N. 250 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 marzo 2008

Ordinanza del 13 marzo 2008 del Tribunale di Foggia nel  procedimento
civile promosso da S.N.C. Di Santi Nicola  &  C  contro  Del  Giudice
S.r.l.. 
 
Contratto di agenzia - Indennita' all'agente in  caso  di  cessazione
  del rapporto - Condizioni perche' sia dovuta - Sufficienza, in base
  all'art. 1751, primo comma, del codice civile, nel testo sostituito
  dal decreto legislativo n. 303 del 1991, di almeno  una  delle  due
  condizioni (Meritevolezza  ed  Equita')  cumulativamente  richieste
  dalla direttiva n. 86/653/CEE. 
- Codice  civile,  art.  1751,  primo  comma,  nel  testo  sostituito
  dall'art. 4 del decreto  legislativo  10  settembre  1991,  n.  303
  (Attuazione della direttiva 86/653/CEE  relativa  al  coordinamento
  dei diritti degli Stati membri concernenti gli  agenti  commerciali
  indipendenti, a norma dell'art. 15 della legge 29 dicembre 1990, n.
  428. Legge comunitaria 1990). 
- 
(GU n.47 del 25-11-2015 )
 
                         TRIBUNALE DI FOGGIA 
                       Seconda sezione civile 
 
    Il giudice esaminati gli atti della causa civile di  primo  grado
iscritta al n. 3544/96 R.G.A.C., 
    Rileva: con atto di citazione  notificato  in  data  12  dicembre
1996, la s.n. c. Di Santi Nicola & C., con sede in Vieste, in persona
del suo legale rappresentante pro tempore, ha convenuto in  giudizio,
davanti a questo Tribunale,  la  Del  Giudice  s.r.l.,  con  sede  in
Termoli,  chiedendone  la  condanna  al   pagamento   dell'indennita'
prevista dall'art. 1751 del codice civile in caso di  cessazione  del
rapporto di agenzia. 
    All'uopo ha esposto: di aver  svolto  l'attivita'  di  agente  di
commercio per conto della societa' convenuta, nella zona  di  Foggia,
nel periodo compreso tra l'ottobre del 1992 e il dicembre  del  1995,
in virtu' di due successivi contratti stipulati, rispettivamente,  il
20 ottobre 1992 e il 1° settembre 1994; che il rapporto  contrattuale
dedotto in giudizio e' cessato a seguito del  recesso  operato  dalla
societa' preponente con lettera raccomandata del 14  settembre  1995;
che  ricorre  nella   fattispecie   almeno   una   delle   condizioni
alternativamente richieste dall'art.  1751  del  codice  civile,  nel
testo sostituito dall'art. 4 del  decreto  legislativo  10  settembre
1991, n. 303, per il riconoscimento della detta indennita'. 
    Radicatosi il contraddittorio, si e' costituita  in  giudizio  la
convenuta  Del  Giudice   s.r.1.,   in   persona   del   suo   legale
rappresentante pro tempore, la  quale  ha  contestato  il  fondamento
della domanda attorea, chiedendone il rigetto. Espletata  l'attivita'
istruttoria   richiesta    da    ambo    le    parti,    concretatasi
nell'acquisizione di documenti, nell'espletamento dell'interrogatorio
formale deferito al legale rappresentante della societa' convenuta  e
nell'escussione di numerosi testi, la causa e'  stata  trattenuta  in
decisione. 
    Tanto premesso in punto di fatto, ritiene il  Tribunale  che  sia
necessario sollevare d'ufficio, ai sensi dell'art. 23,  terzo  comma,
della Legge 11 marzo  1953,  n.  87,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 1751, primo comma, del  codice  civile  -nel
testo,  applicabile  ratione  temporis  alla  presente  controversia,
sostituito dall'art. 4 del decreto legislativo 10 settembre 1991,  n.
303, vigente anteriormente alle modifiche apportate dall'art.  5  del
decreto legislativo 15 febbraio 1999, n. 65, in riferimento  all'art.
76 della Costituzione. 
    Va, al riguardo, osservato: 
        che la norma sospettata di illegittimita'  costituzionale  e'
applicabile a decorrere dal 10 gennaio 1993, giusta  quanto  disposto
dall'art. 6, secondo comma, del  menzionato  decreto  legislativo  n.
303/1991, per cui di essa va tenuto conto ai fini  della  risoluzione
della presente  controversia,  concernente  un  rapporto  di  agenzia
svoltosi tra l'ottobre del 1992 e il dicembre del 1995; 
        che detta norma e' stata adottata dal  Governo  italiano,  in
virtu' della delega conferitagli  dal  Parlamento  con  la  Legge  29
dicembre 1990, n. 428 (recante  «Disposizioni  per  l'adempimento  di
obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  alle   Comunita'
europee»); 
        che l'art. 1, primo comma, della legge  di  delega  prevedeva
che «il Governo e' delegato ad emanare, entro il termine di  un  anno
dalla data di entrata in  vigore  della  presente  legge,  i  decreti
legislativi recanti le norme  occorrenti  per  dare  attuazione  alle
direttive della Comunita' economica europea comprese  nell'elenco  di
cui all'allegato A della presente legge»; 
        che nel menzionato elenco era compresa anche la direttiva del
Consiglio delle Comunita' Europee del 18 dicembre  1986  n.  86/653/,
relativa al coordinamento dei diritti degli Stati. membri concernenti
gli agenti commerciali indipendenti; 
        che l'art. 2, lettera f) della legge di delega disponeva  che
«i decreti legislativi assicureranno in ogni caso che, nelle  materie
trattate dalle direttive  da  attuare,  la  disciplina  disposta  sia
pdenamente  conforme  alle  prescrizioni  delle  direttive  medesime,
tenuto anche conto delle eventuali modificazioni intervenute entro il
termine della delega»; 
        che l'art.  15  della  legge  di  delega,  rubricato  «Agenti
commerciali  indipendenti:  criteri   di   delega»,   disponeva,   in
particolare,  che  «l'attuazione  della   direttiva   del   Consiglio
86/653/CEE differira' al 1° gennaio 1993 l'entrata  in  vigore  della
disciplina che sara' dettata in applicazione degli articoli 17  e  18
della direttiva e  al  1°  gennaio  1994  l'Applicazione  dell'intera
normativa ai rapporti gia' in corso alla data del l° gennaio». 
    Cio' posto, va  tenuto  presente  che,  ai  sensi  dell'art.  17,
paragrafo 2, lettera a) della  menzionata  direttiva  n.  86/653/CEE,
richiamato dagli articoli 2, lettera f) e 15 della legga  di  delega,
«l'agente commerciale ha diritto ad un'indennita' se e  nella  misura
in cui: 
        abbia  procurato  nuovi  clienti  al   preponente   o   abbia
sensibilmente sviluppato gli affari con  i  clienti  esistenti  e  il
preponente abbia ancora sostanziali vantaggi derivanti  dagli  affari
con tali clienti; 
        il pagamento di tale indennita' sia  equo,  tenuto  conto  di
tutte le circostanze del caso, in particolare delle  provvigioni  che
l'agente commerciale perde e che risultano  dagli  affari  con  tali.
clienti. Gli Stati Membri  possono  prevedere  che  tali  circostanze
comprendano anche l'applicazione o no di un patto di non  concorrenza
ai sensi dell'art. 20». 
    Senonche', il legislatore delegato non ha correttamente  recepito
nell'ordinamento interno la  richiamata  direttiva,  in  quanto,  nel
sostituire il testo del primo coma dell'art. 1751 del codice  civile,
ha disposto che «all'atto della cessazione del rapporto il preponente
e' tenuto a corrispondere all'agente un'indennita' se ricorra  almeno
una delle seguenti condizioni: 
        l'agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o  abbia
sensibilmente sviluppato gli affari con  i  clienti  esistenti  e  il
preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli  affari
con tali clienti; 
        il pagamento di tale indennita' sia  equo,  tenuto  conto  di
tutte le circostanze del caso, in particolare delle  provvigioni  che
l'agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti». 
    Cosi' facendo, egli ha violato i criteri direttivi fissati  dalla
legge di delega, la quale, come si e' detto, aveva disposto la  piena
conformita' della emananda  disciplina  normativa  alle  prescrizioni
della direttiva comunitaria da attuare, e  in  particolare  a  quella
contenuta  nell'art.  17  della  direttiva  medesima,  postulante  il
concorso cumulativo di ambedue le surriportate condizioni ai fini del
riconoscimento  -  del  diritto   dell'agente   alla   corresponsione
dell'indennita' di fine rapporto. 
    Di qui la sollevata censura di illegittimita' costituzionale,  la
quale si fonda sulle seguenti argomentazioni giuridiche: 
        a) a mente  dell'art.  76  della  Costituzione,  «l'esercizio
della funzione legislativa non puo' essere delegato al Governo se non
con determinazione di principi e criteri  direttivi  e  soltanto  per
tempo limitato e per oggetti definiti»; 
        b)  il  vizio  di  legittimita'  costituzionale  puo'  essere
determinato, oltre che dalla violazione diretta di  una  disposizione
della Carta fondamentale, anche dalla violazione di una  c.d.  «norma
interposta»; ed e' appunto quanto si verifica  nel  caso  di  decreto
legislativo emanato in contrasto con  il  contenuto  della  legge  di
delega, atteso che la difformita' immediatamente rilevabile e' quella
tra il decreto legislativo e la detta legge, ma al  tempo  stesso  il
primo viola l'art. 76 della Costituzione, secondo cui il  Governo  e'
tenuto a osservare i limiti, stabiliti dalle Camere  nella  legge  di
delega, all'esercizio del potere legislativo delegato. 
    L'entrata in vigore  dell'art.  1751,  primo  comma,  del  codice
civile, nel testo sostituito dall'art. 4 del decreto  legislativo  n.
303/1991, ha peraltro determinato l'insorgenza di un contrasto tra la
normativa comunitaria e  l'ordinamento  interno;  contrasto  rilevato
anche dalla Commissione delle Comunita' Europee, la quale ha  avviato
nei confronti dell'Italia un procedimento  di  infrazione,  ritenendo
che  il  nostro  Paese  non  avesse  dato  corretta  attuazione  alla
direttiva n.  86/653/CEE,  avendo  trattato  le  previsioni  dei  due
«trattini»  dell'art.  17,  paragrafo  2,  lettera  a)  della   detta
direttiva come due  condizioni  alternative,  invece  che  cumulative
(cfr., sul punto, anche la relazione in data  23  luglio  1996  della
Commissione, predisposta ai sensi dell'art. 17,  paragrafo  6,  della
direttiva). 
    Per ovviare alla descritta situazione, sulla base della legge  di
delega 24 aprile 1998, n. 128 - il cui art. 2,  lettera  g)  contiene
nuovamente  il  criterio  direttivo  della  piena  conformita'   alle
prescrizioni delle direttive  comunitarie  da  attuare  -,  e'  stato
emanato il decreto legislativo 15 febbraio 1999, n. 65  («Adeguamento
della disciplina relativa agli agenti  commerciali  indipendenti,  in
ulteriore attuazione della direttiva 86/653/CEE del Consiglio del  18
dicembre 1986»), allo scopo  di  dare  piu'  fedele  attuazione  alla
direttiva comunitaria in materia. 
    In particolare, l'art. 5, primo  comma,  del  citato  decreto  ha
sostituito il primo comma dell'art. 1751 del codice civile,  che  ora
recita: «All'atto della cessazione del  rapporto,  il  preponente  e'
tenuto a  corrispondere  all'agente  un'indennita'  se  ricorrono  le
seguenti  condizioni:  l'agente  abbia  procurato  nuovi  clienti  al
preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i  clienti
esistenti  e  il  preponente  riceva  ancora   sostanziali   vantaggi
derivanti dagli affari con tali clienti; 
    Il pagamento di tale indennita' sia equo, tenuto conto  di  tutte
le  circostanze  del  caso,  in  particolare  delle  provvigioni  che
l'agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti». 
    Per  effetto  di  tale   intervento   correttivo,   l'evidenziata
antinomia tra il diritto comunitario  e  l'ordinamento  interno  puo'
quindi ritenersi superata. 
    Senonche', il  menzionato  art.  5  del  decreto  legislativo  n.
65/1999 e' entrato in vigore il 3  aprile  1999  e  non  puo'  dunque
trovare applicazione, in difetto di apposita disciplina  transitoria,
ai contratti di agenzia gia' cessati prima  di  quella  data  (e  tra
questi rientra proprio il contratto  dedotto  in  giudizio),  dovendo
peraltro escludersi la sua natura interpretativa, stante la  mancanza
di esplicite  indicazioni  testuali  in  tal  senso  e  il  carattere
eccezionale  dell'efficacia  retroattiva  della   legge,   desumibile
dall'art. 11, primo coma, delle preleggi. 
    Di  qui  l'indubbia  rilevanza  della  sollevata   questione   di
legittimita' costituzionale ai fini della  definizione  del  presente
giudizio, nel quale occorre accertare se,  in  base  alla  disciplina
normativa all'epoca vigente, l'istante Di Santi Nicola & C.  s.n.  c.
abbia o meno diritto alla indennita' di cui all'art. 1751 del  codice
civile, da essa rivendicata nei confronti della convenuta Del Giudice
s.r.1.. 
    Invero, se si ritiene che l'art. 1751, primo  comma,  del  codice
civile, nel testo novellato dall'art. 4 'del decreto  legislativo  n.
303/1991,  applicabile  ratione   temporis,   e'   costituzionalmente
illegittimo, in riferimento all'art.  76  della  Costituzione,  nella
parte in cui, in violazione dei  criteri  direttivi  contenuti  nella
legge di delega, prevede che «all'atto della cessazione del  rapporto
il preponente e' tenuto a corrispondere all'agente  un'indennita'  se
ricorra almeno una delle seguenti condizioni:_»,  anziche'  prevedere
che «all'atto della cessazione del rapporto 11 preponente e' tenuto a
corrispondere  all'agente  un'indennita'  se  ricorrono  le  seguenti
condizioni:...», la domanda proposta dalla Di Santi  s.n.  c.  potra'
essere accolta nel solo caso di accertata concorrenza di entrambe  le
condizioni enunciate dalla citata norma; se, invece,  si  esclude  la
sussistenza della  denunciata  illegittimita'  costituzionale,  sara'
sufficiente  verificare  la  ricorrenza  di  una  sola  delle   dette
condizioni per riconoscere la fondatezza della pretesa attorea. 
    Ne discende che il presente giudizio non puo' essere definito nel
merito indipendenteMente dalla risoluzione della cennata questione di
legittimita' costituzionale, tanto piu' alla luce dei risultati della
espletata istruttoria, che potrebbero condurre a un esito della  lite
diverso a seconda dell'adesione all'una piuttosto che all'altra delle
opzioni interpretative innanzi prospettate. 
    Ove, peraltro, fosse ritenuta inammissibile la pronuncia  di  una
sentenza sostitutiva, nei termini sopra specificati, si chiede che il
Giudice delle  Leggi,  sulla  scorta  delle  medesime  argomentazioni
giuridiche    innanzi    svolte,    voglia    comunque     dichiarare
l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  1751,  primo  comma,  del
codice civile -nel testo, applicabile  ratione  temporis,  sostituito
dall'art.  4   del   decreto   legislativo   n.   303/1991,   vigente
anteriormente  alle  modifiche  apportate  dall'art.  5  del  decreto
legislativo  n.  65/1999-,   in   riferimento   all'art.   76   della
Costituzione, per violazione dei criteri  direttivi  stabiliti  dagli
articoli 2, lettera f) e 15 della legge di delega (Legge 29  dicembre
1990,  n.  428),  disponenti  la  piena  conformita'  della  emananda
disciplina normativa alle prescrizioni della direttiva comunitaria da
attuare (n. 86/653/CEE del 18 dicembre  1986),  e  in  particolare  a
quella contenuta nell'art. 17, paragrafo 2), lettera a) della  citata
direttiva,  secondo  cui  «l'agente   commerciale   ha   diritto   ad
un'indennita' se e nella misura in cui: 
        abbia  procurato  nuovi  clienti  al   preponente   o   abbia
sensibilmente sviluppato gli affari con  i  clienti  esistenti  e  il
preponente abbia ancora sostanziali vantaggi derivanti  dagli  affari
con tali clienti; 
        il pagamento di tale indennita' sia  equo,  tenuto  conto  di
tutte le circostanze del caso, in particolare delle  provvigioni  che
l'agente commerciale perde e che  risultano  dagli  affari  con  tali
clienti». 
    Un'eventuale  pronuncia  caducatoria,  non  accompagnata  da   un
intervento manipolativo teso a ricondurre il testo della disposizione
censurata    nell'alveo    della     legittimita'     costituzionale,
determinerebbe, infatti, la reviviscenza dell'abrogato art. 1751  del
codice civile, nel testo sostituito dall'articolo unico  della  Legge
15  ottobre  1971,  n.  911,   il   quale   recava   una   disciplina
dell'indennita' per lo scioglimento del contratto  di  agenzia  assai
diversa da quella introdotta dal piu' volte citato art. 4 del decreto
legislativo n. 303/1991, limitandosi a stabilire che «all'atto  dello
scioglimento del contratto a tempo indeterminato,  il  preponente  e'
tenuto  a  corrispondere   all'agente   un'indennita'   proporzionale
all'ammontare delle provvigioni liquidategli nel corso del  contratto
e nella misura stabilita dagli accordi  economici  collettivi,  dagli
usi o, in mancanza, dal giudice  secondo  equita'»  e  che  «da  tale
indennita' deve detrarsi quanto l'agente ha diritto di  ottenere  per
effetto  di  atti  di   previdenza   volontariamente   compiuti   dal
preponente». 
    Anche nei detti termini appare,  quindi,  indubbia  la  rilevanza
della prospettata questione di legittimita'  costituzionale  ai  fini
della risoluzione della presente vertenza, atteso  che,  in  caso  di
ritenuta applicabilita' della anteriore disciplina di cui alla citata
L.  n.  911/1971,  quale  conseguenza   della   disposta   espunzione
dall'ordinamento    giuridico    della     norma     censurata     di
incostituzionalita', ben diversi sarebbero  i  presupposti  necessari
per l'accoglimento della pretesa attorea. 
    La proposizione dell'incidente  di  costituzionalita'  non  puo',
peraltro,  essere   evitata   da   questo   giudice   attraverso   la
disapplicazione della norma interna (nella  specie,  dell'art.  1751,
primo comma, del codice civile, nel testo sostituito dall'art. 4  del
decreto  legislativo  n.  303/1991)  contrastante  con  la  direttiva
comunitaria non correttamente  attuata,  alla  stregua  del  costante
orientamento della  Suprema  Corte  di  Cassazione,  formatosi  sulla
scorta della giurisprudenza della Corte di giustizia delle  Comunita'
Europee, secondo cui le disposizioni di una direttiva comunitaria non
attuata  (o  non  correttamente  attuata)  hanno  efficacia   diretta
nell'ordinamento  dei  singoli  Stati  membri   -sempre   che   siano
incondizionate e sufficientemente precise e lo Stato destinatario sia
inadempiente per l'inutile decorso del  termine  accordato  per  dare
attuazione alla direttiva- limitatamente ai rapporti tra le autorita'
dello Stato inadempiente ed i singoli  soggetti  privati  (cosiddetta
efficacia  verticale),  e  non  anche   nei   rapporti   interprivati
(cosiddetta efficacia orizzontale), in quanto esclusivamente  in  tal
senso si e' pronunciata -sin dalla sentenza 26  febbraio  1986  nella
causa n. 152/84 (Marshall c/  Southampton  and  South-West  Hampshire
Area Health Authority) - la giurisprudenza della Corte  di  Giustizia
europea (vinColante per i giudici nazionali), la quale non ha affatto
superato il principio che le direttive obbligano  esclusivamente  gli
Stati alla  loro  attuazione  mediante  strumenti  normativi  interni
(talche'  l'applicazione  delle  loro  disposizioni  ai  singoli   e'
soltanto  l'effetto  indiretto  delle  disposizioni  interne  che  le
recepiscono), ma ha -piu' limitatamente- stabilito che lo  Stato  non
puo'  ,opporre  ai  singoli  l'inadempimento,  da  parte  sua,  degli
obblighi impostigli dalla  direttiva,  per  cui  risponde,  nei  loro
confronti, dei' danni derivanti da tale inadempimento (cfr.,  in  tal
senso, Cass. n. 23937/06; Cass. n. 3762/04; Cass. n. 752/02; Cass. n.
4817/99; Cass. n. 11571/97; Corte di giustizia C.E. 14  luglio  1994,
causa n. 91; 'Corte di giustizia 7 marzo 1996, causa n. 192/94; Corte
di giustizia 26 settembre 1996, causa n. 168/95). 
    Oltretutto,  nel  caso  in  esame,  la   disposizione   normativa
sospettata  di  illegittimita'  costituzionale  non  appare  volta  a
limitare  o   sopprimere   l'autonomia   privata   in   vista   della
realizzazione  di  interessi  di  cui  e'  direttamente  titolare  la
Pubblica Amministrazione, sicche' neppure puo' invocarsi il principio
di diritto enunciato in talune pronunce della Suprema Corte,  secondo
cui, ricorrendo la descritta situazione, il  giudice  nazionale  deve
disapplicare  la  norma  interna  incompatibile  con   la   direttiva
comunitaria anche quando la controversia e'  formalmente  intervenuta
tra soggetti privati (cfr., in tal senso, Cass. n. 3914/02; Cass.  n.
4817/99). 
    Non puo', infine, esservi spazio, a fronte dell'inequivoco tenore
letterale  della  norma  («se  ricorra  almeno  una  delle   seguenti
condizioni»), per una  interpretazione  adeguatrice  del  suo  testo,
idonea  a  sottrarlo  al  denunciato  contrasto  con   il   parametro
costituzionale evocato, un simile risultato potendo  essere  ottenuto
solo a costo di stravolgere il  valore  semantico  delle  espressioni
usate dal legislatore delegato, in palese violazione del fondamentale
canone ermeneutico fissato dall'art. 12, primo comma, delle preleggi,
secondo cui «nell'applicare la legge non si puo' ad  essa  attribuire
altro senso che quello fatto palese  dal  significato  proprio  delle
parole, secondo la  connessione  di  esse,  e  dalla  intenzione  del
legislatore»; del resto, il ricorso  all'interpretazione  adeguatrice
e'  consentito  nella  sola  ipotesi  in  cui  la  norma  offra  piu'
possibilita'  interpretative,  l'una  conforme  e  l'altra   difforme
rispetto ai principi della Costituzione (cfr., in  tal  senso,  Cass.
Sez. Unite, n. 1994/03), ma non  anche  quando  -come  appunto  nella
specie- la norma sospettata di incostituzionalita', nella sua  chiara
formulazione letterale, impone un'unica soluzione interpretativa. 
    Per le esposte  ragioni,  si  rende  quindi  necessario  disporre
l'immediata trasmissione degli atti alla Consulta, perche' risolva la
sollevata questione di legittimita'  costituzionale;  nelle  more  il
presente giudizio deve rimanere sospeso. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale di Foggia - seconda sezione civile, in  composizione
monocratica; 
    Visti gli articoli 1 della Legge costituzionale 9 febbraio  1948,
n. 1 e 23 della Legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale del
primo comma dell'art. 1751 del codice civile - nel testo, applicabile
ratione temporis alla presente controversia, sostituito  dall'art.  4
del  decreto  legislativo  10  settembre  1991,   n.   303,   vigente
anteriormente  alle  modifiche  apportate  dall'art.  5  del  decreto
legislativo 15 febbraio 1999, n. 65 -,  in  riferimento  all'art.  76
della Costituzione, nella parte in cui,  in  violazione  dei  criteri
direttivi stabiliti dagli articoli 2, lettera f) e 15 della legge  di
delega  (Legge  29  dicembre  1990,  n.  428),  disponenti  la  piena
conformita' della disciplina normativa da emanare  alle  prescrizioni
della attuanda direttiva del Consiglio  delle  Comunita'  Europee  n.
86/653 del 18 dicembre 1986, e  in  particolare  a  quella  contenuta
nell'art. 17,  paragrafo  2,  lettera  a),  della  citata  direttiva,
secondo cui «l'agente commerciale ha diritto ad  un'indennita'  se  e
nella misura in cui: 
        abbia  procurato  nuovi  clienti  al   preponente   o   abbia
sensibilmente sviluppato gli affari con  i  clienti  esistenti  e  il
preponente abbia ancora sostanziali vantaggi derivanti  dagli  affari
con tali clienti; 
        il pagamento di tale indennita' sia  equo,  tenuto  conto  di
tutte le circostanze del caso, in particolare delle  provvigioni  che
l'agente commerciale perde e che  risultano  dagli  affari  con  tali
clienti», prevede che «all'atto  della  cessazione  del  rapporto  il
preponente e' tenuto  a  corrispondere  all'agente  un'indennita'  se
ricorra almeno una delle seguenti condizioni: 
        l'agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o  abbia
sensibilmente sviluppato gli affari  con  i  clienti  esistenti  e il
preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli  affari
con tali clienti; 
        il pagamento di tale indennita' sia  equo,  tenuto  conto  di
tutte le circostanze del caso, in particolare delle  provvigioni  che
l'agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti»; 
        dispone  l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla   Corte
costituzionale; 
        sospende il presente giudizio  in  attesa  della  risoluzione
della sollevata questione di legittimita' costituzionale; ordina che,
a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia  notificata  alle
parti  in  causa  e  al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  e
comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
          Foggia, 7 marzo 2008 
 
                                                   Il Giudice: Chieca