N. 1 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 16 luglio 2015
Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (merito) depositato il 16 luglio 2015. Giurisdizione domestica - Controversie concernenti il rapporto d'impiego dei dipendenti del Senato - Disciplina contenuta nel Regolamento del Senato della Repubblica - Attribuzione al Senato stesso (Commissione contenziosa in primo grado e Consiglio di garanzia in grado di appello) dell'autodichia sui propri dipendenti - Ricorso per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato sollevato dalla Corte Suprema di Cassazione - Sezioni Unite civili contro il Senato della Repubblica - Denunciata violazione del principio di uguaglianza per l'ingiustificata preclusione per una categoria di cittadini dell'accesso alla tutela giurisdizionale - Lesione del diritto di agire in giudizio e del diritto di difesa - Violazione del divieto di istituzione di giudici speciali - Violazione dei principi del giusto processo e del contraddittorio davanti ad un giudice terzo ed imparziale - Violazione del diritto a ricorrere in cassazione contro le sentenze per violazione di legge - Contrasto con il diritto alla tutela giurisdizionale contro gli atti ed i provvedimenti della pubblica amministrazione - Riferimenti alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo 28 aprile 2009 (Savino e altri c. Italia) e alle sentenze della Corte costituzionale nn. 120 e 238 del 2014 - Richiesta alla Corte costituzionale di dichiarare la non spettanza al Senato della Repubblica di deliberare gli artt. 72-84 del Titolo II (Contenzioso) del T.U. delle norme regolamentari riguardanti il personale del Senato della Repubblica nelle parti seguenti: a) in via principale nella parte in cui precludono l'accesso dei dipendenti del Senato alla tutela giurisdizionale in riferimento alle controversie di lavoro insorte con l'Amministrazione del Senato; b) in via subordinata, nella parte in cui non consentono, contro le decisioni pronunciate dagli organi giurisdizionali da tali disposizioni previste, il ricorso in cassazione per violazione di legge. - Testo Unico delle norme regolamentari dell'amministrazione riguardanti il personale del Senato della Repubblica, artt. 72-84. - Costituzione, artt. 3, primo comma, 24, primo comma, 102, comma secondo (in combinato disposto con la VI disposizione transitoria), 108, comma secondo, e 111, commi primo, secondo e settimo.(GU n.33 del 19-8-2015 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Sezioni unite civili Composta dagli illustrissimi signori magistrati: dott. Luigi Antonio Rovelli - Primo Presidente f.f.; dott. Maria Gabriella Luccioli - Presidente Sezione; dott. Salvatore Di Palma - Consigliere; dott. Giovanni Amoroso - Consigliere; dott. Aurelio Cappabianca - Consigliere; dott. Vittorio Nobile - Relatore consigliere; dott. Angelo Spirito - Consigliere; dott. Adelaide Amendola - Consigliere; dott. Alberto Giusti - Consigliere; ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso n. 15041-2012 proposto da: Lorenzoni Piero, elettivamente domiciliato in Roma, via F. Paulucci De' Calboli, 9, presso lo studio dell'avvocato Aldo Sandulli, che lo rappresenta e difende, per procura speciale del notaio dott. Tommaso Belli di Roma, rep. 28528 del 15 luglio 2013, in atti; ricorrente contro: Senato della Repubblica, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis; controricorrente: avverso la decisione n. 141/2011 del Consiglio di Garanzia del Senato della Repubblica, depositata il 29 settembre 2011; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18 novembre 2014 dal Consigliere Dott. Giovanni Amoroso; uditi gli avvocati Aldo Sandulli, Federico Basilica dell'Avvocatura Generale dello Stato; udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. Umberto Apice, che ha concluso per il dichiarare ammissibile il ricorso ex art. 111 della Costituzione, in subordine sollevare il conflitto di attribuzione. Ritenuto in fatto 1. Il geometra Piero Lorenzoni - facente parte del personale di ruolo del Senato della Repubblica con qualifica di coadiutore, in servizio dal 1985, dapprima presso l'Ufficio dell'Economato e poi dal 2003 al 2004 presso l'Ufficio tecnico del Servizio dell'Amministrazione e del Patrimonio, dal quale veniva alla fine del 2004 trasferito presso il Servizio dei resoconti e della comunicazione istituzionale - chiedeva all'Amministrazione del Senato in data 2 novembre 2004 il riconoscimento di aver svolto mansioni superiori alla sua qualifica dal 1990 al 2003; contestualmente impugnava il trasferimento da ultimo comunicatogli in quanto immotivato e chiedeva l'attribuzione di mansioni pari a quelle in precedenza svolte. A fronte del silenzio dell'Amministrazione, proponeva ricorso alla Commissione contenziosa, reiterando le suddette richieste e domandando altresi' il risarcimento del danno biologico alla persona e quello alla professionalita' ed alla dignita', che asseriva di aver subito a causa del mutamento di mansioni e, da ultimo, del trasferimento. Con decisione n. 282 del 1° marzo 2006 la Commissione contenziosa accoglieva il ricorso riconoscendo il diritto del ricorrente ad essere titolare di unita' operativa ed a fruire del relativo trattamento, condannando l'Amministrazione a provvedervi. Con decisione n. 111 del 22 dicembre 2006 il Consiglio di Garanzia respingeva il ricorso in appello proposto dall'Amministrazione. Nelle more del procedimento d'appello, con provvedimento del Segretario generale del Senato veniva attribuito al ricorrente l'incarico di responsabile dell'Unita' operativa Segreteria dell'archivio storico. Il ricorrente impugnava il nuovo provvedimento, ritenendolo illegittimo in ragione dell'inadeguatezza delle mansioni assegnategli rispetto a quelle riconosciute dalla Commissione contenziosa, e proponeva ricorso (ric. n. 712) per l'ottemperanza della prima decisione della Commissione contenziosa, passata ormai in giudicato. Con decisione n. 403 del 28 luglio 2010, resa esecutiva il 30 luglio 2010 con decreto del Presidente del Senato, la Commissione contenziosa accoglieva il ricorso in ottemperanza, ritenendo che nel caso di specie l'attribuzione della titolarita' di un'unita' operativa non avesse il carattere di temporaneita' che connotava l'istituto in via generale e l'Amministrazione del Senato avrebbe dovuto motivare la revoca dell'incarico fornendo le ragioni giustificatrici del provvedimento adottato. L'Amministrazione ricorreva in appello. Nel frattempo un ulteriore ricorso (ric. n. 752) veniva proposto dal ricorrente che lamentava la decurtazione del trattamento economico corrisposto dall'Amministrazione, essendo stata revocata la corresponsione dell'indennita' spettante per l'incarico di responsabile di unita' operativa. Inoltre il ricorrente, che in data 8 maggio 2009 veniva trasferito al Servizio informatico, impugnava con ricorso (ric. n. 775) anche il nuovo trasferimento. Tali due ultimi ricorsi venivano respinti dalla Commissione contenziosa con decisioni n. 405 del 13 luglio 2010 e n. 407 del 13 maggio 2010, ritenendo in particolare che l'incarico al Lorenzoni non era stato oggetto di revoca, bensi' era giunto alla sua naturale scadenza. Il ricorrente interponeva appello. Con decisione n. 141 del 21 luglio - 29 settembre 2011, resa esecutiva con decreto del Presidente del Senato del 5 ottobre 2011 e comunicata al ricorrente il 10 ottobre 2011, il Consiglio di Garanzia, pronunciandosi su tutte le impugnazioni proposte, accoglieva il ricorso in appello dell'Amministrazione nel procedimento di ottemperanza e rigettava i ricorsi in appello del ricorrente. Riteneva, in particolare, il Consiglio di garanzia che le valutazioni circa la professionalita' del ricorrente costituivano scelta discrezionale dell'Amministrazione non sindacabile nella sede contenziosa. 2. Con ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111, settimo comma, Cost., il ricorrente chiede a questa Corte la cassazione della decisione n. 141 del 2011 del Consiglio di Garanzia. Afferma il ricorrente che la decisione e' espressione dell'istituto dell'autodichia del Senato, che si pone in contrasto con gli artt. 3, 24, 113, 108, secondo comma, 102, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, anche per l'assenza di terzieta' degli organi di autodichia in ragione della circostanza che vede i loro componenti essere designati da parte del Presidente del Senato e l'esecutivita' delle loro decisioni essere condizionata all'emissione di un decreto del Presidente del Senato su richiesta del Segretario generale del Senato. Deduce ancora il ricorrente che il ricorso per cassazione ex art. 111, settimo comma, Cost. e' ammissibile a seguito della pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo 28 aprile 2009, Savino, che ha qualificato gli organi di autodichia della Camera quali organi giurisdizionali. Nel merito, il ricorrente lamenta il vizio di omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, per non avere il Consiglio di garanzia motivato sulla lamentata violazione dell'obbligo dell'Amministrazione di allegare la giusta causa della revoca dell'incarico di titolare di unita' operativa (obbligo derivante dall'art. 3 legge n. 21 del 1990, dall'art. 4 del testo unico del Senato e, nello specifico, dalla sentenza resa su ricorso in ottemperanza dalla Commissione contenziosa). Il Senato della Repubblica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, ha resistito con controricorso deducendo l'inammissibilita' del ricorso ex art. 111, settimo comma, Cost., l'inammissibilita' del primo motivo di ricorso per inderogabilita' dell'autodichia e l'infondatezza delle censure di costituzionalita', in quanto nel procedimento innanzi agli organi di autodichia vi e' completa distinzione tra chi adotta i provvedimenti amministrativi (il Consiglio di Presidenza) e chi decide sull'eventuale contenzioso relativo (la Commissione contenziosa in primo grado ed il Consiglio di Garanzia in grado d'appello); ha dedotto infine l'infondatezza del ricorso nel merito, trattandosi di pretese derivanti da un incarico (di titolarita' di unita' operativa) non gia' revocato al ricorrente, ma venuto a naturale scadenza, e, dall'altro lato, di attribuzione di mansiosi al ricorrente corrispondenti alla qualifica di appartenenza sicche' nessun demansionamento vi era stato. 3. Inizialmente le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate a decidere il ricorso, hanno, con ordinanza n. 10400 del 12 febbraio - 6 maggio 2013, dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12 del Regolamento del Senato della Repubblica 17 febbraio 1971, e successive modifiche, in riferimento agli artt. 3, 24, 102, secondo comma,. 111, primo, secondo e settimo comma, e 113, primo comma, Cost.. Hanno quindi sospeso il giudizio e disposto latrasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Con sentenza n. 120 del 9 maggio 2014 la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile tale questione di legittimita' costituzionale sollevata da questa Corte. 4. Fissata nuovamente l'udienza di trattazione del ricorso, entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. In particolare il ricorrente, muovendo da quanto affermato dalla Corte costituzionale nella menzionata sentenza n. 120 del 2014 secondo cui la questione potrebbe da luogo ad un conflitto tra poteri dello Stato nei confronti del Senato, ha ribadito che la tutela giurisdizionale dei dipendenti del Senato non puo' piu' essere compressa dall'autodichia di quest'ultimo. L'Avvocatura dello Stato per il Senato si e' opposta deducendo in particolare che non sussistono i presupposti per sollevare il conflitto tra poteri dello Stato, potendo semmai ritenersi ammissibile il ricorso straordinario ex art. 111, settimo comma, Cost. quale proposto dal ricorrente nei confronti dell'impugnata decisione del Consiglio di garanzia. Il Procuratore Generale ha concluso ritenendo in via principale ammissibile il ricorso ed in via subordinata chiedendo che questa Corte sollevi conflitto di attribuzione tra poteri nei confronti del Senato. Considerato in diritto 1. Il ricorso - articolato in due motivi, con cui il ricorrente lamenta, in via preliminare, che la prevista autodichia del Senato comprime il suo diritto alla tutela giurisdizionale con violazione dell'art. 24 Cost., oltre che degli artt. 3, 102, secondo comma, 108, secondo comma, 111 e 113 Cost. (primo motivo) e, nel merito, che numerose norme regolamentari del Senato sarebbero state violate dal Consiglio di garanzia, in particolare nella parte in cui quest'ultimo ha ritenuto atto pienamente discrezionale dell'Amministrazione la mancata conferma dell'incarico di titolare dell'unita' operativa (secondo motivo) - pone innanzi tutto, con diffuse argomentazioni, una preliminare questione di ammissibilita' dell'esperito rimedio impugnatorio del ricorso straordinario ai sensi dell'art. 111, settimo comma, Cost. e dell'art. 360, quarto comma, c.p.c. ove abbia ad oggetto una decisione del Consiglio di Garanzia del Senato della Repubblica; questione sulla quale in vero questa Corte si a' gia' pronunciata seppur al fine di motivare l'incidente di costituzionalita' sollevato nel presente giudizio con la menzionata ordinanza n. 10400 del 12 febbraio - 6 maggio 2013. Ha ritenuto questa Corte che l'art. 12 del Regolamento del Senato 17 febbraio 1971 - che prevede che il Consiglio di Presidenza, presieduto dal Presidente del Senato, approva i regolamenti interni dell'Amministrazione del Senato e adotta i provvedimenti relativi al personale stesso nei casi ivi previsti - e' stato sempre interpretato nel senso della attribuzione al Senato della autodichia in materia di controversie tra il personale dipendente e l'Amministrazione del Senato, datrice di lavoro, con conseguente esclusione della giurisdizione di qualsiasi giudice esterno sulle controversie che attengono allo stato ed alla carriera giuridica ed economica dei dipendenti; sicche' inammissibile sarebbe il ricorso straordinario ai sensi dell'art. 111, settimo comma, Cost. proposto dal Lorenzoni, come gia' ritenuto in passato da questa Corte in fattispecie analoghe dove veniva in rilevo il cit. art. 12 del Regolamento del Senato (Cass., sez. un., 19 novembre 2002, n. 16267; e prima ancora Cass., sez. un., 23 aprile 1986, n. 2861, pronunciata nel giudizio in cui questa stessa Corte, a sezioni unite, aveva sollevato analoga questione incidentale di legittimita' costituzionale ord. n. 134 del 23 marzo 1981 - dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale con sentenza n. 154 del 1985). 2. Dopo la restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale che con la menzionata sentenza n. 120 del 9 maggio 2014 ha dichiarato inammissibile la questione di legittimita' costituzionale sollevata da queste Sezioni Unite, la questione va ora riesaminata soprattutto ed essenzialmente alla luce di tale pronuncia, che in un certo qual senso traccia la direttrice dei possibili sviluppi successivi della controversia. 3. Va innanzi tutto identificata la fattispecie di autodichia in materia di controversie di lavoro del personale del Senato e delle norme subregolamentari che la prevedono. Benche' in Costituzione una vera e propria autodichia sia contemplata testualmente, in altra materia, solo dall'art. 66 Cost. che prevede che ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilita' e di incompatibilita', in realta' e' opinione condivisa, che trova anche riscontro nella cit. giurisprudenza di questa Corte, quella che fa discendere dall'autonomia normativa riconosciuta alle Camere dall'art. 64, primo comma, Cost., che prevede che esse adottano il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei loro componenti, anche la possibilita' che tale normativa regolamentare preveda un procedimento di composizione delle liti che possano sorgere tra il personale dipendente e l'Amministrazione del Senato. In realta' il principio di autodichia, intesa come giurisdizione domestica escludente ogni altra giurisdizione ed anche il sindacato di legittimita' di questa Corte di cassazione ex art. 111, settimo comma, Cost., per le controversie tra personale dipendente ed Amministrazione del Senato e' contenuto nel "Testo unico delle norme regolamentari dell'amministrazione riguardanti il personale del Senato della Repubblica", nel quale e' rifinito l'originario"Regolamento degli uffici e del personale", approvato dal Consiglio di Presidenza del Senato il 18 dicembre 1987 ed emanato con decreto del Presidente del Senato del 1° febbraio 1988, n. 6314. Secondo quanto disposto dal suddetto T.U. (art. 72, comma 8) la Commissione contenziosa decide in primo grado i ricorsi dei dipendenti del Senato e dei candidati alle prove concorsuali; essa si compone di tre senatori, un consigliere parlamentare ed un dipendente, nominati all'inizio di ogni legislatura dal Presidente del Senato; i suddetti senatori devono essere esperti in materie giuridiche, amministrative e del lavoro e devono avere uno dei seguenti requisiti (art. 85-bis): magistrato, anche a riposo, delle magistrature ordinaria e amministrative; professore universitario, ordinario o associato, in materie giuridiche, anche a riposo; avvocato dello Stato, anche a riposo; avvocato del libero foro. Non possono far parte della Commissione i componenti del Consiglio di Presidenza, i componenti del Consiglio dell'Amministrazione, del Consiglio di garanzia e del Consiglio di disciplina, i dipendenti assegnati al Servizio del Personale, nonche' agli Uffici di segreteria della Commissione contenziosa e del Consiglio di garanzia (art. 72, comma 13). L'organo di appello e' il Consiglio di garanzia (art. 75) che e' un collegio di cinque senatori con i requisiti di cui all'art. 85-bis. I componenti, tra i quali vengono eletti il Presidente ed il vice Presidente, durano in carica tutta la legislatura; essi non sono immediatamente confermabili salvo i componenti supplenti che non siano stati mai chiamati a prendere parte, nella legislatura precedente, alle riunioni del Consiglio. L'incarico e' incompatibile con quello di membro del Consiglio di Presidenza, della Commissione contenziosa e del Consiglio di disciplina. Il cit. art. 85-bis - introdotto con decreto del Presidente del Senato del 1° marzo 2006 (recante modifiche al testo unico delle norme regolamentari dell'Amministrazione riguardanti il personale deI Senato della Repubblica, in materia di contenzioso), in Gazzetta Ufficiale n. 57 del 9 marzo 2006 - ha previsto che i senatori componenti della Commissione contenziosa e i componenti del Consiglio di garanzia sono nominati dal Presidente del Senato tra i senatori in carica esperti in materie giuridiche, amministrative e del lavoro, che abbiano uno dei seguenti requisiti: magistrato, anche a riposo, delle magistrature ordinaria e amministrative; professore ordinario o associato d'universita' in materie giuridiche, anche a riposo; avvocato dello Stato, anche a riposo; avvocato del libero foro. La disciplina del procedimento innanzi al Consiglio di garanzia e' prevista segnatamente dall'art. 76. In particolare la deliberazione del consiglio di presidenza del Senato del 5 dicembre 2005 (in Gazzetta Ufficiale n. 294 del 19 dicembre 2005) parla espressamente di "Organi di autodichia del Senato" istituiti con deliberazione del Consiglio di Presidenza del Senato del 18 dicembre 1987 con riferimento alla Commissione contenziosa (chiamata a decidere in primo grado il contenzioso promosso dal personale dipendente) e del Consiglio di Garanzia (che decide in grado d'appello) e segnatamente contempla una sorta di "prorogatio" nella successione di una legislatura ad un'altra. L'art. 4 infatti prevede che al fine di garantire la necessaria continuita' della tutela giurisdizionale, i componenti della Commissione contenziosa e del Consiglio di Garanzia del Senato esercitano le loro funzioni fino alla nomina, a inizio di legislatura, degli Organi di autodichia ai sensi dell'art. 72, comma 8, e dell'art. 75, comma 2, del citato testo unico delle norme regolamentari dell'Amministrazione. La stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 120 del 2014 riconosce che la citata normativa regolamentare "secondo un'antica tradizione interpretativa" attribuisce al Senato l'autodichia sui propri dipendenti, ossia il potere di giudicare in via esclusiva e definitiva i ricorsi avverso gli atti e i provvedimenti adottati dall'Amministrazione di quel ramo del Parlamento nei confronti degli stessi dipendenti, con conseguente esclusione del sindacato di qualsiasi giudice esterno in ordine alle controversie che attengono allo stato ed alla carriera giuridica ed economica dei dipendenti. La conferma nella giurisprudenza costituzionale si ha anche nell'affermazione che la protezione dell'area di indipendenza e liberta' parlamentare non attiene soltanto all'autonomia normativa, ma si estende al momento applicativo delle stesse norme regolamentari «e comporta, di necessita', la sottrazione a qualsiasi giurisdizione degli strumenti intesi a garantire il rispetto del diritto parlamentare» (sentenze n. 379 del 1996 e n. 129 del 1981). Tale riconosciuta autodichia preclude la possibilita' del ricorso straordinario per cassazione. Le pronunce rese in grado d'appello dal Consiglio di garanzia - qual e' quella attualmente impugnata dall'odierno ricorrente - non sono ricorribili per cassazione ((Cass., sez. un., 19 novembre 2002, n. 16267, e 23 aprile 1986, n. 2861, cit.); e' solo possibile l'impugnazione per revocazione con ricorso proposto alla stessa Commissione di garanzia ai sensi dell'art. 83 del cit. Testo unico, seppur "nei casi, nei modi e nei termini previsti dagli articoli 395 e 306 del codice di procedura civile". Si tratta quindi, in sintesi, di un sistema tutto interno di risoluzione del contenzioso del personale dipendente dell'Amministrazione del Senato che non consente la tutela giurisdizionale ordinaria in generale, ne' quella in particolare costituita dal ricorso straordinario ai sensi dell'art. 111, settimo comma, Cost.. 4. Da quanto sopra osservato sul fondamento legale dell'autodichia in materia di controversie di lavoro del personale del Senato consegue che il dato positivo di partenza, da cui muovere, e' l'esistenza di una forma di autodichia in materia di controversie tra il personale dipendente e l'Amministrazione del personale che e' chiusa ad ogni forma di tutela giurisdizionale comune, vuoi innanzi al giudice ordinario vuoi innanzi al giudice amministrativo, nonche' in particolare al sindacato di legittimita' di questa Corte quale previsto in generale dall'art. 111, settimo comma, Cost. contro le sentenze pronunciate dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali. Tale fattispecie di autodichia non ha un fondamento costituzionale diretto perche' non e' espressamente prevista ne' in Costituzione ne' in norme di rango costituzionale, e neppure nel Regolamento di cui all'art. 64, primo comma, Cost., a differenza - come gia' rilevato - dell'autodichia in materia di titoli di ammissione dei componenti delle Camere e delle cause sopraggiunte di ineleggibilita' e di incompatibilita'; la quale autodichia, per essere direttamente prevista dall'art. 66 Cost., ha fondamento e rango costituzionale. Invece la base legale che legittima l'autodichia in materia di controversie tra il personale dipendente e l'Amministrazione del Senato e' di natura derivata, perche' prevista dalla normativa subprimaria regolamentare del Senato (la sent. n. 120 del 2014 parla in proposito di "norme sub-regolamentari" a fronte delle "norme regolamentari"), e si rinviene nell'esercizio dell'autonomia normativa, la quale ha essa si fondamento costituzionale perche' in generale riconosciuta alle Camere dall'art. 64, primo comma, Cost.. Il carattere derivato di questa forma di autodichia in materia di controversie di lavoro la colloca, nel sistema delle fonti, ad un livello sottordinato rispetto all'autodichia in materia di titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilita' e di incompatibilita', la quale e' invece equiordinata alla normativa di tale livello sicche' (non gia' per quest'ultima, ma) per la prima puo' porsi un problema di possibile contrasto con la Costituzione o con altri parametri di costituzionalita'. Cio' non significa che ipotizzare un contrasto tra disposizioni subregolamentari del Senato e la Costituzione schiuda la strada del sindacato incidentale di costituzionalita' ad opera della Corte costituzionale. La giurisprudenza costituzionale - di cui si viene ora a dire - e' ferma nell'escludere questa possibilita'. Ma cio' attiene alle regole del giudizio costituzionale, sulle quali occorrera' tornare, e non gia' alla possibilita' di raffronto della normativa regolamentare subprimaria del Senato con la Costituzione; raffronto che e' si' possibile perche' tale normativa regolamentare, anche se ad essa non possa riconoscersi forza e valore di legge ai sensi dell'art. 134 Cost., ha comunque natura normativa nel senso che appartiene al complesso edificio di norme che formano l'ordinamento della Repubblica, declinato secondo un modello gerarchizzato delle norme stesse con al vertice i principi fondamentali della Costituzione. Il cui carattere apicale, a conferma della articolazione gerarchizzata delle norme, e' tale da resistere anche all'ingresso della normativa comunitaria o internazionale come da ultimo riconosciuto dalla Corte costituzionale (sent. n. 238 del 2014). Vi e' quindi - con riferimento alle Camere - una fattispecie di autodichia in materia di valutazione dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilita' e di incompatibilita' che e' costituzionalmente guarentigiata per essere prevista direttamente dall'art. 66 Cost., ed una fattispecie di autodichia in materia di controversie tra il personale dipendente e l'Amministrazione del Senato creata dalla normativa subregolamentare posta, come normativa derivata, in forza del potere regolamentare riconosciuto dall'art. 64, primo comma, Cost.. Si tratta pertanto di forme di autodichia di diverso rango, che peraltro non esauriscono le fattispecie dell'autodichia in generale perche' e' anche ipotizzabile - ed e' positivamente riscontrabile - una forma di autodichia prevista da un ordinario atto, con forza di legge (tale ex art. 134 Cost.) quale e' stata l'autodichia in materia di controversie di impiego dei magistrati della Corte dei conti - gia' prevista dagli artt. 3, primo comma, e 65 del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti 12 luglio 1934, n. 1214, della cui censurabilita' con incidente di costituzionalita' la Corte costituzionale (sent. n. 135 del 1975) non ha dubitato, prima che tali disposizioni fossero abrogate - e qual e' tuttora l'autodichia in materia di controversie del personale dipendente della Corte costituzionale (art. 14, terzo comma, della legge n. 87 del 1953), la quale pero' si ritiene avere una valenza speciale in quanto, in un certo senso, di rango costituzionale, avvalorata com'e' dall'art. 1 della legge cost. n. 1 dello stesso anno (1953) che alla prima rinvia per la iniziale attuazione delle norme sul giudizio costituzionale e sul funzionamento della Corte. Diversa ancora e' la fattispecie dell'autodichia in materia di controversie del personale della Presidenza della Repubblica, per la quale un fondamento particolare, nonche' modulato diacronicamente, e' stato ritenuto da Cass., sez. un., 17 marzo 2010, n. 6529. Si e' anche ipotizzato (dal Consiglio di Stato) che una forma di autodichia prevedesse il Regolamento interno del Consiglio provinciale di Trento, approvato con delibera consiliare 25 ottobre 1973, n. 7, che, censurato con questione incidentale di legittimita' costituzionale, e' stato ritenuto dalla Corte costituzionale atto non sindacabile ex art. 134, primo alinea, Cost. (sent. n. 288 del 1987). Insomma in tutte queste ipotesi e' ben rinvenibile la base legale dell'autodichia, ma non secondo un modello unitario, essendo di volta in volta diverso l'atto-fonte che la prevede: la Costituzione, un ordinario atto con forza di legge, un regolamento parlamentare, la normativa subregolamentare delle Camere; come anche differenziato e' il livello di tutela - di rango costituzionale, o no - sottesa all'esercizio di queste forme di giurisdizione interna. 5. Con riferimento all'atto-fonte, si ha che mentre e' censurabile, sollevando questione incidentale di costituzionalita', l'autodichia prevista dalla legge ordinaria - ossia da un atto con forza di legge ai sensi dell'art. 134 Cost. - quale e' stata la menzionata autodichia della Corte dei conti - invece l'autodichia espressa dal regolamento parlamentare che abbia fondamento costituzionale diretto (ex art. 66 Cost., o anche ex art. 72 Cost.) come anche quella che abbia solo un fondamento costituzionale indiretto (ex art. 64, primo comma Cost. e norme subregolamentari da esso derivate) non e' censurabile sollevando questione incidentale di costituzionalita' perche' manca un atto con forza di legge ai sensi dell'art. 134 Cost.. Ne' e' ipotizzabile, con riferimento all'autodichia del Senato in esame, un dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 360 c.p.c. nella parte in cui non e' ammissibile il ricorso straordinario ex art. 111, settimo comma, Cost. perche' la ragione di inammissibilita' del ricorso straordinario, quale e' quello proposto dall'odierno ricorrente, non e' nell'art. 360, ma nella disciplina regolamentare interna del Senato che ha forza normativa come riconosciuto dalla sent. n. 120 del 2014; quindi il giudice deve considerarla come attratta al quadro normativo di riferimento rilevante al fine della decisione della questione posta a questa Corte con il ricorso del ricorrente. Ed e' questa normativa interna del Senato - non gia' l'art. 360 c.p.c. - che sbarra la via di accesso al ricorso straordinario come anche, piu' in generale, preclude la tutela giurisdizionale innanzi al giudice comune, sia esso ordinario che amministrativo. 6. La non censurabilita' con questione incidentale di costituzionalita' della normativa che prevede l'autodichia in materia di controversie di lavoro del personale del Senato trova puntuale riscontro sia nella sent. n. 154 del 1985 che nella sent. n. 120 del 2014 della Corte costituzionale, ma con delle significative differenze. Con sentenza n. 154 del 1985, cui hanno fatto seguito le ordinanze di manifesta inammissibilita' nn. 444 e 445 del 1993, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 12.1 e 12.3 dei regolamenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati - approvati rispettivamente il 17 e 18 febbraio 1971 - sollevata, in riferimento agli artt. 24, 101, secondo comma, 108, primo e secondo comma, e 113, primo comma, Cost.. Ritenne all'epoca la Corte costituzionale che i regolamenti parlamentari avrebbero potuto comprendersi nel disposto dell'art. 134 Cost. soltanto in via interpretativa e che siffatta interpretazione non era coerente, ed appariva anzi in contrasto con la natura di democrazia parlamentare propria del nostro ordinamento. La Corte ha osservato che i regolamenti parlamentari sono esclusivamente quelli previsti dall'art. 64, primo comma, Cost., cioe' quelli adottati direttamente dall'assemblea di ognuna delle due Camere a maggioranza assoluta dei loro componenti. Questa autonomia guarentigiata si traduce in atti - i regolamenti parlamentari - non riconducibili alla fattispecie degli atti con forza di legge ex art. 134 Cost.. Formulando tale disposizione - ha affermato la Corte - «il costituente ha segnato rigorosamente i precisi ed invalicabili confini della competenza del giudice delle leggi nel nostro ordinamento, e poiche' la formulazione ignora i regolamenti parlamentari, solo in via d'interpretazione potrebbe ritenersi che questi vi siano ugualmente compresi. Ma una simile interpretazione, oltre a non trovare appiglio nel dato testuale, urterebbe contro il sistema». Ma, oltre a questo dato testuale, ve n'e' uno di sistema che induce ad escludere la riconducibilita' dei regolamenti parlamentari agli atti con forza di legge. Ha aggiunto la Corte che la Costituzione repubblicana ha instaurato una democrazia parlamentare, connotata dalla precedenza attribuita al Parlamento collocato al centro del sistema, quale istituto fondante e caratterizzante l'ordinamento giuridico. Pertanto avverte la Corte che e' nella logica di tale sistema che «alle Camere spetti - e vada percio' riconosciuta - una indipendenza guarentigiata nei confronti di qualsiasi altro potere, cui pertanto deve ritenersi precluso ogni sindacato degli atti di autonomia normativa ex art. 64, primo comma, Cost.». La centralita' e la primazia del Parlamento si traducono anche in forme di garanzia nei confronti dell'ordinario esercizio del potere giurisdizionale. La Corte ha quindi concluso affermando che nel catalogo degli atti suscettibili di giudizio di costituzionalita', in via incidentale o principale, dell'art. 134, primo alinea, Cost. non possano ritenersi compresi i regolamenti parlamentari in oggetto, dei quali pertanto va riconosciuta l'insindacabilita'. La Corte pero' (nella citata pronuncia del 1985) non va oltre nelle sue affermazioni: l'autodichia in materia di controversie di lavoro del personale delle Camere, in quanto riconducibile alla normativa regolamentare del Camere stesse, non puo' essere oggetto di controllo di costituzionalita' nella forma del giudizio incidentale. Con successive ordinanze nn. 444 e 445 del 1993 la Corte - nel dichiarare manifestamente inammissibile (e non piu' solo inammissibile) la stessa questione - si e' limitata a ribadire seccamente «che, come gia' affermato da questa Corte nella sentenza n. 154 del 1985, il problema dell'ammissibilita' del sindacato di costituzionalita' sui regolamenti parlamentari va risolto, alla stregua dell'art. 134 della Costituzione, in senso negativo, giacche' nella competenza del giudice delle leggi, quale stabilita dal richiamato articolo, non possono comprendersi i regolamenti parlamentari, ne' espressamente ne' in via di interpretazione». E' ribadito insomma il dogma dell'insindacabilita' dei regolamenti parlamentari tout court. 7. Solo in epoca recente, dopo vari anni dall'arresto del 1985, il quadro giurisprudenziale di riferimento comincia a modificarsi: tra la sentenza n. 154 del 1985 e quella di quest'anno - sent. n. 120 del 2014 - si innesta un intervento della Corte europea diritti dell'uomo che nella sentenza 28 aprile 2009, Savino ed altri c. Italia, riconosce natura giurisdizionale agli organi di autodichia delle Camere. L'istituto dell'autodichia della Camera dei deputati - afferma la Corte EDU - non e' in se' contrastante con la convenzione europea dei diritti dell'uomo, per la quale e' «tribunale» ai sensi dell'art. 6 par. 1, non soltanto una giurisdizione di tipo classico, ma una qualunque autorita' cui competa decidere, sulla base di norme di diritto, con pienezza di giurisdizione e a conclusione di una procedura organizzata, su una qualsiasi questione di sua competenza, adottando una decisione vincolante, non modificabile da un organo non giurisdizionale (par. 73); con specifico riferimento alla giurisdizione domestica (autodichia) della Camera dei deputati in relazione alle controversie di lavoro con i propri dipendenti, la Corte europea, dopo aver riconosciuto la natura giurisdizionale degli organi della Camera, chiarisce che la disciplina dei regolamenti parlamentari minori e' sufficiente a garantirne la precostituzione per legge, considerato che si tratta di fonti agevolmente accessibili dagli interessati (benche' non pubblicate), formulate in modo da garantire la prevedibilita' del comportamento dell'organo chiamato a decidere. E' quindi soddisfatta l'esigenza di una «base legale» richiesta dalla norma convenzionale. Invece la Corte EDU ha accolto le censure dei ricorrenti in riferimento alla ritenuta assenza di indipendenza e di imparzialita' degli organi giurisdizionali della camera. In particolare la Corte EDU ha accertato la violazione della imparzialita' oggettiva della sezione giurisdizionale dell'ufficio di presidenza, organo di appello nel contenzioso parlamentare, ritenendo che la sua composizione determinasse una inammissibile commistione in capo agli stessi soggetti tra l'esercizio di funzioni amministrative e l'esercizio di funzioni giurisdizionali: i componenti dell'ufficio di presidenza, cui spettava l'adozione dei provvedimenti concernenti il personale, infatti, erano poi chiamati a giudicare sulle controversie aventi ad oggetto i medesimi atti amministrativi. 8. Successivamente - come e' gia' stato ricordato - la questione della censurabilita', o no, con incidente di costituzionalita' della normativa che prevede l'autodichia in materia di controversie di lavoro del personale del Senato e' tornata all'esame della Corte costituzionale, con un esito analogo a quello del 1985: la questione di costituzionalita', sollevata in via incidentale da queste Sezioni Unite, e' stata ritenuta inammissibile. Ma la motivazione della Corte si arricchisce di significativi elementi di novita'. La Corte (sent. n. 120 del 2014, cit.) ribadisce si' il dogma dell'insindacabilita' dei regolamenti parlamentari, ma in una prospettiva piu' ampia e maggiormente sensibile principio di continuita' del controllo di costituzionalita' delle norme dell'ordinamento giuridico. La Corte conferma che i regolamenti parlamentari non rientrano espressamente tra le fonti-atto indicate nell'art. 134, primo alinea, Cost. - vale a dire tra le «leggi» e «gli atti aventi forza di legge» - che sole possono costituire oggetto del sindacato di legittimita' rimesso a quella Corte. Altresi' ribadisce, in continuita' con la precedente sent. n. 154 del 1985, che nel sistema delle fonti i regolamenti parlamentari sono espressamente previsti dall'art. 64 come fonti dotate di una sfera di competenza riservata e distinta rispetto a quella della legge ordinaria sicche' e' escluso che essi possano essere annoverati fra gli atti aventi forza di legge. Pero' poi la sent. n. 120 del 2014 va oltre - anzi, ben oltre - la sent. n. 154 del 1985 come mostra innanzi tutto la circostanza che la Corte non adotta piu' (con ordinanza) una pronuncia di manifesta inammissibilita' come nel caso delle cit. ordinanze nn. 444 e 445 del 1993. Cio' e' gia' il segno che la valutazione della Corte e' mutata. Mentre prima si predicava la non sindacabilita' dei regolamenti parlamentari ex art. 134 Cost. tout court; ora la non sindacabilita' e' riferita esclusivamente al giudizio incidentale di costituzionalita' che - unitamente al giudizio in via principale (qui non ipotizzabile) - e' uno dei modi di controllo di costituzionalita' ai sensi dell'art. 134 Cost.; norma questa che pero', nel fissare l'ambito in cui la Corte costituzionale giudica, prevede anche altre forme di controllo di costituzionalita', quale il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Il distacco dall'arresto del 1985, in termini di evoluzione della giurisprudenza, viene segnato innanzi tutto dall'affermazione che i regolamenti parlamentari non sono fonti puramente interne al Parlamento; essi sono fonti dell'ordinamento generale della Repubblica, produttive di norme sottoposte agli ordinari canoni interpretativi, alla luce dei principi e delle disposizioni costituzionali, che ne delimitano la sfera di competenza. Quindi vi e' un ambito, seppur limitato, di competenza normativa dei regolamenti parlamentari ed il limite, in chiave parametrica, e' dato proprio dalle norme della Costituzione. E tra queste vengono in rilevo soprattutto gli artt. 64 e 72 Cost. che assolvono alla finzione di definire e, al tempo stesso, di delimitare «lo statuto di garanzia delle Assemblee parlamentari» (sentenza n. 379 del 1996). E' dunque all'interno di questo statuto di garanzia - sottolinea la Corte - che viene stabilito l'ambito di competenza riservato ai regolamenti parlamentari, avente ad oggetto l'organizzazione interna e, rispettivamente, la disciplina del procedimento legislativo per la parte non direttamente regolata dalla Costituzione. Per ricostruire questo ambito - e verificare che in questo ambito si sia contenuta la produzione normativa regolamentare e subregolamentare delle Camere - e' possibile il conflitto di attribuzione tra poteri nella misura in cui il superamento di tale ambito ridondi in invasione o turbativa di altro potere dello Stato, quale quello giurisdizionale che ha carattere diffuso e che altro non e' che espressione della garanzia generale alla tutela giurisdizionale, riconosciuta come diritto fondamentale. Non solo quindi c'e' un ambito disegnato in Costituzione del potere normativo regolamentare delle Camere, ma viene in gioco anche il rispetto dei diritti fondamentali, tra i quali - ricorda la Corte - il diritto di accesso alla giustizia (art. 24, primo comma, Cost.). Pertanto il rispetto dei diritti fondamentali costituisce un limite alla competenza regolamentare delle Camere. L'eventuale superamento di questo limite non ridonda in vizio di incostituzionalita' censurabile nei modi del giudizio di costituzionalita' in via incidentale, che rappresenta la forma ordinaria del controllo di costituzionalita' accentrato nella giurisdizione della Corte costituzionale, ma costituisce un'invasione di campo, una violazione delle regole di competenza, un'alterazione dell'equilibrio dei poteri dello Stato. Processualmente il modo per accertare questa eventuale violazione e' diverso - conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato e non gia' incidente di costituzionalita' - anche se poi nel merito la valutazione richiesta alla Corte e' analoga, derivante dalla denuncia di un non manifestamente infondato contrasto tra la norma regolamentare ed un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione. Il portato innovativo della sent. n. 120 del 2014 si racchiude nell'affermazione che la sede naturale in cui trovano soluzione le questioni relative alla delimitazione degli ambiti di competenza riservati e' quella del conflitto di attribuzione fra i poteri dello Stato. La Corte, richiamando anche la sentenza n. 379 del 1996, sottolinea che il confine tra autonomia delle Camere e giurisdizione appartiene al sindacato della Corte stessa, che puo' essere investita, in sede di conflitto di attribuzione, dal potere che si ritenga leso o menomato dall'attivita' dell'altro. L'indipendenza delle Camere non puo' infatti compromettere diritti fondamentali, ne' pregiudicare l'attuazione di principi inderogabili; in generale deve prevalere la "grande regola" dello Stato di diritto ed il conseguente regime giurisdizionale al quale sono normalmente sottoposti, nel nostro sistema costituzionale, tutti i beni giuridici e tutti i diritti ex artt. 24, 112 e 113 Cost. (sent. n. 379 del 1996). Con riferimento poi all'autodichia in materia di controversie di lavoro del personale del Senato la Corte - che non manca di rilevare che in altri ordinamenti giuridici non dissimili dal nostro l'autodichia sui rapporti di lavoro con i dipendenti delle Assemblee legislative (e quella sui rapporti con i terzi) non e' piu' prevista - sottolinea che anche norme non sindacabili potrebbero essere fonte di atti lesivi di diritti costituzionalmente inviolabili e, d'altra parte, deve ritenersi sempre soggetto a verifica il fondamento costituzionale di un potere decisorio che limiti quello conferito dalla Costituzione ad altre autorita'. In sintesi la Corte opera una riserva: non e' possibile il giudizio incidentale di costituzionalita', ma una verifica di costituzionalita' e' possibile per il tramite del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. In tale sede la Corte - come puntualmente affermato dalla sent. n. 120 del 2014 - puo' ristabilire il confine, ove questo sia violato, tra i poteri legittimamente esercitati dalle Camere nella loro sfera di competenza e quelli che competono ad altri, cosi' assicurando il rispetto dei limiti delle prerogative e del principio di legalita', che e' alla base dello Stato di diritto. Questo e' quindi il novum di cui queste Sezioni Unite devono ora tener conto: dalla non sindacabilita' generalizzata dei regolamenti parlamentari (sent. n. 154 del 1985) si passa alla sindacabilita' relativa nella forma del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (sent. n. 120 del 2014). 9. In tale evidenziata evoluzione della giurisprudenza costituzionale in tema di autodichia in materia di controversie di lavoro del personale delle Camere (dalla sent. n. 154/1985 alla sent. n. 120/2014) puo' leggersi una applicazione di settore del principio di continuita' del controllo di costituzionalita' che vuole che non ci siano aree franche sottratte al controllo di costituzionalita'. Recentemente la sent. n. 1 del 2014 ha rimarcato che - come principio generale - non puo' esserci un'area esclusa dal controllo di costituzionalita'. Cfr. anche sent. n. 162 del 2014 che ha ribadito che la Corte, «posta di fronte a un vulnus costituzionale, non sanabile in via interpretativa - tanto piu' se attinente a diritti fondamentali - e' tenuta comunque a porvi rimedio» (sent n. 113 del 2011). Puo' aggiungersi che la continuita' del controllo di costituzionalita' si affianca alla continuita' del sindacato di legittimita' (ex art. 111, settimo comma, Cost.): come nessuna fonte normativa e' sottratta al rispetto della Costituzione cosi' nessuna decisione di giustizia e' sottratta al rispetto della legge. 10. Conclusivamente sul punto puo' quindi dirsi che e' possibile il raffronto tra la cit. normativa subregolamentare del Senato in tema di autodichia in materia di controversie di lavoro del personale dipendente e la Costituzione e che lo strumento processuale di verifica e' il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato ex art. 134 Cost.. Questa conclusione peraltro e' consonante con un canone ancor piu' generale: la contrarieta' di una norma, o di un atto normativo, alla Costituzione non comporta sempre e necessariamente un vizio di illegittimita' costituzionale cui debba conseguire una pronuncia dichiarativa di illegittimita' costituzionale. Secondo la piu' recente giurisprudenza costituzionale (sent. n. 238 del 2014), che ha preso in considerazione la fattispecie della normativa generata dal c.d. trasformatore automatico insito nel meccanismo dell'art. 10, primo comma, Cost. - per cui l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme (consuetudinarie) del diritto internazionale generalmente riconosciute - tale normativa cosi' prodotta puo' in ipotesi violare principi e diritti fondamentali dell'ordinamento costituzionale repubblicano, ma in tale evenienza la conseguenza e' non gia' la dichiarazione di incostituzionalita' della norma consuetudinaria, neppure in parte qua, bensi' l'inoperativita' dell'automatismo nomopoietico che la Corte costituzionale - ed essa sola (come ha chiaramente puntualizzato la sent. n. 238 del 2014) - puo' essere chiamata a verificare. Anche dei regolamenti comunitari - che, secondo la nota dottrina dei controlimiti, potrebbero in ipotesi risultare in violazione dei «principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale» e dei «diritti inalienabili della persona umana» (sent. n. 232 del 1989) - non e' predicabile la possibilita' di una dichiarazione di illegittimita' costituzionale (sent. n. 183 del 1973, ord. n. 509 del 1995). Analogamente la normativa prodotta dal Senato nell'esercizio del potere regolamentare riconosciuto dalla Costituzione (art. 64, primo comma, Cost.) puo' in ipotesi anch'essa violare un principio o un diritto fondamentale, ma in tale evenienza la conseguenza e' non gia' la dichiarazione di incostituzionalita' di questa normativa, bensi' il carattere invasivo di tale potere normativo rispetto ad altri poteri dello Stato, e segnatamente nella specie del potere giurisdizionale; invasivita' che la Corte puo' essere chiamata ad accertare e dichiarare (sent. n. 120 del 2014). 11. Occorre ora passare ad esaminare nel merito le censure di illegittimita' costituzionale prospettate dal ricorrente e traducibili, per quanto finora argomentato, in possibile violazione o turbativa per potere giurisdizionale di questa Corte. Questa Corte nella richiamata ordinanza di rimessione del 6 maggio 2013 ha gia' dubitato della legittimita' costituzionale dell'assetto dell'autodichia in materia di controversie di lavoro del personale del Senato - quale prevista dalle menzionate norme subregolamentari - in riferimento a numerosi parametri; dubbi che ora si ripropongono nella denunciata forma del carattere invasivo delle norme medesime rispetto al potere - giurisdizionale di cui nella specie e' investito questa Corte in quanto adita con ricorso straordinario nei confronti dell'impugnata decisione del Consiglio di garanzia del Senato. L'invasione del potere giurisdizionale, nella forma della menomazione o della turbativa, richiede non di meno l'indicazione dei parametri di riferimento versandosi comunque in un'ipotesi di vizio di illegittimita' costituzionale in senso lato. La denunciata turbativa del potere giurisdizionale e' segnatamente - ad avviso di questa Corte - di duplice portata: una piu' generale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, 102, secondo comma, quest'ultimo in combinato disposto con la VI disposizione transitoria, 108, secondo comma, 111, primo e secondo comma, Cost., e l'altra piu' specifica, in riferimento agli artt. 111, settimo comma, e 3, primo comma, Cost.. Si ha nella specie che all'attuale ricorrente e' risultato precluso l'accesso alla giustizia non essendo consentito - in ragione della sussistente autodichia del Senato - adire il giudice comune, sia esso ordinario che speciale. La rilevanza di questo profilo di invasivita' (o incostituzionalita' in senso lato) di maggiore e piu' radicale portata risiede nella circostanza che, se fosse rimossa l'autodichia del Senato, la giurisdizione comune si riespanderebbe, ove anche nella forma della giurisdizione condizionata al previo esperimento dei rimedi interni (id est: ricorso alla Commissione contenziosa e al Consiglio di Garanzia), con la conseguenza che l'attuale ricorso per cassazione sarebbe si inammissibile, ma per una ragione diversa e logicamente successiva rispetto a quella piu' radicale e prioritaria dell'assoluto difetto di giurisdizione nell'attuale situazione di pieno dispiegarsi dell'autodichia del Senato. Alternativamente e subordinatamente, in una prospettiva piu' limitata, ove si ritenesse legittima in particolare la configurazione degli organi di giustizia interna del Senato come giudici speciali, rileverebbe la preclusione - sempre in ragione dell'autodichia del Senato - dell'accesso al sindacato di legittimita' nella forma del ricorso straordinario ex art. 111, settimo comma, Cost. ed art. 360, quarto comma, c.p.c., con conseguente ingiustificato trattamento differenziato (art. 3, primo comma, Cost.). La rilevanza di questo piu' circoscritto profilo di invasivita' (o incostituzionalita' in senso lato) risiede nella circostanza che, ove fosse rimossa tale preclusione, si riespanderebbe la possibilita' di esperire il ricorso straordinario per cassazione avverso le decisioni in ultimo grado, o in grado unico, degli organi di giustizia interna del Senato con la conseguenza che l'attuale ricorso per cassazione sarebbe, sotto questo profilo, ammissibile e le censure di violazione di legge, mosse dal ricorrente all'impugnata pronuncia del Consiglio di Garanzia, potrebbero in ipotesi essere esaminate nel merito. 12. Sotto il primo enunciato profilo l'autodichia del Senato appare in contrasto con il principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), coniugato con il riconoscimento a "tutti" della facolta' di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art. 24, primo comma, Cost.). L'eguaglianza davanti alla legge, come canone generale e principio fondamentale, si specifica come eguaglianza in particolare nell'accesso alla tutela giurisdizionale, quale diritto inviolabile. E' un principio fondamentale che si salda ad un diritto espressamente riconosciuto come inviolabile e che genera una tutela forte, appartenente al nucleo essenziale ed irrinunciabile del patto sociale su cui si fonda l'ordinamento costituzionale fin da essere attratto all'area dei c.d. controlimiti, ossia dei principi fondamentali e dei diritti inviolabili della persona che costituiscono gli elementi identificativi essenziali ed irrinunciabili dell'ordinamento costituzionale. Questa garanzia viene in sofferenza - ad avviso di questa Corte - nel momento in cui una categoria di soggetti e' esclusa dalla tutela giurisdizionale in ragione di un elemento - l'essere dipendenti del Senato - non significativo, ne' giustificativo sul piano costituzionale, ai fini del loro trattamento differenziato. Nella stessa cit. sent. n. 120 del 2014 - in cui veniva in rilevo proprio questo trattamento differenziato, denunciato da queste Sezioni Unite con la menzionata ordinanza del 6 maggio 2013 - la stessa Corte costituzionale ha posto in evidenza che il diritto di accesso alla giustizia (art. 24 Cost.) costituisce un diritto fondamentale; affermazione confermata ancor piu' recentemente dalla cit. sent. n. 238 del 2014 che ha ribadito che «fra i principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale vi e' il diritto di agire e di resistere in giudizio a difesa dei propri diritti riconosciuto dall'art. 24 Cost., in breve il diritto al giudice», aggiungendo che «il diritto al giudice ed a una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti inviolabili e' sicuramente tra i grandi principi di civilta' giuridica in ogni sistema democratico del nostro tempo». Cfr. anche sent. n. 98 del 1965 che ha sottolineato che il diritto alla tutela giurisdizionale «e' tra quelli inviolabili dell'uomo, che la Costituzione garantisce all'art. 2, come si arguisce anche dalla considerazione che se ne e' fatta nell'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo». In generale la Corte ha ascritto il diritto alla tutela giurisdizionale «tra i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale, in cui e' intimamente connesso con lo stesso principio di democrazia l'assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio» (sent. n. 18 del 1982 e n. 82 del 1996). La Corte ha anche osservato che «al riconoscimento della titolarita' di diritti non puo' non accompagnarsi il riconoscimento del potere di farli valere innanzi ad un giudice in un procedimento di natura giurisdizionale»: pertanto «l'azione in giudizio per la difesa dei propri diritti [...] e' essa stessa il contenuto di un diritto, protetto dagli articoli 24 e 113 della Costituzione e da annoverarsi tra quelli inviolabili e caratterizzanti lo stato democratico di diritto» (sent. n. 26 del 1999, n. 120 del 2014, n. 386 del 2004 e n. 29 del 2003). Cfr. anche sent. n. 212 del 1997 che ha sottolineato che «nell'ordinamento, secondo il principio di assolutezza, inviolabilita' e universalita' del diritto alla tutela giurisdizionale (artt. 24 e 113 Cost.), non v'e' posizione giuridica tutelata di diritto sostanziale, senza che vi sia un giudice davanti al quale essa possa essere fatta valere». Ne' appare concretamente ipotizzabile che l'autonomia del Senato, che certamente ha una posizione guarentigiata di alto profilo in ragione della centralita' e della primazia del Parlamento, possa bilanciare, fino a comprimerlo del tutto, il diritto alla tutela giurisdizionale del personale dipendente nella misura in cui puo' ragionevolmente escludersi che alcun rischio tale autonomia guarentigiata corra a causa di un'iniziativa giudiziaria di un suo dipendente, qual e' l'attuale ricorrente che, assegnatario di mansioni impiegatizie (con l'iniziale qualifica di coadiutore), si e' doluto in sostanza dell'inquadramento ritenuto non corrispondente alle mansioni e di un asserito demansionamento. 13. Puo' poi denunciarsi anche la violazione dell'art. 102, secondo comma, Cost., che esclude che possano essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali; parametro questo che va coniugato con la VI disposizione transitoria che prescrive che entro cinque anni dall'entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione all'epoca esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti (nonche' dei tribunali militari per i quali pero' e' prescritto il "riordinamento" con legge). La Commissione contenziosa ed il Consiglio di garanzia, quali giudici delle controversie dei dipendenti del Senato, si pongono, rispetto alla giurisdizione ordinaria, come giudici speciali, istituiti dopo l'entrata in vigore della Costituzione, senza che in essa ci sia una salvezza, cosi' come invece espressamente previsto per il Consiglio di Stato e la Corte dei conti; salvezza che deroga a tale generale divieto proprio per essere essa di rango costituzionale. Ed ove anche si ravvisasse una continuita' con analogo apparato di autodichia nel sistema ordinamentale prerepubblicano, non appare soddisfatta l'ulteriore prescrizione della VI disposizione transitoria della Costituzione che prescrive la revisione degli organi speciali di giurisdizione esistenti al momento di entrata in vigore della Costituzione; prescrizione che invece - puo' notarsi incidentalmente - si e' ritenuto essere soddisfatta con riferimento al procedimento attivato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, di cui parimenti la giurisprudenza di questa Corte, quella del Consiglio di Stato e piu' recentemente anche quella della Corte costituzionale, hanno predicato la natura giurisdizionale. Il difetto di revisione degli organi di autodichia del Senato si rivelerebbe anche nella parimenti ipotizzata violazione dell'art. 111 Cost., recentemente novellato, quanto al principio del giusto processo (primo comma) e quanto alla necessita' che il contraddittorio si svolga davanti ad un giudice terzo e imparziale (secondo comma), non potendo ritenersi rispettoso di tali canoni un processo che si svolge dinanzi ad un giudice incardinato in una delle parti (in considerazione in particolare della circostanza che le decisioni della Commissione contenziosa, ratificate col visto del Presidente del Senato, possono riguardare ricorsi contro decreti del Presidente del Senato). Neppure, per la stessa ragione, sarebbe soddisfatto il canone della "indipendenza" dei giudici speciali prescritto dall'art. 108, secondo comma, Cost. Del resto, gia' in epoca ormai risalente, la Corte costituzionale, proprio in riferimento all'autodichia del Senato (sent. n. 154 del 1985, cit.) - pur dichiarando inammissibile la questione incidentale di legittimita' costituzionale sollevata, anche allora, da queste Sezioni Unite - non ha mancato di rilevare che "indipendenza ed imparzialita' dell'organo che decide, garanzia di difesa, tempo ragionevole, in quanto coessenziali al concetto stesso di una effettiva tutela, sono indefettibili nella definizione di qualsiasi controversia". Per altro verso il carattere giurisdizionale degli organi di autodichia emerge anche dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che, nella sentenza 28 aprile 2009, Savino ed altri c. Italia, ha affermato - come gia' sopra ricordato - che, ai sensi dell'art. 6, comma 1, della Convenzione, e' giudice qualsiasi autorita' che dirima una controversia facendo applicazione di norme di diritto. E, con riferimento al parallelo sistema di autodichia della Camera, ha statuito, quanto ai motivi di ricorso, l'assenza di indipendenza e di imparzialita' degli organi giurisdizionali della Camera, ed in particolare dell'organo di appello, ritenendo che la sua composizione determinasse una inammissibile commistione, in capo agli stessi soggetti, tra l'esercizio di funzioni amministrative e l'esercizio di funzioni giurisdizionali: i componenti dell'Ufficio di Presidenza, cui spetta l'adozione dei provvedimenti concernenti il personale. In sostanza quella Corte ha ritenuto che mancasse, nella specie, il carattere di terzieta' dell'organo giudicante, attributo connaturale all'esercizio della funzione giurisdizionale. Proprio a seguito di tale pronuncia gli organi di autodichia della Camera dei deputati sono stati "revisionati" tanto che recentemente la Commissione giurisdizionale per il personale della Camera si e' ritenuta legittimata, quale "giudice" rimettente (ex art. 23 l. n. 87 del 1953), a sollevare questione incidentale di costituzionalita' in un giudizio in sede di autodichia relativamente a controversie promosse dal personale dipendente. 14. Inoltre, sotto il secondo enunciato profilo, ove anche si ritenesse che gli organi di autodichia del Senato siano "organi speciali di giurisdizione" di antica tradizione ed esistenti anche prima dell'entrata in vigore della Costituzione repubblicana e che il procedimento di revisione, prescritto dalla citata VI disposizione transitoria, abbia avuto in realta' corso (come in passato ritenuto dalla Corte costituzionale - sent. n. 135 del 1975 - per l'autodichia della Corte dei conti all'epoca prevista in riferimento alle controversie riguardanti i magistrati ed i dipendenti di quella Corte) si' da soddisfare i canoni del giusto processo e quello di terzieta' ed imparzialita' del giudice, di cui all'art. 111, primo e secondo comma, Cost. e quello di indipendenza di cui all'art. 108, secondo comma, Cost., vi sarebbe comunque, a tutto concedere, la violazione dell'art. 111, settimo comma, Cost. coniugato all'art. 3, primo comma, Cost.. Si e' gia' rilevato che il carattere chiuso e circoscritto del sistema di autodichia del Senato preclude, sia testualmente sia per giurisprudenza conforme di questa Corte, la possibilita' del ricorso straordinario per cassazione che invece il settimo comma dell'art. 111 Cost. riconosce nei confronti di qualsivoglia sentenza che, ove non impugnabile - altrimenti, puo' essere censurata per violazione di legge; garanzia questa che costituisce proiezione del principio di eguaglianza. Se "[t]utti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono eguali davanti alla legge" - come predica solennemente il primo comma dell'art. 3 Cost. - e' necessario che la legge sia interpretata ed applicata allo stesso modo nei confronti di tutte le parti in giudizio. E' quindi generalizzato ed indefettibile un sindacato accentrato di legittimita' quale quello che il settimo comma dell'art. 111 Cost. assegna alla Corte di cassazione come missione specifica e caratterizzante, unitamente al sindacato sulla giurisdizione. Tale garanzia non e' suscettibile, a livello di conformita' a Costituzione, di una deroga per la giurisdizione degli organi di autodichia del Senato se solo si considera che e' lo stesso settimo comma dell'art. 111 Cost. a prevedere che "[s]i puo' derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra" e che per escludere le pronunce del Consiglio di Stato e della Corte dei conti - giudici speciali di antica tradizione - e' stata necessaria un'espressa previsione nel successivo ottavo comma del medesimo art. 111 (che appunto prevede che contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in cassazione e' ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione e quindi non per violazione di legge, come in generale consente il settimo comma). 15. Tali dubbi di legittimita' costituzionale non possono essere superati da un'interpretazione adeguatrice della citata normativa subregolamentare del Senato. E' vero che l'affermata forza normativa di quest'ultima chiama in gioco gli ordinari canoni interpretativi della legge tra cui anche quello dell'interpretazione costituzionalmente orientata. Ma nella specie - come gia' sopra rilevato - e' testuale nella normativa subregolamentare del Senato il riferimento agli organi di autodichia. Pur riconoscendo ad essi natura giurisdizionale, come affermato dalla Corte EDU nella cit. sentenza 28 aprile 2009, la qualificazione come autodichia di questa giurisdizione, articolata in due gradi con la possibilita' anche di un'impugnazione per revocazione, ma nell'ambito di quella stessa giurisdizione, e' inequivocabilmente tale da escludere ogni permeabilita' della giurisdizione ordinaria, finanche nella forma del sindacato di legittimita' esercitato in generale da questa Corte, come del resto finora sempre ritenuto dalla sopra menzionata giurisprudenza di questa stessa Corte (Cass., sez. un., 19 novembre 2002, n. 16267, e 23 aprile 1986, n. 2861). Inoltre non sembra che l'interpretazione adeguatrice in sede di sindacato di legittimita' possa arrivare laddove non arriva la Corte costituzionale nell'esercizio del sindacato di costituzionalita' in forma incidentale. Se una norma subregolamentare del Senato, espressione di una potesta' normativa garantita dalla Costituzione, e' sottratta all'ordinario controllo di costituzionalita' in via incidentale, vi e' anche uno schermo per l'interpretazione adeguatrice del giudice comune che realizza una sorta di sindacato diffuso in chiave di filtro di ammissibilita' dell'incidente di costituzionalita'. La compressione del diritto alla tutela giurisdizionale significa si' lesione di un diritto fondamentale. Ma la Corte (sent. n. 238 del 2014) - nell'avvertire che la verifica di compatibilita' con i principi fondamentali dell'assetto costituzionale e di tutela dei diritti umani e' di sua esclusiva competenza - ha aggiunto, con riguardo al diritto di accesso alla giustizia (art. 24 Cost.) e richiamando proprio la sent. n. 120/2014 sull'autodichia del Senato, che il rispetto dei diritti fondamentali, cosi' come l'attuazione di principi inderogabili, e' assicurato dalla funzione di garanzia assegnata alla Corte costituzionale. Rimane quindi solo la strada del conflitto tra poteri atteso che i sopra richiamati dubbi di legittimita' costituzionale e soprattutto la denunciata lesione del diritto alla tutela giurisdizionale in capo al dipendente del Senato, qual e' l'odierno ricorrente, ridondano in invasione o turbativa del potere giurisdizionale di questa Corte che si trova impedita ad esercitare il sindacato di legittimita' domandato dal ricorrente. Anche in questa prospettiva piu' circoscritta alla violazione dei soli artt. 111, settimo comma, e 3, primo comma, Cost., non appare a questa Corte praticabile l'interpretazione adeguatrice, costituzionalmente orientata, perche' il denunciato vizio di illegittimita' costituzionale comunque si atteggia a invasione o turbativa del potere giurisdizionale ad opera di una potere dello Stato qual e' il Senato. E spetta solo alla Corte costituzionale accertare tale invasione o turbativa come posto in rilievo in particolare dalle citate sent. nn. 120 e 238 del 2014. 16. Quanto alla tempestivita' del conflitto deve osservarsi che la circostanza che le disposizioni invasive - ossia le menzionate norme subregolamentari che prevedono la giurisdizione interna del Senato in forma di autodichia - siano risalenti nel tempo non esclude ne' fa venir meno l'ammissibilita' del conflitto. Infatti - secondo la giurisprudenza costituzionale - non e' previsto alcun temine in ipotesi decorrente dalla lesione della prerogativa costituzionale (sent. n. 116 del 2003), a differenza del ricorso per conflitto di attribuzione fra Stato e Regioni che e' soggetto al termine di decadenza di cui all'art. 39, secondo comma, Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. La mancanza di un termine per la proposizione del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri comporta - sempre secondo la giurisprudenza costituzionale - che il ricorso puo' essere proposto in ogni tempo, anche dopo anni dall'assunta lesione della prerogativa costituzionale: cfr. sent. n. 58 del 2004 secondo cui «non incide il tempo trascorso dall'epoca dei fatti (settembre 1996) alla data di proposizione del conflitto (febbraio 2003)». Nella specie sussiste l'attualita' dell'interesse a ricorrere dovendo questa Corte dare una risposta di giustizia all'attuale ricorrente che invoca il sindacato di legittimita' di questa Corte, impedito dalla richiamata normativa subregolamentare del Senato in tema di autodichia in materia di rapporti di lavoro del personale dipendente del Senato. Quanto al requisito soggettivo, la natura di potere dello Stato sia di questa Corte che del Senato della Repubblica sono stati piu' volte affermati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Quanto al requisito oggettivo il tono costituzionale del conflitto e' insito nella natura di diritto fondamentale della tutela giurisdizionale la cui lesione l'attuale ricorrente lamenta e che ridonda non gia' in vizio di incostituzionalita', ma in lesione o turbativa del potere giurisdizionale. 17. Conclusivamente la citata normativa subregolamentere del Senato appare avere carattere invasivo delle attribuzioni del potere giudiziario e segnatamente di quello di questa Corte, che e' chiamata a pronunciarsi sul ricorso del ricorrente proposto ai sensi dell'art. 111, settimo comma, Cost.; cio' induce questa Corte a sollevare il presente conflitto in riferimento alle censure ed ai parametri sopra indicati sotto i due profili sopra illustrati. Quindi il petitum del presente atto di promuovimento del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, richiesto come contenuto del "ricorso" ex art. 24 Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, puo' formularsi, in via principale, in termini piu' ampi: l'autodichia del Senato nelle controversie di lavoro del proprio personale e' in toto invasiva del potere giurisdizionale sicche', non spettando al Senato prevederla con le proprie norme subregolamentari, deve riespandersi l'ordinaria tutela giurisdizionale. In via subordinata tale autodichia e' ritenuta, da questa Corte, invasiva del potere giurisdizionale almeno nella misura in cui non consente il sindacato di legittimita' ex art. 111, settimo comma, Cost. sicche', non spettando al Senato prevederla con le proprie norme subregolamentari, deve riespandersi l'ordinaria facolta' di proporre ricorso straordinario per cassazione per violazione di legge avverso le decisioni in ultimo grado o in grado unico degli organi di giustizia interna del Senato. 18. Quanto infine alla forma per sollevare il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato da parte di un organo del potere giudiziario, va considerato che, ove i presupposti deI conflitto insorgano, cosi' come nella specie, nel corso del giudizio e quindi il conflitto si presenti con i caratteri dell'incidentalita', tale forma e' l'ordinanza. E' vero che l'art. 37, terzo comma, della legge n. 87 del 1953 prevede che la Corte costituzionale decide (nella prima fase in camera di consiglio) sulla ammissibilita' del «ricorso» e che l'art. 24 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale contempli, anche nella sua rubrica, il «ricorso» come atto propulsivo di questo speciale giudizio costituzionale. Pero' tale riferimento testuale al «ricorso», come atto iniziale di attivazione del procedimento per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, va coniugato con il generale rinvio che il quinto comma della medesima disposizione (art. 37) fa ai precedenti artt. 23, 25 e 26 e segnatamente all'art. 23; il cui secondo comma prevede l'«ordinanza» come atto con cui l'autorita' giurisdizionale investe la Corte costituzionale della risoluzione di una questione di legittimita' costituzionale che si ponga come pregiudiziale rispetto alla decisione che la stessa autorita' giurisdizionale e' chiamata a rendere. Il carattere incidentale del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato rispetto ad una decisione di giustizia richiesta in un giudizio comune rende applicabile, in parte qua, tale disposizione (art. 23, secondo comma), in quanto richiamata dall'art. 37, quale norma speciale rispetto al generale riferimento al «ricorso» contenuto nel terzo comma di quest'ultima. Nel giudizio civile l'ordinanza e' la tipica forma del provvedimento che non definisce il giudizio (art. 279 c.p.c.) e per la sua deliberazione si applicano, ove adottata dal collegio in camera di consiglio, le prescrizioni dell'art. 276 c.p.c., unitamente a quelle dell'art. 134 c.p.c. quanto alla sottoscrizione dell'atto. Il carattere incidentale del conflitto di attribuzione comporta anche l'applicazione del medesimo secondo comma dell'art. 23 nella parte in cui prevede che l'autorita' giurisdizionale sospende il giudizio in corso; contenuto questo che non potrebbe avere un «ricorso». Inoltre in tal caso il promuovimento del procedimento, pur attivando la fase iniziale di mera ammissibilita' ex art. 37, terzo comma, cit. che e' priva di contraddittorio essendo la notifica del ricorso prescritta solo per la fase successiva ex art. 37, quarto comma, avviene - in applicazione dell'art. 23, quarto comma, cit. stante il gia' evidenziato richiamo dell'art. 37 - con la «trasmissione» dell'ordinanza e degli atti di causa alla Corte costituzionale - e non gia' con il deposito del «ricorso» - unitamente alle notifiche e alle comunicazioni prescritte dalla prima disposizione. Comunque la giurisprudenza costituzionale (sent. n. 10 del 2000; e piu' recentemente, ex plurimis, nn. 151, 129 e 317 del 2013 e n. 161 del 2014) ritiene che, pur dovendo il conflitto essere sollevato in ogni caso con ricorso, l'ordinanza pronunciata da un'autorita' giudiziaria costituisce atto parimenti idoneo allo scopo.
P.Q.M. Visti l'art. 134 Cost. e l'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dispone la sospensione del giudizio civile iscritto al n.r.g. 1541/2012 su ricorso di Lorenzoni Piero nei confronti del Senato della Repubblica; Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sollevando conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato e chiede che la Corte: - dichiari ammissibile il presente conflitto; - e, nel merito, dichiari che non spettava al Senato della Repubblica deliberare gli artt. 72-84 del titolo II (Contenzioso) del Testo unico delle norme regolamentari dell'Amministrazione riguardanti il personale del Senato della Repubblica nelle parti seguenti: a) in via principale nella parte in cui - violando gli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, 102, secondo comma, quest'ultimo in combinato disposto con la VI disposizione transitoria, 108, secondo comma, e 111, primo e secondo comma, Cost. precludono l'accesso dei dipendenti del Senato alla tutela giurisdizionale in riferimento alle controversie di lavoro insorte con l'Amministrazione del Senato; b) in via subordinata nella parte in cui - violando gli artt. 111, settimo comma, e 3, primo comma, Cost. - non consentono, contro le decisioni pronunciate dagli organi giurisdizionali da tali disposizioni previste, il ricorso in cassazione per violazione di legge ai sensi dell'art. 111, settimo comma, Cost. Ordina che a cura della cancelleria la su estesa ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Pubblico Ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, il 18 novembre 2014. Il Presidente: Luigi Rovelli Avvertenza: L'ammissibilita' del presente conflitto e' stata decisa con ordinanza n. 137/2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana - 1ª Serie speciale n. 28 - del 15 luglio 2015.