N. 322 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 giugno 2015

Ordinanza del 22 giugno 2015 del Giudice dell'esecuzione di Lecce nel
procedimento penale a carico di M.A.. 
 
Esecuzione penale - Computo della custodia  cautelare  e  delle  pene
  espiate senza titolo. 
- Codice di procedura penale, artt.  657,  comma  4,  e  671;  codice
  penale, art. 81, comma secondo. 
(GU n.52 del 30-12-2015 )
 
                         TRIBUNALE DI LECCE 
           UFFICIO DEI GIUDICI PER LE INDAGINI PRELIMINARI 
                               IL G.E. 
 
    Sciogliendo la riserva  formulata  all'udienza  del  10  dicembre
2014,  nell'incidente  di  esecuzione  n.  228/2014,   proposto   dal
difensore di fiducia di M.A. nato a M.  di  Lecce  il  ........,  ivi
residente alla via ........., attualmente  detenuto  presso  la  Casa
Circondariale  di  Catanzaro,   con   istanza   volta   ad   ottenere
l'applicazione dell'istituto della fungibilita' della pena  riportata
con sentenze irrevocabili e di poi ridotta in sede esecutiva  per  la
ritenuta continuazione e, in caso di diniego, sollevando questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 657 co 4 cpp; sentito il PM 
 
                          Osserva in fatto 
 
    M.A. otteneva con  provvedimenti  del  G.I.P.  di  Lecce,  datati
06.11.2012/28.01.2014  l'applicazione  della  disciplina  del   reato
continuato tra le seguenti sentenze di condanna: 
        1. sentenza 17.09.97 G.I.P. Tribunale Lecce - irrevocabile in
data 09.04.98 - condanna anni 1 mesi 8 di reclusione - L. 800,000  (€
413,17) di multa (per il reato di violazione della legge  armi;  pena
rideterminata ex art. 671 c.p.p,  in  mesi  8  di  reclusione).  Pena
integralmente espiata in regime di detenzione domiciliare; 
        2. sentenza 27.01.2000 G.I.P. Tribunale Lecce -  irrevocabile
in data 25.09.2000 - condanna anni 1 mesi 1 giorni 10 di reclusione -
L. 400.000 (€ 206,58) di multa per il delitto di tentata  estorsione;
pena rideterminata  ex  art.  671  in  mesi  4  di  reclusione.  Pena
integralmente espiata in  regime  di  detenzione  domiciliare  ed  in
carcere; 
        3. sentenza 18.09.08 Corte Appello Lecce -  riforma  sentenza
G.I.P. 30.10.06, irrevocabile in data 15.12.09 - condanna ad anni  18
mesi 4 di reclusione per i reati  di  associazione  mafiosa,  tentato
omicidio, associazione dedita al traffico di droga e altro. Pena base
ex art. 671 c.p.p. ed art. 81 c.p.; 
        4. sentenza 04.11.09 Corte Appello Lecce -  riforma  sentenza
26.09.07, irrevocabile  in  data  24.05.11  -  condanna  anni  12  di
reclusione, rideterminata ex art. 671 c.p.p. in  anni  4  mesi  8  di
reclusione; 
        5. sentenza 26.01.12 G.I.P. Tribunale Lecce  irrevocabile  in
data 19.05.12 - violazione legge stupefacenti - condanna  mesi  2  di
reclusione ex art. 671 c.p.p. con sentenza 18.09.08. 
    Il Procuratore della Repubblica  presso  il  Tribunale  di  Lecce
procedeva al cumulo delle succitate  sentenze  di  condanna,  in  due
gruppi distinti: da un canto, "cumulava le pene espiate" pari ad anni
2 mesi 9 giorni 10 di reclusione ed € 619,75 di multa,  inflitte  con
le sentenze sub 1 e sub 2 innanzi indicate; dall'altro canto, operava
il cumulo tra le sentenze cui al punto 3 ed al punto  4,  dichiarando
condonata quella di mesi 2 di reclusione di cui al punto 5. 
    Successivamente, il P.M., dichiarava  integralmente  scontata  la
pena in relazione alle 2 sentenze comprese nel primo provvedimento di
cumulo  e,  quindi,  rideterminava  quella  complessiva  da  eseguire
relativamente  alle  sentenze  sub  3  e  4   incluse   nel   secondo
provvedimento di cumulo in anni 20 mesi 11 gg 14. 
    Ad avviso del PM, quindi, pur avendo, il condannato, espiato pena
in eccesso rispetto alle sentenze di condanna di cui ai punti 1 e  2,
tale pena non poteva essere detratta ai sensi  dell'art.  657  co.  4
c.p.p., ostandovi la data dei fatti di cui alle sentenze sub 3 e  sub
4 che e' successiva e non precedente la carcerazione sofferta  per  i
fatti sub 1 e sub 2. 
 
                             In Diritto 
 
    All'accoglimento della richiesta di scomputo  della  carcerazione
sofferta  in  eccesso  per  la  riconosciuta  continuazione  osta  la
disposizione dell'art. 657 co. 4 c.p.p., secondo cui la  carcerazione
sine titulo deve  seguire  e  non  precedere  il  reato  per  cui  e'
intervenuta condanna da espiare. 
    Nel caso in esame il reato associativo  cui  agli  artt.  416-bis
c.p. e 74 DPR n. 309/1990  nel  capo  di  imputazione  reca  la  data
dell'accertamento: - (omissis) acc. dal marzo 2004 al gennaio 2005. 
    Il reato cui alla sentenza sub 1) e' indicato come  commesso  nel
1997 e quello della sentenza sub 2) riporta l'anno 2000 come data  di
commissione. 
    Ne discende che la cronologia delle  violazioni  per  cui  mi  ha
riportato condanna e' nel senso di porre  in  epoca  successiva  alla
carcerazione sine titulo l'accertamento (ma non la  commissione)  del
reato per cui il predetto sta espiando la pena dalla quale chiede  di
detrarre quella sine titulo. 
    Cio' posto, si ritiene  che  l'eccezione  di  incostituzionalita'
dell'art. 657 co. 4 c.p.p. in relazione agli artt. 3, 13  co.  1,  27
co. 3, 24 co. 4 Costituzione,  sollevata  dalla  difesa  del  M.  sia
rilevante e non manifestamente infondata. 
 
                     Fondatezza della questione 
 
    Dopo la proposizione dell'opposizione all'ordine  di  esecuzione,
da parte di M. e' intervenuta la pronuncia della Corte  delle  Leggi,
n. 198/2014, depositata l'11 luglio 2014, pubblicata su GU 16.7.2014,
di infondatezza, di  analoga questione  sollevata  dal  Tribunale  di
Lucera, Giudice dell'Esecuzione, con ordinanza n. 233/2013. 
    Come rilevato dalla difesa di M. l'esame fundilus della  sentenza
n. 198/214 della  Corte  Costituzionale  permette  di  riproporre  la
questione sotto altri profili di diritto e di  merito  che  non  sono
stati ancora oggetto  di  considerazione  nelle  precedenti  sentenze
intervenute  riguardo  alla  norma  in  scrutinio   di   legittimita'
costituzionale. 
    Si osserva che la pronuncia della Consulta ha riguardato il  caso
di un condannato che richiedeva di detrarre dalla pena in  espiazione
in  forza  di  sentenza  divenuta  irrevocabile  nell'anno  2013,  la
custodia sofferta ingiustamente  per  reati  a  lui  addebitati  come
commessi molti anni prima e per i quali era stato,  poi,  assolto  in
sede di giudizio, con formula ampia. 
    Il GE non accoglieva la richiesta, ma  riteneva  che  il  diniego
dell'applicazione del criterio della fungibilita', nel  caso  al  suo
esame, non fosse rispettoso del principio di uguaglianza (art. 3), di
quello del favor libertatis (art. 13) e della  finalita'  rieducativa
della pena (art. 27 co. 3). 
    Inoltre, ad avviso del Giudice rimettente, - la  norma  censurata
introdurrebbe una presunzione assoluta di pericolosita' irragionevole
perche' non rispondente ad una regola di esperienza generalizzata. 
    Ad avviso del GE  di  Lucera,  quindi,  il  vulnus  ai  parametri
costituzionali si rinviene non nella presunzione in se' e per se', ma
nell'assolutezza della stessa che ne  impedisce  la  demolizione  con
elementi di segno contrario, addotti dall'interessato. 
    Si rievocavano i dicta posti a base di  recenti  decisioni  della
Corte delle Leggi concernenti la disciplina della custodia cautelare,
secondo  cui  le  presunzioni  assolute,  specie  se   raccordate   a
limitazioni dei diritti fondamentali della persona,  contrastano  con
il principio  di  uguaglianza,  se  sono  arbitrarie  e  irrazionali;
evenienza,  questa,  che  ricorre  ove  le   stesse   non   risultino
rispondenti a  dati  di  esperienza  generalizzati,  riassunti  nella
formula dell'id quod plerumque accidit. 
    In particolare, si ricordava quanto affermato dalla  Corte  delle
Leggi: "L'irragionevolezza della presunzione assoluta si coglie tutte
le volte in cui sia agevole formulare ipotesi  di  accadimenti  reali
contrari  alla  generalizzazione  posta  a  base  della   presunzione
stessa". 
    Orbene, come qui appresso si dimostrera',  per  quanto  risultino
coincidenti i parametri costituzionali sfruttati dalla difesa  di  M.
per denunciare l'illegittimita' della norma in scrutinio, le  ragioni
di fatto e  di  diritto  che  sostengono  la  denuncia  sono  affatto
differenti, in  relazione  a  quelle  enucleabili  dall'ordinanza  di
rimessione n. 233/2013 del Tribunale di Lucera,  sulle  quali  si  e'
espressa la Consulta. 
    Si puo', quindi, asserire, ragionevolmente, che  a  tali  ragioni
non  e'  data  alcuna  risposta   con   le   pronunce   della   Corte
costituzionale n. 442 del 1988 e n. 198 del 2014. 
    Ai  fini  che  qui  rilevano,  giova  premettere  che  nel   caso
contemplato dall'art. 657 co. 4 c.p.p. si  rinviene  una  presunzione
assoluta di pericolosita', nel senso che  il  legislatore  ha  inteso
escludere  la  fungibilita'  qualora  il  condannato  si  risolva   a
commettere un reato dopo la carcerazione senza titolo, come se avesse
maturato un credito di impunita'  nei  confronti  dello  Stato  e  ne
vantasse la restituzione. 
    Siffatta presunzione e' stata ritenuta  ragionevole  dalla  Corte
delle Leggi, nelle sentenze innanzi richiamate. 
    Nella sentenza n. 198/2014, si legge: 
    "Come segnala la relazione al progetto  preliminare  del  codice,
l'art. 657 cod. proc. pen. adotta un «criterio di fungibilita'» della
carcerazione subita con la pena detentiva da espiare  particolarmente
ampio, «volto a ricomprendere tutti i  periodi  di  privazione  della
liberta'    personale    comunque    sofferti     senza     effettiva
giustificazione». 
    Nel determinare la pena detentiva da eseguire  in  forza  di  una
pronuncia definitiva di condanna, il pubblico  ministero  e'  tenuto,
infatti, a computare tanto il periodo di custodia cautelare  sofferta
per lo stesso o per altro reato, anche se ancora in  corso  (comma  1
dell'art. 657 cod. proc. pen.), quanto il periodo di  pena  detentiva
espiata  senza  titolo  (s'intende,  per  altro  reato);  nel   senso
precisato dal comma 2: ossia «quando la relativa  condanna  e'  stata
revocata, quando per il reato e' stata concessa amnistia o quando  e'
stato concesso indulto, nei limiti dello stesso». 
    Tale regime di fungibilita' -  giustificato,  sempre  secondo  la
relazione al progetto preliminare, «dalla  prevalenza  del  principio
del favor libertatis cui deve essere improntata tutta la legislazione
penale» - e' suscettibile di configurare anche  una  riparazione  "in
forma specifica" per l'ingiusta privazione della liberta'  personale,
come attestano le previsioni degli artt. 314, comma 4, e  643,  comma
2,  cod.  proc.  pen.,  che  escludono   il   diritto   all'ordinaria
riparazione pecuniaria per quella parte della  custodia  cautelare  o
della detenzione che sia stata computata ai fini della determinazione
della misura di una pena". 
    La fungibilita' opera, cioe', soltanto per la custodia  cautelare
subita o le pene espiate dopo la commissione del reato per  il  quale
deve essere determinata la pena da eseguire. 
    Come, ancora, rammentato dalla  sentenza  della  Corte  Cost.  n.
198/2014, tale sbarramento temporale si giustifica alla luce  di  due
ordini di considerazioni, tra loro strettamente correlati. 
    In primo luogo - ed e' questa  la  spiegazione  tradizionale  del
divieto - esso e' imposto dall'esigenza  di  evitare  che  l'istituto
della fungibilita' si risolva in  uno  stimolo  a  commettere  reati,
trasformando il progresso periodo di carcerazione in una "riserva  di
impunita'" utilizzabile per elidere le conseguenze di futuri illeciti
penali, e che concreterebbe addirittura  una  sorta  di  "licenza  di
delinquere" quanto ai reati punibili in  misura  uguale  o  inferiore
alla  carcerazione  sofferta.  Come  puntualmente  si  afferma  nella
relazione al progetto  preliminare,  «il  recupero  della  detenzione
ingiustamente  sofferta  deve   funzionare   come   correttivo   alle
disfunzioni della macchina giudiziaria e compensazione  dell'ingiusta
carcerazione, ma non certo come incentivo alla commissione successiva
di azioni criminose». 
    In secondo luogo, poi - ma, in realta', prima ancora  -  risponde
ad una fondamentale esigenza logico-giuridica che la pena,  ancorche'
scontata nella forma anomala dell'imputazione" ad essa del periodo di
ingiusta detenzione sofferta per altro reato, debba comunque seguire,
e non gia' precedere, il fatto criminoso cui  accede  e  che  mira  a
sanzionare.  E'  questa,  infatti,   la   condizione   indispensabile
affinche'  la  pena  possa  esplicare  le  funzioni  sue  proprie,  e
particolarmente quelle di prevenzione  speciale  e  rieducativa.  Una
pena  anticipata  rispetto  al  reato,  anziche'   sconsigliarne   la
commissione, rischierebbe di  incoraggiarla  e,  d'altro  canto,  non
potrebbe in nessun caso costituire uno strumento di emenda del reo. 
    Insomma, «le  finalita'  "rieducative"  di  cui  al  terzo  comma
dell'art. 27 Cost. [...] possono aver  senso  anche  se  riferite  ad
"altro" reato ma [...] certamente non possono mai riguardare un reato
"da commettere"» (sentenza n. 442 del 1988). 
    Cio' posto, le censure che si muovono alla norma in esame colgono
nel segno, attesa la diversita' della situazione di fatto rispetto  a
quelle che gia' sono state sottoposte allo scrutinio di  legittimita'
costituzionale. 
    Mette conto osservare che,  nel  caso  in  esame,  si  invoca  la
fungibilita' riguardo a pene che sono divenute in parte  sine  titulo
percio' i reati per i quali M. ha  riportato  condanna,  in  sede  di
esecuzione, sono stati legati dal vincolo della continuazione. 
    La riconosciuta medesimezza del disegno criminoso tra il reato di
associazione mafiosa (sent. n. 3) "accertato tra marzo 2004 e gennaio
2005" e i reati di detenzione e porto illegale di armi  commessi  nel
1998 (sent. n. 1) ed il delitto di tentata estorsione  (sent.  n.  2)
commesso   nell'anno   2000,   non   puo'    non    avere    ricadute
sull'applicazione del disposto dell'art. 657 co. 4 c.p.p.. 
    Ed invero, con l'applicazione dell'art. 81 co.  2  c.p.p.  si  e'
affermato - in un  provvedimento  insuscettibile  a  modiche  perche'
ormai cosa giudicata - che a prescindere dalla data dell'accertamento
(anno 2004) la partecipazione  alla  associazione  mafiosa  cui  alla
condanna sub n. 3 e' reato commesso da - in epoca anteriore  rispetto
alla commissione di quelli delle sentenze sub n. 1 e sub n. 2. 
    E,  quindi,  si  porta  all'esame  del  Giudice  delle  Leggi  la
questione riguardo alla necessita' di far riferimento, ai fini  della
fungibilita', qualora vi sia divergenza, alla data di  commissione  e
non di accertamento del fatto per cui si e' riportata la pena da  cui
scomputare quella sine titulo ed anche la  questione  se  competa  al
Giudice dell'Esecuzione di verificare  la  data  di  commissione  del
reato, privilegiando la stessa se diverga da quella di  accertamento,
ai  fini  del  riconoscimento  della  detrazione  di  pena   per   la
fungibilita'. 
    A tal proposito, si rammenta che la Corte Suprema (Cass.  V  Sez.
19 aprile 1998, n. 1739) ha affermato il principio che si invoca  nel
caso di specie: "in tema di esecuzione, posto che l'art.  657  co.  4
c.p.p. consente la fungibilita' della custodia sofferta  sine  titulo
con la pena da espiare per altro reato separatamente giudicato solo a
condizione che quest'ultimo sia  stato  commesso  anteriormente  alla
detenzione  ingiustamente  sofferta   il   giudice   deve   accertare
rigorosamente e rendere esplicito con adeguata motivazione il momento
di commissione e non la data di accertamento del reato per  il  quale
e' stato emesso ordine di esecuzione". 
    Ne discende, quindi, un primo  profilo  di  irragionevolezza  per
violazione dell'art. 3 Cost., per disparita' di trattamento  di  casi
omologhi, laddove si intendesse lasciare al caso, ossia al momento in
cui abbia inteso il PM esercitare  l'azione  penale,  invece  che  al
momento in cui e' stato commesso il reato, cosi'  come  prescrive  la
norma  cui  all'art.  657  co.  4  c.p.p.,  il  riconoscimento  della
fungibilita'. 
    Ed infatti, se M. al pari di altri, avesse  beneficiato,  per  la
coincidenza tra data di commissione e di accertamento dei reali,  del
simultaneo processo per i fatti associativi e per i reati-fine (per i
quali ha riportato, poi, in sede esecutiva, la riduzione di pena  per
la ritenuta continuazione), non si troverebbe, oggi, ad aver scontato
una  pena  in  eccesso,  non  recuperabile  per  riparazione  o   per
fungibilita'. 
    Nelle sentenze n. 442/1988 e n. 198/2014 la Corte  costituzionale
ha evidenziato come la situazione di  chi  ha  sofferto  la  custodia
cautelare (o espiato una pena senza titolo) dopo  la  commissione  di
altro reato non sia affatto identica a quella di chi l'ha  subita  (o
espiata) anteriormente. Solo per quest'ultimo soggetto la prospettiva
di scomputare dalla pena il tempo della pregressa  carcerazione  puo'
rientrare nel calcolo che conduce alla deliberazione  criminosa;  non
per il primo, posto che «scontare, in avvenire, custodie cautelari  o
carcerazioni in esecuzione di pena non puo' in alcun modo motivare il
soggetto a delinquere» (sentenza n. 442 del 1988). 
    A cio' va aggiunto che - alla luce di quanto dianzi  osservato  -
solo in rapporto a chi ha sofferto la  detenzione  ingiusta  dopo  la
commissione del reato il meccanismo di compensazione con la  pena  da
espiare e' coerente con le funzioni proprie di quest'ultima. 
    Sicche', in conclusione, «per diverse situazioni,  dal  punto  di
vista oggettivo e soggettivo, il legislatore ha [..]  ragionevolmente
previsto diverse discipline giuridiche» (sentenza n. 442 del 1988). 
    Orbene, il problema della data di commissione e  di  accertamento
del reato e' particolarmente avvertito  nelle  fattispecie  di  reati
associativi, per natura permanenti e che,  comunque,  possono  subire
interruzioni per vicende giudiziarie e carcerazione. 
    La questione posta dalla  difesa  e'  se  sulla  carcerazione  da
espiare in relazione a reato permanente sia possibile  detrarre  pena
espiata "sine titulo" per reato commesso antecedentemente anche  alla
sua cessazione. 
    Secondo un noto  indirizzo  giurisprudenziale,  l'istituto  della
fungibilita' delle pene espiate senza titolo non  e'  applicabile  ai
reati  permanenti,  come  l'associazione  a  delinquere,  quando   la
permanenza sia cessata dopo l'espiazione senza titolo, in quanto  non
e' possibile procedere alla scomposizione della pena, trattandosi  di
una condotta antigiuridica che si protrae nel tempo. 
    Ma nel caso in esame sono configurabili  piu'  condotte  ex  art.
416-bis cp  che  hanno  subito  delle  interruzioni  per  le  vicende
giudiziarie e le piu' restrizioni subite da M, e  pero',  proprio  in
ragione della ritenuta continuazione tra il delitto di partecipazione
ad associazione mafiosa e i reati fine cui alle sentenze sub 1 e  sub
2, tutte le condotte, ascritte a M.,  risalgono  ad  un  medesimo  ed
iniziale  disegno  criminoso  e  la  partecipazione  associativa   e'
certamente anteriore alla commissione dei reati fine per i  quali  e'
divenuta sine titulo parte della detenzione patita. 
    Ed  infatti,  la  fattispecie   concreta   che   ha   determinato
l'applicazione dell'art. 81 c.p. e' la seguente. 
    Il  disegno   criminoso   e'   dato   dall'adesione   di   M.   e
all'associazione  SCU,  nel  legarsi  con  l'affectio  societatis  al
sodalizio, quale sodale del gruppo mafioso operante  su  M.  e  paesi
limitrofi, per affermarne il potere e la capacita'  di  intimidazione
sul  territorio   e   per   agevolare   il   mantenimento   in   vita
dell'associazione. 
    A tal fine, il M. entrando a far  parte  della  S.C.U.  prestava,
altresi', adesione al programma criminale del  sodalizio  mafioso  e,
nel programma  del  sodalizio,  erano  incluse  le  azioni  violente,
avvalendosi anche dell'uso delle armi, vuoi nei confronti di  persone
interne all'associazione e vuoi nei confronti di persone esterne alla
stessa. 
    Contrariamente  a  quanto  indicato  nel  capo   di   imputazione
l'ingresso, come aderente al gruppo di Tornese Mario  ed  Angelo,  di
M., risalirebbe, nella specie, agli anni novanta: di cio' si da conto
nella sentenza del G.I.P. 30.10.2006, a f. 331 e segg., laddove  sono
riportate le propalazioni accusatorie di Cerfeda Filippo  e  Pantaleo
Remo. 
    Preme ribadire che nella sentenza RINASCITA (sent. n. 3)  se,  da
un canto, e' stato affermato che l'adesione di M.  alla  SCU  -  clan
Tornese  -  risale  agli  anni  novanta  (sicche'  l'episodio   della
detenzione della mitraglietta Skorpion, dell'anno 1997, e' certamente
un  fatto  dell'associazione),  dall'altro  canto,   nella   suddetta
sentenza e' stato riconosciuto, gia', il vincolo della  continuazione
tra il delitto cui all'art. 416-bis c.p. ed il  delitto  di  porto  e
detenzione di armi. 
    La fattispecie concreta in esame, quindi, ritenuta nella sentenza
del  Giudice  della  cognizione   e   fatta   propria   dal   Giudice
dell'Esecuzione, evidenzia la commissione da parte di  M.  del  reato
associativo permanente commesso negli anni  90,  non  tempestivamente
accertato dagli Inquirenti. 
    L'arresto di M. e la sua restrizione in carcere per  l'espiazione
della pena inflittagli per le sentenze di condanna sub n. 1 e sub  n.
2 hanno interrotto la permanenza del reato associativo,  quello,  poi
accertato nel marzo 2004. 
    Ai fini che qui interessano, e'  bene  richiamare  una  pronuncia
della Corte Suprema del 1997 (Corte Cass. VI sez. n. 8851/1997), che,
anche se datata, enuncia principi confermati nel prosieguo degli anni
in tema di continuazione nelle fattispecie  di  associazione  mafiosa
(reato per il quale M. ha riportato la condanna a pena in  espiazione
con sent. n. 3). 
    Nella specie, la Corte di merito aveva negato la possibilita'  di
ricondurre ad un unico  disegno  criminoso  i  segmenti  di  condotta
punibile integranti un reato permanente come quello associativo posti
in  essere  dall'imputato  prima  e  dopo  un  evento   interruttivo,
considerata  la  normale  accidentalita'  ed   imprevedibilita'   che
caratterizza quest'ultimo. La Corte Suprema, riteneva l'affermazione,
normalmente condivisibile, invece erronea di  fronte  a  fenomeni  di
associazione criminale come  "Cosa  Nostra",  nei  quali  il  vincolo
associativo  ha  una  forza  peculiare  ed  e'  caratterizzato  dalla
pianificazione  anche   di   eventi,   normalmente   accidentali   ed
imprevedibili, come un arresto o una  condanna  ...  omissis  ...  E'
evidente, pertanto, che piu' ancora di un unico disegno criminoso nel
quale si inquadrano una pluralita' di azioni,  ciascuna  sorretta  da
una propria specifica volizione, si e' di  fronte,  da  un  punto  di
vista  fenomenologico,  ad  un'unica  condotta,  che,  assieme   alla
volonta' che la sorregge, si protrae nel tempo. Quest'unica condotta,
attraverso una fictio  iuris,  viene  considerata  interrotta  da  un
evento  quale  la  condanna.  La  fictio  iuris  indotta  dall'evento
interruttivo scinde, tuttavia,  l'unica  condotta  in  due  segmenti,
ognuno dei quali sorretto oltre che dall'elemento materiale del reato
anche  da  quello  psicologico.  Pertanto,  non   puo'   condividersi
l'affermazione della Corte di merito secondo cui l'atto volitivo  del
reo diretto alla prosecuzione dell'attivita' criminosa dopo  l'evento
interruttivo non sarebbe rilevabile sul piano fenomenico, non potendo
la relativa valutazione essere influenzata in  modo  decisivo  da  un
elemento del tutto formale quale quello rappresentato  dal  passaggio
in giudicato di una  sentenza....  omissis..  In  contrario  si  puo'
osservare che la volonta' che sorregge la  condotta  successiva  alla
condanna acquista autonoma rilevanza sul piano giuridico proprio  per
effetto  della  fictio  iuris  collegata   all'evento   interruttivo;
cosicche', seppure non sia cosi' da un punto di vista mitologico, non
puo' dubitarsi dell'esistenza, da un punto di vista giuridico, di due
distinte volizioni, entrambe riconducibili alla  volizione  iniziale.
.....omissis...Nella fattispecie si ha,  quindi,  una  inversione  di
cio' che accade normalmente nel reato  continuato,  nel  quale  reati
autonomi vengono considerati, per determinati effetti giuridici, come
un unico reato, in virtu' di una fictio iuris ispirata al favor  rei,
in considerazione del comune elemento ideativo (Cass. s.u. 10 ottobre
1981, n. 10928, C.). In questo caso, infatti, la  fictio  iuris  crea
reati autonomi, ma, una volta che cio' e' accaduto, la portata  della
autonomia non puo' essere esclusa rispetto alla  continuazione,  che,
questa volta,  ricompone  ad  unita',  sempre  solo  per  determinati
effetti, cio' che e' unico da un punto di vista ontologico, ma non da
un punto di vista giuridico.  .....omissis....ne'  si  puo'  dubitare
dell'esistenza di un unico disegno criminoso,  quando  unico  sia  il
momento  ideativo,   esteso   anche   alla   previsione   dell'evento
interruttivo, cui consegue l'autonomia della successiva condotta  per
il diritto. Del resto, sarebbe assai strano che l'applicazione di  un
istituto ispirato al favor rei, come la continuazione, fosse  esclusa
proprio quando la condotta criminosa e' unica non per  fictio  iuris,
ma  ontologicamente....omissis  In  conclusione,  il  vincolo   della
continuazione non  e'  incompatibile  con  un  reato  ontologicamente
unico, come il reato  permanente  di  associazione  di  tipo  mafioso
interrotto  da  evenienze  processuali,  quando  il  segmento   della
condotta associativa successivo all'evento interruttivo trova la  sua
spinta psicologica nel progresso accordo per il sodalizio. In  questo
caso,  l'unicita'  del  momento  ideativo,  nel  quale   sono   stati
pianificati anche eventi  che  sul  piano  giuridico  determinano  la
cessazione della permanenza,  riconduce  ad  unita'  per  determinati
effetti i segmenti della condotta associativa, distinti in virtu'  di
una fictio iuris, conseguente alla materiale necessita'  definire  la
contestazione con una sentenza e  sostenuti  in  virtu'  dell'operata
segmentazione, oltre che da un distinto elemento oggettivo, anche  da
un  distinto   elemento   soggettivo,   collegabile   alla   iniziale
ideazione". 
    Si puo', quindi, affermare che nel caso di M. il reato permanente
di associazione di tipo mafioso  commesso  negli  anni  novanta,  non
accertato all'epoca,  veniva  interrotto  da  evenienze  processuali,
quali gli intervenuti arresti ed espiazione delle pene  inflitte  per
le sentenze sub n. 1 e sub n. 2 e successivamente, il segmento  della
condotta associativa successivo all'evento  interruttivo  trovava  la
sua spinta psicologica nel pregresso accordo  per  il  sodalizio.  In
questo caso, l'unicita' del momento ideativo, nel  quale  sono  stati
pianificati anche eventi  che  sul  piano  giuridico  determinano  la
cessazione della permanenza, riconduceva ad  unita'  per  determinati
effetti i segmenti della condotta associativa. 
    Ne discende  che  deve  operarsi  il  recupero  della  detenzione
ingiustamente sofferta da M. per  una  serie  di  forti  ragioni:  il
predetto  per  mera  casualita'  non  ha  potuto  beneficiare  di  un
simultaneo processo per i reati di cui alle sentenze n. 1, 2, 3,  non
essendo stato  sottoposto  ad  indagini  da  subito  per  il  delitto
associativo;  egli  ha  commesso  il  reato  di   partecipazione   ad
associazione mafiosa - per il quale sta espiando la pena sulla  quale
richiede la detrazione per fungibilita' - prima della commissione dei
reati per i quali ha riportato le sentenze di condanna n. 1 e  n.  2;
la pena in eccesso, per il riconoscimento della continuazione tra  il
reato associativo e gli altri reati, e'  divenuta  sine  titulo,  nel
rispetto del divieto posto dall'art. 657 co. 4 c.p.p.; il recupero di
tale pena in eccesso, nel caso in esame, funziona come  correttivo  e
compensazione  dell'"ingiusta"  detenzione;  per  tale  pena  non  e'
concesso,  ex  lege,  a  M.,  di  beneficiare  degli  istituti  della
riparazione (artt. 314, 315, 571, 576, 643, 647 c.p.p.); la pregressa
custodia non ha costituito per M. un "acconto",  quasi  un  incentivo
alla commissione di (future) azioni criminose, posto che il  predetto
ha patito la stessa dopo la commissione di condotte  associative;  la
pena espiata in eccesso va recuperata per una  sorta  di  riparazione
per la disfunzione della giustizia perpetrata ai  suoi  danni.  Altre
considerazioni si impongono. 
    Da ultimo e non da meno, come evidenziato dalla difesa, emerge la
irragionevolezza (art. 3 Cost.) del disposto normativo  in  scrutinio
(art. 657 co. 4 c.p.p.), in rapporto all'art. 81 co. 2 c.p.. 
    La presunzione  di  pericolosita'  assoluta  che  costituisce  la
ratio ispiratrice dell'istituto della fungibilita'  e'  in  conflitto
con  la   presunzione   di   ridotta   pericolosita'   che   presiede
all'applicazione dell'istituto del reato continuato. 
    Il che comporta l'irragionevolezza della prima norma nei casi  in
cui riceve applicazione nel reato continuato. 
    Ed invero, il legislatore non puo', da un canto,  riconoscere  un
abbattimento di pena in quanto l'autore di reati  ha  dimostrato  una
minore pericolosita' avendo ideato  tutti  insieme  i  reati  di  poi
commessi (rispetto a chi ha agito sotto spinte occasionali  di  volta
in  volta)  e  nel  contempo  impedire  allo  stesso   di   usufruire
effettivamente della riduzione di pena in forza  di  una  presunzione
assoluta di pericolosita'  sottesa  all'istituto  della  fungibilita'
della pena. 
    Il riconoscimento del medesimo disegno criminoso ha affermato  la
ridotta pericolosita' di M. per i reati commessi e per i  quali  sono
intervenute le sentenze di condanna n. 1, 2,  3:  per  quelle  stesse
condotte  delittuose  M.  dovrebbe  essere  ritenuto  pericoloso  per
presunzione iuris et de iure in forza del disposto  di  cui  all'art.
657 co. 4 c.p.p.. 
    La preclusione posta da tale norma e  qui  censurata  viola,  per
analoghe ragioni, l'art. 13, primo comma, Costituzione. 
    La  scelta  legislativa   di   non   privilegiare,   nell'ipotesi
considerata, il «favor libertatis» non si  giustifica,  nell'esigenza
di evitare -  per  ragioni  di  difesa  sociale  e  di  tutela  della
collettivita' - che chi ha sofferto un periodo di custodia  cautelare
o di detenzione per altro reato, sia pure  indebita,  sia  indotto  a
delinquere o, comunque, rinvenga motivi "favorevoli" alla commissione
di reati nella possibilita' di sottrarsi  alle  relative  conseguenze
sanzionatone, opponendo,  in  compensazione,  un  "credito  di  pena"
precedentemente maturato: come si e' detto innanzi, per M. la data di
commissione del reato associativo - come ritenuto dal  riconoscimento
della medesimezza del disegno criminoso -  differisce  da  quella  di
accertamento dello stesso reato, precede quella di perpetrazione  dei
reati-fine e precede pure la custodia sine titulo essendo stati, tali
reati-fine, avvinti, successivamente, dal vincolo della continuazione
al reato di associazione. 
    Il che rende per M. la pena espiata senza  titolo  ingiusta,  non
giustificabile nei modi e termini previsti dalla legge  e  priva  del
fine di emenda cui la pena deve essere finalizzata. 
    Da tanto discende la violazione dell'art. 27, terzo comma, Cost.,
proprio in quanto la pena che si  ritiene  patita  ingiustamente  non
realizza  il  precetto  costituzionale   di   emenda:   la   funzione
rieducativa nel caso in esame e' in rapporto ad un reato che e' stato
commesso in  epoca  precedente  a  quella  dell'accertamento  e  tale
accertamento e' avvenuto in  ritardo  per  caso  e  non  per  ragioni
imputabili all'autore. 
    La norma, infine, si pone  in  contrasto  anche  con  l'art.  24,
quarto comma, Cost., che impone al  legislatore  di  determinare  «le
condizioni e i modi per la riparazione degli errori  giudiziari».  Il
divieto stabilito dalla disposizione denunciata rende vane,  infatti,
tali procedure riparatorie e  lo  stesso  esercizio  del  diritto  di
difesa, di per se' ancora piu' incomprimibile se volto a tutelare  la
liberta' della persona. 
 
                              Rilevanza 
 
    La questione sollevata dalla Difesa nel presente procedimento  e'
di rilievo, tenuto conto che solo  una  pronuncia  di  illegittimita'
costituzionale dell'art. 657 co. 4 c.p.p. in parte qua  e  nel  senso
precisato   in   dispositivo   potrebbe   consentire    al    Giudice
dell'Esecuzione  di  deliberare  sull'accoglibilita'  o  meno   della
richiesta di fungibilita' e di detrazione - dalla pena da  espiare  -
quella divenuta sine titulo per il riconoscimento del  vincolo  della
continuazione. 
    Gli atti vanno dunque trasmessi alla Corte costituzionale, previa
ordinanza di sospensione del processo. 
    Si chiede, alla Corte costituzionale la  pronuncia  di  ablazione
della norma censurata, nei termini di cui al dispositivo. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il G.E. visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata,  in  relazione
agli artt. 3, 13 co. 1, 27 co. 3, 24 co.  4  della  Costituzione,  la
questione relativa alla conformita' a Costituzione degli  artt.  657,
comma 4, 671 cod. proc. pen., nonche' 81 co. 2 c.p.  nella  parte  in
cui non consentono al Giudice dell'Esecuzione, una volta ritenuta  la
continuazione tra reati per i quali la pena e' espiata e reati per  i
quali e' in corso di espiazione, di verificare la data di commissione
del reato per cui e' in  corso  l'esecuzione  e,  ove  differente  ed
antecedente a quella di accertamento; nelle ipotesi di  continuazione
tra reato associativo e  reati-fine,  tenere  conto,  ai  fini  della
fungibilita'  della  custodia  espiata   sine   titulo,   quella   di
commissione. 
    Sospende  il  giudizio  in  corso  sino  all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale; 
    Dispone  che,  a  cura  della   Cancelleria,   gli   atti   siano
immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente
ordinanza  sia  notificata  alle  parti  in  causa  ed  al   Pubblico
Ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei  ministri,  e  che
sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
 
        Lecce, 18 giugno 2015 
 
                  Il G.E.: dott. Vincenzo Braucato