N. 168 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 aprile 2015

Ordinanza del 17 aprile  2015  del  Tribunale  di  Roma  sull'istanza
proposta da Vercelli Giuseppe. 
 
Spese di giustizia - Liquidazione  dell'onorario  e  delle  spese  al
  difensore  d'ufficio  -  Previsione  che  l'onorario  e  le   spese
  spettanti al difensore di ufficio sono  liquidati  dal  magistrato,
  con le modalita' previste, quando il difensore  dimostra  di  avere
  esperito inutilmente le  procedure  per  il  recupero  dei  crediti
  professionali - Ingiustificato trattamento di favore del  difensore
  di ufficio di un imputato resosi irreperibile rispetto a tutti  gli
  altri difensori di  fronte  a  una  situazione  di  insolvenza  del
  proprio assistito - Violazione del principio di  buon  andamento  e
  imparzialita' della pubblica amministrazione. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 30  maggio  2002,  n.  115,
  art. 116. 
- Costituzione, artt. 3 e 97. 
(GU n.36 del 9-9-2015 )
 
                          TRIBUNALE DI ROMA 
                         (Sezione IV Penale) 
 
    Ordinanza propositiva di questione di legittimita' costituzionale
- articolo 23, comma 3, legge 11 marzo 1953, n. 87 
    Il giudice, dott.  Pierluigi  Picozzi,  esaminati  gli  atti  del
procedimento  iscritto  al  n.  11601  del  Registro   Generale   del
Dibattimento dell'anno 2012 e vista l'istanza presentata in  data  18
luglio 2014 (ma consegnata a questo stesso giudice solo  in  data  12
marzo 2015) dall'avv.  Giuseppe  Vercelli,  con  la  quale  e'  stata
chiesta la liquidazione degli  onorari  professionali  spettanti  per
l'attivita' prestata quale difensore di ufficio di  Rachid  Zahraoui,
imputato nel detto procedimento, rileva quanto segue. 
    L'avv.  Vercelli  ha  avanzato  la  suddetta  istanza  ai   sensi
dell'articolo 116 del Decreto  del  Presidente  della  Repubblica  30
maggio 2002, n. 115. Egli, infatti, nominato difensore di ufficio, ai
sensi dell'articolo 97, comma 1,  c.p.p.,  del  cittadino  marocchino
Rachid Zahraoui nel corso dell'udienza del  3  luglio  2012,  non  e'
riuscito ad ottenere il pagamento delle proprie spettanze, in  quanto
non e' stato in grado di reperire  il  suo  assistito,  nonostante  i
tentativi   di   rintraccio   posti   in   essere   e    documentati.
Sussisterebbero, dunque, le condizioni previste  dalla  norma  citata
(«... quando il difensore dimostra di aver  esperito  inutilmente  le
procedure per il recupero dei crediti professionali)  perche'  questo
giudice debba procedere all'accoglimento dell'istanza. 
    Si dubita,  tuttavia,  della  legittimita'  costituzionale  della
norma richiamata in relazione agli articoli  3  -  sotto  un  duplice
profilo - e 97 della Costituzione. 
    Prima di esplicitare tali dubbi, peraltro, preme evidenziare,  da
un lato, come la questione proposta debba ritenersi ammissibile  alla
luce della natura giudiziale del procedimento introdotto dall'istanza
del difensore, confermata  dalla  possibilita'  di  impugnazione  del
provvedimento decisorio, prevista dallo stesso articolo 116,  secondo
le modalita' di cui all'articolo 84 del medesimo d.P.R. n. 115/2002 e
gia' ritenuta dalla Corte costituzionale in vari precedenti (si veda,
da ultimo, l'ordinanza n. 191 del  2013,  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale n. 29 del 17 luglio 2013) che hanno preso in esame la norma
evidenziata, sia pure sotto diversi profili. 
    Dall'altro  l'evidente  rilevanza  dell'eventuale  pronuncia   di
illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  116  nel  procedimento
sopra  ricordato,  atteso   che   cio'   comporterebbe   il   rigetto
dell'istanza proposta dall'avv. Vercelli. 
    Sotto un primo profilo, l'articolo 116  del  d.P.R.  n.  115/2002
appare introdurre un  principio  di  irragionevole  disparita'  -  in
contrasto, dunque, con il disposto dell'articolo 3 della Costituzione
- tra il difensore di ufficio  di  un  imputato  resosi  irreperibile
(indipendentemente da una formale dichiarazione al riguardo, ai sensi
dell'articolo 159 c.p.p.: fattispecie  presa  in  esame  dal  diverso
articolo 117 del d.P.R. n. 115/2002)  o,  addirittura,  semplicemente
non in grado di onorare l'obbligazione assunta  (per  come  la  norma
viene interpretata dalla giurisprudenza  della  Suprema  Corte:  vedi
Cassazione, Sezione VI civile, ordinanza 20 dicembre 2011, n.  27854,
o Cassazione, Sezione IV penale, 26 marzo 2009, n. 27473) e tutti gli
altri difensori impegnati in processi  penali  o  civili  -  per  non
parlare delle altre categorie di liberi professionisti o imprenditori
- che si trovino a fronteggiare  una  situazione  di  insolvenza  del
proprio assistito. Il difensore considerato dall'articolo 116 citato,
in sostanza, vede garantito  e  tutelato  il  proprio  credito  dallo
Stato, mentre il difensore di  fiducia  di  un  imputato  altrettanto
impossidente o irreperibile  o  il  difensore  di  una  parte  in  un
processo civile, devono sopportare l'onere ed il rischio di non poter
vedere soddisfatto il proprio credito.  Tale  disparita'  non  appare
giustificata dal bilanciamento con  il  diritto  di  difesa  previsto
dall'articolo 24 della Costituzione, che, con tutta evidenza, mira  a
tutelare anche le parti dei procedimenti civili o  gli  imputati  che
intendono avvalersi di un difensore di propria  fiducia.  Ne'  appare
fondata l'obiezione che la necessita' di assicurare la difesa anche a
coloro  che  si  disinteressano  del  giudizio  a   proprio   carico,
giustifichi l'assunzione dell'onere  delle  spese  del  difensore  da
parte dello Stato: se, infatti, a differenza  dell'assunzione  di  un
mandato fiduciario, l'incarico della difesa di ufficio deve ritenersi
obbligatorio per  il  professionista  designato,  l'iscrizione  nelle
liste dei difensori di ufficio avviene, comunque, su base volontaria.
Ciononostante, in virtu' dell'articolo 116 del  d.P.R.  n.  115/2002,
l'avvocato incaricato di ufficio viene escluso  dalla  condizione  di
accettazione del rischio di insolvenza del proprio assistito  in  cui
invece si trova il suo collega che assume un incarico fiduciario. Non
puo' rilevare, peraltro, come elemento discriminante, l'anticipazione
della valutazione  di  tale  rischio  -  connessa  al  momento  della
iscrizione  nelle  liste  e,  dunque,  disgiunta   dalla   conoscenza
personale  dell'assistito  -  che  appare,  invero,  compensata   dal
meccanismo casuale di  assunzione  dell'incarico  e  dall'affidamento
degli incarichi stessi  indipendentemente  dalla  predisposizione  di
un'attivita' imprenditoriale di procacciamento della clientela. 
    E' appena il caso di osservare che  la  previsione  dell'articolo
116 del  d.P.R.  n.  115/2002  non  appare  necessitata  dal  dettato
dell'articolo 24, comma 3,  della  Costituzione,  che  e'  pienamente
rispettato dal legislatore attraverso il meccanismo del patrocinio  a
spese dello Stato di cui agli articoli 74 e seguenti (in  particolare
90 e seguenti con riferimento  al  processo  penale)  del  d.P.R.  n.
115/2002. Cosi' come l'articolo 36 della Costituzione, nel  prevedere
il diritto di qualunque lavoratore ad una retribuzione  proporzionata
alla quantita' e qualita' del lavoro svolto, non  ammette  differenze
tra   lavoratori   della   medesima   categoria   che   giustifichino
l'intervento statale a tutela del compenso solo per alcuni di essi  a
parita' di prestazioni svolte. 
    Il richiamo alla disciplina dell'ammissione al patrocinio a spese
dello  Stato  consente  di   introdurre   il   secondo   profilo   di
irragionevole disparita' - e, dunque, di contrasto con  l'articolo  3
della Costituzione - cui si e' accennato con riferimento all'articolo
116 del d.P.R. n. 115/2002. Le norme in questione, invero,  prevedono
da, un lato una serie di oneri e di assunzioni di responsabilita' per
l'istante - riassunti nell'articolo 79 del d.P.R.  n.  115/2002  -  e
dall'altro una serie di  limiti  alla  possibilita'  di  accedere  al
beneficio - esplicitati negli articoli 76, 91  e  92  del  richiamato
Decreto.  Inoltre,  l'istante  e'  sottoposto  al   controllo   della
sussistenza delle condizioni per accedere al patrocinio, sia  in  via
preventiva (articolo 96, comma 2, d.P.R. n. 115/2002) che  successiva
(articoli 88 e 98 del detto  d.P.R.)  ed  il  beneficio  puo'  essere
revocato (articolo 112 del d.P.R. n. 115/2002). Senza considerare  le
sanzioni penali previste dall'articolo 95 in  caso  di  dichiarazioni
non  corrispondenti  al  vero.  Nulla  di  tutto  cio'  e'   previsto
dall'articolo 116 in questione: il pagamento dell'onorario  difensivo
e'  rimesso  a  carico  dello  Stato  indipendentemente  dal  reddito
dell'assistito, dai suoi precedenti penali, dal titolo di  reato  per
cui e' stato processato.  E'  sufficiente  che  egli  non  sia  stato
reperito  dal  difensore  (peraltro  senza  neppure  la  garanzia  di
ricerche accurate, come quelle previste dall'articolo 159  c.p.p.)  o
che si sia dimostrato insolvente nei  suoi  confronti  (senza  alcuna
valutazione   in   ordine   al   possibile   occultamento   di   beni
patrimoniali), perche' il credito del professionista venga  garantito
dallo Stato. Tenuto conto che il patrocinio a spese dello  Stato  e',
ovviamente, garantito anche a chi e' assistito  da  un  difensore  di
ufficio, la  disparita'  sopra  evidenziata  si  rende  palese  nella
considerazione del vantaggio che ha tale difensore a  trovarsi  nelle
condizioni di cui all'articolo 116 citato (e, dunque, eventualmente a
favorirne la realizzazione) piuttosto che a  dover  intraprendere  la
farraginosa procedura di cui agli articoli 74 e seguenti  del  d.P.R.
n. 115/2002. Tanto piu' che, anche qualora il suo  assistito  dovesse
vedersi rigettata l'istanza di ammissione, egli puo' comunque vedersi
garantire  il  compenso  qualora  ricorrano  le  condizioni  di   cui
all'articolo 116 in questione. 
    L'agevole accesso al rimedio di cui alla  norma  che  si  intende
sottoporre al vaglio di legittimita' introduce l'ultimo degli aspetti
di contrasto  della  stessa  con  il  dettato  costituzionale  e,  in
particolare, con il principio  di  buon  andamento  ed  imparzialita'
dell'amministrazione di cui all'articolo 97  della  Costituzione.  La
certezza  di  veder   remunerato   il   proprio   operato,   infatti,
indipendentemente da ogni  valutazione  circa  la  sua  efficacia  e,
soprattutto, la sua necessita' e da ogni  confronto  con  il  proprio
cliente, puo', infatti, spingere il difensore - al  di  la'  di  ogni
considerazione degli aspetti deontologici di tale comportamento -  ad
effettuare scelte di strategia processuale che non siano  finalizzate
al miglior interesse del suo assistito, ma a garantirsi un piu'  alto
compenso. Le modalita' di liquidazione degli onorari del difensore da
parte del giudice, previste dalla legge, portano, infatti, a ritenere
meno vantaggioso per il legale, ad esempio, adire un rito alternativo
a quello ordinario ovvero inducono la  proposizione  di  impugnazioni
anche nel caso di palese infondatezza delle stesse.  Tutte  soluzioni
che il controllo del proprio  assistito  o  la  consapevolezza  della
difficolta' nel recupero del proprio  credito,  comune  a  quella  di
qualsiasi altro  professionista,  contribuiscono  a  calmierare,  con
notevole sgravio per le gia' ingolfate strutture giudiziarie. 
    Alla luce delle considerazioni sopra esposte, il procedimento per
la liquidazione delle competenze richieste  dall'avv.  Vercelli  deve
essere sospeso, con rimessione degli atti  dello  stesso  alla  Corte
costituzionale. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'articolo 23, comma 3, della Legge 11 marzo 1953,  n.  87,
solleva questione di legittimita'  costituzionale  dell'articolo  116
del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002,  n.  115,
per contrasto con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, nei termini
di cui in motivazione. 
    Dispone la sospensione del  procedimento  di  liquidazione  degli
onorari instaurato con istanza dell'avv. Giuseppe Vercelli depositata
in data 18 luglio 2014  e  la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale. 
    Dispone che la presente  ordinanza  sia  notificata  al  pubblico
ministero, all'avv. Vercelli ed alla  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei  deputati
e del Senato. 
        Roma, addi' 17 aprile 2015. 
 
                         Il giudice: Picozzi