N. 264 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 novembre 2014

Ordinanza del 17 novembre 2014 del Tribunale di Bari nel procedimento
penale a carico di Messa Alberto. 
 
Gioco e scommesse - Regime concessorio -  Limitazioni  all'accesso  a
  gare nazionali per gli operatori comunitari - Modalita' di raccolta
  del gioco con vincita di denaro - Trattamento sanzionatorio. 
- Legge 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e
  delle  scommesse  clandestini  e  tutela  della  correttezza  nello
  svolgimento di manifestazioni sportive), art. 4, commi 1  e  4-bis,
  in combinato disposto con gli artt. 88 R.D. 18 giugno 1931, n.  773
  (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza)  e
  10, comma 9-octies, decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni
  urgenti   in   materia   di    semplificazioni    tributarie,    di
  efficientamento e potenziamento delle procedure  di  accertamento),
  convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012,  n.  44;
  decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40 (Disposizioni urgenti tributarie
  e  finanziarie  in  materia  di  contrasto   alle   frodi   fiscali
  internazionali e nazionali operate, tra l'altro,  nella  forma  dei
  cosiddetti   «caroselli»   e   «cartiere»,   di   potenziamento   e
  razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento
  alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti  recuperati
  al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda
  in particolari settori), convertito, con modificazioni, dalla legge
  22 maggio 2010, n. 73, art. 2, commi 2-bis e 2-ter. 
(GU n.49 del 9-12-2015 )
 
                          TRIBUNALE DI BARI 
              Seconda Sezione Penale - Rito Monocratico 
 
    Il giudice Antonio Dello Preite, 
        - letti gli atti di causa nel processo penale iscritto al  n.
4348/14 R.G. Trib - n. 20638/12 R.G.N.R. a carico di  MESSA  Alberto,
nato a Bari il 3 luglio 1991, imputato dell'art. 4, commi 1  e  4-bis
legge 13 dicembre 1989 n.  401  "  ...  per  avere,  in  qualita'  di
titolare della ditta individuale "Messa Alberto"  ed  in  assenza  di
concessione e/o autorizzazione da parte dell'Amministrazione Autonoma
dei Monopoli di Stato (AAMS), nonche' della licenza di  P.S.  di  cui
all'art. 88 del RD18.06.31 n. 773 (TULPS), organizzato  scommesse  su
attivita' sportive ponendo  in  essere  un'attivita'  finalizzata  ad
accertare e raccogliere  in  Italia  scommesse  per  eventi  sportivi
nazionali ed esteri. Accertato in Polignano a  Mare  il  19  novembre
2012 ..."; 
        - rilevato che l'imputato personalmente ed i  suoi  difensori
hanno richiesto  la  definizione  con  rito  abbreviato,  depositando
documentazione   e   memorie   difensive   e   che    si    procedeva
all'acquisizione  del  fascicolo  del  PM  in  ottemperanza  al  rito
prescelto; 
        -  sentite  le  conclusioni  delle  parti   all'esito   della
discussione, 
 
                               Osserva 
 
    In data 19 novembre 2012 personale della Guardia di Finanza della
Compagnia  di  Monopoli  (BA)  procedeva  al  controllo  dei   locali
dell'imputato utilizzati per  la  raccolta  delle  scommesse  in  via
telematica e, rilevando l'assenza  sia  della  concessione  AAMS  che
dell'autorizzazione  prevista  dall'art.  88  TULPS,   procedeva   al
sequestro preventivo  di  nove  videoterminali  utilizzati  per  tale
attivita',  inoltrando  contestualmente  CNR   alla   Procura   della
Repubblica per la contestazione del reato di cui alla rubrica. 
    Dalla  documentazione  depositata  a  questo   giudice,   ed   in
particolare dal contratto  del  12  settembre  2012  di  affiliazione
dell'imputato alla Centurionbet Ltd., bookmaker di diritto maltese, e
dal provvedimento della Questura di Bari  dell'11  febbraio  2013  di
diniego di rilascio della licenza ex art. 88 TULPS, si  rilevava  che
il Messa aveva chiesto l'autorizzazione per la raccolta di  scommesse
per  conto  della  Centurionbet  Ltd.  nei  locali   di   via   delle
Rimembranze, 10/12 in Polignano a Mare, dove poi successivamente  era
stato operato il controllo ed il successivo sequestro di  cui  sopra:
si sottolineava che il richiedente non era  titolare  di  concessione
rilasciata dall'AAMS  e  che  difettava  dei  requisiti  della  buona
condotta perche' era stato deferito all'AG per commissione dei  reati
di esercizio abusivo di giuoco e scommesse in violazione dell'art.  4
legge n. 401/89 accertati  il  19  settembre  2012  (e  cioe'  questo
processo), nonche' di altre mete irregolarita' formali collegate alla
presentazione  dell'istanza  (mancanza  di  bolli,   della   piantina
planimetrica dei locali ecc.). 
    I difensori, depositavano, inoltre, autorizzazione al  Messa  del
24 luglio 2012 del Comune di Polignano a Mare per l'esercizio di sala
giochi. 
    Nelle conclusioni, supportate da memorie e da documentazione,  la
difesa ha opposto, con  l'esibizione  di  copiosa  giurisprudenza  al
riguardo, la non punibilita' dell'imputato, in quanto la  fattispecie
penale a lui contestata deve esser disapplicata per contrasto con  la
normativa  comunitaria  chiedendo  di  NDP  nei  suoi  confronti  con
disapplicazione dell'art. 4 legge n. 401/89 e,  subordinatamente,  di
sospendere il processo de quo, con  trasmissione,  ex  art.  267  del
TFUE, alla Corte di Giustizia Europea per accertare: a) se gli  artt.
49 e ss. e 56 e ss. del TFUE ed i principi affermati dalla  Corte  di
giustizia europea debbano essere  interpretati  nel  senso  che  essi
ostino ad una disciplina nazionale di cui all'art. 4 legge n.  401/89
e art. 88 TULPS nella parte in cui uno Stato membro ponga  in  essere
una gara nazionale di affidamento di concessioni per  l'esercizio  di
attivita' di giochi e scommesse emesso il 26 luglio 2012 e pubblicato
in GU n. 88 del 30 luglio 2012 per l'affidamento  in  concessione  di
2000 diritti per l'esercizio congiunto dei giochi pubblici  ai  sensi
dell'art. 10,  comma  9-octies  decreto-legge 2  marzo  2012  n.  16,
convertito con modificazioni nella legge 26  aprile  2012  n.  44  di
durata inferiore alle precedenti, limitando  l'accesso  ad  operatori
comunitari, quali la Centurionbet Ltd. di partecipazione alla  stessa
in  relazione  all'indeterminatezza  della  durata  di  gestione  del
servizio, nella misura in cui  non  vengano  revocate  le  precedenti
concessioni dichiarate gia'  illegittime  dalla  Corte  di  Giustizia
Europea,  violando  i  principi  di  parita'  di  trattamento  e   di
effettivita' del diritto dell'Unione; b) se gli artt. 49 e ss. e 56 e
ss. del TFUE ed i principi affermati dalla Corte di Giustizia Europea
debbano  essere  interpretati  nel  senso  che  essi  ostano  ad  una
disciplina nazionale di cui all'art. 4 legge  n.  401/89  e  art.  88
TULPS nella parte in cui vengono sanzionati penalmente soggetti a cui
viene negato il rilascio di autorizzazione di cui all'art. 88  TULPS,
pur avendo i requisiti di affidabilita' previsti dall'ordinamento, in
quanto non in possesso  di  concessione  per  irregolarita'  commesse
nell'ambito di una procedura di gara per il rilascio delle stesse. 
    Nella documentazione depositata dalla difesa era  acquisita,  con
traduzione asseverata da  giuramento,  la  licenza  per  il  gioco  a
distanza di classe I, II e III rilasciata alla  Centurionbet  Limited
C-44934 dalla competente Autorita' per le lotterie ed il gioco  dello
Stato di Malta. 
    Inoltre, veniva depositato in copia, ricorso al TAR  Lazio  della
Centurionbet Limited C-44934 dell'11 ottobre 2012 contro l'AAMS ed il
Ministero  dell'economia  e   delle   finanze   avente   ad   oggetto
l'annullamento del bando di gara pubblicato sulla GURI del 30  luglio
2012  n.  88  e  degli  atti   conseguenziali   avente   ad   oggetto
l'affidamento  in  concessione  di  2000  diritti   per   l'esercizio
congiunto dei giochi pubblici ai sensi dell'art. 10,  comma  9-octies
del decreto-legge n. 2 marzo 2012 n. 16, convertito con modificazioni
nella legge 26 aprile 2012 n. 44. 
    La fattispecie che ha trovato (e trova) sovente ingresso  dinanzi
ai tribunali penali italiani puo'  essere  sintetizzata  come  segue:
l'imputato gestisce un'attivita' di raccolta di scommesse on line, in
ambito nazionale ed internazionale, cosi' strutturata:  il  giocatore
indica all'operatore la  scommessa  cui  intende  partecipare  e  gli
consegna il denaro necessario; l'operatore provvede ad  inviare,  per
via telematica, l'ordine ricevuto agli  allibratori  stranieri  (c.d.
bookmakers), per i quali svolge la funzione  di  intermediario  nella
raccolta  delle  predette  scommesse.  Nel  corso  di  attivita'   di
controllo, agenti di Polizia  Giudiziaria  accertano,  a  seguito  di
perquisizione dell'esercizio commerciale, che l'imputato non  dispone
della concessione amministrativa e della licenza  di  polizia.  Segue
dunque  il  sequestro,  fra  l'altro,  di  computers,   ricevute   di
scommesse, corrispondenza tra l'imputato ed i bookmakers, nonche'  di
denaro contante. 
    Il settore delle scommesse, nel nostro ordinamento, e' oggetto di
una  complessa  disciplina  nella  quale  profili  piu'  strettamente
penalistici si  intrecciano,  sul  piano  della  regolamentazione,  a
profili di natura amministrativa: cio' si fonda, evidentemente  sulla
indubbia rilevanza pubblicistica della materia che incide su  aspetti
di rango primario quali gli interessi finanziari  dello  Stato  e  la
tutela dell'ordine pubblico. 
    In  tale  prospettiva  il   legislatore   subordina   l'esercizio
dell'attivita' organizzata di raccolta  e  gestione  delle  scommesse
alla  sussistenza  di  un   duplice   requisito:   l'ottenimento   di
un'apposita concessione da parte dello Stato (nel caso  specifico  si
tratta  dell'Amministrazione  Autonoma  dei   Monopoli   di   Stato),
all'esito della partecipazione  ad  una  pubblica  gara  che  prevede
l'attribuzione  del  titolo  abilitativo  in  favore  di  un   numero
circoscritto di soggetti e il rilascio dell'autorizzazione di polizia
ai sensi dell'art. 88 TULPS. 
    Perche'  il  titolo  autorizzatorio   possa   essere   conseguito
dall'interessato, peraltro, debbono ricorrere due presupposti: a)  da
un lato che il richiedente sia in possesso dei  requisiti  soggettivi
di cui all'art. 11 TULPS e, b) dall'altro che il  soggetto  esercente
sia titolare della concessione di cui sopra. 
    Ne consegue che i due requisiti  sono  tra  loro  interdipendenti
posto che  la  mancata  titolarita'  della  concessione  in  capo  al
richiedente preclude il rilascio dell'autorizzazione, mentre la  mera
circostanza che il  soggetto  abbia  conseguito  l'autorizzazione  di
polizia non legittima ex se alla gestione e raccolta delle scommesse. 
    La materia e'  stata  di  recente  oggetto  di  nuovo  intervento
normativo da parte del legislatore che  all'art.  2,  commi  2-bis  e
2-ter decreto-legge n. 40/2010 ha precisato che il gioco con  vincita
in denaro puo'  essere  raccolto  dai  titolari  soggetti  di  valida
concessione rilasciata dall'AAMS esclusivamente nelle sedi e  con  le
modalita' previste dalla relativa  convenzione  di  concessione,  con
esclusione di qualsiasi altra sede, modalita' o  apparecchiatura  che
ne permetta la partecipazione telematica. 
    Inoltre la normativa citata, con  disposizione  interpretativa  e
quindi retroattiva, ha stabilito che l'art. 88 TULPS,  si  interpreta
nel senso che la licenza ivi prevista, ove  rilasciata  per  esercizi
commerciali nei quali si svolge l'esercizio e la raccolta  di  giochi
pubblici con vincita di danaro, e'  da  intendersi  efficace  solo  a
seguito di rilascio ai titolari dei  medesimi  esercizi  di  apposita
concessione per l'esercizio e la raccolta di tali giochi. 
    Pertanto, ai fini suindicati non vale piu' alcuna distinzione tra
intermediari delegati e titolari, nonche' tra l'utilizzo  di  sistemi
telematici o altro, necessitando in  ogni  caso  la  compresenza  sia
della concessione che dell'autorizzazione. 
    Il regime cosi' delineato, tuttavia, deve essere armonizzato  con
i principi e le norme di diritto  comunitario  nel  perseguimento  di
eliminare tra gli Stati membri, gli ostacoli alla libera circolazione
delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali. 
    Nell'ambito delle liberta' riconosciute a tal  fine  riconosciute
ai cittadini dell'Unione Europea, particolare  rilievo  assumono,  al
riguardo la liberta' di stabilimento di cui all'art. 49 del  trattato
CE (gia' art. 43 trattato CE) e la libera prestazione di servizi,  di
cui al successivo art. 56 (gia' art. 49  trattato  CE),  strettamente
collegate entrambe al principio di non discriminazione  tra  soggetti
che esercitano la propria attivita' in uno Stato  membro  diverso  da
quello di origine, in cui siano stati regolarmente abilitati. 
    Costituisce   principio    consolidato    nella    giurisprudenza
comunitaria quello secondo cui le condizioni imposte dallo  Stato  di
destinazione del servizio non devono aggiungersi a  quelle  richieste
dallo Stato di stabilimento dell'impresa,  atteso  che  il  controllo
dell'attivita' esercitato dal primo deve essere in linea di principio
limitato al rispetto  della  normativa  dello  Stato  d'origine,  sul
presupposto dell'equivalenza delle diverse regole  nazionali  vigenti
negli Stati membri (c.d. home country control). 
    Ai sensi degli artt.  51  e  52  del  trattato  CE,  inoltre,  le
normative  nazionali  possono   prevedere   restrizioni   di   ordine
soggettivo alla liberta' di stabilimento e alla libera prestazione di
servizi, purche' si tratti di misure  necessarie  per  la  tutela  di
ordine generale  e  sempre  che  vengano  rispettati  i  principi  di
coerenza e sistematicita', non  discriminazione  e  proporzionalita',
con violazione di  qualsivoglia  ingiustificato  privilegio  per  gli
operatori nazionali. 
    In  tal  senso  va  infatti  rimarcata  l'importanza  della  nota
sentenza Gambelli del 6 novembre 2003, procedimento C-243/01, con cui
sono  stati  fissati  i  principi  guida  per  la  risoluzione  della
controversia. 
    Chiamata a pronunciarsi ex art. 234 TFUE in ordine  al  sequestro
preventivo di aziende italiane collegate ad un  operatore  straniero,
la Corte di Giustizia ha infatti precisato  che  "....  la  normativa
statale che vieta,  anche  con  sanzioni  penali  lo  svolgimento  di
attivita' correlate alle scommesse su eventi sportivi in  assenza  di
concessione  o  di  autorizzazione  rilasciata  dallo  Stato  membro,
costituisce una restrizione alla  liberta'  di  stabilimento  e  alla
libera prestazione di servizi di cui agli artt. 43 e 49  trattato  CE
(ora  49  e  56  trattato  CE).  Restrizioni  a  tali  liberta'  sono
ammissibili se  giustificate  da  esigenze  imperative  di  interesse
generale, le quali devono in ogni caso configurarsi necessarie per il
conseguimento dello scopo  perseguito,  essere  proporzionate  e  non
discriminatorie.  Spetta  al  giudice  nazionale  verificare  se   la
normativa  statale,  alla  luce  delle  sue  concrete  modalita'   di
applicazione, risponda a tali esigenze e ai relativi requisiti ...". 
    Nonostante il successivo intervento della Corte di  Cassazione  a
SSUU del 26 aprile 2004 n. 23271 - rv 227725, essenzialmente inteso a
ribadire la piena compatibilita'  della  disciplina  italiana  con  i
principi di cui agli artt. 43 e 49 Trattato CE (ora 49 e 56)  per  le
ragioni  di  ordine  pubblico  sottese  al  regime  restrittivo,   la
giurisprudenza di merito ha continuato a manifestare perplessita'  in
ordine  all'effettiva  rispondenza  della  normativa   interna   alle
indicazioni provenienti dall'ordinamento comunitario. Il problema  si
e' posto, in particolare, con riferimento alla concreta apertura  del
settore  delle  scommesse  agli  operatori   stranieri,   debitamente
autorizzati nei propri paesi d'origine. 
    Va  rilevato,  infatti  che,  originariamente,  il   sistema   di
concessione  per  le  scommesse  su   manifestazioni   sportive   non
permetteva  che  le  concessioni  fossero  rilasciate  in  favore  di
societa' di capitali. Solo con la legge n. 305/02  fu  superato  quel
sistema, oggetto di critiche da parte della Corte di Giustizia. 
    Nonostante le novita' introdotte,  tuttavia  non  furono  indette
nuove  gare  per  il  rilascio  di  concessioni,  almeno  fino   alla
promulgazione del decreto-legge n. 223/06, convertito nella legge  n.
248/06,  con  cui  fu  data  attuazione  alla  nuova  normativa,   la
situazione  e'  rimasta  sostanzialmente  cristallizzata,  quanto  al
numero ed alla tipologia dei titolari, al regime  previsto  in  epoca
anteriore alla legge finanziaria 2003. 
    Alla  luce  di  tali  contraddizioni,  su  domanda  di  pronuncia
pregiudiziale formulate ai sensi dell'art. 234 TFUE dai Tribunali  di
Larino e Teramo, la Corte di Giustizia e' stata nuovamente  investita
della questione. 
    Nel ribadire le conclusioni  gia'  raggiunte  con  la  precedente
sentenza Gambelli sopra citata, la Corte  ha  ulteriormente  ribadito
che  "...  una  normativa  che  vieta  l'esercizio  di  attivita'  di
raccolta, di accettazione  di  registrazione  e  di  trasmissione  di
proposte di scommesse,  in  particolare  sugli  eventi  sportivi,  in
assenza di concessione o  di  autorizzazione  di  polizia  rilasciate
dallo Stato membro  interessato,  costituisce  una  restrizione  alla
liberta' di stabilimento nonche' alla libera prestazione dei  servizi
previste rispettivamente dagli artt. 43 e 49 CE (ora 49  e  56)  ..."
(CGE 6 marzo 2007 n. 338 - Placanica). 
    Come di consueto spetta al giudice  nazionale  verificare  se  la
normativa nazionale, in quanto  limita  il  numero  di  soggetti  che
operano  nel  settore  dei  giochi  d'azzardo,   risponda   realmente
all'obiettivo mirante a prevenire l'esercizio delle attivita' in tale
settore per fini criminali o fraudolenti. 
    Nel procedere a tale delicato accertamento, il giudice  nazionale
e'  tenuto,   peraltro,   ad   uniformarsi   ai   seguenti   principi
giurisprudenziali,  elaborati  dalla  Corte  nel  chiaro  intento  di
circoscrivere    i    margini    di    discrezionalita'     riservati
all'apprezzamento delle Autorita' nazionali: 
        a) in primo luogo, gli artt. 43 e 49 CE (ora 49 e 56)  devono
essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa  nazionale,
quale quella di cui trattasi nelle cause principali,  che  esclude  e
per di piu' continua ad escludere nel settore  dei  giochi  d'azzardo
gli operatori costituiti sotto forma  societa'  di  capitali  le  cui
azioni sono quotate nei mercati regolamentati; 
        b) in secondo luogo, gli artt. 43 e  49  CE  (ora  49  e  56)
devono essere interpretati nel senso  che  ostano  ad  una  normativa
nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause  principali,  che
impone una sanzione penale a soggetti quali gli imputati nelle  cause
principali, per aver esercitato un'attivita' organizzata di  raccolta
di scommesse in assenza della concessione  o  dell'autorizzazione  di
polizia richieste dalla normativa nazionale allorche' questi soggetti
non hanno potuto ottenere le dette  concessioni  o  autorizzazioni  a
causa del rifiuto di tale Stato membro,  in  violazione  del  diritto
comunitario, di concederle loro. 
    Come si puo' vedere  la  sentenza  Placanica  non  fa  discendere
l'incompatibilita' tra disciplina statale  e  disciplina  comunitaria
dalla mera circostanza che il  legislatore  italiano  abbia  previsto
restrizioni all'attivita' di raccolta delle scommesse, purche' queste
salvaguardino i principi di non discriminazione, di necessita'  e  di
proporzione. 
    Tuttavia, cio' che rende  contraria  ai  principi  comunitari  la
normativa italiana e' rappresentato, piuttosto  dalle  modalita'  con
cui il regime concessorio e' stato disciplinato e, quindi, attuato. 
    In particolare sono tre i  profili  valorizzati  dalla  Corte  di
Giustizia  Europea  in  ordine  alla  non  conformita'   del   regime
concessorio italiano: 1) la previsione di un  numero  di  concessioni
limitato, aspetto questo potenzialmente in contrasto con il principio
di proporzionalita' ed adeguatezza, in considerazione  dell'obiettivo
dichiarato di prevenire l'esercizio delle attivita'  in  oggetto  per
fini criminali o fraudolenti e della contestuale scelta  di  ampliare
il settore dei giochi  e  delle  scommesse  autorizzati  dalla  legge
(punti  55-58);  2)  la  previsione  di  limiti  ingiustificati  alla
partecipazione alla gara per l'aggiudicazione delle concessioni,  con
specifico  riferimento  all'esclusione  delle  societa'  quotate  con
azionariato anonimo dal bando del 1999 (punti 59-61); 3) la decisione
dello Stato italiano di conservare il regime di monopolio  in  favore
di concessionari pubblici e, comunque  di  prorogare  le  concessioni
gia' attribuite. 
    Secondo la  Corte,  in  particolare,  compete  in  via  esclusiva
all'ordinamento  giuridico  interno  individuare  gli  strumenti   di
intervento appropriati per  tutelare  la  posizione  degli  operatori
illegittimamente  esclusi  dalla  partecipazione  alla  gara,   fermo
restando che, in assenza di rimedi adeguati (quali  la  revoca  e  la
redistribuzione delle  precedenti  concessioni,  ovvero  la  messa  a
concorso di in numero adeguato di nuove concessioni) la  mancanza  di
concessione non puo' costituire oggetto di sanzioni nei confronti  di
tali operatori (punti 62 e ss.). 
    Quanto al  regime  autorizzatorio,  invece,  la  sentenza  ne  ha
riconosciuto la sostanziale compatibilita' con i principi di  diritto
comunitario, fatta eccezione per l'ipotesi in cui il mancato rilascio
dell'autorizzazione  sia  dipeso   dall'illegittimo   diniego   della
concessione per le ragioni in precedenza evidenziate. 
    Le  ripercussioni  della  sentenza   Placanica   sull'ordinamento
italiano si sono subito fatte sentire con una pluralita' di  sentenze
(tra tutte Cass. Pen. Sez III 22 aprile  2008  n.  2417)  in  cui  la
Suprema Corte ha affermato che lo Stato italiano non  puo'  applicare
sanzioni  nei  confronti  di  persone  escluse  dal  rilascio   delle
autorizzazioni, di cui all'art. 88 TULPS per il  solo  fatto  che  la
raccolta viene effettuata  per  conto  di  societa'  con  azionariato
anonimo, e che non hanno potuto partecipare  per  tale  ragione  alle
gare per l'attribuzione delle  licenze,  sebbene  in  possesso  delle
necessarie autorizzazioni per la gestione organizzata di scommesse in
altro Stato membro. 
    In tale prospettiva, il legislatore  italiano,  dapprima  con  la
legge finanziaria del 2003 e poi con il decreto 223/06 (c.d.  decreto
Bersani) ha consentito la partecipazione alle gare per l'attribuzione
di concessioni a tutte le  societa'  di  capitali,  indipendentemente
dalla  struttura,  prevedendo  l'aggiudicazione   di   nuovi   titoli
concessori. 
    Ma  anche  quest'intervento  non  ha  armonizzato  la   normativa
italiana  con  i  principi  comunitari,  poiche'  tale  decreto,  pur
prevedendo una gara ad evidenza pubblica per l'assegnazione di  nuove
concessioni, non ha revocato quelle gia' in essere ne' ha predisposto
accorgimenti idonei a rimuovere  la  situazione  discriminatoria  nel
tempo  determinatasi  a  carico  degli   operatori   illegittimamente
esclusi. 
    Viceversa, la nuova  disciplina  ha  introdotto:  a)  limitazioni
particolarmente   stringenti   per   gli   aspiranti   concessionari,
determinando un numero massimo di nuovi  punti  vendita  per  Comune,
tenuto conto di quelli in precedenza assegnati e con l'imposizione di
una distanza minima  tra  questi  ultimi;  b)  vincoli  all'esercizio
transfrontaliero  della  raccolta   di   scommesse,   predeterminando
autoritativamente i palinsesti d'offerta dei nuovi servizi e vietando
l'attivita' di raccolta  di  scommesse  sportive  identica  a  quella
oggetto di concessioni rilasciate dallo Stato italiano; c)  decadenze
delle concessioni ed autorizzazioni, in presenza  di  presupposti  in
parte rimessi alla valutazione discrezionale dell'AAMS. 
    Di  fatto,  il  complesso  delle   disposizioni   in   precedenza
richiamate ha finito inevitabilmente per favorire  i  titolari  delle
concessioni rilasciate in epoca anteriore, assicurando a  costoro  il
consolidamento di posizioni indebitamente acquisite in violazione dei
principi di diritto comunitario e pregiudicando in misura  immotivata
e significativa la posizione degli ulteriori operatori interessati ad
investire nel mercato italiano. 
    Tutto questo, evidentemente, in contrasto  con  i  principi  gia'
sanciti  dalla  Corte  di  Giustizia,   la   quale,   nel   rimettere
all'ordinamento  giuridico  interno   la   scelta   delle   modalita'
procedurali volte a  tutelare  i  diritti  derivanti  agli  operatori
dall'efficacia diretta del diritto comunitario - aveva  ribadito  che
tali modalita' non dovevano essere  meno  favorevoli  di  quelle  che
riguardano  soluzioni  analoghe  di  natura  esterna  (principio   di
equivalenza)  ne'   devono   rendere   in   pratica   impossibile   o
eccessivamente   difficile   l'esercizio   dei   diritti    conferiti
dall'ordinamento giuridico comunitario (principio di effettivita'). 
    A sommesso parere di questo giudice, si e' omesso di considerare,
tuttavia, che lo  scopo  di  perseguire  la  possibile  degenerazione
criminale da un lato  non  puo'  essere  l'unico  a  legittimare  una
restrizione sotto il profilo "ordine pubblico" - che, invece, come si
e' visto nell'interpretazione della Corte di  giustizia,  deve  avere
prevalenti connotati "sociali" di attenuazione degli  effetti  nocivi
del gioco sui singoli e sulle famiglie prima ancora della repressione
di eventuali forme criminali di gestione - e, dall'altro, e' comune a
tanti altri settori (da quello  del  credito,  a  quello  dei  lavori
pubblici  e  degli  appalti,  dall'assunzione  al  lavoro,  a  quello
ambientale, dalla circolazione delle merci,  a  tanti  altri)  per  i
quali viceversa non e' previsto alcun sistema concessorio  ne'  tanto
meno autorizzatorio ex art. 88 TULPS (licenza di pubblica sicurezza).
In tanti altri settori economici  permeabili  alla  criminalita'  ben
piu' di quello delle scommesse (si pensi al settore  del  riciclaggio
dei  rifiuti  solidi,  all'esportazione  di  capitali,   al   credito
bancario,   alle   societa'   finanziarie,   alle    intermediazioni,
all'edilizia)  non  viene  richiesta  alcuna  licenza  di  Ps  ed  il
controllo soggettivo sull'idoneita' morale,  laddove  vi  sia,  viene
attuato attraverso interventi pubblici  ben  piu'  pregnanti  di  una
semplice  licenza  di  polizia  peraltro  oggi  di  natura  meramente
"autocertificativa". 
    La  Corte  di  Cassazione,  sulla  scorta  delle  criticita'   in
precedenza evidenziate, ha disposto la trasmissione degli  atti  alla
Corte di Giustizia Europea ai sensi  dell'art.  234  TFUE,  palesando
dubbi in merito alla compatibilita'  del  diritto  comunitario  della
disciplina interna in tema  di  scommesse  (Cass.  Pen.  Sez  III  10
novembre 2009 n. 2993). 
    Tali  dubbi  sono  stati  ampiamente  condivisi  dalla  Corte  di
Giustizia UE, sezione IV, con la sentenza del 16 febbraio 2012 n. 72,
Costa e Cifone, che ha sostanzialmente ritenuto che l'applicazione di
sanzioni penali da  parte  dello  Stato  italiano  nei  confronti  di
soggetti illegittimamente esclusi dai primi bandi fosse in  contrasto
con gli artt. 46 e 56 del TFUE, dal momento che i nuovi bandi avevano
perpetuato  la  precedente   violazione   del   diritto   comunitario
precisando che ".... in base agli artt. 43 e 49 del trattato CE  (ora
49 e 56) e  secondo  i  principi  di  parita'  di  trattamento  e  di
effettivita', viola il diritto dell'Unione Europea  lo  Stato  membro
che, dopo aver  escluso  ingiustamente  una  categoria  di  operatori
dall'attribuzione di concessioni  per  l'esercizio  di  un  attivita'
economica,  cerchi  di  rimediare  mettendo  a  concorso  un   numero
rilevante di nuove concessioni. Proteggendo pero',  al  contempo,  le
posizioni acquisite, fissando distanze minime  tra  gli  esercizi  di
nuovi concessionari e quelli di operatori esistenti". 
    Pertanto, analogo orientamento interpretativo e'  stato  recepito
dalla Corte di Cassazione, la quale in  una  pluralita'  di  sentenze
(cfr. in particolare Cass. Pen. Sez. III 23 gennaio 2013 n.  12630  e
Cass. Pen. Sez. III 21 febbraio 2013 n. 17723)  ha  ribadito  che  un
regime di monopolio statale  che  operi  mediante  il  sistema  delle
concessioni puo' non confliggere con i principi del trattato  CE,  ma
le eventuali limitazioni imposte devono rispondere a principi precisi
che concernono le liberta'  di  insediamento  e  di  prestazione  dei
servizi e devono rispondere a motivi imperativi di interesse generale
con proporzionalita', non discriminazione, trasparenza  e  chiarezza.
In assenza di questi requisiti -  conformemente  a  quanto  precisato
nella sentenza Costa e Cifone - le liberta' previste dagli artt. 43 e
49 del Trattato CE (ora 49 e 56), conservano piena  espansione  e  la
disciplina nazionale in contrasto con esse deve essere disapplicata. 
    Nel  contesto   normativo   e   giurisprudenziale,   come   sopra
ricostruito, si colloca la vicenda relativa alla  Centurionbet  Ltd.,
alla  quale  l'odierno  imputato  e'  legato  da  un   contratto   di
affiliazione. 
    Dalla documentazione prodotta, la Centurionbet Ltd.  e'  titolare
di regolare licenza rilasciata dal governo maltese per l'attivita' di
raccolta delle scommesse e, pur in assenza di una sua responsabilita'
o inerzia al riguardo, essa finora non ha  potuto  avere  accesso  al
mercato italiano, avendo iniziato ad operare in epoca  successiva  al
bando del 2006, con il quale sono stati assegnati gli  ultimi  titoli
concessori. 
    Peraltro, la disciplina sulla base della quale questi ultimi sono
stati  attribuiti,  appare  sotto  piu'  profili  incompatibile   con
l'ordinamento comunitario, venendo in rilievo al riguardo,  tanto  la
questione della limitazione numerica e  della  distanza  rispetto  ai
precedenti  punti  autorizzati,  quanto  la  questione   dei   limiti
all'esercizio transfrontaliero della raccolta delle scommesse e della
decadenza dalle concessioni e autorizzazioni. 
    Deve  aggiungersi,  inoltre,  che   la   Centurionbet   Ltd.   ha
manifestato concreto interesse a partecipare al nuovo bando  di  gara
pubblicato il 30 luglio 2012  per  l'affidamento  in  concessione  di
duemila diritti per l'esercizio congiunto dei  giuochi  pubblici,  ai
sensi  dell'art.  10,  comma  9-octies  decreto-legge   n.   16/2012,
convertito con modificazioni  nella  legge  n.  44/2012,  contestando
tuttavia numerosi aspetti di contrasto tra  la  lex  specialis  della
procedura ed il diritto comunitario, tanto da impugnare il bando  con
ricorso al TAR Lazio. 
    Ebbene, gli argomenti prospettati dalla difesa (di fatto recepiti
dal Consiglio di Stato, IV sezione che, con sentenza depositata il 20
agosto 2013 ha rimesso la questione in via pregiudiziale  alla  Corte
di giustizia europea), sono pienamente condivisi da  questo  giudice,
in specie per quanto attiene  alla  doglianza  relativa  alla  durata
delle nuove concessioni (tre anni in  luogo  dei  nove  anni  per  le
concessioni attribuite in precedenza). 
    Deve  infatti  rilevarsi  che  la  previsione   di   una   durata
sensibilmente inferiore delle nuove  concessioni  rispetto  a  quelle
gia' assegnate (con il fine dichiarato di riallineare il  momento  di
scadenza delle une con le altre), sembra rispondere  ad  esigenze  di
mera organizzazione e razionalizzazione dell'attivita', senza, pero',
trovare alcuna giustificazione  rispetto  all'obiettivo  primario  di
assicurare il controllo su coloro che operano nel settore dei  giochi
d'azzardo onde prevenire l'esercizio di  quelle  attivita'  per  fini
criminali o  fraudolenti:  obiettivo,  questo,  che  conformemente  a
quanto  statuito  nella   sentenza   Placanica,   appare   idoneo   a
giustificare - a determinate condizioni - il  permanere  del  sistema
concessorio italiano. 
    La violazione dei principi dell'ordinamento  comunitario  risulta
in questo caso quanto mai evidente. 
    Per un verso, infatti, si finisce concretamente per  pregiudicare
sul piano economico gli operatori intenzionati ad entrare nel mercato
italiano mediante la partecipazione alla  gara,  in  quanto  l'esigua
durata della concessione non assicura adeguati margini di guadagno se
non negli ultimi mesi d'esercizio, a fronte dell'ingente investimento
necessario per iniziare l'attivita'. 
    Viceversa, risulta notevolmente  rafforzata  la  posizione  degli
operatori gia'  esistenti,  i  quali  godono  di  una  organizzazione
collaudata e possono giovarsi di esperienza, know how ed investimenti
pregressi (anche sotto il profilo della riduzione  dei  costi  e  dei
rischi d'impresa),  peraltro  conseguiti  grazie  ad  un  sistema  di
concessioni che  ne  ha  tutelato  le  posizioni  in  violazione  dei
principi di parita' di trattamento e di effettivita'. 
    Per un altro verso, l'obiettivo in tal modo ottenuto di garantire
ai precedenti titolari di concessioni, la continuita', la  stabilita'
finanziaria e la remunerazione  degli  investimenti  effettuati,  non
puo' essere ricondotto a quei motivi imperativi di interesse generale
i  quali  soltanto  giustificano  la  restrizione  di  una   liberta'
fondamentale garantita dal Trattato  CE,  sicche'  l'incompatibilita'
con l'Ordinamento comunitario appare davvero indiscutibile. 
    Altro corollario di quelle statuizioni e'  che  l'art.  2,  commi
2-bis e 2-ter decreto-legge n. 40/2010 dove si precisa che  il  gioco
con vincita in denaro puo' essere raccolto dai titolari  soggetti  di
valida concessione rilasciata dall'AAMS esclusivamente nelle  sedi  e
con le modalita' previste dalla relativa convenzione di  concessione,
con esclusione di qualsiasi altra sede, modalita'  o  apparecchiatura
che ne permetta la partecipazione telematica  -  oggi  alla  base  di
qualsiasi lavoro  privato,  pubblico  e/o  istituzionale  -  si  pone
anch'esso in antitesi con quei diritti comunitari fondamentali  sopra
evidenziati  (nel  caso  di  specie  i  videoterminali   sono   stati
sequestrati anche forza di quelle disposizioni). 
    Sulla base  di  quanto  sopra  argomentato  non  puo'  dubitarsi,
quindi, che il regime concessorio vigente in  Italia  in  materia  di
giochi e scommesse appare in contrasto -  anche  con  riferimento  al
bando da ultimo pubblicato - con i principi del Trattato relativi  al
diritto di stabilimento ed alla liberta' di  prestazione  e  servizi,
onde se ne imporrebbe la disapplicazione. 
    A cio' si aggiunga che l'odierno imputato risulta aver presentato
regolare richiesta di  licenza  ai  sensi  dell'art.  88  TULPS  alla
Questura di Bari e che i requisiti soggettivi sussistono tutti,  dato
che lo stesso ha ottenuto il permesso comunale  di  apertura  di  una
sala giochi, e questo a dimostrazione della sussistenza dei requisiti
soggettivi richiesti, non  potendosi  prendere  come  riferimento  il
deferimento all'AG per  questo  processo  tra  i  motivi  di  diniego
dell'autorizzazione. 
    In  definitiva  il  mancato   rilascio   della   licenza   appare
determinato unicamente dal fatto che l'imputato operi  per  conto  di
una societa' straniera priva di concessione, la Centurionbet Ltd,  in
quanto di fatto impossibilitata a partecipare alle gare a  condizioni
paritarie per le ragioni sopra evidenziate. 
    Anche sotto tale profilo  deve  procedersi  alla  disapplicazione
della normativa interna dettata in materia, appena evidenziando  che,
anche alla luce dell'art. 2, comma 2-ter del decreto-legge n. 40/2010
deve escludersi che l'autorizzazione possa venire rifiutata ai centri
di   trasmissione   dati   collegati   con   allibratori   stranieri,
regolarmente abilitati nel loro Paese, per la sola circostanza che il
richiedente non sia titolare di concessione, ovvero agisca per  conto
di un soggetto privo di concessione, posto che, in parte qua,  l'art.
88 TULPS pone un limite ingiustificato alle liberta' di  stabilimento
e di prestazione di servizi, di cui agli artt. 43 e  49  Trattato  CE
(ora 49 e 56) e va, per questo, disapplicato (cfr. TAR Parma, sez.  I
27 marzo 2010 n. 428). 
    Concludendo la disamina, puo' ragionevolmente affermarsi  che  la
normativa italiana in materia di scommesse, continua a perseguire  un
vero e proprio monopolio fiscale - del tutto scevro  da  esigenze  di
contenimento della propensione al gioco - verso la  cui  salvaguardia
tutta la legislazione in materia, ivi compresa quella penale,  appare
orientata.  Lo  scopo  perseguito,   infatti,   e',   piu'   o   meno
dichiaratamente, di natura economica, volto a  tutelare  l'interesse,
precipuo, al  prelievo  fiscale,  di  tal  che  appare  stridente  il
contrasto  tra  finalita'  economica  da  un  lato  (con  conseguente
attivita' di promozione pubblicitaria  e  di  qualsiasi  parossistica
incentivazione merce' il moltiplicarsi delle lotterie  e  lo  stimolo
continuo della domanda) e, dall'altro, l'esigenza sociale di  "ordine
pubblico" in realta' comune a molteplici  altre  attivita'  viceversa
non sottoposte a licenza di Ps. Detta esigenza non  sarebbe  comunque
salvaguardabile di fatto mediante il rilascio di detto  provvedimento
di polizia che ha tutt'altri,  ben  piu'  limitati,  fini.  In  altre
parole lo Stato da un lato incentiva il gioco, non riduce ed anzi  ne
moltiplica le opportunita', ne' tende a moderarne gli effetti dannosi
sui singoli e  sulla  societa'  (e  cio'  allo  scopo  di  conseguire
generosi introiti fiscali) e, dall'altro, sottopone a restrizioni  la
stessa attivita' (con il sistema concessorio e di  licenza)  al  solo
scopo di prevenire una degenerazione criminale che, dunque, riconosce
come plausibile. Lo Stato, dunque, incrementa, a fini  economici,  un
settore che, avendo a che fare con ingenti flussi di denaro e con  un
vasto  pubblico,  non  puo'  non  essere  insensibile  a   forme   di
approfittamento  illecito:  ma  se  l'attivita'   e'   potenzialmente
pericolosa   per   l'ordine   sociale   allora    dovrebbe    essere,
coerentemente, vietata  (come  era  in  passato)  e  non  addirittura
favorita. Appare in ogni caso singolare che un'attivita' a rischio di
forte degenerazione criminale, nonche' di fatto volta a depauperare i
singoli e le famiglie dei propri risparmi, sia addirittura  riservata
allo  Stato  e  sottoposta  al  regime  della  concessione   statale:
viceversa, se essa rientra nell'attivita' di mercato,  potenzialmente
libera  nell'Unione  come  qualsiasi  altra  prestazione  di  servizi
lecita, deve essere permessa a chiunque senza restrizioni. 
    Non sembra dunque che le  giustificazioni  di  "ordine  pubblico"
possano trovare accoglimento in una pratica espansiva dello Stato con
cui viene di fatto incentivata l'attivita'  di  scommessa  (ed  anche
quella di pura  alea  quale  la  lotteria)  e  dove  il  pericolo  di
degenerazione   criminale   sia   risolto   soltanto   mediante    la
"canalizzazione" dei numerosissimi gestori in un regime di  monopolio
avente mere finalita' fiscali. 
    L'ordine pubblico non puo' essere preso dallo  Stato  a  pretesto
per dissimulare un si-sterna autorizzatorio "chiuso" in cui lo  Stato
riserva a se'  un'attivita'  potenzialmente  attrattiva  di  fenomeni
delinquenziali  e  laddove  il  requisito  unico  per   ottenere   la
concessione  e'  la  "solidita'   finanziaria"   e   cioe'   soltanto
l'aspettativa di solvibilita' del debito fiscale. 
    Sulla scorta delle  numerosissime  pronunce  di  merito  in  casi
analoghi a quello trattato nel presente  processo  e  sulla  base  di
quanto innanzi esposto, la conclusione sostanziale a cui si perviene,
dunque, sarebbe quella di non applicare la legge penale nel  caso  di
specie, cosi' come statuito dalla Corte di Giustizia Europea e  dalle
numerose pronunce di merito e di legittimita'  su  richiamate,  cosi'
mandando assolto l'imputato perche' il fatto non sussiste. 
    Tuttavia,  la  non  applicazione  di  una  legge  nazionale   per
contrasto con un principio comunitario, sia  pure  come  concetto  ed
applicazione ormai  consolidati  nella  prassi,  non  trova  una  sua
collocazione  nell'ordinamento  positivo  italiano,  nel  senso  che,
formalmente, non esiste alcuna disposizione normativa  che  autorizzi
espressamente un giudice italiano a fare tanto. 
    In altre parole, la non applicazione  di  una  norma  di  diritto
interno - cosi' come statuito nelle  citate  pronunce  comunitarie  e
nazionali - rientra, in pratica, nelle mere facolta' discrezionali di
un giudice, senza che essa subisca una formale espunzione dal  corpus
delle leggi, con  sua  conseguenziale  cancellazione  e,  quindi,  di
oggettiva operativita', proprio  nella  contestazione  ab  initio  di
quella fattispecie criminosa. 
    E tanto e' vero questo discorso, che, proprio in questo processo,
gia' in prime  cure,  la  difesa  dell'imputato,  nel  richiedere  il
dissequestro di nove terminali, depositava copiosa memoria  difensiva
il 5 dicembre 2012,  nella  quale  venivano  gia'  proposti  tutti  i
rilievi in punta di fatto e  di  diritto,  riproposti  integralmente,
poi,  innanzi  a  questo  giudice:  cio'  dimostra  che  nella   fase
giurisdizionale delle indagini preliminari,  il  PM  che,  per  primo
avrebbe dovuto disattendere le  norme  contestate  oggi  all'imputato
(cfr. rich. arch. PM presso il Tribunale di  Cosenza  del  18  aprile
2014 e conseguente archiviazione del 5 maggio 2014 in proc.  pen.  n.
1933/14 RGNR esibita), ha, invece, non solo rigettato la richiesta di
dissequestro, ma ha esercitato l'azione penale,  cosi'  interpretando
negativamente la disapplicazione della norma cosi' come  raccomandato
dai giudici comunitari in casi analoghi. Ma questo dimostra, appunto,
la "non cogenza" di fatto di quei pronunciamenti,  come,  invece,  al
contrario, dovrebbe formalmente essere. 
    Una tale disfunzione, tuttavia, non  puo'  essere  risolta  dagli
strumenti giurisdizionali europei che altro non possono fare  se  non
dichiarare, come nel caso di specie, il  contrasto  di  quella  norma
nazionale con i principi  comunitari,  sia  pure  con  le  specifiche
interpretazioni e restrizioni sopra delineate. 
    Infatti, la raccomandazione in tutte quelle sentenze sopra citate
e' quella  di  demandare  al  giudice  nazionale  la  verifica  della
compatibilita'  della  norma in  oggetto,  come   interpretata   gia'
negativamente dalla Corte di Giustizia: in altre  parole  si  chiede,
forse  in  termini  piu'  familiari  all'ordinamento   italiano,   di
valutarne la "costituzionalita'". 
    Va subito detto, tuttavia, che il  reato  previsto  dall'art.  4,
commi 1 e 4-bis, legge n.  401/89,  rimane  nel  corpus  delle  leggi
italiane, perche' compatibile  con  l'ordinamento  comunitario,  come
affermato nella citata sentenza Placanica, ma non lo  e'  decisamente
nelle modalita' attuative, come sopra meglio evidenziate. 
    Va premesso che il collegamento tra  fonti  comunitarie  e  fonti
interne ha avuto soluzione attraverso un lento  e  graduale  processo
evolutivo che ha visto  protagonisti,  in  una  sorta  di  dialogo  a
distanza, sia la Corte costituzionale che la  Corte  di  Giustizia  e
che, alla fine, ha visto affermarsi il principio,  ormai  da  nessuno
piu' messo in discussione,  del  "primato"  del  diritto  comunitario
secondo cui ogni giudice nazionale deve "applicare  integralmente  il
diritto comunitario ed i diritti che questo attribuisce  ai  singoli,
disapplicando le disposizioni eventualmente contrastanti della  legge
interna, sia anteriore che successiva"  (sentenza  Simmenthal  del  9
marzo 1978, in causa C-106/77;  sentenza  Costa/Enel  del  15  luglio
1964; da ultimo sentenza Larsy del 28 giugno 2001, causa C-118/00). 
    Sul  punto  la  Corte  costituzionale  (sentenza  n.  170/84)  ha
affermato a sua volta la preminenza sulle norme interne  del  diritto
comunitario "cosi' come interpretato dalla Corte di giustizia" con il
conseguente obbligo per il giudice dello  Stato  di  disapplicare  la
norma lasciando il passo, nel caso singolo, all'applicazione  diretta
della  norma  comunitaria.  Pur  riferendosi  questa   pronuncia   ai
Regolamenti,  tuttavia  la  successiva  sentenza  113/84   la   Corte
costituzionale ha espressamente esteso la  gerarchia  delle  fonti  e
tutto il diritto comunitario immediatamente applicabile ivi  incluse,
oltre  naturalmente  alle  norme  del  Trattato  (che  sanciscono  le
cosiddette  "quattro  liberta'  fondamentali"),  le  stesse  sentenze
interpretative  della  Corte  di  giustizia  che  risultino  comunque
"dichiarative" del  diritto  comunitario  (Corte  costituzionale,  n.
389/89). 
    Se queste sono le premesse, questo giudice ritiene,  allora,  che
una  formale  enunciazione  disapplicativa   della   norma   interna,
incompatibile  con  la  maggior   cogenza   della   superiore   fonte
comunitaria, debba essere necessariamente e preliminarmente - ai fini
della certezza del diritto e della  sua  applicazione  -  oggetto  di
vaglio costituzionale per contrasto  con  tutte  le  disposizioni  di
rango primario, europee  ed  italiane  che  siano,  con  una  formale
declaratoria di incostituzionalita', sia pure anche parziale  e  solo
in via interpretativa. 
    Nella lunga disamina che precede, non v'e' chi  non  veda,  oltre
alla violazione di principi  fondamentali  comunitari  sanciti  negli
artt. 49 e 56 CE (gia' 43 e 49), anche di quelli  piu'  spiccatamente
interni, come di quelli  riguardanti  la  disparita'  di  trattamento
(Cost. art. 3), il principio di legalita' (Cost. art. 25), il diritto
di iniziativa economica libera (Cost. art 41), che vanno ad  incidere
su posizioni penalmente rilevanti, le quali, per loro natura, debbono
sottostare a rigide regole di legalita' e tassativita'. 
    Tant'e' che, anche  la  Suprema  Corte  di  Cassazione  (Sez.  IV
penale, 18 dicembre 2013 n. 1952, ric. Di Bitetto), pronunciandosi su
analogo caso per  l'annullamento  di  un  sequestro  con  rinvio,  ha
affermato che  "la  situazione  lamentata  dal  ricorrente  ben  puo'
ricondursi ad una forma di discriminazione indiretta che, se commessa
con lo strumento  legislativo,  autorizza  l'intervento  della  Corte
costituzionale...". 
    Questo giudice, pertanto, in via incidentale, prima  di  emettere
la sua decisione su questo caso,  ritiene  d'investire  d'ufficio  la
Corte costituzionale perche' non appare manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale: 
        dell'art. 4, comma 1° e 4°-bis legge 13 dicembre 1989 n. 401,
in combinato disposto con gli artt. 88 TULPS, art. 10, comma 9-octies
decreto-legge 2 marzo 2012 n. 16 (convertito con modificazioni  nella
legge 26 aprile 2012 n. 44 e con riferimento una  gara  nazionale  di
affidamento di concessioni per l'esercizio di attivita' di  giochi  e
scommesse emesso il 26 luglio 2012 e pubblicato in GURI n. 88 del  30
luglio 2012 di 2000 diritti  per  l'esercizio  congiunto  dei  giochi
pubblici) e dell'art. 2, commi 2-bis e 2-ter decreto-legge n. 40/2010
(dove si vieta che il  gioco  con  vincita  in  denaro  possa  essere
raccolto dai  titolari  soggetti  di  valida  concessione  rilasciata
dall'AAMS esclusivamente nelle sedi e con le modalita' previste dalla
relativa convenzione di  concessione,  con  esclusione  di  qualsiasi
altra  sede,  modalita'  o  apparecchiatura  che   ne   permetta   la
partecipazione telematica) per contrasto con gli artt. 49  e  56  del
Trattato CE (gia' artt. 43 e 49) e con gli artt. 3,  25  e  41  della
Costituzione nella parte in  cui,  dovendo  essere  interpretati  gli
artt. 49 e ss. e 56 e ss. del TFUE  ed  i  principi  affermati  dalla
Corte di giustizia europea, nel senso che essi sono ostativi  ad  una
disciplina nazionale (art. 4 legge n. 401/89, art. 88 TULPS e art. 2,
commi 2-bis e 2-ter decreto-legge n. 40/2010) nella parte in cui  uno
Stato membro (nello specifico l'Italia): 
          a) ponga in essere una gara  nazionale  di  affidamento  di
concessioni per  l'esercizio  di  attivita'  di  giochi  e  scommesse
(emesso il 26 luglio 2012 e pubblicato in GU n. 88 del 30 luglio 2012
per l'affidamento in concessione  di  2000  diritti  per  l'esercizio
congiunto dei giochi pubblici) ai sensi dell'art. 10, comma  9-octies
decreto-legge 2 marzo 2012 n. 16, convertito con modificazioni  nella
legge 26 aprile 2012 n. 44 di durata inferiore alle precedenti, cosi'
limitando l'accesso ad operatori comunitari, di  partecipazione  alla
stessa in relazione all'indeterminatezza della durata di gestione del
servizio, nella misura in cui  non  vengano  revocate  le  precedenti
concessioni dichiarate gia'  illegittime  dalla  Corte  di  Giustizia
Europea; 
          b)  disponga,  inoltre  (art.  2,  commi  2-bis   e   2-ter
decreto-legge n. 40/2010) che il gioco con vincita in  denaro,  possa
essere  raccolto  dai  titolari  soggetti   di   valida   concessione
rilasciata dall'AAMS esclusivamente nelle sedi  e  con  le  modalita'
previste dalla relativa convenzione di concessione, con esclusione di
qualsiasi altra sede, modalita' o apparecchiatura che ne permetta  la
partecipazione telematica; 
          c) vengano  sanzionati  penalmente  soggetti  a  cui  viene
negato il rilascio di autorizzazione di cui all'art.  88  TULPS,  pur
avendo i requisiti di  affidabilita'  previsti  dall'ordinamento,  in
quanto non in possesso  di  concessione  per  irregolarita'  commesse
nell'ambito di una procedura di gara per il rilascio delle stesse, 
    in violazione  dei  principi  di  parita'  di  trattamento  e  di
effettivita' del diritto  dell'Unione,  nonche',  in  tal  senso,  di
quelli garantiti costituzionalmente dallo Stato Italiano  come  sopra
evidenziati. 
    Per quanto esposto  sin  ad  ora,  va  accolta  la  richiesta  di
dissequestro  avanzata  dalla  difesa,  con  restituzione  all'avente
diritto, di quanto sottoposto  a  procedimento  cautelare  preventivo
dalla Guardia di Finanza il 19 dicembre 2012. 
    Il presente processo, inoltre,  deve  essere  sospeso  in  attesa
della decisione della Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 23, 2°
comma u.p., legge 11 marzo 1953 n. 57. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il giudice, d'ufficio, in via incidentale e pregiudiziale, 
    Letto l'art. 134 della Costituzione, nonche' l'art. 23, 3° comma,
legge 11 marzo 1953 n. 87, dispone  che  a  cura  della  cancelleria,
siano trasmessi gli atti alla Corte Costituzionale poiche' non appare
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 4, comma 1° e 4°-bis legge 13  dicembre  1989  n.  401,  in
combinato disposto con gli artt. 88 TULPS, art.  10,  comma  9-octies
decreto-legge 2 marzo 2012 n. 16 (convertito con modificazioni  nella
legge 26 aprile 2012 n. 44 e con riferimento una  gara  nazionale  di
affidamento di concessioni per l'esercizio di attivita' di  giochi  e
scommesse emesso il 26 luglio 2012 e pubblicato in GURI n. 88 del  30
luglio 2012 di 2000 diritti  per  l'esercizio  congiunto  dei  giochi
pubblici) e dell'art. 2, commi 2-bis e 2-ter decreto-legge n. 40/2010
(dove si vieta che il  gioco  con  vincita  in  denaro  possa  essere
raccolto dai  titolari  soggetti  di  valida  concessione  rilasciata
dall'AAMS esclusivamente nelle sedi e con le modalita' previste dalla
relativa convenzione di  concessione,  con  esclusione  di  qualsiasi
altra  sede,  modalita'  o  apparecchiatura  che   ne   permetta   la
partecipazione telematica), per contrasto con gli artt. 49 e  56  del
Trattato CE (gia' artt. 43 e 49) e con gli artt. 3,  25  e  41  della
Costituzione nella parte in  cui,  dovendo  essere  interpretati  gli
artt. 49 e ss. e 56 e ss. del TFUE  ed  i  principi  affermati  dalla
Corte di giustizia europea, nel senso che essi sono ostativi  ad  una
disciplina nazionale (art. 4 legge n. 401/89, art. 88 TULPS e art. 2,
commi 2-bis e 2-ter decreto-legge n. 40/2010) nella parte in cui  uno
Stato membro (nello specifico l'Italia): 
        a) ponga in essere  una  gara  nazionale  di  affidamento  di
concessioni per  l'esercizio  di  attivita'  di  giochi  e  scommesse
(emesso il 26 luglio 2012 e pubblicato in GU n. 88 del 30 luglio 2012
per l'affidamento in concessione  di  2000  diritti  per  l'esercizio
congiunto dei giochi pubblici) ai sensi dell'art. 10, comma  9-octies
decreto-legge 2 marzo 2012 n. 16, convertito con modificazioni  nella
legge 26 aprile 2012 n. 44 di durata inferiore alle precedenti, cosi'
limitando l'accesso ad operatori comunitari, di  partecipazione  alla
stessa in relazione all'indeterminatezza della durata di gestione del
servizio, nella misura in cui  non  vengano  revocate  le  precedenti
concessioni dichiarate gia'  illegittime  dalla  Corte  di  Giustizia
Europea; 
        b)  disponga,  inoltre  (art.  2,   commi   2-bis   e   2-ter
decreto-legge n. 40/2010) che il gioco con vincita in  denaro,  possa
essere  raccolto  dai  titolari  soggetti   di   valida   concessione
rilasciata dall'AAMS esclusivamente nelle sedi  e  con  le  modalita'
previste dalla relativa convenzione di concessione, con esclusione di
qualsiasi altra sede, modalita' o apparecchiatura che ne permetta  la
partecipazione telematica; 
        c) vengano sanzionati penalmente soggetti a cui viene  negato
il rilascio di autorizzazione di cui all'art. 88 TULPS, pur avendo  i
requisiti di affidabilita' previsti dall'ordinamento, in  quanto  non
in possesso di concessione per irregolarita' commesse nell'ambito  di
una procedura di gara per il rilascio delle stesse; 
    Letto l'art. 23, 4° comma legge 11 marzo 1953 n. 87,  ordina  che
la presente ordinanza sia comunicata alla  Presidenza  del  Consiglio
dei ministri, alla Presidenza del Senato  della  Repubblica  ed  alla
Presidenza della Camera dei deputati, nonche', in sede, ai Presidenti
di Sezione ed al Procuratore della Repubblica; 
    Letto l'art. 23, 2° comma, legge 11 marzo 1953 n. 87, dispone  la
sospensione del presente processo; 
    Letto l'art. 321, 3° comma CPP, dispone il dissequestro di quanto
sequestrato in via preventiva in data 19 dicembre 2012 dalla  Guardia
di Finanza della Compagnia di Monopoli, con  restituzione  all'avente
diritto. 
        Bari, 17 novembre 2014 
 
                  Il giudice: Antonio Dello Preite