N. 305 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 settembre 2015

Ordinanza del  14  settembre  2015  della  Corte  di  cassazione  nel
procedimento civile promosso da Pozzi Ornella contro CONSOB. 
 
Borsa  -  Intermediazione  finanziaria  -   Abuso   di   informazioni
  privilegiate - Sanzioni amministrative - Confisca per equivalente -
  Applicabilita' anche alle violazioni  commesse  anteriormente  alla
  data di entrata in vigore della legge n. 62  del  2005  che  le  ha
  depenalizzate. 
- Decreto legislativo 24 febbraio 1998,  n.  58  (Testo  unico  delle
  disposizioni in materia di intermediazione  finanziaria,  ai  sensi
  degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio  1996,  n.  52),  art.
  187-sexies, introdotto dall'art. 9, comma 2, lett. a), della  legge
  18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l'adempimento  di  obblighi
  derivanti dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita'  europee.
  Legge comunitaria 2004); legge 18 aprile 2005, n. 62  (Disposizioni
  per   l'adempimento   di   obblighi   derivanti   dall'appartenenza
  dell'Italia alle Comunita' europee. Legge comunitaria  2004),  art.
  9, comma 6. 
(GU n.51 del 23-12-2015 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                      (Sezione Seconda Civile) 
 
    Composta dagli ill.mi signori magistrati: 
        dott. Ettore Bucciante - Presidente; 
        dott. Bruno Bianchini - Consigliere; 
        dott. Stefano Petitti - Consigliere relatore; 
        dott. Antonio Oricchio - Consigliere; 
        dott. Luigi Abete - Consigliere; 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul  ricorso,
iscritto al N.R.G. 10625 del 2010, proposto da: 
        Pozzi Ornella, rappresentata e difesa, per procura speciale a
margine del ricorso, dagli avvocati Renato Sirna ed Elisa  Bonzani  e
Achille  Chiappetti,  nonche',   per   procura   speciale   notarile,
dall'avvocato Giovanni Arieta, elettivamente domiciliata in Roma, via
Paolo Emilio n. 7, presso lo studio dell'avvocato Achille Chiappetti;
ricorrente e controricorrente al ricorso incidentale; 
    Contro Commissione nazionale per le societa' e la borsa (CONSOB),
in persona del Presidente pro tempore, rappresentata  e  difesa,  per
procura  speciale  a  margine   del   controricorso,   unitamente   e
disgiuntamente dagli avvocati Fabio Biagianti, Maria Letizia  Ermetes
e Rocco Vampa, elettivamente domiciliata presso la  propria  sede  in
Roma,  via  Giovanni  Battista  Martini  n.  3;  controricorrente   e
ricorrente incidentale; 
    Avverso  la  sentenza  della  Corte  di  appello  di  Brescia  n.
407/2009, depositata il 31 marzo 2009. 
    Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
5 giugno 2015 dal Consigliere relatore dott. Stefano Petitti; 
    Sentiti gli avvocati Giovanni Arieta e Achille Chiappetti per  la
ricorrente, e l'avvocato Rocco Vampa per la CONSOB; 
    Sentito  il  pubblico  ministero,  in   persona   del   sostituto
procuratore generale dott. Alberto Celeste, che ha  concluso  per  il
rigetto del primo, secondo, terzo, sesto e ottavo motivo del  ricorso
principale e rimessione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale  in
relazione alla questione di legittimita' costituzionale dell'art.  9,
comma 6, della legge n. 62 del 2005, in riferimento agli articoli  3,
25 e 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 7 della CEDU;  in
subordine,  accoglimento  del  quarto,  quinto  e   settimo   motivo,
assorbimento del ricorso incidentale. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - In data 8  gennaio  2003  il  Presidente  della  Commissione
nazionale per le societa' e la borsa (CONSOB) segnalava alla  Procura
della Repubblica di Milano il presunto reato di abuso di informazioni
privilegiate - di cui all'art. 180 del decreto legislativo n. 58  del
1998 - per avere i signori Emilio  Gnutti,  Ornella  Pozzi,  Maurizia
Gallia, Ennio Barozzi, Romeo Liberini, Antonietta Comensoli e Osvaldo
Savoldi, acquistato obbligazioni  UNIPOL  2000-2005  2,25%  e  UNIPOL
2000-2005 3,75%, nel corso dell'anno 2002. 
    Il tribunale di Milano, con sentenza  n.  10597  del  19  ottobre
2005, proscioglieva gli imputati (ad eccezione di Emilio  Gnutti)  in
ragione della  depenalizzazione  del  reato  contestato,  avvenuta  a
seguito dell'entrata  in  vigore  della  legge  n.  62  del  2005,  e
trasmetteva gli atti alla CONSOB, in quanto competente. 
    Quest'ultima, per mezzo dell'Ufficio Insider  Trading,  ritenendo
accertata la commissione dell'illecito amministrativo di cui all'art.
187-bis, comma 4, del decreto legislativo n. 58 del 1998,  notificava
l'atto   di   contestazione    ai    destinatari    dell'informazione
privilegiata, e, nel silenzio di Pozzi Ornella, disponeva a carico di
quest'ultima, con delibera in data 8 giugno  2007,  il  sequestro  di
beni di sua pertinenza, fino al raggiungimento del valore equivalente
al  prodotto  dell'illecito  (euro   6.352.002,00),   applicando   la
disposizione ex art. 187-octies, comma  3,  lettera  d),  del  citato
decreto legislativo n. 58 del 1998. 
    Quindi la CONSOB,  nella  seduta  del  4  luglio  2007,  riteneva
accertata  la  violazione  di  cui  all'art.  187-bis   del   decreto
legislativo n. 58 del 1998  e  applicava  a  carico  della  Pozzi  la
sanzione amministrativa pecuniaria di euro  787.744,00,  la  sanzione
accessoria dell'interdizione dagli uffici direttivi per un periodo di
nove mesi ex art. 187-quater del decreto legislativo n. 58 del  1998,
nonche', ai sensi dell'art. 187-sexies di quest'ultimo,  la  confisca
di beni di sua proprieta' per un valore di euro 6.352.002,00. 
    2.  Ornella  Pozzi  proponeva  opposizione  dinanzi  alla   Corte
d'appello di Brescia; la CONSOB resisteva con controricorso. 
    Con sentenza depositata il 31 marzo 2009, l'adita Corte d'appello
rigettava l'opposizione. 
    2.1. - Disattesi alcuni  motivi  di  opposizione  concernenti  il
procedimento  sanzionatorio,  la  Corte  rigettava   il   motivo   di
opposizione con il quale la ricorrente aveva sostenuto che non  fosse
corretto qualificare come «informazioni privilegiate» le notizie  che
all'epoca  della  commissione  del  fatto  circolavano  nell'ambiente
UNIPOL.  In  proposito,  la  Corte  d'appello  riteneva   la   natura
privilegiata delle informazioni in questione, atteso  che  tali  sono
non  solo  le  informazioni  che  fanno  riferimento  a   circostanze
esistenti  o  ad  eventi  verificatisi,  ma  anche  quelle   che   si
riferiscono a situazioni che sia ragionevolmente  certo  verranno  ad
esistenza, sempre che  siano  altresi'  sufficientemente  precise  da
permettere di prevedere quale sara' il loro possibile  effetto  sulle
condizioni di mercato. Nel caso di specie, la decisione di mettere in
pratica un rimborso anticipato da parte dell'emittente UNIPOL di  due
prestiti obbligazionari con scadenza nel 2005, rientrava  pienamente,
a parere della Corte d'appello,  nella  definizione  di  informazione
privilegiata di cui all'art.  181  T.U.F.,  essendo  riferita  ad  un
evento  che  avrebbe  potuto  ragionevolmente  verificarsi,   essendo
altresi' idonea ad influenzare il prezzo dei titoli,  e  non  essendo
stata resa pubblica, ne'  essendo  stata  oggetto  di  indiscrezioni,
prima della data del 28 febbraio 2002. 
    2.2. - La Corte d'appello riteneva poi infondata la  censura  con
la quale la Pozzi si doleva dell'illegittimo utilizzo di  presunzioni
da parte della CONSOB.  Nello  specifico,  la  Corte  riteneva  che -
contrariamente  a  quanto  prospettato  da  parte  ricorrente -   per
l'accertamento del possesso dell'informazione privilegiata  da  parte
della ricorrente e della sua successiva utilizzazione, dovesse  farsi
ricorso  alla  prova  presuntiva,  attesa   la   natura   immateriale
dell'informazione   stessa   e   l'estraneita'    della    ricorrente
all'ambiente  in  cui   si   erano   verificati   i   fatti   oggetto
dell'informazione. In tale  situazione,  a  parere  della  Corte,  la
CONSOB aveva correttamente fatto applicazione delle prove  di  natura
presuntiva, partendo dai fatti noti dell'oggettivita' dell'operazione
economica posta in essere  dalla  Pozzi,  della  delibera  UNIPOL  di
anticipato rimborso decorso un mese dalla operazione citata  e  della
maturazione  di  tale  decisione  nell'ambiente  dirigenziale   della
societa' gia' a partire dal  gennaio  2001,  per  giungere  al  fatto
ignoto  del   possesso   e   dello   sfruttamento   dell'informazione
privilegiata   ad   opera   della   ricorrente,   attesa   anche   la
contestualita' delle operazioni di acquisto di titoli UNIPOL ad opera
non solo della Pozzi, ma anche di altri operatori tutti riconducibili
all'insider primario, e che,  come  la  ricorrente,  per  far  fronte
all'operazione economica, avevano fatto ricorso  al  mutuo  bancario,
data la mancanza della liquidita' necessaria. 
    Ed ancora, la Corte riteneva irrilevante la  questione  sollevata
da  parte  ricorrente   circa   la   necessita'   della   sussistenza
dell'elemento soggettivo del dolo - come espressamente richiesto  per
l'integrazione dell'allora illecito penale  -  anche  per  l'illecito
amministrativo ex art. 187-bis del TUF, risultando accertata la piena
conoscenza  da  parte  della   Pozzi   del   carattere   privilegiato
dell'informazione ricevuta dall'insider primario, della influenza che
avrebbe potuto avere sulle condizioni  di  mercato,  una  volta  resa
pubblica, e, quindi, della necessita' di  sfruttarla  prima  di  tale
momento. 
    2.3. - La Corte d'appello rigettava anche il  motivo  di  ricorso
con il quale la ricorrente aveva contestato, sotto  diversi  profili,
la sanzione  comminatagli.  Innanzitutto,  dichiarava  manifestamente
infondata la questione di legittimita'  costituzionale  sollevata  in
relazione all'art. 187-bis del decreto legislativo n.  58  del  1998,
per contrasto con i principi di legalita' e di irretroattivita' della
sanzione amministrativa di cui agli articoli 13 e seguenti,  23,  42,
97, 101 e 113 Cost., constatando che la  depenalizzazione  non  aveva
portato  ad  un  aggravio   della   pena,   come   invece   affermato
dall'opponente, la quale si era limitata a richiamare le  conseguenze
patrimoniali derivanti dall'applicazione del nuovo art. 187-bis  TUF,
ma aveva invece portato alla  applicazione  di  una  disciplina  piu'
favorevole rispetto alla precedente,  atteso  che  la  condotta  dava
luogo ad un illecito amministrativo e non piu' a un delitto, e che ad
essere  comminata  era  solo  una  sanzione  pecuniaria,  mentre   in
precedenza era prevista la pena della reclusione. 
    2.3.1. - La Corte d'appello rigettava anche l'ulteriore doglianza
relativa al contrasto dell'art.  187-bis  TUF  con  il  principio  di
proporzionalita'  richiesto  per  le  sanzioni  amministrative  dalla
Direttiva 2003/6/CE; contrasto prospettato sul rilievo che il  citato
articolo prevede la medesima sanzione per l'insider  primario  e  per
l'insider secondario, equiparandone le posizioni.  In  proposito,  la
Corte rilevava che i comportamenti dell'insider primario e di  quello
secondario hanno in comune la posizione di privilegio con cui operano
su strumenti  finanziari  rispetto  alla  massa  dei  consociati  che
agiscono sul  mercato,  e  che  l'art.  187-bis  TUF  prevede  soglie
sanzionatorie minime (euro 100.000,00) e massime (euro 15.000.000,00)
che  consentono  di  modulare   la   sanzione   in   relazione   alle
particolarita' del caso di specie e  alla  qualificazione  soggettiva
dell'autore  della  condotta.  Inoltre,  la  Corte  disattendeva   le
doglianze  concernenti  il  quantum  della  sanzione   amministrativa
comminata dalla CONSOB, ritenendo che si trattasse  di  una  sanzione
«congrua ed adeguata» in quanto,  nel  rispetto  dei  canoni  di  cui
all'art. 11 della legge n. 689 del 1981, la CONSOB aveva tenuto conto
della condotta della Pozzi, che aveva agito con dolo e  nel  concorso
con altri operatori, e aveva ingiunto il pagamento  di  una  sanzione
che si poneva in prossimita' del minimo  piuttosto  che  del  massimo
edittale (euro 780.000,00). 
    2.4.  -  La  Corte  rigettava  anche  i  motivi  di   opposizione
concernenti   l'applicazione   dell'istituto   della   confisca   per
equivalente da  parte  della  CONSOB,  della  quale  la  Pozzi  aveva
lamentato l'illegittimita' sia perche' applicata  in  violazione  dei
principi  di  legalita'  e   di   irretroattivita'   della   sanzioni
amministrative di cui all'art. 1 della legge n. 689 del 1981,  attesa
l'introduzione dell'istituto  nel  nostro  ordinamento  giuridico  ad
opera della legge n. 62 del 2005, e quindi in un momento  in  cui  la
presunta condotta illecita era gia' venuta ad esistenza; sia  perche'
la confisca  era  stata  applicata  su  somme  di  denaro,  strumenti
finanziari e beni immobili «per un valore corrispondente al  prodotto
dell'illecito», e quindi sulla base dell'erroneo presupposto  che  le
obbligazioni  acquistate  costituissero  il  prodotto   dell'illecito
contestato, mentre  rappresentavano  non  l'utilita'  conseguita,  ma
l'investimento iniziale. 
    La Corte d'appello rilevava,  innanzitutto,  che  i  principi  di
legalita'  e  di   irretroattivita'   sono   oggetto   di   copertura
costituzionale  soltanto  per   la   materia   penale,   sicche'   il
legislatore,  quanto   all'illecito   depenalizzato   di   abuso   di
informazioni privilegiate, ben poteva prevedere  lo  strumento  della
confisca per equivalente anche per i  comportamenti  precedenti  alla
entrata in vigore della legge n. 62 del 2005, non  configurandosi  in
tal modo nessuna violazione della legge n. 689 del 1981, ben  potendo
una  norma  di  pari  rango  costituzionale  successiva  derogare  la
precedente. 
    La Corte bresciana non accoglieva neanche la  doglianza  relativa
all'applicazione della sanzione accessoria, in quanto riteneva che la
Commissione avesse correttamente calcolato il prodotto e il  profitto
dell'illecito, essendo il primo coincidente con la  somma  spesa  per
l'acquisto  delle  obbligazioni  UNIPOL,  di   indubbia   provenienza
illecita, e  il  secondo  il  guadagno  ottenuto  con  la  successiva
vendita. 
    2.5.  -  La  Corte  d'appello  rigettava  anche  il   motivo   di
opposizione con il quale l'opponente aveva formulato,  sotto  diversi
profili, censure avverso il sequestro di beni disposto a  suo  carico
dalla CONSOB. Quanto alla doglianza relativa al  sequestro  cautelare
di beni che potevano essere oggetto di confisca amministrativa, che a
detta  dell'opponente   sarebbe   stato   affetto   da   sopravvenuta
inefficacia,  la  Corte  d'appello   ne   dichiarava   l'infondatezza
richiamando la costante giurisprudenza di questa Corte,  secondo  cui
"ne' l'atto che dispone la misura cautelare, ne' il provvedimento  di
rigetto dell'opposizione in sede amministrativa  contro  la  medesima
... sono impugnabili in sede giurisdizionale,  mentre  l'accertamento
dell'illegittimita' della suddetta misura puo'  esser  richiesto  con
ricorso ex art. 22 legge n. 689 del 1981 contro il  provvedimento  di
confisca» (Cass. n. 10534 del 2000). 
    Inoltre, la Corte  d'appello  rigettava  le  ulteriori  doglianze
ritenendo  che  la  CONSOB  si  fosse  espressa  sull'opposizione  al
sequestro proposta dalla Pozzi nei termini di legge, contrariamente a
quanto  da  quest'ultimo  sostenuto;   che   nessuna   omissione   di
notificazione dell'atto di  contestazione  degli  addebiti  da  parte
della CONSOB si fosse verificata;  e,  infine,  che  non  sussistesse
alcuna violazione e falsa applicazione dell'art. 12  della  direttiva
2003/06/CE con riguardo agli articoli 9 della legge n. 62  del  2005,
187-sexies e 187-octies del decreto legislativo n. 58  del  1998.  In
relazione a tale ultimo profilo -  con  il  quale  la  ricorrente  si
doleva che  non  fosse  stata  disapplicata  la  norma  interna  che,
attribuendo alla CONSOB il potere di  disporre  il  sequestro  previa
autorizzazione del pubblico ministero, si  poneva  in  contrasto  con
l'art.  12  della  direttiva  comunitaria,  che  invece  dispone  che
l'autorita' competente possa esercitare i suoi poteri  «direttamente»
ovvero «mediante una richiesta alle competenti autorita' giudiziarie»
- la Corte  d'appello  escludeva  il  prospettato  contrasto  con  il
diritto comunitario, in quanto la norma interna  aveva  adottato  una
soluzione  intermedia  del  tutto  consentita  dallo  stesso  diritto
comunitario. 
    2.5.1.  -  La  Corte  d'appello  riteneva,  poi,   manifestamente
infondati i dubbi di  costituzionalita'  sollevati  dalla  ricorrente
circa l'art. 9 della legge n. 62 del 2005, in relazione agli articoli
3, 24, 25, 97 e 113 Cost., atteso che la  Procura  della  Repubblica,
nel rilasciare l'autorizzazione al sequestro, non  esercita  potesta'
giurisdizionale,    bensi'    amministrativa,    inserendosi     tale
autorizzazione nella fase precedente al  procedimento  di  formazione
dell'atto, al solo fine di verificare che gli  elementi  in  possesso
dell'autorita' competente  siano  idonei  ad  integrare  gravi  vizi,
potendo,  inoltre,   l'atto   autorizzatorio   essere   pacificamente
sindacato dal giudice innanzi al quale e' impugnato il  provvedimento
precedentemente autorizzato. 
    2.5.2.  -  Ad  avviso  della  Corte  d'appello,  non   meritavano
accoglimento  ne'  l'ulteriore  censura   relativa   all'incompetenza
territoriale dell'Ufficio di Procura di Milano che  aveva  rilasciato
la suddetta autorizzazione, ne' quella mossa sotto il  profilo  della
mancanza di motivazione per il provvedimento di autorizzazione e  per
l'atto di  sequestro.  Infine,  quanto  alla  censura  relativa  alla
contestata impossibilita' di procedere al sequestro di beni  che  non
costituiscono il prodotto o il profitto dell'illecito o lo  strumento
per commetterlo, data la  precedente  asserita  impossibilita'  -  da
parte ricorrente - di far operare la confisca per  equivalente  prima
della entrata in  vigore  della  legge  n.  62  del  2005,  la  Corte
d'appello rigettava il  motivo  ribadendo  per  il  sequestro  quanto
osservato in  relazione  alla  legittimita'  dell'applicazione  della
confisca per equivalente. 
    2.6. - In conclusione, la  Corte  rigettava  l'opposizione  della
Pozzi, che condannava al pagamento delle spese processuali. 
    3. - Per la cassazione di questa  sentenza  ha  proposto  ricorso
Ornella Pozzi, affidato a nove motivi. 
    La CONSOB ha  resistito  con  controricorso  e  ha  a  sua  volta
proposto ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi. 
    La  ricorrente  principale  ha  a  sua   volta   resistito,   con
controricorso, al ricorso incidentale. 
    4. - Successivamente al deposito del ricorso,  la  ricorrente  ha
notificato alla controparte, ai sensi dell'art. 372 codice  procedura
civile, e ha poi depositato presso la Cancelleria di questa Corte, la
sentenza in data 1° giugno 2012, con la quale il GUP del Tribunale di
Bologna ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di Consorte
Giovanni e di Sacchetti Ivano (supposti insiders primari), perche' il
fatto non  sussiste,  in  relazione  alla  imputazione  di  abuso  di
informazioni privilegiate per l'estinzione  anticipata  dei  prestiti
obbligazionari UNIPOL e l'acquisto di  obbligazioni  delle  emissioni
oggetto di rimborso. 
    5. In prossimita' dell'udienza del 5  giugno  2015,  entrambe  le
parti  hanno  depositato  memoria  ai  sensi  dell'art.  378   codice
procedura civile. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Con il  primo  motivo  di  ricorso  Ornella  Pozzi  denuncia
violazione e falsa applicazione degli articoli 3, 5 e 11 della  legge
n.  689  del  1981,  e  dell'art.  187-bis,  comma  5,  del   decreto
legislativo n. 58 del 1998, cosi' come introdotto dall'art.  9  della
legge n. 62 del 2005. 
    La  censura  si  riferisce  al  capo  della  sentenza   impugnata
concernente la reiezione del settimo motivo di  opposizione,  con  il
quale aveva sostenuto che la CONSOB avesse  falsamente  applicato  il
citato art. 11, per non avere tenuto conto e fatto  uso  dei  criteri
oggettivi e soggettivi previsti dalla norma e  segnatamente  per  non
avere tenuto nel minimo conto la sua personalita' e le sue condizioni
economiche, nonche'  la  violazione,  quanto  all'aggravamento  della
sanzione pecuniaria, dell'art. 187-bis, comma 5, nella parte  in  cui
impone di tenere presenti le qualita' personali del colpevole  ovvero
per l'entita' del prodotto o del profitto  conseguito  dall'illecito.
In particolare, ella aveva dedotto che la  CONSOB  non  aveva  tenuto
conto, ai fini della valutazione della gravita' della sanzione, della
sola condotta individuale a lei addebitabile, avendo invece proceduto
ad una  accorpata,  confusa  e  indistinta  unica  valutazione  delle
condotte anche di altri insiders, anche ai fini della  determinazione
dei supposti rilevanti incrementi che i due titoli  UNIPOL  avrebbero
subito nel primo semestre del 2002. 
    La  Corte  d'appello,  assume   la   ricorrente,   nel   ritenere
giustificato l'operato della CONSOB, sarebbe incorsa nelle denunciate
violazioni di legge, in quanto ha imputato  a  ciascun  incolpato  la
complessiva  operazione  di  acquisto   delle   obbligazioni,   cosi'
prescindendo dal piano  individuale  di  valutazione  della  gravita'
della condotta e dell'elemento soggettivo, apprezzando  una  gravita'
complessiva della condotta in spregio al principio della personalita'
della  responsabilita'   e   della   rilevanza   della   personalita'
dell'agente  e  delle  sue  condizioni  economiche  ai   fini   della
determinazione della sanzione. 
    1.1. - A conclusione del motivo la ricorrente formula i  seguenti
quesiti  di  diritto:  «Dica  la  Suprema  Corte   se   -   ai   fini
dell'accertamento della condotta illecita del singolo  soggetto  che,
individualmente o in concorso con altri, abbia  commesso  l'abuso  di
informazioni privilegiate di cui all'art.  187-bis  del  testo  unico
della  finanza  -  occorre  avere  riguardo   alla   gravita'   della
violazione,  all'opera  svolta  dall'agente  per   l'eliminazione   o
attenuazione  delle  conseguenze  della  violazione,   nonche'   alla
personalita' dello stesso e alle sue condizioni economiche, senza che
sia possibile avere riguardo anche alla personalita' dei concorrenti,
nonche' agli effetti complessivi della condotta di questi  ultimi  ed
al profitto complessivamente conseguito  dall'illecito  da  parte  di
tutti i concorrenti. Dica altresi'  la  Suprema  Corte  se,  ai  fini
dell'aggravamento della sanzione pecuniaria di cui all'art.  187-bis,
comma 5, del testo unico della finanza -  occorra  avere  riferimento
esclusivamente alle qualita' personali del colpevole, all'entita' del
prodotto o del profitto da lui conseguito  dall'illecito,  senza  che
sia possibile avere riguardo agli effetti complessivi della  condotta
dei  concorrenti   ed   al   profitto   complessivamente   conseguito
dall'illecito da parte di tutti i concorrenti». 
    2. - Con il secondo motivo la Pozzi denuncia violazione  e  falsa
applicazione dell'art. 187-bis del  decreto  legislativo  n.  58  del
1998, in relazione agli articoli 3, 5 e 12 della  legge  n.  689  del
1981, nonche' omessa e contraddittoria  motivazione.  La  censura  si
riferisce  alla  dichiarata  sussistenza,  da   parte   della   Corte
d'appello, di un concorso di persone nel medesimo  illecito,  pur  se
nella ricostruzione della vicenda la stessa Corte ha rilevato che  le
condotte significative erano state poste  in  essere  prevalentemente
dalla Gallia (assistente di Gnutti). In sostanza, la Corte  d'appello
si sarebbe  limitata  a  indagare  in  ordine  alla  unitarieta'  del
contesto temporale  e  spaziale  nel  quale  maturarono  gli  eventi,
desumendone la sostanziale riferibilita' della condotta ad  un  unico
agente, ma imputando l'illecito a piu' persone in  asserito  concorso
tra loro. 
    2.1. - Il motivo si conclude con  la  formulazione  del  seguente
quesito di diritto: «Dica  la  Suprema  Corte  se  l'imputazione  del
medesimo illecito amministrativo a piu' persone in concorso tra  loro
postula  l'accertamento  delle  singole   condotte   (commissive   od
omissive, coscienti e volontarie, dolose o  colpose),  ascrivibili  a
ciascuno  dei  concorrenti,  che   hanno   cooperato   a   realizzare
l'illecito». 
    3. -  Con  il  terzo  motivo  di  ricorso  la  ricorrente  deduce
violazione e falsa applicazione degli articoli 117  e  97  Cost.  con
riguardo alla  direttiva  2003/6/CE  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio; solleva altresi' questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 187-bis  del  decreto  legislativo  n.  58  del  1998,  per
violazione degli articoli 117 e 97 Cost., in relazione alla direttiva
2003/6/CE del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,  con  relativa
istanza di rimessione della questione alla  Corte  costituzionale  ex
articoli 134  Cost.  e  23  della  legge  n.  87  del  1953,  nonche'
contraddittoria motivazione sul punto. 
    La ricorrente si duole del fatto che  la  Corte  d'appello  abbia
ritenuto «congrua e adeguata» la  misura  della  sanzione  pecuniaria
comminata  dalla  CONSOB  in  suo  danno,  sostenendo,   invece,   la
violazione dei principi del diritto comunitario,  vincolanti  per  il
giudice nazionale ex art. 117, primo comma, Cost. In particolare,  la
ricorrente rileva che nel mentre la citata direttiva prescrive che le
sanzioni siano sufficientemente dissuasive e che a tal  fine  debbano
essere proporzionate alla gravita'  della  violazione  e  agli  utili
realizzati e applicate coerentemente (considerando  n.  38)  e  tiene
distinte le ipotesi  in  cui  la  provenienza  dell'informazione  sia
legata a una professione o a una funzione e quella in  cui  la  fonte
sia connessa allo svolgimento di attivita' criminali (considerando n.
17) ovvero ancora l'ipotesi in cui l'abuso delle  informazioni  venga
effettuato sapendo o dovendo sapere del loro  carattere  privilegiato
(considerando  n.  18),  il  legislatore  nazionale   ha   accomunato
nell'unico  trattamento  sanzionatorio  piu'  condotte  di  abuso  di
informazioni privilegiate diverse tra loro. 
    L'art.  187-bis,  rileva  la  ricorrente,  prevede  la   medesima
sanzione edittale per l'insider trader  primario,  per  l'insider  in
grado di operare a seguito di attivita' delittuose, per  gli  insider
trader secondari che agiscono  con  la  consapevolezza  della  natura
privilegiata della informazione della  quale  dispongono  e  per  gli
insider trader secondari che agiscono con colpa, potendo conoscere in
base  all'ordinaria  diligenza  il   carattere   privilegiato   della
informazione.  Inoltre,  a  tutte  le  categorie  considerate   viene
applicato lo stesso regime di aggravamento della sanzione (comma  5);
con  la  precisazione  che  i  criteri   delle   qualita'   personali
dell'agente  ovvero  dell'entita'  del  prodotto   o   del   profitto
conseguito dall'illecito sono dalla legge nazionale considerati  solo
ai fini  dell'aggravamento  della  sanzione  ma  non  ai  fini  della
determinazione della sanzione. 
    La  ricorrente  sostiene  quindi  che  la  Corte  d'appello,  nel
ritenere congrua la sanzione comminata a un  insider  secondario,  la
cui colpevolezza era stata desunta sulla base di un  ragionamento  di
tipo presuntivo, avrebbe violato i  principi  di  proporzionalita'  e
dissuasivita' posti dalla direttiva comunitaria.  La  medesima  Corte
d'appello, ad avviso della ricorrente, avrebbe poi violato anche  gli
articoli 117 e 97 Cost.  nel  ritenere  manifestamente  infondata  la
prospettata  questione  di  legittimita'   costituzionale   dell'art.
187-bis in relazione ai principi posti dalla  direttiva  comunitaria.
In proposito, il ricorrente sostiene  che  le  argomentazioni  svolte
dalla Corte d'appello (comune nucleo delle violazioni poste in essere
dai  soggetti  considerati  dai  diversi  commi  dell'art.   187-bis;
previsione di una forbice tra  minimo  e  massimo  edittale  tale  da
consentire la modulazione della sanzione avuto riguardo alle qualita'
soggettive  dell'autore  della  violazione  e   alle   particolarita'
dell'illecito da sanzionare) sarebbero  non  convincenti,  erronee  e
contraddittorie tra loro, atteso  che  il  riferimento  alla  forbice
sanzionatoria  finisce  con  il  riconoscere  la  necessita'  di  una
diversificazione della  sanzione  in  relazione  al  disvalore  della
condotta per le qualita' soggettive di chi la pone in essere. In ogni
caso, osserva la ricorrente, l'obbligo della  proporzionalita'  delle
sanzioni  e'  dalla  direttiva  comunitaria  posto   al   legislatore
nazionale, non all'autorita' che in  concreto  applica  la  sanzione,
alla quale si rivolge invece la  previsione  che  le  sanzioni  siano
applicate coerentemente. 
    Ed ancora, la  ricorrente  contesta  l'affermazione  della  Corte
d'appello,  secondo  cui  la   sanzione   in   concreto   comminatale
(787.000,00 euro), pari al doppio del  profitto  realizzato,  sarebbe
congrua perche' assai prossima al minimo edittale. Tale argomento, ad
avviso della ricorrente, sarebbe errato ove solo si consideri che  la
previsione  di  cui  al  comma  5  dell'art.  187-bis   prevede   che
l'aggravamento della sanzione puo' essere fino al triplo del profitto
conseguito con l'illecito, sicche', nella specie, deve escludersi che
si sia in presenza di una sanzione prossima ai minimi. 
    3.1. - A conclusione del motivo la ricorrente formula i  seguenti
quesiti di diritto: «Dica la Suprema Corte se la sanzione  pecuniaria
pari al doppio del profitto conseguito, applicata, ai sensi dell'art.
187-bis  del  testo  unico  della  finanza,  all'insider   cosiddetto
secondario, la cui colpevolezza e' desunta soltanto  da  elementi  di
prova presuntivi e  senza  precedenti  specifici,  sia  da  ritenersi
efficace, proporzionata, dissuasiva e coerentemente  applicata,  alla
stregua  dei  principi  contenuti  nella  Direttiva  2003/6/CE.  Dica
altresi' la Suprema Corte  se  sia  rilevante  e  non  manifestamente
infondata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
187-bis TUF, per  violazione  degli  articoli  117  e  97  Cost.,  in
relazione al recepimento dei principi di efficacia, proporzionalita',
dissuasivita'  e  coerente  applicazione  di   cui   alla   Direttiva
2003/6/CE». 
    In relazione al denunciato vizio di  motivazione,  la  ricorrente
deduce, ai sensi dell'art. 366-bis codice procedura civile (nel testo
applicabile ratione temporis) che «il fatto controverso in  relazione
al  quale  la  motivazione  del  provvedimento  impugnato  si  assume
contraddittoria e'  rappresentato  dall'efficacia,  proporzionalita',
dissuasivita' e coerente applicazione della sanzione pari  al  doppio
del profitto asseritamente conseguito dall'insider cd. secondario, la
cui colpevolezza sia stata accertata  esclusivamente  sulla  base  di
elementi di prova presuntivi e senza precedenti a suo carico». 
    4. - Con il quarto motivo  la  ricorrente  lamenta  violazione  e
falsa  applicazione  dell'art.  187-sexies,  comma  2,  del   decreto
legislativo n. 58 del 1998, per avere la Corte d'appello disatteso il
principio del tempus regit actum, avendo  applicato  retroattivamente
l'istituto della confisca per equivalente - di cui all'art. 9,  comma
6, della legge n. 62  del  2005,  vale  a  dire  una  normativa  meno
favorevole per l'autore della condotta rispetto a quella  vigente  al
momento della commissione del fatto. 
    4.1. - A conclusione del motivo la ricorrente formula il seguente
quesito di  diritto:  «Dica  la  Suprema  Corte  se,  in  materia  di
depenalizzazione, la norma di cui al comma 2 dell'art. 187-sexies del
decreto legislativo n. 58/98, entrata in vigore successivamente  alla
commissione dell'illecito, trova applicazione anche se introduce  una
sanzione  nuova  (confisca  per  equivalente)  piu'  sfavorevole  per
l'autore dell'illecito rispetto alla confisca ordinaria, prevista per
la medesima condotta dalla normativa penale previgente, e se  quindi,
ai fini del giudizio sulla individuazione della norma piu' favorevole
per l'autore dell'illecito, debba essere effettuata  la  comparazione
con riferimento alte sanzioni  accessorie,  come  disciplinate  dalla
norma abrogata di cui all'art. 180, comma 5, del decreto  legislativo
n.  58/98  e  dalla  norma  di  depenalizzazione  di   cui   all'art.
187-sexies, commi 1 e 2, del medesimo decreto legislativo; e se  deve
comunque trovare applicazione il principio  di  cui  all'art.  2  del
c.p.». 
    5. - Con il quinto motivo la  Pozzi  deduce  violazione  e  falsa
applicazione dell'art. 187-sexies, comma 2, del  decreto  legislativo
n. 58 del 1998 e dell'art. 9, comma 6, della legge n.  62  del  2005,
anche in relazione agli articoli 3 e 25 Cost.; solleva  questione  di
legittimita'  costituzionale   del   combinato   disposto   dell'art.
187-sexies, comma 2,  del  decreto  legislativo  n.  58  del  1998  e
dell'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005, in  relazione  agli
articoli 3 e 25 Cost. e all'art. 117 Cost., per violazione  dell'art.
7  della  CEDU,  con  relativa  istanza  di  rimessione  alla   Corte
costituzionale ex articoli 134 Cost. e 23 della legge n. 87 del 1953. 
    La ricorrente si duole del fatto che  la  Corte  d'appello  abbia
erroneamente  ricondotto   la   confisca   applicata   dalla   CONSOB
nell'ambito delle sanzioni amministrative, in luogo di quelle penali,
atteso il suo carattere punitivo e  sanzionatorio.  Ad  avviso  della
ricorrente, infatti, la confisca per  equivalente  mancherebbe  della
finalita' di prevenzione tipica delle misure  di  sicurezza,  essendo
diretta a privare il  sanzionato  di  qualsiasi  beneficio  economico
derivante  dal  comportamento  criminoso,   aggredendo   anche   beni
manchevoli del carattere della pericolosita' e della  pertinenza  con
l'illecito stesso. A sostegno di tale assunto richiama una  pronuncia
della Corte costituzionale del 2009 e numerose pronunce delle sezioni
penali di questa Corte, anche a Sezioni  Unite,  concludendo  per  la
violazione dell'art. 7 CEDU. 
    5.1. - A conclusione del motivo la ricorrente formula i  seguenti
quesiti di diritto:  «Dica  la  Suprema  Corte  se  la  confisca  per
equivalente prevista dall'art. 187-sexies, comma 2, del  testo  unico
della    finanza    abbia    natura    penalistica     e     funzione
repressivo-punitiva.  Dica  altresi'  la   Suprema   Corte   se,   in
conseguenza della  natura  di  sanzione  penale  della  confisca  per
equivalente, quest'ultima - ai sensi dell'art. 25, comma 2, Cost. e/o
dell'art. 2 del codice penale (espressamente richiamato dall'art.  9,
comma 6,  della  legge  n.  62/2005)  -  debba  trovare  applicazione
soltanto per gli illeciti  commessi  successivamente  all'entrata  in
vigore della norma che la prevede. Dica infine la  Suprema  Corte  se
sia  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la  questione   di
illegittimita' costituzionale - per  violazione  degli  articoli  25,
comma 2, e 117, comma  1,  Cost.,  in  conseguenza  della  violazione
dell'art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo  (CEDU) -
dell'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005, se interpretato nel
senso che tutte le disposizioni previste dalla parte V, titolo I-bis,
del testo unico della finanza (e, pertanto,  anche  la  confisca  per
equivalente di cui all'art. 187-sexies, comma 2, decreto  legislativo
n. 58/98) si applichino anche alle violazioni commesse  anteriormente
alla data di entrata in vigore della stessa legge n. 62/2005». 
    6. - Con il sesto motivo la ricorrente deduce violazione e  falsa
applicazione degli articoli 187-octies,  comma  3,  lettera  d),  del
decreto legislativo n. 58 dei 1998 e 9, comma 6, della  legge  n.  62
del 2005; solleva  questione  di  illegittimita'  costituzionale  del
combinato disposto degli articoli ora richiamati, che assume violati,
in  relazione  agli  articoli  3  e  25  Cost.,  e  117  Cost.,  come
conseguenza della violazione dell'art. 7 CEDU, con  relativa  istanza
di rimessione alla Corte costituzionale ex articoli 134  Cost.  e  23
della legge n. 87 del  1953;  infine,  denuncia  violazione  e  falsa
applicazione dell'art. 187-octies, commi 3,  lettera  d),  e  5,  del
decreto legislativo n. 58 del 1998. 
    Le censure  si  riferiscono  alla  natura  di  «misura  penale  a
carattere preventivo» del sequestro  dei  beni  che  possono  formare
oggetto di confisca  ex  art.  187-sexies  TUF,  con  la  conseguente
illegittimita' della  applicazione  retroattiva  dell'istituto;  alla
illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 6, della legge n. 62
del 2005 - per violazione degli articoli 3, 25, 117 Cost. e 7 CEDU  -
che invece ne prevede la applicazione anche alle violazioni anteriori
alla sua entrata in  vigore;  all'incompetenza  dell'ufficio  che  ha
disposto l'autorizzazione del sequestro per equivalente. 
    6.1. - A conclusione del motivo la ricorrente formula i  seguenti
quesiti di diritto: «Dica la Suprema Corte se il sequestro  dei  beni
che possono formare oggetto di confisca ai sensi dell'art. 187-sexies
del testo unico della finanza, come  previsto  dall'art.  187-octies,
comma 3, lettera d) del medesimo testo  unico,  se  finalizzato  alla
confisca per equivalente prevista dall'art. 187-sexies, comma 2,  del
testo unico, abbia natura di misura penale  a  carattere  preventivo.
Dica altresi' la Suprema Corte se, in  conseguenza  della  natura  di
sanzione penale del sequestro  per  equivalente,  quest'ultimo  -  ai
sensi  dell'art.  25,  comma  2,   Cost.   e/o   dell'art.   2   c.p.
(espressamente  richiamato  dall'art.  9,  comma  6,  della legge  n.
62/2005) - debba  trovare  applicazione  soltanto  per  gli  illeciti
commessi successivamente all'entrata in vigore  della  norma  che  la
prevede. Dica  infine  la  Suprema  Corte  se  sia  rilevante  e  non
manifestamente   infondata    la    questione    di    illegittimita'
costituzionale - per violazione degli articoli 25, comma  2,  e  117,
comma 1, Cost., in conseguenza della  violazione  dell'art.  7  della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) - dell'art. 9, comma
6, della legge n. 62 del 2005, se interpretato nel senso che tutte le
disposizioni previste dalla parte V, titolo I-bis,  del  testo  unico
della finanza (e,  pertanto,  anche  il  sequestro  finalizzato  alla
confisca per equivalente di cui all'art. 187-sexies comma  2  decreto
legislativo n. 58/98) si applichino anche  alle  violazioni  commesse
anteriormente alla data di entrata in vigore della  stessa  legge  n.
62/2005». 
    Con  riferimento,  poi,   alla   questione   della   incompetenza
dell'Ufficio della Procura della Repubblica che aveva autorizzato  il
sequestro finalizzato alla confisca per  equivalente,  la  ricorrente
formula il seguente quesito di diritto: «Dica  la  Suprema  Corte  se
l'autorizzazione  al  sequestro  per  equivalente  di  cui   all'art.
187-octies,  commi  3  lettera  d)  e   5   del decreto   legislativo
n. 58/1998, debba essere disposta dall'ufficio  della  Procura  della
Repubblica del luogo di consumazione del reato, da  individuarsi  "in
quello nel quale risulti effettuata la registrazione dei  titoli  sul
conto dell'acquirente, che segna il momento del  trasferimento  della
proprieta' dei beni oggetto della compravendita",  come  statuito  da
Cass. pen. 23 febbraio 2009, n. 7769». 
    7. - Con il  settimo  motivo  di  ricorso  Ornella  Pozzi  deduce
violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della legge  n.  689  del
1981; l'illegittimita' costituzionale dell'art. 187-sexies, comma  2,
del decreto legislativo n. 58 del 1998 e dell'art. 9, comma 6,  della
legge n. 62 del 2005, per violazione dell'art. 3 Cost. e dei principi
di  ragionevolezza,  legalita'  e  irretroattivita'  delle   sanzioni
amministrative ex art. 1 della legge n. 689 del  1981,  con  relativa
istanza di rimessione alla Corte costituzionale ex articoli 134 Cost.
e 23 della legge n. 87 del 1953. 
    La  censura  si  riferisce  al  capo  della  sentenza   impugnata
concernente   l'applicazione   retroattiva   della    confisca    per
equivalente, e cio' sul presupposto della  natura  amministrativa  di
tale tipo di' confisca. In proposito, la ricorrente evidenzia come la
valutazione del legislatore  circa  l'applicabilita'  retroattiva  di
sanzioni  amministrative  e'  soggetta  a  sindacato  particolarmente
penetrante atteso che una legge  di  carattere  generale  stabilisce,
anche per tali sanzioni, il generale principio  di  irretroattivita'.
In  particolare,   il   potere   del   legislatore,   nel   caso   di
depenalizzazione di condotte trasformate in illecito  amministrativo,
incontra il limite del principio di continuita'  tra  i  due  sistemi
normativi succedutisi nel tempo, sia con  riferimento  alle  condotte
sanzionate, sia con  riferimento  alla  identita'  delle  fattispecie
sanzionabili e delle sanzioni per le stesse comminate. In tali  casi,
assume  la  ricorrente,  e'  dunque  fondamentale  il  riscontro,  in
concreto, della sovrapponibilita'  di  disciplina  tra  i  differenti
trattamenti  normativi  succedutisi  nel   tempo,   con   particolare
riferimento alla tipologia delle sanzioni  rispettivamente  previste,
essendo comunque il legislatore tenuto al rispetto del  limite  della
ragionevolezza. E, nella specie, osserva la ricorrente,  non  sarebbe
riscontrabile  alcuna  continuita'  quanto  alla   previsione   della
sanzione accessoria della  confisca,  connotandosi  la  misura  della
confisca  per  equivalente  in  termini  del  tutto   differenti,   e
maggiormente afflittivi, rispetto alla confisca  ordinaria,  che  era
prevista allorquando la condotta di insider trading  era  qualificata
come illecito penale e che continua ad  essere  applicabile  anche  a
seguito della depenalizzazione. In sostanza, osserva  la  ricorrente,
la sanzione  accessoria  della  confisca  per  equivalente  viene  ad
aggiungersi ad un apparato sanzionatorio,  introducendo  un  elemento
afflittivo imprevedibile al momento della commissione del fatto,  poi
depenalizzato. L'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del  2005,  nella
parte  in  cui  rende  applicabile  la   confisca   per   equivalente
retroattivamente, sarebbe quindi irragionevole  e  costituzionalmente
illegittimo, per violazione degli articoli 25, secondo comma, Cost. e
1 della legge n. 689 del 1981; violerebbe altresi'  l'art.  3  Cost.,
per la disparita' di trattamento riservata a soggetti che si  trovano
in situazione identica, ma il cui illecito sia stato  definitivamente
accertato prima o dopo l'intervenuta depenalizzazione. 
    7.1. - A conclusione del motivo la ricorrente propone i  seguenti
quesiti di diritto: «Dica la Suprema Corte se la deroga al  principio
di irretroattivita' della sanzione amministrativa di cui  all'art.  1
della legge n. 689 del 1981 e' legittima  e  non  viola  il  suddetto
principio di irretroattivita', quando sia verificabile, in  concreto,
la sostanziale identita' in parte qua fra le  leggi  succedutesi  nel
tempo in ordine all'identita' sia delle fattispecie applicabili,  sia
delle  sanzioni  comminate  per  la  loro  violazione,   e   se,   in
particolare,  sia  ravvisabile   tale   identicita'   di   disciplina
sanzionatoria tra i due differenti sistemi normativi succedutesi  nel
tempo all'interno  del  testo  unico  della  finanza,  posto  che  in
relazione alla condotta dell'insider secondario, la nuova  disciplina
introdotta dall'art. 187-bis  del  citato  testo  unico  prevede  una
sanzione del  tutto  nuova  (la  confisca  per  equivalente,  laddove
ritenuta  retroattivamente  applicabile)  senza  che  essa  abbia  la
funzione   di   coprire   "vuoti    punitivi"    discendenti    dalla
depenalizzazione. Dica altresi' la Suprema Corte se sia  rilevante  e
non  manifestamente  infondata   la   questione   di   illegittimita'
costituzionale del combinato disposto dell'art. 187-sexies, comma  2,
del TUF e dell'art. 9, comma 6, legge n. 62/2005, per  contrasto  con
l'art. 25 della Costituzione, se interpretato nel senso che tutte  le
disposizioni previste dalla parte V, titolo I-bis,  del  testo  unico
della finanza (e, pertanto, anche la confisca per equivalente di  cui
all'art. 187-sexies, comma 2) si  applichino  anche  alle  violazioni
commesse anteriormente alla data di entrata in  vigore  della  stessa
legge  n.  62/2005;  nonche'  per  contrasto  con  l'art.   3   della
Costituzione, stante l'irragionevolezza della scelta del  legislatore
di applicare in via retroattiva una sanzione (accessoria, nel caso di
specie) nuova (quanto a tipologia) ed estranea al previgente sistema,
e quindi non prevedibile (al tempus commissi  delicti)  dai  presunti
colpevoli». 
    8. - Con l'ottavo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa
applicazione degli articoli 187-bis, comma 5, e 187-sexies, comma  2,
del decreto legislativo  n.  58  del  1998,  anche  in  relazione  ai
principi sanciti nella direttiva 2003/6/CE del Parlamento  europeo  e
del  Consiglio;  solleva  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 187-sexies del decreto legislativo n. 58 del 1998, anche in
combinato disposto con l'art. 187-bis TUF, per  violazione  dell'art.
117 Cost., stante la falsa applicazione della direttiva  citata,  con
relativa istanza di rimessione alla Corte costituzionale ex  articoli
134 Cost. e 23 della legge n. 87 del 1953. 
    Le censure si riferiscono alla parte della sentenza impugnata che
ritiene  congrua  la   sanzione   accessoria   della   confisca   per
equivalente, che invece  parte  ricorrente  considera  inadeguata  in
quanto contrastante con  il  principio  di  proporzionalita'  tra  la
sanzione  principale  e  quella  accessoria,  tanto  piu'  che  dalla
normativa vigente non si desume in  alcun  modo  che  il  legislatore
abbia inteso  disancorare  l'entita'  della  sanzione  accessoria  da
quella della sanzione principale. 
    8.1. - A conclusione del motivo la ricorrente formula i  seguenti
quesiti di diritto: «Dica la Suprema Corte se la sanzione  accessoria
della confisca per equivalente, di cui all'art. 187-sexies, comma  2,
del testo unico  della  finanza  (TUF),  debba  essere  applicata  in
concreto  secondo   un   principio   di   proporzionalita'   rispetto
all'ammontare  della  sanzione  principale   determinata   ai   sensi
dell'art. 187-bis, comma 5, del medesimo testo unico.  Dica  altresi'
la Suprema Corte se sia rilevante e non manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli
articoli 187-bis, comma 5, e 187-sexies, comma  2,  del  testo  unico
della finanza, per contrasto con l'art. 117 Cost. in  relazione  alla
falsa applicazione della direttiva  2003/6/CE,  nella  parte  in  cui
consentono che la misura della sanzione accessoria della confisca per
equivalente sia determinata, avuto riguardo anche al valore dei  beni
usati per commettere  l'illecito,  prescindere  dall'ammontare  della
sanzione pecuniaria principale». 
    9. Con il nono motivo di ricorso la Pozzi denuncia  violazione  e
falsa applicazione dell'art. 187-bis del decreto  legislativo  n.  58
del 1998, anche in combinato disposto con l'art. 187-sexies, comma 2,
TUF,  in  relazione  all'art.  14  della  Direttiva   2003/6/CE   del
Parlamento europeo e del Consiglio; solleva questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 187-sexies del decreto legislativo n. 58 del
1998, anche  in  combinato  disposto  con  l'art.  187-bis  TUF,  per
violazione degli articoli 117, 3 e 97 Cost., in relazione alla  falsa
applicazione della Direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo  e  del
Consiglio,  con   relativa   istanza   di   rimessione   alla   Corte
costituzionale ex articoli 134 Cost. e 23 della legge n. 87 del 1953. 
    Le  censure  attengono  ancora  alla  sanzione  accessoria  della
confisca per equivalente, in riferimento  alla  quale  la  ricorrente
ritiene che  erroneamente  la  Corte  d'appello  ne  abbia  affermato
l'operativita' su un piano autonomo  e  differente  da  quello  della
sanzione principale. Per effetto di  tale  interpretazione  la  Corte
d'appello ha ritenuto legittima la sanzione accessoria della confisca
di beni per un valore di  6.352.002,00  euro,  pari  a  18  volte  il
profitto conseguito con l'illecito sanzionato. 
    9.1. - A conclusione del motivo la ricorrente formula i  seguenti
quesiti  di  diritto:  «Dica  la  Suprema  Corte  se,  in   sede   di
determinazione della sanzione dell'illecito di abuso di  informazioni
privilegiate, di cui all'art. 187-bis del testo unico della  finanza,
l'autorita'  irrogante  deve  attenersi  -  alla  stregua  di  quanto
disposto dall'art. 14 della Direttiva 2003/6/CE - anche  al  rispetto
del  criterio  della  proporzionalita'  delle  sanzioni  in  concreto
applicate, e se queste ultime devono  intendersi  come  il  complesso
delle  penalita'  amministrative  irrogate  all'insider  trader,  ivi
compresa la misura della confisca per equivalente. Dica  altresi'  la
Suprema Corte se sia rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  187-sexies  del
decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, come inserito  dall'art.
9 della legge 18 aprile 2005, n. 62  (legge  comunitaria  del  2004),
anche in combinato disposto con l'art. 187-bis  della  stessa  legge,
per violazione degli articoli 117, 3 e 97 Cost., anche  in  relazione
al recepimento della Direttiva 2003/6/CE  dei  28  gennaio  2003  del
Parlamento europeo e del Consiglio». 
    10. - La CONSOB ha resistito  con  controricorso  e  ha  proposto
altresi' ricorso incidentale, affidato a due motivi. 
    10.1. - Con il primo motivo,  la  CONSOB  denuncia  violazione  e
falsa applicazione degli articoli 19, 20, 22 e 23 della legge n.  689
del 1981, dell'art.  100  codice  procedura  civile,  degli  articoli
187-sexies, 187-septies e 187-octies del decreto  legislativo  n.  58
del 1998,  nonche'  violazione  dei  principi  generali  in  tema  di
interesse ad  agire,  legitimatio  ad  processum  e  principio  della
domanda, criticando la sentenza nel capo in cui la Corte d'appello ha
esaminato  il  motivo  di  opposizione  relativo  al  sequestro,  pur
reputandolo infondato in relazione a ciascuna  censura  sollevata  da
parte ricorrente. 
    A conclusione del motivo l'autorita' formula il seguente  quesito
di diritto: «Dica l'ecc.ma Corte di Cassazione se il provvedimento di
sequestro ex art. 187-octies comma 3, lettera d), decreto legislativo
n.  58/98  abbia  efficacia  temporalmente  limitata,  destinata   ad
estinguersi nel  caso  di  adozione  della  definitiva  misura  della
confisca ex art. 187-sexies decreto legislativo n.  58/98;  dica,  in
particolare, l'ecc.ma Corte se debba essere dichiarato  inammissibile
un motivo di opposizione esclusivamente  riferibile  al  sequestro  -
contenuto nel ricorso esperito ai  sensi  dell'art.  187-septies  del
decreto legislativo n. 58/1998 e  della  legge  n.  689/1981  avverso
l'atto con il quale la Consob  applica  la  definitiva  misura  della
confisca  ex  art.  187-sexies  -  per  carenza  di  interesse  e  di
legitimatio ad processum, in quanto  introduttivo  di  una  questione
irrilevante ai fini del decidere comeche' inidonea a  determinare  la
caducazione dell'atto impugnato; dica, dunque, l'ecc.ma Corte Suprema
se violi i principi sopra enunciati la decisione  del  giudice  della
opposizione  che  esamini  nel  merito  detto  motivo  e  se,   nella
fattispecie, tale violazione e tale vizio affliggano l'operato  della
Corte di Appello di Brescia che ha esaminato e  deciso  nel  merito -
pur reputandolo infondato in ogni sua parte - il motivo contenuto nel
primigenio  ricorso  in  opposizione  e  volto  a  censurare,   sotto
molteplici profili, la legittimita' del sequestro posto in essere nel
corso del procedimento sanzionatorio». 
    10.2. - Con il secondo motivo di ricorso incidentale,  la  CONSOB
denuncia altra violazione e falsa applicazione degli articoli 19, 20,
22 e 23 della legge n. 689 del 1981, dell'art. 100  codice  procedura
civile, degli  articoli  187-sexies,  187-septies  e  187-octies  del
decreto legislativo n. 58 del 1998, nonche' violazione  dei  principi
generali in tema di interesse ad agire, legitimatio  ad  processum  e
principio della domanda,  sostenendo  l'inammissibilita'  del  motivo
inerente il sequestro sotto  il  diverso  profilo  della  carenza  di
interesse, per la Pozzi,  nel  formulare  un  motivo  di  opposizione
avente ad oggetto vizi propri del sequestro, non idonei  a  confutare
il successivo potere, riservato in capo alla CONSOB,  di  emanare  il
provvedimento  di  confisca.  In  relazione  a  tale  motivo  vengono
formulati i seguenti quesiti di  diritto:  «Dica  l'ecc.ma  Corte  di
Cassazione  se  non  tutti  gli  eventuali  vizi  riscontrabili   nel
provvedimento di sequestro ex art. 187-octies comma  3,  lettera  d),
decreto legislativo n. 58/1998 siano idonei a  produrre  effetti  nei
confronti del provvedimento di confisca ex  art.  187-sexies  decreto
legislativo n. 58/1998;  dica,  in  particolare,  l'ecc.ma  Corte  di
cassazione se il vizio che affligge l'autorizzazione  rilasciata  dal
Procuratore della Repubblica per la emanazione dell'atto di sequestro
di cui all'art. 187-octies, comma 5, decreto legislativo n. 58/98 sia
insuscettibile di riverberarsi  sulla  validita'  e/o  efficacia  del
successivo provvedimento di confisca ex art. 187-sexies che tale atto
di sequestro assorbe; dica, ancora, l'ecc.ma Corte  se  debba  essere
dichiarato inammissibile un motivo volto alla emersione di  un  vizio
di tal fatta - contenuto nel  ricorso  esperito  ai  sensi  dell'art.
187-septies del decreto legislativo  n.  58/1998  e  della  legge  n.
689/1981 avverso l'atto con il quale la Consob applica la  definitiva
misura della confisca ex art. 187-sexies - per carenza di interesse e
di legitimatio ad processum, in quanto introduttivo di una  questione
irrilevante ai fini del decidere comeche' inidonea a  determinare  la
caducazione dell'atto impugnato; dica, dunque, l'ecc.ma Corte Suprema
se violi i principi sopra enunciati la decisione  del  giudice  della
opposizione  che  esamini  nel  merito  detto  motivo  e  se,   nella
fattispecie, tale violazione e tale vizio affliggano l'operato  della
Corte di Appello di Brescia che ha esaminato e deciso  nel  merito  -
pur reputandolo infondato - il profilo di  doglianza  afferente  alla
asseritamente illegittima autorizzazione al sequestro rilasciata  dal
Procuratore della Repubblica di Milano». 
    11. - Occorre preliminarmente esaminare la  questione  introdotta
dalla ricorrente principale con il deposito, ai sensi  dell'art.  372
codice procedura civile, della sentenza  con  la  quale  il  GUP  del
tribunale  di  Bologna  ha  dichiarato  non  luogo  a  procedere  nei
confronti di Consorte Giovanni e di  Sacchetti  Ivano  in  ordine  al
reato loro ascritto, perche' il fatto non sussiste. 
    La ricorrente principale rileva che  agli  imputati  erano  stati
contestati i reati di cui agli articoli 110, 81  cpv  codice  penale,
180, comma  1,  lettera  a),  decreto  legislativo  n.  58  del  1998
(attualmente dagli articoli 100, 81 codice penale e 184, lettera  a),
del TUF) perche', in concorso tra loro e con  piu'  azioni  esecutive
del medesimo disegno criminoso, essendo, in ragione delle  rispettive
qualita' (il Consorte, presidente e amministratore delegato di UNIPOL
s.p.a. e  di  FINSOE  s.p.a.,  principale  azionista  di  UNIPOL;  il
Sacchetti, vice presidente e  amministratore  delegato  della  UNIPOL
s.p.a.  e  della  FINSOE  s.p.a.),  in   possesso   di   informazioni
privilegiate relativamente  all'estinzione  anticipata  dei  prestiti
obbligazionari UNIPOL 2000-2005 2,25% e del prestito 2000-2005 3,75%,
e avvalendosi di tali informazioni, di cui il pubblico non disponeva,
acquistavano al M.O.T. di  Milano,  per  conto  di  UNIPOL  in  tempi
diversi e  per  il  tramite  dell'intermediario  finale  COFIMO  sim,
obbligazioni delle suddette emissioni per un controvalore complessivo
pari a euro 48.001.324,57. 
    La ricorrente sostiene, quindi, che  l'avvenuta  assoluzione  dei
due imputati perche' il fatto non  sussiste  comporterebbe  il  venir
meno dell'elemento costitutivo della fattispecie,  consistente  nella
informazione privilegiata  e,  poiche'  l'informazione  in  questione
sarebbe la stessa oggetto di contestazione nel  presente  giudizio  a
titolo di illecito  amministrativo,  ritiene  che,  per  effetto  del
principio dell'efficacia riflessa del giudicato, dovrebbe  pervenirsi
alla   cassazione   del   decreto   impugnato    per    insussistenza
dell'illecito. 
    11.1. - L'assunto della ricorrente non puo' essere condiviso  per
diverse ragioni. 
    In primo luogo osta alla configurabilita'  stessa  dell'efficacia
riflessa della sentenza emessa in un giudizio penale, la disposizione
di cui all'art. 187-duodecies del decreto legislativo n. 58 del 1998,
a norma del quale «il procedimento amministrativo di  accertamento  e
il procedimento  di  opposizione  di  cui  all'art.  187-septies  non
possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente
ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento  dipende  la
relativa definizione». Premesso che non rilevano,  nella  specie,  le
problematiche concernenti la possibilita' della applicazione  di  una
doppia sanzione - amministrativa e penale - per il medesimo  fatto  a
carico del medesimo soggetto (questione della quale questa  Corte  ha
investito la Corte costituzionale: Cass. n. 950 del 2015; Cass.  pen.
n. 1782 del 2015), la richiamata disposizione stabilisce un regime di
assoluta   autonomia   tra   procedimento   penale   e   procedimento
sanzionatorio amministrativo, sicche' risulta esclusa la possibilita'
stessa di far  valere  nel  procedimento  amministrativo  l'efficacia
della pronuncia adottata in sede penale; senza dire che, nel caso  di
specie, non ricorre neanche una situazione di opponibilita' a  CONSOB
della pronuncia adottata in sede penale in considerazione  del  fatto
che CONSOB non risulta essere stata parte di quel procedimento. 
    Osta,  inoltre,  alla  esplicazione  di  qualsivoglia   efficacia
dell'invocato giudicato nel  presente  giudizio  il  rilievo  che  le
condotte contestate in sede penale,  lungi  dall'essere  identiche  a
quelle oggetto della contestazione della  CONSOB,  sono  diverse,  in
ragione  delle  qualita'  soggettive  rivestite  dagli  imputati  nel
processo penale e dalla ricorrente nel presente giudizio. 
    Infine, la sussistenza dell'illecito deve, nel presente giudizio,
ritenersi coperta dal  giudicato.  Invero,  nessuno  dei  motivi  del
ricorso principale contesta  l'accertamento  in  fatto  svolto  dalla
Corte d'appello e la conclusione alla quale essa e' pervenuta,  circa
la natura privilegiata delle informazioni utilizzate. La  ricorrente,
invero, ha posto in discussione esclusivamente  i  profili  attinenti
all'aspetto  sanzionatorio,  dubitando   della   legittimita'   delle
sanzioni  comminategli,  sia  di  quella  pecuniaria  che  di  quella
accessoria. Cio' e' senz'altro chiaro con riguardo al  primo  motivo,
con il quale e' stata posta in discussione  la  determinazione  della
sanzione pecuniaria, censurandosi la mancata applicazione dei criteri
previsti dalla legge per la graduazione della sanzione. 
    Ma non meno chiara e' la inidoneita' del secondo motivo  a  porre
in discussione  l'accertamento  compiuto  dalla  Corte  d'appello  in
ordine alla sussistenza dell'illecito in capo all'odierna  ricorrente
principale.  La  censura,  infatti,   attiene   alla   modalita'   di
valutazione  della  condotta,  essendosi  sostenuto  che   la   Corte
d'appello  avrebbe  errato  nel  ritenere  l'esistenza  del  concorso
nell'illecito, in quanto ha valorizzato elementi  che  inducevano  ad
affermare la riferibilita' della condotta ad un solo soggetto; ma non
viene, neanche con tale motivo, censurato l'accertamento della  Corte
d'appello circa la natura privilegiata della informazione. 
    E' quindi preclusa nel presente giudizio la  possibilita'  stessa
di escludere, per l'efficacia riflessa  dell'invocato  giudicato,  la
sussistenza  dell'illecito   sanzionato.   Gli   unici   profili   in
discussione  sono  quelli  relativi  al  trattamento   sanzionatorio,
all'esame dei quali puo' ora procedersi. 
    12. - L'esame dei motivi  proposti  dalla  ricorrente  principale
richiede  che  si  prendano  in  esame  i   dubbi   di   legittimita'
costituzionale dalla stessa  prospettati  sia  con  riferimento  alla
individuazione  della  sanzione  amministrativa  pecuniaria  e   alle
modalita'  con  le  quali  il  legislatore  ha  delineato  l'apparato
sanzionatorio per le fattispecie considerate, sia con  riguardo  alla
sanzione accessoria della confisca per equivalente. 
    12.1. - Sotto il primo profilo, vengono in rilievo  le  questioni
prospettate dalla ricorrente nel terzo motivo di ricorso. In sintesi,
la  ricorrente  sostiene  che  il  sistema  sanzionatorio   delineato
dall'art. 187-bis del  decreto  legislativo  n.  58  del  1998,  come
introdotto dalla legge n. 62 del 2005, si porrebbe in  contrasto  con
alcuni principi contenuti nella direttiva in quanto  accomuna  in  un
unico  trattamento  sanzionatorio  fattispecie  diverse  di   insider
trading, cosi' non adeguandosi ai principi di proporzionalita'  della
sanzione alla gravita' della violazione e agli utili  realizzati,  di
dissuasivita' e di applicazione coerente, delle sanzioni stesse,  che
sarebbero invece  imposti  dalla  normativa  comunitaria  di  cui  la
vigente disciplina costituisce attuazione. 
    12.1.1. - L'art. 187-bis del decreto legislativo n. 58  del  1998
prevede quanto segue: «1. Salve le sanzioni penali  quando  il  fatto
costituisce  reato,  e'  punito  con   la   sanzione   amministrativa
pecuniaria da  euro  centomila  a  euro  quindici  milioni  chiunque,
essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua
qualita'  di  membro  di  organi  di  amministrazione,  direzione   o
controllo   dell'emittente,   della   partecipazione   al    capitale
dell'emittente, ovvero dell'esercizio di un'attivita' lavorativa,  di
una professione o di una funzione, anche pubblica, o di  un  ufficio:
a)  acquista,  vende  o  compie  altre  operazioni,  direttamente   o
indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi  su  strumenti
finanziari  utilizzando  le  informazioni   medesime;   b)   comunica
informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del  lavoro,
della professione, della funzione o  dell'ufficio;  c)  raccomanda  o
induce altri, sulla base di  esse,  al  compimento  di  taluna  delle
operazioni indicate nella lettera a). 2. La stessa sanzione di cui al
comma 1 si applica a chiunque essendo  in  possesso  di  informazioni
privilegiate a motivo della preparazione o  esecuzione  di  attivita'
delittuose compie taluna delle azioni di cui al medesimo comma 1.  3.
Ai fini del presente articolo per strumenti finanziari  si  intendono
anche gli strumenti finanziari di cui all'art. 1,  comma  2,  il  cui
valore dipende da uno strumento  finanziario  di  cui  all'art.  180,
comma 1, lettera a). 4. La sanzione prevista al comma  1  si  applica
anche  a  chiunque,  in  possesso   di   informazioni   privilegiate,
conoscendo o potendo conoscere in  base  ad  ordinaria  diligenza  il
carattere privilegiato delle stesse,  compie  taluno  dei  fatti  ivi
descritti. 5. Le  sanzioni  amministrative  pecuniarie  previste  dai
commi 1, 2 e 4 sono aumentate fino  al  triplo  o  fino  al  maggiore
importo  di  dieci  volte  il  prodotto  o  il  profitto   conseguito
dall'illecito quando, per le qualita' personali del colpevole  ovvero
per l'entita' del prodotto o del profitto  conseguito  dall'illecito,
esse appaiono inadeguate anche se applicate nel massimo.  6.  Per  le
fattispecie previste dal presente articolo il tentativo e' equiparato
alla consumazione». 
    12.1.2. - La Corte d'appello ha disatteso le censure  svolte  sul
punto dall'opponente, da un lato, rilevando che, poiche'  le  diverse
fattispecie considerate dall'art. 187-bis  hanno  «un  nucleo  comune
costituito  (...)  dall'operativita'  -  diretta  o  indiretta  -  su
strumenti finanziari in posizione  di  indebito  privilegio  rispetto
agli altri  soggetti  agenti  sul  mercato  mobiliare»,  risulterebbe
giustificata  l'applicazione  della  stessa  sanzione  alle   diverse
ipotesi considerate; dall'altro, osservando che la sanzione e'  stata
apprestata con una notevolissima forbice tra il minimo e il  massimo,
suscettibile di ulteriore incremento per effetto della previsione  di
cui al quinto comma, sicche' la stessa risulta strutturata in modo da
consentire  all'autorita'  amministrativa  di  tenere  conto,   nella
concreta commisurazione,  non  solo  delle  particolarita'  del  caso
concreto,  ma  anche  della   specifica   qualificazione   soggettiva
dell'autore della condotta. 
    12.1.3. - Il Collegio  ritiene  che  i  dubbi  prospettati  dalla
ricorrente principale siano manifestamente infondati. 
    E' ben vero che la formulazione legislativa presta il  fianco  al
rilievo che la determinazione della sanzione e' rimessa all'autorita'
amministrativa, mentre dalla  direttiva  comunitaria  invocata  dalla
ricorrente  e  della  quale  la  disciplina  richiamata   costituisce
attuazione si desume che  e'  il  legislatore  -  destinatario  della
direttiva - a dover prevedere sanzioni che siano  proporzionate  alla
gravita'  della  fattispecie,  sicche'  la  scelta  del   legislatore
nazionale di prevedere la medesima sanzione  per  una  pluralita'  di
illeciti che indubbiamente hanno diversi livelli di gravita' potrebbe
apparire espressione di una tecnica legislativa idonea ad  ingenerare
i prospettati dubbi. 
    Peraltro, premesso che la scelta  del  trattamento  sanzionatorio
degli  illeciti,  anche   di   quelli   amministrativi,   costituisce
espressione di discrezionalita' del legislatore, sindacabile in  sede
di legittimita' costituzionale solo nel caso in cui la scelta risulti
manifestamente irragionevole o arbitraria, e' tuttavia vero  che  non
appare  neanche  implausibile  la  risposta   offerta   dalla   Corte
d'appello, nel senso di ritenere che l'illecito di insider trading ha
un suo nucleo  essenziale,  costituito  dalla  utilizzazione  di  una
informazione privilegiata e che,  quindi,  cio'  che  il  legislatore
intende sanzionare e' l'abuso di una posizione privilegiata. Rispetto
a tale nucleo, dunque, le modalita' di acquisizione dell'informazione
contribuiscono a delineare il fatto in termini di maggiore  o  minore
gravita', apprezzabile in sede di valutazione della condotta illecita
che in concreto viene posta  in  essere,  e  cio'  puo'  giustificare
l'adozione di  una  tecnica  legislativa  che  rimette  all'autorita'
regolatrice   la    individuazione    della    sanzione    pecuniaria
amministrativa piu' adeguata alle specificita' del caso. 
    D'altra parte,  non  puo'  neanche  ritenersi  che  la  soluzione
apprestata si  ponga,  cosi'  come  sostenuto  dalla  ricorrente,  in
contrasto con la normativa comunitaria,  atteso  che  le  indicazioni
della  direttiva  non  risultano  a  tal  punto  stringenti  da   non
consentire che la scelta della sanzione da applicare per  le  singole
fattispecie di illecito sanzionate avvenga nell'ambito di una forbice
ampia, idonea a consentire di graduare la sanzione in relazione  alla
gravita'  dell'illecito.  Ed  e'  vero   altresi'   che   la   scelta
dell'autorita' amministrativa nella determinazione della sanzione  e'
soggetta al controllo da parte dell'autorita' giudiziaria in sede  di
giudizio di opposizione. 
    In proposito, si deve ricordare che «il  principio  di  legalita'
della pena, stabilito dall'art. 1 codice penale e  costituzionalmente
garantito  dall'art.  25,  secondo  comma,  Cost.,  non   impone   al
legislatore di determinare in  misura  fissa  e  rigida  la  pena  da
irrogare per ciascun tipo di reato, ma solo di predeterminare la pena
fra un minimo ed un massimo conferendosi, nel contempo, al giudice il
potere discrezionale di determinare in concreto, entro  tali  limiti,
la  sanzione  da  irrogare  al  fine  di  adeguarla  alle  specifiche
caratteristiche del caso singolo;  la  predeterminazione  legislativa
del limite minimo e massimo della pena irrogabile per ciascun tipo di
reato rappresenta,  da  un  lato,  un  limite  alla  discrezionalita'
giudiziale e, dall'altro,  costituisce  un  indispensabile  parametro
legislativo per l'esercizio di essa, senza il quale il  potere  cosi'
riconosciuto al giudice non sarebbe  riconducibile  al  principio  di
legalita'» (Corte costituzionale n. 299 del  1992).  E  se  con  tale
sentenza la Corte  costituzionale  ha  dichiarato  la  illegittimita'
costituzionale  dell'art.  122  c.p.m.p.,  in  considerazione   della
eccessivita' del divario tra  il  minimo  e  il  massimo  della  pena
edittale (da due anni a ventiquattro anni di  reclusione),  non  puo'
non  evidenziarsi  che  la  giustificazione  della  dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale consiste in cio' che quel  divario  non
trovava rispondenza nella variabilita', in termini  di  gravita'  del
reato,   delle   fattispecie   concrete   sussumibili   nella   norma
incriminatrice. 
    Ben diverso e' il caso delle fattispecie di cui all'art.  187-bis
del decreto legislativo n. 58 del 1998,  atteso  che  le  fattispecie
riconducibili  al  trattamento  sanzionatorio  ivi   delineato   sono
molteplici e diversamente rilevanti sul piano della gravita'; il  che
non consente di ravvisare la denunciata violazione del  principio  di
legalita', oltre che il contrasto con la direttiva comunitaria. Anzi,
proprio la ampiezza della  forbice  esistente  tra  il  minimo  e  il
massimo  della  sanzione  amministrativa  pecuniaria  risponde   alla
necessita' di rendere effettive e dissuasive  le  sanzioni  previste,
tenuto conto della natura delle condotte sanzionate, della  rilevanza
degli interessi coinvolti, dei benefici ritraibili dalla  commissione
dell'illecito e delle condizioni economiche dei soggetti agenti. 
    12.1.4. - Sotto altro profilo, appare decisivo il rilievo che  la
sanzione in concreto  comminata  (euro  787.000,00)  si  attesta,  in
termini  assoluti,  piuttosto  in  prossimita'  del  minimo  edittale
(100.000,00  euro)  che  non  sui   limiti   massimi,   non   essendo
condivisibile la ricostruzione prospettata dalla  ricorrente  secondo
cui la CONSOB avrebbe invece  applicato  una  sanzione  che,  essendo
ragguagliata al doppio del profitto realizzato, si porrebbe per  cio'
solo nell'ambito dell'apprezzamento della particolare gravita'  della
condotta, che giustifica l'applicazione dell'aumento di cui al  comma
5 dell'art. 187-bis. 
    La censura muove da una premessa - quella per cui il fatto che la
sanzione sia stata applicata in una misura ragguagliata  al  profitto
ricavato dalla ricorrente comporterebbe che, nel caso di specie,  sia
stata applicata la disposizione di cui al quinto comma - che  risulta
all'evidenza erronea. Invero, il minimo  edittale  e'  stabilito  dal
legislatore  in  100.000,00  euro.  La  possibilita'   di   applicare
l'aumento fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il
prodotto o il profitto conseguito dall'illecito si  verifica  quando,
per le qualita' personali del  colpevole  ovvero  per  l'entita'  del
prodotto o del profitto conseguito dall'illecito, la sanzione  appaia
inadeguata anche se applicata nel massimo.  Risulta  dunque  evidente
come il fatto che sia stata applicata una sanzione che, tra il minimo
e il massimo edittale,  certamente  si  colloca  in  prossimita'  del
minimo, anche  se  determinata  con  riferimento  al  profitto  o  al
prodotto conseguito dall'illecito, rende la questione sollevata dalla
ricorrente principale irrilevante, atteso che l'asserita mancanza  di
proporzionalita' delle sanzioni per effetto della tecnica legislativa
adottata non ha comportato alcun pregiudizio, in concreto,  ai  danni
della ricorrente stessa. 
    12.2. - Diverse sono invece le conclusioni  alle  quali  si  deve
pervenire per quanto riguarda la questione concernente l'applicazione
della confisca per equivalente nel caso di specie. 
    In   proposito,   occorre    premettere    che,    prima    della
depenalizzazione avvenuta con la legge n. 62 del 2005, il trattamento
sanzionatorio dell'illecito era previsto dal previgente art. 180  del
decreto legislativo n. 58 del 1998, e  consisteva  nella  pena  della
reclusione fino a due anni e nella multa da venti a seicento  milioni
di lire. Ai sensi del comma 5 del medesimo articolo, era previsto che
«nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle
parti a norma dell'art. 444 del codice di procedura penale, e' sempre
ordinata la confisca dei  mezzi,  anche  finanziari,  utilizzati  per
commettere il reato e dei beni  che  ne  costituiscono  il  profitto,
salvo che essi appartengano a persona estranea al reato». 
    Per effetto delle modificazioni introdotte dalla legge n. 62  del
2005,  la  disciplina  sanzionatoria  della  condotta  di  abuso   di
informazioni privilegiate, costituente  illecito  amministrativo,  e'
ora delineata dall'art. 187-bis del decreto  legislativo  n.  58  del
1998. Ai sensi dell'art. 187-sexies del medesimo decreto legislativo,
«1. L'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie  previste
dal presente capo importa sempre  la  confisca  del  prodotto  o  del
profitto dell'illecito e dei  beni  utilizzati  per  commetterlo.  2.
Qualora non sia possibile eseguire la confisca a norma del  comma  1,
la stessa puo' avere  ad  oggetto  somme  di  denaro,  beni  o  altre
utilita' di  valore  equivalente.  3.  In  nessun  caso  puo'  essere
disposta la confisca di  beni  che  non  appartengono  ad  una  delle
persone cui e' applicata la sanzione amministrativa pecuniaria». 
    In forza di quanto disposto dall'art. 9, comma 6, della legge  n.
62 del 2005, «Le disposizioni previste dalla parte V,  titolo  I-bis,
del testo unico di cui al decreto legislativo 28 febbraio 1998, n. 58
(e tra queste quella di cui all'art. 187-sexies), si applicano  anche
alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore
della presente legge che le  ha  depenalizzate,  quando  il  relativo
procedimento penale non sia stato definito. Per ogni altro effetto si
applica l'art. 2 del codice penale (...)». 
    In questo contesto normativo, la CONSOB, chiamata a  condurre  il
procedimento   amministrativo   per   effetto    della    intervenuta
depenalizzazione dei fatti oggetto del presente  giudizio,  risalenti
al 2002, ha ritenuto sussistente l'illecito amministrativo contestato
e ha applicato la sanzione amministrativa pecuniaria nella misura  di
787.000,00 euro, nonche' la sanzione accessoria  della  confisca  per
equivalente, come imposto dal citato art. 9, comma 6, della legge  n.
62 del 2005. 
    12.2.1. - In relazione alla natura di tale sanzione accessoria la
ricorrente ha  prospettato  la  illegittimita'  costituzionale  delle
disposizioni che ne impongono la applicazione anche a fatti  commessi
prima della entrata in vigore della legge  che  la  ha  prevista.  La
premessa  da  cui  muove  la  ricorrente  e'  che  la  confisca   per
equivalente abbia natura non di misura  di  sicurezza  con  finalita'
preventive, ma di misura di sicurezza con  connotati  sostanzialmente
sanzionatori afflittivi,  sicche'  la  stessa  non  potrebbe  trovare
applicazione se non con riguardo a illeciti  amministrativi  commessi
dopo la entrata in vigore della legge n. 62 del  2005;  essa  sarebbe
quindi inapplicabile nel caso di specie, in quanto i fatti contestati
sono stati commessi nel 2002. 
    La pretesa della ricorrente di affermare la  non  applicabilita',
nel caso di specie, della confisca per equivalente  di  cui  all'art.
187-sexies, trova un ostacolo letterale insuperabile nella richiamata
disposizione di cui all'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del  2005,
il quale espressamente prevede  l'applicabilita'  delle  disposizioni
della parte V, titolo I-bis, del decreto legislativo n. 58  del  1998
anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata  in
vigore della legge  che  le  ha  depenalizzate,  quando  il  relativo
procedimento penale non sia stato definito. 
    Appare  dunque  evidente  che   la   prospettata   questione   di
legittimita' costituzionale del  combinato  disposto  degli  articoli
187-sexies del decreto legislativo n. 58  del  1998  e  dell'art.  9,
comma 6, della legge  n.  62  del  2005,  non  puo'  essere  superata
attraverso una interpretazione costituzionalmente o convenzionalmente
orientata, come ipotizzato dalla ricorrente, ed e'  quindi  rilevante
ai fini della decisione che questa Corte e' chiamata ad  assumere  in
ordine ai motivi di ricorso che censurano la sentenza  impugnata  con
riferimento  alla  reiezione  dei  motivi  di  opposizione   relativi
all'applicazione,  da  parte  della  CONSOB,   della   confisca   per
equivalente. 
    12.2.2. - La questione, ad avviso  del  Collegio,  e'  anche  non
manifestamente infondata. 
    E' innanzitutto esatta la  premessa  interpretativa  dalla  quale
muove la ricorrente, e cioe' che la confisca per  equivalente  ha  un
contenuto sostanzialmente afflittivo. La giurisprudenza delle sezioni
penali di questa Corte e' univoca in tal senso con  riferimento  alle
disposizioni che prevedono la confisca per equivalente  quale  misura
applicabile a seguito della commissione  di  specifici  reati  per  i
quali la detta misura e' espressamente prevista. A partire  da  Cass.
pen., sez. II, n. 31988 del  2006,  relativa  alla  confisca  di  cui
all'art. 320-ter codice penale, trova applicazione il  principio  per
cui  «nel  caso  in  cui  il  delitto  di  truffa  aggravata  per  il
conseguimento  di  erogazioni  pubbliche  sia  costituito   da   piu'
violazioni commesse prima e dopo l'entrata in vigore della legge  che
ha  previsto  per  detto  reato  l'applicazione  della  confisca  per
equivalente,  questa  misura  puo'   riguardare   esclusivamente   le
violazioni commesse successivamente all'entrata in vigore della legge
stessa». In senso analogo, Cass. pen. n. 21566 del 2008, secondo  cui
«l'art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007,  che  ha  previsto
l'applicabilita' della confisca "per  equivalente"  di  cui  all'art.
322-ter codice penale ai reati di cui agli articoli 2, 3,  4,  5,  8,
10-bis, 10-ter, 10-quater ed 11 del decreto  legislativo  n.  74  del
2000, non opera retroattivamente, poiche' all'istituto, che  presenta
una natura del tutto peculiare, non e' estensibile la regola  dettata
dall'art. 200 codice penale,  in  forza  della  quale  le  misure  di
sicurezza sono regolate dalla legge in vigore  al  tempo  della  loro
applicazione» (in senso  conforme,  Cass.,  S.U.Pen.,  n.  18374  del
2013). 
    Orientamento,  questo,  posto  dalla   Corte   costituzionale   a
fondamento, nell'ordinanza n. 97 del  2009,  della  dichiarazione  di
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
degli articoli 200, 322-ter codice penale e 1, comma 143, della legge
24 dicembre 2007, n. 244,  censurati,  in  riferimento  all'art.  117
Cost., nella parte in cui essi  prevedono  la  confisca  obbligatoria
cosiddetta  «per  equivalente»  di  beni  di  cui  il  reo  abbia  la
disponibilita', per i reati  commessi  anteriormente  all'entrata  in
vigore della legge. In tale ordinanza, la Corte ha  rilevato  che  il
rimettente muoveva da un erroneo  presupposto  interpretativo,  posto
che  la  Corte  di  cassazione  ha  affermato  che  la  mancanza   di
pericolosita'  dei  beni  che  sono  oggetto   della   confisca   per
equivalente,   unitamente   all'assenza   di    un    «rapporto    di
pertinenzialita'»  tra  il   reato   e   detti   beni,   conferiscono
all'indicata confisca una natura «eminentemente  sanzionatoria»,  che
impedisce l'applicabilita' a tale misura patrimoniale  del  principio
generale dell'art. 200  codice  penale,  secondo  cui  le  misure  di
sicurezza sono regolate dalla legge in vigore  al  tempo  della  loro
applicazione, e possono essere, quindi, retroattive.  Nella  medesima
ordinanza si afferma che a tale  conclusione  si  giunge  sulla  base
della duplice considerazione che il secondo comma dell'art. 25  Cost.
vieta l'applicazione retroattiva di una  sanzione  penale  e  che  la
giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo ha  ritenuto
in contrasto con i principi sanciti  dall'art.  7  della  Convenzione
l'applicazione retroattiva di  una  confisca  di  beni  riconducibile
proprio ad un'ipotesi di confisca per equivalente. Sicche', anche  da
questo punto di vista, non pare dubitabile  della  natura  afflittiva
della sanzione accessoria. 
    12.2.3. - La soluzione, ad  avviso  del  Collegio,  non  muta  in
considerazione  del  fatto  che,  nella  specie,  la   confisca   per
equivalente e' prevista quale sanzione  accessoria  per  un  illecito
amministrativo. 
    Invero, da un lato, la Corte europea dei diritti dell'uomo, nella
sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e  altri,  ha  riconosciuto  il
carattere dell'afflittivita', assimilabile alla sanzione penale, alle
sanzioni amministrative pecuniarie  previste  dall'art.  187-bis  del
decreto  legislativo  n.  58   del   1998;   dall'altro,   la   Corte
costituzionale, con  riferimento  alla  applicazione  retroattiva  di
disposizioni che introducono sanzioni amministrative, ha recentemente
affermato il principio secondo il quale «tutte le misure di carattere
punitivo-affiittivo devono essere soggette alla  medesima  disciplina
della sanzione penale in senso stretto», cosi'  come  statuito  nella
sentenza n. 196 del 2010 della Corte  costituzionale,  che  ha  fatto
applicazione di quanto  asserito  dalla  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo sull'interpretazione degli articoli 6 e 7 della CEDU (Corte
cost. n. 104 del 2014). Deve quindi ritenersi  che  qualunque  misura
che non operi al solo fine di prevenire la commissione  di  illeciti,
anche amministrativi, ma abbia un contenuto punitivo-afflittivo, puo'
trovare applicazione solo qualora la legge che la  preveda  sia  gia'
entrata in vigore al tempo della commissione  del  fatto  oggetto  di
sanzione, cosi' come desumibile dall'art. 25 Cost. e,  con  specifico
riferimento agli illeciti amministrativi, dalla  disciplina  generale
prevista  dalla  legge  n.  689  del  1981,  la  quale,  all'art.  1,
stabilisce il principio generale secondo  cui  «nessuno  puo'  essere
assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di  una  legge
che sia entrata in vigore prima della commissione  della  violazione»
(Corte cost. n. 104 del 2014). 
    12.2.4.  -  La  confisca  per  equivalente   prevista   dall'art.
187-sexies del decreto  legislativo  n.  58  del  1998,  non  potendo
propriamente  essere  ricondotta  nella  categoria   della   confisca
ordinaria, di cui all'art. 20 della legge n. 689 del 1981 o di quella
disciplinata dall'art. 240 codice penale - che si caratterizzano  per
avere ad oggetto  beni  legati  all'illecito  commesso,  al  fine  di
neutralizzarne la pericolosita' -, si caratterizza per la sua  natura
afflittiva, applicandosi a beni del tutto privi di  collegamento  con
l'illecito. Essa, quindi, non puo' trovare applicazione retroattiva. 
    Orienta in tal senso anche la giurisprudenza della Corte  europea
dei diritti dell'uomo, gia' richiamata nella ordinanza n. 97 del 2009
della Corte costituzionale, prima citata. La Corte  europea,  invero,
attribuisce rilievo, ai fini della valutazione della afflittivita' di
una misura, e quindi ai  fini  della  verifica  della  sua  possibile
applicazione  retroattiva,  a  una  serie   di   indici   sintomatici
alternativamente applicabili: a) collegamento della sanzione  con  un
illecito penale; b) finalita' sottese alla previsione  della  misura;
c) gravita' della sanzione; d) qualificazione  ricoperta  all'interno
dell'ordinamento di provenienza. In base a tali indici, dunque, anche
sanzioni   che   negli   ordinamenti   interni   sono   prive   della
qualificazione di sanzione  penale,  essendo  ad  esempio  ricondotte
nella  categoria  delle  misure  di  sicurezza   o   delle   sanzioni
amministrative,  devono  essere  invece   attratte   nell'ambito   di
applicazione dell'art. 7  CEDU,  e  quindi  soggette  al  divieto  di
applicazione retroattiva. 
    12.2.5. - Accertata, dunque, la natura afflittiva della  confisca
per equivalente, la disposizione di cui all'art. 9,  comma  6,  della
legge n. 62 del 2005, che ne  impone  l'applicazione  anche  a  fatti
commessi prima della sua entrata in vigore appare  in  contrasto  con
gli articoli 3,  25,  secondo  comma,  e  117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 7 della CEDU. 
    13. Conclusivamente, va dichiarata rilevante e non manifestamente
infondata, la questione di legittimita' costituzionale degli articoli
187-sexies del decreto legislativo n. 58  del  1998  e  dell'art.  9,
comma 6, della legge n. 62 del 2005, in rifermento agli  articoli  3,
25, secondo  comma,  e  117,  primo  comma,  Cost.,  quest'ultimo  in
relazione all'art. 7 della CEDU, nella parte in cui prevedono che  la
confisca per equivalente, introdotta per gli  illeciti  di  cui  alla
parte V, titolo I-bis, del testo unico di  cui  al  medesimo  decreto
legislativo n. 58 del 1998, si applica anche alle violazioni commesse
anteriormente alla data di entrata in vigore della legge  n.  62  del
2005, che le ha depenalizzate, quando il relativo procedimento penale
non sia stato definito. 
    Ai sensi dell'art. 23 della legge 11  marzo  1953,  n.  87,  alla
dichiarazione  di  rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza   della
questione di legittimita' costituzionale, segue  la  sospensione  del
giudizio,  e  l'immediata  trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Corte, 
    Visti gli articoli 134 Cost., e 23 della legge 11 marzo 1953,  n.
87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento
agli articoli 3, 25,  secondo  comma,  e  117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 7  della  CEDU,  la  questione  di
legittimita' costituzionale degli  articoli  187-sexies  del  decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58,  introdotto  dall'art.  9  della
legge 18 aprile 2005, n. 62, e dell'art. 9, comma 6, della  legge  n.
62 del 2005, nella  parte  in  cui  prevedono  che  la  confisca  per
equivalente, introdotta per gli illeciti di cui alla parte V,  titolo
I-bis, del testo unico di cui al medesimo decreto legislativo  n.  58
del 1998, si applica anche  alle  violazioni  commesse  anteriormente
alla data di entrata in vigore della legge n. 62 del 2005, che le  ha
depenalizzate, quando il relativo procedimento penale non  sia  stato
definito; 
    Dispone la sospensione del presente giudizio; 
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
notificata  alle  parti  del  giudizio  di  cassazione,  al  pubblico
ministero presso questa Corte  e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Ordina,  altresi',   che   l'ordinanza   venga   comunicata   dal
cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; 
    Dispone l'immediata trasmissione degli  atti,  comprensivi  della
documentazione  attestante  il   perfezionamento   delle   prescritte
notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. 
    Cosi' deciso in Roma, nella camera  di  consiglio  della  Seconda
sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 5 giugno 2015. 
 
                      Il Presidente: Bucciante