N. 233 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 giugno 2014
Ordinanza del 17 giugno 2014 del Tribunale di Firenze nel procedimento civile promosso da P.N. contro S.S.. Procedimento civile - Controversie in materia di famiglia riguardanti la prole - Attribuzione al Tribunale per i minorenni, anziche' al tribunale ordinario, della competenza ad adottare i provvedimenti (ablativi o limitativi della responsabilita' genitoriale) di cui agli artt. 330 e 333 del codice civile - Irrazionalita' del riparto di competenze fra giudice minorile e giudice ordinario introdotto dalla novella del 2012-2013 - Trattamento processuale ingiustificatamente differenziato di situazioni sostanzialmente omogenee, coinvolgenti l'interesse dei minori - Violazione del principio di eguaglianza - Violazione dei principi di buon andamento della pubblica amministrazione e del "giusto processo", sotto il profilo della ragionevole durata delle procedure. - Disposizioni di attuazione del codice civile, art. 38, primo comma [come modificato dall'art. 96, comma 1, lett. c), del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154]. - Costituzione, artt. 3, 97, comma secondo, e 111.(GU n.45 del 11-11-2015 )
TRIBUNALE DI FIRENZE Sezione I Civile Proc. n. 4939/2013 V.G. Il Collegio della prima sezione civile, composto dai magistrati: dott. Fernando Prodomo, Presidente dott. Giuseppina Guttadauro, Giudice rel. dott. Serena Lorenzetti, Giudice ha pronunziato la seguente Ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale per non manifesta infondatezza di questione di costituzionalita'. Con ricorso ai sensi dell'art. 709-ter C.P.C. depositato il 23 ottobre 2013, il sig. A. P., premesso di avere avuto una relazione more uxorio con la signora S. S., dalla quale aveva avuto la figlia G., nata il 7 ottobre 2004; che la bambina era stata affidata in modo condiviso ai genitori con decreto del Tribunale per i minorenni di Firenze n. 5359/2007, provvedimento da ritenersi superato alla luce del fatto che la minorenne ha ormai sei anni di piu'; che non aveva piu' ragion d'essere il coinvolgimento dei nonni paterni, ascendenti ormai piuttosto anziani, nella gestione della nipotina, mentre il sig. P. si e' nel frattempo procurato un'abitazione adeguata anche per accogliere la bambina, ma non riesce a vedere la figlia dal mese di giugno del 2013, sostanzialmente a causa della pervicace volonta' in tal senso da parte della ex compagna; chiedeva modificarsi il citato decreto del TM, ampliando i tempi di permanenza della figlia presso di se'. Si e' costituita in giudizio la S., chiedendo in via pregiudiziale la sospensione del presente procedimento, in attesa della definizione del nuovo giudizio pendente innanzi al Tribunale per i minorenni, n. 977/13 VG, asseritamente avente ad oggetto l'applicazione delle norme di cui agli artt. 330, 333 e 336 c.c al nucleo familiare in questione, promosso dalla Procura minorile fiorentina e verosimilmente originato da una denuncia penale della resistente contro l'ex convivente, accusato di comportamenti aggressivi verso la donna ed i nonni materni, collegati anche ad uno stato di salute psichica precario del P., che sarebbe affetto da disturbi dell'umore e da depressione. Concludeva quindi per la declaratoria di sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 295 C.P.C., e nel merito per il rigetto del ricorso, ritenendolo infondato, con affidamento esclusivo della figlia alla madre, incontri protetti padre-figlia, fissazione di un assegno di contributo al mantenimento della minore da parte del padre, oltre che avanzando richieste istruttorie. All'udienza camerale del 21 febbraio 2014 il Collegio, ritenuto che fosse possibile il verificarsi di un'emissione di provvedimenti confliggenti da parte di due giudici egualmente ritenutisi competenti, chiedeva al Tribunale per i minorenni la trasmissione degli atti del procedimento connesso pendente innanzi a quel Giudice, al fine di consentire una decisione del TO adito dal P. Alla successiva udienza del 21 maggio 2014 il Collegio prendeva atto del mancato invio della documentazione richiesta da parte del TM, mentre i difensori confermavano la pendenza del giudizio tra le stesse parti avanti il giudice specializzato: si riportavano comunque alle rispettive domande, ed il Tribunale si riservava di prendere la propria decisione fuori udienza. La nuova formulazione dell'art. 38 disp att. c.c., prevista dalla legge n. 219 del 2012, ha mantenuto una serie di competenze al Tribunale per i minorenni, tra le quali rilevano particolarmente le procedure promosse per sospetto di esercizio pregiudizievole della responsabilita' genitoriale (art. 333 del c.c.) e per la decadenza (art. 330 c.c.) dalla medesima responsabilita'. Tutti i procedimenti relativi ai diritti civili dei minori di eta' non elencati nella norma ora citata rientrano invece nella competenza dei Tribunali ordinari, e devono essere trattati con il rito camerale: tra essi, in particolare, rilevano, per quantita' e spessore delle decisioni da prendere, quelli promossi in forza degli artt. 316, 316-bis, 336-bis e seguenti. Il legislatore ha poi previsto, a fini di concentrazione delle tutele e per evitare possibili provvedimenti sulla prole contrastanti tra loro, presi da giudici diversi ma egualmente competenti, che durante la pendenza del giudizio di separazione, divorzio, ovvero ex art. 316 c.c. tra le stesse parti, la competenza del Tribunale specializzato sia «sospesa», in favore di quella del giudice ordinario, anche in tema di provvedimenti ai sensi dell'art. 333 c.c. L'incidente di esecuzione - con possibili effetti sanzionatori - di cui all'art. 709-ter C.P.C. risulta pacificamente applicabile da parte di entrambi i giudici competenti a decidere sugli interessi della prole minorenne. La controversia sottoposta al giudizio di questo Collegio appare paradigmatica rispetto alla confusione sostanziale e processuale che la novella citata ha introdotto nelle procedure che vedono come soggetti protagonisti i minori di eta', in rapporto con la responsabilita' dei loro genitori e/o ascendenti; ed ancora, piu' che di confusione, questo tribunale ritiene debba parlarsi di assoluta irrazionalita' del sistema come oggi previsto per dare una risposta giurisdizionale efficace a domande come quelle sopra ricordate, tanto da indurre sospetto di violazione, nell'attuale formulazione dell'art. 38 citato, dell'art. 3 della Costituzione, per trattamento ingiustificatamente e irrazionalmente differenziato di situazioni del tutto omogenee. Deve a questo punto ricordarsi come con la legge n. 219 del 2012 e con il decreto legislativo n. 154 del 2013, sia stata finalmente introdotta nel nostro ordinamento una reale parita' di trattamento dei figli, sia nati nel matrimonio, sia fuori di esso, sia adottati. Al termine di un percorso incredibilmente lento, a settant'anni dall'entrata in vigore della Costituzione, si e' giunti alfine all'eliminazione completa di ogni distinzione normativa nella disciplina della filiazione relativa allo status di figlio: «Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico», cosi' recita il nuovo art. 315 codice civile. Come osservato in dottrina, la legge n. 219 riveste di un altissimo significato etico-sociale perche' ha definitivamente rimosso un pregiudizio di natura moralistica circa lo status, la identificazione e la qualificazione giuridica dei figli per «categorie», ora eliminate dall'ordinamento, con piena attuazione del principio cardine di cui all'art. 3 della Costituzione, di uguaglianza dei figli e pari dignita' sociale della filiazione. Di conseguenza l'ordinamento avrebbe dovuto finalmente vedere unificato anche il trattamento processuale delle questioni e controversie inerenti la filiazione, la responsabilita' genitoriale, i rapporti con gli ascendenti, e cosi' dicendo: dal momento che proprio nessun motivo rilevante rimane per dover differenziare i trattamenti processuali di situazioni del tutto identiche sul piano dei diritti sostanziali. Al contrario, l'opera riformatrice si e' fermata incredibilmente a meta' del guado: si e' intervenuti sulla norma cardine del riparto di competenza tra i due Giudici storicamente chiamati a deliberare sulle materie in questione, il Tribunale ordinario quale giudice della separazione e divorzio tra i coniugi, il tribunale per i minorenni come giudice della filiazione naturale, delle coppie di fatto, delle adozioni, della patologia della responsabilita' genitoriale, senza avere il coraggio di effettuare l'unico spostamento di competenza possibile, quello ai tribunali ordinari, gia' detentori da sempre del potere di decidere su separazioni e divorzi tra coniugi, con ogni correlata pronunzia nell'interesse della prole. Questo Collegio non reputa grave tanto e solo che non si sia proceduto ad una unificazione del rito da utilizzare in materia di diritto di famiglia, quanto piuttosto che si sia voluto mantenere una competenza differenziata di due organi giurisdizionali profondamente diversi nella loro composizione: il Tribunale specializzato, che pure oggi tratta questioni (pregiudizio nelle gestione della responsabilita' genitoriale) fortemente collegate a quelle che sono ormai trattate dal giudice ordinario (affidamento, collocamento, mantenimento, frequentazione della prole, ormai non ulteriormente qualificata dalla natura del rapporto tra i genitori), decide nella composizione di due giudici togati e due giudici onorari esperti delle materie minorili; il giudice ordinario decide invece nella classica composizione di tre membri togati che formano il Collegio. La ragione di cio' non solo risulta avvolta nel mistero, ma contrasta a prima vista, a parere di questo Giudice, con il disposto degli artt. 3, 97 e 111 della Costituzione. Non vi e' dubbio che il legislatore, nella sua piena autonomia di fondatore delle norme, ben puo' aver operato una scelta siffatta senza neppure doverne dare conto, esplicarla, se non forse attraverso quel particolare strumento costituito dai lavori preparatori: ma l'interprete e' altrettanto libero di segnalare l'eventuale irrazionalita', per disparita' di trattamento legale di situazioni uguali tra loro, e quindi di denunciare una violazione del principio di eguaglianza. La questione che qui si prospetta e' certamente rilevante nel giudizio de quo poiche', ove accolta, consentirebbe al Tribunale ordinario di poter decidere nel merito delle domande ad esso proposte dalle parti come giudice senza dubbio competente per materia, piuttosto che sospendere il giudizio in attesa della decisione del TM: si consideri peraltro che le domande svolte nel presente giudizio possono tutte qualificarsi anche ai sensi dell'art. 337-ter c.c., per cui il TO potrebbe anche ritenersi competente a decidere sui diritti della prole di coppia non coniugata, ma con il rischio elevatissimo di una pronunzia incompatibile con quella eventualmente presa dal giudice specializzato in punto di esercizio pregiudizievole o decadenza della responsabilita' genitoriale. Dunque oggi, allo stato attuale della legislazione, come interpretata sinora dal diritto vivente, il presente procedimento potrebbe alternativamente: 1. essere trasferito al Tribunale minorile, in quanto rubricato come promosso ai sensi dell'art. 709-ter C.P.C., procedura per la quale e' senza dubbio competente il giudice che procede, e pertanto in questo caso il TM; 2. essere sospeso in attesa delle decisioni del TM sulle domande del Pubblico Ministero minorile gia' avanzate, con evidente sacrificio delle ragioni d'urgenza a provvedere insite in tale tipo di controversia; 3. essere trattenuto per la decisione dal giudice ordinario, il cui provvedimento pero' potrebbe essere confliggente con quello reso in procedura pendente tra le stesse parti (ad eccezione del PM, che sarebbe da una parte quello ordinario, dall'altra quello minorile, ma all'evidenza il legislatore con il termine «stesse parti» si e' riferito a quelle private, in quanto gli Uffici pubblici con dovere di intervento nella procedura ben possono - anzi, devono - coordinarsi in ogni caso tra loro); Il tentativo, tra l'altro, esperito da questo Giudice per ottenere gli atti dal giudice specializzato e' sinora fallito, per cui risalta con evidenza l'anomalia della necessita' di decidere sulle domande delle parti senza conoscere esattamente quale sia l'oggetto, il petitum e lo stato del procedimento affidato all'altro giudice, con evidente nocumento, in primis, proprio per il minorenne, per il quale potrebbe aversi una decisione fondata su dati conoscitivi parziali, o che non risulta eseguibile per la contemporanea eseguibilita' o addirittura esecuzione della decisione dell'altro giudice, pure competente. Di qui l'assoluta rilevanza nella fattispecie concreta della questione di costituzionalita' che si solleva. In punto di ammissibilita' della questione, una interpretazione adeguatrice risulta impossibile. E' noto a questo Tribunale come tra i diversi significati giuridici astrattamente possibili il Giudice debba selezionare quello che sia conforme alla Costituzione; il sospetto di illegittimita' costituzionale, infatti, e' legittimo solo allorquando nessuno dei significati, che e' possibile estrapolare dalla disposizione normativa, si sottragga alle censure di incostituzionalita' (Corte Cost., 12 marzo 1999, n. 65 in Cons. Stato, 1999, II, 366). E, tuttavia, e' anche vero che esiste un preciso limite all'esperimento del tentativo salvifico della norma a livello ermeneutico: il giudice non puo' mai stravolgere il dato letterale del testo normativo. Ed, in tal senso, di fatto, vi sarebbe il rischio nella specie - dinnanzi ad una redazione apparentemente chiara della norma - di invadere una competenza che al Giudice odierno non compete. Inoltre l'interpretatio secundum constitutionem presuppone, indefettibilmente, che l'interpretazione «altra» sia «possibile», cioe', praticabile: differentemente, si creerebbe un vulnus alla certezza del diritto poiche' anche dinnanzi a norme «chiare» ogni giudicante adito potrebbe offrire uno spunto interpretativo diverso. Svolte le considerazioni riportate, reputa il Giudicante che il dato normativo non si possa in questo caso prestare ad interpretazioni diverse da quella emergente dalla mera lettura del testo, con tutte le conseguenze negative sopra ricordate, in quanto allo stato la competenza a decidere risulta essere posta in capo, nelle procedure ex art. 330 e 333 c.c. al giudice specializzato, mentre quella sull'affidamento, collocamento, frequentazione e mantenimento della prole di coppia non coniugata e' stata portata in sede ordinaria. Risulta pertanto impercorribile il doveroso tentativo da parte dell'odierno Giudice di individuare un'interpretazione compatibile con la Costituzione (Corte Cost. ord. 427/2005; ord. n. 306 del 2005). Nel merito delle non manifesta infondatezza della questione, risulta evidente come il sistema ideato dal legislatore per evitare i conflitti tra decisioni difformi (attraverso la temporanea competenza unica del TO in caso di pendenza di giudizio che coinvolga la responsabilita' genitoriale) non risulti assolutamente efficiente: basti pensare al caso in esame, ovvero a tutti i casi in cui le parti private, per i piu' vari motivi d'interesse, non comunichino ad uno dei due giudici egualmente competenti ciascuno per la propria materia la pendenza di causa connessa avanti l'altro (puo' ben verificarsi che le parti o una parte - magari unica costituita in giudizio - non segnalino la pendenza di giudizio separativo o divorzile o ex art. 316 c.c. al TM, cosicche' questo procedera' senza ostacoli verso la sua decisione, ignorando quanto dedotto e soprattutto stabilito, ad esempio in sede interinale presidenziale o camerale, nel coevo procedimento innanzi al giudice ordinario). Irrazionale risulta anche la attuale individuazione del giudice competente per i giudizi ex art. 333 c.c. non in base agli interessi sostanziali in gioco, alla miglior composizione del Giudice, alla migliore procedura adottabile in materia, bensi' secondo il soggetto legittimato a proporre azione: ove esso sia il PMM, ovvero un'ascendente del minorenne, dovra' essere adito il Tribunale minorile, anche se tra i genitori della prole penda giudizio di separazione, divorzio ovvero ex art. 316 c.c.; mentre in tale ultimo caso il genitore che sollevi dubbi sulla responsabilita' dell'altro puo' integrare la sua domanda di separazione o divorzio e procedere innanzi al GO, venendosi cosi' a creare due distinti giudizi sulla stessa materia, giudizi che possono tranquillamente procedere parallelamente e concludersi con difformi statuizioni, come tali ineseguibili per definizione. Ne' puo' dirsi che la necessita' di mantenere le due distinte competenze dei diversi Giudici discenda dall'esistenza di un apposito Ufficio giudiziario, la Procura della repubblica presso il Tribunale per i minorenni, organo propulsivo delle azioni a tutela dei minori, che se «trasferiti» per ogni controversia civile presso la competenza del tribunale ordinario, si scoprirebbero privi di una tutela che ha sempre dimostrato sinora grande efficacia (il PMM puo' chiedere provvedimenti urgenti al TM ai sensi dell'art. 333 c.c., ad esempio). Infatti tali importanti funzioni di azione, domanda e partecipazione al giudizio sarebbero in ogni caso, e doverosamente, esercitate dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Ordinario competente, come gia' accade per tutti i giudizi relativi alle crisi coniugali e a tutela di minorenni, sia pure purtroppo nella prassi quasi sempre a livello formale piu' che sostanziale: ma tale aspetto, definibile come di «attenuata attenzione culturale» da parte del Pm ordinario, ben potrebbe essere superato nella pratica con una valida formazione del personale ed una diversa organizzazione dell'Ufficio, una volta attribuite alla conoscenza del giudice ordinario tutte le questioni attinenti la responsabilita' genitoriale. Nessuna conseguenza negativa sembra discendere poi dal fatto che, una volta accolta la presente questione, il Tribunale per i minorenni vedrebbe quasi annullato il proprio ruolo di giudice dei diritti civili dei minori: non sussiste sul punto una esigenza contrapposta a quella costituzionale fatta valere da questo Giudice, ed in ogni caso residuerebbero al Giudice specializzato ancora numerose competenze: oltre a quelle dell'art. 38 disp att. c.c. non toccate dalla presente questione, tutte quelle in tema di adozione di minorenni, in tema di autorizzazione alla permanenza di genitori stranieri di minori domiciliati in Italia, in tema di procedure amministrative su minorenni dalle condotte irregolari. Gli aspetti critici sin qui esaminati (assieme al fatto del tutto anomalo per la fruizione del servizio Giustizia da parte del cittadino correlato alla necessita' di doversi recare fisicamente presso il Tribunale -distrettuale- minorile anziche' avanti al vero giudice di prossimita' -il Tribunale ordinario- per denunciare un comportamento pregiudizievole per la prole da parte dell'altro genitore), inducono ulteriori lesioni ai principi costituzionali: in particolare al buon andamento della pubblica amministrazione di cui al secondo comma dell'art. 97 Cost., ma anche al c.d. giusto processo (art. 111), sotto il profilo della durata della procedura, che deve essere necessariamente ragionevole, principi senza dubbio vulnerati dalla previsione legislativa attuale della doppia competenza, dalla possibilita' concreta di declaratorie di incompetenza ovvero di connessione o di continenza, di sospensione dei giudizi, sino alla possibilita', anche questa reale e gia' verificatasi, di conflitto tra giudicati tra le stesse parti su analoghe domande. Deve quindi essere sollevata d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale sopra esposta, in quanto rilevante, ammissibile e non manifestamente infondata, e nel contempo sospeso il presente giudizio di merito.
P. Q. M. Il Tribunale, visti gli artt. 134 Cost., 23 legge 11 marzo 1953 n. 87; Ritenuta rilevante, ammissibile e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 38, primo comma, disp. att. c.c. nella parte in cui prevede che «Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli (Omissis), 330, (Omissis), 333, (Omissis), del codice civile», per violazione degli artt. 3, 97, secondo comma e 111 della Costituzione. Sospende il presente giudizio e dispone l'immediata rimessione con trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, unitamente alla prova delle comunicazioni e notificazioni previste a seguire. Ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza venga notificata alle parti del processo, al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Firenze il 5 giugno 2014 dal Tribunale come sopra composto e riunito in Camera di consiglio. Il Presidente di sezione: PRODOMO