N. 339 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 settembre 2015

Ordinanza del 18 settembre 2015 della Corte d'appello di  Milano  nel
procedimento penale a carico di D.B.C.. 
 
Reati e pene - Frode all'IVA - Prescrizione - Obbligo per il giudice,
  in  applicazione  dell'art.  325  del  Trattato  sul  Funzionamento
  dell'Unione  europea  (TFUE),  come  interpretato  dalla  Corte  di
  giustizia europea  (sentenza  8  settembre  2015,  causa  C-105/14,
  Taricco) di disapplicare  gli  artt.  160,  ultimo  comma,  e  161,
  secondo  comma,  cod.  pen.,  anche   nel   caso   in   cui   dalla
  disapplicazione discendano effetti sfavorevoli per l'imputato,  per
  il prolungamento del termine di prescrizione. 
- Legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del Trattato di
  Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il  Trattato
  che istituisce la Comunita' europea e  alcuni  atti  connessi,  con
  atto finale, protocolli e dichiarazioni,  fatto  a  Lisbona  il  13
  dicembre 2007), art. 2. 
(GU n.2 del 13-1-2016 )
 
                     CORTE DI APPELLO DI MILANO 
 
 
                      (Sezione Seconda Penale) 
 
    La Corte d'appello, riunita in Camera di Consiglio nelle  persone
dei sigg. magistrati: 
        dott. Marco Maiga - Presidente; 
        dott. Enrico Scarlini - consigliere; 
        dott. Concetta Locurto - consigliere est. 
     Ha pronunciato la seguente ordinanza ex art. 23 legge  11  marzo
1953, n. 87 di rimessione alla Corte costituzionale  della  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 2 agosto 2008,
n. 130 di Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica
il Trattato sull'Unione europea  e  il  Trattato  che  istituisce  la
Comunita'  europea,  e  alcuni  atti  connessi,  con   atto   finale,
protocolli e dichiarazioni, firmato a Lisbona il  13  dicembre  2007,
nel procedimento n. 6421/14 R.G.A. nei confronti di: D. B. C., S.  M.
A., S. P., R. A., C. R., R. L., A. L., D. G. M., C. F., V. G., B. P.,
S. C., L. R., imputati (cfr.  capi  di  imputazione  allegati,  fogli
1-50). 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. Con sentenza del Tribunale di Milano in data 14 gennaio 2014 i
sopra indicati imputati, nelle vesti e con i  ruoli  dettagliatamente
descritti nei capi di imputazione allegati (quali  amministratori  di
diritto o di fatto delle numerose societa' ivi indicate), sono  stati
ritenuti colpevoli dei reati di cui all'art. 416 commi  1  e  2  c.p.
(associazione per delinquere  volta  a  commettere  piu'  delitti  di
emissione  ed  utilizzo  di  fatture  per   operazioni   inesistenti,
occultamento  e/o  distruzione  delle  scritture  contabili,   omessa
dichiarazione e di truffa aggravata in danno  dell'Erario:  capo  1),
dei reati fiscali di cui agli artt. 2, 5, 8 e 10 decreto  legislativo
n. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante fatture per operazioni
inesistenti, omessa  presentazione  di  dichiarazione,  emissione  di
fatture per operazioni inesistenti,  occultamento  o  distruzione  di
scritture contabili: capi 2bis, 4, 5, 7, 8, 13, 16, 17, 18,  19,  20,
21, 22, 24, 28, 28bis, 33, 34, 36, 37, 39, 40,  42,  44,  48)  e  dei
reati di cui agli artt. 61 n. 7, 640 comma 2 c.p.  (truffe  aggravate
ai danni dello Stato (capi 32, 35, 38, 41, 43)  loro  rispettivamente
ascritti e, esclusa l'aggravante contestata al capo 1 di  imputazione
nonche' l'aggravante di cui all'art. 4  legge  n.  146/2006,  esclusa
quanto a B. P. la contestata recidiva, unificati i reati per  ciascun
imputato sotto il vincolo della continuazione, condannati: 
    1. D. B. C. alla pena di anni otto di reclusione, per: 
      reato associativo di cui al capo 1) (art.  416  comma  1  c.p.,
nella veste di promotore e organizzatore); 
      reati fiscali di cui ai capi 2bis), 4), 5), 7), 8),  33),  34),
36), 37), 39), 40), 42), 44); 
      truffe aggravate contestate ai capi 32), 35), 38), 41), 43). 
    2. S. M. A. alla pena di anni otto e mesi due di reclusione per: 
        reato associativo di cui al capo 1) (art. 416  comma  1  c.p.
nella veste di promotore e organizzatore); 
        reati fiscali di cui ai capi 2bis), 4), 5), 7), 2), 24,  33),
34), 36), 37), 39), 40), 42), 44); 
        truffe aggravate contestate ai capi 32), 35), 38), 41), 43). 
    3. S. P. alla pena di anni due e mesi sette di reclusione per: 
        reato associativo di cui al capo 1: (art. 416  comma  2  c.p.
nella veste di partecipe); 
        reati fiscali di cui ai capi 28 e 28 bis). 
    4. R. A. alla pena di anni due e mesi due di reclusione, per: 
        reati fiscali di cui ai capi 28 e 28 bis). 
    5. O. R. alla pena di anni quattro di reclusione, per: 
        reato associativo di cui al capo 1) (art. 416  comma  2  c.p.
nella veste di partecipe); 
        reati fiscali di cui al capi 17), 18), 19),  20),  21),  22),
28) e 28 bis); 
    6. R. L. alla pena di anni due e mesi cinque di reclusione, per: 
        reati fiscali di cui ai  capi  4),  5)  e  24)  (ritenuta  la
recidiva reiterata infraquinquennale). 
    7. A. L. alla pena di anni uno e mesi nove di reclusione, per: 
        reati fiscali di cui ai capi 13) e 16) (ritenuta la  recidiva
reiterata). 
    8. D. G. M. alla pena di anni uno e mesi tre di reclusione per: 
        reati fiscali di cui ai capi 7), 8). 
    9. C. F. alla pena di anni uno di reclusione per: 
        reato fiscale di  cui  al  capo  42)  (ritenuta  la  recidiva
reiterata). 
    10. V. G. alla pena di anni uno e mesi dieci di reclusione, per: 
        reati fiscali di cui ai  capi  33  e  capo  34  (ritenuta  la
recidiva reiterata infraquinquennale). 
    11. B. P. alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed euro
1.300,00 di multa per: 
        reati fiscali di cui ai capi 36), 37); 
        truffe aggravate contestate al capo 35). 
    12. S. C. alla pena di anni otto e mesi due di reclusione per: 
        reato associativo di cui al capo 1) (art. 416  comma  1  c.p.
nella veste di promotore e organizzatore); 
        reati fiscali di cui ai capi 2bis), 4), 5), 7), 8), 24,  33),
34), 36), 37), 39), 40), 42), 44); 
        truffe aggravate contestate ai capi 32), 35), 38), 41), 43). 
    13. L. R. alla pena di anni sei e mesi dieci di reclusione per: 
        reato associativo di cui capo 1) (art. 416 comma 1 c.p. nella
veste di partecipe); 
        reati fiscali di cui ai capi 4), 5), 7), 8), 20),  21),  22),
33), 34), 36), 37), 39), 40), 42), 44), 48); 
        truffe aggravate contestate ai capi 32), 35), 38), 41), 43). 
    Con la medesima sentenza, il Tribunale ha condannato  i  suddetti
imputati al pagamento delle spese processuali e alle pene accessorie,
ex art. 29 e 32 c.p. ed ex art. 12 decreto legislativo n. 74/2000. Ha
altresi' disposto la  confisca  della  documentazione  in  sequestro,
dichiarato non doversi procedere nei confronti di D. B. S. M.  A.  S.
C. e L. R. in ordine ai reati di cui ai capi 2, 3 e 6 per essere  gli
stessi estinti per intervenuta prescrizione e assolto D. B. C., S. M.
A.,  L.  R.  e  S.  C.  dal  reato  loro   ascritto   al   capo   45)
dell'imputazione perche' il fatto non sussiste. 
    2. Le imputazioni hanno a oggetto uno dei piu' diffusi sistemi di
frode  all'IVA,  meglio  noto  con  il  nome  di  «frode  carosello»,
realizzato sfruttando le agevolazioni normative previste nel caso  di
cessioni tra i  paesi  dell'Unione  Europea.  Come  illustrato  nella
sentenza appellata, il procedimento  trae  origine  da  una  verifica
fiscale condotta nel  corso  del  2007  presso  la  societa'  RAYTECH
TECHNOLOGY srl  con  sede  in  Mozzate  (CO);  grazie  ai  successivi
sviluppi investigativi (coinvolgenti  il  monitoraggio  delle  utenze
telefoniche  e  indagini  documentali  e  bancarie,  anche   mediante
rogatoria in Svizzera, in relazione ai conti correnti  accesi  presso
il Credit Suisse delle societa' di diritto panamense «DANVILLE  CORP»
e «VIATOR INVESTMENT INC.), emergeva  la  sussistenza  del  sodalizio
criminoso descritto al capo 1) di imputazione, operante nel capoluogo
lombardo, finalizzato alla commissione di reati fiscali e  di  truffe
aggravate ai danni dello Stato attraverso la  commercializzazione  di
materiale informatico: reati commessi tramite l'impiego  di  numerosi
schermi societari fittizi di carattere sia comunitario che  nazionale
e l'emissione di falsi documenti ed implicanti l'evasione di  imposte
dirette e indirette (segnatamente l'IVA) per milioni  di  euro  negli
anni dal 2005 al 2007. 
    Nella ricostruzione accusatoria, fatta propria dalla sentenza  di
primo grado, l'associazione per delinquere - promossa  e  organizzata
da D. B. C., S. C.  e  S.  M.  A.  (oltre  che  da  A.  P.  giudicato
separatamente) - fondava il suo meccanismo operativo su un sistema di
societa' «cartiere» nazionali ed estere appositamente create al  fine
di operare acquisti  intracomunitari  in  regime  di  esenzione  IVA.
Attraverso tale rete  criminale  veniva  offerta  al  cliente  finale
nazionale la possibilita' di ricevere  materiale  informatico  ad  un
prezzo  notevolmente  ribassato  rispetto   ai   prezzi   normalmente
praticati nel mercato per prodotti analoghi per tipologia,  specie  e
quantita'.  Acquistando  senza  assolvimento  dell'IVA,  infatti,  la
societa'   «cartiera»   aveva   modo   di   fatturare   all'operatore
commerciale, reale acquirente, a un prezzo pari o di poco superiore a
quello di acquisto e l'apparente antieconomicita'  di  tale  cessione
veniva controbilanciata dal fatto che la cartiera non provvedeva  mai
a versare l'IVA all'erario. 
    Sulla base delle risultanze probatorie, in coerenza rispetto alle
imputazioni contestate, il  Tribunale  individua  una  pluralita'  di
societa'  cartiere  appositamente  costituite  per  realizzare  frodi
carosello comunitarie, differenziandone l'operativita', in base  alla
tipologia della merce venduta, in due segmenti temporali: 
        in una prima fase,  riconducibile  agli  anni  2005-2006,  la
societa'  di  diritto  svizzero  AVION  TRADE  SA,   ma   fiscalmente
domiciliata in Austria, cede alle cartiere di  primo  livello  PROMEM
srl, CAST srl e  AMBRO  TEL  Srl  grossi  quantitativi  di  materiale
informatico realmente esistente che poi viene  ceduto  alle  societa'
cartiere: D.P.I. srl, KORES srl, NEXDATA srl, MAGITEK srl, INFORMATIC
srl, WEBIT srl, MAGIK STORE srl,  CUBICA  snc,  EXIM  srl,  DEC  srl,
MAIHOMU srl, SUNTECH srl, INDOITALY srl. Anche TARGET srl (riferibile
ai fratelli S.) e RAYTECH spa (di fatto  gestita  da  R.  C.  per  il
tramite di P. S. Presidente del CdA) si inseriscono in questa filiera
di operazioni negoziali in qualita' di acquirenti e,  al  pari  delle
cartiere, operano la rivendita della  merce  a  societa'  reali,  che
cosi' conseguono la disponibilita' di prodotti informatici  a  prezzi
notevolmente inferiori rispetto a quelli  normalmente  praticati  sul
mercato   nazionale.   In   questa   prima    fase,    caratterizzata
dall'emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti,
trova spazio il meccanismo di frode  all'IVA  noto  con  il  nome  di
«frode carosello», realizzato strumentalizzando a  fini  illeciti  la
normativa sugli acquisti intracomunitari (che  consente  al  soggetto
che acquista da un soggetto comunitario di compensare IVA a debito  e
IVA  in  detrazione,  salvo  applicare  l'IVA  in   occasione   della
successiva    rivendita    in    ambito    nazionale),     attraverso
l'interposizione  di  un  soggetto  che  acquisti  fittiziamente  dal
fornitore  comunitario  e  rivenda   ai   reale   compratore,   cosi'
assumendosi l'integrale debito d'imposta. L'effettivo  acquirente  si
trova in tal modo ad utilizzare fatture alle quali e' applicata l'IVA
e ad assumere il correlativo diritto  alla  detrazione;  gli  importi
pari   all'IVA,   formalmente   versata    dal    reale    acquirente
all'interposto,  non  vengono  tuttavia  corrisposti  all'Erario,  ma
«spartiti» tra i due interessati: di  regola,  infatti,  il  soggetto
interposto   non   presenta   alcuna   dichiarazione,   ovvero    pur
presentandola, non provvede al  relativo  versamento.  Tale  circuito
illecito determina un duplice vantaggio per  il  cliente  finale,  il
quale acquista a un prezzo inferiore rispetto a quello di  mercato  e
matura un indebito  credito  IVA,  scaricando  gli  obblighi  fiscali
connessi al proprio debito di imposta sulla cartiera  nazionale,  che
non provvedera' mai ad onorare tale debito; 
        nella seconda  fase,  negli  anni  2006-2007,  l'operativita'
illecita si svolge secondo un duplice schema: 
          per un verso, proseguono le  plurime  vendite  di  prodotti
informatici reali da parte delle societa'  comunitarie  ASAP-TRADING,
SIEWERT  UND  KAU  COMPUTER,  ELECTRONUICS  PRODUCTS   LTD,   CLIPPER
INTERNATIONAL alle cartiere filtro NEXDATA srl, ECOTECH srl, AMBROTEL
srl, MORGAN srl; anche in questo caso le cartiere rivendono ad  altre
cartiere (es. EXIM  srl),  che  successivamente  rivendono  ad  altre
cartiere o direttamente a clienti nazionali a prezzi vantaggiosi,  in
quanto inferiori ai correnti prezzi di mercato; 
          per altro verso, vengono  concluse  una  serie  di  vendite
comunitarie, per  il  tramite  di  cartiere  nazionali,  di  prodotti
informatici (cd semiconduttori ASTRA) privi di qualsivoglia  utilita'
e  valore,  artificiosamente  immessi  nel  mercato   attraverso   le
informazioni fatte circolare via Internet, senza alcun  contatto  con
la merce. Nella sequenza delle operazioni commerciali,  riconducibili
temporalmente al periodo compreso tra il  10  maggio  2006  e  il  30
agosto 2006, i semiconduttori ASTRA, dopo essere stati venduti  dalle
societa' comunitarie AVION TRADE SA e TAMLEX TRADING Itd avente  sede
legale in Cipro (facenti entrambe capo a D. B. alle cartiere  ECOTECH
srl, NIPPON HOUSING srl e QUADRIFOGLIO srl, vengono da queste  ultime
ceduti alla prima cartiera filtro EXIM  srl,  la  quale  ne  effettua
un'ulteriore cessione in favore della seconda cartiera filtro  CUBICA
srl. A questo punto, la merce, all'apparenza regolare, viene  venduta
da CUBICA srl a societa' nazionali che, del tutto ignare della  reale
consistenza del bene commercializzato,  ne  operano  l'acquisto  come
«trader», in quanto certe  della  successiva  immediata  rivendita  a
societa' mostratesi interessate all'acquisto  di  tale  tipologia  di
prodotti. Il circuito di vendita, perfettamente circolare, si  chiude
con il riacquisto della merce da parte delle originarie cedenti. Tali
vendite  cartolari  tra  societa'  estere   e   nazionali   avvengono
sfruttando sempre il  regime  di  esenzione  IVA  e  consentono  alle
societa' che all'interno di tali filiere  commerciali  si  presentano
quali originarie  cedenti  ed  ultime  cessionarie  (AVION  e  TAMLEX
societa' comunitarie facenti capo agli stessi soggetti),  di  lucrare
sulla differenza tra il prezzo  finale  di  acquisto  e  l'originario
prezzo di vendita, cosi' incamerando anche  la  somma  corrispondente
all'IVA che le  cartiere  appositamente  create  per  il  buon  esito
dell'operazione fraudolenta non hanno mai versato. 
    I  ruoli  dei  singoli  imputati  all'interno   dell'associazione
vengono ricostruiti nella sentenza di primo  grado  come  di  seguito
sinteticamente esposto: 
        C. D. B. viene riconosciuto promotore  ed  organizzatore  del
sodalizio criminale: quale amministratore (dapprima di diritto,  dopo
il 27.9.2006 di fatto)  e  dominus  esclusivo  della  societa'  AVION
INTERTRADE, amministratore di fatto della TAMLEX  ed  altresi'  delle
cartiere PROMEM, CAST,  AMBROTEL,  NEXDATA,  ECOTECH,  EXIM,  NIPPON,
QUADRIFOGLIO - asservite alle finalita' del gruppo ed impiegate nelle
frodi fiscali realizzate  proprio  mediante  l'utilizzo  di  AVION  e
TAMLEX - egli viene  ritenuto  responsabile  di  avere  coordinato  e
gestito l'attivita' dell'associazione delittuosa,  pianificandone  le
strategie  e  conseguendo  enormi  vantaggi   economici   dalla   sua
operativita'; 
        M. S. e' ritenuto promotore e organizzatore del sodalizio per
aver operato sia in veste di A.U. della  IT  TRADE  SA  e  sia  quale
amministratore di fatto di TARGET, PROMEM, CAST,  AMBROTEL,  NEXDATA,
ECOTECH, EXIM, NIPPON HOUSING, QUADRIFOGLIO. 
        C.  S.  e'  considerato  responsabile  con  l'identico  ruolo
operativo del fratello (promotore e organizzatore). 
        P. S.  e'  ritenuta  partecipe,  in  forza  della  carica  di
presidente del C. di A.  rivestita  nella  societa'  RAYTECH  S.p.A.,
implicata in tutti i meccanismi  di  frode  praticati  dal  sodalizio
criminale (la societa' commercializzava, in  breve  tempo,  materiali
elettronici  ed  informatici   provenienti   dalla   Unione   Europea
attraverso la societa' cartiera AMBROTEL). 
        R. C. e' ritenuto partecipe per essere  stato  amministratore
di fatto delle societa' RAYTECH, SUNTECH ed INDOITALY. 
        R. L. e' ritenuto partecipe per avere ricoperto la carica  di
amministratore di diritto della AMBROTEL srl e di  amministratore  di
fatto delle cartiere-filtro PROMEM,  CAST,  NEXDATA,  ECOTECH,  EXIM,
NIPPON HOUSING e QUADRIFOGLIO. 
    Quanto ai numerosi reati-fine dell'associazione  per  delinquere,
si tratta di: 
        reati fiscali di dichiarazione fraudolenta  mediante  uso  di
fatture  per  operazioni   inesistenti,   omessa   presentazione   di
dichiarazione,  emissione  di  fatture  per  operazioni  inesistenti,
occultamento o distruzione di scritture contabili contestati ai  capi
2, 2bis, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 13, 16, 17, 18, 19, 20, 21,  22,  24,  28,
28bis, 33, 34, 36, 37, 39, 40, 42, 44, 48: delitti mediante i  quali,
secondo quanto accertato  dal  Tribunale,  sarebbe  stata  realizzata
l'evasione di imposte (dirette e indirette) di ammontare ingente, per
milioni .di euro, e sarebbero state cancellate le tracce  documentali
delle   operazioni   fraudolente   (cio',   in    particolare,    per
l'occultamento  e  la  sottrazione  della  documentazione   contabile
integrante il  reato  di  cui  all'art.  10  decreto  legislativo  n.
74/2000); 
        truffe aggravate ai danni dello Stato contestate ai capi  32,
35, 38, 41, 43, configurate per il capzioso  innesco  di  transazioni
solo apparentemente corredate  da  un  concreto  effetto  traslativo,
aventi ad oggetto merce, priva  di  valore,  che  e'  tornata  sempre
all'originario fornitore, consentendogli di lucrare della  differenza
tra il prezzo ricevuto per il pagamento  della  merce  da  parte  del
cliente nazionale reale e quello pagato dal fornitore comunitario  al
momento  del  relativo  riacquisto  (grazie  anche   al   «risparmio»
dell'IVA, non versata, incassata dalle cartiere). 
    In ordine a tali reati, fatta eccezione che per quelli contestati
ai capi 2), 3) e 6 (dichiarati estinti per intervenuta  prescrizione)
e al capo 45 (per cui non reputa raggiunta la prova della sussistenza
del fatto), il Tribunale ritiene provata  la  responsabilita'  penale
degli imputati per tutti i reati loro rispettivamente ascritti, nella
qualita' di rappresentanti legali o amministratori di fatto  indicate
nei capi d'imputazione. 
    3. Gli imputati D. B. C., S. M. A., S. P., F. A., C. P.,  R.  L.,
A. L., D. G. M., C. F., V. G., B. P., S. C. e L.  R.  hanno  proposto
appello avverso la sentenza di condanna pronunziata in primo grado. i
motivi d'appello investono tutti, in via  principale  e  nel  merito,
l'affermazione di responsabilita' penale per i fatti-reato per cui e'
intervenuta  condanna,  per  quali  si  chiede  l'assoluzione   degli
imputati, in  riforma  della  sentenza  di  primo  grado.  Le  difese
contestano  -  con  diversi  argomenti,  a  seconda  delle  posizioni
rappresentate - la  sussistenza  di  prove  idonee  a  dimostrare  la
configurabilita' degli elementi oggettivi e soggettivi dei delitti in
questione, il concorso degli  imputati  nella  loro  commissione,  la
qualifica attribuita  in  seno  al  ritenuto  reato  associativo,  la
configurabilita' giuridica delle truffe ai danni dello Stato. Per  le
posizioni di S. A. e S. C. sono state  altresi'  proposte  -  in  via
preliminare - questioni di nullita' della sentenza di primo grado  in
conseguenza della eccepita  nullita'  della  richiesta  di  rinvio  a
giudizio e del decreto che dispone il giudizio. 
    4. Dopo la pronunzia di sentenza di condanna in primo grado  sono
venuti  a  scadenza  i  termini  massimi  previsti,   nonostante   le
interruzioni, per l'estinzione per prescrizione della quasi totalita'
dei reati contestati, secondo quanto previsto dagli artt. 157, 160  e
161 c.p. e 17 decreto  legislativo  n.  74/2000,  quest'ultimo  nella
formulazione vigente prima della aggiunta del comma  1-bis,  disposta
con decreto-legge 13 agosto 2011  n.  138,  conv.  con  modificazioni
nella legge 14 settembre 2011 n. 148. Il  comma  1-bis  dell'art.  17
cit. - con cui i termini di prescrizione per i reati  previsti  dagli
articoli da 2 a 10 del decreto legislativo n. 74/2000 sono elevati di
un terzo - e' stato infatti introdotto con legge  entrata  in  vigore
successivamente alla commissione dei reati contestati e,  quindi,  e'
inapplicabile  nella  fattispecie  -  alla   luce   dei   consolidati
orientamenti giurisprudenziali di seguito  richiamati  -  in  ragione
della  natura  giuridica  sostanziale  delle  norme  in  materia   di
prescrizione   e   della   estensione   alle   stesse   del   vincolo
intertemporale dell'art. 25 comma  2  Cost.  e  della  norma  di  cui
all'art. 2 comma 2 c.p. 
    Rispetto  alle  contestazioni  oggetto  di  censura   e   rimesse
all'esame di questa Corte d'Appello, la situazione e' la seguente: 
        il delitto di associazione per delinquere e' punito dall'art.
416 c.p. con la reclusione  fino  a  7  anni  per  gli  organizzatori
dell'associazione e fino a 5 anni per il mero partecipe; 
        tutti i  reati  fiscali  sono  puniti  dal  decreto-legge  n.
74/2000 con la reclusione non superiore a 6 anni di reclusione; 
        il delitto di truffa e' punito dall'art. 640  c.p,  con  pena
fino 3 anni di reclusione; 
        per nessuno dei reati attribuiti agii  imputati  rientra  fra
quelli elencati nei commi 3-bis e quater dell'art. 51 c.p.p.; 
        per nessuno dei reati sono contestate e ritenute  circostanze
ad effetto speciale, idonee a determinare un allungamento dei termini
prescrizionali ex art. 157 comma 2 c.p.; 
        eccetto che per  R.  L.  e  V.  G.  (per  i  quali  e'  stata
contestata e ritenuta la recidiva reiterata infraquinquennale) e  per
A. L e C. F. (per i quali e' stata contestata e ritenuta la  recidiva
reiterata),  a  nessuno  degli  imputati  sono  state  contestate  la
recidiva o le condizioni per la dichiarazione di delinquenza abituale
e professionale (ex artt. 99, 102, 103 e 105 del codice penale). 
    Considerato,  quindi,  che  per  gli  organizzatori  e  promotori
dell'associazione per delinquere il termine di prescrizione e'  di  7
anni mentre per tutti gli altri e' di 6 anni; considerate le date  di
commissione dei reati;  considerato  altresi'  che  -  nonostante  le
interruzioni (l'ultima delle quali e' costituita  dalla  sentenza  di
condanna in data 14.1.2014) e in  assenza  di  cause  di  sospensione
della prescrizione  -  per  tutti  gli  imputati  cui  non  e'  stata
contestata la recidiva il termine non puo' essere prorogato oltre i 7
anni   e   6   mesi   dal   fatto   oppure   (per    l'organizzazione
dell'associazione per delinquere) oltre gli 8 anni e  9  mesi;  tutto
quanto sopra considerato, in applicazione delle  norme  di  cui  agli
artt. 157-161 c.p. i reati oggetto delle imputazioni  su  cui  questa
Corte e' chiamata a decidere sarebbero, ad  oggi,  tutti  prescritti 
(1) , ad eccezione dei seguenti: 
        reato di cui all'art. 416 comma 1 c.p, attribuito al capo 1 a
D. B C., S. M. S.  C.,  in  qualita'  di  promotori  e  organizzatori
dell'associazione per delinquere (reato commesso da  gennaio  2015  a
luglio 2007; termine di prescrizione pari  a  8  anni  e  9  mesi  in
scadenza nel marzo 2016); 
        reato di cui  all'art.  2  decreto  legislativo  n.  74/2000,
limitatamente  alla  dichiarazione  fraudolenta  per   l'anno   2007,
attribuito al capo 28 a S. P., R. A., C. R. (il reato di cui al  capo
28 concerne la violazione dell'art. 2 decreto legislativo n.  74/2000
in relazione all'utilizzo da parte di RAYTECH  di  F.O.I.  emesse  da
AMBROTEL,  ATRO,  IRIDE,  negli  anni  2005-2006-2007;  le  date   di
consumazione   coincidono   con   quelle   di   presentazione   delle
dichiarazioni fraudolente, rispettivamente il 30.10.2006  per  l'anno
2005, il 28.9.2007 per l'anno 2006, il 26.9.2008 per l'anno 2007; per
quest'ultimo reato il termine di prescrizione verrebbe a scadenza  il
24 marzo 2016); 
        reati agli artt.  10  e  5  decreto  legislativo  n.  74/2000
contestati a R. L. ai capi 4, 5 e  24  (per  effetto  della  recidiva
reiterata infraquinquennale); 
        reati di  cui  all'art.  5  decreto  legislativo  n.  74/2000
contestati a A.L. ai  capi  13  e  16  (per  effetto  della  recidiva
reiterata); 
        reato di cui  all'art.  10  decreto  legislativo  n.  74/2000
contestato a C. F. al capo 42 (per effetto della recidiva reiterata); 
        reato di cui agli artt. 10 e 5 decreto legislativo n. 74/2000
contestati a V. G. ai capi  33  e  34  (per  effetto  della  recidiva
reiterata infraquinquennale); 
        reato di cui  all'art.  10  decreto  legislativo  n.  74/2000
contestato a L. R. al capo 48 (la distruzione e/o occultamento  della
documentazione sociale  obbligatoria  risulta  accertata  in  data  7
maggio 2008; il termine di anni 7 e mesi 6 di  prescrizione  verrebbe
quindi a scadenza il 7.11.2015). 
 
                         Ritenuto in diritto 
 
    1. E' rilevante e non manifestamente infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 2 agosto 2008, n.
130,  con  cui  viene  ordinata   l'esecuzione   del   Trattato   sul
Funzionamento dell'Unione europea, come modificato  dall'art.  2  del
Trattato di Lisbona del 13 dicembre  2007  (TFUE),  nella  parte  che
impone di applicare la disposizione di cui all'art. 325 §§ 1 e 2 TFUE
dalla quale - nell'interpretazione fornitane dalla Corte di Giustizia
nella sentenza in data 8.9.2015, causa C - 105/14, Taricco - discende
l'obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli artt. 160 ult.
comma e 161 comma 2 c.p. in presenza delle circostanze indicate nella
sentenza, anche nel caso  in  cui  dalla  disapplicazione  discendano
effetti sfavorevoli per l'imputato, in ragione del contrasto di  tale
norma con l'art. 25, secondo comma, Cost, 
    2. La Corte  di  Giustizia  (Grande  Sezione),  pronunziandosi  a
seguito di rinvio pregiudiziale  proposto,  ai  sensi  dell'art.  267
TFUE, dal GIP del Tribunale di Cuneo con  ordinanza  del  17  gennaio
2014, in un procedimento  penale  riguardante  reati  in  materia  di
imposta sul valore aggiunto (IVA) del tutto analoghi a quelli per cui
qui si procede, ha statuito - con la citata  sentenza  resa  in  data
8.9.2015 - che una normativa nazionale in materia di prescrizione del
reato come quella stabilita dal  combinato  disposto  dell'art.  160,
ultimo comma, del  codice  penale,  come  modificato  dalla  legge  5
dicembre 2005, n. 251, e dell'art. 161 di tale codice - normativa che
prevede  che  l'atto   interruttivo   verificatosi   nell'ambito   di
procedimenti penali riguardanti frodi gravi in materia di imposta sul
valore aggiunto comporti il prolungamento del termine di prescrizione
di  solo  un  quarto  della  sua  durata  iniziale  -  e'  idonea   a
pregiudicare gli obblighi imposti agii Stati  membri  dall'art.  325,
paragrafi 1 e 2, TFUE nell'ipotesi in cui detta  normativa  nazionale
impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un  numero
considerevole di' casi  di  frode  grave  che  ledono  gli  interessi
finanziari dell'Unione europea, o in cui preveda, per i casi di frode
che ledono gli interessi finanziari dello Stato  membro  interessato,
termini di prescrizione piu' lunghi di quelli previsti per i casi  di
frode  che  ledono  gli  interessi  finanziari  dell'Unione  europea,
circostanze che spetta al giudice nazionale  verificare,  il  giudice
nazionale e' tenuto a dare piena efficacia all'art. 325, paragrafi  1
e 2, TFUE disapplicando, all'occorrenza,  le  disposizioni  nazionali
che abbiano per effetto di impedire allo Stato membra interessato  di
rispettare gli obblighi impostigli dall'art. 325, paragrafi  1  e  2,
TFUE. 
    3. Le conseguenze della  pronuncia  della  Corte  di  Lussemburgo
sull'ordinamento interno sono incisive, per il primato del diritto UE
rispetto a quello nazionale (compreso lo stesso diritto penale). 
    A fondamento della  propria  decisione,  la  Corte  di  giustizia
richiama i primi due paragrafi dell'art. 325 TFUE, a tenore dei quali
gli Stati membri «combattono contro la frode  e  le  altre  attivita'
illegali che  ledono  gli  interessi  finanziari  dell'Unione  stessa
mediante misure adottate a norma del  presente  articolo,  che  siano
dissuasive e tali da permettere una protezione efficace  negli  Stati
membri  e  nelle  istituzioni,  organi  e  organismi  dell'Unione»  e
«adottano, per combattere contro la  frode  che  lede  gli  interessi
finanziari dell'Unione, le stesse misure che adottano per  combattere
contro la frode che lede i loro interessi finanziari». Si  tratta  di
norme di diritto primario, in grado di esplicare effetto diretto  nel
giudizio nazionale; norme che - come ricorda la Corte di  Lussemburgo
- impegnano gli Stati membri a «lottare contro le attivita'  illecite
lesive degli interessi finanziari dell'Unione con  misure  dissuasive
ed  effettive  e,  in  particolare,  11  obbliga  ad  adottare,   per
combattere la frode lesiva degli interessi finanziari dell'Unione, le
stesse misure che adottano per combattere la frode  lesiva  del  loro
interessi finanziari» (§ 37 sentenza CGUE) e pongono «a carico  degli
Stati membri un obbligo di risultato preciso e  non  accompagnato  da
alcuna condizione» (§ 51). L'effetto diretto dei primi due  paragrafi
dell'art. 325 TFUE, per la primazia del diritto della UE rispetto  al
diritto nazionale, comporta la  conseguenza  «di  rendere  ipso  iure
inapplicabile, per il fatto stesso  della  loro  entrata  in  vigore,
qualsiasi  disposizione  contrastante  della  legislazione  nazionale
esistente» (§ 52), nel caso di specie rappresentata dagli  artt.  160
ultimo comma e 161 secondo comma del codice penale italiano. 
    La pronuncia della Corte di  giustizia,  pregiudiziale  ai  sensi
dell'art. 267 TFUE, ha un valore  generale  e  vincola  non  solo  il
giudice a quo,  ma  anche  tutti  i  giudici  nazionali,  nonche'  la
pubblica amministrazione nel suo complesso (Cfr. Corte  cost.,  sent.
n.  113/1985;  Corte  cost.  sent.  n.  284/2007,  secondo  cui   «le
statuizioni della Corte di giustizia delle Comunita'  europee  hanno,
al  pari  delle  norme  comunitarie  direttamente   applicabili   cui
ineriscono, operativita' immediata negli ordinamenti interni»;  CGCE,
22 giugno 1989, causa 103/88, Costanzo);  la  stessa  sentenza  della
CGUE Taricco e' perentoria al riguardo,  avvisando  che  «qualora  il
giudice nazionale giungesse  alla  conclusione  che  le  disposizioni
nazionali di cui trattasi non soddisfano  gli  obblighi  del  diritto
dell'Unione relativi al carattere effettivo e dissuasivo delle misure
di lotta contro le frodi detto giudice sarebbe tenuto a garantire  la
piena    efficacia    del    diritto    dell'Unione    disapplicando,
all'occorrenza,  tali  disposizioni  e   neutralizzando   quindi   la
conseguenza rilevata al punto 46 della presente sentenza,  senza  che
debba chiedere o attendere la previa rimozione di dette  disposizioni
in  via  legislativa  o   mediante   qualsiasi   altro   procedimento
costituzionale» (cfr. § 49  e  i  numerosi  precedenti  conformi  ivi
richiamati). 
    D'altro canto, occorre ricordare che, conformemente  ai  principi
affermati dalla sentenza della Corte di giustizia 9  marzo  1978,  in
causa C-106/77 (Simmenthal) e dalla successiva  giurisprudenza  della
Corte  costituzionale,  segnatamente  con  la  sentenza  n.  170/1984
(Granital), qualora si tratti di disposizione del diritto dell'Unione
europea direttamente efficace, spetta  al  giudice  nazionale  comune
valutare  la  compatibilita'  comunitaria  della  normativa   interna
censurata, utilizzando - se del caso - il rinvio  pregiudiziale  alla
Corte di giustizia e,  nell'ipotesi  di  contrasto,  provvedere  egli
stesso all'applicazione della norma comunitaria in luogo della  norma
nazionale; mentre, in caso di contrasto  con  una  norma  comunitaria
priva  di  efficacia  diretta  -  contrasto  accertato  eventualmente
mediante ricorso alla Corte di giustizia - e  nell'impossibilita'  di
risolvere il contrasto in via interpretativa, il giudice comune  deve
sollevare la questione di legittimita' costituzionale, spettando  poi
alla  Corte  costituzionale  valutare  l'esistenza  di  un  contrasto
insanabile in via interpretativa e, eventualmente, annullare la legge
incompatibile con il diritto comunitario (nello stesso senso sentenze
n. 284/2007, n. 28 e n. 227 del 2010 e n. 75/2012). 
    E', infine, in forza delle limitazioni di  sovranita'  consentite
dall'art. 11 Cost. che la Corte  costituzionale  ha  riconosciuto  la
portata e  le  diverse  implicazioni  della  prevalenza  del  diritto
comunitario e della sua interpretazione conforme,  anche  rispetto  a
norme costituzionali (sentenza n. 126/1996), individuandone  il  solo
limite  nel  contrasto  con  i  principi  fondamentali   dell'assetto
costituzionale dello Stato o con i diritti inalienabili della persona
(sentenza n. 170/1984), con la precisazione  che  tale  contrasto  e'
sindacabile esclusivamente dalla Corte  costituzionale  (sentenza  n.
129/2006, ord. n. 454/2006 e sentenza n. 284/2007). 
    4. Nel caso di specie, ricorrono le  condizioni  dalle  quali  la
Corte di Giustizia, nella sentenza Taricco, fa  discendere  l'obbligo
di disapplicazione delle norme di cui agli artt. 160 ult. comma e 161
comma 2 c.p.. 
    Ed infatti: 
        la mera lettura dei capi di  imputazione  e  della  sintetica
esposizione dei fatti sopra svolta rende evidente che  la  previsione
di una proroga del termine di prescrizione, per  effetto  degli  atti
interruttivi, di «solo un quarto della sua durata iniziale» impedisce
nel caso concreto di pervenire a un accertamento  definitivo  e,  nel
caso di ritenuta responsabilita' penale degli imputati, di infliggere
sanzioni «effettive e dissuasive» in un «numero considerevole di casi
di frode  grave  che  ledono  gli  interessi  finanziari  dell'Unione
europea»: basti  considerare  il  numero  esorbitante  di  operazioni
fraudolente    oggetto    di    contestazione,    eseguite    tramite
l'interposizione  strumentale  di  numerose  societa'  nazionali   ed
estere, ripetute nell'arco di circa tre anni, con  il  coinvolgimento
di mezzi, uomini, strutture e organizzazione di elevata efficienza  e
comportanti l'evasione dell'IVA (una quota della  quale,  come  noto,
deve essere girata automaticamente al bilancio europeo) per  svariati
milioni di euro tra il 2005 e il 2007 (tanto da meritare la esplicita
contestazione di avere cagionato «un danno patrimoniale di  rilevante
gravita' in danno dello Stato» al capo 1 e «un danno patrimoniale  di
rilevante gravita'» ai capi 2, 3, 6, 32, 35, 38 , 41, 43); operazioni
integranti  reati  pressoche'  tutti  estinti,  ove  il  termine   di
prescrizione fosse calcolato secondo le norme di cui agli artt. 160 e
161 c.p. sopra richiamate; 
        i reati fiscali, le truffe e l'associazione per delinquere in
contestazione,  produttive  di  una  grave  lesione  degli  interessi
finanziari dell'Unione europea (portata a  segno  mediante  le  frodi
«carosello» oggetto  del  presente  procedimento  e  la  conseguente,
massiccia evasione dell'IVA) sono soggetti a termini di  prescrizione
piu'  brevi  di  quelli  previsti  dal  reato  di  associazione   per
delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi  lavorati  esteri,
previsto dall'art. 291-quater D.P.R. 23 gennaio 1973, n.  43,  lesivo
dei soli  interessi  finanziari  dello  Stato  Italiano:  reato  che,
sebbene  di  natura  e  gravita'  comparabile  a  quelle  dei   reati
comportanti evasione dell'IVA (e, quindi, una lesione degli interessi
finanziari anche dell'UE), in  quanto  incluso  tra  quelli  indicati
dall'art. 53 comma 3-bis c.p.p.  e'  sottoposto,  per  effetto  della
disciplina dettata dal combinato  disposto  degli  artt.  160  ultimo
comma e 161 comma 2 c.p., a termini di prescrizione notevolmente piu'
ampi, essendo previsto per tale reato che il termine di  prescrizione
decorra  nuovamente  e  per  intero  al  verificarsi  di  ogni   atto
interruttivo, senza l'apposizione di alcun limite all'estensione  del
prolungamento complessivo. 
    5. In tale situazione, il giudice penale sarebbe  tenuto  a  dare
piena efficacia all'art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE disapplicando  le
disposizioni nazionali che abbiano per effetto di impedire allo Stato
membro interessato di rispettare gli  obblighi  impostigli  dall'art.
325, paragrafi 1 e 2, TFUE. Nel caso  di  specie,  come  reso  chiaro
dalla  lettura  della  sentenza  CGUE  Taricco,  si  tratterebbe   di
disapplicare la norma di cui all'art. 160 ultimo comma e all'art. 161
comma 2 c.p., nella parte in cui appongono un limite massimo (pari  a
un quarto) all'aumento del termine ordinario per la prescrizione  nel
caso di interruzione del suo corso. La disciplina interna applicabile
quale risultante  della  disapplicazione  sarebbe,  conseguentemente,
agevolmente  e  con  certezza  individuabile  nel  regime   ordinario
previsto per i reati di cui  all'art.  51  commi  3  bis  e  3-quater
c.p.p., gia' esclusi ex lege dalla sottoposizione al «tetto»  massimo
di un quarto previsto dagli artt. 160 ult. comma e 161 comma  2  c.p.
Ne conseguirebbe che  per  nessuno  dei  reati  ad  oggi  prescritti,
secondo i calcoli sopra effettuati sulla base delle norme di cui agli
artt.  157-161  c.p.,  sarebbe  ancora   maturato   il   termine   di
prescrizione, da computarsi in 6 anni (o 7, anni nel caso  dei  reato
di cui all'art. 416  comma  1  c.p.)  a  decorrere  dall'ultimo  atto
interruttivo costituito dalla sentenza di condanna di primo grado, in
data  14.1.2014;  i  termini  di  prescrizione  verrebbero  quindi  a
scadenza il 14.1.2020 o, per il piu' grave delitto  di  cui  all'art.
416 comma 1 c.p., il 14.1.2021, 
    6. Questa Corte, tuttavia, ritiene di non poter  disapplicare  le
norma interna di cui agli artt. 160 ultimo comma e 161 comma 2  c.p.,
nel caso in  esame,  in  quanto  dubita  della  compatibilita'  degli
effetti di tale  disapplicazione,  implicanti  l'applicazione  di  un
diverso e piu' sfavorevole regime prescrizionale, con il principio di
legalita' in materia  penale  di  cui  all'art.  25  comma  2  Cost.:
principio  fondamentale   di   ordine   costituzionale,   come   tale
sindacabile esclusivamente dalla Corte costituzionale (in conformita'
alla giurisprudenza costituzionale sopra richiamata). 
    La Corte di Giustizia affronta tale  obiezione  nella  richiamata
sentenza  Taricco  (§  54-57),  giungendo  alla  conclusione  che  il
principio di legalita' non sia in altun modo vulnerato. Richiama,  al
riguardo, l'art. 49 della Carta dei diritti fondamentali  dell'Unione
(CDFUE), che - in forza dell'art. 52 CDFUE recepisce i  principio  di
legalita'  e  di   proporzionalita'   dei   reati   e   delle   pene,
nell'estensione riconosciutagli dalla giurisprudenza della  Corte  di
Strasburgo formatasi  sulla  corrispondente  previsione  dell'art.  7
della Convenzione europea del diritti dell'uomo (CEDU). Secondo  tale
giurisprudenza, richiamata dalla Corte di giustizia, la materia della
prescrizione  del  reato  attiene  in  realta'  alle  condizioni   di
procedibilita' del reato e non e' pertanto coperta dalla garanzia del
principio di nullum crimen. 
    A  ben  vedere,  tuttavia,  la  giurisprudenza  della  Corte  EDU
richiamata dalla CGUE e, in particolare, la sentenza Coëme  e  a.  c.
Belgio, ric. nn. 32492/96, 32547/96, 32548/96, 33209/96 e 33210/96, §
149,  non  sembra  attagliarsi  perfettamente  al  caso   in   esame,
affermando che la proroga  del  termine  di  prescrizione  e  la  sua
immediata  applicazione  non  comportano  una  lesione  del   diritti
garantiti dall'art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo
in un caso in cui l'allungamento  dei  termini  di  prescrizione  era
intervenuto quando i fatti addebitati non si erano ancora prescritti;
nella fattispecie all'esame di questa Corte, invece, come sopra si e'
detto, il termine di prescrizione - calcolato secondo le norme di cui
agli artt. 160-161 c.p. - era gia' maturato prima che la CGUE, con la
sentenza Taricco, intervenisse a chiarire l'incompatibilita' di  tali
norme con il diritto dell'Unione  e  a  imporne  conseguentemente  la
disapplicazione, quale effetto diretto dell'art. 325 TFUE. 
    A  prescindere  da  tali   incidentali   rilievi   (eventualmente
rilevanti  nella   diversa   prospettiva   dell'assicurazione   delle
fondamentali  garanzie  del  giusto   processo,   che   anche   nella
giurisprudenza della Corte europea impongono allo Stato il dovere  di
agire secondo buona fede, nel rispetto dei principi della certezza  e
della tutela del legittimo affidamento dei cittadini: cfr. ex  multis
C.EDU, Unedic c. Francia, 18 dicembre 2008, § 74; id., G.C,, Scordino
c. Italia, 29 marzo 2006, § 126; Id., G.C.,  Scoppola  c.  Italia,  9
settembre 2009, § 132 e 139), cio' che convince della  non  manifesta
infondatezza  della  questione  e'  la   costante   e   condivisibile
giurisprudenza della Corte costituzionale,  che  -  a  differenza  di
quella europea - e' ferma nel ritenere le  norme  sulla  prescrizione
come norme di diritto  sostanziale,  parte  integrante  della  «legge
penale», come tali soggette al principio di legalita'  e  a  tutti  i
suoi coronari di  cui  all'art.  25  comma  2  Cost.;  tanto  che  [e
questioni di legittimita' costituzionale  tendenti  ad  ampliare,  in
malam partem, i termini di  prescrizione  sono  state  sinora  sempre
giudicate  inammissibili,   proprio   perche'   il   loro   eventuale
accoglimento avrebbe comportato un aggravamento della responsabilita'
penale  dell'imputato  e  -  dunque  -   un'ingerenza   della   Corte
costituzionale in un dominio riservato esclusivamente al  legislatore
in forza, appunto, dell'art. 25 co. 2 Cost.. 
    Categoriche,  in  tal  senso,   le   affermazioni   della   Corte
costituzionale, per cui (cfr. sentenza n. 394/2006  e  giurisprudenza
ivi richiamata) «secondo  la  consolidata  giurisprudenza  di  questa
Corte, all'adozione di pronunce in malam  partem  in  materia  penale
osta non gia' una ragione meramente processuale - di irrilevanza, nel
senso che l'eventuale decisione di accoglimento non potrebbe  trovare
comunque  applicazione  nel  giudizio  a  quo  -   ma   una   ragione
sostanziale, intimamente connessa al principio della riserva di legge
sancito dall'art. 25, secondo comma, Cost., in base al quale «nessuno
puo' essere punito se non in forza di una legge che  sia  entrata  in
vigore prima del fatto commesso»». Spiega il Giudice delle  leggi che
«rimettendo al legislatore - e segnatamente al «soggetto-Parlamento»,
in  quanto  rappresentativo   dell'intera   collettivita'   nazionale
(sentenza n. 487 del 1989) - la riserva sulla  scelta  dei  fatti  da
sottoporre a pena e delle sanzioni loro applicabili, detto  principio
impedisce alla Corte sia di creare nuove fattispecie criminose  o  di
estendere quelle esistenti a casi non previsti; sia  di  incidere  in
pelus sulla risposta punitiva o su  aspetti  comunque  inerenti  alla
punibilita' (e cosi', ad esempio, sulla disciplina della prescrizione
e dei relativi atti interruttivi o sospensivi: ex plurimis, ordinanze
m 317 del 2000 e n. 337 del 1999).» 
    Con orientamento assurto al rango di diritto vivente (e condiviso
da questa Corte, stante  la  chiara  lettera  dell'art.  25  comma  2
Cost.), la Corte costituzionale ritiene, quindi, che  la  riserva  di
legge contenuta nell'art. 25 Cost. le impedisca di incidere in  pelus
non solo sulla fattispecie incriminatrice  e  sulla  pena,  ma  anche
sugli  aspetti  inerenti  alla  punibilita',  tra  cui  espressamente
include la prescrizione. 
    Il principio e' ribadito in  termini  netti,  piu'  recentemente,
anche da Corte cost. sent. n. 324/2008.  Nell'affrontare  le  censure
prospettate dal giudice dal GIP del Tribunale  di  Padova  in  merito
all'art. 6, comma 2, della legge n. 251 del 2005, nella parte in  cui
non  prevede  che  il  termine  prescrizionale,  nei  caso  di  reato
continuato, decorra dalla data di cessazione della continuazione (sul
presupposto che il limite al sindacato di  costituzionalita'  cui  e'
sottoposta la Corte costituzionale nel caso in  cui  si  invochi  una
pronuncia additiva in malam partem in materia penale  non  opererebbe
con riferimento alla disciplina della prescrizione), il Giudice delle
leggi osserva che «Il rimettente trascura di  considerare,  anche  al
solo fine di confutarla, la costante giurisprudenza di  questa  Corte
che, in piu' occasioni, ha ribadito che il principio della riserva di
legge sancito dall'art. 25, secondo comma, Cost. rende  inammissibili
pronunce il cui effetto  possa  essere  quello  di  introdurre  nuove
fattispecie criminose, di  estendere  quelle  esistenti  a  casi  non
previsti, o, comunque, «di incidere in pelus sulla risposta  punitiva
o  su  aspetti  inerenti  alla  punibilita',  aspetti  fra  i  quali,
indubbiamente,  rientrano  quelli  inerenti   la   disciplina   della
prescrizione e dei relativi atti interruttivi o sospensivi» (sentenza
n. 394 del 2006 e ordinanza n. 65 del 2008). «Pacifico» per la  Corte
costituzionale, e' poi l'assoggettamento  della  prescrizione  «quale
istituto di diritto sostanziale....alla disciplina di cui all'art. 2,
quarto  comma,  cod.  pen.  che  prevede  la  regola  generale  della
retroattivita' della norma piu' favorevole, in quanto «il decorso del
tempo non si limita ad estinguere  l'azione  penale,  ma  elimina  la
punibilita' in se' e per se', nel senso che costituisce una causa  di
rinuncia totale dello Stato alla potesta' punitiva» (sentenza n.  393
del 2006)». 
    Parimenti incontrastata, del resto, e'  la  considerazione  della
natura sostanziale delle norme sulla prescrizione - e del conseguente
loro assoggettamento al  regime  di  cui  all'art.  2  c.p.  -  nella
giurisprudenza di legittimita' (cfr., tra le  altre,  Cass.  Sez.  1,
Sentenza n. 32781 del  22/05/2014,  Abbinate,  Rv.  260536;  Sez.  1,
Sentenza n. 20430 del 27/01/2015, Bilardi Rv. 263687). 
    Nel caso di specie,  in  conclusione,  la  disapplicazione  delle
norme (di carattere sostanziale) di cui agli artt. 160 ult., comma  e
161 comma 2 c.p., imposta dall'art. 325  TFUE  nella  interpretazione
datane dalla sentenza CGUE Taricco, produrrebbe la retroattivita'  in
malam  partem  della   normativa   nazionale   risultante   da   tale
disapplicazione, implicante l'allungamento dei tempi  prescrizionali,
con  effetti  che  questa  Corte  dubita  siano  compatibili  con  il
principio di legalita' in  materia  penale,  come  affermatosi  nella
consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale e  della  Corte
di Cassazione. 
    Profilandosi,  in  tal  senso,  un  contrasto  tra  l'obbligo  di
disapplicazione derivato dall'art. 325 TFUE, considerato dalla  Corte
di giustizia conforme al principio di legalita' in sede europea sulla
base dell'art. 49 CDFUE, e  il  principio  di  legalita'  in  materia
penale, nella estensione  attribuitagli  dal  diritto  costituzionale
italiano sulla base dell'art. 25 co. 2 Cost., si  ritiene  necessario
rimettere   alla   Corte   costituzionale   la   valutazione    della
opponibilita' di un «controlimite»  alle  limitazioni  di  sovranita'
derivanti  dall'adesione  dell'Italia   all'ordinamento   dell'Unione
europea ai sensi dell'art. 11 Cost., in  funzione  del  rispetto  del
principio fondamentale dell'assetto costituzionale  interno,  poziore
rispetto agli stessi obblighi di matrice europea. 
    7.   La   rilevanza   della   questione   e'   comprovata   dalla
considerazione per cui e' proprio dalla soluzione della questione  di
costituzionalita' che  dipende  l'applicabilita'  delle  disposizioni
normative di cui artt. 160 ult. comma e 161 comma 2 c.p.. 
    Come sopra esposto, nelle considerazioni in fatto, ove si facesse
applicazione di tali  norme  nella  fattispecie  concreta,  la  quasi
totalita'   dei   reati   risulterebbe   estinta   per    intervenuta
prescrizione, con conseguenze incidenti - ancor prima che  sull'esito
del giudizio (in termini di conferma o riforma,  totale  o  parziale,
della sentenza  di  primo  grado)  -  sulle  regole  di  giudizio  da
applicare per pervenire alla decisione. 
    Secondo l'autorevole insegnamento delle Sezioni  Unite  (Sez.  U,
Sentenza n. 35490 del 28/05/2009 Tettamanti, Rv. 244274), in presenza
di una causa di estinzione del reato, il  giudice  e'  legittimato  a
pronunciare sentenza di assoluzione  a  norma  dell'art.  129,  comma
secondo, cod. proc. pen. soltanto nei  casi  in  cui  le  circostanze
idonee  ad  escludere  l'esistenza  del  fatto,  la  commissione  del
medesimo da parte dell'imputato e la sua  rilevanza  penale  emergano
dagli atti in modo  assolutamente  non  contestabile,  cosi'  che  la
valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga  piu'
al concetto di «constatazione», ossia di percezione «ictu oculi», che
a quello di «apprezzamento» e sia quindi incompatibile con  qualsiasi
necessita' di accertamento o di approfondimento. Cio'  significa,  in
altri termini - com'e' stato chiarito dalla giurisprudenza successiva
della stessa Corte di legittimita' (Sez. 4, n.  23680  del  7  maggio
2013, Rizzo e altro, Rv. 256202), che la formula  di  proscioglimento
nel  merito  prevale  sulla  dichiarazione  di  improcedibilita'  per
intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con
una mera attivita' ricognitiva, l'assoluta  assenza  della  prova  di
colpevolezza a carico dell'imputato ovvero la  prova  positiva  della
sua innocenza e non anche  nel  caso  di  mera  contraddittorieta'  o
insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra
opposte risultanze. 
    L'indirizzo  interpretativo,  condiviso  da  questa   Corte,   e'
assolutamente  granitico  (cfr.  altresi',  fra  le  tante,  Sez.  1,
Sentenza n. 43853 del  24/09/2013,  Giuffrida,  Rv.  25844;  Sez.  6,
Sentenza n. 10284 del 22/01/2014 Culicchia, Rv.  259445).  Le  uniche
eccezioni a tale regola di giudizio - previste  dalla  giurisprudenza
per il caso in cui, in sede di appello, a fronte di una  sopravvenuta
una causa estintiva del reato, il giudice sia  chiamato  a  valutare,
per la presenza della parte civile, il compendio probatorio  ai  fini
delle  statuizioni  civili,  oppure  ritenga  infondata  nel   merito
l'impugnazione del P.M. proposta avverso una sentenza di  assoluzione
in primo grado al sensi dell'art. 530, comma secondo,  c.p.p,  -  non
ricorrono nel caso di specie, in assenza di parti civili costituite o
di appello dei Pubblico Ministero o del Procuratore Generale. 
    E' evidente, quindi, che, in relazione a pressoche' tutti i  capi
di imputazione (ne resterebbero escluse  solo  le  imputazioni  sopra
richiamate, di  promozione  e  organizzazione  dell'associazione  per
delinquere contestata al capo 1,  la  dichiarazione  fraudolenta  per
l'anno d'imposta 2007 contestata al capo 28, i reati attribuiti  agli
imputati reiteratamente recidivi e il reato fiscale di  cui  al  capo
48), dall'applicazione o disapplicazione del combinato disposto degli
artt. 160 ult. comma e 161 comma 2 c.p. discenderebbe  l'adozione  di
due regole di giudizio  differenti,  con  riferimento  all'esame  dei
motivi  di  impugnazione  dedotti  in  giudizio:  nel   primo   caso,
constatata la sopravvenienza di una causa di  estinzione  dei  reati,
per  poter  accedere  alla  richiesta  difensiva  di  adozione  della
pronuncia ampiamente liberatoria sarebbe  sufficiente  verificare  se
sia  rilevabile,  con  una  mera  attivita'  ricognitiva,  l'assoluta
assenza della prova di colpevolezza a carico degli imputati ovvero la
prova positiva della loro innocenza (l'unica che, secondo  la  citata
giurisprudenza, assurta a rango di diritto vivente, consentirebbe  la
prevalenza della formula proscioglimento  nel  merito  rispetto  alla
declaratoria di  estinzione  per  prescrizione);  nel  secondo  caso,
invece, occorrerebbe entrare nel merito delle censure, implicanti una
rivalutazione  critica  di  tutto  il  materiale  probatorio   e   un
apprezzamento ponderato delle opposte  risultanze,  e  accogliere  le
richieste  assolutorie  degli  appellanti  anche  nel  caso  di  mera
contraddittorieta' o insufficienza della prova. 
    Considerato che il requisito della  rilevanza  va  riferito  alla
complessiva  regiudicanda  all'esame  del  giudice,  non   ne   elide
l'attualita' il fatto che per due degli imputati appellanti (S.  C  e
S. A.) sia stata sollevata preliminarmente la questione  di  nullita'
dell'avviso di conclusioni delle indagini e del decreto  che  dispone
il  giudizio.  Peraltro,  non  puo'  pretendersi   che   il   giudice
remittente, nel sollevare la questione  pregiudiziale  rispetto  alla
pronunzia che e' chiamato a  rendere,  debba  anticipare  il  proprio
convincimento circa le questioni  processuali  sollevate  con  l'atto
d'appello, essendo sufficiente una  mera  delibazione  delle  stesse,
nella specie condotta da questa Corte sulla scorta della  motivazione
della sentenza di primo grado e dell'ordinanza del Tribunale in  data
1°.2.2012, con cui sono state rigettate  le  questioni  ex  art.  491
c.p.p.,  riproposte  con  gli  atti  d'appello  (cfr.,   in   analoga
fattispecie, Corte costituzionale, sentenza n. 78 del 2002; anche nel
caso rimesso allo scrutinio della Corte costituzionale con  ordinanza
della Corte di Cassazione n. 37443/2014  e  deciso  con  la  sentenza
della Corte costituzionale n. 185/2015, avente ad  oggetto  la  norma
dell'art. 99 quinto  comma  c.p.,  e'  stata  ritenuta  rilevante  la
questione di legittimita' costituzionale di una  norma  afferente  al
trattamento  sanzionatorio,  come  tale  applicabile  solo  all'esito
dell'esame  delle   doglianze   attinenti   alla   dichiarazione   di
responsabilita' dell'imputato, il cui esito tuttavia  non  era  stato
anticipato  dalla  Corte  remittente  se  non  in  termini  di   mera
delibazione). In  ogni  caso,  si  tratta  di  questioni  preliminari
riguardanti le sole posizioni di S. C. e S. A., l'accoglimento  delle
quali non estenderebbe i suoi effetti ai coimputati, in quanto  dagli
stessi non tempestivamente eccepite nei termini di cui  all'art.  491
c.p.p. e, comunque, non riproposte con i rispettivi appelli. 

(1) Gli ultimi ad aver maturato il termine  di  prescrizione  sono  i
    reati di cui all'art. 5 D.L.vo n. 74/2000 relativi all'anno  2006
    (capo 8 seconda parte, 19, 22, 34, 37, 40):  poiche'  il  termine
    per la presentazione della dichiarazione per l'anno 2006 per  via
    telematica  era  stato  prorogato  ai  1.10.2007   (Decreto   dei
    Presidente  del  Consiglio  del  ministri  del  10  luglio  2007,
    pubblicato in Gazzetta  Ufficiale  n.  209  del  08/09/2007),  il
    termine di prescrizione decorre dal 1.1.2008 ed  e'  maturato  il
    1.7.2015, salvo che per il recidivo V (capo 34). 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Corte di appello di Milano, 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza; 
    Solleva questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2
della  legge  2  agosto  2008,  n.  130,  con  cui   viene   ordinata
l'esecuzione del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea, come
modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13  dicembre  2007
(TFUE), nella parte che impone di applicare la  disposizione  di  cui
all'art. 325 §§  1  e  2  TFUE  dalla  quale  -  nell'interpretazione
fornitane dalla Corte di Giustizia nella sentenza in  data  8.9.2015,
causa C -  105/14,  Taricco  -  discende  l'obbligo  per  il  giudice
nazionale di disapplicare gli artt. 160 ultimo comma  e  161  secondo
comma c.p. in presenza delle  circostanze  indicate  nella  sentenza,
anche se dalla disapplicazione  discendano  effetti  sfavorevoli  per
l'imputato, per il prolungamento  del  termine  di  prescrizione,  in
ragione del contrasto di tale norma con  l'art.  25,  secondo  comma,
Cost. 
    Sospende  il  giudizio  in  corso  sino  all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale; 
    Dispone  che,  a  cura  della   cancelleria,   gli   atti   siano
immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale e che la  presente
ordinanza  sia  notificata  alle  parti  in  causa  ed  al   Pubblico
Ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei  ministri,  e  che
sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
      Milano, 18 settembre 2015 
 
                        Il Presidente: Maiga 
 
 
                  I consiglieri: Scarlini - Locurto