N. 339 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 settembre 2015
Ordinanza del 18 settembre 2015 della Corte d'appello di Milano nel procedimento penale a carico di D.B.C.. Reati e pene - Frode all'IVA - Prescrizione - Obbligo per il giudice, in applicazione dell'art. 325 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea (TFUE), come interpretato dalla Corte di giustizia europea (sentenza 8 settembre 2015, causa C-105/14, Taricco) di disapplicare gli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., anche nel caso in cui dalla disapplicazione discendano effetti sfavorevoli per l'imputato, per il prolungamento del termine di prescrizione. - Legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunita' europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007), art. 2.(GU n.2 del 13-1-2016 )
CORTE DI APPELLO DI MILANO (Sezione Seconda Penale) La Corte d'appello, riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei sigg. magistrati: dott. Marco Maiga - Presidente; dott. Enrico Scarlini - consigliere; dott. Concetta Locurto - consigliere est. Ha pronunciato la seguente ordinanza ex art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87 di rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130 di Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunita' europea, e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007, nel procedimento n. 6421/14 R.G.A. nei confronti di: D. B. C., S. M. A., S. P., R. A., C. R., R. L., A. L., D. G. M., C. F., V. G., B. P., S. C., L. R., imputati (cfr. capi di imputazione allegati, fogli 1-50). Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del Tribunale di Milano in data 14 gennaio 2014 i sopra indicati imputati, nelle vesti e con i ruoli dettagliatamente descritti nei capi di imputazione allegati (quali amministratori di diritto o di fatto delle numerose societa' ivi indicate), sono stati ritenuti colpevoli dei reati di cui all'art. 416 commi 1 e 2 c.p. (associazione per delinquere volta a commettere piu' delitti di emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, occultamento e/o distruzione delle scritture contabili, omessa dichiarazione e di truffa aggravata in danno dell'Erario: capo 1), dei reati fiscali di cui agli artt. 2, 5, 8 e 10 decreto legislativo n. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante fatture per operazioni inesistenti, omessa presentazione di dichiarazione, emissione di fatture per operazioni inesistenti, occultamento o distruzione di scritture contabili: capi 2bis, 4, 5, 7, 8, 13, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 24, 28, 28bis, 33, 34, 36, 37, 39, 40, 42, 44, 48) e dei reati di cui agli artt. 61 n. 7, 640 comma 2 c.p. (truffe aggravate ai danni dello Stato (capi 32, 35, 38, 41, 43) loro rispettivamente ascritti e, esclusa l'aggravante contestata al capo 1 di imputazione nonche' l'aggravante di cui all'art. 4 legge n. 146/2006, esclusa quanto a B. P. la contestata recidiva, unificati i reati per ciascun imputato sotto il vincolo della continuazione, condannati: 1. D. B. C. alla pena di anni otto di reclusione, per: reato associativo di cui al capo 1) (art. 416 comma 1 c.p., nella veste di promotore e organizzatore); reati fiscali di cui ai capi 2bis), 4), 5), 7), 8), 33), 34), 36), 37), 39), 40), 42), 44); truffe aggravate contestate ai capi 32), 35), 38), 41), 43). 2. S. M. A. alla pena di anni otto e mesi due di reclusione per: reato associativo di cui al capo 1) (art. 416 comma 1 c.p. nella veste di promotore e organizzatore); reati fiscali di cui ai capi 2bis), 4), 5), 7), 2), 24, 33), 34), 36), 37), 39), 40), 42), 44); truffe aggravate contestate ai capi 32), 35), 38), 41), 43). 3. S. P. alla pena di anni due e mesi sette di reclusione per: reato associativo di cui al capo 1: (art. 416 comma 2 c.p. nella veste di partecipe); reati fiscali di cui ai capi 28 e 28 bis). 4. R. A. alla pena di anni due e mesi due di reclusione, per: reati fiscali di cui ai capi 28 e 28 bis). 5. O. R. alla pena di anni quattro di reclusione, per: reato associativo di cui al capo 1) (art. 416 comma 2 c.p. nella veste di partecipe); reati fiscali di cui al capi 17), 18), 19), 20), 21), 22), 28) e 28 bis); 6. R. L. alla pena di anni due e mesi cinque di reclusione, per: reati fiscali di cui ai capi 4), 5) e 24) (ritenuta la recidiva reiterata infraquinquennale). 7. A. L. alla pena di anni uno e mesi nove di reclusione, per: reati fiscali di cui ai capi 13) e 16) (ritenuta la recidiva reiterata). 8. D. G. M. alla pena di anni uno e mesi tre di reclusione per: reati fiscali di cui ai capi 7), 8). 9. C. F. alla pena di anni uno di reclusione per: reato fiscale di cui al capo 42) (ritenuta la recidiva reiterata). 10. V. G. alla pena di anni uno e mesi dieci di reclusione, per: reati fiscali di cui ai capi 33 e capo 34 (ritenuta la recidiva reiterata infraquinquennale). 11. B. P. alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed euro 1.300,00 di multa per: reati fiscali di cui ai capi 36), 37); truffe aggravate contestate al capo 35). 12. S. C. alla pena di anni otto e mesi due di reclusione per: reato associativo di cui al capo 1) (art. 416 comma 1 c.p. nella veste di promotore e organizzatore); reati fiscali di cui ai capi 2bis), 4), 5), 7), 8), 24, 33), 34), 36), 37), 39), 40), 42), 44); truffe aggravate contestate ai capi 32), 35), 38), 41), 43). 13. L. R. alla pena di anni sei e mesi dieci di reclusione per: reato associativo di cui capo 1) (art. 416 comma 1 c.p. nella veste di partecipe); reati fiscali di cui ai capi 4), 5), 7), 8), 20), 21), 22), 33), 34), 36), 37), 39), 40), 42), 44), 48); truffe aggravate contestate ai capi 32), 35), 38), 41), 43). Con la medesima sentenza, il Tribunale ha condannato i suddetti imputati al pagamento delle spese processuali e alle pene accessorie, ex art. 29 e 32 c.p. ed ex art. 12 decreto legislativo n. 74/2000. Ha altresi' disposto la confisca della documentazione in sequestro, dichiarato non doversi procedere nei confronti di D. B. S. M. A. S. C. e L. R. in ordine ai reati di cui ai capi 2, 3 e 6 per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione e assolto D. B. C., S. M. A., L. R. e S. C. dal reato loro ascritto al capo 45) dell'imputazione perche' il fatto non sussiste. 2. Le imputazioni hanno a oggetto uno dei piu' diffusi sistemi di frode all'IVA, meglio noto con il nome di «frode carosello», realizzato sfruttando le agevolazioni normative previste nel caso di cessioni tra i paesi dell'Unione Europea. Come illustrato nella sentenza appellata, il procedimento trae origine da una verifica fiscale condotta nel corso del 2007 presso la societa' RAYTECH TECHNOLOGY srl con sede in Mozzate (CO); grazie ai successivi sviluppi investigativi (coinvolgenti il monitoraggio delle utenze telefoniche e indagini documentali e bancarie, anche mediante rogatoria in Svizzera, in relazione ai conti correnti accesi presso il Credit Suisse delle societa' di diritto panamense «DANVILLE CORP» e «VIATOR INVESTMENT INC.), emergeva la sussistenza del sodalizio criminoso descritto al capo 1) di imputazione, operante nel capoluogo lombardo, finalizzato alla commissione di reati fiscali e di truffe aggravate ai danni dello Stato attraverso la commercializzazione di materiale informatico: reati commessi tramite l'impiego di numerosi schermi societari fittizi di carattere sia comunitario che nazionale e l'emissione di falsi documenti ed implicanti l'evasione di imposte dirette e indirette (segnatamente l'IVA) per milioni di euro negli anni dal 2005 al 2007. Nella ricostruzione accusatoria, fatta propria dalla sentenza di primo grado, l'associazione per delinquere - promossa e organizzata da D. B. C., S. C. e S. M. A. (oltre che da A. P. giudicato separatamente) - fondava il suo meccanismo operativo su un sistema di societa' «cartiere» nazionali ed estere appositamente create al fine di operare acquisti intracomunitari in regime di esenzione IVA. Attraverso tale rete criminale veniva offerta al cliente finale nazionale la possibilita' di ricevere materiale informatico ad un prezzo notevolmente ribassato rispetto ai prezzi normalmente praticati nel mercato per prodotti analoghi per tipologia, specie e quantita'. Acquistando senza assolvimento dell'IVA, infatti, la societa' «cartiera» aveva modo di fatturare all'operatore commerciale, reale acquirente, a un prezzo pari o di poco superiore a quello di acquisto e l'apparente antieconomicita' di tale cessione veniva controbilanciata dal fatto che la cartiera non provvedeva mai a versare l'IVA all'erario. Sulla base delle risultanze probatorie, in coerenza rispetto alle imputazioni contestate, il Tribunale individua una pluralita' di societa' cartiere appositamente costituite per realizzare frodi carosello comunitarie, differenziandone l'operativita', in base alla tipologia della merce venduta, in due segmenti temporali: in una prima fase, riconducibile agli anni 2005-2006, la societa' di diritto svizzero AVION TRADE SA, ma fiscalmente domiciliata in Austria, cede alle cartiere di primo livello PROMEM srl, CAST srl e AMBRO TEL Srl grossi quantitativi di materiale informatico realmente esistente che poi viene ceduto alle societa' cartiere: D.P.I. srl, KORES srl, NEXDATA srl, MAGITEK srl, INFORMATIC srl, WEBIT srl, MAGIK STORE srl, CUBICA snc, EXIM srl, DEC srl, MAIHOMU srl, SUNTECH srl, INDOITALY srl. Anche TARGET srl (riferibile ai fratelli S.) e RAYTECH spa (di fatto gestita da R. C. per il tramite di P. S. Presidente del CdA) si inseriscono in questa filiera di operazioni negoziali in qualita' di acquirenti e, al pari delle cartiere, operano la rivendita della merce a societa' reali, che cosi' conseguono la disponibilita' di prodotti informatici a prezzi notevolmente inferiori rispetto a quelli normalmente praticati sul mercato nazionale. In questa prima fase, caratterizzata dall'emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, trova spazio il meccanismo di frode all'IVA noto con il nome di «frode carosello», realizzato strumentalizzando a fini illeciti la normativa sugli acquisti intracomunitari (che consente al soggetto che acquista da un soggetto comunitario di compensare IVA a debito e IVA in detrazione, salvo applicare l'IVA in occasione della successiva rivendita in ambito nazionale), attraverso l'interposizione di un soggetto che acquisti fittiziamente dal fornitore comunitario e rivenda ai reale compratore, cosi' assumendosi l'integrale debito d'imposta. L'effettivo acquirente si trova in tal modo ad utilizzare fatture alle quali e' applicata l'IVA e ad assumere il correlativo diritto alla detrazione; gli importi pari all'IVA, formalmente versata dal reale acquirente all'interposto, non vengono tuttavia corrisposti all'Erario, ma «spartiti» tra i due interessati: di regola, infatti, il soggetto interposto non presenta alcuna dichiarazione, ovvero pur presentandola, non provvede al relativo versamento. Tale circuito illecito determina un duplice vantaggio per il cliente finale, il quale acquista a un prezzo inferiore rispetto a quello di mercato e matura un indebito credito IVA, scaricando gli obblighi fiscali connessi al proprio debito di imposta sulla cartiera nazionale, che non provvedera' mai ad onorare tale debito; nella seconda fase, negli anni 2006-2007, l'operativita' illecita si svolge secondo un duplice schema: per un verso, proseguono le plurime vendite di prodotti informatici reali da parte delle societa' comunitarie ASAP-TRADING, SIEWERT UND KAU COMPUTER, ELECTRONUICS PRODUCTS LTD, CLIPPER INTERNATIONAL alle cartiere filtro NEXDATA srl, ECOTECH srl, AMBROTEL srl, MORGAN srl; anche in questo caso le cartiere rivendono ad altre cartiere (es. EXIM srl), che successivamente rivendono ad altre cartiere o direttamente a clienti nazionali a prezzi vantaggiosi, in quanto inferiori ai correnti prezzi di mercato; per altro verso, vengono concluse una serie di vendite comunitarie, per il tramite di cartiere nazionali, di prodotti informatici (cd semiconduttori ASTRA) privi di qualsivoglia utilita' e valore, artificiosamente immessi nel mercato attraverso le informazioni fatte circolare via Internet, senza alcun contatto con la merce. Nella sequenza delle operazioni commerciali, riconducibili temporalmente al periodo compreso tra il 10 maggio 2006 e il 30 agosto 2006, i semiconduttori ASTRA, dopo essere stati venduti dalle societa' comunitarie AVION TRADE SA e TAMLEX TRADING Itd avente sede legale in Cipro (facenti entrambe capo a D. B. alle cartiere ECOTECH srl, NIPPON HOUSING srl e QUADRIFOGLIO srl, vengono da queste ultime ceduti alla prima cartiera filtro EXIM srl, la quale ne effettua un'ulteriore cessione in favore della seconda cartiera filtro CUBICA srl. A questo punto, la merce, all'apparenza regolare, viene venduta da CUBICA srl a societa' nazionali che, del tutto ignare della reale consistenza del bene commercializzato, ne operano l'acquisto come «trader», in quanto certe della successiva immediata rivendita a societa' mostratesi interessate all'acquisto di tale tipologia di prodotti. Il circuito di vendita, perfettamente circolare, si chiude con il riacquisto della merce da parte delle originarie cedenti. Tali vendite cartolari tra societa' estere e nazionali avvengono sfruttando sempre il regime di esenzione IVA e consentono alle societa' che all'interno di tali filiere commerciali si presentano quali originarie cedenti ed ultime cessionarie (AVION e TAMLEX societa' comunitarie facenti capo agli stessi soggetti), di lucrare sulla differenza tra il prezzo finale di acquisto e l'originario prezzo di vendita, cosi' incamerando anche la somma corrispondente all'IVA che le cartiere appositamente create per il buon esito dell'operazione fraudolenta non hanno mai versato. I ruoli dei singoli imputati all'interno dell'associazione vengono ricostruiti nella sentenza di primo grado come di seguito sinteticamente esposto: C. D. B. viene riconosciuto promotore ed organizzatore del sodalizio criminale: quale amministratore (dapprima di diritto, dopo il 27.9.2006 di fatto) e dominus esclusivo della societa' AVION INTERTRADE, amministratore di fatto della TAMLEX ed altresi' delle cartiere PROMEM, CAST, AMBROTEL, NEXDATA, ECOTECH, EXIM, NIPPON, QUADRIFOGLIO - asservite alle finalita' del gruppo ed impiegate nelle frodi fiscali realizzate proprio mediante l'utilizzo di AVION e TAMLEX - egli viene ritenuto responsabile di avere coordinato e gestito l'attivita' dell'associazione delittuosa, pianificandone le strategie e conseguendo enormi vantaggi economici dalla sua operativita'; M. S. e' ritenuto promotore e organizzatore del sodalizio per aver operato sia in veste di A.U. della IT TRADE SA e sia quale amministratore di fatto di TARGET, PROMEM, CAST, AMBROTEL, NEXDATA, ECOTECH, EXIM, NIPPON HOUSING, QUADRIFOGLIO. C. S. e' considerato responsabile con l'identico ruolo operativo del fratello (promotore e organizzatore). P. S. e' ritenuta partecipe, in forza della carica di presidente del C. di A. rivestita nella societa' RAYTECH S.p.A., implicata in tutti i meccanismi di frode praticati dal sodalizio criminale (la societa' commercializzava, in breve tempo, materiali elettronici ed informatici provenienti dalla Unione Europea attraverso la societa' cartiera AMBROTEL). R. C. e' ritenuto partecipe per essere stato amministratore di fatto delle societa' RAYTECH, SUNTECH ed INDOITALY. R. L. e' ritenuto partecipe per avere ricoperto la carica di amministratore di diritto della AMBROTEL srl e di amministratore di fatto delle cartiere-filtro PROMEM, CAST, NEXDATA, ECOTECH, EXIM, NIPPON HOUSING e QUADRIFOGLIO. Quanto ai numerosi reati-fine dell'associazione per delinquere, si tratta di: reati fiscali di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, omessa presentazione di dichiarazione, emissione di fatture per operazioni inesistenti, occultamento o distruzione di scritture contabili contestati ai capi 2, 2bis, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 13, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 24, 28, 28bis, 33, 34, 36, 37, 39, 40, 42, 44, 48: delitti mediante i quali, secondo quanto accertato dal Tribunale, sarebbe stata realizzata l'evasione di imposte (dirette e indirette) di ammontare ingente, per milioni .di euro, e sarebbero state cancellate le tracce documentali delle operazioni fraudolente (cio', in particolare, per l'occultamento e la sottrazione della documentazione contabile integrante il reato di cui all'art. 10 decreto legislativo n. 74/2000); truffe aggravate ai danni dello Stato contestate ai capi 32, 35, 38, 41, 43, configurate per il capzioso innesco di transazioni solo apparentemente corredate da un concreto effetto traslativo, aventi ad oggetto merce, priva di valore, che e' tornata sempre all'originario fornitore, consentendogli di lucrare della differenza tra il prezzo ricevuto per il pagamento della merce da parte del cliente nazionale reale e quello pagato dal fornitore comunitario al momento del relativo riacquisto (grazie anche al «risparmio» dell'IVA, non versata, incassata dalle cartiere). In ordine a tali reati, fatta eccezione che per quelli contestati ai capi 2), 3) e 6 (dichiarati estinti per intervenuta prescrizione) e al capo 45 (per cui non reputa raggiunta la prova della sussistenza del fatto), il Tribunale ritiene provata la responsabilita' penale degli imputati per tutti i reati loro rispettivamente ascritti, nella qualita' di rappresentanti legali o amministratori di fatto indicate nei capi d'imputazione. 3. Gli imputati D. B. C., S. M. A., S. P., F. A., C. P., R. L., A. L., D. G. M., C. F., V. G., B. P., S. C. e L. R. hanno proposto appello avverso la sentenza di condanna pronunziata in primo grado. i motivi d'appello investono tutti, in via principale e nel merito, l'affermazione di responsabilita' penale per i fatti-reato per cui e' intervenuta condanna, per quali si chiede l'assoluzione degli imputati, in riforma della sentenza di primo grado. Le difese contestano - con diversi argomenti, a seconda delle posizioni rappresentate - la sussistenza di prove idonee a dimostrare la configurabilita' degli elementi oggettivi e soggettivi dei delitti in questione, il concorso degli imputati nella loro commissione, la qualifica attribuita in seno al ritenuto reato associativo, la configurabilita' giuridica delle truffe ai danni dello Stato. Per le posizioni di S. A. e S. C. sono state altresi' proposte - in via preliminare - questioni di nullita' della sentenza di primo grado in conseguenza della eccepita nullita' della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto che dispone il giudizio. 4. Dopo la pronunzia di sentenza di condanna in primo grado sono venuti a scadenza i termini massimi previsti, nonostante le interruzioni, per l'estinzione per prescrizione della quasi totalita' dei reati contestati, secondo quanto previsto dagli artt. 157, 160 e 161 c.p. e 17 decreto legislativo n. 74/2000, quest'ultimo nella formulazione vigente prima della aggiunta del comma 1-bis, disposta con decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, conv. con modificazioni nella legge 14 settembre 2011 n. 148. Il comma 1-bis dell'art. 17 cit. - con cui i termini di prescrizione per i reati previsti dagli articoli da 2 a 10 del decreto legislativo n. 74/2000 sono elevati di un terzo - e' stato infatti introdotto con legge entrata in vigore successivamente alla commissione dei reati contestati e, quindi, e' inapplicabile nella fattispecie - alla luce dei consolidati orientamenti giurisprudenziali di seguito richiamati - in ragione della natura giuridica sostanziale delle norme in materia di prescrizione e della estensione alle stesse del vincolo intertemporale dell'art. 25 comma 2 Cost. e della norma di cui all'art. 2 comma 2 c.p. Rispetto alle contestazioni oggetto di censura e rimesse all'esame di questa Corte d'Appello, la situazione e' la seguente: il delitto di associazione per delinquere e' punito dall'art. 416 c.p. con la reclusione fino a 7 anni per gli organizzatori dell'associazione e fino a 5 anni per il mero partecipe; tutti i reati fiscali sono puniti dal decreto-legge n. 74/2000 con la reclusione non superiore a 6 anni di reclusione; il delitto di truffa e' punito dall'art. 640 c.p, con pena fino 3 anni di reclusione; per nessuno dei reati attribuiti agii imputati rientra fra quelli elencati nei commi 3-bis e quater dell'art. 51 c.p.p.; per nessuno dei reati sono contestate e ritenute circostanze ad effetto speciale, idonee a determinare un allungamento dei termini prescrizionali ex art. 157 comma 2 c.p.; eccetto che per R. L. e V. G. (per i quali e' stata contestata e ritenuta la recidiva reiterata infraquinquennale) e per A. L e C. F. (per i quali e' stata contestata e ritenuta la recidiva reiterata), a nessuno degli imputati sono state contestate la recidiva o le condizioni per la dichiarazione di delinquenza abituale e professionale (ex artt. 99, 102, 103 e 105 del codice penale). Considerato, quindi, che per gli organizzatori e promotori dell'associazione per delinquere il termine di prescrizione e' di 7 anni mentre per tutti gli altri e' di 6 anni; considerate le date di commissione dei reati; considerato altresi' che - nonostante le interruzioni (l'ultima delle quali e' costituita dalla sentenza di condanna in data 14.1.2014) e in assenza di cause di sospensione della prescrizione - per tutti gli imputati cui non e' stata contestata la recidiva il termine non puo' essere prorogato oltre i 7 anni e 6 mesi dal fatto oppure (per l'organizzazione dell'associazione per delinquere) oltre gli 8 anni e 9 mesi; tutto quanto sopra considerato, in applicazione delle norme di cui agli artt. 157-161 c.p. i reati oggetto delle imputazioni su cui questa Corte e' chiamata a decidere sarebbero, ad oggi, tutti prescritti (1) , ad eccezione dei seguenti: reato di cui all'art. 416 comma 1 c.p, attribuito al capo 1 a D. B C., S. M. S. C., in qualita' di promotori e organizzatori dell'associazione per delinquere (reato commesso da gennaio 2015 a luglio 2007; termine di prescrizione pari a 8 anni e 9 mesi in scadenza nel marzo 2016); reato di cui all'art. 2 decreto legislativo n. 74/2000, limitatamente alla dichiarazione fraudolenta per l'anno 2007, attribuito al capo 28 a S. P., R. A., C. R. (il reato di cui al capo 28 concerne la violazione dell'art. 2 decreto legislativo n. 74/2000 in relazione all'utilizzo da parte di RAYTECH di F.O.I. emesse da AMBROTEL, ATRO, IRIDE, negli anni 2005-2006-2007; le date di consumazione coincidono con quelle di presentazione delle dichiarazioni fraudolente, rispettivamente il 30.10.2006 per l'anno 2005, il 28.9.2007 per l'anno 2006, il 26.9.2008 per l'anno 2007; per quest'ultimo reato il termine di prescrizione verrebbe a scadenza il 24 marzo 2016); reati agli artt. 10 e 5 decreto legislativo n. 74/2000 contestati a R. L. ai capi 4, 5 e 24 (per effetto della recidiva reiterata infraquinquennale); reati di cui all'art. 5 decreto legislativo n. 74/2000 contestati a A.L. ai capi 13 e 16 (per effetto della recidiva reiterata); reato di cui all'art. 10 decreto legislativo n. 74/2000 contestato a C. F. al capo 42 (per effetto della recidiva reiterata); reato di cui agli artt. 10 e 5 decreto legislativo n. 74/2000 contestati a V. G. ai capi 33 e 34 (per effetto della recidiva reiterata infraquinquennale); reato di cui all'art. 10 decreto legislativo n. 74/2000 contestato a L. R. al capo 48 (la distruzione e/o occultamento della documentazione sociale obbligatoria risulta accertata in data 7 maggio 2008; il termine di anni 7 e mesi 6 di prescrizione verrebbe quindi a scadenza il 7.11.2015). Ritenuto in diritto 1. E' rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130, con cui viene ordinata l'esecuzione del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea, come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (TFUE), nella parte che impone di applicare la disposizione di cui all'art. 325 §§ 1 e 2 TFUE dalla quale - nell'interpretazione fornitane dalla Corte di Giustizia nella sentenza in data 8.9.2015, causa C - 105/14, Taricco - discende l'obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli artt. 160 ult. comma e 161 comma 2 c.p. in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, anche nel caso in cui dalla disapplicazione discendano effetti sfavorevoli per l'imputato, in ragione del contrasto di tale norma con l'art. 25, secondo comma, Cost, 2. La Corte di Giustizia (Grande Sezione), pronunziandosi a seguito di rinvio pregiudiziale proposto, ai sensi dell'art. 267 TFUE, dal GIP del Tribunale di Cuneo con ordinanza del 17 gennaio 2014, in un procedimento penale riguardante reati in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA) del tutto analoghi a quelli per cui qui si procede, ha statuito - con la citata sentenza resa in data 8.9.2015 - che una normativa nazionale in materia di prescrizione del reato come quella stabilita dal combinato disposto dell'art. 160, ultimo comma, del codice penale, come modificato dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, e dell'art. 161 di tale codice - normativa che prevede che l'atto interruttivo verificatosi nell'ambito di procedimenti penali riguardanti frodi gravi in materia di imposta sul valore aggiunto comporti il prolungamento del termine di prescrizione di solo un quarto della sua durata iniziale - e' idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agii Stati membri dall'art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE nell'ipotesi in cui detta normativa nazionale impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di' casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea, o in cui preveda, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione piu' lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea, circostanze che spetta al giudice nazionale verificare, il giudice nazionale e' tenuto a dare piena efficacia all'art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE disapplicando, all'occorrenza, le disposizioni nazionali che abbiano per effetto di impedire allo Stato membra interessato di rispettare gli obblighi impostigli dall'art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE. 3. Le conseguenze della pronuncia della Corte di Lussemburgo sull'ordinamento interno sono incisive, per il primato del diritto UE rispetto a quello nazionale (compreso lo stesso diritto penale). A fondamento della propria decisione, la Corte di giustizia richiama i primi due paragrafi dell'art. 325 TFUE, a tenore dei quali gli Stati membri «combattono contro la frode e le altre attivita' illegali che ledono gli interessi finanziari dell'Unione stessa mediante misure adottate a norma del presente articolo, che siano dissuasive e tali da permettere una protezione efficace negli Stati membri e nelle istituzioni, organi e organismi dell'Unione» e «adottano, per combattere contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione, le stesse misure che adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi finanziari». Si tratta di norme di diritto primario, in grado di esplicare effetto diretto nel giudizio nazionale; norme che - come ricorda la Corte di Lussemburgo - impegnano gli Stati membri a «lottare contro le attivita' illecite lesive degli interessi finanziari dell'Unione con misure dissuasive ed effettive e, in particolare, 11 obbliga ad adottare, per combattere la frode lesiva degli interessi finanziari dell'Unione, le stesse misure che adottano per combattere la frode lesiva del loro interessi finanziari» (§ 37 sentenza CGUE) e pongono «a carico degli Stati membri un obbligo di risultato preciso e non accompagnato da alcuna condizione» (§ 51). L'effetto diretto dei primi due paragrafi dell'art. 325 TFUE, per la primazia del diritto della UE rispetto al diritto nazionale, comporta la conseguenza «di rendere ipso iure inapplicabile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale esistente» (§ 52), nel caso di specie rappresentata dagli artt. 160 ultimo comma e 161 secondo comma del codice penale italiano. La pronuncia della Corte di giustizia, pregiudiziale ai sensi dell'art. 267 TFUE, ha un valore generale e vincola non solo il giudice a quo, ma anche tutti i giudici nazionali, nonche' la pubblica amministrazione nel suo complesso (Cfr. Corte cost., sent. n. 113/1985; Corte cost. sent. n. 284/2007, secondo cui «le statuizioni della Corte di giustizia delle Comunita' europee hanno, al pari delle norme comunitarie direttamente applicabili cui ineriscono, operativita' immediata negli ordinamenti interni»; CGCE, 22 giugno 1989, causa 103/88, Costanzo); la stessa sentenza della CGUE Taricco e' perentoria al riguardo, avvisando che «qualora il giudice nazionale giungesse alla conclusione che le disposizioni nazionali di cui trattasi non soddisfano gli obblighi del diritto dell'Unione relativi al carattere effettivo e dissuasivo delle misure di lotta contro le frodi detto giudice sarebbe tenuto a garantire la piena efficacia del diritto dell'Unione disapplicando, all'occorrenza, tali disposizioni e neutralizzando quindi la conseguenza rilevata al punto 46 della presente sentenza, senza che debba chiedere o attendere la previa rimozione di dette disposizioni in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale» (cfr. § 49 e i numerosi precedenti conformi ivi richiamati). D'altro canto, occorre ricordare che, conformemente ai principi affermati dalla sentenza della Corte di giustizia 9 marzo 1978, in causa C-106/77 (Simmenthal) e dalla successiva giurisprudenza della Corte costituzionale, segnatamente con la sentenza n. 170/1984 (Granital), qualora si tratti di disposizione del diritto dell'Unione europea direttamente efficace, spetta al giudice nazionale comune valutare la compatibilita' comunitaria della normativa interna censurata, utilizzando - se del caso - il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia e, nell'ipotesi di contrasto, provvedere egli stesso all'applicazione della norma comunitaria in luogo della norma nazionale; mentre, in caso di contrasto con una norma comunitaria priva di efficacia diretta - contrasto accertato eventualmente mediante ricorso alla Corte di giustizia - e nell'impossibilita' di risolvere il contrasto in via interpretativa, il giudice comune deve sollevare la questione di legittimita' costituzionale, spettando poi alla Corte costituzionale valutare l'esistenza di un contrasto insanabile in via interpretativa e, eventualmente, annullare la legge incompatibile con il diritto comunitario (nello stesso senso sentenze n. 284/2007, n. 28 e n. 227 del 2010 e n. 75/2012). E', infine, in forza delle limitazioni di sovranita' consentite dall'art. 11 Cost. che la Corte costituzionale ha riconosciuto la portata e le diverse implicazioni della prevalenza del diritto comunitario e della sua interpretazione conforme, anche rispetto a norme costituzionali (sentenza n. 126/1996), individuandone il solo limite nel contrasto con i principi fondamentali dell'assetto costituzionale dello Stato o con i diritti inalienabili della persona (sentenza n. 170/1984), con la precisazione che tale contrasto e' sindacabile esclusivamente dalla Corte costituzionale (sentenza n. 129/2006, ord. n. 454/2006 e sentenza n. 284/2007). 4. Nel caso di specie, ricorrono le condizioni dalle quali la Corte di Giustizia, nella sentenza Taricco, fa discendere l'obbligo di disapplicazione delle norme di cui agli artt. 160 ult. comma e 161 comma 2 c.p.. Ed infatti: la mera lettura dei capi di imputazione e della sintetica esposizione dei fatti sopra svolta rende evidente che la previsione di una proroga del termine di prescrizione, per effetto degli atti interruttivi, di «solo un quarto della sua durata iniziale» impedisce nel caso concreto di pervenire a un accertamento definitivo e, nel caso di ritenuta responsabilita' penale degli imputati, di infliggere sanzioni «effettive e dissuasive» in un «numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea»: basti considerare il numero esorbitante di operazioni fraudolente oggetto di contestazione, eseguite tramite l'interposizione strumentale di numerose societa' nazionali ed estere, ripetute nell'arco di circa tre anni, con il coinvolgimento di mezzi, uomini, strutture e organizzazione di elevata efficienza e comportanti l'evasione dell'IVA (una quota della quale, come noto, deve essere girata automaticamente al bilancio europeo) per svariati milioni di euro tra il 2005 e il 2007 (tanto da meritare la esplicita contestazione di avere cagionato «un danno patrimoniale di rilevante gravita' in danno dello Stato» al capo 1 e «un danno patrimoniale di rilevante gravita'» ai capi 2, 3, 6, 32, 35, 38 , 41, 43); operazioni integranti reati pressoche' tutti estinti, ove il termine di prescrizione fosse calcolato secondo le norme di cui agli artt. 160 e 161 c.p. sopra richiamate; i reati fiscali, le truffe e l'associazione per delinquere in contestazione, produttive di una grave lesione degli interessi finanziari dell'Unione europea (portata a segno mediante le frodi «carosello» oggetto del presente procedimento e la conseguente, massiccia evasione dell'IVA) sono soggetti a termini di prescrizione piu' brevi di quelli previsti dal reato di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, previsto dall'art. 291-quater D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, lesivo dei soli interessi finanziari dello Stato Italiano: reato che, sebbene di natura e gravita' comparabile a quelle dei reati comportanti evasione dell'IVA (e, quindi, una lesione degli interessi finanziari anche dell'UE), in quanto incluso tra quelli indicati dall'art. 53 comma 3-bis c.p.p. e' sottoposto, per effetto della disciplina dettata dal combinato disposto degli artt. 160 ultimo comma e 161 comma 2 c.p., a termini di prescrizione notevolmente piu' ampi, essendo previsto per tale reato che il termine di prescrizione decorra nuovamente e per intero al verificarsi di ogni atto interruttivo, senza l'apposizione di alcun limite all'estensione del prolungamento complessivo. 5. In tale situazione, il giudice penale sarebbe tenuto a dare piena efficacia all'art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE disapplicando le disposizioni nazionali che abbiano per effetto di impedire allo Stato membro interessato di rispettare gli obblighi impostigli dall'art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE. Nel caso di specie, come reso chiaro dalla lettura della sentenza CGUE Taricco, si tratterebbe di disapplicare la norma di cui all'art. 160 ultimo comma e all'art. 161 comma 2 c.p., nella parte in cui appongono un limite massimo (pari a un quarto) all'aumento del termine ordinario per la prescrizione nel caso di interruzione del suo corso. La disciplina interna applicabile quale risultante della disapplicazione sarebbe, conseguentemente, agevolmente e con certezza individuabile nel regime ordinario previsto per i reati di cui all'art. 51 commi 3 bis e 3-quater c.p.p., gia' esclusi ex lege dalla sottoposizione al «tetto» massimo di un quarto previsto dagli artt. 160 ult. comma e 161 comma 2 c.p. Ne conseguirebbe che per nessuno dei reati ad oggi prescritti, secondo i calcoli sopra effettuati sulla base delle norme di cui agli artt. 157-161 c.p., sarebbe ancora maturato il termine di prescrizione, da computarsi in 6 anni (o 7, anni nel caso dei reato di cui all'art. 416 comma 1 c.p.) a decorrere dall'ultimo atto interruttivo costituito dalla sentenza di condanna di primo grado, in data 14.1.2014; i termini di prescrizione verrebbero quindi a scadenza il 14.1.2020 o, per il piu' grave delitto di cui all'art. 416 comma 1 c.p., il 14.1.2021, 6. Questa Corte, tuttavia, ritiene di non poter disapplicare le norma interna di cui agli artt. 160 ultimo comma e 161 comma 2 c.p., nel caso in esame, in quanto dubita della compatibilita' degli effetti di tale disapplicazione, implicanti l'applicazione di un diverso e piu' sfavorevole regime prescrizionale, con il principio di legalita' in materia penale di cui all'art. 25 comma 2 Cost.: principio fondamentale di ordine costituzionale, come tale sindacabile esclusivamente dalla Corte costituzionale (in conformita' alla giurisprudenza costituzionale sopra richiamata). La Corte di Giustizia affronta tale obiezione nella richiamata sentenza Taricco (§ 54-57), giungendo alla conclusione che il principio di legalita' non sia in altun modo vulnerato. Richiama, al riguardo, l'art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione (CDFUE), che - in forza dell'art. 52 CDFUE recepisce i principio di legalita' e di proporzionalita' dei reati e delle pene, nell'estensione riconosciutagli dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo formatasi sulla corrispondente previsione dell'art. 7 della Convenzione europea del diritti dell'uomo (CEDU). Secondo tale giurisprudenza, richiamata dalla Corte di giustizia, la materia della prescrizione del reato attiene in realta' alle condizioni di procedibilita' del reato e non e' pertanto coperta dalla garanzia del principio di nullum crimen. A ben vedere, tuttavia, la giurisprudenza della Corte EDU richiamata dalla CGUE e, in particolare, la sentenza Coëme e a. c. Belgio, ric. nn. 32492/96, 32547/96, 32548/96, 33209/96 e 33210/96, § 149, non sembra attagliarsi perfettamente al caso in esame, affermando che la proroga del termine di prescrizione e la sua immediata applicazione non comportano una lesione del diritti garantiti dall'art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo in un caso in cui l'allungamento dei termini di prescrizione era intervenuto quando i fatti addebitati non si erano ancora prescritti; nella fattispecie all'esame di questa Corte, invece, come sopra si e' detto, il termine di prescrizione - calcolato secondo le norme di cui agli artt. 160-161 c.p. - era gia' maturato prima che la CGUE, con la sentenza Taricco, intervenisse a chiarire l'incompatibilita' di tali norme con il diritto dell'Unione e a imporne conseguentemente la disapplicazione, quale effetto diretto dell'art. 325 TFUE. A prescindere da tali incidentali rilievi (eventualmente rilevanti nella diversa prospettiva dell'assicurazione delle fondamentali garanzie del giusto processo, che anche nella giurisprudenza della Corte europea impongono allo Stato il dovere di agire secondo buona fede, nel rispetto dei principi della certezza e della tutela del legittimo affidamento dei cittadini: cfr. ex multis C.EDU, Unedic c. Francia, 18 dicembre 2008, § 74; id., G.C,, Scordino c. Italia, 29 marzo 2006, § 126; Id., G.C., Scoppola c. Italia, 9 settembre 2009, § 132 e 139), cio' che convince della non manifesta infondatezza della questione e' la costante e condivisibile giurisprudenza della Corte costituzionale, che - a differenza di quella europea - e' ferma nel ritenere le norme sulla prescrizione come norme di diritto sostanziale, parte integrante della «legge penale», come tali soggette al principio di legalita' e a tutti i suoi coronari di cui all'art. 25 comma 2 Cost.; tanto che [e questioni di legittimita' costituzionale tendenti ad ampliare, in malam partem, i termini di prescrizione sono state sinora sempre giudicate inammissibili, proprio perche' il loro eventuale accoglimento avrebbe comportato un aggravamento della responsabilita' penale dell'imputato e - dunque - un'ingerenza della Corte costituzionale in un dominio riservato esclusivamente al legislatore in forza, appunto, dell'art. 25 co. 2 Cost.. Categoriche, in tal senso, le affermazioni della Corte costituzionale, per cui (cfr. sentenza n. 394/2006 e giurisprudenza ivi richiamata) «secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, all'adozione di pronunce in malam partem in materia penale osta non gia' una ragione meramente processuale - di irrilevanza, nel senso che l'eventuale decisione di accoglimento non potrebbe trovare comunque applicazione nel giudizio a quo - ma una ragione sostanziale, intimamente connessa al principio della riserva di legge sancito dall'art. 25, secondo comma, Cost., in base al quale «nessuno puo' essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso»». Spiega il Giudice delle leggi che «rimettendo al legislatore - e segnatamente al «soggetto-Parlamento», in quanto rappresentativo dell'intera collettivita' nazionale (sentenza n. 487 del 1989) - la riserva sulla scelta dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni loro applicabili, detto principio impedisce alla Corte sia di creare nuove fattispecie criminose o di estendere quelle esistenti a casi non previsti; sia di incidere in pelus sulla risposta punitiva o su aspetti comunque inerenti alla punibilita' (e cosi', ad esempio, sulla disciplina della prescrizione e dei relativi atti interruttivi o sospensivi: ex plurimis, ordinanze m 317 del 2000 e n. 337 del 1999).» Con orientamento assurto al rango di diritto vivente (e condiviso da questa Corte, stante la chiara lettera dell'art. 25 comma 2 Cost.), la Corte costituzionale ritiene, quindi, che la riserva di legge contenuta nell'art. 25 Cost. le impedisca di incidere in pelus non solo sulla fattispecie incriminatrice e sulla pena, ma anche sugli aspetti inerenti alla punibilita', tra cui espressamente include la prescrizione. Il principio e' ribadito in termini netti, piu' recentemente, anche da Corte cost. sent. n. 324/2008. Nell'affrontare le censure prospettate dal giudice dal GIP del Tribunale di Padova in merito all'art. 6, comma 2, della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui non prevede che il termine prescrizionale, nei caso di reato continuato, decorra dalla data di cessazione della continuazione (sul presupposto che il limite al sindacato di costituzionalita' cui e' sottoposta la Corte costituzionale nel caso in cui si invochi una pronuncia additiva in malam partem in materia penale non opererebbe con riferimento alla disciplina della prescrizione), il Giudice delle leggi osserva che «Il rimettente trascura di considerare, anche al solo fine di confutarla, la costante giurisprudenza di questa Corte che, in piu' occasioni, ha ribadito che il principio della riserva di legge sancito dall'art. 25, secondo comma, Cost. rende inammissibili pronunce il cui effetto possa essere quello di introdurre nuove fattispecie criminose, di estendere quelle esistenti a casi non previsti, o, comunque, «di incidere in pelus sulla risposta punitiva o su aspetti inerenti alla punibilita', aspetti fra i quali, indubbiamente, rientrano quelli inerenti la disciplina della prescrizione e dei relativi atti interruttivi o sospensivi» (sentenza n. 394 del 2006 e ordinanza n. 65 del 2008). «Pacifico» per la Corte costituzionale, e' poi l'assoggettamento della prescrizione «quale istituto di diritto sostanziale....alla disciplina di cui all'art. 2, quarto comma, cod. pen. che prevede la regola generale della retroattivita' della norma piu' favorevole, in quanto «il decorso del tempo non si limita ad estinguere l'azione penale, ma elimina la punibilita' in se' e per se', nel senso che costituisce una causa di rinuncia totale dello Stato alla potesta' punitiva» (sentenza n. 393 del 2006)». Parimenti incontrastata, del resto, e' la considerazione della natura sostanziale delle norme sulla prescrizione - e del conseguente loro assoggettamento al regime di cui all'art. 2 c.p. - nella giurisprudenza di legittimita' (cfr., tra le altre, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 32781 del 22/05/2014, Abbinate, Rv. 260536; Sez. 1, Sentenza n. 20430 del 27/01/2015, Bilardi Rv. 263687). Nel caso di specie, in conclusione, la disapplicazione delle norme (di carattere sostanziale) di cui agli artt. 160 ult., comma e 161 comma 2 c.p., imposta dall'art. 325 TFUE nella interpretazione datane dalla sentenza CGUE Taricco, produrrebbe la retroattivita' in malam partem della normativa nazionale risultante da tale disapplicazione, implicante l'allungamento dei tempi prescrizionali, con effetti che questa Corte dubita siano compatibili con il principio di legalita' in materia penale, come affermatosi nella consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione. Profilandosi, in tal senso, un contrasto tra l'obbligo di disapplicazione derivato dall'art. 325 TFUE, considerato dalla Corte di giustizia conforme al principio di legalita' in sede europea sulla base dell'art. 49 CDFUE, e il principio di legalita' in materia penale, nella estensione attribuitagli dal diritto costituzionale italiano sulla base dell'art. 25 co. 2 Cost., si ritiene necessario rimettere alla Corte costituzionale la valutazione della opponibilita' di un «controlimite» alle limitazioni di sovranita' derivanti dall'adesione dell'Italia all'ordinamento dell'Unione europea ai sensi dell'art. 11 Cost., in funzione del rispetto del principio fondamentale dell'assetto costituzionale interno, poziore rispetto agli stessi obblighi di matrice europea. 7. La rilevanza della questione e' comprovata dalla considerazione per cui e' proprio dalla soluzione della questione di costituzionalita' che dipende l'applicabilita' delle disposizioni normative di cui artt. 160 ult. comma e 161 comma 2 c.p.. Come sopra esposto, nelle considerazioni in fatto, ove si facesse applicazione di tali norme nella fattispecie concreta, la quasi totalita' dei reati risulterebbe estinta per intervenuta prescrizione, con conseguenze incidenti - ancor prima che sull'esito del giudizio (in termini di conferma o riforma, totale o parziale, della sentenza di primo grado) - sulle regole di giudizio da applicare per pervenire alla decisione. Secondo l'autorevole insegnamento delle Sezioni Unite (Sez. U, Sentenza n. 35490 del 28/05/2009 Tettamanti, Rv. 244274), in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice e' legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129, comma secondo, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi' che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga piu' al concetto di «constatazione», ossia di percezione «ictu oculi», che a quello di «apprezzamento» e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessita' di accertamento o di approfondimento. Cio' significa, in altri termini - com'e' stato chiarito dalla giurisprudenza successiva della stessa Corte di legittimita' (Sez. 4, n. 23680 del 7 maggio 2013, Rizzo e altro, Rv. 256202), che la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilita' per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attivita' ricognitiva, l'assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell'imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza e non anche nel caso di mera contraddittorieta' o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze. L'indirizzo interpretativo, condiviso da questa Corte, e' assolutamente granitico (cfr. altresi', fra le tante, Sez. 1, Sentenza n. 43853 del 24/09/2013, Giuffrida, Rv. 25844; Sez. 6, Sentenza n. 10284 del 22/01/2014 Culicchia, Rv. 259445). Le uniche eccezioni a tale regola di giudizio - previste dalla giurisprudenza per il caso in cui, in sede di appello, a fronte di una sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga infondata nel merito l'impugnazione del P.M. proposta avverso una sentenza di assoluzione in primo grado al sensi dell'art. 530, comma secondo, c.p.p, - non ricorrono nel caso di specie, in assenza di parti civili costituite o di appello dei Pubblico Ministero o del Procuratore Generale. E' evidente, quindi, che, in relazione a pressoche' tutti i capi di imputazione (ne resterebbero escluse solo le imputazioni sopra richiamate, di promozione e organizzazione dell'associazione per delinquere contestata al capo 1, la dichiarazione fraudolenta per l'anno d'imposta 2007 contestata al capo 28, i reati attribuiti agli imputati reiteratamente recidivi e il reato fiscale di cui al capo 48), dall'applicazione o disapplicazione del combinato disposto degli artt. 160 ult. comma e 161 comma 2 c.p. discenderebbe l'adozione di due regole di giudizio differenti, con riferimento all'esame dei motivi di impugnazione dedotti in giudizio: nel primo caso, constatata la sopravvenienza di una causa di estinzione dei reati, per poter accedere alla richiesta difensiva di adozione della pronuncia ampiamente liberatoria sarebbe sufficiente verificare se sia rilevabile, con una mera attivita' ricognitiva, l'assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico degli imputati ovvero la prova positiva della loro innocenza (l'unica che, secondo la citata giurisprudenza, assurta a rango di diritto vivente, consentirebbe la prevalenza della formula proscioglimento nel merito rispetto alla declaratoria di estinzione per prescrizione); nel secondo caso, invece, occorrerebbe entrare nel merito delle censure, implicanti una rivalutazione critica di tutto il materiale probatorio e un apprezzamento ponderato delle opposte risultanze, e accogliere le richieste assolutorie degli appellanti anche nel caso di mera contraddittorieta' o insufficienza della prova. Considerato che il requisito della rilevanza va riferito alla complessiva regiudicanda all'esame del giudice, non ne elide l'attualita' il fatto che per due degli imputati appellanti (S. C e S. A.) sia stata sollevata preliminarmente la questione di nullita' dell'avviso di conclusioni delle indagini e del decreto che dispone il giudizio. Peraltro, non puo' pretendersi che il giudice remittente, nel sollevare la questione pregiudiziale rispetto alla pronunzia che e' chiamato a rendere, debba anticipare il proprio convincimento circa le questioni processuali sollevate con l'atto d'appello, essendo sufficiente una mera delibazione delle stesse, nella specie condotta da questa Corte sulla scorta della motivazione della sentenza di primo grado e dell'ordinanza del Tribunale in data 1°.2.2012, con cui sono state rigettate le questioni ex art. 491 c.p.p., riproposte con gli atti d'appello (cfr., in analoga fattispecie, Corte costituzionale, sentenza n. 78 del 2002; anche nel caso rimesso allo scrutinio della Corte costituzionale con ordinanza della Corte di Cassazione n. 37443/2014 e deciso con la sentenza della Corte costituzionale n. 185/2015, avente ad oggetto la norma dell'art. 99 quinto comma c.p., e' stata ritenuta rilevante la questione di legittimita' costituzionale di una norma afferente al trattamento sanzionatorio, come tale applicabile solo all'esito dell'esame delle doglianze attinenti alla dichiarazione di responsabilita' dell'imputato, il cui esito tuttavia non era stato anticipato dalla Corte remittente se non in termini di mera delibazione). In ogni caso, si tratta di questioni preliminari riguardanti le sole posizioni di S. C. e S. A., l'accoglimento delle quali non estenderebbe i suoi effetti ai coimputati, in quanto dagli stessi non tempestivamente eccepite nei termini di cui all'art. 491 c.p.p. e, comunque, non riproposte con i rispettivi appelli. (1) Gli ultimi ad aver maturato il termine di prescrizione sono i reati di cui all'art. 5 D.L.vo n. 74/2000 relativi all'anno 2006 (capo 8 seconda parte, 19, 22, 34, 37, 40): poiche' il termine per la presentazione della dichiarazione per l'anno 2006 per via telematica era stato prorogato ai 1.10.2007 (Decreto dei Presidente del Consiglio del ministri del 10 luglio 2007, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 209 del 08/09/2007), il termine di prescrizione decorre dal 1.1.2008 ed e' maturato il 1.7.2015, salvo che per il recidivo V (capo 34).
P.Q.M. La Corte di appello di Milano, Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza; Solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130, con cui viene ordinata l'esecuzione del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea, come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (TFUE), nella parte che impone di applicare la disposizione di cui all'art. 325 §§ 1 e 2 TFUE dalla quale - nell'interpretazione fornitane dalla Corte di Giustizia nella sentenza in data 8.9.2015, causa C - 105/14, Taricco - discende l'obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli artt. 160 ultimo comma e 161 secondo comma c.p. in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, anche se dalla disapplicazione discendano effetti sfavorevoli per l'imputato, per il prolungamento del termine di prescrizione, in ragione del contrasto di tale norma con l'art. 25, secondo comma, Cost. Sospende il giudizio in corso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale; Dispone che, a cura della cancelleria, gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Pubblico Ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri, e che sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Milano, 18 settembre 2015 Il Presidente: Maiga I consiglieri: Scarlini - Locurto