N. 341 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 giugno 2015

Ordinanza del 19 giugno 2015 del Tribunale  -  Sez.  del  riesame  di
Lecce nel procedimento penale a carico di V.D.. 
 
Processo penale - Procedimento per il  riesame  delle  ordinanze  che
  dispongono una misura coercitiva - Svolgimento,  su  istanza  degli
  interessati, nelle forme dell'udienza pubblica - Preclusione. 
- Codice di procedura penale, artt. 309, comma 8, e 127, comma 6. 
(GU n.2 del 13-1-2016 )
 
                         TRIBUNALE DI LECCE 
                         sezione del riesame 
 
    Il Tribunale, riunitosi in camera di consiglio nelle persone di: 
        dott. Silvio M. Piccinno, Presidente; 
        dott. Pia Verderosa, Giudice; 
        dott. Antonio Gatto, Giudice; 
    Ha pronunziato la seguente ordinanza nei confronti di V.  D.,  n.
...  il  ... sul  ricorso  presentato  il  4  giugno   2015   avverso
l'ordinanza emessa dal g.u.p. presso il Tribunale di Brindisi in data
1° giugno 2015 con la quale si disponeva la  misura  cautelare  della
custodia cautelare in carcere. 
    1. Il giudice applicava detta misura avendo  ritenuto  sussistere
nei confronti del ricorrente ed altri tre concorrenti gravi indizi di
colpevolezza dei delitti di cui agli articoli 110, 624 e 625 nn. 2  e
5 e 61 n. 5 c.p. nonche' di quello di cui agli articoli 110, 648 e 61
n. 2 c. p. per essersi impossessati, in tempo di notte e travisati da
passamontagna, di quattro slotmachine ed una  macchina  cambia  soldi
contenenti la somma complessiva di € 3.529 sottraendole a P.  L.  che
le deteneva nel proprio  esercizio  ...  dove  i  suddetti  si  erano
portati con le vetture ..., entrambe compendio di furto. 
    Avverso  il  suddetto  provvedimento  ha  proposto   ricorso   il
difensore per l'annullamento dell'ordinanza. 
    2.  All'udienza  del  16  giugno  2015  il   difensore   chiedeva
preliminarmente che il procedimento si svolgesse in pubblica  udienza
e sollevava questione di costituzionalita' dell'art. 309, comma 8, in
relazione all'art. 127 c.p.p. sulla  base  delle  considerazioni  che
seguono: 
        «il V. per il tramite dello scrivente difensore, ha interesse
a richiedere la celebrazione dell'udienza fissata come «camerale» per
il 16 giugno 2015, nelle forme della  pubblica  udienza,  atteso  che
trattasi di accertamento  che  incide  in  modo  determinante  su  un
diritto  costituzionalmente  tutelato,  laddove   e'   indubbio   che
l'accertamento in ordine alla sussistenza dei requisiti necessari per
l'adozione (o meno) di una misura  cautelare  personale  risponde  ad
esigenze di natura generalpreventiva (cosi' per le esigenze cautelari
di cui all'art. 274 c.p.p.) ovvero piu' propriamente repressiva; 
    Osservato, che proprio in data odierna  la  Corte  Costituzionale
con   sentenza   n.   109/2015   ha   dichiarato    «l'illegittimita'
costituzionale degli articoli 666, comma 3, 667, comma 4, e 676  cod.
proc. pen., nella parte in cui non consentono che, su  istanza  degli
interessati, il procedimento di  opposizione  contro  l'ordinanza  in
materia di applicazione della confisca si svolga, davanti al  giudice
dell'esecuzione, nelle torme dell'udienza pubblica»; 
    Rilevato, ancora,  che  gia'  in  passato  la  Consulta,  con  le
sentenze n. 93 del 2010, n. 135 del 2014 e n. 97 del 2015, aveva gia'
dichiarato costituzionalmente illegittime le disposizioni regolative,
rispettivamente, del procedimento per l'applicazione delle misure  di
prevenzione (art. 4 della legge 27 dicembre 1956,  n.  1423,  recante
«Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per  la
sicurezza e per la pubblica moralita'», e art. 2-ter della  legge  31
maggio 1965, n. 575, recante «Disposizioni contro  le  organizzazioni
criminali di tipo mafioso, anche straniere»),  del  procedimento  per
l'applicazione delle misure di sicurezza (articoli 666, comma 3, 678,
comma 1, e 679, comma 1, cod. proc. pen.) e del procedimento  davanti
al tribunale di sorveglianza (articoli 666, comma 3, e 678, comma  1,
cod. proc. pen.), nella parte in cui non consentono che,  su  istanza
degli interessati,  le  procedure  stesse  si  svolgano  nelle  forme
dell'udienza  pubblica,  quanto  ai  gradi  di  merito  (la  medesima
esigenza costituzionale non e' stata  ritenuta,  invece,  ravvisabile
relativamente al  ricorso  per  cassazione,  in  quanto  giudizio  di
impugnazione destinato alla  trattazione  di  questioni  di  diritto:
sentenza n. 80 del 2011)»; 
    Rilevato ancora che anche la Corte Europea dei diritti  dell'uomo
ha piu' volte stigmatizzato la  compatibilita'  dei  procedimenti  in
camera di consiglio con il principio di  pubblicita'  delle  udienze,
sancito  dall'art.  6  paragrafo  1  Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(«[...] Ogni persona ha diritto a che  la  sua  causa  sia  esaminata
[...], pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un  tribunale
indipendente e imparziale [...]», aggiungendo che «La  sentenza  deve
essere resa pubblicamente, ma  l'accesso  alla  sala  d'udienza  puo'
essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto  o  parte  del
processo nell'interesse della morale, dell'ordine  pubblico  o  della
sicurezza nazionale in una societa' democratica,  quando  lo  esigono
gli interessi dei minori o la protezione  della  vita  privata  delle
parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal
tribunale,  quando  in  circostanze  speciali  la  pubblicita'  possa
portare pregiudizio agli interessi della giustizia»); 
    Rilevato infatti che la Corte europea dei  diritti  dell'uomo  ha
gia' avuto modo di ritenere  in  contrasto  con  l'indicata  garanzia
convenzionale taluni procedimenti giurisdizionali dei quali la  legge
italiana  prevedeva  la  trattazione  in  forma  camerale.  Cio'   e'
avvenuto, in specie con riguardo al  procedimento  applicativo  delle
misure di prevenzione (sentenza 13 novembre 2007, Bocellari  e  Rizza
contro Italia, sulla cui scia sentenza 26 luglio 2011, Paleari contro
Italia; sentenza 17 maggio 2011, Capitani e Campanella contro Italia;
sentenza 2 febbraio 2010, Leone contro  Italia;  sentenza  5  gennaio
2010, Bongiorno e altri contro Italia; sentenza 1° luglio 2008, Perre
e  altri  contro  Italia)  e  al  procedimento  per  la   riparazione
dell'ingiusta detenzione (sentenza 10 aprile 2012, Lorenzetti  contro
Italia); 
    Osservato che proprio in tale ultima decisione la  Corte  europea
ha qualificato come audizione  «essenziale»,  ai  fini  del  rispetto
della citata norma convenzionale, che  i  singoli  coinvolti  in  una
procedura per la riparazione  dell'ingiusta  detenzione  -  procedura
che, in base alla legge processuale italiana, si  svolge  appunto  in
forma camerale - si vedano offrire quanto  meno  la  possibilita'  di
richiedere  una  udienza  pubblica  innanzi  alla   corte   d'appello
competente nel merito in unico grado), non essendo ravvisabile alcuna
circostanza  eccezionale  che  giustifichi,  con  riguardo  a   detta
procedura, una deroga generale e assoluta al principio di pubblicita'
dei giudizi; 
    Osservato infine, e con efficacia tranchant  anche  nel  caso  di
specie,  che  la  Corte  europea  e'  pervenuta  a  tale  conclusione
richiamando la propria costante giurisprudenza, secondo la  quale  la
pubblicita' delle procedure giudiziarie tutela  le  persone  soggette
alla giurisdizione  contro  una  giustizia  segreta,  che  sfugge  al
controllo  del  pubblico,  e  costituisce  anche  uno  strumento  per
preservare la fiducia nei giudici, contribuendo cosi' a realizzare lo
scopo dell'art. 6 paragrafo  1,  della  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
ovvero l'equo processo; 
    Rilevato  ancora  che  proprio  nella  recentissima  sentenza  n.
109/2015 il Giudice delle Leggi ha osservato che «la pubblicita'  del
giudizio - specie di quello penale  -  rappresenta,  in  effetti,  un
principio connaturato ad un  ordinamento  democratico  (ex  plurimis,
sentenze n. 373 del 1992, n. 69 del  1991  e  n.  50  del  1989).  Il
principio non ha valore  assoluto,  potendo  cedere  in  presenza  di
particolari ragioni giustificative, purche',  tuttavia,  obiettive  e
razionali (sentenza n. 212 del 1986), e, nel  caso  del  dibattimento
penale,  collegate  ad  esigenze  di  tutela  di  beni  a   rilevanza
costituzionale (sentenza n. 12 del 1971)»; 
    Ritenuto pero' che deve escludersi, con riguardo al  procedimento
oggi in esame, che siano ravvisabili regioni atte a giustificare  una
deroga generalizzata e assoluta al  principio  di  pubblicita'  delle
udienze, che in  quanto  tali  escluderebbero  che  l'indagato  possa
invocare la  pubblicita'  dell'udienza  nell'ambito  di  procedimento
volto all'accertamento della  sussistenza  (o  meno)  degli  elementi
giustificativi dell'adozione di una misura  drasticamente  limitativa
della sua liberta' personale; 
    Richiamata  sul  punto  la  sentenza  n.  97/2015   della   Corte
costituzionale, sempre in ambito di liberta' personale (sia pure  nel
differente campo delle misure alternative alla detenzione), ove si e'
affermato  che  i  provvedimenti  dei   Tribunali   di   Sorveglianza
«incidono, spesso in modo particolarmente rilevante,  sulla  liberta'
personale dell'interessato. Essi richiedono,  altresi',  accertamenti
di fatto, comprensivi, per lo piu', di verifiche sulla  condotta  del
condannato e sull'attualita' e  sul  grado  della  sua  pericolosita'
sociale», tanto quanto accade per le misure cautelari personali; 
    Osservato infine che l'espresso richiamo del disposto del comma 8
dell'art. 309  c.p.p.  all'art.  127  c.p.p.  non  consentirebbe,  in
effetti, alcuna «interpretazione adeguatrice», essendo inequivoco nel
disciplinare il procedimento davanti al Tribunale  del  Riesame  come
«rito camerale caratterizzato da oralita' ma non aperto al  pubblico»
e che  alla  luce  delle  indicazioni  fornite  dalla  giurisprudenza
costituzionale,  occorrerebbe,  pertanto,  sollevare   questione   di
legittimita' costituzionale delle norme interne per contrasto con gli
articoli 111, primo comma, e 117, primo comma, Cost.» 
    3. E' del tutto evidente la rilevanza della questione  sollevata,
atteso che  la  richiesta  avanzata  dall'indagato,  di  trattare  il
procedimento che lo concerne in pubblica udienza, trova  un  ostacolo
insormontabile nel chiaro ed inequivoco disposto dell'art. 309, comma
8, c.p.p. secondo il quale il procedimento davanti  al  tribunale  si
svolge in camera di consiglio  nelle  forme  previste  dall'art.  127
ossia, secondo  quanto  prescrive  il  sesto  comma  di  tale  ultima
disposizione, senza la presenza del pubblico. 
    4. La questione posta appare, poi, non manifestamente infondata. 
    4.1   I   parametri   costituzionali   coinvolti,   secondo    la
prospettazione difensiva, sono costituiti dagli articoli  111,  primo
comma, e 117, primo comma, della Costituzione in  relazione  all'art.
6, paragrafo 1, della Convenzione per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU). 
    L'art. 111 Cost. stabilisce i principi  che  regolano  il  giusto
processo, ma non annovera espressamente tra essi la pubblicita' delle
udienze, mentre il primo comma dell'art. 117 afferma che la  potesta'
legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle  Regioni  nel  rispetto
della Costituzione nonche'  dei  vincoli  derivanti  dall'ordinamento
comunitario e degli obblighi internazionali. 
    Tali norme vengono dunque in rilievo mediante rinvio  all'art.  6
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, il primo comma  del  quale  dispone  che  ogni
persona ha diritto che la sua  causa  sia  esaminata  imparzialmente,
pubblicamente e in un tempo ragionevole, da  parte  di  un  tribunale
indipendente ed imparziale, costituito dalla legge, che decidera' sia
in ordine alle controversie  sui  suoi  diritti  ed  obbligazioni  di
natura civile, sia sul fondamento di ogni accusa  in  materia  penale
elevata  contro  di  lei.  Il  giudizio  deve  essere  pubblico,   ma
l'ingresso nella sala di udienza puo' essere vietato alla stampa e al
pubblico durante tutto o  parte  del  processo  nell'interesse  della
moralita' dell'ordine pubblico o della  sicurezza  nazionale  in  una
societa' democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la
protezione della vita delle  parti  in  causa,  o  in  quella  misura
ritenuta  strettamente  indispensabile  dal  tribunale,   quando   in
circostanze speciali la  pubblicita'  potesse  ledere  gli  interessi
della giustizia. 
    Sulla base  di  tale  principio  la  Corte  costituzionale,  come
rilevato dalla difesa, ha dichiarato illegittimi alcuni  procedimenti
che non prevedevano la partecipazione del pubblico. 
    Cosi' con la sentenza 17 marzo 2010, n. 93 la Corte ha dichiarato
l'incostituzionalita' degli articoli 4 legge n. 1423/56 e 2-ter legge
n. 575/65 nella parte in cui non consentono  che,  su  istanza  degli
interessati, il  procedimento  per  l'applicazione  delle  misure  di
prevenzione si svolga, davanti al tribunale e alla  corte  d'appello,
nelle forme dell'udienza pubblica. A tale  conclusione  la  Corte  e'
pervenuta richiamando la consolidata giurisprudenza della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali  secondo  la  quale  «la  pubblicita'  delle   procedure
giudiziarie tutela le persone soggette alla giurisdizione contro  una
giustizia segreta, che sfugge al controllo del pubblico e costituisce
anche uno strumento per preservare la fiducia  nei  giudici  (tra  le
altre, sentenza 14 novembre 2000, nella causa Riepan contro Austria).
Con la trasparenza  che  essa  conferisce  all'amministrazione  della
giustizia, contribuisce, quindi, a realizzare lo scopo  dell'art.  6,
paragrafo 1,  della  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali:  ossia   l'equo
processo (ex plurimis, sentenza 25 luglio 2000, nella causa Tierce  e
altri contro SanMarino)». Ne' poteva farsi ricorso alle eccezioni che
pure la norma pattizia prevede» quando, sia in  primo  grado  che  in
appello, una procedura «sul merito»  si  svolge  a  porte  chiuse  in
virtu' di una norma  generale  ed  assoluta,  senza  che  la  persona
soggetta alla giurisdizione fruisca di quella facolta'. Una procedura
siffatta non puo' essere, invero, considerata  conforme  all'art.  6,
paragrafo 1,  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali,  giacche',  salvi  casi  del
tutto eccezionali, l'interessato deve avere almeno la possibilita' di
chiedere  un  dibattimento  pubblico;  richiesta  che  potra'  essere
eventualmente  disattesa,  qualora  lo  svolgimento  a  porte  chiuse
risulti giustificato «dalle circostanze della causa e  per  i  motivi
sopra richiamati» (al riguardo, sentenza 12 aprile 2006, nella  causa
Martinie contro Francia)». Aggiungeva poi la Corte che «va senz'altro
escluso  che  la  norma  internazionale  convenzionale,  cosi'   come
interpretata dalla Corte europea, contrasti con le conferenti  tutele
offerte dalla nostra Costituzione. L'assenza di un esplicito richiamo
in Costituzione non scalfisce, in effetti, il  valore  costituzionale
del principio di pubblicita' delle udienze giudiziarie: principio che
- consacrato anche  in  altri  strumenti  internazionali,  quale,  in
particolare, il Patto internazionale di New York relativo ai  diritti
civili e politici, adottato il 16 dicembre 1966 e reso esecutivo  con
legge 25 ottobre 1977, n.  881  (art.  14)  -  trova  oggi  ulteriore
conferma  nell'art.  47,  paragrafo  2,  della  Carta   dei   diritti
fondamentali  dell'Unione  europea  (cosiddetta  Carta   di   Nizza),
recepita dall'art. 6, paragrafo 1, del Trattato sull'Unione  europea,
nella  versione  consolidata  derivante  dalle  modifiche   ad   esso
apportate dal Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 ed entrata  in
vigore il 1° dicembre 2009. Questa Corte ha avuto modo,  in  effetti,
di affermare in piu'  occasioni  che  la  pubblicita'  del  giudizio,
specie di quello penale,  costituisce  principio  connaturato  ad  un
ordinamento democratico fondato sulla sovranita' popolare,  cui  deve
conformarsi l'amministrazione della giustizia, la quale  -  in  forza
dell'art. 101, primo comma, Cost. - trova in quella sovranita' la sua
legittimazione (sentenze n. 373 del 1992; n. 69 del 1991; n.  50  del
1989; n. 212 del 1986; n. 17 e 16 del 1981; n. 12 del 1971  e  n.  65
del 1965). Il principio non ha valore  assoluto,  potendo  cedere  in
presenza di particolari ragioni  giustificative,  purche',  tuttavia,
obiettive e razionali (sentenza n. 212 del 1986),  e,  nel  caso  del
dibattimento penale, collegate  ad  esigenze  di  tutela  di  beni  a
rilevanza costituzionale (sentenza n. 12 del 1971).  Le  osservazioni
della Corte di  Strasburgo  colgono,  d'altro  canto,  le  specifiche
peculiarita'  del  procedimento  di  prevenzione,   che   valgono   a
differenziarlo da  un  complesso  di  altre  procedure  camerali.  Si
tratta, cioe', di un procedimento all'esito del quale il  giudice  e'
chiamato ad esprimere un giudizio di merito, idoneo  ad  incidere  in
modo  diretto,  definitivo  e  sostanziale  su  beni   dell'individuo
costituzionalmente tutelati, quali la liberta'  personale  (art.  13,
primo comma, Cost.)  e  il  patrimonio  (quest'ultimo,  tra  l'altro,
aggredito  in  modo  normalmente  «massiccio»  e  in  componenti   di
particolare rilievo, come del resto nel procedimento a quo),  nonche'
la stessa liberta' di iniziativa economica, incisa dalle misure anche
gravemente «inabilitanti» previste  a  carico  del  soggetto  cui  e'
applicata la misura di  prevenzione  (in  particolare,  dall'art.  10
della legge n. 575 del 1965). Il  che  conferisce  specifico  risalto
alle esigenze alla cui  soddisfazione  il  principio  di  pubblicita'
delle udienze e' preordinato». 
    Analoghe  considerazioni  la  Corte  ha  svolto  con  riferimento
all'art. 679 c.p.p. che per l'applicazione  di  misure  di  sicurezza
diverse dalla confisca prevedeva, mediante il richiamo  all'art.  666
c.p.p., lo svolgimento dell'udienza in camera di consiglio. Anche per
questa ipotesi la Corte affermava che «avuto riguardo all'evidenziato
oggetto dell'accertamento,  non  si  e',  dunque,  di  fronte  ad  un
contenzioso a carattere meramente e altamente «tecnico», rispetto  al
quale  il  controllo  del  pubblico   sull'esercizio   dell'attivita'
giurisdizionale  -  richiesto  dall'art.  6,   paragrafo   1,   della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta'  fondamentali,  cosi'  come  interpretato  dalla  Corte   di
Strasburgo - possa ritenersi non necessario alla luce della peculiare
natura delle  questioni  trattate.  Quanto,  poi,  alle  esigenze  di
riservatezza   che,   ad   avviso   dell'Avvocatura   dello    Stato,
giustificherebbero la sottrazione dell'udienza di sicurezza al regime
della pubblicita', esse vengono riferite allo stesso soggetto nei cui
confronti  il  procedimento  si  svolge,  in  correlazione  ai  mezzi
istruttori richiesti ai fini del giudizio sulla sua personalita'. Ma,
a prescindere da ogni altra  possibile  obiezione,  e'  dirimente  al
riguardo il rilievo che  siffatte  esigenze  risulterebbero  comunque
ininfluenti rispetto al petitum, che  mira  a  lasciare  allo  stesso
interessato la valutazione dell'opportunita' di rendere  pubblica  la
trattazione della procedura. Per  altro  verso,  poi,  la  «posta  in
gioco» nel procedimento in questione si presenta, senza alcun dubbio,
particolarmente elevata. Nella  generalita'  dei  casi,  la  verifica
della pericolosita' sociale, operata nell'ambito del procedimento  di
cui si discute, e' prodromica alla sottoposizione dell'interessato  a
misure di sicurezza personali (art. 215 cod. pen.). Nell'ambito delle
misure di sicurezza patrimoniali (art. 236, primo comma, cod.  pen.),
la confisca risulta, infatti, espressamente  esclusa  dall'ambito  di
operativita'  del  procedimento  stesso,  essendo  la  competenza  in
materia attribuita al giudice dell'esecuzione  (art.  676,  comma  1,
cod. proc. pen.); mentre la cauzione di buona condotta e' prevista in
pochissime  ipotesi,  oltre  a  risultare  largamente  desueta  nella
pratica. Le  misure  di  sicurezza  personali  comportano,  peraltro,
limitazioni  di   rilevante   spessore   alla   liberta'   personale,
raggiungendo,  nel  caso  delle  misure  detentive,   un   tasso   di
afflittivita' del tutto analogo a quello delle pene detentive.  Dette
misure sono  applicate,  inoltre,  per  periodi  minimi  di  notevole
durata.  Nell'ipotesi  oggetto  del  giudizio  a  quo,  ad   esempio,
l'eventuale dichiarazione di  delinquenza  abituale  dell'interessato
potrebbe comportare la sua assegnazione ad una colonia agricola o  ad
una casa di lavoro per la durata minima di due anni  (art.  217  cod.
pen.); in altre ipotesi il periodo minimo di  internamento  e'  anche
piu' lungo. La revoca anticipata della misura, prima  della  scadenza
del  termine  di  durata  minima,  all'esito  di  un  riesame   della
pericolosita', rappresenta, d'altro canto, una mera eventualita'.  Al
pari del procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione,
anche quello considerato presenta, dunque, specifiche particolarita',
che valgono a differenziarlo  da  un  complesso  di  altre  procedure
camerali e che conferiscono specifico risalto alle esigenze alla  cui
soddisfazione  il  principio  di   pubblicita'   delle   udienze   e'
preordinato. Si tratta, infatti, di  un  procedimento  all'esito  del
quale il giudice e' chiamato ad  esprimere  un  giudizio  di  merito,
idoneo ad incidere in modo diretto, definitivo e  sostanziale  su  un
bene primario dell'individuo, costituzionalmente tutelato,  quale  la
liberta' personale» (Corte Costituzionale, sentenza n. 135/14). 
    Ad uguali  conclusioni  la  Corte  perveniva  in  riferimento  al
procedimento di sorveglianza (sent. n. 97/15) e da ultimo a quello di
esecuzione per l'eventuale  applicazione  della  confisca  (sent.  n.
109/15). 
    4.2 Nelle decisioni  sopra  richiamate  la  Corte  ha  dichiarato
l'illegittimita'  delle  norme   che   impedivano   la   celebrazione
dell'udienza, su istanza di parte, in forma pubblica facendo  ricorso
all'obbligo di recepimento delle norme di  carattere  comunitario  ed
internazionale  che  non  si  pongano   in   contrasto   con   quelle
costituzionali. 
    E' pertanto alla portata del principio posto  dall'art.  6  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali che bisogna avere riguardo. 
    Come rilevato  nelle  esposte  sentenze,  la  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo ha avuto modo di pronunciarsi sulla portata di tale
principio proprio in relazione a procedimenti che non consentivano la
partecipazione del pubblico. 
    Nella prima di esse (causa Bocellari e Rizza contro l'Italia)  la
Corte ha affermato: 
        «la pubblicita' della procedura degli  organi  giudiziari  di
cui all'art. 6 § 1 tutela  le  persone  soggette  alla  giurisdizione
contro una giustizia segreta che sfugge  al  controllo  del  pubblico
(vedere, Riepan c. Austria, n. 35115/97, § 27, CEDH  2000-XII);  essa
costituisce anche uno dei mezzi per preservare la fiducia nelle corti
e  nei  tribunali.   Con   la   trasparenza   che   essa   conferisce
all'amministrazione della giustizia,  aiuta  a  realizzare  lo  scopo
dell'art. 6 § 1: l'equo processo, la cui garanzia e' annoverata fra i
principi di ogni societa'  democratica  ai  sensi  della  Convenzione
(vedere fra molte altre, Tierce e altri c. Saint-Marin, nOS 24954/94,
24971/94 e 24972/94, § 92, CEDH 2000-IX). 
    L'art. 6 § 1 tuttavia non pone ostacoli al fatto che le autorita'
giudiziarie decidano, viste le particolarita' della causa  sottoposta
al loro esame, di derogare a questo principio:  ai  sensi  stessi  di
questa norma,  «(...)  l'accesso  alla  sala  d'udienza  puo'  essere
vietato alla stampa e al pubblico per  tutto  o  parte  del  processo
nell'interesse  della  moralita',  dell'ordine   pubblico   o   della
sicurezza nazionale in una societa' democratica,  quando  lo  esigono
gli interessi dei minori o la protezione della vita  delle  parti  in
causa,  o  nella  misura  giudicata   strettamente   necessaria   dal
tribunale, quando in circostanze  speciali  la  pubblicita'  potrebbe
ledere gli interessi della giustizia»; l'udienza a porte chiuse,  con
chiusura totale o parziale, deve allora essere  strettamente  imposta
dalle circostanze della causa (vedere per esempio, mutatis  mutandis,
la sentenza Diennet c. Francia, del 26 settembre  1995,  Serie  A  n.
325-A, § 34). 
    Peraltro,  la  Corte   ha   ritenuto   che   alcune   circostanze
eccezionali, attinenti alla  natura  delle  questioni  sottoposte  al
giudice nell'ambito della procedura di cui trattasi (vedere,  mutatis
mutandis, la sentenza  Miller  c.  Suede  dell'8  febbraio  2005,  n.
55853/00, § 29), possono giustificare il fare a meno di una  pubblica
udienza (vedere in particolare la sentenza Göç c.  Turchia  [GC],  n.
36590/97, CEDH 2002-V, § 47). Essa considera cosi', ad  esempio,  che
il contenzioso della sicurezza sociale, altamente tecnico, spesso  si
presta meglio agli scritti piuttosto che alle  difese  orali  e  che,
l'organizzazione sistematica dei dibattimenti potendo  costituire  un
ostacolo alla particolare diligenza richiesta in materia di sicurezza
sociale, e' comprensibile che in un tale campo le autorita' nazionali
tengano conto di imperativi di efficacia e di economia  (vedere,  per
esempio, le sentenze Miller  e  Schuler-Zgraggen  prima  citate).  E'
tuttavia necessario sottolineare che, nella maggior parte delle cause
riguardanti  un  procedimento  innanzi  alle  autorita'   giudiziarie
«civili» che decidono nel merito  nelle  quali  essa  e'  arrivata  a
questa conclusione, il ricorrente  aveva  avuto  la  possibilita'  di
sollecitare la tenuta di una pubblica udienza. 
    Come la Corte ha affermato  nella  causa  Martinie  (Martinie  c.
Francia [GC], n. 58675/00, CEDH 2006-...), la situazione  e'  diversa
quando, sia in appello che in primo grado, una procedura «civile» sul
merito si svolge a porte chiuse in virtu' di  una  norma  generale  e
assoluta, senza che la persona  soggetta  a  giurisdizione  abbia  la
possibilita' di sollecitare una  pubblica  udienza  pubblica  facendo
valere le particolarita' della sua causa. Una procedura che si svolge
in questo modo non puo' in  linea  di  principio  essere  considerata
conforme all'art. 6 § 1  della  Convenzione:  salvo  circostanze  del
tutto eccezionali, la persona soggetta a  giurisdizione  deve  almeno
avere  la  possibilita'  di  domandare  la  tenuta  di   dibattimenti
pubblici, potendo esserle tuttavia opposte le, porte chiuse, a fronte
di circostanze della causa e per i motivi  sopra  richiamati  (vedere
Martinie, sopra citata, § 42). 
    La Corte e' sensibile al ragionamento  del  Governo  secondo  cui
talvolta possono entrare in gioco in questo tipo di  procedure  degli
interessi superiori, quali la protezione della vita privata di minori
o  di  persone  terze  indirettamente   interessate   dal   controllo
finanziario. Peraltro, la Cotte non  dubita  che  una  procedura  che
tenda essenzialmente al controllo delle finanze e  dei  movimenti  di
capitali possa presentare un elevato grado di  tecnicita'.  Tuttavia,
non bisogna perdere di vista la posta in  gioco  delle  procedure  di
prevenzione e gli effetti che sono  suscettibili  di  produrre  sulla
situazione personale delle persone coinvolte. 
    La  Corte  osserva  che  questo  tipo   di   procedura   riguarda
l'applicazione  della  confisca  di  beni  e   capitali,   cosa   che
direttamente e sostanzialmente coinvolge la  situazione  patrimoniale
della persona soggetta a  giurisdizione.  Davanti  a  tale  posta  in
gioco, non si puo' affermare che il controllo del  pubblico  non  sia
una condizione necessaria alla  garanzia  del  rispetto  dei  diritti
dell'interessato (vedere Martinie, prima citata, § 43 e, a contrario,
Jussila c. Finlandia [GC], n. 73053/01, § 48, CEDH 2006-...). 
    Riassumendo, la Corte giudica essenziale che le persone  soggette
a giurisdizione coinvolte in un procedimento  di  applicazione  delle
misure di prevenzione si vedano almeno  offrire  la  possibilita'  di
sollecitare una pubblica udienza davanti alle  sezioni  specializzate
dei tribunale e delle corti d'appello. 
    Nella fattispecie, i ricorrenti non hanno beneficiato  di  questa
possibilita'. Pertanto vi e' stata violazione dell'art. 6 §  1  della
Convenzione». 
    A tali considerazioni la Corte poi faceva espresso  rinvio  nella
decisione degli altri ricorsi indicati  nelle  sentenze  della  Corte
costituzionale sopracitate. 
    4.3 Ritiene il tribunale che da esse puo' anzitutto ravvisarsi un
contrasto di principio  tra  l'art.  127  c.p.p.  e  l'art.  6  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali atteso che, come si e' visto, la Corte  europea
ha stigmatizzato la previsione posta  in  via  generale  ed  astratta
dell'assenza del pubblico in una serie di procedimenti, tra  i  quali
quello cui all'art. 309 c.p.p. 
    Richiamando quanto gia' affermato nella causa Martinie contro  la
Francia, la Corte ha ribadito che «quando,  sia  in  appello  che  in
primo grado, una procedura «civile» sul  merito  si  svolge  a  porte
chiuse in virtu' di una norma  generale  e  assoluta,  senza  che  la
persona soggetta a giurisdizione abbia la possibilita' di sollecitare
una udienza pubblica  facendo  valere  le  particolarita'  della  sua
causa(..) una procedura che si svolge in  questo  modo  non  puo'  in
linea di principio essere considerata conforme all'art. 6 §  1  della
Convenzione: salvo circostanze  del  tutto  eccezionali,  la  persona
soggetta  a  giurisdizione  deve  almeno  avere  la  possibilita'  di
domandare  la  tenuta  di  dibattimenti  pubblici,  potendo   esserle
tuttavia opposte le porte chiuse, a fronte di circostanze della causa
e per i motivi sopra richiamati». 
    Nei termini esposti, dunque, l'art. 127 c.p.p. violerebbe di  per
se' il principio convenzionale in  quanto  non  consente  alla  parte
coinvolta di chiedere che l'udienza che la riguarda si svolga a porte
aperte, a prescindere dell'esistenza  in  concreto  di  esigenze  che
richiedano l'assenza del pubblico. 
    La possibilita', pertanto,  di  impedire  la  partecipazione  del
pubblico dovrebbe essere valutata caso per caso, alla  stregua  delle
(tassative)  circostanze  elencate  nel  secondo  periodo  del  primo
paragrafo. 
    Gia' lo stesso meccanismo previsto dal codice  di  rito  si  pone
dunque  in  contrasto  con  l'art.  6  Convenzione  europea  per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali  e
con esso, quale norma interposta, con l'art. 117 Cost. 
    La Corte europea ha poi  anche  individuato  le  circostanze  che
(sole) potrebbero consentire (nel singolo caso) la  celebrazione  del
procedimento a porte chiuse  e  che  (oltre  a  quelle  espressamente
elencate) possono farsi rientrare tra quelle «speciali nelle quali la
pubblicita' potrebbe ledere gli  interessi  della  giustizia»  e  che
consistono nell'alto tecnicismo della  materia  potrebbe  ledere  gli
interessi della giustizia»  e  che  consistono  nell'alto  tecnicismo
della materia trattata o nella tutela della riservatezza delle  parti
coinvolte. 
    La stessa Corte europea, tuttavia,  ha  previsto  il  superamento
anche di tali limiti ove «la posta in gioco» sia rilevante, mentre la
Corte    costituzionale,    rigettando    con    cio'    un'obiezione
dell'Avvocatura dello Stato,  ha  negato  possa  farsi  questione  di
tutela della riservatezza delle parti  quando  siano  proprio  queste
ultime a chiedere che la trattazione del giudizio si svolga in  forma
pubblica. 
    La materia oggetto del procedimento di cui all'art. 309 c.p.p.  -
ma anche in quello di appello ai sensi dell'art.  310  c.p.p.  -  non
riveste, almeno di norma, un rilevante tasso di tecnicismo  giuridico
attenendo essa alle misure cautelari  sia  personali  che  reali;  la
natura della valutazione affidata al giudice non si presenta  diversa
- se non per una minore ampiezza - da  quella  di  ogni  giudizio  di
merito dovendosi giudicare la fondatezza  dell'addebito  cautelare  -
sotto il profilo della sussistenza di gravi  indizi  di  colpevolezza
per quelle personali e di giuridica plausibilita' per quelle reali  -
giungendo, in caso di positiva delibazione e di accertata sussistenza
di esigenze cautelari - ad applicare provvedimenti restrittivi  della
liberta' personale (o del patrimonio, in caso di misure  reali)  che,
in  un  ampio  ventaglio,   possono   giungere   ad   avere   effetti
sostanzialmente coincidenti a quelli derivanti  dalla  pena  irrogata
con la sentenza definitiva. 
    Trattasi pertanto di un giudizio che oltre a  non  comportare  un
alto grado di tecnicismo  -  avendo  ad  oggetto  un  concreto  fatto
storico - pure rappresenta una «altissima posta in gioco» andando  ad
incidere in maniera rilevante  sul  patrimonio,  sull'onorabilita'  e
sulla liberta' personale di chi ne viene attinto. 
    Appare superfluo insistere su tale aspetto costituendo esperienza
comune la  constatazione  di  come,  sotto  l'aspetto  mediatico,  il
momento per cosi' dire traumatico di emersione del  procedimento  sia
proprio l'esecuzione  della  misura  cautelare  seguito  dalla  prima
possibilita' di confronto del sottoposto con il materiale  indiziario
raccolto nei suoi confronti rappresentata proprio dal procedimento di
riesame. E' proprio in tale momento cruciale che si verifica  per  la
prima volta il contraddittorio e si da' all'indagato la  possibilita'
di difendersi. Sottrarre tale fondamentale momento alla  verifica  ed
al controllo del pubblico, senza alcuna ragionevole  giustificazione,
comporta  irrimediabilmente  la  lesione  del  principio  del  giusto
processo quale voluto sotto questo profilo dalla norma pattizia. 
    4.4 Non osta alla  partecipazione  del  pubblico  all'udienza  di
trattazione del ricorso ex art. 309 c.p.p. alcuna  delle  circostanze
indicate nel secondo periodo del par. l dell'art. 6 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali. Nel caso in esame, infatti, si tratta dell'applicazione
della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di  un
soggetto indagato  di  furto  pluriaggravato.  Non  vengono  pertanto
coinvolti ne'  l'interesse  alla  moralita',  ne'  quello  all'ordine
pubblico o della sicurezza nazionale, ne' gli interessi dei minori  o
la protezione della vita delle parti in causa. 
    E' stato rilevato - cio' che potrebbe costituire  una  situazione
lesiva degli interessi della giustizia - che l'esigenza di  escludere
la  partecipazione  del  pubblico   deriverebbe   dallo   stato   del
procedimento nel momento in cui viene applicata la misura  cautelare,
di regola quello delle indagini preliminari, governato dal  principio
della  segretezza  necessario  per  non  compromettere   la   genuina
acquisizione delle prove e quindi il compiuto accertamento dei fatti. 
    Pur volendo prescindere  dal  considerare  che,  nonostante  tale
evenienza (l'applicazione della misura  cautelare  nella  fase  delle
indagini preliminari) ricorra nella maggior parte dei casi,  vi  sono
tuttavia ipotesi in cui essa non si presenta, va  comunque  osservato
che proprio la proposizione del ricorso fa cadere  il  segreto  delle
indagini  (la  c.d.   discovery)   avendo   l'autorita'   giudiziaria
procedente  l'obbligo  di  trasmettere  in  tempi  stretti  gli  atti
utilizzati  dal  pubblico  ministero  in  occasione  della  richiesta
nonche' quelli successivi favorevoli  alla  persona  sottoposta  alle
indagini. 
    Ma il segreto cade ancor prima, con la consegna  all'imputato  di
copia del provvedimento in sede di esecuzione della misura (art.  293
c.p.p.), atteso che  gli  atti  di  indagine  compiuti  dal  pubblico
ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a
quando l'imputato non ne possa avere conoscenza  (art.  329  c.p.p.).
Ne' puo' soccorrere in contrario la deroga  di  cui  al  terzo  comma
dell'art.  329  c.p.p.,  atteso  che  trattasi  di   evento   appunto
eccezionale, che non ricorre nel caso  in  esame  e  che  in  ipotesi
potrebbe integrare una di quelle circostanze speciali nelle quali  il
giudice  potrebbe  in  via  eccezionale  disporre   la   celebrazione
dell'udienza a porte chiuse.  D'altra  parte  l'inutilizzabilita'  di
tali atti (cfr. Cass. pen., sez. VI, sent. 17 maggio 1993,  n.  1473,
rv. 195473) renderebbe superflua la loro trasmissione. 
    Al contrario, la pubblicita' delle udienze in questo  momento  si
rivelerebbe quanto mai opportuna proprio al fine del controllo  sulla
trasparenza dell'attivita' giudiziaria. 
    La natura di primo giudizio di  merito  sull'ipotesi  accusatoria
rivestita  dal  procedimento  di   riesame,   unitamente   all'evento
traumatico  derivante  dalla  restrizione  della  liberta'  personale
dell'indagato o dal sequestro dei suoi  beni,  sollecita,  com'e'  di
comune esperienza, l'attenzione dell'opinione pubblica sul suo esito:
interesse che attualmente puo' essere  soddisfatto  solo  in  maniera
mediata e parziale. 
    Appurato allora che non si  rinvengono  interessi  giuridicamente
rilevanti che impongano la segretezza dell'udienza, non si  comprende
perche' debba essere irragionevolmente compresso quello che la stessa
Corte costituzionale ha definito come «principio  connaturato  ad  un
ordinamento democratico fondato sulla sovranita' popolare,  cui  deve
conformarsi l'amministrazione della giustizia, la quale  -  in  forza
dell'art. 101, primo comma, Cost. - trova in quella sovranita' la sua
legittimazione». 
    Neanche sotto tale profilo,  dunque,  l'esclusione  del  pubblico
dalle udienze potrebbe apparire giustificata. 
    4.5 Certamente quello di riesame e'  un  giudizio  di  merito  di
natura  sommaria  e   provvisoria,   inserendosi   nel   procedimento
principale solo al fine di valutare la legittimita' dell'applicazione
di una misura cautelare: giudizio destinato ad essere superato  dalla
sentenza dibattimentale, della quale nondimeno costituisce una  sorta
di anticipazione essendo il  tribunale  -  in  sede  di  esame  della
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza - chiamato  a  prevedere
se con elevato grado di  probabilita'  sulla  scorta  degli  elementi
offerti la penale responsabilita' dell'indagato sara'  affermata  nel
processo. 
    Proprio il carattere incidentale del procedimento potrebbe allora
consentire  di  affermarne   la   compatibilita'   con   il   dettato
convenzionale. 
    E' stato infatti affermato, in materia di ricusazione, che  none'
ipotizzabile» contrasto alcuno dell'art. 41  c.p.p.,  comma  1,  come
sopra inteso ed applicato, con  l'art.  6,  p.  1  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali secondo l'interpretazione costantemente fornitane  dalla
Corte di Strasburgo, che ne ha sempre limitato  la  portata  ai  soli
giudizi aventi  ad  oggetto  un'accusa  penale  (e  a  quelli  civili
inerenti a diritti e obblighi di carattere civile), con esclusione di
qualsivoglia procedimento  o  subprocedimento  incidentale  (cfr.,  e
pluribus,  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei   diritti
dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  9.2.06,  Celot  c.  Italia,
ricorso n. 27451/05)». (Cass. pen., sez.  II,  sentenza  18  febbraio
2010, n. 8808, rv. 246455). 
    E tuttavia la lettura della decisione della  Convenzione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali richiamata induce a ritenere che tale conclusione non si
attagli al ricorso ex art. 309 c.p.p. 
    Pronunciandosi sul dedottovizio dell'omessa notifica al difensore
dell'avviso dell'udienza in  camera  di  consiglio  nel  ricorso  per
cassazione ai sensi dell'art. 41 c.p.p. la Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  ha
infatti affermato: 
        «La Corte constata che  l'unico  scopo  del  procedimento  in
questione era la  determinazione  dell'autorita'  competente  ratione
loci  per  trattare  la  causa.  Essa  ritiene  pertanto   che   tale
procedimento costituisce una procedura incidentale e indipendente dal
procedimento principale che l'ha provocata (v., mutatis mutandis e in
materia  di  applicazione  dell'art.  6  §  1  a  una  procedura   di
ricusazione, Schreibere  Boetsch  c.  Francia  (dee.),  n.  58751/00,
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali 2003-XII).  Si  tratta  di  stabilire  se  tale
procedura comportasse  una  «decisione»  sulla  «fondatezza»  di  una
«accusa penale» ai sensi dell'art. 6 § 1 della Convenzione. La  Corte
constata che la Corte di cassazione non  era  chiamata  a  «decidere»
sulla colpevolezza o innocenza  del  ricorrente.  Il  suo  ruolo  non
consisteva in alcun modo nel decidere sul merito della causa, ma  nel
pronunciarsi sulla questione incidentale di determinare  quale  fosse
il tribunale competente ratione loci. 
    Nella misura in cui la procedura incidentale  poteva  influenzare
il procedimento principale relativo alla fondatezza delle accuse,  la
Corte ricorda che l'art. 6 § 1 della Convenzione non si accontenta di
un legame sottile o di ripercussioni lontane: l'esito della procedura
deve essere direttamente determinante per l'esito della causa (v., in
materia di nozione di  «diritti  e  doveri  di  carattere  civile  »,
Ringeisen c. Austria, sentenza del 16 luglio 1971, serie A r i 13, p.
39, § 94). Di conseguenza,  la  Corte  ritiene  che  l'applicabilita'
dell'art. 6 § l al procedimento  principale  non  fa  rientrare,  per
connessione, la procedura  per  la  determinazione  della  competenza
ratione loci nel  campo  di  applicazione  di  questo  articolo  (v.,
mutatis mutandis, Schreibere Boetsch gia' cit.). 
    La Corte conclude da cio'  che  la  procedura  in  questione  non
riguardava la fondatezza di un'accusa in materia penale». 
    Alla stregua della suddetta affermazione sembra al tribunale  che
al di la' della natura incidentale o meno del procedimento, cio'  che
rileva ai fini dell'applicabilita' dell'art. 6 par. 1 e' la  presenza
di un giudizio sulla fondatezza dell'accusa penale,  come  del  resto
esplicitamente recita la norma («un tribunale...  che  decidera'  sul
fondamento di ogni accusa in materia penale elevata contro di  lei»),
a nulla rilevando che tale decisione  definisca  definitivamente  «la
causa». 
    Non sembra pertanto irrilevante che il tribunale del riesame  sia
chiamato a valutare la fondatezza dell'accusa  incidendo  in  maniera
definitiva  (quanto  al  giudizio  di  merito  e  salve   circostanze
sopravvenute) sulla liberta' personale e sul diritto  di  proprieta',
sia pure ai soli fini cautelari. 
    Crede insomma il tribunale che in considerazione della  posta  in
gioco  e  della  valutazione  del   merito   dell'accusa   anche   il
procedimento di riesame possa essere  qualificato  quale  «causa»  ai
sensi  dell'art.  6  par.  1  della  Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    4.5 Va infine considerato che le richiamate pronunce della  Corte
costituzionale, in forza delle quali la parte puo'  ora  chiedere  la
partecipazione del pubblico nei procedimenti per l'applicazione delle
misure prevenzione e di quelle di  sicurezza,  hanno  comportato  una
disparita' di trattamento delle parti in essi  coinvolte  con  quelle
del procedimento di riesame che non appare  sorretto  da  adeguata  e
ragionevole  giustificazione.  Ed  invero  se  la  necessita'   della
pubblicita' dell'udienza, su  richiesta  dell'interessato,  e'  stata
individuata nella rilevanza della posta in gioco  non  possono  anche
nel  procedimento  di  riesame  non  rinvenirsi  quelle   «specifiche
particolarita', che valgono a differenziarlo da un complesso di altre
procedure camerali e che conferiscono specifico risalto alle esigenze
alla cui soddisfazione il principio di pubblicita' delle  udienze  e'
preordinato». 
    Tenuto poi conto del rilievo costituzionale  di  tale  principio,
quale riconosciuto dalla stessa Corte seppure esso non sia dal  testo
costituzionale   espressamente    richiamato,    e    della    natura
sostanzialmente analoga del giudizio formulato in sede di  riesame  a
quello oggetto del dibattimento, attendendo entrambi alla  fondatezza
dell'accusa, non si evidenziano plausibili ragioni che  giustifichino
l'esclusione del controllo del pubblico in questo  primo  momento  di
valutazione  della  fondatezza  dell'accusa  che  per  essere   anche
temporalmente piu'  vicino  alla  commissione  del  fatto-reato  piu'
colpisce l'interesse dell'opinione pubblica. 
    Sotto  questo  profilo  l'impossibilita'  per  l'interessato   di
chiedere che l'udienza si svolga in forma  pubblica  viola  l'art.  3
Cost. per l'irragionevole disparita' di trattamento  tra  le  esposte
situazioni. 
    5. Il Tribunale conclusivamente ritiene  che  il  disposto  degli
articoli 309, comma 8, e 127, comma 6, c.p.p., nel non consentire che
su richiesta  dell'indagato  il  ricorso  per  riesame  delle  misure
cautelari si svolga nelle forme della pubblica udienza, violi: 
        l'art. 3 Cost., per l'irragionevole disparita' di trattamento
con il procedimento per l'applicazione di misure di  sicurezza  e  di
quelle di prevenzione nonche' con il  giudizio  abbreviato  e  quello
ordinario 
        l'art. 117, primo comma  Cost.  in  quanto  non  rispetta  il
principio della pubblicita' della causa sancito dall'art.  6  par.  1
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali 
        l'art. 111, comma 1, Cost., in  quanto  contrastante  con  il
principio del giusto processo 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale, visti gli articoli 134 Cost. e 23,. n. 87/1953; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale, nei termini di cui in motivazione, degli
articoli 309, comma 8, e 127, comma 6, c.p.p. nella parte in cui  non
consentono che il procedimento per il riesame delle misure  cautelari
si svolga, su richiesta dell'indagato o del ricorrente,  nelle  forme
della pubblica udienza. 
    Sospende il presente procedimento. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
    Ordina che a cura della cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei  ministri  e
comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e  della  Camera
dei deputati. 
    Cosi' deciso in Lecce il 16 giugno 2015 
 
                    Il Presidente Est.: Piccinno