N. 322 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 giugno 2015
Ordinanza del 22 giugno 2015 del Giudice dell'esecuzione di Lecce nel procedimento penale a carico di M.A.. Esecuzione penale - Computo della custodia cautelare e delle pene espiate senza titolo. - Codice di procedura penale, artt. 657, comma 4, e 671; codice penale, art. 81, comma secondo.(GU n.52 del 30-12-2015 )
TRIBUNALE DI LECCE UFFICIO DEI GIUDICI PER LE INDAGINI PRELIMINARI IL G.E. Sciogliendo la riserva formulata all'udienza del 10 dicembre 2014, nell'incidente di esecuzione n. 228/2014, proposto dal difensore di fiducia di M.A. nato a M. di Lecce il ........, ivi residente alla via ........., attualmente detenuto presso la Casa Circondariale di Catanzaro, con istanza volta ad ottenere l'applicazione dell'istituto della fungibilita' della pena riportata con sentenze irrevocabili e di poi ridotta in sede esecutiva per la ritenuta continuazione e, in caso di diniego, sollevando questione di legittimita' costituzionale dell'art. 657 co 4 cpp; sentito il PM Osserva in fatto M.A. otteneva con provvedimenti del G.I.P. di Lecce, datati 06.11.2012/28.01.2014 l'applicazione della disciplina del reato continuato tra le seguenti sentenze di condanna: 1. sentenza 17.09.97 G.I.P. Tribunale Lecce - irrevocabile in data 09.04.98 - condanna anni 1 mesi 8 di reclusione - L. 800,000 (€ 413,17) di multa (per il reato di violazione della legge armi; pena rideterminata ex art. 671 c.p.p, in mesi 8 di reclusione). Pena integralmente espiata in regime di detenzione domiciliare; 2. sentenza 27.01.2000 G.I.P. Tribunale Lecce - irrevocabile in data 25.09.2000 - condanna anni 1 mesi 1 giorni 10 di reclusione - L. 400.000 (€ 206,58) di multa per il delitto di tentata estorsione; pena rideterminata ex art. 671 in mesi 4 di reclusione. Pena integralmente espiata in regime di detenzione domiciliare ed in carcere; 3. sentenza 18.09.08 Corte Appello Lecce - riforma sentenza G.I.P. 30.10.06, irrevocabile in data 15.12.09 - condanna ad anni 18 mesi 4 di reclusione per i reati di associazione mafiosa, tentato omicidio, associazione dedita al traffico di droga e altro. Pena base ex art. 671 c.p.p. ed art. 81 c.p.; 4. sentenza 04.11.09 Corte Appello Lecce - riforma sentenza 26.09.07, irrevocabile in data 24.05.11 - condanna anni 12 di reclusione, rideterminata ex art. 671 c.p.p. in anni 4 mesi 8 di reclusione; 5. sentenza 26.01.12 G.I.P. Tribunale Lecce irrevocabile in data 19.05.12 - violazione legge stupefacenti - condanna mesi 2 di reclusione ex art. 671 c.p.p. con sentenza 18.09.08. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecce procedeva al cumulo delle succitate sentenze di condanna, in due gruppi distinti: da un canto, "cumulava le pene espiate" pari ad anni 2 mesi 9 giorni 10 di reclusione ed € 619,75 di multa, inflitte con le sentenze sub 1 e sub 2 innanzi indicate; dall'altro canto, operava il cumulo tra le sentenze cui al punto 3 ed al punto 4, dichiarando condonata quella di mesi 2 di reclusione di cui al punto 5. Successivamente, il P.M., dichiarava integralmente scontata la pena in relazione alle 2 sentenze comprese nel primo provvedimento di cumulo e, quindi, rideterminava quella complessiva da eseguire relativamente alle sentenze sub 3 e 4 incluse nel secondo provvedimento di cumulo in anni 20 mesi 11 gg 14. Ad avviso del PM, quindi, pur avendo, il condannato, espiato pena in eccesso rispetto alle sentenze di condanna di cui ai punti 1 e 2, tale pena non poteva essere detratta ai sensi dell'art. 657 co. 4 c.p.p., ostandovi la data dei fatti di cui alle sentenze sub 3 e sub 4 che e' successiva e non precedente la carcerazione sofferta per i fatti sub 1 e sub 2. In Diritto All'accoglimento della richiesta di scomputo della carcerazione sofferta in eccesso per la riconosciuta continuazione osta la disposizione dell'art. 657 co. 4 c.p.p., secondo cui la carcerazione sine titulo deve seguire e non precedere il reato per cui e' intervenuta condanna da espiare. Nel caso in esame il reato associativo cui agli artt. 416-bis c.p. e 74 DPR n. 309/1990 nel capo di imputazione reca la data dell'accertamento: - (omissis) acc. dal marzo 2004 al gennaio 2005. Il reato cui alla sentenza sub 1) e' indicato come commesso nel 1997 e quello della sentenza sub 2) riporta l'anno 2000 come data di commissione. Ne discende che la cronologia delle violazioni per cui mi ha riportato condanna e' nel senso di porre in epoca successiva alla carcerazione sine titulo l'accertamento (ma non la commissione) del reato per cui il predetto sta espiando la pena dalla quale chiede di detrarre quella sine titulo. Cio' posto, si ritiene che l'eccezione di incostituzionalita' dell'art. 657 co. 4 c.p.p. in relazione agli artt. 3, 13 co. 1, 27 co. 3, 24 co. 4 Costituzione, sollevata dalla difesa del M. sia rilevante e non manifestamente infondata. Fondatezza della questione Dopo la proposizione dell'opposizione all'ordine di esecuzione, da parte di M. e' intervenuta la pronuncia della Corte delle Leggi, n. 198/2014, depositata l'11 luglio 2014, pubblicata su GU 16.7.2014, di infondatezza, di analoga questione sollevata dal Tribunale di Lucera, Giudice dell'Esecuzione, con ordinanza n. 233/2013. Come rilevato dalla difesa di M. l'esame fundilus della sentenza n. 198/214 della Corte Costituzionale permette di riproporre la questione sotto altri profili di diritto e di merito che non sono stati ancora oggetto di considerazione nelle precedenti sentenze intervenute riguardo alla norma in scrutinio di legittimita' costituzionale. Si osserva che la pronuncia della Consulta ha riguardato il caso di un condannato che richiedeva di detrarre dalla pena in espiazione in forza di sentenza divenuta irrevocabile nell'anno 2013, la custodia sofferta ingiustamente per reati a lui addebitati come commessi molti anni prima e per i quali era stato, poi, assolto in sede di giudizio, con formula ampia. Il GE non accoglieva la richiesta, ma riteneva che il diniego dell'applicazione del criterio della fungibilita', nel caso al suo esame, non fosse rispettoso del principio di uguaglianza (art. 3), di quello del favor libertatis (art. 13) e della finalita' rieducativa della pena (art. 27 co. 3). Inoltre, ad avviso del Giudice rimettente, - la norma censurata introdurrebbe una presunzione assoluta di pericolosita' irragionevole perche' non rispondente ad una regola di esperienza generalizzata. Ad avviso del GE di Lucera, quindi, il vulnus ai parametri costituzionali si rinviene non nella presunzione in se' e per se', ma nell'assolutezza della stessa che ne impedisce la demolizione con elementi di segno contrario, addotti dall'interessato. Si rievocavano i dicta posti a base di recenti decisioni della Corte delle Leggi concernenti la disciplina della custodia cautelare, secondo cui le presunzioni assolute, specie se raccordate a limitazioni dei diritti fondamentali della persona, contrastano con il principio di uguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali; evenienza, questa, che ricorre ove le stesse non risultino rispondenti a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell'id quod plerumque accidit. In particolare, si ricordava quanto affermato dalla Corte delle Leggi: "L'irragionevolezza della presunzione assoluta si coglie tutte le volte in cui sia agevole formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa". Orbene, come qui appresso si dimostrera', per quanto risultino coincidenti i parametri costituzionali sfruttati dalla difesa di M. per denunciare l'illegittimita' della norma in scrutinio, le ragioni di fatto e di diritto che sostengono la denuncia sono affatto differenti, in relazione a quelle enucleabili dall'ordinanza di rimessione n. 233/2013 del Tribunale di Lucera, sulle quali si e' espressa la Consulta. Si puo', quindi, asserire, ragionevolmente, che a tali ragioni non e' data alcuna risposta con le pronunce della Corte costituzionale n. 442 del 1988 e n. 198 del 2014. Ai fini che qui rilevano, giova premettere che nel caso contemplato dall'art. 657 co. 4 c.p.p. si rinviene una presunzione assoluta di pericolosita', nel senso che il legislatore ha inteso escludere la fungibilita' qualora il condannato si risolva a commettere un reato dopo la carcerazione senza titolo, come se avesse maturato un credito di impunita' nei confronti dello Stato e ne vantasse la restituzione. Siffatta presunzione e' stata ritenuta ragionevole dalla Corte delle Leggi, nelle sentenze innanzi richiamate. Nella sentenza n. 198/2014, si legge: "Come segnala la relazione al progetto preliminare del codice, l'art. 657 cod. proc. pen. adotta un «criterio di fungibilita'» della carcerazione subita con la pena detentiva da espiare particolarmente ampio, «volto a ricomprendere tutti i periodi di privazione della liberta' personale comunque sofferti senza effettiva giustificazione». Nel determinare la pena detentiva da eseguire in forza di una pronuncia definitiva di condanna, il pubblico ministero e' tenuto, infatti, a computare tanto il periodo di custodia cautelare sofferta per lo stesso o per altro reato, anche se ancora in corso (comma 1 dell'art. 657 cod. proc. pen.), quanto il periodo di pena detentiva espiata senza titolo (s'intende, per altro reato); nel senso precisato dal comma 2: ossia «quando la relativa condanna e' stata revocata, quando per il reato e' stata concessa amnistia o quando e' stato concesso indulto, nei limiti dello stesso». Tale regime di fungibilita' - giustificato, sempre secondo la relazione al progetto preliminare, «dalla prevalenza del principio del favor libertatis cui deve essere improntata tutta la legislazione penale» - e' suscettibile di configurare anche una riparazione "in forma specifica" per l'ingiusta privazione della liberta' personale, come attestano le previsioni degli artt. 314, comma 4, e 643, comma 2, cod. proc. pen., che escludono il diritto all'ordinaria riparazione pecuniaria per quella parte della custodia cautelare o della detenzione che sia stata computata ai fini della determinazione della misura di una pena". La fungibilita' opera, cioe', soltanto per la custodia cautelare subita o le pene espiate dopo la commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire. Come, ancora, rammentato dalla sentenza della Corte Cost. n. 198/2014, tale sbarramento temporale si giustifica alla luce di due ordini di considerazioni, tra loro strettamente correlati. In primo luogo - ed e' questa la spiegazione tradizionale del divieto - esso e' imposto dall'esigenza di evitare che l'istituto della fungibilita' si risolva in uno stimolo a commettere reati, trasformando il progresso periodo di carcerazione in una "riserva di impunita'" utilizzabile per elidere le conseguenze di futuri illeciti penali, e che concreterebbe addirittura una sorta di "licenza di delinquere" quanto ai reati punibili in misura uguale o inferiore alla carcerazione sofferta. Come puntualmente si afferma nella relazione al progetto preliminare, «il recupero della detenzione ingiustamente sofferta deve funzionare come correttivo alle disfunzioni della macchina giudiziaria e compensazione dell'ingiusta carcerazione, ma non certo come incentivo alla commissione successiva di azioni criminose». In secondo luogo, poi - ma, in realta', prima ancora - risponde ad una fondamentale esigenza logico-giuridica che la pena, ancorche' scontata nella forma anomala dell'imputazione" ad essa del periodo di ingiusta detenzione sofferta per altro reato, debba comunque seguire, e non gia' precedere, il fatto criminoso cui accede e che mira a sanzionare. E' questa, infatti, la condizione indispensabile affinche' la pena possa esplicare le funzioni sue proprie, e particolarmente quelle di prevenzione speciale e rieducativa. Una pena anticipata rispetto al reato, anziche' sconsigliarne la commissione, rischierebbe di incoraggiarla e, d'altro canto, non potrebbe in nessun caso costituire uno strumento di emenda del reo. Insomma, «le finalita' "rieducative" di cui al terzo comma dell'art. 27 Cost. [...] possono aver senso anche se riferite ad "altro" reato ma [...] certamente non possono mai riguardare un reato "da commettere"» (sentenza n. 442 del 1988). Cio' posto, le censure che si muovono alla norma in esame colgono nel segno, attesa la diversita' della situazione di fatto rispetto a quelle che gia' sono state sottoposte allo scrutinio di legittimita' costituzionale. Mette conto osservare che, nel caso in esame, si invoca la fungibilita' riguardo a pene che sono divenute in parte sine titulo percio' i reati per i quali M. ha riportato condanna, in sede di esecuzione, sono stati legati dal vincolo della continuazione. La riconosciuta medesimezza del disegno criminoso tra il reato di associazione mafiosa (sent. n. 3) "accertato tra marzo 2004 e gennaio 2005" e i reati di detenzione e porto illegale di armi commessi nel 1998 (sent. n. 1) ed il delitto di tentata estorsione (sent. n. 2) commesso nell'anno 2000, non puo' non avere ricadute sull'applicazione del disposto dell'art. 657 co. 4 c.p.p.. Ed invero, con l'applicazione dell'art. 81 co. 2 c.p.p. si e' affermato - in un provvedimento insuscettibile a modiche perche' ormai cosa giudicata - che a prescindere dalla data dell'accertamento (anno 2004) la partecipazione alla associazione mafiosa cui alla condanna sub n. 3 e' reato commesso da - in epoca anteriore rispetto alla commissione di quelli delle sentenze sub n. 1 e sub n. 2. E, quindi, si porta all'esame del Giudice delle Leggi la questione riguardo alla necessita' di far riferimento, ai fini della fungibilita', qualora vi sia divergenza, alla data di commissione e non di accertamento del fatto per cui si e' riportata la pena da cui scomputare quella sine titulo ed anche la questione se competa al Giudice dell'Esecuzione di verificare la data di commissione del reato, privilegiando la stessa se diverga da quella di accertamento, ai fini del riconoscimento della detrazione di pena per la fungibilita'. A tal proposito, si rammenta che la Corte Suprema (Cass. V Sez. 19 aprile 1998, n. 1739) ha affermato il principio che si invoca nel caso di specie: "in tema di esecuzione, posto che l'art. 657 co. 4 c.p.p. consente la fungibilita' della custodia sofferta sine titulo con la pena da espiare per altro reato separatamente giudicato solo a condizione che quest'ultimo sia stato commesso anteriormente alla detenzione ingiustamente sofferta il giudice deve accertare rigorosamente e rendere esplicito con adeguata motivazione il momento di commissione e non la data di accertamento del reato per il quale e' stato emesso ordine di esecuzione". Ne discende, quindi, un primo profilo di irragionevolezza per violazione dell'art. 3 Cost., per disparita' di trattamento di casi omologhi, laddove si intendesse lasciare al caso, ossia al momento in cui abbia inteso il PM esercitare l'azione penale, invece che al momento in cui e' stato commesso il reato, cosi' come prescrive la norma cui all'art. 657 co. 4 c.p.p., il riconoscimento della fungibilita'. Ed infatti, se M. al pari di altri, avesse beneficiato, per la coincidenza tra data di commissione e di accertamento dei reali, del simultaneo processo per i fatti associativi e per i reati-fine (per i quali ha riportato, poi, in sede esecutiva, la riduzione di pena per la ritenuta continuazione), non si troverebbe, oggi, ad aver scontato una pena in eccesso, non recuperabile per riparazione o per fungibilita'. Nelle sentenze n. 442/1988 e n. 198/2014 la Corte costituzionale ha evidenziato come la situazione di chi ha sofferto la custodia cautelare (o espiato una pena senza titolo) dopo la commissione di altro reato non sia affatto identica a quella di chi l'ha subita (o espiata) anteriormente. Solo per quest'ultimo soggetto la prospettiva di scomputare dalla pena il tempo della pregressa carcerazione puo' rientrare nel calcolo che conduce alla deliberazione criminosa; non per il primo, posto che «scontare, in avvenire, custodie cautelari o carcerazioni in esecuzione di pena non puo' in alcun modo motivare il soggetto a delinquere» (sentenza n. 442 del 1988). A cio' va aggiunto che - alla luce di quanto dianzi osservato - solo in rapporto a chi ha sofferto la detenzione ingiusta dopo la commissione del reato il meccanismo di compensazione con la pena da espiare e' coerente con le funzioni proprie di quest'ultima. Sicche', in conclusione, «per diverse situazioni, dal punto di vista oggettivo e soggettivo, il legislatore ha [..] ragionevolmente previsto diverse discipline giuridiche» (sentenza n. 442 del 1988). Orbene, il problema della data di commissione e di accertamento del reato e' particolarmente avvertito nelle fattispecie di reati associativi, per natura permanenti e che, comunque, possono subire interruzioni per vicende giudiziarie e carcerazione. La questione posta dalla difesa e' se sulla carcerazione da espiare in relazione a reato permanente sia possibile detrarre pena espiata "sine titulo" per reato commesso antecedentemente anche alla sua cessazione. Secondo un noto indirizzo giurisprudenziale, l'istituto della fungibilita' delle pene espiate senza titolo non e' applicabile ai reati permanenti, come l'associazione a delinquere, quando la permanenza sia cessata dopo l'espiazione senza titolo, in quanto non e' possibile procedere alla scomposizione della pena, trattandosi di una condotta antigiuridica che si protrae nel tempo. Ma nel caso in esame sono configurabili piu' condotte ex art. 416-bis cp che hanno subito delle interruzioni per le vicende giudiziarie e le piu' restrizioni subite da M, e pero', proprio in ragione della ritenuta continuazione tra il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa e i reati fine cui alle sentenze sub 1 e sub 2, tutte le condotte, ascritte a M., risalgono ad un medesimo ed iniziale disegno criminoso e la partecipazione associativa e' certamente anteriore alla commissione dei reati fine per i quali e' divenuta sine titulo parte della detenzione patita. Ed infatti, la fattispecie concreta che ha determinato l'applicazione dell'art. 81 c.p. e' la seguente. Il disegno criminoso e' dato dall'adesione di M. e all'associazione SCU, nel legarsi con l'affectio societatis al sodalizio, quale sodale del gruppo mafioso operante su M. e paesi limitrofi, per affermarne il potere e la capacita' di intimidazione sul territorio e per agevolare il mantenimento in vita dell'associazione. A tal fine, il M. entrando a far parte della S.C.U. prestava, altresi', adesione al programma criminale del sodalizio mafioso e, nel programma del sodalizio, erano incluse le azioni violente, avvalendosi anche dell'uso delle armi, vuoi nei confronti di persone interne all'associazione e vuoi nei confronti di persone esterne alla stessa. Contrariamente a quanto indicato nel capo di imputazione l'ingresso, come aderente al gruppo di Tornese Mario ed Angelo, di M., risalirebbe, nella specie, agli anni novanta: di cio' si da conto nella sentenza del G.I.P. 30.10.2006, a f. 331 e segg., laddove sono riportate le propalazioni accusatorie di Cerfeda Filippo e Pantaleo Remo. Preme ribadire che nella sentenza RINASCITA (sent. n. 3) se, da un canto, e' stato affermato che l'adesione di M. alla SCU - clan Tornese - risale agli anni novanta (sicche' l'episodio della detenzione della mitraglietta Skorpion, dell'anno 1997, e' certamente un fatto dell'associazione), dall'altro canto, nella suddetta sentenza e' stato riconosciuto, gia', il vincolo della continuazione tra il delitto cui all'art. 416-bis c.p. ed il delitto di porto e detenzione di armi. La fattispecie concreta in esame, quindi, ritenuta nella sentenza del Giudice della cognizione e fatta propria dal Giudice dell'Esecuzione, evidenzia la commissione da parte di M. del reato associativo permanente commesso negli anni 90, non tempestivamente accertato dagli Inquirenti. L'arresto di M. e la sua restrizione in carcere per l'espiazione della pena inflittagli per le sentenze di condanna sub n. 1 e sub n. 2 hanno interrotto la permanenza del reato associativo, quello, poi accertato nel marzo 2004. Ai fini che qui interessano, e' bene richiamare una pronuncia della Corte Suprema del 1997 (Corte Cass. VI sez. n. 8851/1997), che, anche se datata, enuncia principi confermati nel prosieguo degli anni in tema di continuazione nelle fattispecie di associazione mafiosa (reato per il quale M. ha riportato la condanna a pena in espiazione con sent. n. 3). Nella specie, la Corte di merito aveva negato la possibilita' di ricondurre ad un unico disegno criminoso i segmenti di condotta punibile integranti un reato permanente come quello associativo posti in essere dall'imputato prima e dopo un evento interruttivo, considerata la normale accidentalita' ed imprevedibilita' che caratterizza quest'ultimo. La Corte Suprema, riteneva l'affermazione, normalmente condivisibile, invece erronea di fronte a fenomeni di associazione criminale come "Cosa Nostra", nei quali il vincolo associativo ha una forza peculiare ed e' caratterizzato dalla pianificazione anche di eventi, normalmente accidentali ed imprevedibili, come un arresto o una condanna ... omissis ... E' evidente, pertanto, che piu' ancora di un unico disegno criminoso nel quale si inquadrano una pluralita' di azioni, ciascuna sorretta da una propria specifica volizione, si e' di fronte, da un punto di vista fenomenologico, ad un'unica condotta, che, assieme alla volonta' che la sorregge, si protrae nel tempo. Quest'unica condotta, attraverso una fictio iuris, viene considerata interrotta da un evento quale la condanna. La fictio iuris indotta dall'evento interruttivo scinde, tuttavia, l'unica condotta in due segmenti, ognuno dei quali sorretto oltre che dall'elemento materiale del reato anche da quello psicologico. Pertanto, non puo' condividersi l'affermazione della Corte di merito secondo cui l'atto volitivo del reo diretto alla prosecuzione dell'attivita' criminosa dopo l'evento interruttivo non sarebbe rilevabile sul piano fenomenico, non potendo la relativa valutazione essere influenzata in modo decisivo da un elemento del tutto formale quale quello rappresentato dal passaggio in giudicato di una sentenza.... omissis.. In contrario si puo' osservare che la volonta' che sorregge la condotta successiva alla condanna acquista autonoma rilevanza sul piano giuridico proprio per effetto della fictio iuris collegata all'evento interruttivo; cosicche', seppure non sia cosi' da un punto di vista mitologico, non puo' dubitarsi dell'esistenza, da un punto di vista giuridico, di due distinte volizioni, entrambe riconducibili alla volizione iniziale. .....omissis...Nella fattispecie si ha, quindi, una inversione di cio' che accade normalmente nel reato continuato, nel quale reati autonomi vengono considerati, per determinati effetti giuridici, come un unico reato, in virtu' di una fictio iuris ispirata al favor rei, in considerazione del comune elemento ideativo (Cass. s.u. 10 ottobre 1981, n. 10928, C.). In questo caso, infatti, la fictio iuris crea reati autonomi, ma, una volta che cio' e' accaduto, la portata della autonomia non puo' essere esclusa rispetto alla continuazione, che, questa volta, ricompone ad unita', sempre solo per determinati effetti, cio' che e' unico da un punto di vista ontologico, ma non da un punto di vista giuridico. .....omissis....ne' si puo' dubitare dell'esistenza di un unico disegno criminoso, quando unico sia il momento ideativo, esteso anche alla previsione dell'evento interruttivo, cui consegue l'autonomia della successiva condotta per il diritto. Del resto, sarebbe assai strano che l'applicazione di un istituto ispirato al favor rei, come la continuazione, fosse esclusa proprio quando la condotta criminosa e' unica non per fictio iuris, ma ontologicamente....omissis In conclusione, il vincolo della continuazione non e' incompatibile con un reato ontologicamente unico, come il reato permanente di associazione di tipo mafioso interrotto da evenienze processuali, quando il segmento della condotta associativa successivo all'evento interruttivo trova la sua spinta psicologica nel progresso accordo per il sodalizio. In questo caso, l'unicita' del momento ideativo, nel quale sono stati pianificati anche eventi che sul piano giuridico determinano la cessazione della permanenza, riconduce ad unita' per determinati effetti i segmenti della condotta associativa, distinti in virtu' di una fictio iuris, conseguente alla materiale necessita' definire la contestazione con una sentenza e sostenuti in virtu' dell'operata segmentazione, oltre che da un distinto elemento oggettivo, anche da un distinto elemento soggettivo, collegabile alla iniziale ideazione". Si puo', quindi, affermare che nel caso di M. il reato permanente di associazione di tipo mafioso commesso negli anni novanta, non accertato all'epoca, veniva interrotto da evenienze processuali, quali gli intervenuti arresti ed espiazione delle pene inflitte per le sentenze sub n. 1 e sub n. 2 e successivamente, il segmento della condotta associativa successivo all'evento interruttivo trovava la sua spinta psicologica nel pregresso accordo per il sodalizio. In questo caso, l'unicita' del momento ideativo, nel quale sono stati pianificati anche eventi che sul piano giuridico determinano la cessazione della permanenza, riconduceva ad unita' per determinati effetti i segmenti della condotta associativa. Ne discende che deve operarsi il recupero della detenzione ingiustamente sofferta da M. per una serie di forti ragioni: il predetto per mera casualita' non ha potuto beneficiare di un simultaneo processo per i reati di cui alle sentenze n. 1, 2, 3, non essendo stato sottoposto ad indagini da subito per il delitto associativo; egli ha commesso il reato di partecipazione ad associazione mafiosa - per il quale sta espiando la pena sulla quale richiede la detrazione per fungibilita' - prima della commissione dei reati per i quali ha riportato le sentenze di condanna n. 1 e n. 2; la pena in eccesso, per il riconoscimento della continuazione tra il reato associativo e gli altri reati, e' divenuta sine titulo, nel rispetto del divieto posto dall'art. 657 co. 4 c.p.p.; il recupero di tale pena in eccesso, nel caso in esame, funziona come correttivo e compensazione dell'"ingiusta" detenzione; per tale pena non e' concesso, ex lege, a M., di beneficiare degli istituti della riparazione (artt. 314, 315, 571, 576, 643, 647 c.p.p.); la pregressa custodia non ha costituito per M. un "acconto", quasi un incentivo alla commissione di (future) azioni criminose, posto che il predetto ha patito la stessa dopo la commissione di condotte associative; la pena espiata in eccesso va recuperata per una sorta di riparazione per la disfunzione della giustizia perpetrata ai suoi danni. Altre considerazioni si impongono. Da ultimo e non da meno, come evidenziato dalla difesa, emerge la irragionevolezza (art. 3 Cost.) del disposto normativo in scrutinio (art. 657 co. 4 c.p.p.), in rapporto all'art. 81 co. 2 c.p.. La presunzione di pericolosita' assoluta che costituisce la ratio ispiratrice dell'istituto della fungibilita' e' in conflitto con la presunzione di ridotta pericolosita' che presiede all'applicazione dell'istituto del reato continuato. Il che comporta l'irragionevolezza della prima norma nei casi in cui riceve applicazione nel reato continuato. Ed invero, il legislatore non puo', da un canto, riconoscere un abbattimento di pena in quanto l'autore di reati ha dimostrato una minore pericolosita' avendo ideato tutti insieme i reati di poi commessi (rispetto a chi ha agito sotto spinte occasionali di volta in volta) e nel contempo impedire allo stesso di usufruire effettivamente della riduzione di pena in forza di una presunzione assoluta di pericolosita' sottesa all'istituto della fungibilita' della pena. Il riconoscimento del medesimo disegno criminoso ha affermato la ridotta pericolosita' di M. per i reati commessi e per i quali sono intervenute le sentenze di condanna n. 1, 2, 3: per quelle stesse condotte delittuose M. dovrebbe essere ritenuto pericoloso per presunzione iuris et de iure in forza del disposto di cui all'art. 657 co. 4 c.p.p.. La preclusione posta da tale norma e qui censurata viola, per analoghe ragioni, l'art. 13, primo comma, Costituzione. La scelta legislativa di non privilegiare, nell'ipotesi considerata, il «favor libertatis» non si giustifica, nell'esigenza di evitare - per ragioni di difesa sociale e di tutela della collettivita' - che chi ha sofferto un periodo di custodia cautelare o di detenzione per altro reato, sia pure indebita, sia indotto a delinquere o, comunque, rinvenga motivi "favorevoli" alla commissione di reati nella possibilita' di sottrarsi alle relative conseguenze sanzionatone, opponendo, in compensazione, un "credito di pena" precedentemente maturato: come si e' detto innanzi, per M. la data di commissione del reato associativo - come ritenuto dal riconoscimento della medesimezza del disegno criminoso - differisce da quella di accertamento dello stesso reato, precede quella di perpetrazione dei reati-fine e precede pure la custodia sine titulo essendo stati, tali reati-fine, avvinti, successivamente, dal vincolo della continuazione al reato di associazione. Il che rende per M. la pena espiata senza titolo ingiusta, non giustificabile nei modi e termini previsti dalla legge e priva del fine di emenda cui la pena deve essere finalizzata. Da tanto discende la violazione dell'art. 27, terzo comma, Cost., proprio in quanto la pena che si ritiene patita ingiustamente non realizza il precetto costituzionale di emenda: la funzione rieducativa nel caso in esame e' in rapporto ad un reato che e' stato commesso in epoca precedente a quella dell'accertamento e tale accertamento e' avvenuto in ritardo per caso e non per ragioni imputabili all'autore. La norma, infine, si pone in contrasto anche con l'art. 24, quarto comma, Cost., che impone al legislatore di determinare «le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari». Il divieto stabilito dalla disposizione denunciata rende vane, infatti, tali procedure riparatorie e lo stesso esercizio del diritto di difesa, di per se' ancora piu' incomprimibile se volto a tutelare la liberta' della persona. Rilevanza La questione sollevata dalla Difesa nel presente procedimento e' di rilievo, tenuto conto che solo una pronuncia di illegittimita' costituzionale dell'art. 657 co. 4 c.p.p. in parte qua e nel senso precisato in dispositivo potrebbe consentire al Giudice dell'Esecuzione di deliberare sull'accoglibilita' o meno della richiesta di fungibilita' e di detrazione - dalla pena da espiare - quella divenuta sine titulo per il riconoscimento del vincolo della continuazione. Gli atti vanno dunque trasmessi alla Corte costituzionale, previa ordinanza di sospensione del processo. Si chiede, alla Corte costituzionale la pronuncia di ablazione della norma censurata, nei termini di cui al dispositivo.
P.Q.M. Il G.E. visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 13 co. 1, 27 co. 3, 24 co. 4 della Costituzione, la questione relativa alla conformita' a Costituzione degli artt. 657, comma 4, 671 cod. proc. pen., nonche' 81 co. 2 c.p. nella parte in cui non consentono al Giudice dell'Esecuzione, una volta ritenuta la continuazione tra reati per i quali la pena e' espiata e reati per i quali e' in corso di espiazione, di verificare la data di commissione del reato per cui e' in corso l'esecuzione e, ove differente ed antecedente a quella di accertamento; nelle ipotesi di continuazione tra reato associativo e reati-fine, tenere conto, ai fini della fungibilita' della custodia espiata sine titulo, quella di commissione. Sospende il giudizio in corso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale; Dispone che, a cura della Cancelleria, gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Pubblico Ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri, e che sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Lecce, 18 giugno 2015 Il G.E.: dott. Vincenzo Braucato