale ha ritenuto  legittimamente  destinatarie
di funzioni amministrative, dall'altro,  non  sarebbe  portatrice  di
quell'interesse generale  indispensabile  ai  fini  dell'attribuzione
delle richiamate funzioni amministrative nei procedimenti di  accesso
degli enti locali ai fondi  pubblici,  in  quanto  conserverebbe  una
dimensione privatistica che non consentirebbe di identificarla con un
ente  pubblico,  difettando,  per  di  piu',  del   requisito   della
terzieta'. E cio' con la conseguenza che  la  disposizione  impugnata
determinerebbe  l'assegnazione  a   tale   associazione   di   poteri
confliggenti con le attribuzioni  costituzionalmente  garantite  alle
Regioni  dagli  artt.  117,  comma  terzo,   e   118,   della   Carta
fondamentale. 
    Un  ulteriore  profilo  di  illegittimita'  costituzionale  della
disposizione impugnata e', poi, ravvisato  dalla  Regione  ricorrente
nella violazione dell'art. 97 Cost., in  relazione  ai  principi  del
buon andamento e  dell'imparzialita'  dell'amministrazione.  Infatti,
l'ANCI - in quanto associazione di natura privata, non  assistita  da
un'adeguata autonomia  organizzativa  e  finanziaria  assimilabile  a
quella degli  enti  territoriali  -  difetterebbe  dei  caratteri  di
imparzialita' che dovrebbero  viceversa  connotare  l'«intermediario»
tra Stato e Comuni nell'esercizio delle funzioni relative al  governo
del territorio di cui si controverte nel presente giudizio. 
    Infine, viene denunciato il contrasto con  l'art.  119  Cost.  in
quanto la norma  impugnata  inciderebbe  sull'erogazione  di  risorse
finanziarie a favore dei Comuni «con modalita'  disarmonica  rispetto
alla Carta fondamentale». 
    1.2.- Con un secondo ordine  di  motivi,  la  ricorrente  Regione
Veneto impugna l'art. 41, comma 4, del d.l. n. 69 del 2013, il quale,
novellando  l'art.  3,  comma  1,  lettera  e.5),  del  decreto   del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico  delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia -  Testo
A), ricomprende tra gli interventi di nuova costruzione, soggetti  al
permesso di costruire, «l'installazione di manufatti  leggeri,  anche
prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere,  quali  roulottes,
campers,  case  mobili,  imbarcazioni,  che  siano  utilizzati   come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure  come  depositi,  magazzini  e
simili, e che non  siano  diretti  a  soddisfare  esigenze  meramente
temporanee, ancorche' siano installati, con temporaneo ancoraggio  al
suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto, in  conformita'
alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno  di
turisti». Ad avviso della Regione,  infatti,  ove  tale  norma  fosse
interpretata nel senso di  includere  tra  gli  interventi  di  nuova
costruzione - per i quali e' richiesto il  permesso  di  costruire  -
anche  l'installazione  degli  indicati  manufatti,  «con  temporaneo
ancoraggio al suolo, all'interno di strutture  ricettive  all'aperto,
in conformita' alla normativa regionale di settore, per la  sosta  ed
il soggiorno di turisti», sarebbe in contrasto con l'art. 117,  terzo
e quarto comma, Cost.  Infatti,  «l'attrazione  al  contesto  proprio
della legislazione statale in materia edilizia anche degli  anzidetti
interventi», li sottrarrebbe alla competenza  legislativa  regionale,
di cui all'art. 117, commi terzo e quarto, Cost., ledendola in specie
con riguardo alla materia del turismo. 
    Con memoria depositata nell'imminenza dell'udienza  pubblica,  la
Regione ricorda che la disposizione in esame e' stata successivamente
modificata dall'art. 10-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014,  n.  47
(Misure urgenti per  l'emergenza  abitativa,  per  il  mercato  delle
costruzioni  e  per  Expo  2015),  convertito,   con   modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 23 maggio 2014, n.  80.  Nel  nuovo
testo la norma in esame stabilisce che i predetti interventi sono «di
nuova costruzione» e quindi soggetti al  permesso  di  costruire,  «e
salvo che» (e non piu' «ancorche'») «siano installati, con temporaneo
ancoraggio al suolo, all'interno di strutture  ricettive  all'aperto,
in conformita' alla normativa regionale di settore, per la  sosta  ed
il soggiorno dei turisti», con conseguente completo sovvertimento del
senso e della portata del precetto normativo.  Pertanto,  la  Regione
ricorrente chiede che sia dichiarata la cessazione della materia  del
contendere. 
    1.3.- La Regione Veneto censura, infine, l'art. 56-bis, comma 11,
del d.l. n. 69 del 2013, nella parte in  cui  impone  un  vincolo  di
destinazione a favore del Fondo  per  l'ammortamento  dei  titoli  di
Stato  sulla  quota  del  10  per  cento  delle   risorse   derivanti
dall'alienazione dell'originario patrimonio  immobiliare  disponibile
delle Regioni. 
    In tal modo esso violerebbe l'art. 117 Cost., in  relazione  alla
materia del «coordinamento della  finanza  pubblica»,  e  l'art.  119
Cost., in quanto, travalicando la potesta' di coordinamento statale -
che ben consente di imporre ad  un  ente  territoriale  di  destinare
quote dei proventi ricavabili dalla  dismissione  dei  «propri»  beni
pubblici a coprire il  «proprio»  debito  e  le  «proprie»  spese  di
investimento - imporrebbe invece la destinazione di tali proventi  ad
un fondo di spettanza statale in via prioritaria rispetto alle  spese
di   investimento   dell'ente   medesimo,   indipendentemente   dalla
necessita' o meno delle stesse, in contrasto, in particolare, con  il
sesto comma dell'art. 119 Cost. Ne' il richiamo  alla  promozione  di
«iniziative volte allo sviluppo economico e  alla  coesione  sociale»
consentirebbe di ricondurre all'art.  119,  quinto  comma,  Cost.  il
titolo  di   competenza   della   norma   impugnata.   Il   parametro
costituzionale  richiamato,   infatti,   ben   potrebbe   legittimare
interventi del legislatore statale volti ad istituire fondi in favore
degli enti territoriali per garantire «risorse aggiuntive statali»  e
«interventi speciali statali», ma non consentirebbe di  ricondurre  a
detto ambito norme statali che prevedano la «soluzione inversa» circa
la costituzione di fondi statali implementati da «risorse  aggiuntive
territoriali» e «interventi speciali degli enti territoriali». 
    Detto articolo si porrebbe inoltre in  contrasto  con  l'art.  42
Cost. «relativo alla proprieta' pubblica  degli  enti  dello  Stato»,
perche', estendendo «il medesimo ordine di priorita' di  destinazione
delle  risorse»  derivanti  dall'alienazione   degli   immobili   «di
proprieta'  dello  Stato  e  successivamente  trasferiti  agli   enti
territoriali»   alla    destinazione    delle    risorse    derivanti
dall'alienazione dell'originario patrimonio  immobiliare  disponibile
degli enti  territoriali,  cioe'  di  «beni  propri  delle  autonomie
territoriali», percio'  naturalmente  sottratti  a  detto  regime  di
destinazione,  scardinerebbe  «il  concetto  di  proprieta'  di   cui
all'articolo 42 della Costituzione». 
    2.- Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che il ricorso proposto sia dichiarato inammissibile
o, nel merito, infondato. 
    2.1.- Quanto alla questione promossa in  relazione  all'art.  18,
comma 9, del d.l. n. 69 del 2013, l'Avvocatura generale  dello  Stato
ritiene che la norma impugnata sia riconducibile all'ambito materiale
del «governo del territorio», di competenza legislativa  concorrente,
nel quale alla Regione spetta dettare la disciplina  nei  limiti  dei
principi fondamentali posti dal legislatore statale. 
    Da cio' seguirebbe che la disposizione censurata, nella parte  in
cui stabilisce che «[p]ossono  accedere  al  finanziamento  solo  gli
interventi muniti di tutti i pareri, autorizzazioni, permessi e nulla
osta previsti dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n.  163  e  dal
decreto del Presidente della Repubblica  5  ottobre  2010,  n.  207»,
farebbe espressamente salvi  gli  interventi  autorizzatori  previsti
anche  dalle   leggi   regionali,   in   conformita'   ai   parametri
costituzionali evocati dalla ricorrente. 
    La  norma  censurata,  richiamando  soltanto  l'adeguamento,   la
ristrutturazione e la costruzione di nuovi edifici, includendo  anche
gli interventi relativi all'adozione di misure antisismiche,  sarebbe
espressione di un titolo di competenza legislativa statale, e farebbe
salvi comunque gli interventi autorizzatori  previsti  dalle  singole
leggi regionali. 
    2.2.- Quanto alla questione promossa in  relazione  all'art.  41,
comma 4, del d.l. n. 69 del 2013, l'Avvocatura generale  dello  Stato
precisa che la norma impugnata modifica l'art. 3,  comma  1,  lettera
e.5), del d.P.R. n. 380 del 2001, in relazione  alla  definizione  di
«interventi di  nuova  costruzione»,  estendendo  l'ambito  operativo
della disposizione novellata, in quanto qualifica come interventi  di
nuova costruzione anche i manufatti o le  altre  strutture  che  sono
«installati, con  temporaneo  ancoraggio  al  suolo,  all'interno  di
strutture ricettive all'aperto». 
    Secondo il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  la  norma
censurata  si  limiterebbe  pertanto  ad  intervenire   sul   rilievo
urbanistico dei manufatti leggeri, roulottes, campers,  imbarcazioni,
case mobili, sicche' la circostanza che gli stessi siano generalmente
collocati in strutture ricettive (quali  villaggi  turistici  e  aree
attrezzate  per  campeggio)   non   potrebbe   comunque   legittimare
un'attivita' edificatoria libera da ogni regola urbanistica. Da  cio'
seguirebbe l'infondatezza della questione. 
    2.3.-  Quanto  alla  questione  promossa  in  relazione  all'art.
56-bis, comma 11,  del  d.l.  n.  69  del  2013,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ritiene che la disposizione  censurata,  nella
parte in cui stabilisce che l'ente territoriale che intenda procedere
alla dismissione del proprio patrimonio immobiliare  versi  al  Fondo
per l'ammortamento dei titoli di Stato il 10 per  cento  dell'importo
netto  ricavato  dall'alienazione,  determinerebbe  una  compressione
dell'autonomia finanziaria della Regione limitata al  (solo)  10  per
cento  di  quanto  ricavato  dalle  operazioni  di  dismissione.   La
destinazione dei proventi a fini di  riduzione  del  debito  pubblico
statale  da  essa  imposta  risponderebbe  all'obbligo  generale   di
solidarieta', previsto dall'art. 2 Cost., tanto piu' rilevante  nella
particolare  ed  eccezionale  congiuntura  che  affligge  la  finanza
pubblica. 
    3.-  All'udienza  pubblica   le   parti   hanno   insistito   per
l'accoglimento delle conclusioni contenute nelle memorie scritte. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Veneto dubita  della  legittimita'  costituzionale
degli artt. 18, comma 9,  41,  comma  4,  e  56-bis,  comma  11,  del
decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69  (Disposizioni  urgenti  per  il
rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni, dall'art.  1,
comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, in riferimento agli  artt.
5, 42, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonche' al principio di
leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    2.- In primo luogo, la  Regione  ricorrente  impugna  l'art.  18,
comma 9, nella parte in cui stabilisce che i  criteri  per  l'accesso
dei Comuni all'utilizzo delle risorse di cui al Fondo istituito nello
stato  di  previsione  del  Ministero  delle  infrastrutture  e   dei
trasporti, destinate alla realizzazione  del  primo  Programma  «6000
Campanili», concernente una serie di interventi  infrastrutturali  di
adeguamento,  ristrutturazione  e  nuova   costruzione   di   edifici
pubblici, sono definiti con apposita  convenzione  tra  il  Ministero
delle infrastrutture e dei trasporti e l'Associazione  nazionale  dei
comuni italiani (ANCI), da approvare con decreto del  Ministro  delle
infrastrutture e dei trasporti. 
    Tale norma e' impugnata in quanto, nella parte in cui  estromette
la Regione dai procedimenti  di  individuazione  e  realizzazione  di
interventi riconducibili all'uso del suolo, che e'  ascrivibile  alla
materia  «governo  del  territorio»  -  di   competenza   legislativa
regionale concorrente -  nonche'  da  quelli  di  determinazione  dei
criteri  ai  fini  dell'erogazione  dei  contributi  necessari   alla
realizzazione dei medesimi interventi, pregiudicherebbe  «l'esercizio
delle  competenze  legislative  e   amministrative»   regionali,   in
violazione degli artt. 117 e 118 Cost. ed inciderebbe sull'erogazione
di  risorse  finanziarie  a  favore  dei  Comuni  secondo   modalita'
contrastanti con l'art. 119 Cost. 
    L'art. 18,  comma  9,  e',  poi,  impugnato  per  violazione  del
principio di sussidiarieta' verticale ed orizzontale, ai sensi  degli
artt.  5  e  118  Cost.,  in  quanto  attribuirebbe  il  compito   di
determinare i criteri di assegnazione dei finanziamenti, in posizione
paritetica con il competente Ministero  delle  infrastrutture  e  dei
trasporti, piuttosto che alle  Regioni,  all'ANCI,  che  non  sarebbe
soggetto  abilitato  ad  esercitare   funzioni   amministrative,   in
violazione dell'art. 117, terzo  comma,  Cost.  L'ANCI,  infatti  non
rientrerebbe ne' tra gli enti tassativamente indicati  nell'art.  114
Cost.,  ne'  tra  gli  organismi  privati  o  gli   enti   funzionali
legittimati a svolgere  attivita'  di  interesse  generale  ai  sensi
dell'art. 118, quarto comma, Cost. 
    Essa, inoltre, lederebbe il principio  di  leale  collaborazione,
«di cui all'art. 120 della Costituzione», per la  mancata  previsione
di un'intesa, obbligatoria anche nel caso in cui si  ritenga  che  la
disposizione  impugnata   sia   espressione   di   un'attrazione   in
sussidiarieta'. 
    La  predetta  norma  violerebbe  altresi'  l'art.  97  Cost.,  in
relazione  ai  principi  del  buon  andamento  e   dell'imparzialita'
dell'amministrazione, in quanto l'ANCI difetterebbe dei caratteri  di
imparzialita' che dovrebbero  viceversa  connotare  l'«intermediario»
tra Stato e Comuni nell'esercizio delle funzioni relative al  governo
del territorio di cui si controverte nel presente giudizio. 
    2.1.-  In  linea  preliminare,  la  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 18, comma  9,  del  d.l.  n.  69  del  2013,
promossa in relazione  all'art.  97  Cost.,  deve  essere  dichiarata
inammissibile. 
    2.1.1.- Questa Corte ha piu' volte affermato che, nei giudizi  in
via principale, le Regioni sono  legittimate  a  censurare  le  leggi
dello Stato in riferimento a parametri diversi da quelli relativi  al
riparto delle competenze legislative «soltanto qualora la  violazione
di questi comporti una compromissione  delle  attribuzioni  regionali
costituzionalmente garantite, sia possibile verificare la  ridondanza
delle asserite violazioni sul relativo riparto e la ricorrente  abbia
indicato le specifiche competenze ritenute lese e  le  ragioni  della
lamentata lesione» (sentenza n. 36 del 2014; fra le  tante,  sentenze
n. 237 del 2009, n. 289 del 2008). 
    Nel  caso  di  specie  la  ricorrente  non  ha   fornito   alcuna
motivazione  in  ordine  all'incidenza  della  pretesa  lesione   del
principio di buon andamento ed imparzialita' dell'amministrazione sul
riparto  delle  competenze  tra  Stato  e   Regioni.   Cio'   integra
l'inammissibilita' della questione promossa con riferimento al citato
parametro costituzionale. 
    2.2.- Nel merito, le questioni promosse in relazione  agli  artt.
117, 118 e 119 Cost. non sono fondate. 
    2.2.1.- La disposizione impugnata e' contenuta nell'art.  18  del
d.l. n. 69 del 2013, rubricato «Sblocca cantieri, manutenzione reti e
territorio e fondo piccoli Comuni», il quale  prevede  una  serie  di
interventi, adottati in via d'urgenza in ambiti di competenza statale
esclusiva, accomunati dalla necessita' di portare a compimento  opere
infrastrutturali  di  particolare   rilevanza   strategica,   nonche'
finalizzati al completamento di specifici nodi delle reti viarie. Per
assicurare gli obiettivi richiamati, nonche' la messa in sicurezza di
edifici pubblici di particolare rilevanza (art.  18,  commi  da  1  a
8-septies, del d.l. n. 69 del  2013),  ad  esempio  scolastici,  sono
stabilite autorizzazioni di spesa su appositi fondi. 
    Nell'ambito dei richiamati interventi, la norma impugnata  (comma
9) provvede a stanziare, solo per  l'anno  2014,  in  via  del  tutto
eccezionale ed in deroga alle procedure previste dal  comma  2  dello
stesso art. 18, l'importo di 100 milioni di euro, da iscriversi nello
stato  di  previsione  del  Ministero  delle  infrastrutture  e   dei
trasporti,  destinato  alla   realizzazione   del   Programma   «6000
Campanili», riservato soltanto ai «Comuni con popolazione inferiore a
5.000 abitanti, [alle] unioni  composte  da  comuni  con  popolazione
inferiore a 5.000 abitanti e [ai] comuni risultanti  da  fusione  tra
comuni,  ciascuno  dei  quali  con  popolazione  inferiore  a   5.000
abitanti». 
    Tale   programma   concerne   «interventi   infrastrutturali   di
adeguamento,  ristrutturazione  e  nuova   costruzione   di   edifici
pubblici, ivi compresi gli interventi relativi all'adozione di misure
antisismiche, ovvero di realizzazione e manutenzione di reti viarie e
infrastrutture accessorie e funzionali alle stesse o reti telematiche
di NGN e WI-FI, nonche' di salvaguardia  e  messa  in  sicurezza  del
territorio». 
    Si  tratta,  in  altri  termini,  di  una  serie  di  interventi,
incidenti su vari ambiti, di competenza statale e regionale (fra  cui
la tutela dell'ambiente, il governo  del  territorio,  la  protezione
civile, l'ordinamento della comunicazione, la tutela  della  salute),
ma   essenzialmente   riconducibili   a   lavori   di    manutenzione
straordinaria e messa in sicurezza  del  territorio,  di  cui  si  e'
inteso rendere possibile la realizzazione nei piccoli  Comuni  grazie
all'erogazione di un contributo statale  straordinario  per  il  solo
anno 2014, analogo a  quelli  previsti  dal  decreto  legislativo  31
maggio 2011, n. 88 (Disposizioni in materia di risorse aggiuntive  ed
interventi  speciali  per  la  rimozione  di  squilibri  economici  e
sociali, a norma dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009,  n.  42)
proprio «in conformita'  al  quinto  comma  dell'articolo  119  della
Costituzione e in prima attuazione dell'articolo  16  della  legge  5
maggio 2009, n. 42» (art. 1). 
    La norma impugnata - che, peraltro, ha avuto completa  attuazione
a seguito dell'adozione del decreto del Ministro delle infrastrutture
e  dei  trasporti  30  agosto  2013,  n.  317   (Approvazione   della
Convenzione 29 agosto 2013  MIT-ANCI,  disciplinante  i  criteri  per
l'accesso  all'utilizzo  delle  risorse  del  primo  Programma  «6000
Campanili»), nonche' del decreto del Ministro delle infrastrutture  e
dei  trasporti  27  dicembre  2013  (Approvazione  dell'elenco  degli
interventi  ammessi  al  finanziamento  del  Primo  Programma   «6000
Campanili») e del decreto del Ministro  delle  infrastrutture  e  dei
trasporti 13 febbraio 2014, n.  46  (Approvazione  dell'elenco  degli
interventi ammessi al Primo Programma «6000 Campanili»  e  finanziati
dalla legge di stabilita' del 27 dicembre 2013, n. 147) - stabilisce,
dunque, uno degli interventi speciali previsti dall'art. 119,  quinto
comma, Cost., in linea con la giurisprudenza costituzionale. 
    Questa Corte ha formulato una serie di criteri di  individuazione
dei suddetti  interventi  speciali,  la  cui  assenza  renderebbe  il
ricorso a finanziamenti statali ad hoc «uno  strumento  indiretto  ma
pervasivo di ingerenza  dello  Stato  nell'esercizio  delle  funzioni
degli enti locali, e di sovrapposizione di politiche e  di  indirizzi
governati centralmente a quelli legittimamente decisi  dalle  Regioni
negli ambiti materiali di propria competenza»  (sentenza  n.  16  del
2004; nonche', conformemente, sentenze n. 423, n. 320  e  n.  49  del
2004). Tali interventi speciali devono essere aggiuntivi rispetto  al
finanziamento  normale  delle   funzioni   amministrative   spettanti
all'ente  territoriale  (art.  119,  quarto  comma,  Cost.),   devono
riferirsi alle finalita' di  perequazione  e  di  garanzia  enunciate
nella norma costituzionale, o comunque a «scopi diversi» dal  normale
esercizio delle funzioni, infine devono essere indirizzati  non  gia'
alla generalita' degli enti territoriali, bensi' a  determinati  enti
territoriali o categorie di enti territoriali  (sentenze  n.  79  del
2014, n. 273, n. 254 e n. 46 del 2013, n. 176 e n. 71 del 2012). 
    Nella specie le richiamate condizioni sono soddisfatte. 
    La norma impugnata, nella parte in cui dispone lo stanziamento di
100 milioni di euro soltanto per l'anno 2014 per la realizzazione dei
suddetti lavori di manutenzione straordinaria e di messa in sicurezza
del territorio nei Comuni con meno di  5.000  abitanti,  che  abbiano
specifiche caratteristiche la cui determinazione e' rimessa a decreti
ministeriali,  delinea   un   intervento   aggiuntivo   rispetto   al
finanziamento delle funzioni amministrative ordinarie delle  Regioni,
connotato da scopi di perequazione e garanzia. Esso, infatti, dispone
l'erogazione di un contributo statale straordinario  in  vista  della
necessita' di assicurare la  realizzazione  di  infrastrutture  e  lo
svolgimento di attivita' indispensabili ad agevolare la  circolazione
e la comunicazione, la messa in sicurezza del territorio e la  tutela
della incolumita' pubblica, in quei comuni con meno di 5.000 abitanti
che,  per  conformazione  geografica  e  scarsita'  di  risorse,  non
sarebbero in grado di garantire in modo adeguato  l'assolvimento  dei
predetti compiti. Si tratta, dunque, di un legittimo  intervento  del
legislatore statale volto a destinare risorse aggiuntive in favore di
determinate categorie di Comuni, al fine di  correggere  o  attenuare
particolari squilibri e garantire un livello uniforme di servizi alla
persona (sentenza n. 176 del 2012). 
    2.3.- Del  pari  non  fondate  sono  le  questioni  promosse  con
riferimento al principio di sussidiarieta' orizzontale  e  verticale,
in riferimento agli artt. 5 e 118 Cost., nei  riguardi  del  medesimo
art. 18, comma 9, del d.l.  n.  69  del  2013,  nella  parte  in  cui
assegnerebbe  all'ANCI  uno  specifico  ruolo  nel  procedimento   di
erogazione  del  contributo  statale,   lesivo   delle   attribuzioni
regionali. 
    2.3.1.- Occorre premettere che, in  relazione  ad  un  intervento
statale "speciale" ai sensi dell'art. 119, quinto comma, Cost.,  come
quello delineato dalla norma impugnata, spetta al legislatore statale
la scelta  dello  schema  procedimentale  ritenuto  piu'  adeguato  a
assicurare l'ottimale realizzazione degli obiettivi di volta in volta
perseguiti nello stanziare i relativi fondi. 
    Nella specie, l'art. 18,  comma  9,  del  d.l.  n.  69  del  2013
stabilisce che «con  apposita  convenzione  tra  il  Ministero  delle
infrastrutture e dei trasporti - Dipartimento per le  infrastrutture,
gli affari generali e il personale - e l'Associazione  nazionale  dei
comuni italiani (ANCI), da approvare con decreto del  Ministro  delle
infrastrutture e dei trasporti e pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale,
sono disciplinati i criteri per l'accesso all'utilizzo delle  risorse
degli interventi che fanno parte del  Programma»  (secondo  periodo).
Esso prevede altresi' che «[i] Comuni  con  popolazione  inferiore  a
5.000  abitanti,  le  unioni  composte  da  comuni  con   popolazione
inferiore a 5.000 abitanti e  i  comuni  risultanti  da  fusione  tra
comuni,  ciascuno  dei  quali  con  popolazione  inferiore  a   5.000
abitanti, per il tramite dell'ANCI, presentano entro 60 giorni  dalla
pubblicazione sulla  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  italiana
della  sopra  citata  convenzione,   le   richieste   di   contributo
finanziario al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti» (terzo
periodo). 
    In tal modo, la citata norma, in  vista  del  predetto  scopo  di
assicurare l'ottimale realizzazione degli obiettivi perseguiti  nello
stanziare i fondi,  attribuisce  all'ANCI,  in  quanto  «associazione
esponenziale» (sentenza n. 337 del 2001)  dei  Comuni,  da  un  lato,
compiti propositivi ed istruttori in ordine alla  determinazione  dei
criteri di assegnazione dei finanziamenti, criteri  che  vengono  poi
definiti dal Ministro  delle  infrastrutture  e  dei  trasporti,  con
apposito   decreto,   sia   pure   sulla   base   della   convenzione
preventivamente stipulata con l'ANCI (secondo  periodo);  dall'altro,
funzioni di mero supporto ed assistenza in favore dei piccoli  Comuni
destinatari del finanziamento, al fine di agevolarne la presentazione
delle domande (terzo periodo). 
    Come  affermato  con  riguardo  a  disposizioni  che  riservavano
all'ANCI significative funzioni nella fase propositiva ed istruttoria
di analoghi schemi procedimentali, anche in relazione alla norma oggi
impugnata, occorre rilevare che essa si limita a consentire anche  la
partecipazione dei Comuni, fra i quali vi sono gli  enti  destinatari
del finanziamento, alla fase istruttoria, senza sottrarre, con  cio',
alle Regioni alcuna competenza. La previsione  della  «partecipazione
nella  fase  istruttoria  di   tutte   le   soggettivita'   pubbliche
interessate alla successiva decisione e' ben lungi dal ledere  alcuna
competenza regionale» (sentenza n. 337 del 2001; nello  stesso  senso
anche sentenza n. 232 del 2009). 
    2.4.- Anche la questione di legittimita' costituzionale  promossa
nei confronti del medesimo art. 18, comma 9, del d.l. n. 69 del 2013,
in riferimento al principio di leale collaborazione di  cui  all'art.
120 Cost., non risulta fondata. 
    2.4.1.- La Regione  Veneto  lamenta  la  lesione  del  richiamato
principio, sulla base del presupposto che la disciplina di  cui  alla
norma oggetto del giudizio debba ricondursi alla materia «governo del
territorio», rispetto  alla  quale  «e'  radicato  l'intreccio  delle
diverse competenze tra Stato  e  Regione»,  cosicche'  la  scelta  di
escludere l'amministrazione regionale da qualsiasi attivita' connessa
alla realizzazione degli interventi sarebbe lesiva  della  «totalita'
delle competenze regionali esistenti in materia,  particolarmente  se
avviene in assenza di un'intesa  istituzionale  sul  punto».  In  via
subordinata, la pretesa lesione del principio di leale collaborazione
e' motivata sulla base del diverso presupposto  che  la  disposizione
impugnata sia espressione di chiamata in sussidiarieta' di  funzioni,
in relazione alla quale egualmente si  impone  il  raggiungimento  di
un'intesa. 
    Entrambi  i  presupposti  sono  errati,  considerato  che,  nella
specie, non si tratta ne' di una disciplina  incidente  sul  «governo
del territorio», ne' di un'ipotesi di  attrazione  in  sussidiarieta'
allo  Stato  di  una  competenza  amministrativa  regionale,   quanto
piuttosto, come si e' gia'  chiarito  supra  al  punto  2.2.,  di  un
intervento speciale dello Stato a fini  di  perequazione  e  garanzia
adottato  in  attuazione  dell'art.   119,   quinto   comma,   Cost.,
strutturalmente e concettualmente diverso. 
    Ne consegue che gli argomenti addotti dalla Regione ricorrente  a
sostegno  della   dedotta   violazione   del   principio   di   leale
collaborazione risultano privi di fondamento, in  quanto  riferiti  a
fattispecie diverse da quella alla quale  deve  ricondursi  la  norma
impugnata. 
    3.-  La  Regione   Veneto   promuove,   inoltre,   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 41, comma 4, del d.l. n. 69 del
2013. Quest'ultimo, che ha novellato l'art. 3, comma 1, lettera e.5),
del decreto del Presidente della Repubblica 6  giugno  2001,  n.  380
(Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia edilizia - Testo A), ove sia inteso nel  senso  di  includere
tra gli interventi di nuova costruzione - per i quali e' richiesto il
permesso di costruire - l'installazione di «manufatti leggeri,  anche
prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere,  quali  roulottes,
campers,  case  mobili,  imbarcazioni,  che  siano  utilizzati   come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure  come  depositi,  magazzini  e
simili, e che non  siano  diretti  a  soddisfare  esigenze  meramente
temporanee», «ancorche' siano installati, con  temporaneo  ancoraggio
al  suolo,  all'interno  di  strutture   ricettive   all'aperto,   in
conformita' alla normativa regionale di settore, per la sosta  ed  il
soggiorno dei turisti», sarebbe in contrasto con l'art. 117, terzo  e
quarto comma, in quanto sottrarrebbe  illegittimamente  i  richiamati
interventi alla competenza delle Regioni  in  specie  in  materia  di
turismo. 
    3.1.- In via preliminare, occorre rilevare che la norma impugnata
e' stata modificata dall'art.  10-ter,  del  decreto-legge  28  marzo
2014, n. 47 (Misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato
delle costruzioni e per Expo 2015),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 23  maggio  2014,  n.  80,  che  ha
sostituito, all'art. 3, comma 1, lettera e.5), del d.P.R. n. 380  del
2001, la parola «ancorche'» con le parole «e salvo che». 
    Per effetto della modificazione sopravvenuta, il vigente art.  3,
comma 1, lett. e.5),  del  richiamato  d.P.R.  n.  380  del  2001  ha
ridefinito nei seguenti termini gli «interventi di nuova costruzione»
del testo unico dell'edilizia (per i quali e' richiesto  il  permesso
di  costruire):  «l'installazione   di   manufatti   leggeri,   anche
prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere,  quali  roulottes,
campers,  case  mobili,  imbarcazioni,  che  siano  utilizzati   come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure  come  depositi,  magazzini  e
simili, e che non  siano  diretti  a  soddisfare  esigenze  meramente
temporanee e salvo che siano installati, con temporaneo ancoraggio al
suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto, in  conformita'
alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno  di
turisti». 
    Nella memoria depositata nell'imminenza dell'udienza pubblica, la
Regione Veneto ha  osservato  che  le  modificazioni  apportate  alla
disposizione impugnata dal richiamato art. 10-ter, del d.l. n. 47 del
2014, garantiscono il  «completo  sovvertimento  del  senso  e  della
portata del precetto normativo» originariamente censurato,  con  cio'
superando i rilievi di illegittimita' costituzionale formulati, e  ha
concluso che sussistono, pertanto, i  requisiti  affinche'  la  Corte
possa dichiarare la cessazione della materia del contendere. 
    3.1.1.- Tale assunto risulta privo di fondamento. 
    Secondo   il   costante   orientamento    della    giurisprudenza
costituzionale, le modificazioni delle norme impugnate determinano la
cessazione della materia del contendere alla duplice condizione della
sopravvenuta abrogazione o modificazione della  disciplina  censurata
in senso satisfattivo della pretesa avanzata con il ricorso,  nonche'
della mancata applicazione, medio tempore,  delle  norme  abrogate  o
modificate (fra le tante, sentenze n. 269 e n. 68 del 2014,  n.  300,
n. 193 e n. 32 del 2012, n. 325 del 2011). 
    Nella  specie,  la   sopravvenuta   modifica   normativa   appare
pienamente satisfattiva delle pretese della  Regione  ricorrente,  in
quanto - come riconosciuto dalla  medesima  Regione  -  l'inserimento
della locuzione «e salvo che», al posto di  «ancorche'»,  sovvertendo
il senso della norma impugnata, esclude che siano riconducibili  agli
«interventi di nuova costruzione», i  richiamati  manufatti  leggeri,
con temporaneo ancoraggio al suolo, posti  all'interno  di  strutture
ricettive all'aperto, «in conformita'  alla  normativa  regionale  di
settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti», con  cio'  facendo
espressamente salve le competenze regionali. 
    All'opposto, non si configura l'ulteriore requisito della mancata
applicazione medio tempore della norma impugnata. Infatti, l'art. 41,
comma 4, del d.l. n. 69 del 2013 e' stato  inserito  dalla  legge  di
conversione 9 agosto 2013, n. 98 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
il 20 agosto 2013), entrata in vigore il giorno successivo alla  data
di pubblicazione (21 agosto 2013). L'art. 10-ter del d.l. n.  47  del
2014, e' stato inserito dalla legge di conversione 25 maggio 2014, n.
80 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 27 maggio  2014),  entrata
in vigore il 28 maggio 2014, sicche' la norma impugnata e' rimasta in
vigore per circa otto mesi, durante i  quali  non  e'  stata  fornita
alcuna dimostrazione che non sia stata applicata. 
    Pertanto, il richiesto scrutinio di  legittimita'  costituzionale
della norma censurata deve essere condotto nel merito. 
    3.2.- Nel merito, la questione e' fondata. 
    La norma impugnata  si  inserisce  nell'ambito  della  disciplina
urbanistico-edilizia, dettata dal legislatore statale all'art. 3  (L)
del d.P.R. n. 380 del 2001, in tema  di  realizzazione  di  strutture
mobili configurate come «interventi di nuova costruzione», in  quanto
tali subordinati al conseguimento  di  specifico  titolo  abilitativo
costituito dal permesso di costruire. 
    Con riferimento a tale disciplina  questa  Corte  ha  gia'  avuto
occasione di osservare che essa, la quale deve essere ricondotta alla
materia del «governo del territorio» di cui al terzo comma  dell'art.
117  Cost.,  «sancisce  il  principio  per  cui  ogni  trasformazione
permanente del territorio necessita  di  titolo  abilitativo  e  cio'
anche ove si tratti di strutture mobili allorche'  esse  non  abbiano
carattere precario» (sentenza n. 278 del 2010). Quanto a quest'ultimo
si e', poi, precisato che «[i]l discrimine tra necessita' o  meno  di
titolo  abilitativo  e'  dato  dal  duplice   elemento:   precarieta'
oggettiva dell'intervento,  in  base  alle  tipologie  dei  materiali
utilizzati, e precarieta' funzionale, in quanto caratterizzata  dalla
temporaneita' dello stesso» (sentenza n. 278 del 2010). 
    Su tali premesse, e'  stata  allora  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale  di  una  norma   statale   che   escludeva   che   le
installazioni ed  i  rimessaggi  di  mezzi  mobili  di  pernottamento
(campers, roulottes,  case  mobili  ed  altro),  anche  se  collocati
permanentemente, per l'esercizio dell'attivita', entro  il  perimetro
di strutture turistico-ricettive  regolarmente  autorizzate,  fossero
attivita' rilevanti sul piano urbanistico ed edilizio, escludendo  la
necessita' di conseguire apposito  titolo  abilitativo  per  la  loro
realizzazione, in considerazione  del  mero  dato  della  precarieta'
strutturale del manufatto. Cosi' disponendo, infatti, il  legislatore
statale aveva dettato una disciplina puntuale inerente  a  specifiche
tipologie di interventi edilizi realizzati in contesti ben definiti e
circoscritti, senza lasciare alcuno spazio al legislatore  regionale,
in contrasto con quanto piu' volte chiarito da questa Corte  e  cioe'
che «alla normativa di principio  spetta  di  prescrivere  criteri  e
obiettivi,  mentre  alla  normativa   di   dettaglio   e'   riservata
l'individuazione  degli  strumenti   concreti   da   utilizzare   per
raggiungere tali obiettivi» (sentenza n. 278 del 2010; anche sentenze
n. 16 del 2010, n. 340 del 2009, n. 401 del 2007). 
    La norma impugnata in questo giudizio presenta analoghi  vizi  di
illegittimita' costituzionale. Essa,  infatti,  nella  parte  in  cui
stabilisce  che  costituiscono  «interventi  di  nuova   costruzione»
l'installazione  di  manufatti  leggeri  anche  prefabbricati,  e  di
strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili,
imbarcazioni, che  siano  utilizzati  come  abitazioni,  ambienti  di
lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili,  e  che  non  siano
diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee, «ancorche'  siano
installati,  con  temporaneo  ancoraggio  al  suolo,  all'interno  di
strutture  ricettive  all'aperto,  in  conformita'   alla   normativa
regionale di settore, per la  sosta  ed  il  soggiorno  di  turisti»,
estende, con norma di dettaglio, l'ambito oggettivo degli «interventi
di nuova costruzione», per  i  quali  e'  richiesto  il  permesso  di
costruire. 
    Essa  in  specie  individua,  al  pari  della  norma   dichiarata
costituzionalmente illegittima con la  citata  sentenza  n.  278  del
2010,  specifiche  tipologie  di   interventi   edilizi,   realizzati
nell'ambito delle  strutture  turistico-ricettive  all'aperto,  molto
peculiari, che  peraltro  contraddicono  i  criteri  generali  (della
trasformazione  permanente  del  territorio   e   della   precarieta'
strutturale e funzionale  degli  interventi)  forniti,  dallo  stesso
legislatore statale, ai fini dell'identificazione della necessita'  o
meno del titolo abilitativo. In tal modo, la norma impugnata  sottrae
al legislatore regionale ogni spazio di intervento,  determinando  la
compressione della sua competenza concorrente in materia  di  governo
del territorio, nonche' la lesione  della  competenza  residuale  del
medesimo in materia di turismo, strettamente connessa,  nel  caso  di
specie, alla prima. 
    Deve, pertanto, essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 41, comma 4, del d.l. n. 69 del 2013. 
    4.- La Regione Veneto censura, infine, l'art. 56-bis,  comma  11,
del d.l. n. 69 del 2013, nella parte in  cui  impone  un  vincolo  di
destinazione a favore del Fondo  per  l'ammortamento  dei  titoli  di
Stato  sulla  quota  del  10  per  cento  delle   risorse   derivanti
dall'alienazione dell'originario patrimonio  immobiliare  disponibile
delle Regioni. 
    Tale norma violerebbe  l'art.  117  Cost.,  in  riferimento  alla
materia del «coordinamento della  finanza  pubblica»,  e  l'art.  119
Cost., in quanto imporrebbe la destinazione dei  proventi  ricavabili
dalla dismissione dei beni pubblici della  Regione  ad  un  fondo  di
spettanza  statale  in  via  prioritaria  rispetto  alle   spese   di
investimento dell'ente medesimo, indipendentemente dalla necessita' o
meno delle stesse. Detto articolo si porrebbe  inoltre  in  contrasto
con l'art. 42  Cost.  perche',  estendendo  il  medesimo  vincolo  di
destinazione allo  Stato  delle  risorse  derivanti  dall'alienazione
degli immobili di proprieta' dello Stato, successivamente  trasferiti
agli enti territoriali, anche alle risorse derivanti dall'alienazione
dell'originario  patrimonio  immobiliare   disponibile   degli   enti
territoriali, cioe' di «beni propri  delle  autonomie  territoriali»,
scardinerebbe il concetto di proprieta' di cui all'art. 42 Cost. 
    4.1.- La questione promossa in riferimento agli artt. 117,  terzo
comma, e 119 Cost. e' fondata. 
    La disposizione censurata nell'odierno giudizio  si  colloca  nel
quadro delle recenti misure adottate dal  legislatore  statale  volte
alla riduzione del debito pubblico, al fine precipuo di fronteggiare,
in    termini    dichiaratamente    derogatori    e     straordinari,
l'«eccezionalita'  della  situazione  economica»   e,   appunto,   le
«esigenze prioritarie di riduzione del debito pubblico» (art. 56-bis,
comma 11, primo periodo, del d.l. n. 69 del 2013). 
    Proprio   in   considerazione   della   «eccezionale    emergenza
finanziaria  che  il  Paese   sta   attraversando»,   ed   in   vista
dell'obiettivo di interesse generale «della riduzione dei debiti  dei
vari  enti  in  funzione  del  risanamento  della  finanza   pubblica
attraverso la dismissione di determinati beni» (sentenza  n.  63  del
2013),  questa  Corte  ha  ritenuto   che   la   previsione   statale
dell'obbligo di destinazione delle risorse derivanti dalle operazioni
di dismissione di terreni demaniali agricoli e a  vocazione  agricola
dello Stato, delle Regioni  e  degli  altri  enti  territoriali  alla
riduzione  del  proprio  debito,  sia  espressiva,  oltre  che   «del
perseguimento di un obiettivo di interesse generale in un  quadro  di
necessario  concorso  anche  delle  autonomie  al  risanamento  della
finanza pubblica», di un «principio fondamentale  nella  materia,  di
competenza concorrente, del coordinamento  della  finanza  pubblica»,
come tale non invasivo delle attribuzioni della Regione nella materia
stessa, in quanto proporzionato al fine perseguito  (sentenza  n.  63
del 2013). In questa prospettiva si e' anche precisato che tanto  gli
artt. 117, terzo comma, e 119, sesto comma, Cost., quanto le norme di
contabilita' pubblica ben consentono al legislatore di prevedere  che
soltanto la quota eccedente  la  copertura  del  debito  pubblico  di
pertinenza dell'ente territoriale possa essere destinata a  spese  di
investimento, onde scongiurare l'eventualita' che, per effetto di  un
esercizio  inconsapevole  o   distorto   dell'autonomia   finanziaria
regionale, possano rigenerarsi condizioni di  indebitamento  tali  da
vanificare il ripianamento conseguito. 
    Questa Corte ha, pero', anche dichiarato, nella pronuncia  citata
(sentenza n. 63 del 2013),  l'illegittimita'  costituzionale  di  una
disposizione statale  che  prescriveva  agli  enti  territoriali,  in
assenza  di  debito  o  per  la  parte  eventualmente  eccedente,  di
destinare le risorse derivanti dalle operazioni  di  dismissione  dei
terreni demaniali agricoli  e  a  vocazione  agricola  al  Fondo  per
l'ammortamento dei titoli di Stato. E cio' sulla base del rilievo che
detta previsione, «non essendo finalizzata ad  assicurare  l'esigenza
del risanamento del debito degli enti  territoriali  e,  quindi,  non
essendo  correlata  alla  realizzazione   del   ricordato   principio
fondamentale, si risolve in  una  indebita  ingerenza  nell'autonomia
della Regione». 
    Essa - si e' precisato - «determina una  indebita  appropriazione
da parte dello Stato di risorse appartenenti agli enti  territoriali,
in quanto realizzate  attraverso  la  dismissione  di  beni  di  loro
proprieta' e, con cio', sottrae ad essi il  potere  di  utilizzazione
dei propri  mezzi  finanziari,  che  fa  parte  integrante  di  detta
autonomia  finanziaria,  funzionale  all'assolvimento   dei   compiti
istituzionali che gli enti  territoriali  sono  chiamati  a  svolgere
[...] con conseguente violazione degli articoli 117, terzo  comma,  e
119 Cost.». 
    I richiamati argomenti non possono che  condurre  a  ravvisare  e
dichiarare l'illegittimita' costituzionale  anche  dell'art.  56-bis,
comma 11, del d.l. n. 69 del 2013, ora all'esame. 
    Anche tale norma  e',  infatti,  volta  a  destinare  le  risorse
derivanti  da  operazioni  di  dismissione   di   beni   degli   enti
territoriali alla riduzione del debito pubblico di pertinenza, e,  in
assenza del debito o per la parte eventualmente eccedente  il  debito
degli enti medesimi, al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato. 
    Essa, inoltre, non soddisfa alcuna delle condizioni ripetutamente
poste   dalla   giurisprudenza   di   questa    Corte    in    ordine
all'individuazione  dei  principi  di  coordinamento  della   finanza
pubblica. E', infatti,  ormai  indirizzo  costante  di  questa  Corte
ritenere che «norme statali  che  fissano  limiti  alla  spesa  delle
Regioni  e  degli   enti   locali   possono   qualificarsi   principi
fondamentali di coordinamento della finanza  pubblica  alla  seguente
duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi
di riequilibrio della medesima, intesi nel senso  di  un  transitorio
contenimento  complessivo,  anche  se  non  generale,   della   spesa
corrente; in secondo luogo,  che  non  prevedano  in  modo  esaustivo
strumenti o modalita' per il perseguimento  dei  suddetti  obiettivi»
(sentenza n. 237 del 2009; nello stesso senso  sentenze  n.  139  del
2009, n. 289 e n. 120 del 2008). 
    Nella specie, la norma impugnata fissa  un  vincolo  puntuale  ed
esaustivo al fine di perseguire gli obiettivi  di  finanza  pubblica,
imponendo agli enti territoriali di destinare una quota dei  proventi
derivanti dalla dismissione di loro beni alla  riduzione  del  debito
pubblico dello Stato, con cio' ledendo i parametri evocati. 
    Sulla base di cio', deve, pertanto, dichiararsi  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 56-bis, comma 11, del d.l. n. 69 del 2013. 
    4.2.- Resta assorbita la questione di legittimita' costituzionale
promossa nei confronti della medesima norma in  riferimento  all'art.
42 Cost. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  41,  comma
4, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti  per
il rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni,  dall'art.
1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98; 
    2) dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  56-bis,
comma 11, del d.l. n. 69  del  2013,  convertito,  con  modificazioni
dall'art. 1, comma 1, della legge n. 98 del 2013; 
    3)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 18, comma  9,  del  d.l.  n.  69  del  2013,
convertito, con modificazioni dall'art. 1, comma 1, della legge n. 98
del 2013, promossa, in riferimento all'art.  97  della  Costituzione,
dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe; 
    4)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale del medesimo art. 18, comma 9,  del  d.l.  n.  69  del
2013, convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,  della
legge n. 98 del 2013, promossa, in riferimento  agli  artt.  5,  117,
118, 119 e 120 Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2014. 
 
                                F.to: 
                     Marta CARTABIA, Presidente 
                     Silvana SCIARRA, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI