N. 278 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 gennaio 2015

Ordinanza del 27 gennaio  2015 della  Corte  d'appello  di  Bari  nel
procedimento civile promosso da Amati Fabiano contro  Presidenza  del
Consiglio dei ministri ed altri 5.. 
 
Elezioni  -  Elezioni  dei  componenti  del  Consiglio  regionale   -
  Sospensione  degli  eletti  a  seguito  di  condanna   penale   non
  definitiva. 
- Decreto legislativo 3 (recte: 31)  dicembre  2012,  n.  235  (Testo
  unico delle  disposizioni  in  materia  di  incandidabilita'  e  di
  divieto di ricoprire cariche elettive e di  Governo  conseguenti  a
  sentenze definitive di condanna per delitti non  colposi,  a  norma
  dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre  2012,  n.  190),
  art. 8, comma 1. 
Elezioni  -  Elezioni  dei  componenti  del  Consiglio  regionale   -
  Sospensione dalla carica degli eletti solo per sentenza di condanna
  relativa a reati consumati dopo l'entrata in vigore della normativa
  censurata. 
- Decreto legislativo 3 (recte: 31)  dicembre  2012,  n.  235  (Testo
  unico delle  disposizioni  in  materia  di  incandidabilita'  e  di
  divieto di ricoprire cariche elettive e di  Governo  conseguenti  a
  sentenze definitive di condanna per delitti non  colposi,  a  norma
  dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre  2012,  n.  190),
  art. 8, comma 1; legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la
  prevenzione e la repressione della  corruzione  e  dell'illegalita'
  nella pubblica amministrazione), art. 7, comma 1. 
Elezioni  -  Elezioni  dei  componenti  del  Consiglio  regionale   -
  Sospensione dalla carica degli eletti solo in caso di condanna  per
  uno dei reati con una soglia di pena superiore  ai  due  anni  come
  previsto per i parlamentari nazionali ed europei. 
- Legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la
  repressione della  corruzione  e  dell'illegalita'  nella  pubblica
  amministrazione), art. 7, comma 1, lett. c), in relazione  all'art.
  8, comma 1, lett. a), del d.lgs. 3 (recte: 31)  dicembre  2012,  n.
  235 (Testo unico delle disposizioni in materia di  incandidabilita'
  e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti
  a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a  norma
  dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190). 
(GU n.49 del 9-12-2015 )
 
                      CORTE DI APPELLO DI BARI 
                        Prima sezione civile 
 
    In persona dei seguenti magistrati: 
        dott. Vito Scalera: Presidente; 
        dott. Salvatore Russetti: Consigliere; 
        dott. Filippo Labellarte: Consigliere. 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella  causa  civile  di  II
Grado iscritta al n.  r.g.  1748/2014  promossa  da:  Fabiano  Amati,
rappresentato e difeso da se medesimo, dall'avv. Federico  Rutigliano
e dall'avv. Maria Paolillo,  presso  e  nello  studio  dei  quali  e'
elettivamente domiciliato in Bari. 
    Appellante  contro  Presidenza  del   Consiglio   dei   Ministri,
Ministero dell'Interno, Ministero per  i  rapporti  con  le  Regioni,
Prefettura  di   Bari,   rappresentati   e   difesi   dall'Avvocatura
Distrettuale dello Stato, presso i  cui  Uffici  in  Bari  ope  legis
domicilia. 
    Regione Puglia, contumace. 
    Consiglio Regionale della Puglia, contumace. 
    Appellati all'udienza del 13 gennaio  20)5,  dopo  che  le  parti
hanno illustrato oralmente in pubblica udienza le rispettive ragioni,
la causa e' stata riservata per la decisione  sulle  conclusioni  che
qui di  seguito  si  trascrivono:  per  l'appellante  (dalla  memoria
autorizzata del 12 gennaio 2015) «insiste affinche' la Corte  conceda
la tutela cautelare gia'  invocata  con  il  ricorso  in  appello  in
epigrafe apprestando la tecnica di tutela ritenuta piu' opportuna  in
relazione  alla  tutela  del  diritto  costituzionale  di  elettorato
passivo leso dal D.P.C.M. contestato». 
    Per la  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri,  il  Ministero
dell'interno, il  Ministero  per  i  Rapporti  con  le  Regioni,  la,
Prefettura di Bari (dalla memoria difensiva depositata  il  26.11.14)
«rigettare   integralmente   l'appello   e   confermare   l'ordinanza
impugnata, con vittoria di spese di entrambi i gradi di giudizio». 
    Il Procuratore Generale ha  chiesto  il  rigetto  dell'appello  e
della sospensiva. 
 
                      Svolgimento del processo 
 
    A. - Con sentenza del 13 febbraio 2014, non passata in giudicato,
il GUP del Tribunale di Brindisi riteneva  il  consigliere  regionale
avv. Fabiano Amati responsabile  dei  reati  di  falso  ed  abuso  di
ufficio e lo condannava  alla  pena  di  anni  uno  e  mesi  otto  di
reclusione ed a quella accessoria dell'interdizione dai PP.UU. per la
durata di anni cinque, con i benefici di legge. 
    Con decreto del 23 aprile 2014 il Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri disponeva la sua sospensione dalla  carico  ai  sensi  degli
artt. 7 ed 8 del decreto legislativo 31.12.2012  n.  235,  noto  come
legge Severino. 
    Con ricorso depositato il 29 maggio 2014, l'avv. Amati  impugnava
dinanzi al Tribunale di Bari,  ai  sensi  dell'art.  22  del  decreto
legislativo  1°  settembre  2011  n.  150,   11   decreto   suddetto,
lamentandone l'ingiustizia e deducendo, sul presupposto della  natura
sanzionatoria  della  sospensione,  l'illegittimita'   costituzionale
delle norme su citate: 
        1) sia perche' dettate  in  violazione  dei  commi  63  e  64
lettera m) dell'art. 1 della legge di delega (n, 190/2012), che aveva
disposto la regolamentazione della sospensione solo in relazione ed a
seguito di una condanna penale  passata  in  giudicato  per  i  reati
speCificamente indicati - nel caso di specie per il delitto di  abuso
d'ufficio-; 
        2) sia perche' collidenti con gli arti. 3, 51, 76 e 77  comma
1° della Costituzione,  sotto  un  duplice  profilo,  atteso  che  in
evidente ed irragionevole disparita' di trattamento, a- in violazione
della  delega  non  era  stata  disciplinata  anche  per  le  cariche
nazionali alcuna ipotesi di sospensione per il caso  di  sentenze  di
condanna non definitive; b- a differenza di quanto dispone  l'art.  3
del decreto legislativo 235/2012, quando  prevede  l'incandidabilita'
sopravvenuta dei Parlamentari nazionali ed europei e dei detentori di
incarichi di governo nazionali, solo per  il  caso  di  condanna  con
sentenza definitiva, a pena detentiva superiore ai due  anni,  l'art.
8 decreto legislativo n. 235/2012 dispone per gli  eletti  a  cariche
regionali o locali il trattamento deteriore che non contempla (per il
delitto di abuso d'ufficio, come nel caso di specie) soglia  di  pena
alcuna, di modo che basta la  condanna,  a  prescindere  dall'entita'
della pena irrogata, ad  imporre  di  diritto  la  sospensione  dalla
carica. 
        3) sia perche' violatrici del secondo comma  dell'art.  25  e
del primo comma dell'art. 117 della Costituzione, nonche' dell'art. 7
della CEDU (norme che dettano il principio che possiamo tradurre  con
il noto brocardo «nulla poena sine previa lege») in quanto consentono
la sospensione dalla carica in  relazione  a  reati  consumati  prima
della loro entrata in vigore; 
    Sollecitava  percio'  la  trasmissione  degli  atti  alla   Corte
costituzionale per lo scrutinio di legittimita' degli articoli 7 e  8
del decreto legislativo n. 235 del 2012, invocando frattanto  in  via
cautelare, ai sensi dell'art. 22 citato, la sospensione degli effetti
del  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  oggetto
dell'impugnazione. 
    Le  Amministrazioni  convenute,  costituitesi  in  giudizio   con
l'Avvocatura Erariale,  chiedevano  il  rigetto  dell'impugnazione  e
deducevano    l'infondateua    di    ciascuno    dei    profili    di
incostituzionalita' dedotti. 
    B.- Con ordinanza del 14 ottobre 2014 il Tribunale  rigettava  il
ricorso,  ritenendo  manifestamente   infondate   le   questioni   di
incostituzionalita' dedotte dal ricorrente. Molto in breve, il  primo
giudice  riteneva   insussistenti   le   illegittimita'   denunciate,
opinando: 
        1) quanto al primo punto, che bene  il  legislatore  delegato
aveva previsto la sospensione dalla carica in ipotesi di condanna non
definitiva, dovendo considerarsi che,  sebbene  la  legge  di  delega
avesse  apparentemente  posto  sullo  stesso  piano   sospensione   e
decadenza, tuttavia la sospensione sul piano logico si distinguerebbe
dalla  decadenza  per  la  sua  natura  anticipatoria  -  prettamente
cautelare- e transitoria, in quanto limitata nel tempo, di  modo  che
ove si fosse collegata la sospensione alla  sentenza  definitiva,  ne
sarebbe stata contraddetta e negata la sua  funzione.  Del  resto  il
legislatore delegato  aveva  legittimamente  avvertito  l'urgenza  di
tutelare la dignita' e credibilita' delle istituzioni nelle more  del
passaggio in giudicato della sentenza di condanna, rimuovendo  subito
dall'esercizio delle funzioni connesse alla carica chi ne era apparso
indegno e, ad avviso del Tribunale, che tale fosse la volonta'  della
legge di delega ad onta  del  contrario  espresso  dettato  letterale
della norma, doveva ritenersi per  certo  in  virtu'  della  suddetta
considerazione in ordine alla sequenza logica sospensione-decadenza; 
        2) quanto al  secondo  punto,  in  ordine  al  primo  profilo
dedotto, che fosse  irrilevante  il  superamento  dei  confini  della
delega,  comportando  detta  circostanza  al   piu'   responsabilita'
politica del Governo verso il Parlamento; quanto al secondo  profilo,
che fosse insussistente  la  disparita'  di  trattamento  denunciata,
atteso  che  «la  differente  posizione  a  livello  istituzionale  e
funzionale  tra  i  membri  del  Parlamento  e  del  Governo  (organi
costituzionali) ed i titolari di cariche  elettive  nelle  Regioni  e
negli altri enti locali territoriali» giustificherebbe la  diversita'
di disciplina; 
        3) infine, che la natura amministrativa e  non  sanzionatoria
della sospensione rendeva fuor d'opera ogni considerazione in  ordine
all'asserita retroattivita' della norma, che si limitava  a  regolare
gli  effetti  amministrativi  della  condanna  non  definitiva,   che
andrebbe considerata alla stregua di  antecedente  l'attuale  al  cui
verificarsi  consegue  de  jure  l'effetto  sospensivo.  Ha  proposto
appello l'Amati, deducendo l'erroneita' delle valutazioni  dei  primo
giudice e ribadendo ed ampliando le  argomentazioni  gia'  svolte  in
primo  grado,  contrastate  anche  in  questa  sede   dall'Avvocatura
Erariale, ritualmente costituitasi per le Amministrazioni convenute. 
    In particolare l'appellante si duole della, a suo avviso erronea,
declaratoria   di   manifesta   infondatezza   delle   eccezioni   di
illegittimita'   costituzionale,   che   ripropone,    ribadendo    e
puntualizzando l'illegittimita' costituzionale: 
        1) dell'art. 7 comma primo della Legge  6.XI.2012  n.  190  e
dell'art. 8 comma primo del decreto legislativo 3  dicembre  2012  n.
235, in quanto, in violazione del secondo comma dell'art.  25  e  del
primo comma dell'art. 117 (in relazione all'art. 7 della CEDU)  della
Costituzione, non prevedono  la  sospensione  solo  per  sentenze  di
condanna relative a reati consumati dopo la loro entrata in vigore; 
        2) dell'art. 8 comma primo lettera a) del decreto legislativo
n. 235/2012 in relazione ai commi 63 e 64 dell'art. 1 della  Legge  6
novembre 2012 n. 190, per violazione degli articoli  76  e  77  della
Costituzione (eccesso di delega); 
        3) dell'art. 7 comma 1 lett. c) Legge 190/2012  in  relazione
all'art. 8 comma 1° lett. a) decreto legislativo n. 235/2012 perche',
in violazione degli artt. 3, 51, 76 e 77  della  Costituzione  ed  in
evidente disparita' di trattamento, non prevede  per  gli  eletti  al
Consiglio Regionale, ai fini della sospensione dalla carica  in  caso
di condanna per uno dei reati previsti (nel caso  di  specie  l'abuso
d'ufficio) una soglia di pena superiore ai due anni  come  e'  per  i
parlamentari nazionali ed europei ai fini dell'incandidabilita'. 
    Il Procuratore Generale ha chiesto il rigetto dell'appello. 
    A conclusione di pubblica  discussione,  nel  corso  della  quale
ciascuna delle parti ha esposto ed illustrato  le  proprie  tesi,  la
causa e' stata riservata  per  la  decisione.  Le  parti  sono  state
autorizzate a depositare memorie difensive. 
 
                       Motivi della decisione 
 
    C.-  Va  innanzitutto  ribadito  che,  come  aveva  correttamente
premesso il Tribunale, la cognizione della presente causa e' devoluta
in via esclusiva alla  cognizione  del  giudice  ordinario,  come  e'
prescritto dagli artt. 70 e segg. del decreto legislativo n. 267/2000
e 22 del decreto legislativo n. 150/23011. 
    Va poi premesso che, quando  nell'ambito  di  un  giudizio  venga
sollevata eccezione  di  incostituzionalita'  delle  norme  alla  cui
applicazione e demandata la soluzione della controversia, il  giudice
puo' disattenderla solo se  manifestamente  infondata,  quando  cioe'
appare  all'evidenza  la  sua  assoluta  inconsistenza   o   la   sua
irrilevanza. 
    Se invece tale evidenza non sussiste, in quanto il contrasto  del
precetto   applicabile   con   qualsivoglia   norma    della    Carta
Costituzionale appare prospettato in modo plausibile, di modo che  la
sua legittimita' costituzionale appare  dubbia,  la  valutazione  sul
punto puo' essere effettuata solo dalla Corte costituzionale, cui gli
atti devono essere necessariamente rimessi. 
    Nel caso di specie e' poi evidente la  rilevanza  dell'eccezione,
dovendo   farsi   applicazione   di   norme   la   cui   legittimita'
costituzionalita' .e'  stata  revocata  in  dubbio.  Tanto  premesso,
contrariamente a quanto ha opinato il Tribunale, ritiene la Corte che
le eccezioni di illegittimita' costituzionale degli artt. 7 ed 8  del
decreto legislativo n. 235/2012 non sono manifestamente infondate  in
relazione ai profili ribaditi con  l'atto  di  impugnazione,  essendo
stati evidentemente abbandonati gli  altri  punti  dedotti  in  primo
grado. 
    D.- Quanto al primo punto, allora, quand'anche dovesse  ritenersi
che effettivamente la sospensione dalla carica costituisca un effetto
di natura amministrativa della condanna penale ancorche' non  passata
in giudicato, non appare tuttavia dubbio che comunque  si  tratta  di
effetto afflittivo conseguito di diritto a condanna  pronunciata  per
un reato consumato in  data  antecedente  a  quella  dell'entrata  in
vigore del decreto legislativo n. 235/2012, che  tale  effetto  aveva
statuito, di modo  che  non  pare  possa  sostenersi  ragionevolmente
l'insussistenza della violazione degli articoli della Costituzione 25
e 117 (quest'ultimo con riferimento all'art. 7 della CEDU). 
    Sebbene infatti lo scopo delle norme sia indubbiamente quello  di
allontanare dall'amministrazione della cosa pubblica,  anche  in  via
cautelare, chi si sia reso moralmente indegno - e si tratta di  scopo
assolutamente  condivisibile  in  quanto  rispondente   alla   comune
opinione dei consociati-, tuttavia va  considerato  che  la  suddetta
tutela collide con i diritti, di  rango  costituzionale,  di  accesso
alle cariche elettive e di esercizio  delle  funzioni  connesse  alla
carica conseguita in virtu' di libere elezioni,  diritti  tutelati  e
garantiti dall'art. 51 della Carta Costituzionale,  che  non  possono
essere in  concreto  garantiti  se  non  nell'ambito  delle  garanzie
costituzionali tutte, di modo che e' parte necessaria  consustanziale
del diritto il divieto di retroattivita' delle  norme  sanzionatorie,
disciplinato dall'art. 11 delle preleggi. 
    Quanto all'eccesso di delega, basti osservare  che  il  Tribunale
aveva liquidato la questione,  prospettata  dal  ricorrente  sotto  i
diversi  profili  di  cui  s'e'  dato   conto   in   narrativa,   con
l'assiomatica affermazione della  legittimita'  costituzionale  delle
norme,  eludendo  l'evidente  scollamento  tra  legge  di  delega   e
provvedimento   delegato   con   argomentazione   generica   e   poco
convincente, dando tuttavia atto dell'oggettivo ampliamento da  parte
del legislatore delegato dei confini letterali del mandato ricevuto. 
    Assumeva infatti in particolare il Tribunale  che,  ancorche'  il
legislatore delegante avesse demandato espressamente al  delegato  il
compito di «disciplinare le ipotesi di  sospensione  e  decadenza  di
diritto dalle cariche  di  cui  al  comma  63  in  caso  di  sentenza
definitiva di  condanna  per  delitti  non  colposi  successiva  alla
candidatura o all'affidamento della carica» (art. 1 comma 64 lett.  m
della Legge 6.XI.2012 n. 190), la norma dovesse essere  interpretata,
contro il suo chiaro dettato letterale,  secondo  criteri  di  logica
generale,  che  tuttavia  non  hanno  riscontro  alcuno  nei   lavori
preparatori, che l'appellante ha puntualmente analizzato con accurata
indagine. 
    In altre parole,  il  primo  giudice  e'  incorso  nella  patente
violazione dell'art. 12 delle  preleggi,  accedendo  ad  una  lettura
della norma assolutamente  contraria  al  suo  chiaro  ed  inequivoco
dettato, che demandava al legislatore il compito di  disciplinare  la
sospensione di  diritto  solo  in  caso  di  sentenza  definitiva  di
condanna. 
    Valga peraltro aggiungere che,  come  emerge  con  chiarezza  dai
lavori  preparatori   che   l'appellante   riproduce   nell'atto   di
impugnazione, il mandato non era ne'  illogico  ne'  contraddittorio,
atteso che il Parlamento, approvando il  testo  della  legge  delega,
aveva  evidentemente  condiviso  le   conclusioni   rassegnate   alla
Commissione Affari Costituzionali dal relatore, che  aveva  sostenuto
che la lettera m) del comma 64 dell'art. 1  riferiva  la  sospensione
alle cariche elettive e la decadenza  a  quelle  non  elettive,  come
detta il tenore letterale della norma teste' trascritta. 
    La portata della delega era pertanto chiara e  manifesta,  e  non
era consentito al legislatore delegato di regolare la fattispecie  in
modo  inconfutabilmente  creativo,  secondo   una   logica   diversa,
certamente condivisibile e piu' aderente allo scopo generale  che  si
intendeva perseguire, ma ben al di la' del  mandato  conferito  dalla
legge delega. 
    Il  Legislatore  delegato  non  poteva   travalicare   i   limiti
assegnatigli, ed il  Tribunale  non  poteva  ritenere  manifestamente
infondata  l'eccezione  di  illegittimita'  costituzionale   relativa
facendosi carico di esigenze che il legislatore delegante  non  aveva
previsto e voluto. 
    Del resto gli  stessi  argomenti  addotti  dal  primo  giudice  a
sostegno   della   sua   valutazione   di   manifesta    infondatezza
dell'eccezione  di  incostituzionalita',  con   la   loro   debolezza
dimostrano che detta  eccezione  era  tutt'altro  che  manifestamente
infondata. 
    Resta solo da aggiungere che il  reciso  tenore  letterale  della
norma di cui al comma 64 dell'art. 1 L. 6.XI.12 nm. 190  ne  preclude
la diversa interpretazione che il primo giudice prospetta, nell'inane
sforzo di elidere l'evidente contrasto tra di essa  e  l'art.  7  del
decreto legislativo, 3 dicembre 2012 n. 235.- 
    Non  e   pertanio   manifestamente   infondata   l'eccezione   di
illegittimita' costituzionale per  eccesso  di  delega  eccepita  sul
punto. 
    Quanto alla disparita' di trattamento degli eletti  al  consiglio
regionale rispetto ai parlamentari nazionali ed europei,  consistente
nella circostanza che per i secondi l'art. 1 decreto  legislativo  n.
235/2012 prevede, per quanto qui interessa, per  il  reato  di  abuso
d'ufficio una soglia di anni due di reclusione,  al  di  sotto  della
quale non consegue l'incandidabilita', mentre  per  i  primi  non  e'
prevista soglia alcuna, non basta certo, per affermare  la  manifesta
infondatezza dell'eccezione, sostenere, come fa il Tribunale, che  la
diversa situazione istituzionale e funzionale degli uni e degli altri
varrebbe a dare contezza della differenza. 
    E'  infatti  evidente  che  detta   argomentazione   ha   valenza
assolutamente  tautologica,  limitandosi   a   confermare   che   una
differenza di trattamento c'e', ma non da' contezza  del  perche',  e
non e' dato comprendere quale sia la ratio della  differenza,  ed  in
particolare perche' gli eletti in competizioni locali siano  trattati
ben piu' severamente dei parlamentari nazionali ed europei, apparendo
invece semmai ragionevole  il  contrario,  proprio  per  la  maggiore
valenza istituzionale e costituzionale dei secondi. 
    E' comunque evidente che l'eccezione di  incostituzionalita'  non
e' manifestamente infondata. 
    In conclusione e' necessario sottoporre al vaglio di legittimita'
costituzionale: 
        1)    il    comma    primo    dell'art.     8     del decreto
legislativo 3.12.2012 n. 235 perche', in violazione degli articoli 76
e 77 della Carta Costituzionale, dispone la sospensione dalle cariche
degli eletti al Consiglio Regionale  (per  quanto  qui  interessa)  a
seguito di condanna non definitiva, cosi  eccedendo  i  limiti  della
delega conferita dall'art. 1, comma 64 lettera m) della Legge n.  190
del 6.XI. 2012; 
        2) il comma primo dell'art. 7 della Legge 6.XI.2012 n. 190  e
dell'art. 8 comma primo del decreto legislativo del 3  dicembre  2012
n. 235, in quanto, in violazione del secondo comma dell'art. 25 e del
primo comma dell'art. 117 (in relazione all'art. 7 della CEDU)  della
Costituzione, non prevedono  la  sospensione  solo  per  sentenze  di
condanna relative a reati consumati dopo la loro entrata in vigore; 
        3) il comma  1°  dell'art.  7  lett.  c)  Legge  190/2012  in
relazione all'art.  8  comma  1°  lett.  a)  decreto  legislativo  n.
235/2012 perche', in violazione degli artt. 3,  51,  76  e  77  della
Costituzione ed in evidente disparita' di  trattamento,  non  prevede
per gli eletti al Consiglio  Regionale,  ai  fini  della  sospensione
dalla carica in caso di condanna per uno dei reati previsti (nel caso
di specie l'abuso d'ufficio), . una soglia di pena superiore  ai  due
anni come  e'  per  i  parlamentari  nazionali  ed  europei  ai  fini
dell'incandidabilita'. 
    Ai sensi dell'art. 23-quarto comma della Legge 87/53, il presente
giudizio resta sospeso fino alla  definizione  del  giudizio  dinanzi
alla Corte costituzionale. 
    Resta da delibare l'istanza  di  sospensione  dell'efficacia  del
DPCM del 23 aprile 2014. 
    Osserva allora la Corte che, attesa la non manifesta infondatezza
delle eccezioni di incostituzionalita' teste' prese  in  esame,  puo'
sospendersi l'efficacia del decreto del Presidente del Consiglio  del
23 aprile 2014,  atteso  che  ove  la  Corte  costituzionale  dovesse
ritenere fondate le eccezioni  di  illegittimita'  costituzionale  di
tutte o di taluna delle norme  oggetto  delle  censure  di  cui  s'e'
detto, il diritto dell'Amati, tutelato e garantito dall'art. 51 della
Costituzione,   resterebbe   definitivamente   ed   irrimediabilmente
vanificato. 
    E ben vero che,  come  ha  osservato  l'Avvocatura  Erariale,  la
sospensione sancirebbe  definitivamente  la  violazione  delle  norme
oggetto delle eccezioni di incostituzionalita', che fino a quando  il
Giudice delle Leggi non le rimuove, se le rimuove, sono  leggi  dello
Stato:  ma  il  conflitto  tra  le  due  contrapposte  esigenze  deve
risolversi in favore dell'Amati, godendo  il  diritto  all'elettorato
passivo di tutela costituzionale privilegiata. 
    Il  regolamento  delle  spese   processuali   sara'   dettato   a
conclusione del giudizio,  dopo  l'esercizio  da  parte  della  Corte
costituzionale del sindacato di legittimita'. 
 
                              P. Q. M. 
 
    La Corte di  Appello,  Prima  Sezione  Civile,  atteso  l'appello
avverso l'ordinanza  del  Tribunale  di  Bari  del  14  ottobre  2014
proposto dall'avv. Fabiano Amati nei confronti della  Presidenza  del
Consiglio dei Ministri, del Ministero dell'Interno, del Ministero per
gli Affari Regionali, della Regione Puglia, del  Consiglio  Regionale
della Puglia, della Prefettura di Bari,  attese  le  conclusioni  del
Procuratore  Generale,  dichiara  rilevanti  e   non   manifestamente
infondate le questioni di legittimita' costituzionale: 
        1) del  comma  primo  dell'art.  8  del  decreto  legislativo
3.12.2012 n. 235 perche', in violazione degli articoli 76 e 77  della
Carta Costituzionale, dispone  la  sospensione  dalle  cariche  degli
eletti al Consiglio Regionale (per quanto qui interessa) a seguito di
condanna non  definitiva,  cosi'  eccedendo  i  limiti  della  delega
conferita dall'art. 1, comma 64 lettera m) della  Legge  n.  190  del
6.XI.2012; 
        2) del comma primo dell'art. 7 della Legge 6.XI.2012 n. 190 e
dell'art. 8 comma primo del decreto legislativo 3  dicembre  2012  n.
235, in quanto, in violazione del secondo comma dell'art.  25  e  del
primo comma dell'art. 117 (in relazione all'art. 7 della CEDU)  della
Costituzione, non prevedono  la  sospensione  solo  per  sentenze  di
condanna relative a reati consumati dopo la loro entrata in vigore; 
        3) del comma 1°  dell'art.  7  lett.  c)  Legge  190/2012  in
relazione all'art.  8  comma  1°  lett.  a)  decreto  legislativo  n.
235/2012 perche', in violazione degli artt. 3,  51,  76  e  77  della
Costituzione ed in evidente disparita' di  trattamento,  non  prevede
per gli eletti al Consiglio  Regionale,  ai  fini  della  sospensione
dalla carica in caso di condanna per uno dei reati previsti (nel caso
di specie l'abuso d'ufficio), una soglia di  pena  superiore  ai  due
anni come  e'  per  i  parlamentari  nazionali  ed  europei  ai  fini
dell'incandidabilita'. 
    In accoglimento della domanda cautelare, sospende l'efficacia del
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 aprile 2014. 
    Sospende il presente procedimento fino alla decisione della Corte
costituzionale sulle eccezioni di incostituzionalita'. 
    Cosi' deciso in Bari,  nella  camera  di  consiglio  della  Prima
Sezione Civile, il 27 gennaio 2014. 
 
                  Il Presidente Rel. Est.: Scalera 
 
 
                                ---- 
 
 
                      Corte di Appello di Bari 
                        Prima Sezione Civile 
 
    In persona dei Magistrati: 
        1) Dott. Vita Scalera: Presidente Estens. 
        2) Dott. Filippo Labellarte: Consigliere. 
        3) Dott. Cassano Francesco: Consigliere. 
    Attesa la segnalazione della Corte costituzionale Prot.  131  del
23.04.15, ha pronunciato il seguente 
 
                               Decreto 
 
    Rilevato che nell'ordinanza pronunciata  da  questa  Corte  nella
causa RG n. 1748/14 in data 27 gennaio 2015 la data  della  decisione
risulta erroneamente indicata nel 27 gennaio 2014; 
    Considerato che si tratta di mero errore materiale  riscontrabile
dallo  stesso  testo  del  provvedimento  (lapsus  calami),   percio'
emendabile con decreto senza previa comparizione delle parti. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Dispone correggersi l'errore materiale  suddetto  nel  senso  che
all'ultima  pagina  dell'ordinanza,  limitatamente  alla  data  della
decisione, li' dove e' scritto «27 gennaio  2014»  deve  leggersi  ed
intendersi «27 gennaio 2015». 
    Manda alla cancelleria per gli adempimenti. 
    Bari, 28 aprile 2015 
 
                  Il Presidente Estensore: Scalera