N. 262 SENTENZA 2 - 11 dicembre 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Prescrizione e decadenza - Societa' in nome collettivo  -  Regime  di
  sospensione   della   prescrizione   delle   azioni   sociali    di
  responsabilita' proposte nei confronti degli amministratori. 
- Codice civile, art. 2941, numero 7). 
-   
(GU n.50 del 16-12-2015 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici :Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI,
  Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano
  AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2941,
numero 7), del codice civile,  promosso  dal  Collegio  arbitrale  di
Padova  nel  procedimento  vertente  tra  la  S.I.PER.   -   Societa'
Immobiliare Perginese snc di F.P. & C. e P.F., con  ordinanza  del  7
novembre 2014, iscritta al  n.  39  del  registro  ordinanze  2015  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  12,  prima
serie speciale, dell'anno 2015. 
    Udito nella camera di consiglio del 2 dicembre  2015  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 7 novembre 2014,  iscritta  al  n.  39  del
registro ordinanze 2015, il Collegio arbitrale di Padova solleva,  in
riferimento agli artt.  3  e  24  della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 2941,  numero  7),  del  codice
civile, nella parte in  cui  non  sospende  la  prescrizione  tra  la
societa' in nome collettivo e i suoi amministratori per le azioni  di
responsabilita' intentate nei loro confronti, finche' sono in carica. 
    1.1.- Il Collegio premette di dover decidere,  in  forza  di  una
convenzione di arbitrato rituale, sulla domanda risarcitoria proposta
dalla  S.I.PER.-Societa'  Italiana  Perginese   snc   nei   confronti
dell'amministratore P.F. per i danni derivanti da mala gestio. 
    La societa' aveva addebitato a P.F., amministratore dal  1976  al
giugno  2008,  numerose  condotte  illecite,  foriere  di  un   danno
ragguardevole. 
    Nella procedura arbitrale, per i  fatti  anteriori  al  1°  marzo
2005, P.F. aveva eccepito preliminarmente l'estinzione delle  pretese
della societa' per decorso del termine quinquennale di  prescrizione,
interrotto soltanto, il 1° marzo 2010, dalla notifica  della  domanda
arbitrale. 
    L'amministratore convenuto in giudizio  contestava  la  richiesta
della societa' di trasporre alla societa' in nome  collettivo,  sulla
scorta di un'asserita identita' di ratio, i principi enunciati  dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 322 del 1998. 
    Tale pronuncia  aveva  sancito  la  sospensione  del  termine  di
prescrizione di cui all'art. 2941, numero 7), cod. civ. soltanto  per
la societa' in accomandita semplice, contraddistinta da uno  speciale
assetto dei rapporti tra amministratori e soci, affine a quello delle
societa' di capitali, e da limitati  poteri  di  controllo  dei  soci
accomandanti. 
    Nelle societa' in nome collettivo - argomentava  l'amministratore
-  i  rapporti  sociali  si  atteggerebbero  in  modo   diverso,   in
considerazione   della   tendenziale   coincidenza   tra    soci    e
amministratori e dei poteri di indagine e di  verifica,  affidati  ai
soci che non svolgono le funzioni di amministratori. 
    L'amministratore chiedeva che le domande della  societa'  fossero
comunque respinte, per infondatezza, per  carenza  di  legittimazione
attiva  della   societa'   attrice   o   per   nullita'   conseguente
all'indeterminatezza assoluta del petitum e della causa petendi. 
    1.2.- Il Collegio arbitrale  di  Padova,  con  ordinanza  del  26
agosto 2013, ritenendo l'eccezione di prescrizione idonea a  definire
il giudizio, sollevava, in riferimento  agli  artt.  3  e  24  Cost.,
questione di costituzionalita' dell'art. 2941, numero 7), cod.  civ.,
nella parte in cui non prevede la sospensione della prescrizione  tra
societa' in nome collettivo e amministratori per le azioni sociali di
responsabilita' proposte nei loro  confronti,  fintantoche'  sono  in
carica. 
    Con ordinanza n. 123 del 2014, la Corte costituzionale dichiarava
la manifesta inammissibilita' della questione,  poiche'  il  Collegio
arbitrale  aveva  omesso  l'esame  della  validita'  della   clausola
compromissoria alla  stregua  dell'art.  34,  comma  2,  del  decreto
legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione  dei  procedimenti  in
materia di  diritto  societario  e  di  intermediazione  finanziaria,
nonche' in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo
12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366). 
    Tale carenza argomentativa  in  ordine  alla  potestas  iudicandi
implicava  la   manifesta   inammissibilita'   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  per  difetto   di   motivazione   sulla
rilevanza. 
    Il 18 luglio  2014,  la  societa'  attrice,  ai  sensi  dell'art.
819-bis  codice  di  procedura  civile,  depositava  istanza  per  la
prosecuzione del giudizio arbitrale. 
    Il  Collegio  arbitrale,  ripercorse  tali  vicende  processuali,
ripropone la questione di costituzionalita' dichiarata inammissibile,
rilevando che la giurisprudenza di  merito  ha  escluso  la  nullita'
sopravvenuta  delle  clausole  compromissorie  che  non  siano  state
adeguate ai dettami dell'art. 34, comma 2, del d.lgs. n. 5 del 2003. 
    Lo stesso convenuto - soggiunge il Collegio rimettente -  non  ha
mai revocato in dubbio la validita'  della  clausola  compromissoria,
che deve essere ribadita, in quanto si verte in tema di  societa'  di
persone, escluse dall'ambito applicativo  della  riforma,  e  di  una
clausola compromissoria, stipulata ben prima dell'entrata  in  vigore
del d.lgs. n. 5 del 2003. 
    Ad avviso  degli  arbitri,  difatti,  l'obbligo  di  adeguare  le
clausole compromissorie grava soltanto sulle societa' di  capitali  e
su quelle cooperative e non gia' sulle societa' di persone,  iscritte
nel registro delle imprese all'epoca  dell'entrata  in  vigore  della
disciplina sopravvenuta. 
    Gli arbitri desumono una conferma  di  tale  tesi  dall'art.  34,
comma 6, del d.l.gs. n. 5 del 2003, che disciplina  l'introduzione  o
la soppressione delle clausole compromissorie con  l'approvazione  di
tanti soci che rappresentino almeno i due terzi del capitale sociale. 
    Tale disposizione mal si concilierebbe con  la  disciplina  delle
societa' di persone,  che  prevede  la  modificazione  del  contratto
sociale solo all'unanimita' o comunque con maggioranze  ancorate  non
al capitale, ma alla quota di partecipazione agli utili. 
    Inoltre, il principio di irretroattivita' della legge postula  lo
scrutinio della validita' della clausola con riguardo al tempo in cui
e' stata redatta. 
    La  previsione  di  una  nullita'  sopravvenuta  delle   clausole
compromissorie,  in  difetto   di   una   procedura   facilitata   di
adeguamento,   intralcerebbe    il    ricorso    all'arbitrato,    in
contraddizione con il favore che circonda tale strumento  alternativo
alla giurisdizione. 
    La competenza degli  arbitri  si  fonderebbe  anche  sull'assenso
implicito delle parti, che non hanno  sollevato  eccezioni  di  sorta
sulla validita'  della  clausola  e,  sottoscrivendo  il  verbale  di
costituzione    del    Collegio    arbitrale,    hanno    manifestato
l'inequivocabile volonta' di deferire agli arbitri la soluzione della
lite in forza di un nuovo e autonomo compromesso, seppure tacito. 
    Trattandosi di  arbitrato  introdotto  prima  della  declaratoria
d'incostituzionalita' dell'art. 819-ter, secondo  comma,  cod.  proc.
civ. (sentenza n. 223 del 2013), non si potrebbe neppure  prospettare
una questione di translatio iudicii. 
    1.3.- In punto di rilevanza, gli arbitri osservano che, senza  un
intervento additivo che ripristini  la  legalita'  costituzionale  ed
estenda anche alle societa' in nome collettivo la  sospensione  della
prescrizione, le pretese risarcitorie  della  societa'  sarebbero  in
larga parte prescritte. 
    Il Collegio arbitrale esclude che l'art. 2941,  numero  7),  cod.
civ. si possa applicare gia' de iure condito alle societa' di persone
e, in particolare, alla societa' in nome  collettivo,  sprovvista  di
personalita' giuridica. 
    La  norma,  che  delinea   una   causa   di   sospensione   della
prescrizione,   si   configura   come   eccezionale,    di    stretta
interpretazione,   e,   pertanto,   non   si   potrebbero   applicare
estensivamente alla societa' in nome collettivo i principi  enunciati
dalla Corte costituzionale  nella  sentenza  n.  322  del  1998,  con
esclusivo riguardo alle societa' in accomandita semplice. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza,  il  Collegio  rimettente
ritiene  priva  di  ogni  ragion  d'essere   la   limitazione   della
sospensione della prescrizione alle sole societa' di capitali. 
    Ad  un  attento  vaglio  critico,  non  reggerebbe  alcuna  delle
giustificazioni addotte a sostegno di tale limitazione. 
    La coincidenza tra attore e convenuto che si determina quando  la
persona giuridica  agisce  nei  confronti  degli  amministratori,  la
difficolta' di conoscere gli illeciti  degli  amministratori  finche'
ricoprono    l'incarico,    la    peculiarita'    dell'organizzazione
corporativa, contrassegnata da una rigida separazione  di  competenze
tra i diversi organi, tutti di istituzione  obbligatoria,  non  danno
conto della diversita' di regime tra societa' di capitali e  societa'
di persone, in merito alla sospensione della prescrizione. 
    Il Collegio rimettente specifica che anche le societa' di persone
si  strutturano  come  fenomeni  associativi  a  rilevanza   esterna,
caratterizzati da un'autonomia patrimoniale variamente modulata e  da
una soggettivita' che vale a distinguerle dai soci che le compongono. 
    A rigore, il problema della coincidenza tra attore  (societa')  e
convenuto  (amministratore)  si  dovrebbe  prospettare   in   termini
identici per tutti i tipi sociali, a prescindere  dalla  personalita'
giuridica che li connota. 
    La capacita' degli amministratori delle societa' di  capitali  di
occultare piu' agevolmente gli illeciti, finche' rimangono in carica,
non parrebbe un argomento risolutivo. 
    La legge, per  una  societa'  di  capitali  come  la  societa'  a
responsabilita' limitata, prescrive una  trasparenza  della  gestione
finanche piu' elevata rispetto a quella delle societa' di persone  e,
nondimeno, non esclude per tale societa' l'applicazione  della  causa
di sospensione della prescrizione. 
    Anche la separazione di competenze tra gli  organi  non  potrebbe
assurgere a giustificazione  plausibile.  Essa  e'  piu'  sfumata  in
alcune societa' di  capitali,  come  la  societa'  a  responsabilita'
limitata, che puo' scegliere, con riguardo ai rapporti tra i  soci  e
gli amministratori, assetti comparabili a quelli  delle  societa'  in
nome collettivo. 
    Non vi sarebbero ragioni idonee a giustificare la  sperequazione,
sul versante della sospensione della prescrizione, tra le societa' di
capitali e la societa' in accomandita semplice,  da  un  lato,  e  la
societa' in nome collettivo, dall'altro. 
    L'ingiustificata  disparita'  di  trattamento   pregiudicherebbe,
inoltre, il diritto di difesa della  societa'  con  riferimento  agli
illeciti imputabili agli amministratori. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Collegio arbitrale di  Padova  dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 2941, numero 7), del  codice  civile,  nella
parte in cui non estende la sospensione della prescrizione anche alle
azioni di responsabilita' promosse dalla societa' in nome  collettivo
contro gli amministratori, finche' rimangono in carica. 
    Gli arbitri denunciano il contrasto della norma impugnata con gli
artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto assumono che l'ordinamento
riservi alle societa' in nome collettivo  un  trattamento  deteriore,
privo di ogni ragion d'essere, rispetto alle societa' di  capitali  e
alle societa' in accomandita semplice. 
    Le societa' di capitali e, dopo l'intervento additivo  di  questa
Corte (sentenza n. 322 del 1998), le societa' in accomandita semplice
beneficiano della sospensione  della  prescrizione  delle  azioni  di
responsabilita' contro gli amministratori, finche'  questi  rimangono
in carica. Tale  sospensione  non  opera  per  le  societa'  in  nome
collettivo   e   non   puo'   essere   affermata   in    virtu'    di
un'interpretazione conforme al dettato costituzionale. 
    Gli  arbitri  non  ritengono   ragionevoli   le   giustificazioni
tradizionalmente addotte per tale disparita' di trattamento. 
    Le giustificazioni in esame  fanno  leva  sulla  coincidenza  tra
attore e convenuto, connaturata alle  cause  proposte  dalle  persone
giuridiche contro gli amministratori, sulle difficolta',  in  cui  si
imbattono le persone giuridiche nell'accertare gli illeciti di chi le
amministra, sull'organizzazione di tipo corporativo  e  sulla  rigida
separazione di competenze tra gli organi, che  contraddistinguono  le
persone giuridiche e non hanno riscontro nelle societa'  di  persone,
tendenzialmente amministrate da tutti i soci. 
    Tale  disparita'  di  trattamento  pregiudicherebbe,  in   ultima
analisi, il diritto di azione delle societa' in nome collettivo (art.
24 Cost.). 
    2.- In via preliminare, occorre esaminare l'ammissibilita'  della
questione riproposta dal Collegio arbitrale di Padova. 
    2.1.- La valutazione di rilevanza, che e' prerogativa del giudice
rimettente,  investe  anche  l'accertamento   della   validita'   dei
presupposti di esistenza del giudizio principale (sentenza n. 61  del
2012, punto 2.1. del Considerato in diritto). 
    La valutazione di ammissibilita', demandata a  questa  Corte,  si
esaurisce nella verifica che i presupposti di esistenza del  giudizio
«non risultino manifestamente e  incontrovertibilmente  carenti»  nel
momento in cui la questione e' proposta (sentenza  n.  62  del  1992,
punto 3. del Considerato in diritto). 
    E'  sufficiente  che  la  valutazione  del  giudice  a  quo   sia
avvalorata, a tale riguardo, da «una  motivazione  non  implausibile»
(sentenza n. 270 del 2010, punto 4.2. del Considerato in  diritto)  e
che la carenza dei presupposti di esistenza del giudizio non  risulti
macroscopica (sentenza n. 34 del 2010, punto 4.  del  Considerato  in
diritto). 
    2.2.-   Con   riferimento   alla   validita'    della    clausola
compromissoria, che fonda il potere di  decidere  degli  arbitri,  la
motivazione  del  Collegio  rimettente,  a  prescindere   dalla   sua
fondatezza, il cui scrutinio non compete a questa  Corte,  supera  il
vaglio di non implausibilita'. 
    L'ordinanza n. 123 del 2014, dopo avere richiamato  le  modalita'
di  designazione  degli  arbitri  prescritte,  a  pena  di  nullita',
dall'art. 34, comma 2, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n.  5
(Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario  e  di
intermediazione  finanziaria,   nonche'   in   materia   bancaria   e
creditizia, in attuazione dell'articolo  12  della  legge  3  ottobre
2001, n. 366), aveva riscontrato  «il  mancato  esame,  sotto  questo
profilo, della validita'  della  clausola  compromissoria»,  che  non
attribuisce la nomina degli arbitri a terzi estranei  alla  societa'.
Tale «carenza argomentativa in ordine  alla  potestas  iudicandi»  si
risolveva  nella  «manifesta  inammissibilita'  della  questione   di
legittimita'  costituzionale,  per  difetto  di   motivazione   sulla
rilevanza». 
    Nell'odierno giudizio, il Collegio arbitrale ha colmato le lacune
argomentative, che, all'origine, avevano condotto questa  Corte  alla
dichiarazione di manifesta inammissibilita'. 
    Se, nel primo incidente di costituzionalita', gli arbitri avevano
trascurato del tutto la disamina di questi profili, nel riproporre la
questione essi illustrano le ragioni che  depongono  a  favore  della
validita' della clausola compromissoria. 
    Gli arbitri prendono  le  mosse  dal  vivace  dibattito,  che  ha
accompagnato la transizione verso l'arbitrato commerciale,  delineato
dall'art. 34 del d.lgs. n. 5 del 2003. 
    Il Collegio rimettente circoscrive alle societa'  di  capitali  e
alle  societa'  cooperative  l'obbligo  di  conformare  le   clausole
compromissorie   degli   statuti   alle   novita'   normative   sulla
designazione degli arbitri. 
    In tale ottica, il Collegio valorizza, sul  piano  letterale,  la
mancanza di una norma espressa sulle procedure di  adeguamento  degli
atti costitutivi delle societa' di persone. 
    Sul piano sistematico, gli arbitri argomentano  che  la  nullita'
indiscriminata    delle    clausole    compromissorie    preesistenti
vanificherebbe il favore accordato alla risoluzione  arbitrale  delle
controversie societarie. 
    Con  riguardo  alla  vicenda  specifica,  gli   arbitri   pongono
l'accento  sul  contegno  processuale   delle   parti,   che   denota
l'inequivocabile volonta' di investire il  Collegio  della  soluzione
della controversia. 
    Le parti - si precisa - non hanno sollevato  eccezioni  di  sorta
sulla validita' della clausola compromissoria  e  hanno  sottoscritto
senza riserve il verbale di costituzione del Collegio. 
    2.3.- Con riferimento all'ammissibilita', va esaminata  anche  la
praticabilita'  di  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata
della norma. 
    Il  Collegio  arbitrale  ritiene  che  tale  interpretazione  sia
preclusa e dissente dall'opinione che, dopo  l'intervento  di  questa
Corte (sentenza n.  322  del  1998),  applica  la  sospensione  della
prescrizione delle azioni di responsabilita' a tutte le  societa'  di
persone. 
    Tale   interpretazione   estensiva,    secondo    gli    arbitri,
confliggerebbe con la tassativita' delle cause di  sospensione  della
prescrizione e travalicherebbe i  limiti  del  precedente  di  questa
Corte, che riguarda le sole societa' in accomandita semplice. 
    Ai fini dell'ammissibilita' della questione, e'  sufficiente  che
il giudice  a  quo  esplori  la  possibilita'  di  un'interpretazione
conforme alla Carta fondamentale e, come avviene nel caso di  specie,
la escluda consapevolmente (sentenza n. 221 del 2015, punto 3.3.  del
Considerato in diritto). 
    La fondatezza delle diverse  interpretazioni  attiene  al  merito
della questione,  che  e'  cosi'  possibile  scrutinare,  dopo  avere
sgombrato il campo dai profili preliminari. 
    3.- La questione e' fondata. 
    3.1.- Per le azioni di responsabilita', intraprese dalle societa'
in  nome  collettivo  contro  gli  amministratori,   non   opera   la
sospensione della prescrizione, sancita per le persone  giuridiche  e
per le societa' in accomandita semplice. 
    Il contrasto con il principio di eguaglianza appare stridente, in
particolare, nella comparazione tra la societa' in nome collettivo  e
la societa' in accomandita semplice, assoggettata  alle  disposizioni
della societa' in nome collettivo compatibili  con  il  tipo  sociale
(art. 2315 cod. civ.). 
    Pur  accomunate  da  una  disciplina  omogenea  nei  suoi  tratti
salienti, tali societa' differiscono nel regime di sospensione  della
prescrizione delle azioni di responsabilita'. 
    Si  tratta  di  una  disparita'  di  trattamento  priva  di   una
giustificazione plausibile,  al  pari  delle  differenze  che  ancora
intercorrono in tale  materia  tra  societa'  in  nome  collettivo  e
persone giuridiche. 
    Le motivazioni, che hanno condotto questa Corte ad estendere alle
societa' in accomandita semplice la  sospensione  della  prescrizione
vigente  per  le  persone  giuridiche,  prescindono  dalla  peculiare
composizione  delle  societa'  in  accomandita   semplice   e   dalla
distinzione tra  soci  accomandanti  e  soci  accomandatari,  che  ne
condiziona alcune  specificita'  di  disciplina.  Dotate  di  valenza
generale, esse si raccordano alla ratio della  causa  di  sospensione
della prescrizione e si attagliano, pertanto, anche alle societa'  in
nome collettivo. 
    3.2.- Tale causa di sospensione si correla al  rapporto  gestorio
che vincola la societa' all'amministratore (sentenza n. 322 del 1998,
punto 4. del Considerato in diritto) e si atteggia in termini unitari
con riguardo alle esigenze di tutela della societa'. 
    In  particolare,  durante   la   permanenza   in   carica   degli
amministratori, e' piu' difficile per la societa' acquisire  compiuta
conoscenza degli illeciti che essi hanno commesso  e  determinarsi  a
promuovere le azioni di responsabilita'. 
    La ratio della causa di sospensione non risiede, dunque, nel dato
formalistico della coincidenza tra attore e convenuto, tipica  di  un
giudizio instaurato dalla societa'  contro  l'amministratore.  Questa
circostanza non chiarisce la specificita' della causa di sospensione,
che opera a beneficio di una sola parte, la societa', e  si  prefigge
di tutelarne la posizione. 
    La contrapposizione di interessi tra societa'  e  amministratori,
che ostacola un'azione efficace e tempestiva della societa',  non  ha
alcuna attinenza con la personalita' giuridica. 
    Le  discriminazioni,  legate   a   un   dato   estrinseco,   sono
disarmoniche rispetto alla  ratio  che  ispira  la  disciplina  della
sospensione della prescrizione. 
    A fronte delle difficolta'  operative,  insite  nell'accertamento
degli illeciti degli amministratori ancora in carica, la personalita'
giuridica non configura un elemento qualificante e idoneo a tracciare
un discrimine ragionevole tra le diverse societa'. 
    L'irragionevolezza di un criterio distintivo cosi' congegnato  si
coglie anche sotto altri profili. 
    Se la personalita' giuridica definisce la completa alterita'  tra
la societa' e i soci che ne fanno parte, un fenomeno di  unificazione
soggettiva emerge anche nelle societa' di  persone,  che  si  pongono
come autonomo centro di imputazione di diritti e  obblighi,  distinto
rispetto alle persone dei soci (art. 2266, primo  comma,  cod.  civ.,
che riconduce direttamente alla societa' l'acquisizione di diritti  e
l'assunzione di obbligazioni). 
    Dalla  diversa  conformazione  della  soggettivita'  non  possono
scaturire diversita' cosi' gravide di  conseguenze  sulla  disciplina
delle azioni di responsabilita' contro gli  amministratori,  tema  di
per se' estraneo alle mutevoli graduazioni della soggettivita'  degli
enti. 
    Un criterio distintivo, calibrato sulla  personalita'  giuridica,
si palesa irragionevole in un contesto normativo che registra, tra  i
molteplici tipi sociali, confini  sempre  piu'  fluidi  e  ricorrenti
occasioni di osmosi. 
    In un sistema che  assegna  all'autonomia  privata  un  ruolo  di
cruciale  importanza  (art.  2479   cod.   civ.),   le   societa'   a
responsabilita' limitata, pur provviste  di  personalita'  giuridica,
possono   mutuare   dalle   societa'   di   persone   alcuni   tratti
caratteristici dei modelli organizzativi. 
    Una societa' di persone, composta da  soci  che  non  partecipino
tutti all'amministrazione (art. 2261, primo comma, cod. civ.), non e'
meno bisognosa  di  tutela  di  una  societa'  di  capitali,  in  cui
l'organizzazione  corporativa  e  il  sistema  di  contrappesi  e  di
controlli apprestano una protezione piu' incisiva  contro  gli  abusi
degli amministratori. 
    E' arbitraria, pertanto, la scelta di diversificare la decorrenza
dei termini di prescrizione in base a un  elemento,  la  personalita'
giuridica, che non soltanto vede attenuarsi il suo ruolo  di  fattore
ordinante della disciplina societaria, ma non ha portata  scriminante
per il diverso aspetto della responsabilita' degli amministratori per
gli illeciti commessi durante la permanenza in carica. 
    4.- Restano assorbite le censure, che evocano un  pregiudizio  al
diritto di azione delle societa' in nome collettivo (art. 24 Cost.). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  2941,  numero
7), del codice  civile,  nella  parte  in  cui  non  prevede  che  la
prescrizione sia sospesa tra la societa' in nome collettivo e i  suoi
amministratori,  finche'  sono  in   carica,   per   le   azioni   di
responsabilita' contro di essi. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                     Silvana SCIARRA, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria l'11 dicembre 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI