N. 193 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 maggio 2015

Ordinanza del 5 maggio 2015 del Tribunale di  Roma  nel  procedimento
civile promosso da S. F. contro Azienda USL Roma E. 
 
Impiego pubblico  -  Ferie  maturate  e  non  godute  all'atto  della
  cessazione del rapporto -  Previsione  che  non  danno  luogo  alla
  corresponsione di trattamenti economici  sostitutivi  -  Previsione
  che la violazione  oltre  a  comportare  il  recupero  delle  somme
  indebitamente erogate e' fonte di responsabilita'  disciplinare  ed
  amministrativa per  il  dirigente  responsabile  -  Violazione  del
  principio di uguaglianza  per  irragionevolezza  -  Violazione  del
  principio della retribuzione proporzionata ed  adeguata  -  Lesione
  del diritto alle ferie annuali  retribuite  e  non  rinunciabili  -
  Violazione di obblighi  internazionali  derivanti  dalla  normativa
  comunitaria (art. 7, comma 2, Direttiva CE 2003/88). 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,
  dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 5, comma 8. 
- Costituzione, artt. 3, 36, commi primo e terzo, e 117, primo comma,
  in relazione all'art. 7 della Direttiva 2003/88/CE del  4  novembre
  2003. 
(GU n.40 del 7-10-2015 )
 
                        IL TRIBUNALE DI ROMA 
                        Sezione Terza Lavoro 
 
    In persona del giudice dott. Dario Conte, sciogliendo la  riserva
assunta all'udienza del 2 marzo 2015, ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    nel procedimento  indicato  in  epigrafe,  vertente  tra:  S.  F.
elett.nte domiciliato in Roma, presso  l'Avv.  Paola  Cimei,  che  lo
rappresenta e difende - ricorrente; 
    e  Azienda  USL  Roma  E,  elett.nte  domiciliata  in  Roma,  via
dell'Elettronica n. 20, presso l'Avv. Giuseppe Piero Siviglia, che la
rappresenta e difende - convenuta; 
    Con ricorso depositato l'8 agosto 2014 S. F. ha qui convenuto  in
giudizio la Azienda USL Roma E. 
    Esposto:  di  aver  lavorato  alle  dipendenze  di  questa   come
dirigente medico fino al 1° febbraio 2013, quando era stato collocato
a riposo; che alla cessazione del rapporto di lavoro  aveva  maturato
222 giorni di ferie non godute; che la mancata  fruizione  era  stata
determinata dalle gravi malattie  di  cui  era  affetto  (cardiopatia
sulla quale si era innestato un linfoma  non  Hodkin),  che,  a  loro
volta, avevano fatto si che dal  gennaio  2010  alla  cessazione  del
rapporto egli, tra periodi di malattia, fruizione di permessi ex lege
104/92, assenze per cure climatiche, etc.),  negli  ultimi  tre  anni
fosse stato assente dal servizio per oltre complessivi anni due; che,
fatta richiesta il 20  marzo  2013  della  corrispondente  indennita'
sostitutiva, l'Amministrazione gliel'aveva negata  con  provvedimento
del 22 aprile 2013, per il divieto di monetizzazione posto  dall'art.
5, comma 8, del d.l. n. 95/2012, convertito in legge n. 135/2012; 
    dedotto:  che  il  diritto  alle  ferie  era   costituzionalmente
garantito dall'art. 36, comma 3, in modo irrinunciabile; e  dall'art.
7 della Direttiva CE 2003/88; che  il  lavoro  prestato  nei  periodi
destinati al riposo feriale andava retribuito anche agli effetti  del
primo comma del medesimo art. 36 Cost., e quindi  la  cd.  indennita'
sostitutiva delle ferie non godute  aveva  anche  e  prima  di  tutto
natura retributiva, sicche' l'eventuale  assenza  di  responsabilita'
del datore di lavoro non poteva ostare al beneficio; che  sebbene  la
disposizione legislativa  invocata  dall'Amministrazione  escludesse,
per  evidenti  ragioni  di  contenimento  della  spesa  pubblica,  il
trattamento  economico  sostitutivo,  lo  stesso  Dipartimento  della
Funzione  Pubblica,  con  nota  dell'8  ottobre  2012,  aveva  negato
l'esistenza della preclusione nel caso  di  conclusione  anomala  del
rapporto di  lavoro  seguente  ad  eventi  che  avevano  impedito  la
fruizione delle ferie maturate per causa  non  imputabile  ad  alcune
delle parti, assumendo che la disposizione aveva per  "ratio"  quella
di colpire le condotte abusive di mancata fruizione/concessione delle
ferie con ricorso alla monetizzazione; e sarebbe invece irragionevole
ed ingiustificata se le ferie non fossero state godute per ragioni di
salute; chiedeva condannarsi il convenuto al pagamento in suo  favore
della somma di € 86.369,10, oltre accessori e spese. 
    Resisteva la Azienda USL Roma E chiedendo  respingersi  l'avversa
domanda  perche',  anche  a  seguire  l'orientamento  della  Funzione
Pubblica, nella specie il S. non era stato ininterrottamente assente,
alternando ripetutamente periodi di malattia e periodi di servizio, e
questi ultimi erano stati in numero tale da consentirgli  negli  anni
2010/2013 l'intera maturazione delle ferie maturate. 
    Osserva il giudicante che l'art. 5, comma 8, del d.l. n.  95/2012
convertito in legge n. 135/2012 prevede che "le ferie, i riposi ed  i
permessi spettanti al personale,  anche  di  qualifica  dirigenziale,
delle  amministrazioni  pubbliche  inserite   nel   conto   economico
consolidato  della   pubblica   amministrazione,   come   individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (Istat) ai sensi  dell'art.  1,
comma 2, della legge 31 dicembre 2009 n. 196, nonche' delle autorita'
indipendenti ivi inclusa la  Consob,  sono  obbligatoriamente  fruiti
secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno  luogo
in  nessun  caso  alla  corresponsione   di   trattamenti   economici
sostitutivi. La presente disposizione si applica  anche  in  caso  di
cessazione  del  rapporto  di  lavoro  per   mobilita',   dimissioni,
risoluzione, pensionamento  e  raggiungimento  del  limite  di  eta'.
Eventuali  disposizioni  normative  e  contrattuali  piu'  favorevoli
cessano di avere applicazione a decorrere dall'entrata in vigore  del
presente decreto. La violazione della presente disposizione, oltre  a
comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, e' fonte di
responsabilita'  disciplinare  ed  amministrativa  per  il  dirigente
responsabile". 
    Tale disposizione e' stata  modificata  dall'art.  1,  comma  55,
della legge n. 228/2012, con  una  aggiunta  che  esclude  dalla  sua
applicazione alcune categorie di personale che qui non interessano. 
    Il caso in esame appare rientrare inequivocabilmente nel  divieto
di monetizzazione posto dalla disposizione. 
    L'Amministrazione convenuta rientra nel novero di quelle soggette
a tale disposizione. 
    L'attore  risulta  cessato  per  collocamento  in  quiescenza,  a
domanda   (come   risulta    dalla    richiesta    di    liquidazione
dell'indennita'), o forse per collocamento a riposo  d'ufficio,  casi
entrambi  comunque  espressamente  contemplati  dalla   disposizione.
Questa peraltro afferma di applicarsi "anche" ai casi  di  cessazione
del rapporto di lavoro per dimissioni, risoluzione,  pensionamento  e
raggiungimento del limite di eta', e quindi non solo a detti casi. Se
a questo si aggiunge che la  monetizzazione  non  e'  consentita  "in
nessun  caso",  appare  evidente  che  la  causa  di  cessazione   e'
indifferente rispetto al divieto. 
    Consta in atti che il Dipartimento della Funzione Pubblica  della
Presidenza del Consiglio dei Ministri, con nota del 5 agosto 2012, ha
espresso il parere che la disposizione, in  quanto  non  retroattiva,
non troverebbe  applicazione  per  ferie  maturate  prima  della  sua
entrata in vigore, e nel caso in cui la fruizione secondo le  cadenze
previste dalla legge e dal CCNL sia stata impedita da fatti obiettivi
non imputabili ad alcuno. 
    In altro prodotto parere privo di data la F.P. trae argomento dal
fatto che la disposizione faccia riferimento a  cause  di  cessazione
prevedibili (collocamento  a  riposo)  o  determinate  da  fatto  del
lavoratore (mobilita', dimissioni, risoluzione), per  sostenere  che,
anche per la necessita' di preservare la compatibilita' della  regola
coi principi costituzionali e comunitari, il divieto opererebbe  solo
nei casi in cui sarebbero state praticabili (da entrambe le parti) le
iniziative  necessarie  per  consentire  la  fruizione  delle   ferie
maturate prima della cessazione del  rapporto;  e  non,  invece,  nei
casi, quale la cessazione del  rapporto  seguita  ad  un  periodo  di
malattia, in cui la mancata fruizione delle ferie  fosse  determinata
da causa non dipendente ne' dalla volonta' del lavoratore, ne'  dalla
capacita' organizzativa del datore di lavoro. 
    In  senso  analogo  risulta  essersi  pronunciata  la  Ragioneria
Generale dello Stato con parere del 14 settembre 2012. 
    L'art. 5, comma 8 cit., non sembra consentire siffatte esegesi. 
    La disposizione in questione e' entrata in  vigore  il  7  luglio
2012, e, nella sostanza: 
      a) obbliga le parti a fruire e far  fruire  le  ferie  maturate
secondo quando  maturano,  e  comunque  prima  della  cessazione  del
rapporto; 
      b) nel caso il pubblico dipendente cessi con ferie  maturate  e
non godute, ne vieta la monetizzazione. 
    L'attore e' cessato dal servizio il 7 febbraio  2013,  quando  la
disposizione gia' vigeva. 
    Stando a quanto si assume in ricorso e trova riscontro agli atti,
dal  7  luglio  2012  l'attore  avrebbe  potuto  fruire  delle  ferie
accumulate dal 10 al 22 luglio, dal 29 luglio al 15 agosto, dal 1° al
20 settembre, dal 28 settembre al 3 ottobre,  dal  20  ottobre  al  2
novembre, dal 4 novembre al 9 novembre; dal 11 al 26 novembre; dal 1°
al 14 dicembre; dal 16 al 21 dicembre; dal 23 al 28 dicembre; dal  30
dicembre al 4 gennaio; dal 7 all'11 gennaio; dal 13  al  18  gennaio;
dal 22 al 26 gennaio. 
    Non la avrebbe recuperate tutte, ma in parte si. 
    Peraltro l'arretrato di ferie non appare  totalmente  determinato
dalla malattia, perche' consta in  atti  che  l'attore,  nel  gennaio
2010, epoca di inizio della sua elevata morbilita',  aveva  gia'  113
giorni di ferie arretrati per gli anni precedenti. 
    Da  allora,  e'  stato   spesso   in   malattia,   peraltro   non
ininterrotta, e l'accumulo patologico avrebbe potuto ridursi  solo  a
condizione che l'attore non lavorasse pressoche' mai.  Per  converso,
esso e' aumentato, essendosi l'attore, come assume, sentito in dovere
di prestare  attivita'  lavorativa  nei  (pochi)  giorni  in  cui  la
malattia (in parte, peraltro, riconosciuta  dipendente  da  causa  di
servizio) e le esigenze di cura  glielo  consentivano,  e  quindi  di
astenersi dal chiedere le ferie. 
    La disposizione ha riguardo alle  ferie  maturate  solo  riguardo
all'obbligo di fruizione, e per inferire che dal  7  luglio  2012  le
parti avrebbero dovuto fruire/far fruire le ferie fin li' maturate  e
non godute non e' necessaria alcuna  applicazione  retroattiva  della
disposizione. 
    La disposizione parla di  ferie  maturate  senza  operare  alcuna
distinzione tra ferie maturate dopo l'entrata in vigore del decreto e
ferie  maturate  prima.  Anzi  parlando  di  ferie  maturate,  e  non
"maturande", ha chiaro riguardo a tutte le ferie gia' maturate. 
    Tale lettura appare invincibilmente coerente con la "ratio" della
disposizione, che si radica in esigenze di contenimento  della  spesa
pubblica. Se ci sono ferie maturate arretrate,  la  fruizione  ed  il
recupero vanno consentiti ed imposti  "a  fortiori",  perche'  se  si
fanno fruire solo quelle  correnti,  il  lavoratore  e'  destinato  a
cessare con un credito feriale, che e' proprio cio'  che  si  intende
evitare. 
    La  distinzione  inerente   l'imputabilita'   al   prestatore   o
all'amministrazione (considerate, se ben si  comprende,  nella  tesi,
equivalenti) della mancata fruizione delle ferie maturate non  sembra
trovare alcun fondamento ne' testuale ne' logico-giuridico. 
    I casi che la disposizione  indica  come  casi  in  cui  essa  si
applica "anche", risultano in effetti essere accomunati dal fatto  di
essere  determinati  da  fatto   del   lavoratore   o   programmabile
dall'amministrazione, ma comprendono in effetti la generalita'  delle
cause di cessazione come tali. 
    In ogni caso la disposizione dice "anche"; lo fa dopo aver  posto
il divieto di monetizzazione  in  termini  generalizzati;  dopo  aver
detto che la monetizzazione non e' consentita "in nessun caso"; e per
un fine che per sua natura non consente di fondare su di esso  alcuna
distinzione. 
    La disposizione non contiene infine  alcun  riferimento,  diretto
ne'  mediato,  all'imputabilita'  della   mancata   fruizione   (che,
evidentemente, non ha in se' niente a che  vedere  con  la  causa  di
cessazione), ne' alle ragioni di eventuali impedimenti  al  riguardo,
quale fattore rilevante nel divieto. 
    La domanda andrebbe dunque,  sulla  base  di  tale  disposizione,
respinta,  perche'  il  divieto   di   monetizzazione   posto   dalla
disposizione appare pienamente applicabile alla  fattispecie,  e  non
dipendere ne' dalla materiale possibilita' di fruizione  delle  ferie
rimaste non godute (possibilita' che peraltro almeno in parte  c'era)
ne' dalla responsabilita' all'una o all'altra parte  per  la  mancata
fruizione. 
    La disposizione, poi, nel dire (in modo piuttosto anodino) che le
ferie "sono obbligatoriamente fruite"  sembra  porre  un  obbligo  di
fruizione a carico del lavoratore, o quantomeno, a carico di  questi,
un onere di cooperazione nella fruizione del diritto. 
    Vige, peraltro, anche nel pubblico impiego, ex  art.  2,  decreto
legislativo n. 165/2001, l'art. 2109 c.c., che dice  che  il  periodo
feriale e' stabilito dal datore di lavoro, seppur tenuto conto  degli
interessi del lavoratore. La fruizione delle ferie e' quindi prima di
tutto un diritto irrinunciabile, cui corrisponde un obbligo datoriale
di preordinazione del periodo feriale. Non appare dunque  predicabile
che il diritto alla fruizione delle ferie  sia  condizionato  da  una
domanda, cosa che in via generale non e' prevista e che implicherebbe
la possibilita' che il lavoratore rinunci  alle  ferie  semplicemente
astenendosi dal chiederle. 
    Nella specie,  il  C.C.N.L.  94/97  per  la  dirigenza  medica  e
veterinaria del S.S.N., che il giudice conosce d'ufficio ex art.  47,
comma 8, decreto legislativo n.  165/2001,  e  che  risulta  ad  oggi
l'unico a regolare la fattispecie all'art. 21, nel prevedere  che  le
ferie sono fruite dal dirigente anche frazionatamente  nel  corso  di
ciascun  anno  solare   nel   rispetto   dell'assetto   organizzativo
dell'azienda, non sembra derogare in via generale all'art. 2109 c.c.,
se non quanto alla facolta' del prestatore di godere delle  ferie,  a
domanda, in modo frazionato, sempreche' non ostino contrarie  ragioni
aziendali; ne' attribuire al medesimo un  diritto  incondizionato  di
gestirsele  ("per  incidens",  la  dirigenza  medica  non  e'   certo
dirigenza nel senso tradizionale di preposizione all'azienda o  a  un
suo ramo, sicche' non appare nella specie ipotizzabile  che  l'attore
potesse mettersi in ferie quando voleva: arg.  ex  Cass.  13953/2009;
9146/2009); mentre  il  relativo  comma  13,  che  prevede  che  alla
cessazione del rapporto di lavoro le ferie sono monetizzabili se  non
fruite per esigenze  di  servizio  o  per  cause  indipendenti  dalla
volonta' .del dirigente, oltre a  restare  potenzialmente  esposto  a
giudizio di nullita' per  contrarieta'  a  norme  imperative  secondo
quanto si viene ad ipotizzare, e secondo Cass. 9146/2009 cit., lascia
almeno spazio alla monetizzazione in caso di  mancata  fruizione  non
imputabile al lavoratore, cosa che l'art. 5 cit. neppure di perita di
prevedere. 
    Orbene, la disposizione appare  di  (assai)  dubbia  legittimita'
costituzionale, nella parte (che si ritiene essere almeno  quella  in
grassetto) in cui essa vieta, in termini sostanzialmente assoluti, la
monetizzazione delle ferie  maturate  e  non  godute  all'atto  della
cessazione del rapporto di lavoro; ed a maggior ragione in quanto  lo
fa a prescindere da qualsiasi valutazione inerente la responsabilita'
della mancata fruizione delle ferie. 
    L'art. 36, comma 3, della Costituzione prevede che il  lavoratore
ha diritto a ferie annuali retribuite, e non puo' rinunciarvi. 
    L'art. 7 della Direttiva  CE  n.  2003/88,  cui  la  legislazione
italiana deve attenersi ai sensi dell'art.  117  della  Costituzione,
prescrive che "Gli Stati prendono le misure necessarie affinche' ogni
lavoratore  benefici  di  ferie  annuali  retribuite  di   almeno   4
settimane, secondo le condizioni  di  ottenimento  e  di  concessione
previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali. Il  periodo  minimo
di  ferie  annuali  non  puo'  essere  sostituito  da   un'indennita'
finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro". 
    L'art. 10, del decreto legislativo n. 66/2003 e s.m.  attua  tali
previsioni prevedendo che le ferie vanno godute nel  corso  dell'anno
di maturazione e, per massimo due settimane, nei 18  mesi  successivi
all'anno  di  maturazione,  e  che  tale  diritto  non  puo'   essere
sostituito dall'indennita' per ferie non godute,  salvo  il  caso  di
risoluzione del rapporto di lavoro. 
    Da tale sistema si  evince  che  le  ferie  vanno  essenzialmente
godute in natura, di regola entro l'anno di  maturazione  e  comunque
entro un lasso di  tempo  che  non  ne  pregiudichi  la  funzione  di
reintegrazione delle energie psico-fisiche. Doverosamente, quindi, il
legislatore appresta ogni misura necessaria a far  si  che  le  ferie
siano effettivamente fruite secondo quando maturano, e vieta che, nel
corso del rapporto di lavoro, il diritto alla fruizione in natura sia
sostituito dalla monetizzazione, stante anche il fatto  che  cio'  si
risolverebbe nella rinuncia alle ferie in cambio di  denaro,  vietata
da Cost. 36/3. 
    Il  giudicante  non  trova  ragione  per  non  ammettere  che  la
fruizione  delle  ferie,  oltre  a  formare  oggetto  di  un  diritto
irrinunciabile del lavoratore, possa formare anche - in certi  limiti
- oggetto di un obbligo in capo a questi, in ragione della necessita'
di evitare che la mancata fruizione dia luogo ad un aggravio di spesa
pubblica. 
    Non  appare,  pero',  costituzionalmente  legittimo  vietare   la
monetizzazione delle ferie maturate e non godute alla cessazione  del
rapporto; e men che  meno  prescindendo  totalmente  dalla  eventuale
responsabilita' delle parte datoriale  e  dell'eventuale  assenza  di
responsabilita' del lavoratore per la mancata fruizione. 
    Si deve  premettere  che  in  linea  di  principio  cio'  che  e'
irrinunciabile e' la  fruizione  delle  ferie  in  natura.  Tuttavia,
l'art. 7 della Direttiva Ce cit., nel vietare la monetizzazione delle
ferie salvo il caso della cessazione del  rapporto  di  lavoro,  pare
implicare che se il rapporto di lavoro cessa con ferie maturate e non
godute, lo  stesso  diritto  all'indennita'  sostitutiva  costituisce
diritto  comunitario  sostitutivo   inderogabile.   Il   divieto   di
monetizzazione in corso di rapporto ha infatti  la  funzione  di  non
vanificare la fruizione del riposo quale bene in  natura.  Una  volta
che questo, per la cessazione del rapporto,  resti  irreversibilmente
pregiudicato,  appare  implicato  che  l'indennita'  sostitutiva  sia
comunque dovuta. 
    La Corte di Giustizia Europea, nella sentenza 20 gennaio 2009  in
C. - 350/2006, ha stabilito che nel caso in  cui  il  lavoratore  non
abbia potuto fruire in tutto o in parte delle ferie  alla  cessazione
del rapporto di lavoro a causa di malattia, l'art. 7, comma  2  della
Direttiva esige che gli si riconosca il  diritto  ad  una  indennita'
finanziaria. La  stessa  Corte,  nella  sentenza  3  maggio  2012  in
C-337/2010, ha ribadito lo stesso principio. In  buona  sostanza,  la
Corte afferma che la stessa indennita' sostitutiva e' dovuta in forza
della Direttiva, almeno se la mancata fruizione delle  ferie  non  e'
dovuta a causa imputabile al lavoratore. 
    Nei casi esaminati dalla Corte l'impedimento era stato  assoluto,
trattandosi di ferie maturate in periodi di malattia  ininterrotti  o
durati per un  tempo  tale  da  impedire  obiettivamente  l'integrale
fruizione delle ferie. 
    Pur tuttavia, se il fatto  che  la  Corte  abbia  dato  rilevanza
all'imputabilita' o meno al lavoratore della mancata fruizione  delle
ferie implica che, ai fini  del  diritto  comunitario  del  beneficio
economico,   la   responsabilita'   esclusiva   di    questi    possa
legittimamente assumere portata ostativa; considerato  che  ai  sensi
dell'art. 7 gli Stati membri debbono assumere le misure necessarie  a
garantire il diritto alla fruizione e che, per principio  comunitario
generale, tutte le autorita' pubbliche  degli  Stati  membri  debbono
concorrere, secondo le competenza di ciascuno,  all'attuazione  delle
direttive  (CGE  1/6/99  in  C-302/97,  Konle;   CGE   30/9/2003   in
C-224/2001, Kobler); non appare conforme al diritto comunitario  che,
in caso di mancata fruizione delle ferie a fine rapporto  il  diniego
del  diritto  all'indennita'  sostitutiva  si   fondi   puramente   e
semplicemente  sulla  mancata  fruizione,   come   se   la   relativa
responsabilita' fosse per definizione tutta e solo del prestatore. 
    Se non ci fosse l'art. 5, comma 8 qui censurato,  questo  giudice
potrebbe, nella peggiore delle ipotesi, almeno valutare se  nel  caso
di specie, del tutto particolare, la mancata  fruizione  delle  ferie
trovi in tutto o in parte causa imputabile al lavoratore; se  vi  sia
colpa datoriale esclusiva  o  in  concorso;  e  se  tali  circostanze
debbano avere  incidenza  nel  diritto  all'indennita'  e  sulla  sua
misura. Si deve d'altronde ricordare  che  se  la  mancata  fruizione
delle  ferie  fosse  dovuta  anche  in  parte  a   colpa   datoriale,
l'indennita'   sostitutiva   spetterebbe   sicuramente    a    titolo
risarcitorio secondo i principi generali. 
    Nella specie, ed allo stato, appare evidente  che  il  datore  di
lavoro non ha fatto nulla per anni per impedire una abnorme  accumulo
di ferie arretrate, ed e' venuto meno all'obbligo  imposto  dall'art.
2109 c.c. di stabilire i periodi feriali. Per  converso,  l'idea  che
l'obbligo del lavoratore di cooperare all'attuazione del suo  diritto
alla fruizione delle ferie implicasse nel caso di specie che egli, in
vista del proprio pensionamento, dovesse preventivamente darsi carico
di azzerare la sua capacita'  residua  di  collaborare  nell'Azienda,
chiedendo le ferie nei pochi giorni in cui la sua malattia e  le  sue
esigenze di  cura  gli  consentivano  di  lavorare  (e'  il  caso  di
rammentare che la  dirigenza  medica  pubblica  e',  come  le  altre,
soggetta a processi di valutazione, e che il prestatore ha quindi  un
interesse specifico a fare  qualcosa  quando  puo'),  a  costo  della
perdita tanto del diritto  alla  fruizione  delle  ferie  quanto  del
diritto all'indennita' sostitutiva, e di  un  eventuale  differimento
della  sua  messa  a  riposo,  appare  superare   la   soglia   della
ragionevolezza, oltre che dei principi comunitari e costituzionali in
materia di ferie. 
    Peraltro, il divieto di  monetizzazione  delle  ferie  appare  in
contrasto con la Costituzione a prescindere dagli  eventuali  profili
di imputabilita' al prestatore della mancata fruizione. 
    Il lavoratore che cessa dal servizio senza aver fruito  di  parte
delle ferie maturate cessa,  per  definizione,  avendo  lavorato  dei
giorni in piu' rispetto a quelli per i quali e' stato retribuito.  In
tal  senso  si  insegna  ormai  comunemente  che  la  cd.  indennita'
sostitutiva delle ferie non godute ha  in  realta'  essenzialmente  e
primariamente natura retributiva, trattandosi della  retribuzione  di
giorni lavorati e che avrebbero dovuto essere dedicati al riposo, per
i quali la retribuzione e'  imposta  ex  Cost.  36,  comma  1  (Cass.
20836/2013, 17353/2012, 11462/2012). 
    La  questione  di  legittimita'  costituzionale   appare   quindi
rilevante in causa, perche' il divieto di monetizzazione posto  dalla
disposizione censurata osta all'accoglimento della  domanda  attorea,
che  parrebbe  invece  probabilmente  fondata  in  assenza  di   tale
disposizione. 
    Essa appare inoltre  non  manifestamente  infondata,  perche'  il
divieto di monetizzazione "in ogni caso"  appare  ledere  il  diritto
alla retribuzione del lavoro prestato in eccedenza rispetto a  quanto
si sarebbe dovuto lavorare ogni anno  tenuto  conto  del  diritto  ai
riposi  feriali,  in  violazione  dell'art.  36,   comma   1,   della
Costituzione; appare ledere l'art. 36, comma  3  della  Costituzione,
perche' il diritto a ferie annuali retribuite implica che,  nel  caso
di lesione irreversibile del diritto in natura, il diritto  economico
non  possa  essere  pregiudicato;  appare  ledere  l'art.  117  della
Costituzione perche' l'art. 7, comma 2, della  Direttiva  CE  2003/88
esige che il lavoratore che, senza propria colpa,  ovvero  anche  per
colpa datoriale, non abbia potuto  fruire  di  ferie  maturate  prima
della   cessazione   del   rapporto   di   lavoro   sia    compensato
economicamente;  appare  infine  ledere  Cost.  3,   perche'   appare
manifestamente   irragionevole,   in   un   sistema   legislativo   e
costituzionale nel quale le  ferie  sono  essenzialmente  un  diritto
irrinunciabile, che  va  garantito  dal  datore  di  lavoro  mediante
preordinazione dei periodi di ferie,  il  divieto  di  monetizzazione
operi a prescindere dall'imputabilita'  al  datore  di  lavoro  della
mancata fruizione, ovvero in mera  ragione  dell'introduzione  di  un
obbligo di fruizione a carico del prestatore implicante  puramente  e
semplicemente che se non chiede le ferie e per  cio'  solo  la  colpa
della mancata fruizione e' tutta sua. 
    Appare percio' rilevante e non manifestamente infondata, ai sensi
degli artt. 3, 36, commi 1° e 3°, e dell'art. 117 della Costituzione,
la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 8, del
d.l. 6 luglio 2012 n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012  n.  135,
nel suo complesso, o, in subordine, nella parte in cui prevede che le
ferie maturate e non godute alla cessazione del rapporto  "non  danno
luogo in nessun caso alla  corresponsione  di  trattamenti  economici
sostituti, nonche', eventualmente, della disposizione che prevede che
«La violazione della presente disposizione,  oltre  a  comportare  il
recupero   delle   somme   indebitamente   erogate,   e'   fonte   di
responsabilita'  disciplinare  ed  amministrativa  per  il  dirigente
responsabile"». 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87; 
    Dichiara rilevante, e non manifestamente infondata, con  riguardo
agli artt. 3, 36, commi 1 e 3, e 117 della Costituzione, la questione
di legittimita' costituzionale dell'art.  5,  comma  8,  del  D.L.  6
luglio 2012 n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012 n. 135, nel  suo
complesso, o, in subordine, nella parte in cui prevede che  le  ferie
maturate e non godute alla cessazione del rapporto "non  danno  luogo
in  nessun  caso  alla  corresponsione   di   trattamenti   economici
sostitutivi", nonche', eventualmente, nella parte in cui prevede  che
"La violazione della presente disposizione,  oltre  a  comportare  il
recupero   delle   somme   indebitamente   erogate,   e'   fonte   di
responsabilita'  disciplinare  ed  amministrativa  per  il  dirigente
responsabile"; 
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso; 
    Ordina che a cura della cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri,  e
comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
 
      Roma, 4 maggio 2015 
 
                          Il Giudice: Conte