N. 278 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 gennaio 2015
Ordinanza del 27 gennaio 2015 della Corte d'appello di Bari nel procedimento civile promosso da Amati Fabiano contro Presidenza del Consiglio dei ministri ed altri 5.. Elezioni - Elezioni dei componenti del Consiglio regionale - Sospensione degli eletti a seguito di condanna penale non definitiva. - Decreto legislativo 3 (recte: 31) dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilita' e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190), art. 8, comma 1. Elezioni - Elezioni dei componenti del Consiglio regionale - Sospensione dalla carica degli eletti solo per sentenza di condanna relativa a reati consumati dopo l'entrata in vigore della normativa censurata. - Decreto legislativo 3 (recte: 31) dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilita' e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190), art. 8, comma 1; legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalita' nella pubblica amministrazione), art. 7, comma 1. Elezioni - Elezioni dei componenti del Consiglio regionale - Sospensione dalla carica degli eletti solo in caso di condanna per uno dei reati con una soglia di pena superiore ai due anni come previsto per i parlamentari nazionali ed europei. - Legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalita' nella pubblica amministrazione), art. 7, comma 1, lett. c), in relazione all'art. 8, comma 1, lett. a), del d.lgs. 3 (recte: 31) dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilita' e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190).(GU n.49 del 9-12-2015 )
CORTE DI APPELLO DI BARI Prima sezione civile In persona dei seguenti magistrati: dott. Vito Scalera: Presidente; dott. Salvatore Russetti: Consigliere; dott. Filippo Labellarte: Consigliere. Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 1748/2014 promossa da: Fabiano Amati, rappresentato e difeso da se medesimo, dall'avv. Federico Rutigliano e dall'avv. Maria Paolillo, presso e nello studio dei quali e' elettivamente domiciliato in Bari. Appellante contro Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Interno, Ministero per i rapporti con le Regioni, Prefettura di Bari, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso i cui Uffici in Bari ope legis domicilia. Regione Puglia, contumace. Consiglio Regionale della Puglia, contumace. Appellati all'udienza del 13 gennaio 20)5, dopo che le parti hanno illustrato oralmente in pubblica udienza le rispettive ragioni, la causa e' stata riservata per la decisione sulle conclusioni che qui di seguito si trascrivono: per l'appellante (dalla memoria autorizzata del 12 gennaio 2015) «insiste affinche' la Corte conceda la tutela cautelare gia' invocata con il ricorso in appello in epigrafe apprestando la tecnica di tutela ritenuta piu' opportuna in relazione alla tutela del diritto costituzionale di elettorato passivo leso dal D.P.C.M. contestato». Per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell'interno, il Ministero per i Rapporti con le Regioni, la, Prefettura di Bari (dalla memoria difensiva depositata il 26.11.14) «rigettare integralmente l'appello e confermare l'ordinanza impugnata, con vittoria di spese di entrambi i gradi di giudizio». Il Procuratore Generale ha chiesto il rigetto dell'appello e della sospensiva. Svolgimento del processo A. - Con sentenza del 13 febbraio 2014, non passata in giudicato, il GUP del Tribunale di Brindisi riteneva il consigliere regionale avv. Fabiano Amati responsabile dei reati di falso ed abuso di ufficio e lo condannava alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione ed a quella accessoria dell'interdizione dai PP.UU. per la durata di anni cinque, con i benefici di legge. Con decreto del 23 aprile 2014 il Presidente del Consiglio dei Ministri disponeva la sua sospensione dalla carico ai sensi degli artt. 7 ed 8 del decreto legislativo 31.12.2012 n. 235, noto come legge Severino. Con ricorso depositato il 29 maggio 2014, l'avv. Amati impugnava dinanzi al Tribunale di Bari, ai sensi dell'art. 22 del decreto legislativo 1° settembre 2011 n. 150, 11 decreto suddetto, lamentandone l'ingiustizia e deducendo, sul presupposto della natura sanzionatoria della sospensione, l'illegittimita' costituzionale delle norme su citate: 1) sia perche' dettate in violazione dei commi 63 e 64 lettera m) dell'art. 1 della legge di delega (n, 190/2012), che aveva disposto la regolamentazione della sospensione solo in relazione ed a seguito di una condanna penale passata in giudicato per i reati speCificamente indicati - nel caso di specie per il delitto di abuso d'ufficio-; 2) sia perche' collidenti con gli arti. 3, 51, 76 e 77 comma 1° della Costituzione, sotto un duplice profilo, atteso che in evidente ed irragionevole disparita' di trattamento, a- in violazione della delega non era stata disciplinata anche per le cariche nazionali alcuna ipotesi di sospensione per il caso di sentenze di condanna non definitive; b- a differenza di quanto dispone l'art. 3 del decreto legislativo 235/2012, quando prevede l'incandidabilita' sopravvenuta dei Parlamentari nazionali ed europei e dei detentori di incarichi di governo nazionali, solo per il caso di condanna con sentenza definitiva, a pena detentiva superiore ai due anni, l'art. 8 decreto legislativo n. 235/2012 dispone per gli eletti a cariche regionali o locali il trattamento deteriore che non contempla (per il delitto di abuso d'ufficio, come nel caso di specie) soglia di pena alcuna, di modo che basta la condanna, a prescindere dall'entita' della pena irrogata, ad imporre di diritto la sospensione dalla carica. 3) sia perche' violatrici del secondo comma dell'art. 25 e del primo comma dell'art. 117 della Costituzione, nonche' dell'art. 7 della CEDU (norme che dettano il principio che possiamo tradurre con il noto brocardo «nulla poena sine previa lege») in quanto consentono la sospensione dalla carica in relazione a reati consumati prima della loro entrata in vigore; Sollecitava percio' la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per lo scrutinio di legittimita' degli articoli 7 e 8 del decreto legislativo n. 235 del 2012, invocando frattanto in via cautelare, ai sensi dell'art. 22 citato, la sospensione degli effetti del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri oggetto dell'impugnazione. Le Amministrazioni convenute, costituitesi in giudizio con l'Avvocatura Erariale, chiedevano il rigetto dell'impugnazione e deducevano l'infondateua di ciascuno dei profili di incostituzionalita' dedotti. B.- Con ordinanza del 14 ottobre 2014 il Tribunale rigettava il ricorso, ritenendo manifestamente infondate le questioni di incostituzionalita' dedotte dal ricorrente. Molto in breve, il primo giudice riteneva insussistenti le illegittimita' denunciate, opinando: 1) quanto al primo punto, che bene il legislatore delegato aveva previsto la sospensione dalla carica in ipotesi di condanna non definitiva, dovendo considerarsi che, sebbene la legge di delega avesse apparentemente posto sullo stesso piano sospensione e decadenza, tuttavia la sospensione sul piano logico si distinguerebbe dalla decadenza per la sua natura anticipatoria - prettamente cautelare- e transitoria, in quanto limitata nel tempo, di modo che ove si fosse collegata la sospensione alla sentenza definitiva, ne sarebbe stata contraddetta e negata la sua funzione. Del resto il legislatore delegato aveva legittimamente avvertito l'urgenza di tutelare la dignita' e credibilita' delle istituzioni nelle more del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, rimuovendo subito dall'esercizio delle funzioni connesse alla carica chi ne era apparso indegno e, ad avviso del Tribunale, che tale fosse la volonta' della legge di delega ad onta del contrario espresso dettato letterale della norma, doveva ritenersi per certo in virtu' della suddetta considerazione in ordine alla sequenza logica sospensione-decadenza; 2) quanto al secondo punto, in ordine al primo profilo dedotto, che fosse irrilevante il superamento dei confini della delega, comportando detta circostanza al piu' responsabilita' politica del Governo verso il Parlamento; quanto al secondo profilo, che fosse insussistente la disparita' di trattamento denunciata, atteso che «la differente posizione a livello istituzionale e funzionale tra i membri del Parlamento e del Governo (organi costituzionali) ed i titolari di cariche elettive nelle Regioni e negli altri enti locali territoriali» giustificherebbe la diversita' di disciplina; 3) infine, che la natura amministrativa e non sanzionatoria della sospensione rendeva fuor d'opera ogni considerazione in ordine all'asserita retroattivita' della norma, che si limitava a regolare gli effetti amministrativi della condanna non definitiva, che andrebbe considerata alla stregua di antecedente l'attuale al cui verificarsi consegue de jure l'effetto sospensivo. Ha proposto appello l'Amati, deducendo l'erroneita' delle valutazioni dei primo giudice e ribadendo ed ampliando le argomentazioni gia' svolte in primo grado, contrastate anche in questa sede dall'Avvocatura Erariale, ritualmente costituitasi per le Amministrazioni convenute. In particolare l'appellante si duole della, a suo avviso erronea, declaratoria di manifesta infondatezza delle eccezioni di illegittimita' costituzionale, che ripropone, ribadendo e puntualizzando l'illegittimita' costituzionale: 1) dell'art. 7 comma primo della Legge 6.XI.2012 n. 190 e dell'art. 8 comma primo del decreto legislativo 3 dicembre 2012 n. 235, in quanto, in violazione del secondo comma dell'art. 25 e del primo comma dell'art. 117 (in relazione all'art. 7 della CEDU) della Costituzione, non prevedono la sospensione solo per sentenze di condanna relative a reati consumati dopo la loro entrata in vigore; 2) dell'art. 8 comma primo lettera a) del decreto legislativo n. 235/2012 in relazione ai commi 63 e 64 dell'art. 1 della Legge 6 novembre 2012 n. 190, per violazione degli articoli 76 e 77 della Costituzione (eccesso di delega); 3) dell'art. 7 comma 1 lett. c) Legge 190/2012 in relazione all'art. 8 comma 1° lett. a) decreto legislativo n. 235/2012 perche', in violazione degli artt. 3, 51, 76 e 77 della Costituzione ed in evidente disparita' di trattamento, non prevede per gli eletti al Consiglio Regionale, ai fini della sospensione dalla carica in caso di condanna per uno dei reati previsti (nel caso di specie l'abuso d'ufficio) una soglia di pena superiore ai due anni come e' per i parlamentari nazionali ed europei ai fini dell'incandidabilita'. Il Procuratore Generale ha chiesto il rigetto dell'appello. A conclusione di pubblica discussione, nel corso della quale ciascuna delle parti ha esposto ed illustrato le proprie tesi, la causa e' stata riservata per la decisione. Le parti sono state autorizzate a depositare memorie difensive. Motivi della decisione C.- Va innanzitutto ribadito che, come aveva correttamente premesso il Tribunale, la cognizione della presente causa e' devoluta in via esclusiva alla cognizione del giudice ordinario, come e' prescritto dagli artt. 70 e segg. del decreto legislativo n. 267/2000 e 22 del decreto legislativo n. 150/23011. Va poi premesso che, quando nell'ambito di un giudizio venga sollevata eccezione di incostituzionalita' delle norme alla cui applicazione e demandata la soluzione della controversia, il giudice puo' disattenderla solo se manifestamente infondata, quando cioe' appare all'evidenza la sua assoluta inconsistenza o la sua irrilevanza. Se invece tale evidenza non sussiste, in quanto il contrasto del precetto applicabile con qualsivoglia norma della Carta Costituzionale appare prospettato in modo plausibile, di modo che la sua legittimita' costituzionale appare dubbia, la valutazione sul punto puo' essere effettuata solo dalla Corte costituzionale, cui gli atti devono essere necessariamente rimessi. Nel caso di specie e' poi evidente la rilevanza dell'eccezione, dovendo farsi applicazione di norme la cui legittimita' costituzionalita' .e' stata revocata in dubbio. Tanto premesso, contrariamente a quanto ha opinato il Tribunale, ritiene la Corte che le eccezioni di illegittimita' costituzionale degli artt. 7 ed 8 del decreto legislativo n. 235/2012 non sono manifestamente infondate in relazione ai profili ribaditi con l'atto di impugnazione, essendo stati evidentemente abbandonati gli altri punti dedotti in primo grado. D.- Quanto al primo punto, allora, quand'anche dovesse ritenersi che effettivamente la sospensione dalla carica costituisca un effetto di natura amministrativa della condanna penale ancorche' non passata in giudicato, non appare tuttavia dubbio che comunque si tratta di effetto afflittivo conseguito di diritto a condanna pronunciata per un reato consumato in data antecedente a quella dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 235/2012, che tale effetto aveva statuito, di modo che non pare possa sostenersi ragionevolmente l'insussistenza della violazione degli articoli della Costituzione 25 e 117 (quest'ultimo con riferimento all'art. 7 della CEDU). Sebbene infatti lo scopo delle norme sia indubbiamente quello di allontanare dall'amministrazione della cosa pubblica, anche in via cautelare, chi si sia reso moralmente indegno - e si tratta di scopo assolutamente condivisibile in quanto rispondente alla comune opinione dei consociati-, tuttavia va considerato che la suddetta tutela collide con i diritti, di rango costituzionale, di accesso alle cariche elettive e di esercizio delle funzioni connesse alla carica conseguita in virtu' di libere elezioni, diritti tutelati e garantiti dall'art. 51 della Carta Costituzionale, che non possono essere in concreto garantiti se non nell'ambito delle garanzie costituzionali tutte, di modo che e' parte necessaria consustanziale del diritto il divieto di retroattivita' delle norme sanzionatorie, disciplinato dall'art. 11 delle preleggi. Quanto all'eccesso di delega, basti osservare che il Tribunale aveva liquidato la questione, prospettata dal ricorrente sotto i diversi profili di cui s'e' dato conto in narrativa, con l'assiomatica affermazione della legittimita' costituzionale delle norme, eludendo l'evidente scollamento tra legge di delega e provvedimento delegato con argomentazione generica e poco convincente, dando tuttavia atto dell'oggettivo ampliamento da parte del legislatore delegato dei confini letterali del mandato ricevuto. Assumeva infatti in particolare il Tribunale che, ancorche' il legislatore delegante avesse demandato espressamente al delegato il compito di «disciplinare le ipotesi di sospensione e decadenza di diritto dalle cariche di cui al comma 63 in caso di sentenza definitiva di condanna per delitti non colposi successiva alla candidatura o all'affidamento della carica» (art. 1 comma 64 lett. m della Legge 6.XI.2012 n. 190), la norma dovesse essere interpretata, contro il suo chiaro dettato letterale, secondo criteri di logica generale, che tuttavia non hanno riscontro alcuno nei lavori preparatori, che l'appellante ha puntualmente analizzato con accurata indagine. In altre parole, il primo giudice e' incorso nella patente violazione dell'art. 12 delle preleggi, accedendo ad una lettura della norma assolutamente contraria al suo chiaro ed inequivoco dettato, che demandava al legislatore il compito di disciplinare la sospensione di diritto solo in caso di sentenza definitiva di condanna. Valga peraltro aggiungere che, come emerge con chiarezza dai lavori preparatori che l'appellante riproduce nell'atto di impugnazione, il mandato non era ne' illogico ne' contraddittorio, atteso che il Parlamento, approvando il testo della legge delega, aveva evidentemente condiviso le conclusioni rassegnate alla Commissione Affari Costituzionali dal relatore, che aveva sostenuto che la lettera m) del comma 64 dell'art. 1 riferiva la sospensione alle cariche elettive e la decadenza a quelle non elettive, come detta il tenore letterale della norma teste' trascritta. La portata della delega era pertanto chiara e manifesta, e non era consentito al legislatore delegato di regolare la fattispecie in modo inconfutabilmente creativo, secondo una logica diversa, certamente condivisibile e piu' aderente allo scopo generale che si intendeva perseguire, ma ben al di la' del mandato conferito dalla legge delega. Il Legislatore delegato non poteva travalicare i limiti assegnatigli, ed il Tribunale non poteva ritenere manifestamente infondata l'eccezione di illegittimita' costituzionale relativa facendosi carico di esigenze che il legislatore delegante non aveva previsto e voluto. Del resto gli stessi argomenti addotti dal primo giudice a sostegno della sua valutazione di manifesta infondatezza dell'eccezione di incostituzionalita', con la loro debolezza dimostrano che detta eccezione era tutt'altro che manifestamente infondata. Resta solo da aggiungere che il reciso tenore letterale della norma di cui al comma 64 dell'art. 1 L. 6.XI.12 nm. 190 ne preclude la diversa interpretazione che il primo giudice prospetta, nell'inane sforzo di elidere l'evidente contrasto tra di essa e l'art. 7 del decreto legislativo, 3 dicembre 2012 n. 235.- Non e pertanio manifestamente infondata l'eccezione di illegittimita' costituzionale per eccesso di delega eccepita sul punto. Quanto alla disparita' di trattamento degli eletti al consiglio regionale rispetto ai parlamentari nazionali ed europei, consistente nella circostanza che per i secondi l'art. 1 decreto legislativo n. 235/2012 prevede, per quanto qui interessa, per il reato di abuso d'ufficio una soglia di anni due di reclusione, al di sotto della quale non consegue l'incandidabilita', mentre per i primi non e' prevista soglia alcuna, non basta certo, per affermare la manifesta infondatezza dell'eccezione, sostenere, come fa il Tribunale, che la diversa situazione istituzionale e funzionale degli uni e degli altri varrebbe a dare contezza della differenza. E' infatti evidente che detta argomentazione ha valenza assolutamente tautologica, limitandosi a confermare che una differenza di trattamento c'e', ma non da' contezza del perche', e non e' dato comprendere quale sia la ratio della differenza, ed in particolare perche' gli eletti in competizioni locali siano trattati ben piu' severamente dei parlamentari nazionali ed europei, apparendo invece semmai ragionevole il contrario, proprio per la maggiore valenza istituzionale e costituzionale dei secondi. E' comunque evidente che l'eccezione di incostituzionalita' non e' manifestamente infondata. In conclusione e' necessario sottoporre al vaglio di legittimita' costituzionale: 1) il comma primo dell'art. 8 del decreto legislativo 3.12.2012 n. 235 perche', in violazione degli articoli 76 e 77 della Carta Costituzionale, dispone la sospensione dalle cariche degli eletti al Consiglio Regionale (per quanto qui interessa) a seguito di condanna non definitiva, cosi eccedendo i limiti della delega conferita dall'art. 1, comma 64 lettera m) della Legge n. 190 del 6.XI. 2012; 2) il comma primo dell'art. 7 della Legge 6.XI.2012 n. 190 e dell'art. 8 comma primo del decreto legislativo del 3 dicembre 2012 n. 235, in quanto, in violazione del secondo comma dell'art. 25 e del primo comma dell'art. 117 (in relazione all'art. 7 della CEDU) della Costituzione, non prevedono la sospensione solo per sentenze di condanna relative a reati consumati dopo la loro entrata in vigore; 3) il comma 1° dell'art. 7 lett. c) Legge 190/2012 in relazione all'art. 8 comma 1° lett. a) decreto legislativo n. 235/2012 perche', in violazione degli artt. 3, 51, 76 e 77 della Costituzione ed in evidente disparita' di trattamento, non prevede per gli eletti al Consiglio Regionale, ai fini della sospensione dalla carica in caso di condanna per uno dei reati previsti (nel caso di specie l'abuso d'ufficio), . una soglia di pena superiore ai due anni come e' per i parlamentari nazionali ed europei ai fini dell'incandidabilita'. Ai sensi dell'art. 23-quarto comma della Legge 87/53, il presente giudizio resta sospeso fino alla definizione del giudizio dinanzi alla Corte costituzionale. Resta da delibare l'istanza di sospensione dell'efficacia del DPCM del 23 aprile 2014. Osserva allora la Corte che, attesa la non manifesta infondatezza delle eccezioni di incostituzionalita' teste' prese in esame, puo' sospendersi l'efficacia del decreto del Presidente del Consiglio del 23 aprile 2014, atteso che ove la Corte costituzionale dovesse ritenere fondate le eccezioni di illegittimita' costituzionale di tutte o di taluna delle norme oggetto delle censure di cui s'e' detto, il diritto dell'Amati, tutelato e garantito dall'art. 51 della Costituzione, resterebbe definitivamente ed irrimediabilmente vanificato. E ben vero che, come ha osservato l'Avvocatura Erariale, la sospensione sancirebbe definitivamente la violazione delle norme oggetto delle eccezioni di incostituzionalita', che fino a quando il Giudice delle Leggi non le rimuove, se le rimuove, sono leggi dello Stato: ma il conflitto tra le due contrapposte esigenze deve risolversi in favore dell'Amati, godendo il diritto all'elettorato passivo di tutela costituzionale privilegiata. Il regolamento delle spese processuali sara' dettato a conclusione del giudizio, dopo l'esercizio da parte della Corte costituzionale del sindacato di legittimita'.
P. Q. M. La Corte di Appello, Prima Sezione Civile, atteso l'appello avverso l'ordinanza del Tribunale di Bari del 14 ottobre 2014 proposto dall'avv. Fabiano Amati nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell'Interno, del Ministero per gli Affari Regionali, della Regione Puglia, del Consiglio Regionale della Puglia, della Prefettura di Bari, attese le conclusioni del Procuratore Generale, dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale: 1) del comma primo dell'art. 8 del decreto legislativo 3.12.2012 n. 235 perche', in violazione degli articoli 76 e 77 della Carta Costituzionale, dispone la sospensione dalle cariche degli eletti al Consiglio Regionale (per quanto qui interessa) a seguito di condanna non definitiva, cosi' eccedendo i limiti della delega conferita dall'art. 1, comma 64 lettera m) della Legge n. 190 del 6.XI.2012; 2) del comma primo dell'art. 7 della Legge 6.XI.2012 n. 190 e dell'art. 8 comma primo del decreto legislativo 3 dicembre 2012 n. 235, in quanto, in violazione del secondo comma dell'art. 25 e del primo comma dell'art. 117 (in relazione all'art. 7 della CEDU) della Costituzione, non prevedono la sospensione solo per sentenze di condanna relative a reati consumati dopo la loro entrata in vigore; 3) del comma 1° dell'art. 7 lett. c) Legge 190/2012 in relazione all'art. 8 comma 1° lett. a) decreto legislativo n. 235/2012 perche', in violazione degli artt. 3, 51, 76 e 77 della Costituzione ed in evidente disparita' di trattamento, non prevede per gli eletti al Consiglio Regionale, ai fini della sospensione dalla carica in caso di condanna per uno dei reati previsti (nel caso di specie l'abuso d'ufficio), una soglia di pena superiore ai due anni come e' per i parlamentari nazionali ed europei ai fini dell'incandidabilita'. In accoglimento della domanda cautelare, sospende l'efficacia del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 aprile 2014. Sospende il presente procedimento fino alla decisione della Corte costituzionale sulle eccezioni di incostituzionalita'. Cosi' deciso in Bari, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 27 gennaio 2014. Il Presidente Rel. Est.: Scalera ---- Corte di Appello di Bari Prima Sezione Civile In persona dei Magistrati: 1) Dott. Vita Scalera: Presidente Estens. 2) Dott. Filippo Labellarte: Consigliere. 3) Dott. Cassano Francesco: Consigliere. Attesa la segnalazione della Corte costituzionale Prot. 131 del 23.04.15, ha pronunciato il seguente Decreto Rilevato che nell'ordinanza pronunciata da questa Corte nella causa RG n. 1748/14 in data 27 gennaio 2015 la data della decisione risulta erroneamente indicata nel 27 gennaio 2014; Considerato che si tratta di mero errore materiale riscontrabile dallo stesso testo del provvedimento (lapsus calami), percio' emendabile con decreto senza previa comparizione delle parti. P.Q.M. Dispone correggersi l'errore materiale suddetto nel senso che all'ultima pagina dell'ordinanza, limitatamente alla data della decisione, li' dove e' scritto «27 gennaio 2014» deve leggersi ed intendersi «27 gennaio 2015». Manda alla cancelleria per gli adempimenti. Bari, 28 aprile 2015 Il Presidente Estensore: Scalera