N. 303 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 settembre 2015

Ordinanza del  14  settembre  2015  della  Corte  di  cassazione  nel
procedimento civile promosso da Comensoli Antonietta contro CONSOB.. 
 
Borsa  -  Intermediazione  finanziaria  -   Abuso   di   informazioni
  privilegiate - Sanzioni amministrative - Confisca per equivalente -
  Applicabilita' anche alle violazioni  commesse  anteriormente  alla
  data di entrata in vigore della legge n. 62  del  2005  che  le  ha
  depenalizzate. 
- Decreto legislativo 24 febbraio 1998,  n.  58  (Testo  unico  delle
  disposizioni in materia di intermediazione  finanziaria,  ai  sensi
  degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio  1996,  n.  52),  art.
  187-sexies, introdotto dall'art. 9, comma 2, lett. a), della  legge
  18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l'adempimento  di  obblighi
  derivanti dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita'  europee.
  Legge comunitaria 2004); legge 18 aprile 2005, n. 62  (Disposizioni
  per   l'adempimento   di   obblighi   derivanti   dall'appartenenza
  dell'Italia alle Comunita' europee. Legge comunitaria  2004),  art.
  9, comma 6. 
(GU n.51 del 23-12-2015 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                      (Sezione Seconda Civile) 
 
    Composta dagli ill.mi sigg.ri magistrati: 
    dott. Ettore Bucciante, Presidente; 
    dott. Bruno Bianchini, consigliere; 
    dott. Stefano Petitti, consigliere rel.; 
    dott. Antonio Oricchio, consigliere; 
    dott. Luigi Abete, consigliere. 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul  ricorso,
iscritto al N.R.G. 9302 del 2010, proposto da: 
        Comensoli Antonietta, rappresentata  e  difesa,  per  procura
speciale a margine del ricorso, dagli Avvocati Renato Sirna ed  Elisa
Bonzani e Achille Chiappetti, nonche', per procura speciale notarile,
dall'Avvocato Giovanni Arieta, elettivamente domiciliata in Roma, via
Paolo Emilio n. 7, presso lo studio dell'Avvocato Achille Chiappetti;
ricorrente; 
    Contro Commissione Nazionale per le Societa' e la Borsa (CONSOB),
in persona del Presidente pro tempore, rappresentata  e  difesa,  per
procura  speciale  a  margine   del   controricorso,   unitamente   e
disgiuntamente dagli Avvocati Fabio Biagianti, Maria Letizia  Ermetes
e Rocco Vampa, elettivamente domiciliata presso la  propria  sede  in
Roma, via Giovanni Battista Martini n. 3; controricorrente; 
    Avverso  la  sentenza  della  Corte  di  appello  di  Brescia  n.
273/2009, depositata il 26 febbraio 2009. 
    Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
5 giugno 2015 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti; 
    sentiti gli Avvocati Giovanni Arieta e Achille Chiappetti per  la
ricorrente, e l'Avvocato Rocco Vampa per la CONSOB; 
    sentito  il  Pubblico  Ministero,  in   persona   del   Sostituto
Procuratore Generale Dott. Alberto Celeste, che ha  concluso  per  il
rigetto del primo, secondo, terzo, sesto e ottavo motivo del  ricorso
e rimessione degli atti alla Corte costituzionale in  relazione  alla
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 6,  della
legge n. 62 del 2005, in riferimento agli artt. 3, 25  e  117,  primo
comma, Cost., in relazione  all'art.  7  della  CEDU;  in  subordine,
accoglimento del quarto, quinto e settimo motivo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - In data 8  gennaio  2003  il  Presidente  della  Commissione
Nazionale per le Societa' e la Borsa (CONSOB) segnalava alla  Procura
della Repubblica di Milano il presunto reato di abuso di informazioni
privilegiate - di cui all'art. 180 del decreto legislativo n. 58  del
1998 - per avere i signori Emilio  Gnutti,  Ornella  Pozzi,  Maurizia
Gallia, Ennio Barozzi, Romeo Liberini, Antonietta Comensoli e Osvaldo
Savoldi, acquistato obbligazioni  Unipol  2000-2005  2,25%  e  Unipol
2000-2005 3,75%, nel corso dell'anno 2002. 
    Il Tribunale di Milano, con sentenza  n.  10597  del  19  ottobre
2005, proscioglieva gli imputati (ad eccezione di Emilio  Gnutti)  in
ragione della  depenalizzazione  del  reato  contestato,  avvenuta  a
seguito dell'entrata  in  vigore  della  legge  n.  62  del  2005,  e
trasmetteva gli atti alla CONSOB, in quanto competente. 
    Quest'ultima, per mezzo dell'Ufficio Insider  Trading,  ritenendo
accertata la commissione dell'illecito amministrativo di cui all'art.
187-bis, comma 4, del d.lgs. n. 58 del  1998,  notificava  l'atto  di
contestazione  ai  destinatari   dell'informazione   privilegiata   e
disponeva a carico di Antonietta Comensoli, con delibera  in  data  8
giugno 2007,  il  sequestro  di  beni  di  sua  pertinenza,  fino  al
raggiungimento del valore equivalente al prodotto dell'illecito (euro
6.592.665,00), applicando la disposizione ex art.  187-octies,  comma
3, lett. d), del citato d.lgs. n. 58 del 1998. 
    Quindi la CONSOB riteneva accertata la violazione di cui all'art.
187-bis del d.lgs.  n.  58  del  1998  e  applicava  a  carico  della
Comensoli la sanzione amministrativa pecuniaria di  euro  470.386,00,
la sanzione accessoria dell'interdizione dagli uffici  direttivi  per
un periodo di nove mesi ex art. 187-quater del d.lgs. n. 58 del 1998,
nonche', ai sensi dell'art. 187-sexies di quest'ultimo,  la  confisca
di beni di sua proprieta' gia' sottoposti a sequestro. 
    2. - Antonietta  Comensoli  proponeva  opposizione  dinanzi  alla
Corte d'appello di Brescia. La CONSOB si  costituiva  e  chiedeva  il
rigetto dell'opposizione. 
    Con sentenza  depositata  il  26  febbraio  2009,  l'adita  Corte
d'appello rigettava l'opposizione. 
    2.1. - Disattesi alcuni  motivi  di  opposizione  concernenti  il
procedimento  sanzionatorio,  la  Corte  rigettava   il   motivo   di
opposizione con il quale la ricorrente aveva sostenuto che non  fosse
corretto qualificare come "informazioni privilegiate" le notizie  che
all'epoca  della  commissione  del  fatto  circolavano  nell'ambiente
Unipol.  In  proposito,  la  Corte  d'appello  riteneva   la   natura
privilegiata delle informazioni in questione, atteso  che  tali  sono
non  solo  le  informazioni  che  fanno  riferimento  a   circostanze
esistenti  o  ad  eventi  verificatisi,  ma  anche  quelle   che   si
riferiscono a situazioni che sia ragionevolmente  certo  verranno  ad
esistenza, sempre che  siano  altresi'  sufficientemente  precise  da
permettere di prevedere quale sara' il loro possibile  effetto  sulle
condizioni di mercato. Nel caso di specie, la decisione di mettere in
pratica un rimborso anticipato da parte dell'emittente Unipol di  due
prestiti obbligazionari con scadenza nel 2005, rientrava  pienamente,
a parere della Corte d'appello,  nella  definizione  di  informazione
privilegiata di cui all'art.  181  T.U.F.,  essendo  riferita  ad  un
evento  che  avrebbe  potuto  ragionevolmente  verificarsi,   essendo
altresi' idonea ad influenzare il prezzo dei titoli,  e  non  essendo
stata resa pubblica, ne'  essendo  stata  oggetto  di  indiscrezioni,
prima della data del 28 febbraio 2002. 
    2.2. - La Corte d'appello riteneva poi infondata la  censura  con
la  quale  la  Comensoli  aveva  dedotto  l'illegittimo  utilizzo  di
presunzioni da parte della CONSOB. Nello specifico, la Corte riteneva
che - contrariamente a quanto prospettato da parte ricorrente  -  per
l'accertamento del possesso dell'informazione privilegiata  da  parte
della ricorrente e della sua successiva utilizzazione, dovesse  farsi
ricorso  alla  prova  presuntiva,  attesa   la   natura   immateriale
dell'informazione   stessa   e   l'estraneita'    della    ricorrente
all'ambiente  in  cui   si   erano   verificati   i   fatti   oggetto
dell'informazione. In tale  situazione,  a  parere  della  Corte,  la
CONSOB aveva correttamente fatto applicazione delle prove  di  natura
presuntiva, partendo dai fatti noti dell'oggettivita' dell'operazione
economica posta in essere dalla Comensoli, della delibera  Unipol  di
anticipato rimborso decorso un mese dalla operazione citata  e  della
maturazione  di  tale  decisione  nell'ambiente  dirigenziale   della
societa' gia' a partire dal  gennaio  2001,  per  giungere  al  fatto
ignoto  del   possesso   e   dello   sfruttamento   dell'informazione
privilegiata   ad   opera   della   ricorrente,   attesa   anche   la
contestualita' delle operazioni di acquisto di titoli Unipol ad opera
non  solo  della  Comensoli,  ma  anche  di  altri  operatori   tutti
riconducibili all'insider primario, e che, come  la  ricorrente,  per
far fronte all'operazione economica, avevano fatto ricorso  al  mutuo
bancario, data la mancanza della liquidita' necessaria. 
    Ed ancora, la Corte riteneva irrilevante la  questione  sollevata
da  parte  ricorrente   circa   la   necessita'   della   sussistenza
dell'elemento soggettivo del dolo - come espressamente richiesto  per
l'integrazione dell'allora illecito penale  -  anche  per  l'illecito
amministrativo ex art. 187-bis del TUF, risultando accertata la piena
conoscenza  da  parte  della  Comensoli  del  carattere  privilegiato
dell'informazione ricevuta dall'insider primario, della influenza che
avrebbe potuto avere sulle condizioni  di  mercato,  una  volta  resa
pubblica, e, quindi, della necessita' di  sfruttarla  prima  di  tale
momento. 
    2.3. - La Corte d'appello rigettava anche il  motivo  di  ricorso
con il quale la ricorrente aveva contestato, sotto  diversi  profili,
la sanzione  comminatagli.  Innanzitutto,  dichiarava  manifestamente
infondata la questione di legittimita'  costituzionale  sollevata  in
relazione all'art. 187-bis del d.lgs. n. 58 del 1998,  per  contrasto
con i principi di legalita'  e  di  irretroattivita'  della  sanzione
amministrativa di cui agli artt. 3, 13, 23, 25, 42, 97,  101,  111  e
113 Cost., nonche' 11 della legge n. 689 del 1981, constatando che la
depenalizzazione non aveva portato ad un aggravio  della  pena,  come
invece  affermato  dall'opponente,  ma  aveva  invece  portato   alla
applicazione  di  una  disciplina  piu'  favorevole   rispetto   alla
precedente,  atteso  che  la  condotta  dava  luogo  ad  un  illecito
amministrativo e non piu' a un delitto. La sanzione  comminata  dalla
Consob risultava poi congrua, essendo  ragguagliata  a  una  volta  e
mezzo  il  profitto  ricavato  e  comunque   collocata   in   termini
equidistanti tra minimo  e  massimo.  Il  tutto  in  un  contesto  di
assoluta  congruita'  rispetto  alle  caratteristiche   oggettive   e
soggettive della vicenda, con specifico riferimento  alla  intensita'
del dolo. La prospettata questione di legittimita' costituzionale era
poi manifestamente infondata, non essendo state illustrate le ragioni
di contrasto con i parametri  evocati  e  apparendo  comunque  l'art.
187-bis non contrario alla direttiva  CE  2003/6,  sotto  il  profilo
della irragionevole equiparazione della sanzione  amministrativa  tra
insider primario e  insider  secondario,  risultando  tale  identita'
ampiamente compensata dalla tuttora permanente natura  di  reato  che
caratterizza le violazioni informative commesse dal primo. 
    2.4.  -  La  Corte  rigettava  anche  i  motivi  di   opposizione
concernenti l'applicazione, da parte della CONSOB, della confisca per
equivalente,   della   quale    la    Comensoli    aveva    lamentato
l'illegittimita' sia perche' applicata in violazione dei principi  di
legalita' e di irretroattivita' della sanzioni amministrative di  cui
all'art. 1 della legge n. 689 del 1981. La Corte d'appello  rilevava,
innanzitutto, che i principi di legalita' e di irretroattivita'  sono
oggetto di copertura costituzionale soltanto per la  materia  penale,
sicche' il legislatore, quanto all'illecito depenalizzato di abuso di
informazioni privilegiate, ben poteva prevedere  lo  strumento  della
confisca per equivalente anche per i  comportamenti  precedenti  alla
entrata in vigore della legge n. 62 del 2005, non  configurandosi  in
tal modo nessuna violazione della legge n. 689 del 1981, ben  potendo
una  norma  di  pari  rango  costituzionale  successiva  derogare  la
precedente. 
    La Corte bresciana non accoglieva neanche la  doglianza  relativa
all'applicazione della sanzione accessoria, in quanto riteneva che la
Commissione avesse correttamente calcolato il prodotto e il  profitto
dell'illecito, essendo il primo coincidente con la  somma  spesa  per
l'acquisto  delle  obbligazioni  Unipol,  di   indubbia   provenienza
illecita, e  il  secondo  il  guadagno  ottenuto  con  la  successiva
vendita. 
    2.5.  -  La  Corte  d'appello  rigettava  anche  il   motivo   di
opposizione con il quale l'opponente aveva formulato,  sotto  diversi
profili, censure avverso il sequestro di beni disposto a  suo  carico
dalla Consob. In particolare, la Corte rilevava che, contrariamente a
quanto affermato dalla ricorrente, la Consob si  era  espressa  sulla
opposizione al sequestro e che, una volta irrogata la sanzione  della
confisca, immediatamente esecutiva per  legge,  essa  si  sostituisce
automaticamente al sequestro preesistente sui beni, che un  eventuale
dissequestro  non  potrebbe  comunque   sottrarre   al   vincolo   di
indisponibilita' assoluta derivante dalla confisca. 
    2.6. - In conclusione, la  Corte  rigettava  l'opposizione  della
Comensoli, che condannava al pagamento delle spese processuali. 
    3. - Per la cassazione di questa  sentenza  ha  proposto  ricorso
Antonietta Comensoli, affidato a otto motivi. 
    La Consob ha resistito con controricorso. 
    4. - Successivamente al deposito del ricorso,  la  ricorrente  ha
notificato alla controparte, ai sensi dell'art. 372 cod. proc.  civ.,
e ha poi  depositato  presso  la  Cancelleria  di  questa  Corte,  la
sentenza in data 1° giugno 2012, con la quale il GUP del Tribunale di
Bologna ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di Consorte
Giovanni e di Sacchetti Ivano (supposti insiders primari), perche' il
fatto non  sussiste,  in  relazione  alla  imputazione  di  abuso  di
informazioni privilegiate per l'estinzione  anticipata  dei  prestiti
obbligazionari Unipol e l'acquisto di  obbligazioni  delle  emissioni
oggetto di rimborso. 
    5. - In prossimita' dell'udienza del 5 giugno 2015,  entrambe  le
parti hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Con il primo motivo di ricorso Antonietta Comensoli denuncia
violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 5 e 11 della legge  n.
689 del 1981, e dell'art. 187-bis, comma 5,  del  d.lgs.  n.  58  del
1998, cosi' come introdotto dall'art. 9 della legge n. 62 del 2005. 
    La  censura  si  riferisce  al  capo  della  sentenza   impugnata
concernente la reiezione del sesto  motivo  di  opposizione,  con  il
quale aveva sostenuto che la Consob avesse  falsamente  applicato  il
citato art. 11, per non avere tenuto conto e fatto  uso  dei  criteri
oggettivi e soggettivi previsti dalla norma e  segnatamente  per  non
avere tenuto nel minimo conto la sua personalita' e le sue condizioni
economiche, nonche'  la  violazione,  quanto  all'aggravamento  della
sanzione pecuniaria, dell'art. 187-bis, comma 5, nella parte  in  cui
impone di tenere presenti le qualita' personali del colpevole  ovvero
per l'entita' del prodotto o del profitto  conseguito  dall'illecito.
In particolare, ella aveva dedotto che la  Consob  non  aveva  tenuto
conto, ai fini della valutazione della gravita' della sanzione, della
sola condotta individuale a lei addebitabile, avendo invece proceduto
ad una  accorpata,  confusa  e  indistinta  unica  valutazione  delle
condotte anche di altri insiders, anche ai fini della  determinazione
dei supposti rilevanti incrementi che i due titoli  Unipol  avrebbero
subito nel primo semestre del 2002. 
    La  Corte  d'appello,  assume   la   ricorrente,   nel   ritenere
giustificato l'operato della Consob, sarebbe incorsa nelle denunciate
violazioni di legge, in quanto ha imputato  a  ciascun  incolpato  la
complessiva  operazione  di  acquisto   delle   obbligazioni,   cosi'
prescindendo dal piano  individuale  di  valutazione  della  gravita'
della condotta e dell'elemento soggettivo, apprezzando  una  gravita'
complessiva della condotta in spregio al principio della personalita'
della  responsabilita'   e   della   rilevanza   della   personalita'
dell'agente  e  delle  sue  condizioni  economiche  ai   fini   della
determinazione della sanzione. 
    1.1. - A conclusione del motivo la ricorrente formula i  seguenti
quesiti  di  diritto:  «Dica  la  Suprema  Corte   se   -   ai   fini
dell'accertamento della condotta illecita del singolo  soggetto  che,
individualmente o in concorso con altri, abbia  commesso  l'abuso  di
informazioni privilegiate di cui all'art.  187-bis  del  testo  unico
della  finanza  -  occorre  avere  riguardo   alla   gravita'   della
violazione,  all'opera  svolta  dall'agente  per   l'eliminazione   o
attenuazione  delle  conseguenze  della  violazione,   nonche'   alla
personalita' dello stesso e alle sue condizioni economiche, senza che
sia possibile avere riguardo anche alla personalita' dei concorrenti,
nonche' agli effetti complessivi della condotta di questi  ultimi  ed
al profitto complessivamente conseguito  dall'illecito  da  parte  di
tutti i concorrenti. Dica altresi'  la  Suprema  Corte  se,  ai  fini
dell'aggravamento della sanzione pecuniaria di cui all'art.  187-bis,
comma 5, del testo unico della finanza -  occorra  avere  riferimento
esclusivamente alle qualita' personali del colpevole, all'entita' del
prodotto o del profitto da lui conseguito  dall'illecito,  senza  che
sia possibile avere riguardo agli effetti complessivi della  condotta
dei  concorrenti   ed   al   profitto   complessivamente   conseguito
dall'illecito da parte di tutti i concorrenti». 
    2. - Con il secondo motivo la  Comensoli  denuncia  violazione  e
falsa applicazione dell'art. 187-bis del d.lgs. n. 58  del  1998,  in
relazione agli artt. 3, 5 e 12 della legge n. 689 del  1981,  nonche'
omessa e contraddittoria motivazione. La censura  si  riferisce  alla
dichiarata  sussistenza,  da  parte  della  Corte  d'appello,  di  un
concorso di persone nel medesimo illecito, pur se nella ricostruzione
della  vicenda  la  stessa  Corte  ha  rilevato   che   le   condotte
significative erano  state  poste  in  essere  prevalentemente  dalla
Comensoli (assistente di Gnutti). In sostanza, la Corte d'appello  si
sarebbe limitata a indagare in ordine alla unitarieta'  del  contesto
temporale e spaziale nel quale maturarono gli eventi, desumendone  la
sostanziale riferibilita' della  condotta  ad  un  unico  agente,  ma
imputando l'illecito a piu' persone in asserito concorso tra loro. 
    2.1. - Il motivo si conclude con  la  formulazione  del  seguente
quesito di diritto: «Dica  la  Suprema  Corte  se  l'imputazione  del
medesimo illecito amministrativo a piu' persone in concorso tra  loro
postula  l'accertamento  delle  singole   condotte   (commissive   od
omissive, coscienti e volontarie, dolose o  colpose),  ascrivibili  a
ciascuno  dei  concorrenti,  che   hanno   cooperato   a   realizzare
l'illecito». 
    Quanto al denunciato vizio di motivazione, la ricorrente  precisa
che il fatto controverso in relazione  al  quale  si  assume  che  la
motivazione   sia   omessa   o   contraddittoria   e'   rappresentato
dall'esistenza del concorso, da parte della ricorrente, nell'illecito
a lei imputato. 
    3. -  Con  il  terzo  motivo  di  ricorso  la  ricorrente  deduce
violazione e falsa applicazione  degli  artt.  117  e  97  Cost.  con
riguardo alla  direttiva  2003/6/CE  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio; solleva altresi' questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 187-bis del d.lgs. n. 58 del  1998,  per  violazione  degli
artt. 117 e 97 Cost.,  in  relazione  alla  direttiva  2003/6/CE  del
Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,  con  relativa   istanza   di
rimessione della questione alla Corte  costituzionale  ex  artt.  134
Cost. e 23 della  legge  n.  87  del  1953,  nonche'  contraddittoria
motivazione sul punto. 
    La ricorrente si duole del fatto che  la  Corte  d'appello  abbia
ritenuto "congrua e adeguata" la  misura  della  sanzione  pecuniaria
comminata  dalla  Consob  in  suo  danno,  sostenendo,   invece,   la
violazione dei principi del diritto comunitario,  vincolanti  per  il
giudice nazionale ex art. 117, primo comma, Cost. In particolare,  la
ricorrente rileva che nel mentre la citata direttiva prescrive che le
sanzioni siano sufficientemente dissuasive e che a tal  fine  debbano
essere proporzionate alla gravita'  della  violazione  e  agli  utili
realizzati e applicate coerentemente (considerando  n.  38)  e  tiene
distinte le ipotesi  in  cui  la  provenienza  dell'informazione  sia
legata a una professione o a una funzione e quella in  cui  la  fonte
sia connessa allo svolgimento di attivita' criminali (considerando n.
17) ovvero ancora l'ipotesi in cui l'abuso delle  informazioni  venga
effettuato sapendo o dovendo sapere del loro  carattere  privilegiato
(considerando  n.  18),  il  legislatore  nazionale   ha   accomunato
nell'unico  trattamento  sanzionatorio  piu'  condotte  di  abuso  di
informazioni privilegiate diverse tra loro. 
    L'art.  187-bis,  rileva  la  ricorrente,  prevede  la   medesima
sanzione edittale per l'insider trader  primario,  per  l'insider  in
grado di operare a seguito di attivita' delittuose, per  gli  insider
trader secondari che agiscono  con  la  consapevolezza  della  natura
privilegiata della informazione della  quale  dispongono  e  per  gli
insider trader secondari che agiscono con colpa, potendo conoscere in
base  all'ordinaria  diligenza  il   carattere   privilegiato   della
informazione.  Inoltre,  a  tutte  le  categorie  considerate   viene
applicato lo stesso regime di aggravamento della sanzione (comma  5);
con  la  precisazione  che  i  criteri   delle   qualita'   personali
dell'agente  ovvero  dell'entita'  del  prodotto   o   del   profitto
conseguito dall'illecito sono dalla legge nazionale considerati  solo
ai fini  dell'aggravamento  della  sanzione  ma  non  ai  fini  della
determinazione della sanzione. 
    La  ricorrente  sostiene  quindi  che  la  Corte  d'appello,  nel
ritenere congrua la sanzione comminata a un  insider  secondario,  la
cui colpevolezza era stata desunta sulla base di un  ragionamento  di
tipo presuntivo, avrebbe violato i principi di proporzionalita' posti
dalla direttiva comunitaria. La medesima Corte d'appello,  ad  avviso
della ricorrente, avrebbe poi violato  anche  l'art.  117  Cost.  nel
ritenere  manifestamente  infondata  la  prospettata   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  187-bis  in   relazione   ai
principi posti dalla direttiva comunitaria.  La  ricorrente  sostiene
poi che la Corte d'appello non avrebbe  considerato  che,  mentre  la
direttiva comunitaria prescrive che si  tenga  conto  della  gravita'
della violazione e degli utili realizzati, la disciplina interna  non
si  uniforma  affatto  a  tale  indicazione,  essendo   previsto   un
riferimento alla qualita' personali dell'incolpato o all'entita'  del
profitto o del prodotto dell'illecito sono nel quinto comma,  e  cio'
solo in sede di previsione della possibilita' di  aggravamento  della
sanzione edittale. 
    La ricorrente si duole altresi' del fatto che la Corte  d'appello
abbia  ritenuto  congrua  la  sanzione  applicata  ed  evidenzia   in
proposito la contraddittorieta' della  motivazione,  nella  quale  si
desume la congruita' della  sanzione  dal  fatto  che  la  stessa  e'
comunque collocata in termini  sostanzialmente  equidistanti  fra  il
minimo e il massimo edittali. Si tratta, ad avviso della  ricorrente,
di un ragionamento inaccettabile, sol che si consideri che, mentre la
normativa comunitaria riferisce la  proporzionalita'  della  sanzione
all'utile realizzato, la Corte d'appello ha individuato  la  gravita'
con  riferimento  ai  limiti   edittali   liberamente   fissati   dal
legislatore interno. 
    3.1. - A conclusione del motivo la ricorrente formula i  seguenti
quesiti di diritto: «Dica la Suprema Corte se la sanzione  pecuniaria
pari al doppio del profitto conseguito, applicata, ai sensi dell'art.
187-bis del testo unico della finanza, all'insider cd. secondario, la
cui colpevolezza e' desunta soltanto da elementi di prova  presuntivi
e  senza   precedenti   specifici,   sia   da   ritenersi   efficace,
proporzionata, dissuasiva e coerentemente applicata, alla stregua dei
principi  contenuti  nella  Direttiva  2003/6/CE.  Dica  altresi'  la
Suprema Corte se sia rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 187-bis  TUF,  per
violazione degli artt. 117 e 97 Cost., in  relazione  al  recepimento
dei principi di efficacia, proporzionalita', dissuasivita' e coerente
applicazione di cui alla Direttiva 2003/6/CE». 
    In relazione al denunciato vizio di  motivazione,  la  ricorrente
deduce, ai  sensi  dell'art.  366-bis  cod.  proc.  civ.  (nel  testo
applicabile ratione temporis) che «il fatto controverso in  relazione
al  quale  la  motivazione  del  provvedimento  impugnato  si  assume
contraddittoria e'  rappresentato  dall'efficacia,  proporzionalita',
dissuasivita' e coerente applicazione della sanzione pari  al  doppio
del profitto asseritamente conseguito dall'insider cd. secondario, la
cui colpevolezza sia stata accertata  esclusivamente  sulla  base  di
elementi di prova presuntivi e senza precedenti a suo carico». 
    4. - Con il quarto motivo  la  ricorrente  lamenta  violazione  e
falsa applicazione dell'art. 187-sexies, comma 2, del  d.lgs.  n.  58
del 1998, per avere la Corte d'appello  disatteso  il  principio  del
tempus regit  actum,  avendo  applicato  retroattivamente  l'istituto
della confisca per equivalente - di cui all'art. 9,  comma  6,  della
legge n. 62 del 2005 -, vale a dire una normativa meno favorevole per
l'autore della condotta rispetto a quella vigente  al  momento  della
commissione del fatto. 
    4.1. - A conclusione del motivo la ricorrente formula il seguente
quesito di  diritto:  «Dica  la  Suprema  Corte  se,  in  materia  di
depenalizzazione, la norma di cui al comma 2 dell'art. 187-sexies del
d.lgs. n. 58/98, entrata in vigore successivamente  alla  commissione
dell'illecito, trova applicazione anche  se  introduce  una  sanzione
nuova  (confisca  per  equivalente)  piu'  sfavorevole  per  l'autore
dell'illecito rispetto  alla  confisca  ordinaria,  prevista  per  la
medesima condotta dalla normativa penale previgente, e se quindi,  ai
fini del giudizio sulla individuazione della  norma  piu'  favorevole
per l'autore dell'illecito, debba essere effettuata  la  comparazione
con riferimento alle sanzioni  accessorie,  come  disciplinate  dalla
norma abrogata di cui all'art. 180, comma 5, del d.lgs.  n.  58/98  e
dalla norma di depenalizzazione di cui all'art. 187-sexies, commi 1 e
2, del medesimo decreto  legislativo;  e  se  deve  comunque  trovare
applicazione il principio di cui all'art. 2 del c.p.». 
    5. - Con il quinto motivo la Comensoli deduce violazione e  falsa
applicazione dell'art. 187-sexies, comma 2, del d.lgs. n. 58 del 1998
e dell'art. 9, comma  6,  della  legge  n.  62  del  2005,  anche  in
relazione agli artt. 3 e 25 Cost.; solleva questione di  legittimita'
costituzionale del combinato disposto dell'art. 187-sexies, comma  2,
del d.lgs. n. 58 del 1998 e dell'art. 9, comma 6, della legge  n.  62
del 2005, in relazione agli artt. 3 e 25 Cost. e all'art. 117  Cost.,
per violazione dell'art.  7  della  CEDU,  con  relativa  istanza  di
rimessione alla Corte costituzionale ex artt. 134 Cost.  e  23  della
legge n. 87 del 1953. 
    La ricorrente si duole del fatto che  la  Corte  d'appello  abbia
erroneamente  ricondotto   la   confisca   applicata   dalla   Consob
nell'ambito delle sanzioni amministrative, in luogo di quelle penali,
atteso il suo carattere punitivo e  sanzionatorio.  Ad  avviso  della
ricorrente, infatti, la confisca per  equivalente  mancherebbe  della
finalita' di prevenzione tipica delle misure  di  sicurezza,  essendo
diretta a privare il  sanzionato  di  qualsiasi  beneficio  economico
derivante  dal  comportamento  criminoso,   aggredendo   anche   beni
manchevoli del carattere della pericolosita' e della  pertinenza  con
l'illecito stesso. A sostegno di tale assunto richiama una  pronuncia
della Corte costituzionale del 2009 e numerose pronunce delle sezioni
penali di questa Corte, anche a Sezioni  Unite,  concludendo  per  la
violazione dell'art. 7 CEDU. 
    5.1. - A conclusione del motivo la ricorrente formula i  seguenti
quesiti di diritto:  «Dica  la  Suprema  Corte  se  la  confisca  per
equivalente prevista dall'art. 187-sexies, comma 2, del  testo  unico
della    finanza    abbia    natura    penalistica     e     funzione
repressivo-punitiva.  Dica  altresi'  la   Suprema   Corte   se,   in
conseguenza della  natura  di  sanzione  penale  della  confisca  per
equivalente, quest'ultima - ai sensi dell'art. 25, comma 2, Cost. e/o
dell'art. 2 del codice penale (espressamente richiamato dall'art.  9,
comma 6,  della  legge  n.  62/2005)  -  debba  trovare  applicazione
soltanto per gli illeciti  commessi  successivamente  all'entrata  in
vigore della norma che la prevede. Dica infine la  Suprema  Corte  se
sia  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la  questione   di
illegittimita' costituzionale - per violazione degli artt. 25,  comma
2, e 117, comma 1, Cost., in conseguenza della violazione dell'art. 7
della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) - dell'art. 9,
comma 6, della legge n. 62 del 2005, se interpretato  nel  senso  che
tutte le disposizioni previste dalla parte V, titolo I-bis, del testo
unico della finanza (e, pertanto, anche la confisca  per  equivalente
di cui all'art. 187-sexies, comma 2, d.lgs. n. 58/98)  si  applichino
anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata  in
vigore della stessa legge n. 62/2005». 
    6. - Con il sesto motivo la ricorrente deduce violazione e  falsa
applicazione dell'art. 1 della  legge  n.  689  del  1981,  anche  in
relazione agli artt. 3 e 25  Cost.;  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 187-sexies, comma 2, del d.lgs. n. 58 del 1998 e  dell'art.
9, comma 6, della legge n. 62 del 2005, per  violazione  dell'art.  3
Cost. e dei principi di ragionevolezza, legalita' e  irretroattivita'
delle sanzioni amministrative ex art. 1 della legge n. 689 del  1981,
con relativa istanza di rimessione alla Corte costituzionale ex artt.
134 Cost. e 23 della legge n. 87 del 1953. 
    La  censura  si  riferisce  al  capo  della  sentenza   impugnata
concernente   l'applicazione   retroattiva   della    confisca    per
equivalente, e cio' sul presupposto della  natura  amministrativa  di
tale tipo di confisca. In proposito, la ricorrente evidenzia come  la
valutazione del legislatore  circa  l'applicabilita'  retroattiva  di
sanzioni  amministrative  e'  soggetta  a  sindacato  particolarmente
penetrante atteso che una legge  di  carattere  generale  stabilisce,
anche per tali sanzioni, il generale principio  di  irretroattivita'.
In  particolare,   il   potere   del   legislatore,   nel   caso   di
depenalizzazione di condotte trasformate in illecito  amministrativo,
incontra il limite del principio di continuita'  tra  i  due  sistemi
normativi succedutisi nel tempo, sia con  riferimento  alle  condotte
sanzionate, sia con  riferimento  alla  identita'  delle  fattispecie
sanzionabili e delle sanzioni per le stesse comminate. In tali  casi,
assume  la  ricorrente,  e'  dunque  fondamentale  il  riscontro,  in
concreto, della sovrapponibilita'  di  disciplina  tra  i  differenti
trattamenti  normativi  succedutisi  nel   tempo,   con   particolare
riferimento alla tipologia delle sanzioni  rispettivamente  previste,
essendo comunque il legislatore tenuto al rispetto del  limite  della
ragionevolezza. E, nella specie, osserva la ricorrente,  non  sarebbe
riscontrabile  alcuna  continuita'  quanto  alla   previsione   della
sanzione accessoria della  confisca,  connotandosi  la  misura  della
confisca  per  equivalente  in  termini  del  tutto   differenti,   e
maggiormente afflittivi, rispetto alla confisca  ordinaria,  che  era
prevista allorquando la condotta di insider trading  era  qualificata
come illecito penale e che continua ad  essere  applicabile  anche  a
seguito della depenalizzazione. In sostanza, osserva la ricorrente,la
sanzione  accessoria  della  confisca  per   equivalente   viene   ad
aggiungersi ad un apparato sanzionatorio,  introducendo  un  elemento
afflittivo imprevedibile al momento della commissione del fatto,  poi
depenalizzato. L'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del  2005,  nella
parte  in  cui  rende  applicabile  la   confisca   per   equivalente
retroattivamente, sarebbe quindi irragionevole  e  costituzionalmente
illegittimo, per violazione degli artt. 25, secondo comma, Cost. e  1
della legge n. 689 del 1981; violerebbe altresi' l'art. 3 Cost.,  per
la disparita' di trattamento riservata a soggetti che si  trovano  in
situazione identica, ma il cui  illecito  sia  stato  definitivamente
accertato prima o dopo l'intervenuta depenalizzazione. 
    6.1. - A conclusione del motivo la ricorrente propone i  seguenti
quesiti di diritto: «Dica la Suprema Corte se la deroga al  principio
di irretroattivita' della sanzione amministrativa di cui  all'art.  1
della legge n. 689 del 1981 e' legittima  e  non  viola  il  suddetto
principio di irretroattivita', quando sia verificabile, in  concreto,
la sostanziale identita' in parte qua fra le  leggi  succedutesi  nel
tempo in ordine all'identita' sia delle fattispecie applicabili,  sia
delle  sanzioni  comminate  per  la  loro  violazione,   e   se,   in
particolare,  sia  ravvisabile   tale   identicita'   di   disciplina
sanzionatoria tra i due differenti sistemi normativi succedutesi  nel
tempo all'interno  del  testo  unico  della  finanza,  posto  che  in
relazione alla condotta dell'insider secondario, la nuova  disciplina
introdotta dall'art. 187-bis  del  citato  testo  unico  prevede  una
sanzione del  tutto  nuova  (la  confisca  per  equivalente,  laddove
ritenuta  retroattivamente  applicabile)  senza  che  essa  abbia  la
funzione   di   coprire   "vuoti    punitivi"    discendenti    dalla
depenalizzazione. Dica altresi' la Suprema Corte se sia  rilevante  e
non  manifestamente  infondata   la   questione   di   illegittimita'
costituzionale del combinato disposto dell'art. 187-sexies, comma  2,
del TUF e dell'art. 9, comma 6, legge n.  62/05,  per  contrasto  con
l'art. 25 della Costituzione, se interpretato nel senso che tutte  le
disposizioni previste dalla parte V, titolo I-bis,  del  testo  unico
della finanza (e, pertanto, anche la confisca per equivalente di  cui
all'art. 187-sexies, comma 2) si  applichino  anche  alle  violazioni
commesse anteriormente alla data di entrata in  vigore  della  stessa
legge  n.  62/2005;  nonche'  per  contrasto  con  l'art.   3   della
Costituzione, stante l'irragionevolezza della scelta del  legislatore
di applicare in via retroattiva una sanzione (accessoria, nel caso di
specie) nuova (quanto a tipologia) ed estranea al previgente sistema,
e quindi non prevedibile (al tempus commissi  delicti)  dai  presunti
colpevoli». 
    7. - Con il settimo motivo la  ricorrente  lamenta  violazione  e
falsa applicazione degli artt. 187-bis, comma 5, e 187-sexies,  comma
2, del d.lgs. n. 58 del 1998, anche in relazione ai principi  sanciti
nella direttiva 2003/6/CE del Parlamento  europeo  e  del  Consiglio;
solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 187-sexies
del d.lgs. n. 58 del 1998, anche in  combinato  disposto  con  l'art.
187-bis TUF, per violazione dell'art.  117  Cost.,  stante  la  falsa
applicazione  della  direttiva  citata,  con  relativa   istanza   di
rimessione alla Corte costituzionale ex artt. 134 Cost.  e  23  della
legge n. 87 del 1953. 
    Le censure si riferiscono alla parte della sentenza impugnata che
ritiene  congrua  la   sanzione   accessoria   della   confisca   per
equivalente, che invece  parte  ricorrente  considera  inadeguata  in
quanto contrastante con  il  principio  di  proporzionalita'  tra  la
sanzione  principale  e  quella  accessoria,  tanto  piu'  che  dalla
normativa vigente non si desume in  alcun  modo  che  il  legislatore
abbia inteso  disancorare  l'entita'  della  sanzione  accessoria  da
quella della sanzione principale. 
    7.1. - A conclusione del motivo la ricorrente formula i  seguenti
quesiti di diritto: «Dica la Suprema Corte se la sanzione  accessoria
della confisca per equivalente, di cui all'art. 187-sexies, comma  2,
del testo unico  della  finanza  (TUF),  debba  essere  applicata  in
concreto  secondo   un   principio   di   proporzionalita'   rispetto
all'ammontare  della  sanzione  principale   determinata   ai   sensi
dell'art. 187-bis, comma 5, del medesimo testo unico.  Dica  altresi'
la Suprema Corte se sia rilevante e non manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli
artt. 187-bis, comma 5, e 187-sexies, comma 2, del testo unico  della
finanza, per contrasto con l'art. 117 Cost. in relazione  alla  falsa
applicazione della direttiva 2003/6/CE, nella parte in cui consentono
che  la  misura  della  sanzione  accessoria   della   confisca   per
equivalente sia determinata, avuto riguardo anche al valore dei  beni
usati per commettere l'illecito, a prescindere  dall'ammontare  della
sanzione pecuniaria principale». 
    8. -  Con  l'ottavo  motivo  di  ricorso  la  Comensoli  denuncia
violazione e falsa applicazione dell'art. 187-bis del  d.lgs.  n.  58
del 1998, anche in combinato disposto con l'art. 187-sexies, comma 2,
TUF,  in  relazione  all'art.  14  della  Direttiva   2003/6/CE   del
Parlamento europeo e del Consiglio; solleva questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998,  anche
in combinato disposto con l'art. 187-bis TUF,  per  violazione  degli
artt. 117, 3 e 97 Cost., in relazione alla falsa  applicazione  della
Direttiva 2003/6/CE del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,  con
relativa istanza di rimessione alla Corte costituzionale ex artt. 134
Cost. e 23 della legge n. 87 del 1953. 
    Le  censure  attengono  ancora  alla  sanzione  accessoria  della
confisca per equivalente, in riferimento  alla  quale  la  ricorrente
ritiene che  erroneamente  la  Corte  d'appello  ne  abbia  affermato
l'operativita' su un piano autonomo  e  differente  da  quello  della
sanzione principale. Per effetto di  tale  interpretazione  la  Corte
d'appello ha ritenuto legittima la sanzione accessoria della confisca
di beni per un valore di  6.592.665,00  euro,  pari  a  15  volte  il
profitto conseguito con l'illecito sanzionato. 
    8.1. - A conclusione del motivo la ricorrente formula i  seguenti
quesiti  di  diritto:  «Dica  la  Suprema  Corte  se,  in   sede   di
determinazione della sanzione dell'illecito di abuso di  informazioni
privilegiate, di cui all'art. 187-bis del testo unico della  finanza,
l'autorita'  irrogante  deve  attenersi  -  alla  stregua  di  quanto
disposto dall'art. 14 della Direttiva 2003/6/CE - anche  al  rispetto
del  criterio  della  proporzionalita'  delle  sanzioni  in  concreto
applicate, e se queste ultime devono  intendersi  come  il  complesso
delle  penalita'  amministrative  irrogate  all'insider  trader,  ivi
compresa la misura della confisca per equivalente.  Dica  la  Suprema
Corte se sia rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  187-sexies  del  d.lgs.   24
febbraio 1998, n. 58, come inserito dall'art. 9 della legge 18 aprile
2005 n. 62 (legge comunitaria del 2004), anche in combinato  disposto
con l'art. 187-bis della stessa legge,  per  violazione  degli  artt.
117, 3 e 97 Cost., anche in relazione al recepimento della  Direttiva
2003/6/CE  del  28  gennaio  2003  del  Parlamento  europeo   e   del
Consiglio». 
    9. - Occorre preliminarmente esaminare  la  questione  introdotta
dalla ricorrente con il deposito, ai sensi dell'art. 372  cod.  proc.
civ., della sentenza con la quale il GUP del Tribunale di Bologna  ha
dichiarato non luogo a procedere nei confronti di Consorte Giovanni e
di Sacchetti Ivano in ordine al reato loro ascritto, perche' il fatto
non sussiste. 
    La ricorrente rileva che agli imputati erano stati  contestati  i
reati di cui agli artt. 110, 81 cpv cod. pen., 180,  comma  1,  lett.
a), d.lgs. n. 58 del 1998 (attualmente dagli artt. 100, 81 cod.  pen.
e 184, lett. a, del TUF) perche', in concorso tra  loro  e  con  piu'
azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, essendo, in  ragione
delle rispettive qualita' (il Consorte, presidente  e  amministratore
delegato di Unipol s.p.a. e di Finsoe s.p.a., principale azionista di
Unipol; il Sacchetti, vice presidente e amministratore delegato della
Unipol s.p.a. e della Finsoe s.p.a.),  in  possesso  di  informazioni
privilegiate relativamente  all'estinzione  anticipata  dei  prestiti
obbligazionari Unipol 2000-2005 2,25% e del prestito 2000-2005 3,75%,
e avvalendosi di tali informazioni, di cui il pubblico non disponeva,
acquistavano al M.O.T. di  Milano,  per  conto  di  Unipol  in  tempi
diversi e  per  il  tramite  dell'intermediario  finale  Cofimo  sim,
obbligazioni delle suddette emissioni per un controvalore complessivo
pari a euro 48.001.324,57. 
    La ricorrente sostiene, quindi, che  l'avvenuta  assoluzione  dei
due imputati perche' il fatto non  sussiste  comporterebbe  il  venir
meno dell'elemento costitutivo della fattispecie,  consistente  nella
informazione privilegiata  e,  poiche'  l'informazione  in  questione
sarebbe la stessa oggetto di contestazione nel  presente  giudizio  a
titolo di illecito  amministrativo,  ritiene  che,  per  effetto  del
principio dell'efficacia riflessa del giudicato, dovrebbe  pervenirsi
alla   cassazione   del   decreto   impugnato    per    insussistenza
dell'illecito. 
    9.1. - L'assunto della ricorrente non puo' essere  condiviso  per
diverse ragioni. 
    In primo luogo osta alla configurabilita'  stessa  dell'efficacia
riflessa della sentenza emessa in un giudizio penale, la disposizione
di cui all'art. 187-duodecies del d.lgs. n. 58 del 1998, a norma  del
quale  «il  procedimento  amministrativo   di   accertamento   e   il
procedimento di  opposizione  di  cui  all'articolo  187-septies  non
possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente
ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento  dipende  la
relativa definizione». Premesso che non rilevano,  nella  specie,  le
problematiche concernenti la possibilita' della applicazione  di  una
doppia sanzione - amministrativa e penale - per il medesimo  fatto  a
carico del medesimo soggetto (questione della quale questa  Corte  ha
investito la Corte costituzionale: Cass. n. 950 del 2015; Cass.  pen.
n. 1782 del 2015), la richiamata disposizione stabilisce un regime di
assoluta   autonomia   tra   procedimento   penale   e   procedimento
sanzionatorio amministrativo, sicche' risulta esclusa la possibilita'
stessa di far  valere  nel  procedimento  amministrativo  l'efficacia
della pronuncia adottata in sede penale; senza dire che, nel caso  di
specie, non ricorre neanche una situazione di opponibilita' a  Consob
della pronuncia adottata in sede penale in considerazione  del  fatto
che Consob non risulta essere stata parte di quel procedimento. 
    Osta,  inoltre,  alla  esplicazione  di  qualsivoglia   efficacia
dell'invocato giudicato nel  presente  giudizio  il  rilievo  che  le
condotte contestate in sede penale,  lungi  dall'essere  identiche  a
quelle oggetto della contestazione della  Consob,  sono  diverse,  in
ragione  delle  qualita'  soggettive  rivestite  dagli  imputati  nel
processo penale e dalla ricorrente nel presente giudizio. 
    Infine, la sussistenza dell'illecito deve, nel presente giudizio,
ritenersi coperta dal  giudicato.  Invero,  nessuno  dei  motivi  del
ricorso contesta l'accertamento in fatto svolto dalla Corte d'appello
e la conclusione alla  quale  essa  e'  pervenuta,  circa  la  natura
privilegiata delle informazioni utilizzate. La ricorrente, invero, ha
posto in discussione esclusivamente i profili  attinenti  all'aspetto
sanzionatorio,   dubitando   della   legittimita'   delle    sanzioni
comminategli, sia di quella pecuniaria che di quella accessoria. Cio'
e' senz'altro chiaro con riguardo al primo motivo, con  il  quale  e'
stata  posta  in  discussione  la   determinazione   della   sanzione
pecuniaria, censurandosi la mancata applicazione dei criteri previsti
dalla legge per la graduazione della sanzione. 
    Ma non meno chiara e' la inidoneita' del secondo motivo  a  porre
in discussione  l'accertamento  compiuto  dalla  Corte  d'appello  in
ordine alla sussistenza dell'illecito in capo all'odierna ricorrente.
La censura, infatti, attiene  alla  modalita'  di  valutazione  della
condotta, essendosi sostenuto che la Corte d'appello  avrebbe  errato
nel ritenere l'esistenza del concorso  nell'illecito,  in  quanto  ha
valorizzato elementi che inducevano  ad  affermare  la  riferibilita'
della condotta ad un solo soggetto; ma non viene,  neanche  con  tale
motivo, censurato  l'accertamento  della  Corte  d'appello  circa  la
natura privilegiata della informazione. 
    E' quindi preclusa nel presente giudizio la  possibilita'  stessa
di escludere, per l'efficacia riflessa  dell'invocato  giudicato,  la
sussistenza  dell'illecito   sanzionato.   Gli   unici   profili   in
discussione  sono  quelli  relativi  al  trattamento   sanzionatorio,
all'esame dei quali puo' ora procedersi. 
    10. - L'esame dei motivi proposti dalla ricorrente  richiede  che
si prendano in esame i dubbi  di  legittimita'  costituzionale  dalla
stessa prospettati sia  con  riferimento  alla  individuazione  della
sanzione amministrativa pecuniaria e alle modalita' con le  quali  il
legislatore ha delineato l'apparato sanzionatorio per le  fattispecie
considerate, sia con riguardo alla sanzione accessoria della confisca
per equivalente. 
    10.1. - Sotto il primo profilo, vengono in rilievo  le  questioni
prospettate dalla ricorrente nel terzo motivo di ricorso. In sintesi,
la  ricorrente  sostiene  che  il  sistema  sanzionatorio   delineato
dall'art. 187-bis del d.lgs. n. 58 del 1998,  come  introdotto  dalla
legge n. 62 del 2005, si porrebbe in contrasto  con  alcuni  principi
contenuti nella direttiva in quanto accomuna in un unico  trattamento
sanzionatorio fattispecie  diverse  di  insider  trading,  cosi'  non
adeguandosi ai  principi  di  proporzionalita'  della  sanzione  alla
gravita' della violazione e agli utili realizzati, di dissuasivita' e
di applicazione coerente delle sanzioni stesse, che sarebbero  invece
imposti dalla normativa comunitaria  di  cui  la  vigente  disciplina
costituisce attuazione. 
    10.1.1. - L'art. 187-bis del d.lgs. n. 58 del 1998 prevede quanto
segue: «1. Salve le  sanzioni  penali  quando  il  fatto  costituisce
reato, e' punito con la sanzione amministrativa  pecuniaria  da  euro
centomila a euro quindici milioni chiunque, essendo  in  possesso  di
informazioni privilegiate in ragione della sua qualita' di membro  di
organi di  amministrazione,  direzione  o  controllo  dell'emittente,
della   partecipazione    al    capitale    dell'emittente,    ovvero
dell'esercizio di un'attivita' lavorativa, di una  professione  o  di
una funzione, anche pubblica, o di un ufficio: a) acquista,  vende  o
compie altre operazioni, direttamente  o  indirettamente,  per  conto
proprio o per conto di terzi su strumenti finanziari  utilizzando  le
informazioni medesime; b) comunica informazioni ad altri, al di fuori
del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o
dell'ufficio; c) raccomanda o induce altri, sulla base  di  esse,  al
compimento di taluna delle operazioni indicate nella lettera  a).  2.
La stessa sanzione di cui al comma 1 si applica a chiunque essendo in
possesso di informazioni privilegiate a motivo della  preparazione  o
esecuzione di attivita' delittuose compie taluna delle azioni di  cui
al medesimo comma 1. 3. Ai fini del presente articolo  per  strumenti
finanziari  si  intendono  anche  gli  strumenti  finanziari  di  cui
all'articolo 1, comma 2, il  cui  valore  dipende  da  uno  strumento
finanziario di cui all'articolo 180,  comma  1,  lettera  a).  4.  La
sanzione prevista al comma 1 si applica anche a chiunque, in possesso
di informazioni privilegiate, conoscendo o potendo conoscere in  base
ad ordinaria diligenza il carattere privilegiato delle stesse, compie
taluno  dei  fatti  ivi  descritti.  5.  Le  sanzioni  amministrative
pecuniarie previste dai commi 1, 2 e 4 sono aumentate fino al  triplo
o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o  il  profitto
conseguito  dall'illecito  quando,  per  le  qualita'  personali  del
colpevole ovvero per l'entita' del prodotto o del profitto conseguito
dall'illecito,  esse  appaiono  inadeguate  anche  se  applicate  nel
massimo. 6. Per le fattispecie  previste  dal  presente  articolo  il
tentativo e' equiparato alla consumazione». 
    10.1.2. - Il Collegio  ritiene  che  i  dubbi  prospettati  dalla
ricorrente siano manifestamente infondati. 
    E' ben vero che la formulazione legislativa presta il  fianco  al
rilievo che la determinazione della sanzione e' rimessa all'autorita'
amministrativa, mentre dalla  direttiva  comunitaria  invocata  dalla
ricorrente  e  della  quale  la  disciplina  richiamata   costituisce
attuazione si desume che  e'  il  legislatore  -  destinatario  della
direttiva - a dover prevedere sanzioni che siano  proporzionate  alla
gravita'  della  fattispecie,  sicche'  la  scelta  del   legislatore
nazionale di prevedere la medesima sanzione  per  una  pluralita'  di
illeciti che indubbiamente hanno diversi livelli di gravita' potrebbe
apparire espressione di una tecnica legislativa idonea ad  ingenerare
i prospettati dubbi. 
    Peraltro, premesso che la scelta  del  trattamento  sanzionatorio
degli  illeciti,  anche   di   quelli   amministrativi,   costituisce
espressione di discrezionalita' del legislatore, sindacabile in  sede
di legittimita' costituzionale solo nel caso in cui la scelta risulti
manifestamente irragionevole o arbitraria, e' tuttavia vero che  cio'
che il legislatore intende sanzionare e'  l'abuso  di  una  posizione
privilegiata. Rispetto a tale finalita' perseguita  dal  legislatore,
le  modalita'  di  acquisizione  dell'informazione  contribuiscono  a
delineare  il  fatto  in  termini  di  maggiore  o  minore  gravita',
apprezzabile in sede di valutazione della condotta  illecita  che  in
concreto viene posta in essere, e cio' puo'  giustificare  l'adozione
di una tecnica legislativa che rimette all'autorita'  regolatrice  la
individuazione della sanzione pecuniaria amministrativa piu' adeguata
alle specificita' del caso. 
    D'altra parte,  non  puo'  neanche  ritenersi  che  la  soluzione
apprestata si  ponga,  cosi'  come  sostenuto  dalla  ricorrente,  in
contrasto con la normativa comunitaria,  atteso  che  le  indicazioni
della  direttiva  non  risultano  a  tal  punto  stringenti  da   non
consentire che la scelta della sanzione da applicare per  le  singole
fattispecie di illecito sanzionate avvenga nell'ambito di una forbice
ampia, idonea a consentire di graduare la sanzione in relazione  alla
gravita'  dell'illecito.  Ed  e'  vero   altresi'   che   la   scelta
dell'autorita' amministrativa nella determinazione della sanzione  e'
soggetta al controllo da parte dell'autorita' giudiziaria in sede  di
giudizio di opposizione. 
    In proposito, si deve ricordare che «il  principio  di  legalita'
della pena, stabilito dall'art.  1  cod.  pen.  e  costituzionalmente
garantito  dall'art.  25,  secondo  comma,  Cost.,  non   impone   al
legislatore di determinare in  misura  fissa  e  rigida  la  pena  da
irrogare per ciascun tipo di reato, ma solo di predeterminare la pena
fra un minimo ed un massimo conferendosi, nel contempo, al giudice il
potere discrezionale di determinare in concreto, entro  tali  limiti,
la  sanzione  da  irrogare  al  fine  di  adeguarla  alle  specifiche
caratteristiche del caso singolo;  la  predeterminazione  legislativa
del limite minimo e massimo della pena irrogabile per ciascun tipo di
reato rappresenta,  da  un  lato,  un  limite  alla  discrezionalita'
giudiziale e, dall'altro,  costituisce  un  indispensabile  parametro
legislativo per l'esercizio di essa, senza il quale il  potere  cosi'
riconosciuto al giudice non sarebbe  riconducibile  al  principio  di
legalita'» (Corte cost. n. 299 del 1992). E se con tale  sentenza  la
Corte costituzionale ha dichiarato la  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 122 c.p.m.p.,  in  considerazione  della  eccessivita'  del
divario tra il minimo e il massimo della pena edittale (da due anni a
ventiquattro anni di reclusione), non puo' non  evidenziarsi  che  la
giustificazione della dichiarazione di illegittimita'  costituzionale
consiste in cio' che  quel  divario  non  trovava  rispondenza  nella
variabilita', in termini di gravita'  del  reato,  delle  fattispecie
concrete sussumibili nella norma incriminatrice. 
    Ben diverso e' il caso delle fattispecie di cui all'art.  187-bis
del d.lgs. n. 58 del 1998, atteso che le fattispecie riconducibili al
trattamento   sanzionatorio   ivi   delineato   sono   molteplici   e
diversamente rilevanti sul piano della gravita'; il che non  consente
di ravvisare la denunciata violazione  del  principio  di  legalita',
oltre che il contrasto con la direttiva comunitaria. Anzi, proprio la
ampiezza della forbice esistente tra il minimo  e  il  massimo  della
sanzione  amministrativa  pecuniaria  risponde  alla  necessita'   di
rendere effettive e dissuasive le  sanzioni  previste,  tenuto  conto
della  natura  delle  condotte  sanzionate,  della  rilevanza   degli
interessi  coinvolti,  dei  benefici  ritraibili  dalla   commissione
dell'illecito e delle condizioni economiche dei soggetti agenti. 
    10.1.3. - Sotto altro profilo, appare decisivo il rilievo che  la
sanzione in concreto  comminata  (euro  470.386,00)  si  attesta,  in
termini  assoluti,  piuttosto  in  prossimita'  del  minimo  edittale
(100.000,00  euro)  che  non  sui   limiti   massimi,   non   essendo
condivisibile la ricostruzione prospettata dalla  ricorrente  secondo
cui la Consob avrebbe invece applicato una sanzione che, essendo pari
a una volta e mezzo il profitto realizzato, si porrebbe per cio' solo
nell'ambito  dell'apprezzamento  della  particolare  gravita'   della
condotta, che giustifica l'applicazione dell'aumento di cui al  comma
5 dell'art. 187-bis. 
    La censura muove da una premessa - quella per cui il fatto che la
sanzione sia stata applicata in una misura ragguagliata  al  profitto
ricavato dalla ricorrente comporterebbe che, nel caso di specie,  sia
stata applicata la disposizione di cui al quinto comma - che  risulta
all'evidenza erronea. Invero, il minimo  edittale  e'  stabilito  dal
legislatore  in  100.000,00  euro.  La  possibilita'   di   applicare
l'aumento fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il
prodotto o il profitto conseguito dall'illecito si  verifica  quando,
per le qualita' personali del  colpevole  ovvero  per  l'entita'  del
prodotto o del profitto conseguito dall'illecito, la sanzione  appaia
inadeguata anche se applicata nel massimo.  Risulta  dunque  evidente
come il fatto che sia stata applicata una sanzione che, tra il minimo
e il massimo edittale,  certamente  si  colloca  in  prossimita'  del
minimo, anche  se  determinata  con  riferimento  al  profitto  o  al
prodotto conseguito dall'illecito, rende la questione sollevata dalla
ricorrente   irrilevante,   atteso   che   l'asserita   mancanza   di
proporzionalita' delle sanzioni per effetto della tecnica legislativa
adottata non ha comportato alcun pregiudizio, in concreto,  ai  danni
della ricorrente stesso. 
    10.2. - Diverse sono invece le conclusioni  alle  quali  si  deve
pervenire per quanto riguarda la questione concernente l'applicazione
della confisca per equivalente nel caso di specie. 
    In   proposito,   occorre    premettere    che,    prima    della
depenalizzazione avvenuta con la legge n. 62 del 2005, il trattamento
sanzionatorio dell'illecito era previsto dal previgente art. 180  del
d.lgs. n. 58 del 1998, e consisteva nella pena della reclusione  fino
a due anni e nella multa da venti a  seicento  milioni  di  lire.  Ai
sensi del comma 5 del medesimo articolo, era previsto che  «nel  caso
di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle  parti  a
norma dell'articolo 444 del codice di  procedura  penale,  e'  sempre
ordinata la confisca dei  mezzi,  anche  finanziari,  utilizzati  per
commettere il reato e dei beni  che  ne  costituiscono  il  profitto,
salvo che essi appartengano a persona estranea al reato». 
    Per effetto delle modificazioni introdotte dalla legge n. 62  del
2005,  la  disciplina  sanzionatoria  della  condotta  di  abuso   di
informazioni privilegiate, costituente  illecito  amministrativo,  e'
ora delineata dall'art. 187-bis del d.lgs. n. 58 del 1998.  Ai  sensi
dell'art. 187-sexies del medesimo  d.lgs.  «1.  L'applicazione  delle
sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente capo importa
sempre la confisca del prodotto o del profitto  dell'illecito  e  dei
beni  utilizzati  per  commetterlo.  2.  Qualora  non  sia  possibile
eseguire la confisca a norma del comma 1, la  stessa  puo'  avere  ad
oggetto somme di denaro, beni o altre utilita' di valore equivalente.
3. In nessun caso puo' essere disposta la confisca di  beni  che  non
appartengono ad una  delle  persone  cui  e'  applicata  la  sanzione
amministrativa pecuniaria». 
    In forza di quanto disposto dall'art. 9, comma 6, della legge  n.
62 del 2005, «Le disposizioni previste dalla parte V,  titolo  I-bis,
del testo unico di cui al decreto legislativo 28 febbraio 1998, n. 58
(e tra queste quella di cui all'art. 187-sexies), si applicano  anche
alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore
della presente legge che le  ha  depenalizzate,  quando  il  relativo
procedimento penale non sia stato definito. Per ogni altro effetto si
applica l'articolo 2 del codice penale (...)». 
    In questo contesto normativo, la Consob, chiamata a  condurre  il
procedimento   amministrativo   per   effetto    della    intervenuta
depenalizzazione dei fatti oggetto del presente  giudizio,  risalenti
al 2002, ha ritenuto sussistente l'illecito amministrativo contestato
e ha applicato la sanzione amministrativa pecuniaria nella misura  di
216.000,00 euro, nonche' la sanzione accessoria  della  confisca  per
equivalente, come imposto dal citato art. 9, comma 6, della legge  n.
62 del 2005. 
    10.2.1. - In relazione alla natura di tale sanzione accessoria la
ricorrente ha  prospettato  la  illegittimita'  costituzionale  delle
disposizioni che ne impongono la applicazione anche a fatti  commessi
prima della entrata in vigore della legge  che  la  ha  prevista.  La
premessa  da  cui  muove  la  ricorrente  e'  che  la  confisca   per
equivalente abbia natura non di misura  di  sicurezza  con  finalita'
preventive, ma di misura di sicurezza con  connotati  sostanzialmente
sanzionatori afflittivi,  sicche'  la  stessa  non  potrebbe  trovare
applicazione se non con riguardo a illeciti  amministrativi  commessi
dopo la entrata in vigore della legge n. 62 del  2005;  essa  sarebbe
quindi inapplicabile nel caso di specie, in quanto i fatti contestati
sono stati commessi nel 2002. 
    La pretesa della ricorrente di affermare la  non  applicabilita',
nel caso di specie, della confisca per equivalente  di  cui  all'art.
187-sexies, trova un ostacolo letterale insuperabile nella richiamata
disposizione di cui all'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del  2005,
il quale espressamente prevede  l'applicabilita'  delle  disposizioni
della parte V, titolo I-bis, del d.lgs. n. 58  del  1998  anche  alle
violazioni commesse anteriormente alla  data  di  entrata  in  vigore
della legge che le ha depenalizzate, quando il relativo  procedimento
penale non sia stato definito. 
    Appare  dunque  evidente  che   la   prospettata   questione   di
legittimita'  costituzionale  del  combinato  disposto  degli   artt.
187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998 e dell'art. 9,  comma  6,  della
legge n. 62  del  2005,  non  puo'  essere  superata  attraverso  una
interpretazione  costituzionalmente  o  convenzionalmente  orientata,
come ipotizzato dalla ricorrente, ed  e'  quindi  rilevante  ai  fini
della decisione che questa Corte e' chiamata ad assumere in ordine ai
motivi di ricorso che censurano la sentenza impugnata con riferimento
alla reiezione dei motivi di opposizione  relativi  all'applicazione,
da parte della Consob, della confisca per equivalente. 
    10.2.2. - La questione, ad avviso  del  Collegio,  e'  anche  non
manifestamente infondata. 
    E' innanzitutto esatta la  premessa  interpretativa  dalla  quale
muove la ricorrente, e cioe' che la confisca per  equivalente  ha  un
contenuto sostanzialmente afflittivo. La giurisprudenza delle sezioni
penali di questa Corte e' univoca in tal senso con  riferimento  alle
disposizioni che prevedono la confisca per equivalente  quale  misura
applicabile a seguito della commissione  di  specifici  reati  per  i
quali la detta misura e' espressamente prevista. A partire  da  Cass.
pen., sez. II, n. 31988 del  2006,  relativa  alla  confisca  di  cui
all'art. 320-ter cod. pen., trova applicazione il principio  per  cui
«nel caso in cui il delitto di truffa aggravata per il  conseguimento
di erogazioni pubbliche sia costituito da  piu'  violazioni  commesse
prima e dopo l'entrata in vigore della  legge  che  ha  previsto  per
detto reato l'applicazione della  confisca  per  equivalente,  questa
misura  puo'  riguardare  esclusivamente   le   violazioni   commesse
successivamente all'entrata in vigore della legge stessa».  In  senso
analogo, Cass. pen. n. 21566 del 2008, secondo cui «l'art.  1,  comma
143, della legge n. 244 del 2007, che  ha  previsto  l'applicabilita'
della confisca "per equivalente" di cui all'art. 322-ter cod. pen. ai
reati di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter,  10-quater  ed
11 del d.lgs. n. 74 del 2000,  non  opera  retroattivamente,  poiche'
all'istituto, che presenta una natura del  tutto  peculiare,  non  e'
estensibile la regola dettata dall'art. 200 cod. pen., in forza della
quale le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in  vigore  al
tempo della loro applicazione» (in senso conforme,  Cass.,  S.U.Pen.,
n. 18374 del 2013). 
    Orientamento,  questo,  posto  dalla   Corte   costituzionale   a
fondamento, nell'ordinanza n. 97 del  2009,  della  dichiarazione  di
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
degli artt. 200, 322-ter cod. pen. e 1, comma  143,  della  legge  24
dicembre 2007, n. 244, censurati, in riferimento all'art. 117  Cost.,
nella parte in cui essi prevedono la confisca obbligatoria cosiddetta
"per equivalente" di beni di cui il reo abbia la disponibilita',  per
i reati commessi anteriormente all'entrata in vigore della legge.  In
tale ordinanza, la Corte ha rilevato che il rimettente muoveva da  un
erroneo presupposto interpretativo, posto che la Corte di  cassazione
ha affermato che la mancanza  di  pericolosita'  dei  beni  che  sono
oggetto della confisca per equivalente, unitamente all'assenza di  un
"rapporto  di  pertinenzialita'"  tra  il   reato   e   detti   beni,
conferiscono  all'indicata   confisca   una   natura   "eminentemente
sanzionatoria",  che  impedisce  l'applicabilita'   a   tale   misura
patrimoniale del principio generale dell'art. 200 cod. pen.,  secondo
cui le misure di sicurezza sono regolate dalla  legge  in  vigore  al
tempo della loro applicazione, e possono essere, quindi, retroattive.
Nella medesima ordinanza si afferma che a tale conclusione si  giunge
sulla  base  della  duplice  considerazione  che  il  secondo   comma
dell'art. 25 Cost. vieta l'applicazione retroattiva di  una  sanzione
penale e che  la  giurisprudenza  della  Corte  Europea  dei  diritti
dell'uomo ha ritenuto in contrasto con i principi sanciti dall'art. 7
della Convenzione l'applicazione retroattiva di una confisca di  beni
riconducibile proprio ad  un'ipotesi  di  confisca  per  equivalente.
Sicche', anche da questo punto di vista, non  pare  dubitabile  della
natura afflittiva della sanzione accessoria. 
    10.2.3. - La soluzione, ad  avviso  del  Collegio,  non  muta  in
considerazione  del  fatto  che,  nella  specie,  la   confisca   per
equivalente e' prevista quale sanzione  accessoria  per  un  illecito
amministrativo. 
    Invero, da un lato, la Corte europea dei diritti dell'uomo, nella
sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e  altri,  ha  riconosciuto  il
carattere dell'afflittivita', assimilabile alla sanzione penale, alle
sanzioni amministrative pecuniarie  previste  dall'art.  187-bis  del
d.lgs. n. 58 del  1998;  dall'altro,  la  Corte  costituzionale,  con
riferimento  alla  applicazione  retroattiva  di   disposizioni   che
introducono sanzioni amministrative,  ha  recentemente  affermato  il
principio  secondo  il  quale   «tutte   le   misure   di   carattere
punitivo-afflittivo devono essere soggette alla  medesima  disciplina
della sanzione penale in senso stretto», cosi'  come  statuito  nella
sentenza n. 196 del 2010 della Corte  costituzionale,  che  ha  fatto
applicazione di quanto  asserito  dalla  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo sull'interpretazione degli artt. 6 e 7  della  CEDU  (Corte
cost. n. 104 del 2014). Deve quindi ritenersi  che  qualunque  misura
che non operi al solo fine di prevenire la commissione  di  illeciti,
anche amministrativi, ma abbia un contenuto punitivo-afflittivo, puo'
trovare applicazione solo qualora la legge che la  preveda  sia  gia'
entrata in vigore al tempo della commissione  del  fatto  oggetto  di
sanzione, cosi' come desumibile dall'art. 25 Cost. e,  con  specifico
riferimento agli illeciti amministrativi, dalla  disciplina  generale
prevista  dalla  legge  n.  689  del  1981,  la  quale,  all'art.  1,
stabilisce il principio generale secondo  cui  «nessuno  puo'  essere
assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di  una  legge
che sia entrata in vigore prima della commissione  della  violazione»
(Corte cost. n. 104 del 2014). 
    10.2.4.  -  La  confisca  per  equivalente   prevista   dall'art.
187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998, non potendo propriamente essere
ricondotta nella categoria della confisca ordinaria, di cui  all'art.
20 della legge n. 689 del 1981 o di quella disciplinata dall'art. 240
cod. pen. - che si caratterizzano per avere ad  oggetto  beni  legati
all'illecito commesso, al fine di neutralizzarne la pericolosita'  -,
si caratterizza per la sua natura afflittiva, applicandosi a beni del
tutto privi di collegamento con l'illecito. Essa,  quindi,  non  puo'
trovare applicazione retroattiva. 
    Orienta in tal senso anche la giurisprudenza della Corte  europea
dei diritti dell'uomo, gia' richiamata nella ordinanza n. 97 del 2009
della Corte costituzionale, prima citata. La Corte  europea,  invero,
attribuisce rilievo, ai fini della valutazione della afflittivita' di
una misura, e quindi ai  fini  della  verifica  della  sua  possibile
applicazione  retroattiva,  a  una  serie   di   indici   sintomatici
alternativamente applicabili: a) collegamento della sanzione  con  un
illecito penale; b) finalita' sottese alla previsione  della  misura;
c) gravita' della sanzione; d) qualificazione  ricoperta  all'interno
dell'ordinamento di provenienza. In base a tali indici, dunque, anche
sanzioni   che   negli   ordinamenti   interni   sono   prive   della
qualificazione di sanzione  penale,  essendo  ad  esempio  ricondotte
nella  categoria  delle  misure  di  sicurezza   o   delle   sanzioni
amministrative,  devono  essere  invece   attratte   nell'ambito   di
applicazione dell'art. 7  CEDU,  e  quindi  soggette  al  divieto  di
applicazione retroattiva. 
    10.2.5. - Accertata, dunque, la natura afflittiva della  confisca
per equivalente, la disposizione di cui all'art. 9,  comma  6,  della
legge n. 62 del 2005, che ne  impone  l'applicazione  anche  a  fatti
commessi prima della sua entrata in vigore appare  in  contrasto  con
gli  artt.  3,  25,  secondo  comma,  e  117,  primo  comma,   Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 7 della CEDU. 
    11.  -   Conclusivamente,   va   dichiarata   rilevante   e   non
manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale
degli artt. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998 e dell'art. 9, comma
6, della legge n. 62 del  2005,  in  rifermento  agli  artt.  3,  25,
secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo  in  relazione
all'art. 7 della CEDU, nella parte in cui prevedono che  la  confisca
per equivalente, introdotta per gli illeciti di  cui  alla  parte  V,
titolo I-bis, del testo unico di cui al medesimo  d.lgs.  n.  58  del
1998, si applica anche alle violazioni  commesse  anteriormente  alla
data di entrata in vigore della legge n.  62  del  2005,  che  le  ha
depenalizzate, quando il relativo procedimento penale non  sia  stato
definito. 
    Ai sensi dell'art. 23 della legge 11  marzo  1953,  n.  87,  alla
dichiarazione  di  rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza   della
questione di legittimita' costituzionale, segue  la  sospensione  del
giudizio,  e  l'immediata  trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Corte, visti gli artt. 134 Cost., e 23 della  legge  11  marzo
1953, n. 87; 
    dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento
agli  artt.  3,  25,  secondo  comma,  e  117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 7  della  CEDU,  la  questione  di
legittimita' costituzionale degli  artt.  187-sexies  del  d.lgs.  24
febbraio 1998, n. 58, introdotto dall'art. 9 della  legge  18  aprile
2005, n. 62, e dell'art. 9, comma 6, della  legge  n.  62  del  2005,
nella parte  in  cui  prevedono  che  la  confisca  per  equivalente,
introdotta per gli illeciti di cui alla parte V,  titolo  I-bis,  del
testo unico di cui al medesimo d.lgs. n.  58  del  1998,  si  applica
anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata  in
vigore della legge n. 62 del 2005, che le ha depenalizzate, quando il
relativo procedimento penale non sia stato definito; 
    dispone la sospensione del presente giudizio; 
    ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
notificata  alle  parti  del  giudizio  di  cassazione,  al  pubblico
ministero presso questa Corte  e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    ordina,  altresi',   che   l'ordinanza   venga   comunicata   dal
cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; 
    dispone l'immediata trasmissione degli  atti,  comprensivi  della
documentazione  attestante  il   perfezionamento   delle   prescritte
notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. 
    Cosi' deciso in Roma, nella camera  di  consiglio  della  Seconda
sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 5 giugno 2015. 
 
                      Il Presidente: Bucciante