N. 1 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 16 luglio 2015

Ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello   Stato
(merito) depositato il 16 luglio 2015. 
 
Giurisdizione  domestica  -  Controversie  concernenti  il   rapporto
  d'impiego dei dipendenti del  Senato  -  Disciplina  contenuta  nel
  Regolamento del Senato della Repubblica -  Attribuzione  al  Senato
  stesso (Commissione contenziosa  in  primo  grado  e  Consiglio  di
  garanzia in grado di appello) dell'autodichia sui propri dipendenti
  - Ricorso per conflitto di  attribuzioni  tra  poteri  dello  Stato
  sollevato dalla Corte Suprema di Cassazione - Sezioni Unite  civili
  contro il Senato  della  Repubblica  -  Denunciata  violazione  del
  principio di uguaglianza per l'ingiustificata preclusione  per  una
  categoria di cittadini dell'accesso alla tutela  giurisdizionale  -
  Lesione del diritto di agire in giudizio e del diritto di difesa  -
  Violazione  del  divieto  di  istituzione  di  giudici  speciali  -
  Violazione dei principi del giusto processo e  del  contraddittorio
  davanti ad un giudice terzo ed imparziale - Violazione del  diritto
  a ricorrere in cassazione contro  le  sentenze  per  violazione  di
  legge - Contrasto con il diritto alla tutela giurisdizionale contro
  gli atti  ed  i  provvedimenti  della  pubblica  amministrazione  -
  Riferimenti alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo
  28 aprile 2009 (Savino e altri c. Italia)  e  alle  sentenze  della
  Corte costituzionale nn. 120 e 238 del 2014 - Richiesta alla  Corte
  costituzionale di dichiarare  la  non  spettanza  al  Senato  della
  Repubblica  di  deliberare  gli   artt.   72-84   del   Titolo   II
  (Contenzioso) del T.U. delle  norme  regolamentari  riguardanti  il
  personale del Senato della Repubblica nelle parti seguenti:  a)  in
  via  principale  nella  parte  in  cui  precludono  l'accesso   dei
  dipendenti del Senato alla tutela  giurisdizionale  in  riferimento
  alle controversie  di  lavoro  insorte  con  l'Amministrazione  del
  Senato; b) in via subordinata, nella parte in cui  non  consentono,
  contro le decisioni pronunciate  dagli  organi  giurisdizionali  da
  tali disposizioni previste, il ricorso in cassazione per violazione
  di legge. 
- Testo  Unico   delle   norme   regolamentari   dell'amministrazione
  riguardanti il personale del Senato della Repubblica, artt. 72-84. 
- Costituzione, artt. 3, primo comma, 24,  primo  comma,  102,  comma
  secondo (in combinato disposto con la VI disposizione transitoria),
  108, comma secondo, e 111, commi primo, secondo e settimo. 
(GU n.33 del 19-8-2015 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                        Sezioni unite civili 
 
    Composta dagli illustrissimi signori magistrati: 
        dott. Luigi Antonio Rovelli - Primo Presidente f.f.; 
        dott. Maria Gabriella Luccioli - Presidente Sezione; 
        dott. Salvatore Di Palma - Consigliere; 
        dott. Giovanni Amoroso - Consigliere; 
        dott. Aurelio Cappabianca - Consigliere; 
        dott. Vittorio Nobile - Relatore consigliere; 
        dott. Angelo Spirito - Consigliere; 
        dott. Adelaide Amendola - Consigliere; 
        dott. Alberto Giusti - Consigliere; 
ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso  n.
15041-2012 proposto da: 
        Lorenzoni Piero, elettivamente domiciliato in  Roma,  via  F.
Paulucci  De'  Calboli,  9,  presso  lo  studio  dell'avvocato   Aldo
Sandulli, che lo rappresenta e  difende,  per  procura  speciale  del
notaio dott. Tommaso Belli di Roma, rep. 28528 del 15 luglio 2013, in
atti; 
    ricorrente contro: 
        Senato della Repubblica, in persona del legale rappresentante
pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma,  Via  Dei  Portoghesi
12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato, che  lo  rappresenta  e
difende ope legis; 
    controricorrente: 
        avverso la decisione n. 141/2011 del  Consiglio  di  Garanzia
del Senato della Repubblica, depositata il 29 settembre 2011; 
    udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
18 novembre 2014 dal Consigliere Dott. Giovanni Amoroso; 
    uditi   gli   avvocati   Aldo   Sandulli,    Federico    Basilica
dell'Avvocatura Generale dello Stato; 
    udito il P.M. in persona  dell'Avvocato  Generale  Dott.  Umberto
Apice, che ha concluso per il dichiarare ammissibile  il  ricorso  ex
art. 111 della Costituzione, in subordine sollevare il  conflitto  di
attribuzione. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. Il geometra Piero Lorenzoni - facente parte del  personale  di
ruolo del Senato della Repubblica con  qualifica  di  coadiutore,  in
servizio dal 1985, dapprima presso l'Ufficio dell'Economato e poi dal
2003   al   2004    presso    l'Ufficio    tecnico    del    Servizio
dell'Amministrazione e del Patrimonio, dal quale veniva alla fine del
2004  trasferito  presso  il   Servizio   dei   resoconti   e   della
comunicazione istituzionale - chiedeva all'Amministrazione del Senato
in data 2 novembre 2004 il riconoscimento  di  aver  svolto  mansioni
superiori alla  sua  qualifica  dal  1990  al  2003;  contestualmente
impugnava  il  trasferimento  da  ultimo  comunicatogli   in   quanto
immotivato e chiedeva l'attribuzione di mansioni  pari  a  quelle  in
precedenza svolte. 
    A fronte del  silenzio  dell'Amministrazione,  proponeva  ricorso
alla Commissione contenziosa,  reiterando  le  suddette  richieste  e
domandando altresi' il risarcimento del danno biologico alla  persona
e quello alla professionalita' ed alla dignita', che asseriva di aver
subito  a  causa  del  mutamento  di  mansioni  e,  da  ultimo,   del
trasferimento. 
    Con decisione n. 282 del 1° marzo 2006 la Commissione contenziosa
accoglieva il ricorso  riconoscendo  il  diritto  del  ricorrente  ad
essere  titolare  di  unita'  operativa  ed  a  fruire  del  relativo
trattamento,  condannando  l'Amministrazione   a   provvedervi.   Con
decisione n. 111 del  22  dicembre  2006  il  Consiglio  di  Garanzia
respingeva il ricorso in appello proposto dall'Amministrazione. 
    Nelle more del  procedimento  d'appello,  con  provvedimento  del
Segretario  generale  del  Senato  veniva  attribuito  al  ricorrente
l'incarico   di   responsabile   dell'Unita'   operativa   Segreteria
dell'archivio storico. 
    Il  ricorrente  impugnava  il  nuovo  provvedimento,  ritenendolo
illegittimo in ragione dell'inadeguatezza delle mansioni assegnategli
rispetto a  quelle  riconosciute  dalla  Commissione  contenziosa,  e
proponeva ricorso  (ric.  n.  712)  per  l'ottemperanza  della  prima
decisione della Commissione contenziosa, passata ormai in giudicato. 
    Con decisione n. 403 del 28 luglio 2010,  resa  esecutiva  il  30
luglio 2010 con decreto del Presidente  del  Senato,  la  Commissione
contenziosa accoglieva il ricorso in ottemperanza, ritenendo che  nel
caso  di  specie  l'attribuzione  della  titolarita'   di   un'unita'
operativa non avesse il  carattere  di  temporaneita'  che  connotava
l'istituto in via generale e  l'Amministrazione  del  Senato  avrebbe
dovuto  motivare  la  revoca  dell'incarico   fornendo   le   ragioni
giustificatrici del provvedimento adottato. 
    L'Amministrazione ricorreva in appello. 
    Nel frattempo un ulteriore ricorso (ric. n. 752) veniva  proposto
dal  ricorrente  che  lamentava  la  decurtazione   del   trattamento
economico corrisposto dall'Amministrazione, essendo stata revocata la
corresponsione   dell'indennita'   spettante   per   l'incarico    di
responsabile di unita' operativa. 
    Inoltre  il  ricorrente,  che  in  data  8  maggio  2009   veniva
trasferito al Servizio informatico, impugnava con  ricorso  (ric.  n.
775) anche il nuovo trasferimento. 
    Tali due  ultimi  ricorsi  venivano  respinti  dalla  Commissione
contenziosa con decisioni n. 405 del 13 luglio 2010 e n. 407  del  13
maggio 2010, ritenendo in particolare che l'incarico al Lorenzoni non
era stato oggetto di revoca, bensi'  era  giunto  alla  sua  naturale
scadenza. 
    Il ricorrente interponeva appello. 
    Con decisione n. 141 del 21 luglio  -  29  settembre  2011,  resa
esecutiva con decreto del Presidente del Senato del 5 ottobre 2011  e
comunicata  al  ricorrente  il  10  ottobre  2011,  il  Consiglio  di
Garanzia,  pronunciandosi  su   tutte   le   impugnazioni   proposte,
accoglieva   il   ricorso   in   appello   dell'Amministrazione   nel
procedimento di ottemperanza e rigettava i  ricorsi  in  appello  del
ricorrente. Riteneva, in particolare, il Consiglio di garanzia che le
valutazioni circa la  professionalita'  del  ricorrente  costituivano
scelta discrezionale dell'Amministrazione non sindacabile nella  sede
contenziosa. 
    2. Con ricorso straordinario per cassazione  ai  sensi  dell'art.
111, settimo comma, Cost., il ricorrente chiede  a  questa  Corte  la
cassazione della decisione n. 141 del 2011 del Consiglio di Garanzia. 
    Afferma  il  ricorrente   che   la   decisione   e'   espressione
dell'istituto dell'autodichia del Senato, che si  pone  in  contrasto
con gli artt. 3, 24, 113, 108, secondo comma, 102, secondo  comma,  e
111, secondo  comma,  della  Costituzione,  anche  per  l'assenza  di
terzieta' degli organi di autodichia in ragione della circostanza che
vede i loro componenti essere designati da parte del  Presidente  del
Senato e l'esecutivita'  delle  loro  decisioni  essere  condizionata
all'emissione di un decreto del Presidente del  Senato  su  richiesta
del Segretario generale del Senato. 
    Deduce ancora il ricorrente che il ricorso per cassazione ex art.
111, settimo comma, Cost. e' ammissibile a  seguito  della  pronuncia
della Corte europea dei diritti dell'uomo 28 aprile 2009, Savino, che
ha qualificato gli organi di autodichia  della  Camera  quali  organi
giurisdizionali. 
    Nel merito, il ricorrente lamenta il vizio di omessa  motivazione
circa  un  punto  decisivo  della  controversia,  per  non  avere  il
Consiglio   di   garanzia   motivato   sulla   lamentata   violazione
dell'obbligo dell'Amministrazione di allegare la giusta  causa  della
revoca  dell'incarico  di  titolare  di  unita'  operativa   (obbligo
derivante dall'art. 3 legge n. 21 del 1990,  dall'art.  4  del  testo
unico del Senato e, nello specifico, dalla sentenza resa  su  ricorso
in ottemperanza dalla Commissione contenziosa). 
    Il   Senato   della   Repubblica,    rappresentato    e    difeso
dall'Avvocatura dello Stato, ha resistito con controricorso deducendo
l'inammissibilita' del ricorso ex art.  111,  settimo  comma,  Cost.,
l'inammissibilita' del primo motivo di  ricorso  per  inderogabilita'
dell'autodichia e l'infondatezza delle censure di  costituzionalita',
in quanto nel procedimento innanzi agli organi di  autodichia  vi  e'
completa distinzione tra chi adotta  i  provvedimenti  amministrativi
(il Consiglio di Presidenza) e chi decide sull'eventuale  contenzioso
relativo (la Commissione contenziosa in primo grado ed  il  Consiglio
di Garanzia in grado d'appello); ha dedotto infine l'infondatezza del
ricorso nel merito, trattandosi di pretese derivanti da  un  incarico
(di titolarita' di unita' operativa) non gia' revocato al ricorrente,
ma venuto a naturale scadenza, e, dall'altro lato, di attribuzione di
mansiosi al ricorrente corrispondenti alla qualifica di  appartenenza
sicche' nessun demansionamento vi era stato. 
    3. Inizialmente le Sezioni Unite  di  questa  Corte,  chiamate  a
decidere il ricorso, hanno, con ordinanza n. 10400 del 12 febbraio  -
6 maggio 2013, dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12 del Regolamento
del Senato della Repubblica 17 febbraio 1971, e successive modifiche,
in riferimento agli artt. 3, 24, 102,  secondo  comma,.  111,  primo,
secondo e settimo comma, e 113,  primo  comma,  Cost..  Hanno  quindi
sospeso il giudizio e disposto latrasmissione degli atti  alla  Corte
costituzionale. 
    Con sentenza n. 120 del 9 maggio 2014 la Corte costituzionale  ha
dichiarato   inammissibile    tale    questione    di    legittimita'
costituzionale sollevata da questa Corte. 
    4. Fissata  nuovamente  l'udienza  di  trattazione  del  ricorso,
entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. 
    In particolare il ricorrente, muovendo da quanto affermato  dalla
Corte costituzionale  nella  menzionata  sentenza  n.  120  del  2014
secondo cui la questione potrebbe da luogo ad un conflitto tra poteri
dello Stato nei confronti del  Senato,  ha  ribadito  che  la  tutela
giurisdizionale dei  dipendenti  del  Senato  non  puo'  piu'  essere
compressa dall'autodichia di quest'ultimo. 
    L'Avvocatura dello Stato per il Senato si e' opposta deducendo in
particolare  che  non  sussistono  i  presupposti  per  sollevare  il
conflitto  tra  poteri  dello   Stato,   potendo   semmai   ritenersi
ammissibile il ricorso straordinario  ex  art.  111,  settimo  comma,
Cost. quale proposto  dal  ricorrente  nei  confronti  dell'impugnata
decisione del Consiglio di garanzia. 
    Il Procuratore Generale ha concluso ritenendo in  via  principale
ammissibile il ricorso ed in via  subordinata  chiedendo  che  questa
Corte sollevi conflitto di attribuzione tra poteri nei confronti  del
Senato. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. Il ricorso - articolato in due motivi, con cui  il  ricorrente
lamenta, in via preliminare, che la prevista  autodichia  del  Senato
comprime il suo diritto alla tutela  giurisdizionale  con  violazione
dell'art. 24 Cost., oltre che degli artt. 3, 102, secondo comma, 108,
secondo comma, 111 e 113 Cost. (primo  motivo)  e,  nel  merito,  che
numerose norme regolamentari del Senato sarebbero state  violate  dal
Consiglio di garanzia, in particolare nella parte in cui quest'ultimo
ha ritenuto atto  pienamente  discrezionale  dell'Amministrazione  la
mancata conferma  dell'incarico  di  titolare  dell'unita'  operativa
(secondo motivo) - pone innanzi tutto,  con  diffuse  argomentazioni,
una preliminare questione  di  ammissibilita'  dell'esperito  rimedio
impugnatorio  del  ricorso  straordinario  ai  sensi  dell'art.  111,
settimo comma, Cost. e dell'art. 360, quarto comma, c.p.c. ove  abbia
ad oggetto una decisione del Consiglio di Garanzia del  Senato  della
Repubblica; questione sulla quale in vero questa  Corte  si  a'  gia'
pronunciata   seppur   al   fine   di   motivare    l'incidente    di
costituzionalita' sollevato nel presente giudizio con  la  menzionata
ordinanza n. 10400 del 12 febbraio - 6 maggio 2013. 
    Ha ritenuto questa Corte che l'art. 12 del Regolamento del Senato
17 febbraio 1971 -  che  prevede  che  il  Consiglio  di  Presidenza,
presieduto dal Presidente del Senato, approva i  regolamenti  interni
dell'Amministrazione del Senato e adotta i provvedimenti relativi  al
personale stesso nei casi ivi previsti - e' stato sempre interpretato
nel senso della attribuzione al Senato della autodichia in materia di
controversie tra il  personale  dipendente  e  l'Amministrazione  del
Senato,  datrice  di  lavoro,  con   conseguente   esclusione   della
giurisdizione di qualsiasi giudice  esterno  sulle  controversie  che
attengono allo stato ed alla  carriera  giuridica  ed  economica  dei
dipendenti; sicche' inammissibile sarebbe il ricorso straordinario ai
sensi dell'art. 111, settimo comma,  Cost.  proposto  dal  Lorenzoni,
come gia' ritenuto in passato da questa Corte in fattispecie analoghe
dove veniva in rilevo il cit. art.  12  del  Regolamento  del  Senato
(Cass., sez. un., 19 novembre 2002, n. 16267; e prima  ancora  Cass.,
sez. un., 23 aprile 1986, n. 2861, pronunciata nel  giudizio  in  cui
questa  stessa  Corte,  a  sezioni  unite,  aveva  sollevato  analoga
questione incidentale di legittimita' costituzionale ord. n. 134  del
23 marzo 1981 - dichiarata inammissibile dalla  Corte  costituzionale
con sentenza n. 154 del 1985). 
    2.  Dopo  la  restituzione  degli  atti  da  parte  della   Corte
costituzionale che con la menzionata sentenza n.  120  del  9  maggio
2014  ha  dichiarato  inammissibile  la  questione  di   legittimita'
costituzionale sollevata da queste Sezioni Unite, la questione va ora
riesaminata  soprattutto  ed  essenzialmente  alla   luce   di   tale
pronuncia, che in un certo  qual  senso  traccia  la  direttrice  dei
possibili sviluppi successivi della controversia. 
    3. Va innanzi tutto identificata la fattispecie di autodichia  in
materia di controversie di lavoro del personale del  Senato  e  delle
norme subregolamentari che la prevedono. 
    Benche'  in  Costituzione  una  vera  e  propria  autodichia  sia
contemplata testualmente, in altra materia, solo dall'art.  66  Cost.
che prevede che ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione  dei
suoi componenti e delle cause sopraggiunte di  ineleggibilita'  e  di
incompatibilita', in realta' e' opinione condivisa, che  trova  anche
riscontro nella cit. giurisprudenza di questa Corte,  quella  che  fa
discendere  dall'autonomia   normativa   riconosciuta   alle   Camere
dall'art. 64, primo comma, Cost., che prevede che  esse  adottano  il
proprio regolamento a maggioranza assoluta dei loro componenti, anche
la  possibilita'  che  tale  normativa   regolamentare   preveda   un
procedimento di composizione delle liti che possano  sorgere  tra  il
personale dipendente e l'Amministrazione del Senato. 
    In realta' il principio di autodichia, intesa come  giurisdizione
domestica escludente ogni altra giurisdizione ed anche  il  sindacato
di legittimita' di questa Corte di cassazione ex  art.  111,  settimo
comma,  Cost.,  per  le  controversie  tra  personale  dipendente  ed
Amministrazione del Senato e' contenuto nel "Testo unico delle  norme
regolamentari  dell'amministrazione  riguardanti  il  personale   del
Senato    della    Repubblica",     nel     quale     e'     rifinito
l'originario"Regolamento degli uffici e del personale", approvato dal
Consiglio di Presidenza del Senato il 18 dicembre 1987 ed emanato con
decreto del Presidente del Senato del  1°  febbraio  1988,  n.  6314.
Secondo quanto disposto dal suddetto  T.U.  (art.  72,  comma  8)  la
Commissione  contenziosa  decide  in  primo  grado  i   ricorsi   dei
dipendenti del Senato e dei candidati alle prove concorsuali; essa si
compone  di  tre  senatori,  un  consigliere   parlamentare   ed   un
dipendente, nominati all'inizio di ogni  legislatura  dal  Presidente
del Senato; i suddetti senatori  devono  essere  esperti  in  materie
giuridiche, amministrative e  del  lavoro  e  devono  avere  uno  dei
seguenti requisiti (art. 85-bis): magistrato, anche a  riposo,  delle
magistrature ordinaria e  amministrative;  professore  universitario,
ordinario  o  associato,  in  materie  giuridiche,  anche  a  riposo;
avvocato dello Stato, anche a riposo; avvocato del libero  foro.  Non
possono far parte della Commissione i  componenti  del  Consiglio  di
Presidenza, i  componenti  del  Consiglio  dell'Amministrazione,  del
Consiglio di garanzia e del Consiglio  di  disciplina,  i  dipendenti
assegnati  al  Servizio  del  Personale,  nonche'  agli   Uffici   di
segreteria della Commissione contenziosa e del Consiglio di  garanzia
(art. 72, comma 13). 
    L'organo di appello e' il Consiglio di garanzia (art. 75) che  e'
un collegio di cinque  senatori  con  i  requisiti  di  cui  all'art.
85-bis. I componenti, tra i quali vengono eletti il Presidente ed  il
vice Presidente, durano in carica tutta la legislatura; essi non sono
immediatamente confermabili salvo  i  componenti  supplenti  che  non
siano  stati  mai  chiamati  a  prendere  parte,  nella   legislatura
precedente, alle riunioni del Consiglio. L'incarico e'  incompatibile
con quello di membro del Consiglio di Presidenza,  della  Commissione
contenziosa e del Consiglio di disciplina. 
    Il cit. art. 85-bis - introdotto con decreto del  Presidente  del
Senato del 1° marzo 2006 (recante  modifiche  al  testo  unico  delle
norme regolamentari dell'Amministrazione riguardanti il personale deI
Senato della Repubblica, in  materia  di  contenzioso),  in  Gazzetta
Ufficiale  n. 57 del 9 marzo  2006  -  ha  previsto  che  i  senatori
componenti della Commissione contenziosa e i componenti del Consiglio
di garanzia sono nominati dal Presidente del Senato tra i senatori in
carica esperti in materie giuridiche, amministrative  e  del  lavoro,
che abbiano uno dei seguenti requisiti: magistrato, anche  a  riposo,
delle magistrature ordinaria e amministrative; professore ordinario o
associato  d'universita'  in  materie  giuridiche,  anche  a  riposo;
avvocato dello Stato, anche a riposo; avvocato del libero foro. 
    La disciplina del procedimento innanzi al Consiglio  di  garanzia
e' prevista segnatamente dall'art. 76. 
    In particolare la deliberazione del consiglio di  presidenza  del
Senato del 5 dicembre 2005 (in  Gazzetta  Ufficiale  n.  294  del  19
dicembre 2005) parla  espressamente  di  "Organi  di  autodichia  del
Senato" istituiti con deliberazione del Consiglio di  Presidenza  del
Senato  del  18  dicembre  1987  con  riferimento  alla   Commissione
contenziosa (chiamata  a  decidere  in  primo  grado  il  contenzioso
promosso dal personale dipendente) e del Consiglio di  Garanzia  (che
decide in grado d'appello)  e  segnatamente  contempla  una sorta  di
"prorogatio" nella successione di una legislatura ad un'altra. L'art.
4 infatti prevede che al fine di garantire la necessaria  continuita'
della  tutela  giurisdizionale,  i   componenti   della   Commissione
contenziosa e del Consiglio di Garanzia del Senato esercitano le loro
funzioni fino alla nomina, a inizio di legislatura, degli  Organi  di
autodichia ai sensi dell'art. 72, comma 8, e dell'art. 75,  comma  2,
del    citato    testo    unico     delle     norme     regolamentari
dell'Amministrazione. 
    La stessa Corte costituzionale nella sentenza  n.  120  del  2014
riconosce che la citata normativa  regolamentare  "secondo  un'antica
tradizione interpretativa" attribuisce  al  Senato  l'autodichia  sui
propri dipendenti, ossia il potere di giudicare in  via  esclusiva  e
definitiva i ricorsi avverso gli  atti  e  i  provvedimenti  adottati
dall'Amministrazione di quel ramo del Parlamento nei confronti  degli
stessi  dipendenti,  con  conseguente  esclusione  del  sindacato  di
qualsiasi giudice esterno in ordine alle controversie  che  attengono
allo stato ed alla carriera giuridica ed economica dei dipendenti. 
    La conferma  nella  giurisprudenza  costituzionale  si  ha  anche
nell'affermazione che  la  protezione  dell'area  di  indipendenza  e
liberta' parlamentare non attiene soltanto  all'autonomia  normativa,
ma si estende al momento applicativo delle stesse norme regolamentari
«e comporta, di necessita', la sottrazione a qualsiasi  giurisdizione
degli  strumenti  intesi  a  garantire  il   rispetto   del   diritto
parlamentare» (sentenze n. 379 del 1996 e n. 129 del 1981). 
    Tale riconosciuta autodichia preclude la possibilita' del ricorso
straordinario per cassazione. Le pronunce rese in grado d'appello dal
Consiglio  di  garanzia  -  qual  e'  quella  attualmente   impugnata
dall'odierno  ricorrente  -  non  sono  ricorribili  per   cassazione
((Cass., sez. un., 19 novembre 2002, n. 16267, e 23 aprile  1986,  n.
2861, cit.); e' solo possibile  l'impugnazione  per  revocazione  con
ricorso  proposto  alla  stessa  Commissione  di  garanzia  ai  sensi
dell'art. 83 del cit. Testo unico, seppur "nei casi, nei modi  e  nei
termini previsti dagli articoli 395 e 306  del  codice  di  procedura
civile". 
    Si tratta quindi, in sintesi, di  un  sistema  tutto  interno  di
risoluzione    del    contenzioso    del     personale     dipendente
dell'Amministrazione  del  Senato  che   non   consente   la   tutela
giurisdizionale ordinaria in  generale,  ne'  quella  in  particolare
costituita dal ricorso straordinario ai sensi dell'art. 111,  settimo
comma, Cost.. 
    4.   Da   quanto   sopra   osservato   sul   fondamento    legale
dell'autodichia in materia di controversie di  lavoro  del  personale
del Senato consegue che il dato positivo di partenza, da cui muovere,
e' l'esistenza di una forma di autodichia in materia di  controversie
tra il personale dipendente e l'Amministrazione del personale che  e'
chiusa ad ogni forma di tutela giurisdizionale comune,  vuoi  innanzi
al giudice ordinario vuoi innanzi al giudice amministrativo,  nonche'
in particolare al sindacato di legittimita'  di  questa  Corte  quale
previsto in generale dall'art. 111, settimo comma,  Cost.  contro  le
sentenze  pronunciate  dagli  organi   giurisdizionali   ordinari   o
speciali. 
    Tale   fattispecie   di   autodichia   non   ha   un   fondamento
costituzionale diretto perche' non e' espressamente prevista  ne'  in
Costituzione ne' in norme di  rango  costituzionale,  e  neppure  nel
Regolamento di cui all'art. 64, primo comma, Cost.,  a  differenza  -
come  gia'  rilevato  -  dell'autodichia  in  materia  di  titoli  di
ammissione dei componenti delle Camere e delle cause sopraggiunte  di
ineleggibilita' e  di  incompatibilita';  la  quale  autodichia,  per
essere direttamente prevista dall'art.  66  Cost.,  ha  fondamento  e
rango costituzionale. 
    Invece la base legale che legittima l'autodichia  in  materia  di
controversie tra il  personale  dipendente  e  l'Amministrazione  del
Senato e'  di  natura  derivata,  perche'  prevista  dalla  normativa
subprimaria regolamentare del Senato (la sent. n. 120 del 2014  parla
in proposito di  "norme  sub-regolamentari"  a  fronte  delle  "norme
regolamentari"),  e   si   rinviene   nell'esercizio   dell'autonomia
normativa, la quale ha essa si fondamento costituzionale  perche'  in
generale riconosciuta alle Camere dall'art. 64, primo comma, Cost.. 
    Il carattere derivato di questa forma di autodichia in materia di
controversie di lavoro la colloca, nel sistema  delle  fonti,  ad  un
livello sottordinato rispetto all'autodichia in materia di titoli  di
ammissione  dei  suoi  componenti  e  delle  cause  sopraggiunte   di
ineleggibilita'  e  di   incompatibilita',   la   quale   e'   invece
equiordinata alla normativa di tale livello  sicche'  (non  gia'  per
quest'ultima, ma) per la prima puo' porsi un  problema  di  possibile
contrasto  con   la   Costituzione   o   con   altri   parametri   di
costituzionalita'. Cio' non significa che ipotizzare un contrasto tra
disposizioni subregolamentari del Senato e la Costituzione schiuda la
strada del sindacato incidentale di costituzionalita' ad opera  della
Corte costituzionale. La giurisprudenza costituzionale -  di  cui  si
viene ora a dire - e' ferma nell'escludere  questa  possibilita'.  Ma
cio' attiene alle regole del  giudizio  costituzionale,  sulle  quali
occorrera' tornare, e non gia' alla possibilita' di  raffronto  della
normativa regolamentare subprimaria del Senato con  la  Costituzione;
raffronto che e' si' possibile perche' tale normativa  regolamentare,
anche se ad essa non possa riconoscersi forza e valore  di  legge  ai
sensi dell'art. 134 Cost., ha comunque natura normativa nel senso che
appartiene al complesso edificio di norme che  formano  l'ordinamento
della Repubblica, declinato secondo un  modello  gerarchizzato  delle
norme  stesse  con  al  vertice   i   principi   fondamentali   della
Costituzione.  Il   cui   carattere   apicale,   a   conferma   della
articolazione gerarchizzata delle norme, e' tale da  resistere  anche
all'ingresso della normativa comunitaria  o  internazionale  come  da
ultimo riconosciuto dalla Corte  costituzionale  (sent.  n.  238  del
2014). 
    Vi e' quindi - con riferimento alle Camere - una  fattispecie  di
autodichia in materia di valutazione dei  titoli  di  ammissione  dei
suoi componenti e delle cause sopraggiunte di  ineleggibilita'  e  di
incompatibilita' che e' costituzionalmente guarentigiata  per  essere
prevista direttamente dall'art.  66  Cost.,  ed  una  fattispecie  di
autodichia in materia di controversie tra il personale  dipendente  e
l'Amministrazione del Senato creata dalla normativa  subregolamentare
posta, come normativa derivata, in  forza  del  potere  regolamentare
riconosciuto dall'art. 64, primo comma, Cost.. 
    Si tratta pertanto di forme di autodichia di diverso  rango,  che
peraltro non esauriscono le fattispecie dell'autodichia  in  generale
perche' e' anche ipotizzabile - ed e' positivamente  riscontrabile  -
una forma di autodichia prevista da un ordinario atto, con  forza  di
legge (tale ex art. 134 Cost.) quale e' stata l'autodichia in materia
di controversie di impiego dei magistrati della  Corte  dei  conti  -
gia' prevista dagli artt. 3, primo comma, e 65 del testo unico  delle
leggi sulla Corte dei conti  12  luglio  1934,  n.  1214,  della  cui
censurabilita'  con   incidente   di   costituzionalita'   la   Corte
costituzionale (sent. n. 135 del 1975) non  ha  dubitato,  prima  che
tali disposizioni fossero abrogate - e qual e'  tuttora  l'autodichia
in materia di  controversie  del  personale  dipendente  della  Corte
costituzionale (art. 14, terzo comma, della legge n. 87 del 1953), la
quale pero' si ritiene avere una valenza speciale in  quanto,  in  un
certo senso, di rango costituzionale, avvalorata com'e'  dall'art.  1
della legge cost. n. 1 dello stesso anno (1953) che alla prima rinvia
per la iniziale attuazione delle norme sul giudizio costituzionale  e
sul funzionamento della Corte. 
    Diversa ancora e' la fattispecie dell'autodichia  in  materia  di
controversie del personale della Presidenza della Repubblica, per  la
quale un fondamento particolare, nonche' modulato diacronicamente, e'
stato ritenuto da Cass., sez. un., 17 marzo 2010, n. 6529. 
    Si e' anche ipotizzato (dal Consiglio di Stato) che una forma  di
autodichia  prevedesse   il   Regolamento   interno   del   Consiglio
provinciale di Trento, approvato con delibera consiliare  25  ottobre
1973, n. 7, che, censurato con questione incidentale di  legittimita'
costituzionale, e' stato ritenuto dalla Corte costituzionale atto non
sindacabile ex art. 134, primo alinea, Cost. (sent. n. 288 del 1987). 
    Insomma in tutte queste ipotesi e' ben rinvenibile la base legale
dell'autodichia, ma non secondo un modello unitario, essendo di volta
in volta diverso l'atto-fonte che la  prevede:  la  Costituzione,  un
ordinario atto con forza di legge, un  regolamento  parlamentare,  la
normativa subregolamentare delle Camere; come anche differenziato  e'
il livello di tutela -  di  rango  costituzionale,  o  no  -  sottesa
all'esercizio di queste forme di giurisdizione interna. 
    5.  Con  riferimento  all'atto-fonte,  si  ha   che   mentre   e'
censurabile, sollevando questione incidentale  di  costituzionalita',
l'autodichia prevista dalla legge ordinaria - ossia da  un  atto  con
forza di legge ai sensi dell'art. 134  Cost.  -  quale  e'  stata  la
menzionata autodichia della Corte dei  conti  -  invece  l'autodichia
espressa  dal   regolamento   parlamentare   che   abbia   fondamento
costituzionale diretto (ex art. 66 Cost., o anche ex art.  72  Cost.)
come  anche  quella  che  abbia  solo  un  fondamento  costituzionale
indiretto (ex art. 64, primo comma Cost. e norme subregolamentari  da
esso derivate) non e' censurabile sollevando questione incidentale di
costituzionalita' perche' manca un atto con forza di legge  ai  sensi
dell'art. 134 Cost.. 
    Ne' e' ipotizzabile, con riferimento all'autodichia del Senato in
esame, un dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 360  c.p.c.
nella parte in cui non e' ammissibile  il  ricorso  straordinario  ex
art. 111, settimo comma, Cost. perche' la ragione di inammissibilita'
del ricorso straordinario,  quale  e'  quello  proposto  dall'odierno
ricorrente, non e' nell'art. 360, ma nella  disciplina  regolamentare
interna del Senato che ha forza  normativa  come  riconosciuto  dalla
sent. n. 120 del 2014;  quindi  il  giudice  deve  considerarla  come
attratta al quadro normativo di riferimento rilevante al  fine  della
decisione della questione posta a questa Corte  con  il  ricorso  del
ricorrente. Ed e' questa normativa interna  del  Senato  -  non  gia'
l'art. 360  c.p.c.  -  che  sbarra  la  via  di  accesso  al  ricorso
straordinario come  anche,  piu'  in  generale,  preclude  la  tutela
giurisdizionale innanzi al giudice comune,  sia  esso  ordinario  che
amministrativo. 
    6.  La  non   censurabilita'   con   questione   incidentale   di
costituzionalita' della normativa che prevede l'autodichia in materia
di controversie di lavoro del personale  del  Senato  trova  puntuale
riscontro sia nella sent. n. 154 del 1985 che nella sent. n. 120  del
2014  della  Corte  costituzionale,  ma   con   delle   significative
differenze. 
    Con sentenza  n.  154  del  1985,  cui  hanno  fatto  seguito  le
ordinanze di manifesta inammissibilita' nn. 444 e 445  del  1993,  la
Corte costituzionale ha  dichiarato  inammissibile  la  questione  di
legittimita' costituzionale degli artt. 12.1 e 12.3  dei  regolamenti
del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati  -  approvati
rispettivamente il 17 e 18 febbraio 1971 - sollevata, in  riferimento
agli artt. 24, 101, secondo comma, 108, primo e secondo comma, e 113,
primo comma, Cost.. Ritenne all'epoca la Corte costituzionale  che  i
regolamenti parlamentari avrebbero potuto comprendersi  nel  disposto
dell'art. 134 Cost. soltanto in via  interpretativa  e  che  siffatta
interpretazione non era coerente, ed appariva anzi in  contrasto  con
la natura di democrazia parlamentare propria del nostro ordinamento. 
    La  Corte  ha  osservato  che  i  regolamenti  parlamentari  sono
esclusivamente quelli previsti  dall'art.  64,  primo  comma,  Cost.,
cioe' quelli adottati direttamente dall'assemblea di ognuna delle due
Camere a maggioranza assoluta dei loro componenti.  Questa  autonomia
guarentigiata si traduce in atti - i regolamenti parlamentari  -  non
riconducibili alla fattispecie degli atti con forza di legge ex  art.
134 Cost.. 
    Formulando tale disposizione  -  ha  affermato  la  Corte  -  «il
costituente  ha  segnato  rigorosamente  i  precisi  ed  invalicabili
confini  della  competenza  del  giudice  delle  leggi   nel   nostro
ordinamento,  e  poiche'  la  formulazione   ignora   i   regolamenti
parlamentari, solo in via d'interpretazione  potrebbe  ritenersi  che
questi vi siano ugualmente compresi. Ma una  simile  interpretazione,
oltre a non trovare appiglio nel dato testuale, urterebbe  contro  il
sistema». 
    Ma, oltre a questo dato testuale, ve  n'e'  uno  di  sistema  che
induce ad escludere la riconducibilita' dei regolamenti  parlamentari
agli  atti  con  forza  di  legge.  Ha  aggiunto  la  Corte  che   la
Costituzione repubblicana ha instaurato una democrazia  parlamentare,
connotata dalla precedenza  attribuita  al  Parlamento  collocato  al
centro  del  sistema,  quale  istituto  fondante  e   caratterizzante
l'ordinamento giuridico. 
    Pertanto avverte la Corte che e' nella logica di tale sistema che
«alle Camere spetti - e vada percio' riconosciuta - una  indipendenza
guarentigiata nei confronti di qualsiasi altro potere,  cui  pertanto
deve ritenersi  precluso  ogni  sindacato  degli  atti  di  autonomia
normativa ex art. 64, primo comma, Cost.». 
    La centralita' e la primazia del Parlamento si traducono anche in
forme di garanzia nei confronti dell'ordinario esercizio  del  potere
giurisdizionale. 
    La Corte ha quindi concluso affermando  che  nel  catalogo  degli
atti  suscettibili  di  giudizio   di   costituzionalita',   in   via
incidentale o principale, dell'art.  134,  primo  alinea,  Cost.  non
possano ritenersi compresi i regolamenti parlamentari in oggetto, dei
quali pertanto va riconosciuta l'insindacabilita'. 
    La Corte pero' (nella citata pronuncia del  1985)  non  va  oltre
nelle sue affermazioni: l'autodichia in materia  di  controversie  di
lavoro del personale  delle  Camere,  in  quanto  riconducibile  alla
normativa regolamentare del Camere stesse, non puo' essere oggetto di
controllo di costituzionalita' nella forma del giudizio incidentale. 
    Con successive ordinanze nn. 444 e 445 del 1993 la  Corte  -  nel
dichiarare   manifestamente   inammissibile   (e   non   piu'    solo
inammissibile) la stessa  questione  -  si  e'  limitata  a  ribadire
seccamente «che, come gia' affermato da questa Corte  nella  sentenza
n. 154 del 1985, il problema  dell'ammissibilita'  del  sindacato  di
costituzionalita'  sui  regolamenti  parlamentari  va  risolto,  alla
stregua dell'art. 134 della Costituzione, in senso negativo, giacche'
nella  competenza  del  giudice  delle  leggi,  quale  stabilita  dal
richiamato  articolo,  non   possono   comprendersi   i   regolamenti
parlamentari, ne' espressamente ne' in via di interpretazione». 
    E'  ribadito   insomma   il   dogma   dell'insindacabilita'   dei
regolamenti parlamentari tout court. 
    7. Solo in epoca recente, dopo vari anni dall'arresto  del  1985,
il quadro giurisprudenziale di riferimento  comincia  a  modificarsi:
tra la sentenza n. 154 del 1985 e quella di quest'anno - sent. n. 120
del 2014 - si innesta  un  intervento  della  Corte  europea  diritti
dell'uomo che nella sentenza 28  aprile  2009,  Savino  ed  altri  c.
Italia, riconosce natura giurisdizionale agli  organi  di  autodichia
delle Camere. 
    L'istituto dell'autodichia della Camera dei deputati - afferma la
Corte EDU - non e' in se' contrastante con la convenzione europea dei
diritti dell'uomo, per la quale e' «tribunale» ai sensi  dell'art.  6
par. 1, non soltanto una  giurisdizione  di  tipo  classico,  ma  una
qualunque autorita' cui competa decidere,  sulla  base  di  norme  di
diritto, con  pienezza  di  giurisdizione  e  a  conclusione  di  una
procedura organizzata, su una qualsiasi questione di sua  competenza,
adottando una decisione vincolante, non modificabile da un organo non
giurisdizionale   (par.   73);   con   specifico   riferimento   alla
giurisdizione domestica (autodichia) della  Camera  dei  deputati  in
relazione alle controversie di lavoro con  i  propri  dipendenti,  la
Corte europea, dopo aver riconosciuto la natura giurisdizionale degli
organi della Camera, chiarisce  che  la  disciplina  dei  regolamenti
parlamentari minori e' sufficiente a  garantirne  la  precostituzione
per legge, considerato che si tratta di fonti agevolmente accessibili
dagli interessati (benche' non  pubblicate),  formulate  in  modo  da
garantire la prevedibilita' del comportamento dell'organo chiamato  a
decidere. E' quindi  soddisfatta  l'esigenza  di  una  «base  legale»
richiesta dalla norma convenzionale. 
    Invece la Corte EDU ha  accolto  le  censure  dei  ricorrenti  in
riferimento alla ritenuta assenza di indipendenza e di  imparzialita'
degli organi giurisdizionali della camera. In  particolare  la  Corte
EDU ha accertato la violazione della  imparzialita'  oggettiva  della
sezione giurisdizionale dell'ufficio di presidenza, organo di appello
nel contenzioso  parlamentare,  ritenendo  che  la  sua  composizione
determinasse  una  inammissibile  commistione  in  capo  agli  stessi
soggetti tra l'esercizio di funzioni amministrative e l'esercizio  di
funzioni giurisdizionali: i componenti  dell'ufficio  di  presidenza,
cui spettava l'adozione dei provvedimenti concernenti  il  personale,
infatti, erano poi chiamati a giudicare sulle controversie aventi  ad
oggetto i medesimi atti amministrativi. 
    8. Successivamente - come e' gia' stato ricordato - la  questione
della censurabilita', o no, con incidente di costituzionalita'  della
normativa che prevede l'autodichia  in  materia  di  controversie  di
lavoro del personale del Senato  e'  tornata  all'esame  della  Corte
costituzionale, con un esito analogo a quello del 1985: la  questione
di costituzionalita', sollevata in via incidentale da queste  Sezioni
Unite, e' stata ritenuta inammissibile. 
    Ma la motivazione della Corte  si  arricchisce  di  significativi
elementi di novita'. 
    La Corte (sent. n. 120 del 2014, cit.)  ribadisce  si'  il  dogma
dell'insindacabilita'  dei  regolamenti  parlamentari,  ma   in   una
prospettiva  piu'  ampia  e  maggiormente  sensibile   principio   di
continuita'  del   controllo   di   costituzionalita'   delle   norme
dell'ordinamento giuridico. 
    La Corte conferma che i regolamenti  parlamentari  non  rientrano
espressamente tra le fonti-atto indicate nell'art. 134, primo alinea,
Cost. - vale a dire tra le «leggi» e «gli atti aventi forza di legge»
- che sole possono costituire oggetto del sindacato  di  legittimita'
rimesso a quella Corte. Altresi' ribadisce,  in  continuita'  con  la
precedente sent. n. 154 del 1985,  che  nel  sistema  delle  fonti  i
regolamenti parlamentari sono  espressamente  previsti  dall'art.  64
come fonti dotate di una sfera di  competenza  riservata  e  distinta
rispetto a quella della legge ordinaria sicche' e' escluso  che  essi
possano essere annoverati fra gli atti aventi forza di legge. 
    Pero' poi la sent. n. 120 del 2014 va oltre - anzi, ben  oltre  -
la sent. n. 154 del 1985 come mostra innanzi tutto la circostanza che
la Corte non adotta piu' (con ordinanza) una pronuncia  di  manifesta
inammissibilita' come nel caso delle cit. ordinanze nn. 444 e 445 del
1993. Cio' e' gia' il segno che la valutazione della Corte e' mutata.
Mentre prima si  predicava  la  non  sindacabilita'  dei  regolamenti
parlamentari ex art. 134 Cost. tout court; ora la non  sindacabilita'
e'   riferita   esclusivamente    al    giudizio    incidentale    di
costituzionalita' che - unitamente al giudizio in via principale (qui
non ipotizzabile) - e' uno dei modi di controllo di costituzionalita'
ai sensi dell'art. 134 Cost.; norma questa  che  pero',  nel  fissare
l'ambito in cui la Corte costituzionale giudica, prevede anche  altre
forme di  controllo  di  costituzionalita',  quale  il  conflitto  di
attribuzione tra poteri dello Stato. 
    Il distacco dall'arresto del 1985, in termini di evoluzione della
giurisprudenza, viene segnato innanzi tutto dall'affermazione  che  i
regolamenti  parlamentari  non  sono  fonti  puramente   interne   al
Parlamento;  essi  sono   fonti   dell'ordinamento   generale   della
Repubblica, produttive  di  norme  sottoposte  agli  ordinari  canoni
interpretativi,  alla  luce  dei  principi   e   delle   disposizioni
costituzionali, che ne delimitano la sfera di competenza. 
    Quindi vi e' un ambito, seppur limitato, di competenza  normativa
dei regolamenti parlamentari ed il limite, in chiave parametrica,  e'
dato proprio dalle norme della Costituzione. E tra queste vengono  in
rilevo soprattutto gli  artt.  64  e  72  Cost.  che  assolvono  alla
finzione di definire e, al tempo stesso, di delimitare «lo statuto di
garanzia delle Assemblee parlamentari» (sentenza n. 379 del 1996). E'
dunque all'interno di questo statuto  di  garanzia  -  sottolinea  la
Corte - che viene  stabilito  l'ambito  di  competenza  riservato  ai
regolamenti parlamentari, avente ad oggetto l'organizzazione  interna
e, rispettivamente, la disciplina del procedimento legislativo per la
parte non direttamente regolata dalla Costituzione. 
    Per ricostruire questo ambito - e verificare che in questo ambito
si  sia   contenuta   la   produzione   normativa   regolamentare   e
subregolamentare  delle  Camere  -  e'  possibile  il  conflitto   di
attribuzione tra poteri nella misura in cui il  superamento  di  tale
ambito ridondi in invasione o turbativa di altro potere dello  Stato,
quale quello giurisdizionale che ha carattere diffuso e che altro non
e'   che   espressione   della   garanzia   generale   alla    tutela
giurisdizionale, riconosciuta come diritto fondamentale. 
    Non solo quindi c'e' un  ambito  disegnato  in  Costituzione  del
potere normativo regolamentare delle Camere, ma viene in gioco  anche
il rispetto dei diritti fondamentali, tra i quali - ricorda la  Corte
- il diritto di accesso alla giustizia (art. 24, primo comma, Cost.). 
    Pertanto il rispetto  dei  diritti  fondamentali  costituisce  un
limite  alla  competenza  regolamentare  delle  Camere.   L'eventuale
superamento   di   questo   limite   non   ridonda   in   vizio    di
incostituzionalita'   censurabile   nei   modi   del   giudizio    di
costituzionalita'  in  via  incidentale,  che  rappresenta  la  forma
ordinaria  del  controllo  di  costituzionalita'   accentrato   nella
giurisdizione della Corte costituzionale, ma costituisce un'invasione
di campo, una violazione delle regole di  competenza,  un'alterazione
dell'equilibrio dei poteri dello Stato. 
    Processualmente il modo per accertare questa eventuale violazione
e' diverso - conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato  e  non
gia' incidente di costituzionalita' - anche  se  poi  nel  merito  la
valutazione richiesta alla Corte e' analoga, derivante dalla denuncia
di  un  non  manifestamente  infondato   contrasto   tra   la   norma
regolamentare   ed   un   diritto   fondamentale   garantito    dalla
Costituzione. 
    Il portato innovativo della sent. n. 120 del  2014  si  racchiude
nell'affermazione che la sede naturale in cui  trovano  soluzione  le
questioni relative alla  delimitazione  degli  ambiti  di  competenza
riservati e' quella del conflitto di attribuzione fra i poteri  dello
Stato. 
    La  Corte,  richiamando  anche  la  sentenza  n.  379  del  1996,
sottolinea che il confine tra autonomia delle Camere e  giurisdizione
appartiene  al  sindacato  della  Corte  stessa,  che   puo'   essere
investita, in sede di conflitto di attribuzione, dal  potere  che  si
ritenga leso o menomato dall'attivita' dell'altro. 
    L'indipendenza  delle  Camere  non  puo'  infatti   compromettere
diritti  fondamentali,  ne'  pregiudicare  l'attuazione  di  principi
inderogabili; in generale deve prevalere  la  "grande  regola"  dello
Stato di diritto ed il conseguente regime  giurisdizionale  al  quale
sono normalmente sottoposti, nel nostro sistema costituzionale, tutti
i beni giuridici e tutti i diritti ex  artt.  24,  112  e  113  Cost.
(sent. n. 379 del 1996). 
    Con riferimento poi all'autodichia in materia di controversie  di
lavoro del personale del Senato la Corte - che non manca di  rilevare
che  in  altri  ordinamenti  giuridici  non  dissimili   dal   nostro
l'autodichia sui rapporti di lavoro con i dipendenti delle  Assemblee
legislative (e quella sui rapporti con i terzi) non e' piu'  prevista
- sottolinea che anche norme non sindacabili potrebbero essere  fonte
di atti lesivi di diritti costituzionalmente inviolabili  e,  d'altra
parte, deve  ritenersi  sempre  soggetto  a  verifica  il  fondamento
costituzionale di un potere decisorio  che  limiti  quello  conferito
dalla Costituzione ad altre autorita'. 
    In sintesi la Corte  opera  una  riserva:  non  e'  possibile  il
giudizio  incidentale  di  costituzionalita',  ma  una  verifica   di
costituzionalita' e'  possibile  per  il  tramite  del  conflitto  di
attribuzione tra poteri dello Stato. In tale sede  la  Corte  -  come
puntualmente affermato dalla sent. n. 120 del 2014 - puo' ristabilire
il confine, ove questo  sia  violato,  tra  i  poteri  legittimamente
esercitati dalle Camere nella loro sfera di competenza e  quelli  che
competono ad altri, cosi' assicurando il rispetto  dei  limiti  delle
prerogative e del principio di legalita',  che  e'  alla  base  dello
Stato di diritto. 
    Questo e' quindi il novum di cui queste Sezioni Unite devono  ora
tener conto: dalla non sindacabilita' generalizzata  dei  regolamenti
parlamentari (sent. n. 154 del 1985)  si  passa  alla  sindacabilita'
relativa nella forma del conflitto di attribuzione tra  poteri  dello
Stato (sent. n. 120 del 2014). 
    9.  In   tale   evidenziata   evoluzione   della   giurisprudenza
costituzionale in tema di autodichia in materia  di  controversie  di
lavoro del personale delle Camere (dalla sent. n. 154/1985 alla sent.
n. 120/2014) puo' leggersi una applicazione di settore del  principio
di continuita' del controllo di costituzionalita' che vuole  che  non
ci siano aree franche sottratte al controllo di costituzionalita'. 
    Recentemente la sent. n. 1 del  2014  ha  rimarcato  che  -  come
principio generale - non puo' esserci un'area esclusa  dal  controllo
di costituzionalita'. Cfr.  anche  sent.  n.  162  del  2014  che  ha
ribadito che la Corte, «posta di fronte a un  vulnus  costituzionale,
non sanabile in via  interpretativa  -  tanto  piu'  se  attinente  a
diritti fondamentali - e' tenuta comunque a porvi rimedio»  (sent  n.
113 del 2011). 
    Puo'  aggiungersi   che   la   continuita'   del   controllo   di
costituzionalita' si  affianca  alla  continuita'  del  sindacato  di
legittimita' (ex art. 111, settimo comma, Cost.): come nessuna  fonte
normativa e' sottratta al rispetto della Costituzione  cosi'  nessuna
decisione di giustizia e' sottratta al rispetto della legge. 
    10. Conclusivamente sul punto puo' quindi dirsi che e'  possibile
il raffronto tra la cit. normativa  subregolamentare  del  Senato  in
tema di autodichia in materia di controversie di lavoro del personale
dipendente e la  Costituzione  e  che  lo  strumento  processuale  di
verifica e' il conflitto di attribuzione tra poteri  dello  Stato  ex
art. 134 Cost.. 
    Questa conclusione peraltro e' consonante  con  un  canone  ancor
piu' generale: la contrarieta' di una norma, o di un atto  normativo,
alla Costituzione non comporta sempre e necessariamente un  vizio  di
illegittimita' costituzionale  cui  debba  conseguire  una  pronuncia
dichiarativa di illegittimita' costituzionale. 
    Secondo la piu' recente giurisprudenza costituzionale  (sent.  n.
238 del 2014), che ha preso in considerazione  la  fattispecie  della
normativa generata  dal  c.d.  trasformatore  automatico  insito  nel
meccanismo dell'art. 10, primo comma, Cost. - per  cui  l'ordinamento
giuridico italiano  si  conforma  alle  norme  (consuetudinarie)  del
diritto internazionale generalmente  riconosciute  -  tale  normativa
cosi'  prodotta  puo'  in  ipotesi   violare   principi   e   diritti
fondamentali dell'ordinamento costituzionale repubblicano, ma in tale
evenienza  la  conseguenza  e'   non   gia'   la   dichiarazione   di
incostituzionalita' della norma  consuetudinaria,  neppure  in  parte
qua, bensi' l'inoperativita'  dell'automatismo  nomopoietico  che  la
Corte  costituzionale  -  ed   essa   sola   (come   ha   chiaramente
puntualizzato la sent. n. 238 del 2014)  -  puo'  essere  chiamata  a
verificare. 
    Anche dei regolamenti comunitari - che, secondo la nota  dottrina
dei controlimiti, potrebbero in ipotesi risultare in  violazione  dei
«principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale»  e  dei
«diritti inalienabili della persona umana» (sent. n. 232 del 1989)  -
non  e'  predicabile  la  possibilita'  di   una   dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale (sent. n. 183 del 1973, ord. n. 509 del
1995). 
    Analogamente la normativa prodotta dal Senato nell'esercizio  del
potere regolamentare riconosciuto dalla Costituzione (art. 64,  primo
comma, Cost.) puo' in ipotesi anch'essa violare  un  principio  o  un
diritto fondamentale, ma in tale evenienza la conseguenza e' non gia'
la dichiarazione di incostituzionalita' di questa  normativa,  bensi'
il carattere invasivo di tale  potere  normativo  rispetto  ad  altri
poteri  dello  Stato,  e  segnatamente  nella   specie   del   potere
giurisdizionale; invasivita' che la Corte  puo'  essere  chiamata  ad
accertare e dichiarare (sent. n. 120 del 2014). 
    11. Occorre ora passare ad esaminare nel  merito  le  censure  di
illegittimita'   costituzionale   prospettate   dal   ricorrente    e
traducibili, per quanto finora argomentato, in possibile violazione o
turbativa per potere giurisdizionale di questa Corte. 
    Questa Corte nella  richiamata  ordinanza  di  rimessione  del  6
maggio  2013  ha  gia'  dubitato  della  legittimita'  costituzionale
dell'assetto dell'autodichia in materia di controversie di lavoro del
personale  del  Senato  -  quale  prevista  dalle  menzionate   norme
subregolamentari - in riferimento a numerosi parametri; dubbi che ora
si ripropongono nella denunciata forma del carattere  invasivo  delle
norme medesime rispetto al potere  -  giurisdizionale  di  cui  nella
specie  e'  investito  questa  Corte  in  quanto  adita  con  ricorso
straordinario nei confronti dell'impugnata decisione del Consiglio di
garanzia del Senato. 
    L'invasione  del  potere  giurisdizionale,  nella   forma   della
menomazione o della turbativa, richiede non di meno l'indicazione dei
parametri di riferimento versandosi comunque in un'ipotesi  di  vizio
di  illegittimita'  costituzionale  in  senso  lato.  La   denunciata
turbativa del potere giurisdizionale e' segnatamente - ad  avviso  di
questa Corte - di duplice portata: una piu' generale, in  riferimento
agli artt. 3, primo comma,  24,  primo  comma,  102,  secondo  comma,
quest'ultimo  in  combinato   disposto   con   la   VI   disposizione
transitoria, 108, secondo comma, 111, primo e secondo comma, Cost., e
l'altra piu' specifica, in riferimento agli artt. 111, settimo comma,
e 3, primo comma, Cost.. 
    Si ha  nella  specie  che  all'attuale  ricorrente  e'  risultato
precluso l'accesso alla giustizia non essendo consentito - in ragione
della sussistente autodichia del Senato - adire  il  giudice  comune,
sia esso ordinario che speciale. La rilevanza di  questo  profilo  di
invasivita' (o incostituzionalita' in senso lato) di maggiore e  piu'
radicale portata risiede nella  circostanza  che,  se  fosse  rimossa
l'autodichia del Senato, la giurisdizione comune  si  riespanderebbe,
ove anche nella forma  della  giurisdizione  condizionata  al  previo
esperimento dei rimedi interni  (id  est:  ricorso  alla  Commissione
contenziosa e al Consiglio  di  Garanzia),  con  la  conseguenza  che
l'attuale ricorso per cassazione sarebbe si inammissibile, ma per una
ragione diversa e  logicamente  successiva  rispetto  a  quella  piu'
radicale  e  prioritaria  dell'assoluto  difetto   di   giurisdizione
nell'attuale situazione  di  pieno  dispiegarsi  dell'autodichia  del
Senato. 
    Alternativamente e  subordinatamente,  in  una  prospettiva  piu'
limitata, ove si ritenesse legittima in particolare la configurazione
degli organi di giustizia interna del Senato come  giudici  speciali,
rileverebbe la preclusione - sempre in  ragione  dell'autodichia  del
Senato - dell'accesso al sindacato di legittimita'  nella  forma  del
ricorso straordinario ex art. 111, settimo comma, Cost. ed art.  360,
quarto comma,  c.p.c.,  con  conseguente  ingiustificato  trattamento
differenziato (art. 3, primo comma, Cost.). La  rilevanza  di  questo
piu' circoscritto profilo di invasivita'  (o  incostituzionalita'  in
senso lato) risiede nella circostanza che,  ove  fosse  rimossa  tale
preclusione, si riespanderebbe la possibilita' di esperire il ricorso
straordinario per cassazione avverso le decisioni in ultimo grado,  o
in grado unico, degli organi di giustizia interna del Senato  con  la
conseguenza che  l'attuale  ricorso  per  cassazione  sarebbe,  sotto
questo profilo, ammissibile e le  censure  di  violazione  di  legge,
mosse  dal  ricorrente  all'impugnata  pronuncia  del  Consiglio   di
Garanzia, potrebbero in ipotesi essere esaminate nel merito. 
    12. Sotto il primo  enunciato  profilo  l'autodichia  del  Senato
appare in contrasto con il principio di eguaglianza  (art.  3,  primo
comma, Cost.),  coniugato  con  il  riconoscimento  a  "tutti"  della
facolta' di agire in giudizio per la  tutela  dei  propri  diritti  e
interessi legittimi (art. 24, primo comma, Cost.). 
    L'eguaglianza  davanti  alla  legge,  come  canone   generale   e
principio fondamentale, si specifica come eguaglianza in  particolare
nell'accesso alla tutela giurisdizionale, quale diritto inviolabile. 
    E'  un  principio  fondamentale  che  si  salda  ad  un   diritto
espressamente riconosciuto come inviolabile e che genera  una  tutela
forte, appartenente al nucleo essenziale ed irrinunciabile del  patto
sociale su cui si fonda l'ordinamento costituzionale  fin  da  essere
attratto  all'area  dei  c.d.  controlimiti,   ossia   dei   principi
fondamentali  e   dei   diritti   inviolabili   della   persona   che
costituiscono   gli    elementi    identificativi    essenziali    ed
irrinunciabili dell'ordinamento costituzionale. 
    Questa garanzia viene in sofferenza - ad avviso di questa Corte -
nel momento in cui una categoria di soggetti e' esclusa dalla  tutela
giurisdizionale in ragione di un elemento - l'essere  dipendenti  del
Senato  -   non   significativo,   ne'   giustificativo   sul   piano
costituzionale, ai fini del loro trattamento differenziato. 
    Nella stessa cit. sent. n. 120 del 2014 - in cui veniva in rilevo
proprio  questo  trattamento  differenziato,  denunciato  da   queste
Sezioni Unite con la menzionata ordinanza del  6  maggio  2013  -  la
stessa Corte costituzionale ha posto in evidenza che  il  diritto  di
accesso  alla  giustizia  (art.  24  Cost.)  costituisce  un  diritto
fondamentale; affermazione confermata ancor piu'  recentemente  dalla
cit. sent. n. 238 del 2014  che  ha  ribadito  che  «fra  i  principi
fondamentali dell'ordinamento costituzionale  vi  e'  il  diritto  di
agire e  di  resistere  in  giudizio  a  difesa  dei  propri  diritti
riconosciuto dall'art. 24 Cost., in breve  il  diritto  al  giudice»,
aggiungendo  che  «il  diritto   al   giudice   ed   a   una   tutela
giurisdizionale effettiva dei diritti inviolabili e' sicuramente  tra
i grandi principi di civilta' giuridica in ogni  sistema  democratico
del  nostro  tempo».  Cfr.  anche  sent.  n.  98  del  1965  che   ha
sottolineato che il  diritto  alla  tutela  giurisdizionale  «e'  tra
quelli inviolabili dell'uomo, che la Costituzione garantisce all'art.
2, come si arguisce anche dalla considerazione che  se  ne  e'  fatta
nell'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo». 
    In  generale  la  Corte  ha  ascritto  il  diritto  alla   tutela
giurisdizionale  «tra  i  principi  supremi  del  nostro  ordinamento
costituzionale,  in  cui  e'  intimamente  connesso  con  lo   stesso
principio di democrazia l'assicurare a tutti e sempre, per  qualsiasi
controversia, un giudice e un giudizio» (sent. n. 18 del 1982 e n. 82
del 1996). La Corte ha anche osservato che «al  riconoscimento  della
titolarita' di diritti non puo' non accompagnarsi  il  riconoscimento
del potere di farli valere innanzi ad un giudice in  un  procedimento
di natura giurisdizionale»: pertanto «l'azione  in  giudizio  per  la
difesa dei propri diritti [...] e' essa stessa  il  contenuto  di  un
diritto, protetto dagli articoli 24 e 113  della  Costituzione  e  da
annoverarsi  tra  quelli  inviolabili  e  caratterizzanti  lo   stato
democratico di diritto» (sent. n. 26 del 1999, n. 120  del  2014,  n.
386 del 2004 e n. 29 del 2003). Cfr. anche sent. n. 212 del 1997  che
ha  sottolineato  che  «nell'ordinamento,  secondo  il  principio  di
assolutezza, inviolabilita' e universalita' del diritto  alla  tutela
giurisdizionale (artt. 24 e 113 Cost.), non v'e' posizione  giuridica
tutelata di diritto sostanziale, senza che vi sia un giudice  davanti
al quale essa possa essere fatta valere». 
    Ne' appare concretamente ipotizzabile che l'autonomia del Senato,
che certamente ha una posizione  guarentigiata  di  alto  profilo  in
ragione della centralita' e  della  primazia  del  Parlamento,  possa
bilanciare, fino a comprimerlo del  tutto,  il  diritto  alla  tutela
giurisdizionale del personale dipendente nella  misura  in  cui  puo'
ragionevolmente  escludersi  che   alcun   rischio   tale   autonomia
guarentigiata corra a causa di un'iniziativa giudiziaria  di  un  suo
dipendente,  qual  e'  l'attuale  ricorrente  che,  assegnatario   di
mansioni impiegatizie (con l'iniziale qualifica di coadiutore), si e'
doluto in sostanza  dell'inquadramento  ritenuto  non  corrispondente
alle mansioni e di un asserito demansionamento. 
    13. Puo' poi  denunciarsi  anche  la  violazione  dell'art.  102,
secondo comma,  Cost.,  che  esclude  che  possano  essere  istituiti
giudici straordinari o giudici  speciali;  parametro  questo  che  va
coniugato con la VI disposizione transitoria che prescrive che  entro
cinque anni dall'entrata in vigore della Costituzione si procede alla
revisione degli organi speciali di giurisdizione all'epoca esistenti,
salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti
(nonche' dei tribunali militari per i quali pero'  e'  prescritto  il
"riordinamento" con legge). 
    La Commissione contenziosa ed il  Consiglio  di  garanzia,  quali
giudici delle controversie dei dipendenti  del  Senato,  si  pongono,
rispetto  alla  giurisdizione  ordinaria,  come   giudici   speciali,
istituiti dopo l'entrata in vigore della Costituzione, senza  che  in
essa ci sia una salvezza, cosi' come  invece  espressamente  previsto
per il Consiglio di Stato e la Corte dei conti; salvezza che deroga a
tale  generale   divieto   proprio   per   essere   essa   di   rango
costituzionale. 
    Ed ove anche si ravvisasse una continuita' con  analogo  apparato
di autodichia nel sistema ordinamentale prerepubblicano,  non  appare
soddisfatta   l'ulteriore   prescrizione   della   VI    disposizione
transitoria della  Costituzione  che  prescrive  la  revisione  degli
organi speciali di giurisdizione esistenti al momento di  entrata  in
vigore della Costituzione; prescrizione che  invece  -  puo'  notarsi
incidentalmente - si e' ritenuto essere soddisfatta  con  riferimento
al procedimento attivato  con  ricorso  straordinario  al  Presidente
della Repubblica, di cui parimenti la giurisprudenza di questa Corte,
quella del Consiglio di Stato e piu' recentemente anche quella  della
Corte costituzionale, hanno predicato la natura giurisdizionale. 
    Il difetto di revisione degli organi di autodichia del Senato  si
rivelerebbe anche nella parimenti ipotizzata violazione dell'art. 111
Cost.,  recentemente  novellato,  quanto  al  principio  del   giusto
processo  (primo   comma)   e   quanto   alla   necessita'   che   il
contraddittorio si svolga davanti ad un giudice  terzo  e  imparziale
(secondo comma), non potendo ritenersi rispettoso di tali  canoni  un
processo che si svolge dinanzi ad un giudice incardinato in una delle
parti (in considerazione in  particolare  della  circostanza  che  le
decisioni della Commissione contenziosa,  ratificate  col  visto  del
Presidente del Senato, possono riguardare ricorsi contro decreti  del
Presidente del Senato).  Neppure,  per  la  stessa  ragione,  sarebbe
soddisfatto il  canone  della  "indipendenza"  dei  giudici  speciali
prescritto dall'art. 108, secondo comma, Cost. 
    Del  resto,   gia'   in   epoca   ormai   risalente,   la   Corte
costituzionale, proprio  in  riferimento  all'autodichia  del  Senato
(sent. n. 154 del 1985, cit.)  -  pur  dichiarando  inammissibile  la
questione incidentale di legittimita' costituzionale sollevata, anche
allora, da queste Sezioni Unite - non  ha  mancato  di  rilevare  che
"indipendenza ed imparzialita' dell'organo che  decide,  garanzia  di
difesa, tempo ragionevole, in quanto coessenziali al concetto  stesso
di una effettiva tutela,  sono  indefettibili  nella  definizione  di
qualsiasi controversia". 
    Per altro verso il  carattere  giurisdizionale  degli  organi  di
autodichia emerge anche dalla giurisprudenza della Corte europea  dei
diritti dell'uomo che, nella sentenza 28 aprile 2009, Savino ed altri
c. Italia, ha affermato - come gia' sopra ricordato - che,  ai  sensi
dell'art.  6,  comma  1,  della  Convenzione,  e'  giudice  qualsiasi
autorita' che dirima una controversia facendo applicazione  di  norme
di diritto. E, con riferimento al  parallelo  sistema  di  autodichia
della Camera, ha statuito, quanto ai motivi di ricorso, l'assenza  di
indipendenza e di imparzialita' degli  organi  giurisdizionali  della
Camera, ed in particolare dell'organo di appello,  ritenendo  che  la
sua composizione determinasse una inammissibile commistione, in  capo
agli stessi soggetti, tra l'esercizio di  funzioni  amministrative  e
l'esercizio di funzioni giurisdizionali: i componenti dell'Ufficio di
Presidenza, cui spetta l'adozione dei  provvedimenti  concernenti  il
personale. In sostanza quella Corte ha ritenuto che  mancasse,  nella
specie, il carattere di terzieta' dell'organo  giudicante,  attributo
connaturale all'esercizio della funzione giurisdizionale. 
    Proprio a seguito di tale  pronuncia  gli  organi  di  autodichia
della  Camera  dei  deputati  sono  stati  "revisionati"  tanto   che
recentemente la Commissione giurisdizionale per  il  personale  della
Camera si e' ritenuta legittimata,  quale  "giudice"  rimettente  (ex
art. 23 l. n. 87 del 1953),  a  sollevare  questione  incidentale  di
costituzionalita' in un giudizio in sede di autodichia  relativamente
a controversie promosse dal personale dipendente. 
    14. Inoltre, sotto il secondo enunciato  profilo,  ove  anche  si
ritenesse che gli organi  di  autodichia  del  Senato  siano  "organi
speciali di giurisdizione" di antica tradizione  ed  esistenti  anche
prima dell'entrata in vigore della Costituzione repubblicana e che il
procedimento di revisione, prescritto dalla  citata  VI  disposizione
transitoria, abbia avuto in realta' corso (come in  passato  ritenuto
dalla Corte costituzionale - sent. n. 135 del 1975 - per l'autodichia
della  Corte  dei  conti  all'epoca  prevista  in  riferimento   alle
controversie riguardanti i  magistrati  ed  i  dipendenti  di  quella
Corte) si' da soddisfare i canoni del giusto  processo  e  quello  di
terzieta' ed imparzialita' del giudice, di cui all'art. 111, primo  e
secondo comma, Cost. e quello di indipendenza di  cui  all'art.  108,
secondo comma, Cost., vi sarebbe  comunque,  a  tutto  concedere,  la
violazione dell'art. 111, settimo comma, Cost. coniugato all'art.  3,
primo comma, Cost.. 
    Si e' gia' rilevato che il carattere chiuso  e  circoscritto  del
sistema di autodichia del Senato preclude, sia testualmente  sia  per
giurisprudenza conforme di questa Corte, la possibilita' del  ricorso
straordinario per cassazione che invece il  settimo  comma  dell'art.
111 Cost. riconosce nei confronti di qualsivoglia sentenza  che,  ove
non impugnabile - altrimenti, puo' essere censurata per violazione di
legge; garanzia questa che costituisce proiezione  del  principio  di
eguaglianza. 
    Se "[t]utti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono eguali
davanti alla legge"  -  come  predica  solennemente  il  primo  comma
dell'art. 3 Cost. - e' necessario che la legge  sia  interpretata  ed
applicata allo stesso  modo  nei  confronti  di  tutte  le  parti  in
giudizio. E'  quindi  generalizzato  ed  indefettibile  un  sindacato
accentrato  di  legittimita'  quale  quello  che  il  settimo   comma
dell'art. 111 Cost. assegna alla Corte di  cassazione  come  missione
specifica  e   caratterizzante,   unitamente   al   sindacato   sulla
giurisdizione. 
    Tale garanzia non e' suscettibile, a  livello  di  conformita'  a
Costituzione, di una deroga per  la  giurisdizione  degli  organi  di
autodichia del Senato se solo si considera che e' lo  stesso  settimo
comma dell'art. 111 Cost. a prevedere che "[s]i puo' derogare a  tale
norma soltanto per le sentenze dei tribunali  militari  in  tempo  di
guerra" e che per escludere le pronunce  del  Consiglio  di  Stato  e
della Corte dei conti - giudici speciali di antica  tradizione  -  e'
stata necessaria un'espressa previsione nel successivo  ottavo  comma
del medesimo art. 111 (che appunto prevede che  contro  le  decisioni
del Consiglio di  Stato  e  della  Corte  dei  conti  il  ricorso  in
cassazione e' ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione e
quindi non per violazione di legge,  come  in  generale  consente  il
settimo comma). 
    15. Tali dubbi di legittimita' costituzionale non possono  essere
superati da un'interpretazione  adeguatrice  della  citata  normativa
subregolamentare del Senato. 
    E' vero che l'affermata forza normativa di quest'ultima chiama in
gioco gli ordinari canoni interpretativi della legge  tra  cui  anche
quello dell'interpretazione costituzionalmente  orientata.  Ma  nella
specie - come gia' sopra  rilevato  -  e'  testuale  nella  normativa
subregolamentare del Senato il riferimento agli organi di autodichia. 
    Pur riconoscendo ad essi natura giurisdizionale,  come  affermato
dalla Corte EDU nella cit. sentenza 28 aprile 2009, la qualificazione
come autodichia di questa giurisdizione, articolata in due gradi  con
la  possibilita'  anche  di  un'impugnazione  per   revocazione,   ma
nell'ambito di quella  stessa  giurisdizione,  e'  inequivocabilmente
tale da escludere ogni permeabilita' della  giurisdizione  ordinaria,
finanche nella forma del  sindacato  di  legittimita'  esercitato  in
generale da questa Corte, come del resto finora sempre ritenuto dalla
sopra menzionata giurisprudenza di questa stessa Corte  (Cass.,  sez.
un., 19 novembre 2002, n. 16267, e 23 aprile 1986, n. 2861). 
    Inoltre non sembra che l'interpretazione adeguatrice in  sede  di
sindacato di legittimita' possa arrivare laddove non arriva la  Corte
costituzionale nell'esercizio del sindacato di  costituzionalita'  in
forma  incidentale.  Se  una  norma  subregolamentare   del   Senato,
espressione di una potesta' normativa garantita  dalla  Costituzione,
e' sottratta all'ordinario  controllo  di  costituzionalita'  in  via
incidentale,  vi  e'  anche   uno   schermo   per   l'interpretazione
adeguatrice del giudice comune che realizza una  sorta  di  sindacato
diffuso in chiave  di  filtro  di  ammissibilita'  dell'incidente  di
costituzionalita'. 
    La compressione del diritto alla tutela giurisdizionale significa
si' lesione di un diritto fondamentale. Ma la Corte (sent. n. 238 del
2014) - nell'avvertire  che  la  verifica  di  compatibilita'  con  i
principi fondamentali dell'assetto costituzionale  e  di  tutela  dei
diritti umani e' di sua  esclusiva  competenza  -  ha  aggiunto,  con
riguardo al diritto di accesso  alla  giustizia  (art.  24  Cost.)  e
richiamando proprio la sent. n. 120/2014 sull'autodichia del  Senato,
che il rispetto dei diritti fondamentali, cosi' come l'attuazione  di
principi inderogabili,  e'  assicurato  dalla  funzione  di  garanzia
assegnata alla Corte costituzionale. 
    Rimane quindi solo la strada del conflitto tra poteri atteso  che
i sopra richiamati dubbi di legittimita' costituzionale e soprattutto
la denunciata lesione del diritto alla tutela giurisdizionale in capo
al dipendente del Senato, qual e' l'odierno ricorrente, ridondano  in
invasione o turbativa del potere giurisdizionale di questa Corte  che
si  trova  impedita  ad  esercitare  il  sindacato  di   legittimita'
domandato dal ricorrente. 
    Anche in questa prospettiva piu' circoscritta alla violazione dei
soli artt. 111, settimo comma, e 3, primo comma, Cost., non appare  a
questa    Corte    praticabile     l'interpretazione     adeguatrice,
costituzionalmente  orientata,  perche'  il   denunciato   vizio   di
illegittimita' costituzionale comunque  si  atteggia  a  invasione  o
turbativa del potere giurisdizionale ad opera  di  una  potere  dello
Stato qual e' il Senato. E  spetta  solo  alla  Corte  costituzionale
accertare tale  invasione  o  turbativa  come  posto  in  rilievo  in
particolare dalle citate sent. nn. 120 e 238 del 2014. 
    16. Quanto alla tempestivita' del conflitto deve  osservarsi  che
la circostanza che le disposizioni invasive  -  ossia  le  menzionate
norme subregolamentari che prevedono  la  giurisdizione  interna  del
Senato in forma di autodichia - siano risalenti nel tempo non esclude
ne' fa venir meno l'ammissibilita' del conflitto. 
    Infatti - secondo  la  giurisprudenza  costituzionale  -  non  e'
previsto alcun temine  in  ipotesi  decorrente  dalla  lesione  della
prerogativa costituzionale (sent. n. 116 del 2003), a differenza  del
ricorso per conflitto di attribuzione fra  Stato  e  Regioni  che  e'
soggetto al termine di decadenza di cui all'art. 39,  secondo  comma,
Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. 
    La mancanza di un termine per la  proposizione  del  ricorso  per
conflitto di attribuzione tra poteri comporta  -  sempre  secondo  la
giurisprudenza costituzionale - che il ricorso puo'  essere  proposto
in ogni tempo, anche dopo anni dall'assunta lesione della prerogativa
costituzionale: cfr. sent. n. 58 del 2004 secondo cui «non incide  il
tempo trascorso dall'epoca dei fatti (settembre 1996)  alla  data  di
proposizione del conflitto (febbraio 2003)». 
    Nella specie sussiste  l'attualita'  dell'interesse  a  ricorrere
dovendo questa Corte  dare  una  risposta  di  giustizia  all'attuale
ricorrente che invoca il sindacato di legittimita' di  questa  Corte,
impedito dalla richiamata normativa subregolamentare  del  Senato  in
tema di autodichia in materia di rapporti  di  lavoro  del  personale
dipendente del Senato. 
    Quanto al requisito soggettivo, la natura di potere  dello  Stato
sia di questa Corte che del Senato della Repubblica sono  stati  piu'
volte affermati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. 
    Quanto  al  requisito  oggettivo  il  tono   costituzionale   del
conflitto e' insito nella natura di diritto fondamentale della tutela
giurisdizionale la cui lesione l'attuale  ricorrente  lamenta  e  che
ridonda non gia' in vizio di incostituzionalita',  ma  in  lesione  o
turbativa del potere giurisdizionale. 
    17. Conclusivamente  la  citata  normativa  subregolamentere  del
Senato appare avere carattere invasivo delle attribuzioni del  potere
giudiziario e segnatamente di quello di questa Corte, che e' chiamata
a pronunciarsi sul ricorso del ricorrente proposto ai sensi dell'art.
111, settimo comma, Cost.; cio' induce questa Corte  a  sollevare  il
presente conflitto in riferimento alle censure ed ai parametri  sopra
indicati sotto i due profili sopra illustrati. 
    Quindi  il  petitum  del  presente  atto  di  promuovimento   del
conflitto di attribuzione tra  poteri  dello  Stato,  richiesto  come
contenuto del "ricorso" ex art. 24 Norme integrative  per  i  giudizi
davanti  alla  Corte  costituzionale,   puo'   formularsi,   in   via
principale, in termini  piu'  ampi:  l'autodichia  del  Senato  nelle
controversie di lavoro del proprio personale e' in toto invasiva  del
potere giurisdizionale sicche', non spettando  al  Senato  prevederla
con le proprie norme subregolamentari, deve riespandersi  l'ordinaria
tutela giurisdizionale. 
    In via subordinata tale autodichia e' ritenuta, da questa  Corte,
invasiva del potere giurisdizionale almeno nella misura  in  cui  non
consente il sindacato di legittimita' ex  art.  111,  settimo  comma,
Cost. sicche', non spettando al  Senato  prevederla  con  le  proprie
norme subregolamentari, deve  riespandersi  l'ordinaria  facolta'  di
proporre ricorso straordinario per cassazione per violazione di legge
avverso le decisioni in ultimo grado o in grado unico degli organi di
giustizia interna del Senato. 
    18. Quanto infine  alla  forma  per  sollevare  il  conflitto  di
attribuzione tra poteri dello Stato da parte di un organo del  potere
giudiziario, va considerato che,  ove  i  presupposti  deI  conflitto
insorgano, cosi' come nella specie, nel corso del giudizio  e  quindi
il conflitto si presenti con i  caratteri  dell'incidentalita',  tale
forma e' l'ordinanza. 
    E' vero che l'art. 37, terzo comma, della legge n.  87  del  1953
prevede che la Corte  costituzionale  decide  (nella  prima  fase  in
camera di consiglio) sulla ammissibilita' del «ricorso» e che  l'art.
24  delle  Norme  integrative  per  i  giudizi  davanti  alla   Corte
costituzionale contempli, anche nella sua rubrica, il «ricorso»  come
atto propulsivo di questo speciale giudizio costituzionale. 
    Pero' tale riferimento testuale al «ricorso», come atto  iniziale
di attivazione del procedimento per  conflitto  di  attribuzione  tra
poteri dello Stato, va coniugato con il generale rinvio che il quinto
comma della medesima disposizione (art. 37) fa  ai  precedenti  artt.
23, 25 e 26 e segnatamente all'art. 23; il cui secondo comma  prevede
l'«ordinanza» come atto con cui l'autorita'  giurisdizionale  investe
la  Corte  costituzionale  della  risoluzione  di  una  questione  di
legittimita' costituzionale che si ponga come pregiudiziale  rispetto
alla decisione che la stessa autorita' giurisdizionale e' chiamata  a
rendere. Il carattere incidentale del conflitto di  attribuzione  tra
poteri dello Stato rispetto ad una decisione di  giustizia  richiesta
in  un  giudizio  comune  rende  applicabile,  in  parte  qua,   tale
disposizione (art. 23, secondo comma), in quanto richiamata dall'art.
37,  quale  norma  speciale  rispetto  al  generale  riferimento   al
«ricorso» contenuto nel terzo comma  di  quest'ultima.  Nel  giudizio
civile l'ordinanza e' la  tipica  forma  del  provvedimento  che  non
definisce il giudizio (art. 279 c.p.c.) e per la sua deliberazione si
applicano, ove adottata dal  collegio  in  camera  di  consiglio,  le
prescrizioni dell'art. 276 c.p.c., unitamente a quelle dell'art.  134
c.p.c. quanto alla sottoscrizione dell'atto. 
    Il carattere incidentale del conflitto di  attribuzione  comporta
anche l'applicazione del medesimo secondo comma  dell'art.  23  nella
parte in cui prevede  che  l'autorita'  giurisdizionale  sospende  il
giudizio in  corso;  contenuto  questo  che  non  potrebbe  avere  un
«ricorso». Inoltre in tal caso il promuovimento del procedimento, pur
attivando la fase iniziale di mera ammissibilita' ex art.  37,  terzo
comma, cit. che e' priva di contraddittorio essendo la  notifica  del
ricorso prescritta solo per la fase successiva  ex  art.  37,  quarto
comma, avviene - in applicazione dell'art.  23,  quarto  comma,  cit.
stante  il  gia'  evidenziato  richiamo  dell'art.  37   -   con   la
«trasmissione» dell'ordinanza  e  degli  atti  di  causa  alla  Corte
costituzionale  -  e  non  gia'  con  il  deposito  del  «ricorso»  -
unitamente alle notifiche e alle comunicazioni prescritte dalla prima
disposizione. 
    Comunque la giurisprudenza costituzionale (sent. n. 10 del  2000;
e piu' recentemente, ex plurimis, nn. 151, 129 e 317 del  2013  e  n.
161 del 2014) ritiene che, pur dovendo il conflitto essere  sollevato
in ogni caso con ricorso,  l'ordinanza  pronunciata  da  un'autorita'
giudiziaria costituisce atto parimenti idoneo allo scopo. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Visti l'art. 134 Cost. e l'art. 37 della legge 11 marzo 1953,  n.
87; 
    Dispone la sospensione del giudizio  civile  iscritto  al  n.r.g.
1541/2012 su ricorso di Lorenzoni  Piero  nei  confronti  del  Senato
della Repubblica; 
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale, sollevando conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato e chiede che la Corte: 
        - dichiari ammissibile il presente conflitto; 
        - e, nel merito, dichiari che non spettava  al  Senato  della
Repubblica deliberare gli artt. 72-84 del titolo II (Contenzioso) del
Testo   unico   delle   norme   regolamentari    dell'Amministrazione
riguardanti il personale del  Senato  della  Repubblica  nelle  parti
seguenti: 
          a) in via principale nella parte  in  cui  -  violando  gli
artt.  3,  primo  comma,  24,  primo  comma,  102,   secondo   comma,
quest'ultimo  in  combinato   disposto   con   la   VI   disposizione
transitoria, 108, secondo comma, e 111, primo e secondo comma,  Cost.
precludono  l'accesso  dei  dipendenti   del   Senato   alla   tutela
giurisdizionale in riferimento alle controversie  di  lavoro  insorte
con l'Amministrazione del Senato; 
          b) in via subordinata nella parte in  cui  -  violando  gli
artt. 111, settimo comma, e 3, primo comma, Cost. -  non  consentono,
contro le decisioni pronunciate dagli organi giurisdizionali da  tali
disposizioni previste, il ricorso in  cassazione  per  violazione  di
legge ai sensi dell'art. 111, settimo comma, Cost. 
    Ordina che a cura della cancelleria la su  estesa  ordinanza  sia
notificata alle parti in causa ed al Pubblico Ministero,  nonche'  al
Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai  Presidenti
delle due Camere del Parlamento. 
      Cosi' deciso in Roma, nella Camera di consiglio  delle  Sezioni
Unite della Corte di Cassazione, il 18 novembre 2014. 
 
                    Il Presidente: Luigi Rovelli 
 
Avvertenza: 
    L'ammissibilita' del  presente  conflitto  e'  stata  decisa  con
ordinanza n. 137/2015 e pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica italiana - 1ª Serie speciale n. 28 - del 15 luglio 2015.