N. 230 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 aprile 2015
Ordinanza del 21 aprile 2015 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sul ricorso proposto da Gorelli Claudio contro Corte dei conti ed altri. Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2014) - Interventi in materia previdenziale - Previsione che ai soggetti gia' titolari di trattamenti pensionistici erogati da gestioni previdenziali pubbliche, le amministrazioni e gli enti pubblici compresi nell'elenco ISTAT di cui all'art. 1, comma 2, della legge n. 196/2009 e successive modificazioni, non possono erogare trattamenti economici onnicomprensivi che, sommati al trattamento pensionistico, eccedono il limite fissato ai sensi dell'art. 23-ter, comma 1, del D.L. n. 201/2011 convertito, con modificazioni, in legge n. 214/2011 - Previsione che nei trattamenti pensionistici di cui al comma censurato sono compresi i vitalizi, anche conseguenti a funzioni pubbliche elettive - Previsione della salvezza dei contratti e degli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza prevista negli stessi - Violazione del principio di uguaglianza per lesione del principio di affidamento - Violazione del diritto al lavoro - Violazione del principio della retribuzione proporzionata ed adeguata - Lesione della garanzia previdenziale - Lesione dell'autonomia ed indipendenza dei magistrati. - Legge 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 489. - Costituzione, artt. 3, 4, 36, 38, 97, 100, 101, 104 e 108.(GU n.44 del 4-11-2015 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO (Sezione Prima) Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 12164 del 2014, proposto da: Claudio Gorelli, rappresentato e difeso dagli avv.ti Marco Di Lullo, Mario Sanino; Paola Salvatore, con domicilio eletto presso lo Studio legale del medesimo avv. Sanino in Roma, viale Parioli, 180; Contro Corte dei conti e Segretariato Generale della Corte dei conti, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12; Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero dell'economia e delle finanze, non costituiti in giudizio; Per l'annullamento del provvedimento adottato dal Segretario Generale della Corte dei conti con nota prot. n. 0003362 del 18 luglio 2014 con la quale e' stato preannunciato che, a decorrere dal mese di agosto 2014, il trattamento in godimento quale magistrato con la qualifica di Consigliere dei ruoli della stessa Corte dei conti sarebbe stato decurtato della somma pari a euro 65.445, 43, come attestato dalla scheda contabile allegata allo stesso provvedimento; di ogni altro atto annesso, connesso, presupposto e/o consequenziale nonche' per la declaratoria del diritto al trattamento retributivo e a quello pensionistico spettanti senza applicazione delle decurtazioni di cui all'art. 1, comma 489, legge 27 dicembre 2013 n. 147 e ss.mm. nonche' per la condanna dell'Amministrazione al versamento e alla restituzione delle somme nelle more illegittimamente trattenute e recuperate, Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Corte dei conti e del Segretariato Generale della Corte dei conti; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2015 il dott. Raffaello Sestini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Considerato e ritenuto in fatto ed in diritto: 1. Che con il ricorso in epigrafe, proposto da un consigliere della Corte dei conti nominato dal Governo ai sensi dell'art. 7 del r.d. n. 1214 del 1934, del provvedimento adottato dal Segretario Generale della Corte dei conti con nota prot. n. 0003362 del 18 luglio 2014 con la quale e' stato preannunciato che, a decorrere dal mese di agosto 2014, il trattamento in godimento quale magistrato con la qualifica di Consigliere dei ruoli della stessa Corte dei conti, sarebbe stato decurtato della somma pari a euro 65. 445,43 come attestato dalla scheda contabile allegata allo stesso provvedimento, unitamente ad ogni altro atto annesso, connesso, presupposto o consequenziale. Il ricorrente chiede inoltre l'accertamento del diritto a percepire, nella loro interezza, gli emolumenti connessi al servizio prestato come magistrato della Corte dei conti, nonche' al versamento dei relativi contributi previdenziali e degli accantonamenti per il trattamento di fine servizio (TFS), con la conseguente condanna dell'Amministrazione al versamento ed alla restituzione delle somme nelle more indebitamente trattenute; 2. Che il contenzioso in esame concerne la vicenda applicativa conseguente all'adozione dell'art. 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, in legge 22 dicembre 2011, n. 214, il quale stabilisce, al comma 1, primo periodo, che "con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e' definito il trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluso il personale in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni, stabilendo come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione"; 3. Che, in attuazione della citata disposizione, il Presidente del Consiglio dei ministri ha adottato il decreto 23 marzo 2012 che, all'art. 3, stabilisce che "a decorrere dall'entrata in vigore del presente decreto, il trattamento retributivo percepito annualmente, comprese le indennita' e le voci accessorie nonche' le eventuali remunerazioni per incarichi ulteriori o consulenze conferiti da amministrazioni pubbliche diverse da quella di appartenenza [...] non puo' superare il trattamento economico annuale complessivo spettante per la carica al Primo Presidente della Corte di cassazione, pari nell'anno 2011 a euro 293.658,95. Qualora superiore, si riduce al predetto limite". Successivamente, l'art. 1, comma 489, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha previsto che "ai soggetti gia' titolari di trattamenti pensionistici erogati da gestioni previdenziali pubbliche, le amministrazioni e gli enti pubblici (...) non possono erogare trattamenti economici onnicomprensivi che, sommati al trattamento pensionistico, eccedano il limite" e che "Nei trattamenti pensionistici di cui al presente comma sono compresi i vitalizi, anche conseguenti a funzioni pubbliche elettive, facendo peraltro salvi "i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza prevista negli stessi". L'ultimo periodo della disposizione prevede che "gli organi costituzionali applicano i principi di cui al presente comma nel rispetto dei propri ordinamenti". Infine, l'art. 13 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, ha stabilito che "a decorrere dal 1° maggio 2014 il limite massimo retributivo riferito al primo presidente della Corte di cassazione previsto dagli articoli 23-bis e 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni e integrazioni, e' fissato in euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali e degli oneri fiscali a carico del dipendente"; 4. Che il ricorrente afferma l'illegittimita' degli atti impugnati deducendo i motivi di ricorso di seguito sintetizzati: eccesso di potere sotto plurimi profili sintomatici e violazione della normativa di legge di riferimento, e in particolare violazione dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, non avendo l'Amministrazione applicato la prevista deroga concernente "i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza", nonostante la condizione del ricorrente di pubblico funzionario gia' in carica all'entrata in vigore della previsione di legge; la medesima decurtazione della remunerazione determinerebbe altresi' una violazione del diritto al lavoro e dell'obbligo di retribuzione proporzionata alla qualita' e quantita' del lavoro svolto ai sensi degli artt. 4 e 36 Cost. ed un vulnus allo status di indipendenza ed autonomia dei magistrati (anche contabili), protetto dagli artt. 100, 101, 104 e 108 Cost., oltre a. violare il principio di irretroattivita' dei trattamenti in pejus ed il legittimo affidamento del ricorrente in violazione dell'art. 6 CEDU e quindi dell'art. 117 Cost.; in via subordinata, illegittimita' derivata dall'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, se interpretato nel senso di escludere il ricorrente dall'ambito della descritta deroga riferita ai "contratti e gli incarichi in corso" al servizio della P.A., per violazione degli artt. 3 e 117, comma 1, Cost., in riferimento all'art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, in ragione di un trattamento irragionevolmente deteriore per il ricorrente rispetto a quello degli altri funzionari e dipendenti al servizio delle pubbliche Amministrazioni, nonche' un'irragionevole lesione del legittimo affidamento del ricorrente stesso (tutelato dall'art. 6 CEDU), non giustificato ne' sul piano del contenimento della spesa pubblica, ne' da altro interesse di pregio costituzionale; ancora in via subordinata, illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013 (nell'interpretazione datane dalla P.A. resistente), per violazione degli artt. 101, II comma, e 104, I comma, della Costituzione, che tutelano l'autonomia e l'indipendenza della Magistratura, valori, questi, che verrebbero irragionevolmente lesi dall'ingiustificata incisione del trattamento economico - e quindi anche del credito e del prestigio sociale - dell'esercizio della funzione giurisdizionale; ulteriore illegittimita' costituzionale ... in quanto il meccanismo del tetto massimo degli emolumenti comporterebbe una forte ed irragionevole riduzione, con effetto retroattivo, della remunerazione della funzione di consigliere della Corte dei conti svolta dal ricorrente e lederebbe il suo diritto ed il suo ragionevole affidamento ad una retribuzione proporzionata alla qualita' e quantita' del lavoro svolto in violazione degli artt. 4 e 36 Cost., del principio di irretroattivita' delle norme incidenti su diritti consolidati e dei fondamentali principi costituzionali comunitari di certezza giuridica e di tutela dell'affidamento. Il limite retributivo e pensionistico di cui all'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013 precluderebbe altresi', del tutto irragionevolmente, la possibilita' riconosciuta dall'ordinamento al Governo di individuare alte professionalita' e competenze amministrative da inserire nella compagine della Corte dei conti, in violazione del principio di buon andamento dell'amministrazione sancito dall'art. 97 Cost. Infatti, essendo ex art. 7 del r.d. n. 1214 del 1934, riservata a coloro che hanno gia' conseguito (quantomeno) la qualifica di direttore generale e ispettore generale nell'Amministrazione statale (o equivalenti), la nomina a consigliere della Corte dei conti cade naturaliter su persone che hanno gia' maturato il diritto al trattamento di quiescenza. La disposizione in esame risulterebbe pertanto irragionevolmente contraddittoria in violazione dell'art. 97 Cost., penalizzando e disincentivando l'assunzione nei ruoli della magistratura contabile dei migliori curricula disponibili, relativi a funzionari che, inevitabilmente, sconterebbero i piu' forti effetti del limite al cumulo con il trattamento di quiescenza di cui alla disposizione in esame; inoltre, cio' corrisponderebbe all'imposizione di un prelievo fiscale speciale, illegittimo perche' violativo degli artt. 3 e 53 Cost., e comporterebbe anche una indebita riduzione dei contributi previdenziali e, di conseguenza, del trattamento pensionistico derivante dall'accumulo di tale montante contributivo; la irragionevolezza della previsione normativa in esame sarebbe infine confermata dalla mancata esclusione, ai fini del tetto massimo degli emolumenti percepibili, delle indennita' integrativa speciale e giudiziaria di cui all'art. 3 della legge n. 27 del 1981 e del contributo di solidarieta' imposto dall'art. 2, comma 5, del decreto del Presidente del Senato n. 11246 del 2008. 5. Che l'Amministrazione intimata si e' costituita in giudizio per difendere la piena legittimita' e doverosita' del proprio operato a termini di legge, legge le cui disposizioni vengono altresi' argomentatamente ritenute scevre dai dedotti vizi di legittimita' costituzionale. 6. Che alla camera di consiglio convocata per l'esame della domanda cautelare il ricorrente ha chiesto il rinvio della decisione sulle istanze cautelati alla trattazione del ricorso nel merito, e che all'esito dell'udienza pubblica del 25 febbraio 2015 il ricorso e' stato quindi introitato dal Collegio per la decisione; 7. Che, ai fini della decisione delle complesse e delicate questioni evocate dal ricorrente, il Collegio deve esaminare partitamente le singole censure, partendo da quelle (maggiormente satisfattive dell'interesse al bene della vita azionato con il ricorso) volte a far valere la violazione della normativa di riferimento (essenzialmente, art 1, comma 489 della legge n. 147 del 2013) in quanto non applicabile al caso in esame. Solo in caso di mancato accoglimento delle predette censure , si potra' poi passare all'esame della non manifesta infondatezza delle dedotte censure di illegittimita' costituzionale della medesima norma, divenute in tal modo rilevanti nel giudizio a quo, ai fini dell'eventuale rimessione della questione incidentale di costituzionalita' alla Corte Costituzionale, dovendosi infine valutare, solo in caso di mancato accoglimento di tutte le predette censure e della questione di legittimita' costituzionale, e quindi di legittima applicabilita' della disciplina in esame, le ulteriori censure concernenti le errate ed ingiuste modalita' (riferite ad esempio all'estensione alle indennita' integrative speciali e giudiziarie ed al computo del contributo di solidarieta') con cui la norma sarebbe stata applicata. 8. Che, con il primo gruppo di motivi di gravame indicati, il ricorrente deduce la violazione del citato art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, poiche' la predetta norma sarebbe stata illegittimamente applicata al ricorrente sotto il profilo temporale, per la mancata applicazione della prevista deroga concernente "i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza", nonostante la sua condizione di pubblico funzionario gia' in carica all'entrata in vigore della nuova previsione di legge. Secondo il ricorrente, infatti, l'ampiezza della previsione normativa circa la deroga implica la sua applicazione sia ai contratti e rapporti di lavoro c.d. "privatizzato", sia -come nel caso in esame - al pubblico impiego non privatizzato, ponendosi in evidente parallelismo con la stessa norma istitutiva del tetto massimo di cumulo (art. 23-ter del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, che ha espressamente esteso l'intera disciplina del tetto massimo al "personale in regime di diritto pubblico"). Inoltre, il termine "incarico" abbraccerebbe qualunque conferimento di compiti da parte dell'Amministrazione, ivi compreso il conferimento di funzioni nell'ambito di un rapporto di impiego non privatizzato. 9. Che, ai fini della decisione circa la fondatezza della predetta censura, il Collegio osserva preliminarmente che la previsione normativa introdotta dall'art. 23-ter del decreto-legge n. 201/2011 e rafforzata dalla legge di stabilita' per il 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147, in particolare per quanto d'interesse con l'art. 1, commi 471 e ss.), cosi' come chiarito dalla definizione degli ambiti applicativi della norma risultanti dalla circolare n. 8/2012 del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 3/2014, e' volta a limitare la soglia massima dei trattamenti retributivi e pensionistici che fanno comunque carico a risorse pubbliche, riguardando l'ambito soggettivo di applicazione del decreto tutti i titolari di rapporto di lavoro subordinato o autonomo con "le pubbliche amministrazioni ", e cio' - in un sistema pensionistico ancora essenzialmente retributivo come quello del ricorrente, e quindi non legato ad uno specifico rapporto sinallagmatico con i contributi versati durante la vita lavorativa - non appare ne in contrasto con alcuna disposizione dell'ordinamento ne' irragionevole, a condizione peraltro di estendere il limite a tutti i soggetti posti nelle medesime condizioni sotto il predetto profilo, alla stregua dell'art. 3, primo comma, della Costituzione. 10. Che viene quindi in rilievo la citata circolare n. 3/2014 della Presidenza del Consiglio dei ministri, che chiarisce che il nuovo regime limitativo si applica a decorrere dal 1° gennaio 2014, limitandosi ad interpretare il dettato normativo gia' in vigore nella disciplina del contenimento dei trattamenti economici nel settore pubblico, mentre l'art. 13, comma 1, del d.l. n. 66/2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 89/2014, ha ridotto ad € 240.000 annui il limite massimo retributivo lordo solo a decorrere dal 1.05.2014. Si e' quindi in presenza, osserva il Collegio, di una questione controversa concernente non una vera e propria retroattivita' della legge (con tutti i conseguenti divieti e limiti costituzionali a tutela della certezza del diritto, dell'affidamento e della ragionevolezza del legislatore, ampiamente affrontati anche dalla Corte Costituzionale), bensi' una questione di diritto intertemporale connessa all'entrata in vigore della nuova disciplina, disposta dal legislatore - nell'ambito del legittimo esercizio della proprio spazio di discrezionalita' riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale, senza la previsione di un periodo transitorio, fatta eccezione per la tassativa deroga prevista per "i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza", ovverosia per tutti i rapporti - indifferentemente di diritto privato o pubblico, cosi' come affermato dal ricorrente - che a quel momento, peraltro, non solo erano gia' in corso, bensi' erano anche individuati da un naturale termine di "scadenza", e non gia', quindi, per l'esercizio in atto di una funzione giurisdizionale "togata" e non onoraria, ovverosia svolta a seguito dell'inserimento a pieno titolo in un plesso giurisdizionale, con la conseguente creazione di un rapporto d'ufficio caratterizzato non gia' da una prefissata temporaneita' bensi' - al contrario - da particolari garanzie di stabilita'. 11. Che le pregresse considerazioni valgono anche a far escludere la fondatezza delle dedotte censure di irragionevolezza e di lesione dei principi comunitari e nazionali di tutela della certezza giuridica e dell'affidamento dei cittadini e di buon andamento dell'Amministrazione, atteso che - in via generale - la previsione di compensi e trattamenti pensionistici massimi a carico della finanza pubblica per i singoli soggetti titolari di pubblici uffici non appare intrinsecamente illogica o negativa ai fini di una razionalizzazione della c.d. "giungla retributiva" che storicamente ha caratterizzato - secondo numerose indagini del Parlamento, del Governo e di Organi indipendenti- un'Amministrazione non sempre caratterizzata da massimi livelli di efficienza, mentre - dal punto di vista dei singoli trattamenti retributivi oggetto del presente giudizio - all'atto dell'accettazione della nomina alla Corte dei conti l'interessato - anche in virtu' delle stesse competenze ed esperienze professionali che ne avevano motivato la scelta - era o ben poteva essere a conoscenza delle recenti misure di legge volte al contenimento della spesa pubblica ed adottate proprio su iniziativa dello stesso Potere Esecutivo che lo aveva proposto al nuovo incarico, di modo che - da un lato - l'accettazione non poteva non implicare la piena consapevolezza circa i prevedibili limiti al proprio compenso e - dall'altro - la proposta di nomina assolutamente fiduciaria da parte del Governo non poteva ragionevolmente suscitare l'aspettativa di un trattamento differenziato quanto alla sorte del proprio compenso a carico della finanza pubblica, in quanto cio' si sarebbe tradotto in una ampissima facolta' di deroga del Governo - rispetto dalle norme dallo stesso proposte - in favore di singoli soggetti dallo stesso individuati, suscitando profili di problematica coesistenza con i principi di legalita' ed uguaglianza davanti alla legge sanciti dal nostro ordinamento. 12. Che, avendo l'Amministrazione dato legittimamente applicazione all'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013 alla stregua delle pregresse considerazioni, il Collegio deve esaminare le plurime questioni di possibile illegittimita' costituzionale della medesima rilevante e delicatissima disposizione, sollevate dal ricorrente - ma deducibili d'ufficio ed in tal senso integrate anche da questo Collegio - per la possibile violazione degli artt. 3, 4, 36, 38, 53, 97, 100, 101, 104, 108 e 117 della Costituzione, anche in riferimento all'art. 6 della CEDU. 13. Che la rilevanza delle indicate questioni di legittimita' costituzionale per la decisione del giudizio a quo non appare dubbia alla luce dell'esposizione dei fatti di causa, atteso che i provvedimenti impugnati trovano un'indefettibile base normativa nel citato art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, di modo che il suo eventuale annullamento per illegittimita' costituzionale comporterebbe l'illegittimita' derivata degli atti amministrativi impugnati con il conseguente accoglimento del ricorso che altrimenti - alla stregua delle pregresse considerazioni - dovrebbe essere respinto, almeno per la parte di maggiore interesse e salvo passare all'esame delle parimenti impugnate specifiche modalita' applicative, fermo restando - osserva altresi' il Collegio - che la sopraindicata stabilita' nel tempo della nomina del ricorrente alla Corte dei conti radicherebbe un suo interesse strumentale anche ai fini della novazione della disciplina che seguirebbe ad una eventuale pronuncia additiva o interpretativa della Corte Costituzionale. 14. Che ben piu' complesso e' il vaglio della "non manifesta infondatezza" dei numerosi profili di illegittimita' costituzionale sopra indicati, riservato al giudice a quo. Non fondata appare, in primo luogo, la censura di violazione dell'art. 3 Cost. riferita al trattamento irragionevolmente deteriore e discriminatorio che la norma avrebbe riservato al ricorrente sia quanto all'applicazione di un tetto economico incompatibile proprio con gli stessi percorsi professionali e di carriera che ne avevano motivato la scelta per la Corte dei conti, sia quanto alla mancata estensione nei suoi confronti della deroga in sede di prima applicazione prevista solo per gli altri funzionari e dipendenti al servizio delle pubbliche Amministrazioni contrattualizzati o titolari di "incarichi" e "contratti" a tempo determinato (ma rinnovabili senza limiti). Al riguardo il ricorrente deduce che ogni prestazione puo' essere indifferentemente resa in regime pubblicistico o privatistico, ovvero sulla base di un contratto individuale o della generale disciplina delle mansioni affidate al personale appartenente ad un determinato ruolo senza che cio' determini una diversita' ontologica tra questa o quelli prestazione o fra questa o quella categoria di lavoratori, ne' a tal fine puo' fungere la differente durata del rapporto, perche' anche un contratto puo' ben essere (ed e' normalmente) rinnovato a tempo indeterminato. Al contrario, considera il Collegio che la scelta fra l'uno e l'altro regime spetta alla discrezionalita' del legislatore e non e' oggetto del presente giudizio, che il tetto di legge a retribuzioni e pensioni -come gia' sopra indicato - trova un'indefettibile condizione di legittimita' costituzionale proprio nella sua generale applicabilita' a tutte le analoghe fattispecie poste a carico della finanza pubblica e che l'esistenza di una deroga per i contratti in corso, pur ontologicamente diversi dalla fattispecie in esame in quanto non assistiti da specifiche garanzie di stabilita', potrebbe quindi - ove cio' fosse oggetto del giudizio - essere casomai sottoposta a vaglio costituzionale sotto il profilo dell'indebita posizione di vantaggio riservata ai beneficiari. La questione in esame si rivela pertanto, a giudizio del Collegio, non fondata. 15. Che, quanto al possibile profilo di illegittimita' dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013 per violazione del principio della tutela dell'affidamento, di cui agli artt. 3 e 117, comma 1, della Costituzione e 6 della CEDU, il Collegio osserva che la stessa giurisprudenza della Corte di giustizia ha espressamente chiarito che questo principio e' fondamentale nell'ordinamento europeo: fra le altre, la sent. CGUE, 14 settembre 2006, cause riunite C-181/04 e C-183/04, ha sancito che "i principi della tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto fanno parte dell'ordinamento giuridico comunitario; pertanto devono essere rispettati dalle istituzioni comunitarie ma anche dagli Stati membri nell'esercizio dei poteri loro conferiti dalle direttive comunitarie"), mentre sul piano interno la migliore dottrina e giurisprudenza gli riconosce valenza costituzionale alla stregua dei principi di legalita' (art. l Cost.), e di riconoscimento e garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo (art. 2) in condizioni di eguaglianza davanti alla legge (artt. 3 e 97). Al riguardo, riconosciuta la piena operativita' nel nostro ordinamento del principio di tutela della certezza giuridica e del legittimo affidamento, il Collegio rinvia a quanto gia' osservato nell'esame della medesima questione quale possibile vizio di illegittimita' nell'applicazione della stessa norma. In particolare, il nuovo tetto economico in esame risponde agli obiettivi d'interesse pubblico generale lasciati alla discrezionalita' dei singoli Stati quanto al contenimento, alla trasparenza ed alla congruita' della spesa pubblica, nel quadro dei doveri di solidarieta' sociale di cui all'art. 2 della Costituzione e dei principi di buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97, mentre la Corte costituzionale ha piu' volte chiarito che, salvi i limiti in materia penale derivanti dall'art. 25, comma 2, Cost., non e' in linea di principio precluso al legislatore intervenire per mutare la disciplina dei rapporti di durata in corso, anche con disposizioni che modificano in senso sfavorevole situazioni soggettive perfette, purche' nel limite del rispetto del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. e del principio di affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, che - come sopra chiarito - non appaiono violati nella fattispecie in esame (in senso conforme, Corte cost., sentt. n. 92 del 2013, n. 166 del 2012, n. 525 del 2000, n. 211 del 1997, n. 409 del 1995). Anche la questione di legittimita' ora esaminata si palesa pertanto non fondata. 16. Che ugualmente non fondata - salvo quanto si dira' al numero successivo - e', a giudizio del Collegio, la possibile questione di legittimita' per violazione degli artt. 3 e 53 Cost. riferita all'effetto della disposizione in esame di trattenimento forzoso di una parte (ampia) della remunerazione dell'attivita' lavorativa, che corrisponderebbe all'imposizione di un prelievo fiscale speciale, ovvero di un prelievo di natura tributaria perche' imposto a fini di finanza pubblica e incidente in beni materiali dei percossi, ma discriminatorio in quanto gravante solo sui pensionati titolari di incarichi o rapporti di lavoro pubblici, lasciando indenne la posizione dei pensionati che prestino servizio alle dipendenze di un datore di lavoro privato o esercitino attivita' libero-professionale. Infatti, considera il Collegio, le descritte finalita' di contenimento, trasparenza e razionalizzazione della spesa pubblica determinano, non irragionevolmente, una progressiva decurtazione, disciplinata ex lege, dei possibili ulteriori redditi al raggiungimento del tetto prefissato, indifferenziatamente applicata a tutti i compensi comunque posti a carico della finanza pubblica, senza che cio' possa generare, proprio per la sua trasversalita', indebite disparita' di trattamento, divenendo quindi non rilevante, ai fini del giudizio a quo, la sua invocata qualificazione quale imposizione fiscale, che sembra comunque doversi escludere, in quanto la legge, in estrema sintesi, pone un "tetto" a regime all'erogazione a chiunque di somme a titolo retributivo e pensionistico poste a carico della finanza pubblica, anziche' imporre un prelievo forzoso sulle somme percepite dal singolo interessato oltre il tetto prefissato. 17. Che a conclusioni piu' articolate si presta la questione di possibile illegittimita' dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013 per violazione degli artt. 3, 4, 36, 38 e 97 nonche' dagli artt. 100, 101, 104 e 108 della Costituzione, in quanto il meccanismo del tetto massimo degli emolumenti comporta che la remunerazione della funzione di consigliere della Corte dei conti risulti fortemente ridotta o del tutto azzerata, con una corrispondente decurtazione dei contributi previdenziali e, di conseguenza, del trattamento pensionistico derivante dall'accumulo di tale montante contributivo, con la possibile violazione del diritto al lavoro e ad una retribuzione "proporzionata alla quantita' e qualita'" del lavoro prestato, potendone altresi' conseguire una disparita' di trattamento fra soggetti svolgenti, la medesima attivita', una irrazionale organizzazione amministrativa ed un indebolimento delle necessarie garanzie di indipendenza nell'esercizio delle funzioni affidate. Al riguardo il Collegio ritiene che debba essere preso in considerazione non il pur elevatissimo standard qualitativo dell'attivita' svolta da funzionari pubblici in possesso di un grado di preparazione di assoluta eccellenza per aver ricoperto in anni di servizio alle dipendenze dello Stato cariche apicali (avendo di conseguenza maturato l'elevato trattamento pensionistico "causa" del taglio del compenso), in quanto cio' potrebbe giustificare anche un incarico "onorario", in ipotesi anche del tutto gratuito, bensi' la circostanza dello svolgimento continuativo, con lo stabile ed organico inserimento nel relativo organico e con particolari garanzie di stabilita', della funzione di Consigliere della Corte dei conti, con l'assunzione da parte dell'interessato di tutte le connesse prerogative e delicate e -non da oggi - rilevanti responsabilita', di natura professionale e civile, per il proprio operato. I tratti fondamentali dell'attivita' professionale stabilmente svolta dal ricorrente, a seguito della nomina alla Corte dei conti, sotto la propria responsabilita' e con pieno inserimento organico, nell'ambito di una "magistratura togata" vale dunque a configurare l'esercizio di una vera e propria e stabile attivita' lavorativa professionale, differenziando la fattispecie in esame dai numerosi casi di svolgimento (talvolta essenzialmente gratuito) di pubblici uffici "onorari", di volta in volta motivati da alte e peculiari competenze (come accade per i Tribunali per i minori) o da meccanismi di sorteggio nell'ambito di platee in possesso di particolari requisiti (come accade per le giurie popolari), anche ai' fini dell'esercizio della sovranita' popolare (come accade per i seggi elettorali). 18. Che in tal modo la scelta dello Stato, mediante la disposizione di legge in esame, di continuare ad avvalersi del pieno apporto professionale del ricorrente (nulla la norma dicendo al riguardo, salve le sue eventuali dimissioni per evitare, in applicazione dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, di prestare attivita' lavorativa non retribuita o retribuita in maniera estremamente esigua), anziche', disciplinare normativamente l'ipotesi in esame (ad esempio, prevedendo la decadenza o una opzione per funzioni piu' limitate e retribuite in minor misura, oppure del tutto onorarie e gratuite) ma al tempo stesso di "di auto-esonerarsi" in tutto o in parte dalla loro retribuzione (non ponendo alcuna deroga al tetto a tale riguardo), pur avendo esso Stato chiesto all'interessato di svolgere tale prestazione lavorativa mediante la proposta di nomina alla funzione ordinariamente retribuita) di Consigliere della Corte dei conti - dichiaratamente motivata dalla sua eccellenza professionale in ragione della delicatezza e quindi dell'impegno delle funzioni da svolgere - appare costituzionalmente irragionevole, con la conseguente possibile violazione dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione, quanto al diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita' (oltreche' alla qualita') del lavoro, nonche', indirettamente, dell'articolo 38 della Costituzione, in quanto la drastica riduzione o addirittura l'azzeramento della retribuzione - e quindi della relativa contribuzione - precludono la conseguente implementazione della tutela assistenziale e previdenziale garantita dall'ordinamento. 19. Che medesime considerazioni conducono a far ritenere la possibile violazione degli articoli 3, primo comma, e 97 della Costituzione, sotto un duplice profilo - diverso ed ulteriore rispetto a quelli esaminati ai punti precedenti - in quanto, premessa la determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilita' in modo indifferenziato per i Consiglieri di concorso ovvero di nomina governativa, la, disposizione di legge che pone il tetto retributivo e pensionistico - e quindi differenzia nell'ambito di questi ultimi fra quelli retribuiti, ovvero privi in tutto o in parte di retribuzione a seguito del raggiungimento del tetto, senza disciplinare la loro sorte, potrebbe essere ritenuta suscettibile di determinare, da un lato, una ingiustificata disparita' di trattamento quanto alla retribuzione ovvero mancata retribuzione della medesima attivita' professionale, e, dall'altro, una irragionevole organizzazione contraria al buon andamento amministrativo mediante l'indifferenziato affidamento, a titolo oneroso ovvero a titolo parzialmente o del tutto gratuito, di funzioni di dichiarata rilevanza, impegno e delicatezza, atteso che anche la retribuzione dei funzionari pubblici deve rispondere - alla stregua del Trattato, della Convenzione europea e degli articoli 36 e 97 della Costituzione, ad un rapporto sinallagmatico ("proporzionato") riguardo alla quantita' e qualita' del lavoro svolto, non potendo quindi essere considerati fungibili trattamento pensionistico per un'attivita' precedente e il compenso per un'attivita' in atto, ove consentita nell'ambito dei diritti di liberta' garantiti dalla Costituzione. 20. Che a giudizio del Collegio sembra potersi parimenti dedurre la violazione dagli artt. 100, 101, 104 e 108 Cost., quanto al possibile vulnus allo status di indipendenza ed autonomia dei magistrati, protetto dalle predette disposizioni costituzionali. Infatti, la Corte costituzionale, nel decidere questioni concernenti norme aventi ad oggetto la retribuzione e la disciplina dell'adeguamento retributivo dei magistrati, ha affermato che l'indipendenza degli organi giurisdizionali si realizza anche mediante l'apprestamento di garanzie circa lo status dei componenti concernenti, fra l'altro, la progressione in carriera ed il trattamento economico (cosi', fra le altre, sentenza n. 1 del 1978) che, in un assetto costituzionale dei poteri dello Stato che vede la magistratura come ordine autonomo ed indipendente, non possono esaurirsi in un mero rapporto di lavoro, in cui il contraente-datore di lavoro possa al contempo essere parte e regolatore di tale rapporto (Corte cost., sent. n. 223 del 2012). 21. Che l'accertata rilevanza e non manifesta infondatezza della predetta questione incidentale di legittimita' costituzionale del citato art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013 nei termini sopra evidenziati determina la necessita' di rimettere gli atti di causa alla Corte Costituzionale sospendendo il presente giudizio fino alla sua decisione, ed esime il Collegio, allo stato, dal procedere all'esame delle ulteriori censure sopra individuate, che, riguardando le modalita' applicative della norma quanto alla individuazione del "tetto" ed alle sue conseguenze sul piano contributivo-previdenziale, risponderanno ad un interesse attuale del ricorrente solo ove risulti possibile applicare legittimamente la disposizione sopraindicata alle fattispecie oggetto del presente giudizio.
P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, visti gli artt. 1 della legge 9 febbraio 1948 n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, riservata ogni altra pronuncia nel merito e sulle spese, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, meglio evidenziata in premessa, dell'art. 1, comma 489, della legge 27 dicembre 2013, n.147 in relazione agli articoli 3, 4, 36, 38, 97, 100, 101, 104 e 108 della Costituzione. Dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Ordina che, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti costituite e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Riserva al definitivo ogni statuizione in rito, nel merito e sulle spese. Cosi' deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati: Giulia Ferrari, Presidente FF; Raffaello Sestini, Consigliere, Estensore; Ivo Correale, Consigliere. Il Presidente: Ferrari L'estensore: Sestini