N. 156 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 marzo 2015
Ordinanza del 27 marzo 2015 emessa dal Tribunale di Como nel procedimento civile promosso da Tortora Francesco e Coco's S.r.l. unipersonale contro Direzione territoriale del lavoro di Como.. Sanzioni amministrative - Previsione dell'applicazione delle sanzioni amministrative soltanto nei casi e per i tempi in esse considerate - Applicazione all'autore dell'illecito amministrativo della legge successiva piu' favorevole - Mancata previsione - Violazione del principio di uguaglianza sotto il profilo dell'irragionevolezza e dell'ingiustificato deteriore trattamento rispetto agli illeciti tributari, valutari, in materia di concessioni del servizio di riscossione e di responsabilita' amministrativa degli enti per illecito penale - Violazione degli obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. - Legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 1. - Costituzione, artt. 3 e 117, primo comma, in relazione agli artt. 6 e 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.(GU n.34 del 26-8-2015 )
TRIBUNALE DI COMO Sezione Civile Il giudice del lavoro dott. Laura Tomasi, nella causa R.G.L. 1147/2013, Tra Francesco Tortora e Coco's S.r.l. Unipersonale (Avv. Minella) Ricorrente E Direzione Territoriale del Lavoro di Como (funzionari delegati dott. Barbaro, Blumetti, Bonacci) Resistente A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 12 marzo 2015, letti gli atti e documenti di causa, Ha pronunciato la seguente Ordinanza ex art. 23, legge n. 87/1953 Con ricorso depositato il 16 settembre 2013, Francesco Tortora (in qualita' di obbligato principale) e Coco's S.r.l. Unipersonale (in qualita' di obbligato solidale) hanno proposto opposizione ex art. 6, decreto legislativo n. 150/2011, avverso l'ordinanza-ingiunzione n. 82/2013, con quale la Direzione territoriale del lavoro (di seguito: DTL) di Como ha irrogato una serie di sanzioni amministrative, tra cui la c.d. maxi sanzione per il lavoro nero prevista dall'art. 3, comma 3, D.L. n. 12/2002, nella misura complessiva di € 10.540,00, in relazione all'impiego irregolare di quattro lavoratrici (sig. Zennaro, Centi, Soldano, El Kotaichi), per 24 giornate lavorative. L'opponente ha allegato l'illegittimita' dell'ordinanza ingiunzione per carenza di motivazione; per carenza di istruttoria nel procedimento amministrativo; per mancata allegazione delle dichiarazioni dei lavoratori al verbale di accertamento; per emissione dell'ordinanza in pendenza di un ricorso al Comitato regionale; per mancata audizione del sig. Tortora; per mancata comunicazione di avvio del procedimento; per mancata tempestiva contestazione della violazione al trasgressore. L'opponente ha altresi' contestato le risultanze dell'accertamento ispettivo, evidenziando l'autenticita' del rapporto di apprendistato con la lavoratrice El Kotaichi e deducendo che con le lavoratrici Zennaro, Centi e Soldano era stato instaurato un contratto di prestazioni di lavoro accessorio ex art. 70 lett. e) decreto legislativo n. 276/2003. Quanto al regime sanzionatorio, l'opponente ha eccepito l'inapplicabilita' della c.d. maxi sanzione per il lavoro nero di cui all'art. 3, comma 3, D.L. n. 12/2002, come modificato dall'art. 36-bis comma 7, legge n. 248/2006, deducendo che le lavoratrici erano state regolarmente impiegate e che pertanto non sussisteva alcuna volonta' di occultare i rapporti di lavoro; che era illegittima la duplicazione della sanzione per la lavoratrice Zennaro, che la sanzione applicata era stata abrogata dall'art. 4, legge n. 183/2010 e che, in virtu' della nuova normativa, ricorreva l'ipotesi scriminante di cui comma 4 del novellato art. 3 D.L. n. 12/2002; in ogni caso la sanzione avrebbe dovuto essere calcolata in applicazione dei principi di cumulo di cui all'art. 8, legge n. 689/81. L'opponente ha infine chiesto l'applicazione delle sanzioni nella misura minima considerato l'atteggiamento collaborativo. L'opponente ha pertanto chiesto l'annullamento dell'ordinanza ingiunzione impugnata o in subordine, la riduzione delle sanzioni. Si e' costituita in giudizio la DTL, opponendosi dall'istanza di sospensione del giudizio e contestando quanto ex adverso dedotto in quanto infondato in fatto e in diritto. All'esito dell'istruttoria, il giudice, rilevato che, come dedotto dalla parte ricorrente, la disciplina della c.d. maxi sanzione per il lavoro nero di cui all'art. 3, comma 3, D.L. n. 12/2002 era stata riformata in senso favorevole dall'art. 4, comma 1, lettera a) legge n. 183/2010, ha prospettato alle parti, ex art. 101 comma 2 c.p.c., la questione dell'applicabilita' alla fattispecie, in astratto, del piu' mite regime sanzionatorio di cui alla legge n. 183/2010 (in particolare, del trattamento sanzionatorio affievolito di cui all'art. 3 comma 3 secondo periodo D.L. n. 12/2002); della natura «penale», ai sensi degli artt. 6 e 7 CEDU, cosi' come interpretati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nelle sentenze Menarini c. Italia (27 settembre 2011, ric. 43509/08) e Grande Stevens c. Italia (4 marzo 2014, ric. 18640/10), della c.d. maxi sanzione per il lavoro nero; del possibile contrasto con l'art. 7 CEDU, cosi' come interpretato nella sentenza Scoppola c. Italia (17 settembre 2009 ric. 10249/2003), dell'art. 1, legge n. 689/81, nella parte in cui non prevede, come invece dispone l'art. 2 comma 4 c.p., l'applicazione retroattiva del trattamento sanzionatorio piu' mite. Nelle note difensive presentate nel termine impartito, la parte opponente ha sostenuto l'applicabilita' alla fattispecie di causa del trattamento sanzionatorio piu' mite previsto dall'art. 3 commi 3 e 4 D.L. n. 12/2002, come novellato dalla legge n. 183/2010 e ha richiamato la sentenza della Corte costituzionale n. 254/2014 che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 36-bis, comma 7, lett. a) D.L. 223/2006, conv. in legge n. 248/2006, nella parte in cui stabiliva che l'importo delle sanzioni civili connesse all'omesso versamento dei contributi e premi per i lavoratori assunti in nero non potesse essere inferiore € 3000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata. Nelle proprie note difensive, la DTL ha ritenuto che la questione sollevata dal giudicante fosse ultra petita, in quanto in ricorso la parte opponente aveva domandato l'applicazione del comma 4 dell'art. 3 D.L. n. 12/2002, cosi' come introdotto dalla legge n. 183/2010 (elisione totale della sanzione amministrativa in caso di adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti che evidenzino la volonta' di non occultare rapporto) e non l'applicazione del comma 3 della medesima disposizione (trattamento sanzionatorio affievolito per successiva occupazione regolare dei lavoratori in nero). La DTL, in subordine, ha affermato che la disciplina di cui al comma 3 (sanzioni affievolite per successiva occupazione regolare) sarebbe astrattamente applicabile alle lavoratrici El Kotaichi e Soldano, di talche' in relazione alle predette lavoratrici sarebbe rilevante la questione prospettata dal giudicante. Cio' premesso in punto di svolgimento del processo, ritiene il giudicante rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con l'art. 117 comma 1 Cost. (in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU), e con l'art. 3 Cost. dell'art. 1, legge n. 689/81, nella parte in cui non prevede, come invece dispone l'art. 2 comma 4 c.p., l'applicazione retroattiva del trattamento sanzionatorio piu' mite. Quanto alla rilevanza della questione, si osserva anzitutto che la causa non puo' essere decisa sulla base delle censure formali sollevate dalla parte opponente nei confronti dell'ordinanza-ingiunzione e del procedimento di adozione della stessa, poiche' dette censure sono da ritenersi infondate. Non si riscontra, infatti, alcuna carenza di motivazione nell'ordinanza ingiunzione, che descrive in dettaglio le condotte contestate alla parte opponente, le sanzioni applicate e i criteri di calcolo delle stesse, indicando le disposizioni sanzionatorie in specie rilevanti e rinviando peraltro al contenuto del verbale conclusivo dell'ispezione congiunta (n. 51C/057 del 20 gennaio 2010), notificato agli opponenti. L'istruttoria nel procedimento ispettivo non appare poi carente, avendo gli ispettori sia effettuato un accesso in loco in data 24 luglio 2009, sia acquisito le dichiarazioni dei lavoratori e del sig. Tortora, sia esaminata la documentazione di impresa, incluso il libro unico del lavoro (v. risultanze del verbale conclusivo del 20 gennaio 2010). Non inficia, d'altronde, la validita' del procedimento amministrativo o dell'ordinanza ingiunzione la circostanza che le dichiarazioni dei lavoratori non siano state allegate al verbale conclusivo del 20 gennaio 2010, essendo il contenuto delle stesse dettagliatamente riportato nel verbale. L'ordinanza ingiunzione e' stata poi emessa dopo il rigetto per tardivita' del ricorso amministrativo presentato da parte opponente al Comitato regionale per i rapporti di lavoro. Il ricorso amministrativo era effettivamente tardivo, come risulta dall'avviso di ricevimento della raccomandata di notifica prodotto dalla DTL sub doc. 4. Peraltro, il rigetto del ricorso amministrativo non ha impedito alla parte opponente di presentare ricorso giudiziale. La mancata audizione, nel procedimento amministrativo, del sig. Tortora non appare idonea a inficiare la validita' dell'ordinanza ingiunzione, in base alla piu' recente giurisprudenza di legittimita' (Cass. SU n. 1786/2010) secondo cui anche laddove le deduzioni difensive proposte dall'interessato non siano state esaminate o siano state respinte senza adeguata motivazione, cio' non determina la nullita' dell'ordinanza ingiunzione, ma semplicemente il potere-dovere del giudice di esaminare, in sede di giudizio di opposizione, dette difese, ove riproposte. Le sentenze citate in senso contrario da parte opponente (Cass. n. 13622/2009 e n. 15292/2007) appaiono precedenti all'intervento delle Sezioni Unite e non pienamente pertinenti, in quanto relative alla specifica materia delle violazioni del codice della strada. Si osserva peraltro che la DTL ha rinviato la prima audizione del sig. Tortora su istanza dello stesso e, successivamente, lo ha riconvocato per ben due volte (doc. 18 fasc. DTL), rispetto alla quale non risulta che l'interessato abbia fatto valere impedimenti a partecipare. Pertanto, la mancata audizione del sig. Tortora appare sostanzialmente riconducibile a cause imputabili allo stesso. Non e' fondata nemmeno la censura di violazione dell'art. 7, legge n. 241/90 per mancata comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, posto che detta legge non si applica al procedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative ex lege 689/81 (Cass. SU n. 9591/2006). Infine, non risulta violato l'art. 14 legge n. 689/81 che prevede che l'illecito amministrativo debba essere contestato entro 90 giorni dall'accertamento. Invero, l'accertamento ispettivo, cominciato il 24 luglio 2009, e' terminato il 2 novembre 2009 con l'acquisizione delle ultime dichiarazioni della lavoratrice Centi (doc. 11 fasc. DTL) e verbale di accertamento e' stato notificato il 20 gennaio 2010, pertanto nel rispetto del termine trimestrale previsto dalla disposizione. D'altro canto, l'ordinanza ingiunzione non puo' essere annullata per i motivi in fatto dedotti dalla parte opponente, in quanto dalle dichiarazioni rese dallo stesso sig. Tortora e dai lavoratori agli ispettori, nonche' dalle deposizioni dei testi in giudizio, e' emerso lo svolgimento di lavoro in nero da parte delle lavoratrici Zennaro, Centi, Soldano e El Kotaichi, per le giornate contestate dalla DTL nell'ordinanza ingiunzione. E' peraltro altresi' emerso in causa che, dopo avere svolto alcune giornate di lavoro non regolarizzato, le lavoratrici Zennaro e Centi sono state assunte con contratto di collaborazione occasionale, la lavoratrice El Kotaichi e' stata assunta con contratto di apprendistato e la lavoratrice Soldano con contratto di lavoro subordinato. Ad avviso del giudicante, dunque, non risultando fondate le censure procedurali svolte dal ricorrente, e risultando invece dimostrato in istruttoria lo svolgimento di lavoro in nero da parte delle lavoratrici Zennaro, Centi, Soldano, El Kotaichi, correttamente la DTL ha applicato, nell'ordinanza ingiunzione la c.d. maxi sanzione per il lavoro nero di cui all'art. 3 comma 3, legge n. 73/2002, come modificato dall'art. 36-bis, comma 7, legge n. 248/2006 e vigente all'epoca della commissione dei fatti. Ne deriva che l'ordinanza ingiunzione dovrebbe essere sul punto confermata e la c.d. maxi sanzione per il lavoro nero applicata. Diventa questo punto rilevante, nel presente giudizio, la questione dell'applicabilita' della disciplina sopravvenuta introdotta dall'art. 4, comma 1, lett. a) legge n. 183/2010. Detta disciplina e' da qualificarsi come piu' mite rispetto a quella vigente all'epoca dei fatti. Invero, la sanzione applicata nell'ordinanza ingiunzione e vigente all'epoca della commissione dei fatti era quella prevista dall'art. 3 comma 3 del D.L. n. 12/2002 conv. in legge n. 73/2002, come sostituito dall'art. 36-bis, comma 7, lett. a) del D.L. n. 223/2006, conv. in legge n. 248/2006, che prevedeva: «ferma restando l'applicazione delle sanzioni gia' previste dalla normativa in vigore, l'impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria e' altresi' punito con la sanzione amministrativa da € 1.500 a € 12.000 per ciascun lavoratore, maggiorata di € 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo [...]» (1) Successivamente, l'art. 4, comma 1, lett. a) legge n. 183/2010 ha cosi' sostituito il comma 3 dell'art. 3 del D.L. n. 12/2002: «Ferma restando l'applicazione delle sanzioni gia' previste dalla normativa in vigore, in caso di impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato, con la sola esclusione del datore di lavoro domestico, si applica altresi' la sanzione amministrativa da € 1.500 a € 12.000 per ciascun lavoratore irregolare, maggiorata di € 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo. L'importo della sanzione e' da € 1.000 a € 8.000 per ciascun lavoratore irregolare, maggiorato di € 30 per ciascuna giornata di lavoro irregolare, nel caso in cui il lavoratore risulti regolarmente occupato per un periodo lavorativo successivo» (2) . L'art. 4 comma 1 lett. a) legge n. 183/2010 ha altresi' sostituito il comma 4 dell'art. 3 del D.L. n. 12/2002 con il seguente testo: «le sanzioni di cui al comma 3 non trovano applicazione qualora, dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti, si evidenzi comunque la volonta' di non occultare il rapporto, anche se trattasi di differente qualificazione». Dal mero raffronto testuale emerge che la disciplina introdotta dalla legge n. 183/2010 configura un trattamento sanzionatorio piu' mite, prevedendo sia una riduzione della cornice edittale della sanzione nel caso in cui «il lavoratore risulti regolarmente occupato per un periodo lavorativo successivo» (comma 3, c.d. ravvedimento operoso), sia l'elisione totale delle sanzioni «qualora, dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti, si evidenzi comunque la volonta' di non occultare il rapporto, anche se trattasi di differente qualificazione» (comma 4). Infine, non ritiene il giudicante che la questione sollevata all'udienza del 17 dicembre 2014 (compatibilita' con gli artt. 6 e 7 CEDU e l'art. 117 Cost. della mancata previsione del principio di retroattivita' della lex mitior in materia di sanzioni amministrative) sia ultra petita, per avere la parte ricorrente chiesto l'applicazione del novellato comma 4, dell'art. 3, D.L. n. 12/2002 e non del novellato comma 3 secondo periodo della disposizione. E' noto che il giudizio di opposizione avverso ordinanza-ingiunzione di pagamento di somma di denaro a titolo di sanzione amministrativa risponde ai principi della domanda, della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto della pronunzia d'ufficio su eccezioni rimesse esclusivamente all'iniziativa di parte (in tal senso v. inter alla Cass. civ. sez. lav. n. 9178/2010). In applicazione di tale principio, la SC ha ritenuto precluso al giudice dell'opposizione ridurre l'entita' della sanzione applicata in difetto di domanda dell'opponente, il quale abbia unicamente chiesto l'annullamento dell'ordinanza ingiunzione (v. Cass. n. 21486/2004). In specie, la parte opponente, in relazione alla c.d. maxi sanzione per il lavoro nero, non solo aveva lamentando l'illegittima duplicazione della sanzione con riferimento alla lavoratrice Zennaro, ma aveva anche eccepito l'inapplicabilita' del regime sanzionatorio di cui all'art. 36-bis comma 7, legge n. 248/2006 (p. 12 ss. del ricorso), per abrogazione a opera dell'art. 4 comma 1, lett. a) legge n. 183/2010. In particolare, il ricorrente aveva richiamato i novellati commi 3 e 4 dell'art. 3 D.L. n. 12/2002 e chiedendo che in specie venisse applicato il comma 4 della disposizione. Peraltro, a p. 12 del ricorso, la parte opponente aveva evidenziato l'irragionevolezza dell'applicazione della c.d. maxi sanzione per il lavoro nero, in quanto in specie i rapporti di lavoro non si erano svolti interamente in nero, ma erano stati regolarizzati. A p. 16 del ricorso la parte opponente aveva chiesto "l'applicazione della sanzione nella misura minima possibile considerato «l'atteggiamento collaborativo» e «l'esiguita' dell'asserito comportamento illecito». Nelle conclusioni, la parte opponente aveva chiesto in via subordinata «ridursi la sanzione alla diversa somma che risultasse dovuta considerata l'illegittima duplicazione adottata». Interpretando le conclusioni del ricorso alla luce del corpo dell'atto, e delle deduzioni in esso svolte, si deve concludere che la parte opponente ha chiesto la riduzione delle sanzioni e ha altresi' allegato che l'inapplicabilita' della maxi sanzione irrogata dalla DTL discendesse (anche) dal fatto che i rapporti di lavoro non si erano svolti totalmente in nero. Considerato, da un lato, che sono presenti nel ricorso una domanda generica di riduzione delle sanzioni/applicazione delle stesse in misura minima, nonche' l'allegazione del presupposto di fatto dell'applicazione del c.d. trattamento sanzionatorio affievolito introdotto nel comma 3 dell'art. 3, D.L. n. 12/2002 dalla legge n. 183/2010, costituito dall'avvenuta regolarizzazione dei rapporti di lavoro, e considerato, dall'altro lato, che rientra nei poteri del giudice dell'opposizione determinare la sanzione tra il minimo e il massimo edittale, applicando direttamente i criteri di cui all'art. 11, legge n. 689/81 (v. Cass. 18811/2003), ritiene il giudicante che, nel caso di specie, tra i poteri giudiziali di determinazione del trattamento sanzionatorio rientri anche quello di applicare la sanzione affievolita prevista dall'art. 3, comma 3, secondo periodo D.L. n. 12/2002. In altre parole non pare al giudicante che l'applicazione del trattamento sanzionatorio affievolito di cui all'art. 3 comma 3 secondo periodo D.L. n. 12/2002 concreterebbe una pronuncia ultra petitum, attenendo detta applicazione alla mera determinazione del trattamento sanzionatorio, nell'ambito della cornice edittale prevista dalla disposizione, e in presenza di una domanda della parte opponente di «riduzione delle sanzioni». Sennonche', l'applicazione del trattamento sanzionatorio affievolito - sopravvenuto rispetto alla commissione dei fatti - non risulta allo stato possibile, poiche' l'art. 1, legge n. 689/81 non prevede, in materia di sanzioni amministrative, la retroattivita' del trattamento sanzionatorio piu' favorevole. La disposizione, infatti, prevede che nessuno possa essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione, ma non riproduce il precetto dell'applicazione della legge successiva piu' favorevole all'autore della violazione, contenuto invece, per le sanzioni penali, nell'art. 2, comma 2 c.p. Di qui la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale proposta con la presente ordinanza. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, non ignora il giudicante come la Corte Costituzionale abbia in passato escluso che l'applicazione retroattiva della lex mitior in materia di sanzioni amministrative sia costituzionalmente necessitata (cfr C.Cost. 501/2002, C.Cost. 245/2003). Ritiene tuttavia il giudicante che detta soluzione possa essere rimeditata alla luce delle esigenze di conformita' dell'ordinamento agli obblighi derivanti dall'adesione alla CEDU, cosi' come interpretati dalla recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. A tal proposito si osserva anzitutto che, se presa in considerazione all'interno del sistema della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, la sanzione amministrativa di cui all'art. 3 comma 3 D.L. n. 12/2002 (nella versione introdotta dall'art. 36-bis, comma 7, lett. a) D.L. n. 223/2006) potrebbe essere fondatamente qualificata come «penale». Com'e' noto, infatti, la Corte di Strasburgo da tempo risalente ha ritenuto di natura «penale» - ai fini dell'applicazione delle garanzie dell'equo processo (art. 6 CEDU) - anche sanzioni formalmente qualificate come amministrative negli ordinamenti degli Stati parte della CEDU, in base ai criteri (tra loro alternativi e non cumulativi) della natura del precetto violato e della gravita' della sanzione. In particolare, secondo la Corte europea dei diritti dell'uomo una sanzione - pur qualificata come amministrativa nell'ordinamento nazionale - deve essere ritenuta di natura «penale» ai sensi della Convenzione ove la norma che la commina sia rivolta alla generalita' dei consociati e persegua uno scopo preventivo, repressivo e punitivo e non meramente risarcitoria e/o ove la sanzione suscettibile di essere inflitta comporti per l'autore dell'illecito un significativo sacrificio, anche di natura meramente economica e non consistente nella privazione della liberta' personale (v. in particolare C.edu, 6 agosto 1976, Engel c. Paesi Bassi, nonche', inter alia, C.edu, 21 febbraio 1984, Ozturk c. Germania e 1° maggio 2005, Ziliberberg c. Moldavia). In applicazione di tali criteri, nelle sentenze Menarini c. Italia (27 settembre 2011, ric. 43509/08) e Grande Stevens c. Italia (4 marzo 2014, ric. 18640/10) la Corte europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto di natura «penale» ai sensi dell'art. 6 CEDU, rispettivamente le sanzioni amministrative in materia di concorrenza di cui all'art. 15, legge n. 287/1990 e le sanzioni amministrative in materia di manipolazione del mercato di cui all'art. 187-ter, decreto legislativo n. 58/1998. In specie, ritiene il giudicante che la c.d. maxi sanzione per il lavoro nero debba qualificarsi come «penale» alla luce della giurisprudenza della Corte europea. In primo luogo, infatti, la citata disposizione, rivolta alla generalita' dei consociati, persegue uno scopo non meramente risarcitorio, ma repressivo e preventivo rispetto al fenomeno del lavoro nero in chiave di protezione dell'interesse, di rilevanza costituzionale (artt. 38 Cost.), della tutela previdenziale del lavoro. In secondo luogo, la sanzione astrattamente irrogabile puo' raggiungere un rilevante importo, poiche' compresa tra € 1.500 e € 12.000 per ciascun lavoratore irregolare e maggiorata di € 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo. E difatti, nella fattispecie oggetto di causa, la sanzione ammonta, per 24 giornate di impiego irregolare di 4 lavoratori, alla non modesta cifra di € 10.450,00. Dalla natura «penale» ai sensi della CEDU della sanzione di cui all'art. 3 comma 3 D.L. n. 12/2002 discende, ad avviso del giudicante, l'applicabilita' alle stesse del principio di legalita' penale di cui all'art. 7 CEDU, ai sensi del quale i reati e le pene debbono essere previsti dalla legge. Detto principio, per come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nella sentenza Scoppola c. Italia (17 settembre 2009 ric. 10249/2003) e nella sentenza Mihai Torna e. Romania (24 gennaio 2012, ric. 1051/06), include il principio di applicazione retroattiva, in favore del reo, del trattamento sanzionatorio piu' mite sopravvenuto rispetto alla commissione del fatto. L'acquisita natura di garanzia convenzionale del principio della retroattivita' della lex mitior, unitamente all'inclusione dell'illecito amministrativo e delle relative sanzioni nella materia penale ai sensi della CEDU, comporta il contrasto con l'art. 117 Cost. - per violazione del parametro interposto rappresentato dagli artt. 6 e 7 CEDU - dell'art. 1, legge n. 689/1981, che non prevede, per le sanzioni amministrative, l'applicazione retroattiva della lex mitior e, quindi la necessita' di riconsiderare - superandolo - l'orientamento giurisprudenziale consolidato (cfr Cass. 6712/1999, Cass. SS.UU. 890/1998, Cass. 8074/1998, Cass. 2058/1998, Cass. 11928/1995, Cass. 13246/1992, Cass. 6318/1986, Cons. St. 3497/2010, Cons. St. 2544/2000), avallato in passato dalle sentenze 501/2002 e 245/2003 della Corte Costituzionale, sfavorevole all'applicazione alla materia delle sanzioni amministrative del principio in esame. Del resto, le considerazioni appena svolte erano gia' state prospettate dal Tribunale Cremona, con l'ordinanza n. 447 dell'11 settembre 2013, di promovimento di questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 legge n. 689/81, in relazione alla quale la Corte costituzionale non si e' pronunciata, disponendo con ordinanza n. 247/2013 la restituzione degli atti al rimettente, sul presupposto - non rilevante nella presente fattispecie - del possibile difetto di rilevanza della questione nella causa a quo, per intervenuta declaratoria di illegittimita' costituzionale della sanzione amministrativa della quale doveva in specie farsi applicazione (l'art. 18-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo n. 66 del 2003). Inoltre - come gia' evidenziato dal Tribunale di Cremona nella citata ordinanza n. 447 - la mancata previsione della retroattivita' del trattamento sanzionatorio piu' mite in materia di sanzioni amministrative appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione e col principio di ragionevolezza e uguaglianza. Invero, la stessa Corte costituzionale (cfr C.Cost. 393/2006), occupandosi della legittimita' costituzionale della legge n. 251/2005, ha chiarito che la retroattivita' della legge piu' favorevole, pur non essendo prevista espressamente dalla Costituzione (a differenza dell'irretroattivita' della legge sfavorevole), nemmeno in ambito penale, deve comunque considerarsi espressione di un principio generale dell'ordinamento, legato ai principi di materialita' e offensivita' della violazione, dovendosi adeguare la sanzione alle eventuali modificazioni della percezione della gravita' degli illeciti da parte dell'ordinamento giuridico. Sebbene il principio dell'applicazione retroattiva della lex mitior non sia assoluto, ha spiegato in quell'occasione la Corte, a differenza di quello di cui all'art. 2, primo comma c.p. (e art. 25, secondo comma Cost.) tuttavia la sua deroga deve essere giustificata da gravi motivi di interesse generale (C.Cost. 393/2006, C.Cost. 236/2011), dovendo in tal senso superare un vaglio positivo di ragionevolezza e non un mero vaglio negativo di non manifesta irragionevolezza. Devono cioe' essere positivamente individuati gli interessi superiori, di rango almeno pari a quello del principio in discussione, che ne giustifichino il sacrificio. Non si ravvisano tuttavia nella specie motivi tali da supportare il sacrificio al trattamento piu' favorevole, come dimostra anche la considerazione che, in altri settori, il legislatore ha recentemente introdotto norme del tenore dell'art. 2 commi 2 e 4 c.p. Possono citarsi l'art. 23-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 148/1988 (introdotto dall'art. 1, legge n. 326/2000) in materia di illeciti valutari, l'art. 3 decreto legislativo n. 472/1997 sulle violazioni tributarie (cfr Cass. 1656/2013), l'art. 46, decreto legislativo n. 112/1999 in materia di concessioni del servizio di riscossione, l'art. 3 decreto legislativo n. 231/2001 in materia di responsabilita' amministrativa degli enti per illecito penale. Malgrado si tratti di settori speciali, non sussiste una differenza ontologica tra gli illeciti amministrativi oggetto delle norme citate e la disciplina generale della legge n. 689/1981, ne' si rinvengono motivi di interesse generale tali da giustificare il diverso trattamento. Sussiste quindi violazione dell'art. 3 Cost. anche per cio' che riguarda il principio di uguaglianza, assunte le norme citate come tertium comparationis. Non si ritiene, infine, che l'evidenziato contrasto dell'art. 1 legge n. 689/1981 con l'art. 117 comma 1 (in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU), e con l'art. 3 Cost. possa essere risolto attraverso un'interpretazione conforme alla CEDU e ai parametri costituzionali, in quanto- come gia' rilevato dal Tribunale di Cremona con la citata ordinanza n. 447 - esiste consolidata giurisprudenza (vero e proprio diritto vivente) della Corte di Cassazione, oltre a precedenti negativi della Corte Costituzionale, che, in piu' occasioni, ha ribadito la non applicabilita' del principio della retroattivita' della lex mitior al settore degli illeciti amministrativi, rifiutando un'applicazione analogica dell'art. 2, secondo comma c.p., anche alla luce dell'art. 14 preleggi (cfr Cass. 6712/1999, Cass. SS.UU. 890/1998, Cass. 8074/1998, Cass. 2058/1998, Cass. 11928/1995, Cass. 13246/1992, Cass. 6318/1986, Cons. St. 3497/2010, Cons. St. 2544/2000) e considerando i limitati casi in cui il principio della retroattivita' della lex mitior opera come casi settoriali, non estensibili oltre il loro ristretto ambito di applicazione. Avendo dato esito negativo il tentativo di interpretazione conforme, e non essendo possibile fare applicazione della disposizione ritenuta in contrasto con la CEDU e la Costituzione, va sollevata questione di legittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 117 comma 1 (in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU), e dell'art. 3 Cost. dell'art. 1, legge n. 689/1981, nella parte in cui lo stesso non prevede, diversamente dall'art. 2, comma 4 c.p. l'applicazione all'autore dell'illecito amministrativo della legge successiva piu' favorevole. (1) Non rileva nel presente giudizio, relativo a sanzioni amministrative e non a sanzioni civili ex lege 388/2000, che il comma 3 dell'art. 3 prevedesse altresi' che «l'importo delle sanzioni civili connesse all'omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore di cui al periodo precedente non puo' essere inferiore a € 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata» e che detta parte della disposizione sia stata dichiarata illegittima, per irragionevolezza, da Corte cost. n. 254/2014. (2) L'ultima parte del comma in parola prevede altresi' in relazione alle sanzioni civili: «l'importo delle sanzioni civili connesse all'evasione dei contributi e dei premi riferiti a ciascun lavoratore irregolare di cui ai periodi precedenti e' aumentato del 50 per cento».
P.Q.M. Il Giudice del Lavoro di Como, 1. visti gli artt. 134 Cost. e 23 legge n. 87/1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 legge n. 689/1981 per violazione dell'art. 117 comma 1 Cost. in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU; 2. visti gli artt. 134 Cost. e 23 legge n. 87/1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 legge n. 689/1981 per violazione dell'art. 3 Cost.; 3. dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio; 4. manda alla Cancelleria perche' la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Como, 27 marzo 2015 Il Giudice del lavoro: Tomasi