N. 342 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 agosto 2015
Ordinanza del 29 agosto 2015 del Tribunale - Sez. del riesame di Lecce nel procedimento penale a carico di P.A.. Processo penale - Procedimento per il riesame delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva - Svolgimento, su istanza degli interessati, nelle forme dell'udienza pubblica - Preclusione. - Codice di procedura penale, artt. 309, comma 8, e 127, comma 6.(GU n.2 del 13-1-2016 )
TRIBUNALE DI LECCE Sezione del riesame Il Tribunale, riunitosi in camera di consiglio nelle persone di: dott. Silvio M. Piccinno - Presidente; dott. Anna Paola Capano - giudice; dott. Antonio Gatto - giudice; Ha pronunziato la seguente ordinanza nei confronti di P.A., n. ..., il ... sul ricorso presentato il 15 giugno 2015 avverso l'ordinanza emessa dal g.u.p. presso il Tribunale di Lecce in data 4 novembre 2014 con la quale si disponeva la misura cautelare della custodia cautelare in carcere. 1. Il giudice applicava detta misura avendo ritenuto sussistere nei confronti del ricorrente gravi indizi di colpevolezza del delitto di cui all'art. 416-bis codice penale. Avverso il suddetto provvedimento ha proposto ricorso il difensore per l'annullamento dell'ordinanza. 2. All'udienza del 26 giugno 2015 il difensore chiedeva preliminarmente che il procedimento si svolgesse in pubblica udienza e sollevava questione di costituzionalita' dell'art. 309, comma 8, in relazione all'art. 127 codice di procedura penale sulla base delle considerazioni che seguono: «La premessa e' rappresentata, ineludibilmente, dalle sentenze recenti della Corte costituzionale n. 97 e n. 109 del 2015, con le quali sono stati dichiarati illegittimi da un canto, (sent. n. 109), gli articoli 666 comma 3 e 678 col codice di procedura penale nella parte in cui non consentono che, su richiesta degli interessati, il procedimento di fronte al Tribunale di Sorveglianza, nelle materie di sua competenza, si svolga nelle forme dell'udienza pubblica e, dall'altro canto, (sent. n. 109) gli articoli 666 comma 3, 667 comma 4 e 676 codice di procedura penale nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento di opposizione contro l'ordinanza m materia di confisca si svolga, davanti al GE, nelle forme dell'udienza pubblica. Le due sentenze gemelle hanno aperto una breccia ormai non rimediabile verso la trattazione - sempre su richiesta delle parti interessate - dei procedimenti nelle forme dell'udienza pubblica laddove si verta in tema di diritti fondamentali della persona e che ricevono una tutela di rango costituzionale. E cosi' e' certamente nel procedimento che si celebra innanzi al Tribunale del Riesame, laddove le questioni riguardano diritti fondamentali della persona come quello della liberta' personale (misure cautelari personali) e della proprieta' (misure cautelari reali). Sicche' anche nel caso di specie le norme censurate sono in contrasto con l'art. 117, col Cost. e, in via interposta, con l'art. 6 paragr. 1 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nella parte in cui afferma il principio di pubblicita' dei procedimenti giudiziari; in contrasto con l'art. 111 Cost. che impone un giusto processo, posto che il processo equo deve poter prevedere di procedere in forma pubblica, almeno nei casi in cui siano gli interessati a richiederlo. A tal proposito si richiamano gli argomenti che sono stati sviluppati nelle recenti sentenze n. 97 e n. 109, ben adattabili al caso de quo. I dati normativi in scrutinio - art. 309 comma 8 e art. 127 comma 6 c.p.p. - sono univoci nell'escludere la partecipazione del pubblico al procedimento in questione. Il comma 8 del citato art. 309 prevede, infatti, che il procedimento davanti al tribunale del riesame si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dall'art. 127. La formula, in assenza di deroghe, rimanda espressamente all'art. 127 codice di procedura penale e, comunque, espressamente al suo comma 6, in forza del quale «L'udienza si svolge senza la presenza del pubblico», ossia in camera di consiglio. Non e' revocabile in dubbio che tale regime si rivela incompatibile con la garanzia della pubblicita' Miei procedimenti giudiziari, sancita dall'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, cosi' come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, e, di conseguenza, con l'art. 117, primo comma, Cost., rispetto al quale la citata disposizione convenzionale assume una valenza integrativa, quale «norma interposta». L'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali stabilisce - per la parte conferente - che «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata [...], pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale [...]», soggiungendo, altresi', che «La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza puo' essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una societa' democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicita' possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia». La Corte europea dei diritti dell'uomo ha gia' avuto modo di ritenere in contrasto con l'indicata garanzia convenzionale taluni procedimenti giurisdizionali dei quali la legge italiana prevedeva la trattazione in forma camerate. Cio' e' avvenuto, in specie, con riguardo al procedimento applicativo delle misure di prevenzione (sentenza 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza contro Italia, sulla cui scia sentenza 26 luglio 2011, Paleari contro Italia; sentenza 17 maggio 2011, Capitani e Campanella contro Italia; sentenza 2 febbraio 2010, Leone contro Italia; sentenza 5 gennaio 2010, Bongiorno e altri contro Italia; sentenza 8 luglio 2008, Perre e altri contro Italia) e al procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione (sentenza 10 aprile 2012, Lorenzetti contro It.). La Corte europea e' pervenuta a tale conclusione richiamando la propria costante giurisprudenza, secondo la quale la pubblicita' delle procedure giudiziarie tutela le persone soggette alla giurisdizione contro una giustizia segreta, che sfugge al controllo del pubblico, e costituisce anche uno strumento per preservare la fiducia nei giudici, contribuendo cosi a realizzare lo scopo dell'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali: ossia l'equo processo. Come attestano le eccezioni previste dalla seconda parte della norma, questa non impedisce, in assoluto, alle autorita' giudiziarie di derogare al principio di pubblicita' dell'udienza. La stessa Corte europea ha, d'altra parte, ritenuto che alcune situazioni eccezionali, attinenti alla natura delle questioni da trattare - quale, ad esempio, il carattere «altamente tecnico» del contenzioso - possano giustificare che si faccia a meno di un'udienza pubblica, in ogni caso, tuttavia, l'udienza a porte chiuse, per tutta o parte della durata, deve essere «strettamente imposta dalle circostanze della causa». Con particolare riguardo al procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione, la Corte europea dei diritti dell'uomo non ha negato che detta procedura possa presentare «un elevato grado di tecnicita'» e far emergere, altresi', esigenze di protezione della vita privata di terze persone. Ma ha rilevato che l'entita' della «posta in gioco» - rappresentata (nel caso delle misure patrimoniali) dalla confisca di «beni e capitali» - e gli effetti che la procedura stessa puo' produrre sulle persone non consentono di affermare «che il controllo del pubblico» - almeno su sollecitazione del soggetto coinvolto - «non sia una condizione necessaria alla garanzia del rispetto dei diritti dell'interessato». Di conseguenza, ha ritenuto «essenziale», ai fini della realizzazione della garanzia prefigurata dalla norma convenzionale, «che le persone [...] coinvolte in un procedimento di applicazione delle misure di prevenzione si vedano almeno offrire la possibilita' di sollecitare una pubblica udienza davanti alle sezioni specializzate dei tribunali e delle corti d'appello» (sentenza 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza contro It.). In termini similari la Corte europea si e' espressa con riferimento al procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione, non ravvisando, anche in tal caso, alcuna circostanza eccezionale atta a giustificare la deroga generale e assoluta al principio di pubblicita' dei giudizi, insita nella previsione della sua trattazione in forma camerale (art. 315, comma 3, in relazione all'art. 646, comma 1, codice di procedura penale ). Nell'ambito di tale procedura, infatti, i giudici interni sono chiamati essenzialmente a valutare se l'interessato abbia contribuito a provocare la sua detenzione intenzionalmente o per colpa grave: sicche' non si discute di «questioni di natura tecnica che possono essere regolate in maniera soddisfacente unicamente in base al fascicolo» (sentenza 10 aprile 2012, Lorenzetti contro It.). Come gia' rilevato dalla Consulta con le citate sentenze n. 93 del 2010, n. 135 del 2014 e n. 97 del 2015, la norma convenzionale, come interpretata dalla Corte europea, non contrasta con le conferenti tutele offerte dalla Costituzione (ipotesi nella quale la norma stessa rimarrebbe inidonea a integrare il parametro dell'art. 117, primo comma, Cost.), ma si pone, anzi, in sostanziale assonanza con esse. L'assenza di un esplicito richiamo, non scalfisce, infatti, il valore costituzionale del principio di pubblicita' delle udienze giudiziarie, peraltro consacrato anche in altre carte internazionali dei diritti fondamentali. La pubblicita' del giudizio - specie di quello penale - rappresenta, in effetti, un principio connaturato ad un ordinamento democratico (ex plurimis, sentenze n. 373 del 1992, n. 69 del 1991 e n. 50 del 1989). Il principio non ha valore assoluto, potendo cedere in presenza di particolari ragioni giustificative, purche', tuttavia, obiettive e razionali (sentenza n. 212 del 1986), e, nel caso del dibattimento penale, collegate ad esigenze di tutela di beni a rilevanza costituzionale (sentenza n. 12 del 1971). Orbene, deve escludersi che, con riguardo al procedimento oggi in esame, siano ravvisabili ragioni atte a giustificare una deroga generalizzata e assoluta al principio di pubblicita' delle udienze, solo perche' attiene accuse per reati di criminalita' organizzata, per i quali le norme - anche quelle in tema di liberta' personale - viaggiano su altro binario. Il procedimento in questione e' finalizzato, infatti, a mantenere in vita e/o annullare una misura estrema e relativa alla liberta' personale, che non ammette alternative: misura che incide su un diritto munito di garanzia convenzionale e costituzionale, ossia quello della liberta' personale. La «posta in gioco» in tale procedimento e' assai elevata, come attesta eloquentemente il caso oggetto del giudizio a quo, attinente alla misura cautelare della custodia in carcere applicata all'indagato per reati che comportano pene elevatissime. Non si tratta, altresi', in linea generale, di un contenzioso a carattere tipicamente e spiccatamente «tecnico», rispetto al quale il controllo del pubblico sull'esercizio dell'attivita' giurisdizionale possa ritenersi non necessario alla luce della peculiare natura delle questioni trattate: innanzi al Tribunale del riesame vengono trattate le questioni di merito oltre che tecniche riguardanti un'ordinanza custodiale. Ne' si puo' invocare, in casi come quello al nostro esame la pericolosita' sociale della persona, presunta, peraltro, ex lege, in ragione degli addebiti cautelari, che imporrebbe l'assenza del pubblico per ragioni di ordine pubblico. Una cosa e', infatti, la pericolosita' del soggetto che puo' essere fronteggiata con i sistemi previsti dalla legge (il riferimento corre alla presenza a distanza in videoconferenza del soggetto) ed altra cosa e' la forma - camerale o pubblica - di trattazione di questioni relative a beni fondamentali di quel soggetto. Ci si permette di osservare che proprio nei casi in cui vengono fatte valere dalla Pubblica Accusa presunzioni legali iuris et de iure o iuris tantum nei confronti di un indagato e/o imputato, vanno evitate le forme di giustizie segrete che possono far sorgere nella persona interessata sospetti di giustizia sommaria. 3. E' del tutto evidente la rilevanza della questione sollevata, atteso che la richiesta avanzata dall'indagato, di trattare il procedimento che lo concerne in pubblica udienza, trova un ostacolo insormontabile nel chiaro ed inequivoco disposto dell'art. 309, comma 8, codice di procedura penale secondo il quale il procedimento davanti al tribunale si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dall'art. 127 ossia, secondo quanto prescrive il sesto comma di tale ultima disposizione, senza la presenza del pubblico. 4. La questione posta appare, poi, non manifestamente infondata. 4.1 I parametri costituzionali coinvolti, secondo la prospettazione difensiva, sono costituiti dagli articoli 111, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione in relazione all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU). L'art. 111 Cost. stabilisce i principi che regolano il giusto processo, ma non annovera espressamente tra essi la pubblicita' delle udienze, mentre il primo comma dell'art. 117 afferma che la potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali. Tali norme vengono dunque in rilievo mediante rinvio all'art. 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, il primo comma del quale dispone che ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata imparzialmente, pubblicamente e in un tempo ragionevole, da parte di un tribunale indipendente ed imparziale, costituito dalla legge, che decidera' sia in ordine alle controversie sui suoi diritti ed obbligazioni di natura civile, sia sul fondamento di ogni accusa in materia penale elevata contro di lei. Il giudizio deve essere pubblico, ma l'ingresso nella sala di udienza puo' essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell'interesse della moralita' dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una societa' democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita delle parti in causa, o in quella misura ritenuta strettamente indispensabile dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicita' potesse ledere gli interessi della giustizia. Sulla base di tale principio la Corte costituzionale, come rilevato dalla difesa, ha dichiarato illegittimi alcuni procedimenti che non prevedevano la partecipazione del pubblico. Cosi' con la sentenza 17/03/2010, n. 93 la Corte ha dichiarato l'incostituzionalita' degli articoli 4 legge n. 1423/56 e 2-ter legge n. 575/65 nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione si svolga, davanti al tribunale e alla corte d'appello, nelle forme dell'udienza pubblica. A tale conclusione la Corte e' pervenuta richiamando la consolidata giurisprudenza della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali secondo la quale "la pubblicita' delle procedure giudiziarie tutela le persone soggette alla giurisdizione contro una giustizia segreta, che sfugge al controllo del pubblico e costituisce anche uno strumento per preservare la fiducia nei giudici (tra le altre, sentenza 14 novembre 2000, nella causa Riepan contro Austria). Con la trasparenza che essa conferisce all'amministrazione della giustizia, contribuisce, quindi, a realizzare lo scopo dell'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali: ossia l'equo processo (ex plurimis, sentenza 25 luglio 2000, nella causa Tierce e altri contro SanMarino)». Ne' poteva farsi ricorso alle eccezioni - che pure la norma pattizia prevede «quando, sia in primo grado che in appello, una procedura «sul merito» si svolge a porte chiuse in virtu' di una norma generale ed assoluta, senza che la persona soggetta alla giurisdizione fruisca di quella facolta'. Una procedura siffatta non puo' essere, invero, considerata conforme all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, giacche', salvi casi del tutto eccezionali, l'interessato deve avere almeno la possibilita' di chiedere un dibattimento pubblico; richiesta che potra' essere eventualmente disattesa, qualora lo svolgimento a porte chiuse risulti giustificato «dalle circostanze della causa e per i motivi sopra richiamati» (al riguardo, sentenza 12 aprile 2006, nella causa Martinie contro Francia)". Aggiungeva poi la Corte che "va senz'altro escluso che la norma internazionale convenzionale, cosi' come interpretata dalla Corte europea, contrasti con le conferenti tutele offerte dalla nostra Costituzione. L'assenza di un esplicito richiamo in Costituzione non scalfisce, in effetti, il valore costituzionale del principio di pubblicita' delle udienze giudiziarie: principio che - consacrato anche in altri strumenti internazionali, quale, in particolare, il Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici, adottato il 16 dicembre 1966 e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881 (art. 14) - trova oggi ulteriore conferma nell'art. 47, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (cosiddetta Carta di Nizza), recepita dall'art. 6, paragrafo 1, del Trattato sull'Unione europea, nella versione consolidata derivante dalle modifiche ad esso apportate dal Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 ed entrata in vigore il 1° dicembre 2009. Questa Corte ha avuto modo, in effetti, di affermare in piu' occasioni che la pubblicita' del giudizio, specie di quello penale, costituisce principio connaturato ad un ordinamento democratico fondato sulla sovranita' popolare, cui deve conformarsi l'amministrazione della giustizia, la quale - in forza dell'art. 101, primo comma, Cost. - trova in quella sovranita' la sua legittimazione (sentenze n. 373 del 1992; n. 69 del 1991; n. 50 del 1989; n. 212 del 1986; n. 17 e 16 del 1981; n. 12 del 1971 e n. 65 del 1965). Il principio non ha valore assoluto, potendo cedere in presenza di particolari ragioni giustificative, purche', tuttavia, obiettive e razionali (sentenza n. 212 del 1986), e, nel caso del dibattimento penale, collegate ad esigenze di tutela di beni a rilevanza costituzionale (sentenza n. 12 del 1971). Le osservazioni della Corte europea dei diritti dell'uomo colgono, d'altro canto, le specifiche peculiarita' del procedimento di prevenzione, che valgono a differenziarlo da un complesso di altre procedure camerali. Si tratta, cioe', di un procedimento all'esito del quale il giudice e' chiamato ad esprimere un giudizio di merito, idoneo ad incidere in modo diretto, definitivo e sostanziale su beni dell'individuo costituzionalmente tutelati, quali la liberta' personale (art. 13, primo comma, Cost.) e il patrimonio (quest'ultimo, tra l'altro, aggredito in modo normalmente "massiccio" e in componenti di particolare rilievo, come del resto nel procedimento a quo), nonche' la stessa liberta' di iniziativa economica, incisa dalle misure anche gravemente "inabilitanti" previste a carico del soggetto cui e applicata la misura di prevenzione (in particolare, dall'art. 10 della legge n. 575 del 1965). Il che conferisce specifico risalto alle esigenze alla cui soddisfazione il principio di pubblicita' delle udienze e' preordinato". Analoghe considerazioni la Corte ha svolto con riferimento all'art. 679 codice di procedura penale che per l'applicazione di misure di sicurezza diverse dalla confisca prevedeva, mediante il richiamo all'art. 666 c.p.p., lo svolgimento dell'udienza in camera di consiglio. Anche per questa ipotesi la Corte affermava che "avuto riguardo all'evidenziato oggetto dell'accertamento, non si e', dunque, di fronte ad un contenzioso a carattere meramente e altamente «tecnico», rispetto al quale il controllo del pubblico sull'esercizio dell'attivita' giurisdizionale - richiesto dall'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, cosi' come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo - possa ritenersi non necessario alla luce della peculiare natura delle questioni trattate. Quanto, poi, alle esigenze di riservatezza che, ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, giustificherebbero la sottrazione dell'udienza di sicurezza al regime della pubblicita', esse vengono riferite allo stesso soggetto nei cui confronti il procedimento si svolge, in correlazione ai mezzi istruttori richiesti ai fini del giudizio sulla sua personalita', Ma, a prescindere da ogni altra possibile obiezione, e' dirimente al riguardo il rilievo che siffatte esigenze risulterebbero comunque ininfluenti rispetto al petitum, che mira a lasciare allo stesso interessato la valutazione dell'opportunita' di rendere pubblica la trattazione della procedura. Per altro verso, poi, la «posta in gioco» nel procedimento in questione si presenta, senza alcun dubbio, particolarmente elevata. Nella generalita' dei casi, la verifica della pericolosita' sociale, operata nell'ambito del procedimento di cui si discute, e' prodromica alla sottoposizione dell'interessato a misure di sicurezza personali (art. 215 codice penale). Nell'ambito delle misure di sicurezza patrimoniali (art. 236, primo comma, codice penale), la confisca risulta, infatti, espressamente esclusa dall'ambito di operativita' del procedimento stesso, essendo la competenza in materia attribuita al giudice dell'esecuzione (art. 676, comma 1, codice di procedura penale); mentre la cauzione di buona condotta e' prevista in pochissime ipotesi, oltre a risultare largamente desueta nella pratica. Le misure di sicurezza personali comportano, peraltro, limitazioni di rilevante spessore alla liberta' personale, raggiungendo, casti delle misure detentive, un tasso di afflittivita' del tutto analogo a vello delle pene detentive. Dette misure sono applicate, inoltre, per periodi minimi di notevole durata. Nell'ipotesi oggetto del giudizio a quo, ad esempio, l'eventuale dichiarazione di delinquenza abituale dell'interessato potrebbe comportare la sua assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro per la durata minima di due anni (art. 217 codice penale); in altre ipotesi il periodo minimo di internamento e' anche piu' lungo. La revoca anticipata della misura prima della scadenza del termine di durata minima, all'esito di un riesame della pericolosita', rappresenta, d'altro canto, una mera eventualita'. Al pari del procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione, anche quello considerato presenta, dunque, specifiche particolarita', che valgono a differenziarlo da un complesso di altre procedure camerali e che conferiscono specifico risalto alle esigenze alla cui soddisfazione il principio di pubblicita' delle udienze e' preordinato. Si tratta, infatti, di un procedimento all'esito del quale il giudice e' chiamato ad esprimere un giudizio di merito, idoneo ad incidere in modo diretto, definitivo e sostanziale su un bene primario dell'individuo, costituzionalmente tutelato, quale la liberta' personale" (Corte cost., sentenza n. 135/14). Ad uguali conclusioni la Corte perveniva in riferimento al procedimento di sorveglianza (sent. n. 97/15) e da ultimo a quello di esecuzione per l'eventuale applicazione della confisca (sera. n. 109/15). 4.2 Nelle decisioni sopra richiamate la Corte ha dichiarato l'illegittimita' delle norme che impedivano la celebrazione dell'udienza, su istanza di parte, in forma pubblica facendo ricorso all'obbligo di recepimento delle norme di carattere comunitario ed internazionale che non si pongano in contrasto con quelle costituzionali. E' pertanto alla portata del principio posto dall'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali che bisogna avere riguardo. Come rilevato nelle esposte sentenze, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha avuto modo di pronunciarsi sulla portata di tale principio proprio in relazione a procedimenti che non consentivano la partecipazione del pubblico. Nella prima di esse (causa Bocellari e Rizza contro l'Italia) la Corte ha affermato: "la pubblicita' della procedura degli organi giudiziari di cui all'art. 6 § 1 tutela le persone soggette alla giurisdizione contro una giustizia segreta che sfugge al controllo del pubblico (vedere, Riepan c. Austria, n. 35115/97, § 27, CEDH 2000-XII); essa costituisce anche uno dei mezzi per preservare la fiducia nelle corti e nei tribunali. Con la trasparenza che essa conferisce all'amministrazione della giustizia, aiuta a realizzare lo scopo dell'art. 6 § 1: l'equo processo, la cui garanzia e' annoverata fra i principi di ogni societa' democratica ai sensi della Convenzione (vedere fra molte altre, Tierce e altri c. Saint-Marin, n. 24954/94, 24971/94 e 24972/94, § 92, CEDH 2000-IX). L'art. 6 § 1 tuttavia non pone ostacoli al fatto che le autorita' giudiziarie decidano, viste le particolarita' della causa sottoposta al loro esame, di derogare a questo principio: ai sensi stessi di questa norma, " (...) l'accesso alla sala d'udienza puo' essere vietato alla stampa e al pubblico per tutto o parte del processo nell'interesse della moralita', dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una societa' democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita delle parti in causa, o nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicita' potrebbe ledere gli interessi della giustizia"; l'udienza a porte chiuse, can chiusura totale o parziale, deve allora essere strettamente imposta dalle circostanze della causa (vedere per esempio, mutatis mutandis, la sentenza Diennet c. Francia, del 26 settembre 1.995, Serie A n. 325-A, § 34). Peraltro, la Corte ha ritenuto che alcune circostanze eccezionali, attinenti alla natura delle questioni sottoposte al giudice nell'ambito della procedura di cui trattasi (vedere, mutatis mutandis, la sentenza Miller c. Suede dell'8 febbraio 2005, n. 55853/00, § 29), possono giustificare il fare a meno di una pubblica udienza (vedere in particolare la sentenza Göç c. Turchia [GC], n. 36590/97, CEDH 2002-V, § 47). Essa considera cosi', ad esempio, che il contenzioso della sicurezza sociale, altamente tecnico, spesso si presta meglio agli scritti piuttosto che alle difese orali e che, l'organizzazione sistematica dei dibattimenti potendo costituire un ostacolo alla particolare diligenza richiesta in materia di sicurezza sociale, e' comprensibile che in un tale campo le autorita' nazionali tengano conto di imperativi di efficacia e di economia (vedere, per esempio, le sentenze Miller e Schuler-Zgraggen prima citate). E' tuttavia necessario sottolineare che, nella maggior parte delle cause riguardanti un procedimento innanzi alle autorita' giudiziarie «civili» che decidono nel merito nelle quali essa e' arrivata a questa conclusione, il ricorrente aveva avuto la possibilita' di sollecitare la tenuta di una pubblica udienza. Come la Corte ha affermato nella causa Martinie (Martinie c. Francia [GC], n. 58675/00, CEDH 2006...), la situazione e' diversa quando, sia in appello che in primo grado, una procedura «civile» sul merito si svolge a porte chiuse in virtu' di una norma generale e assoluta, senza che la persona soggetta a giurisdizione abbia la possibilita' di sollecitare una pubblica udienza pubblica facendo valere le particolarita' della sua causa. Una procedura che si svolge in questo modo non puo' in linea di principio essere considerata conforme all'art. 6 § 1 della Convenzione: salvo circostanze del tutto eccezionali, la persona soggetta a giurisdizione deve almeno avere la possibilita' di domandare la tenuta di dibattimenti pubblici, potendo esserle tuttavia opposte le porte chiuse, a fronte di circostanze della causa e per i motivi sopra richiamati (vedere Martinie, sopra citata, § 42). La Corte e' sensibile al ragionamento del Governo secondo cui talvolta possono entrare in gioco in questo tipo di procedure degli interessi superiori, quali la protezione della vita privata di minori o di persone terze indirettamente interessate dal controllo finanziario. Peraltro, la Corte non dubita che una procedura che tenda essenzialmente al controllo delle finanze e dei movimenti di capitali possa presentare un elevato grado di tecnicita'. Tuttavia, non bisogna perdere di vista la posta in gioco delle procedure di prevenzione e gli effetti che sono suscettibili di produrre sulla situazione personale delle persone coinvolte. La Corte osserva che questo tipo di procedura riguarda l'applicazione della confisca di beni e capitali, cosa che direttamente e sostanzialmente coinvolge la situazione patrimoniale della persona soggetta a giurisdizione. Davanti a tale posta in gioco, non si puo' affermare che il controllo del pubblico non sia una condizione necessaria alla garanzia del rispetto dei diritti dell'interessato (vedere Martinie, prima citata, § 43 e, a contrario, Jussilla c. Finlandia [GC], n. 73053/01, § 48, CEDH-2006...). Riassumendo, la Corte giudica essenziale che le persone soggette a giurisdizione coinvolte in un procedimento di applicazione delle misure di prevenzione si vedano almeno offrire la possibilita' di sollecitare una pubblica udienza davanti alle sezioni specializzate del tribunale e delle corti d'appello. Nella fattispecie, i ricorrenti non hanno beneficiato di questa possibilita'. Pertanto vi e' stata violazione dell'art. 6 § 1 della Convenzione». A tali considerazioni la Corte poi faceva espresso rinvio nella decisione degli altri ricorsi indicati nelle sentenze della Corte costituzionale sopracitate. 4.3 Ritiene il tribunale che da esse puo' anzitutto ravvisarsi un contrasto di principio tra l'art. 127 codice di procedura penale e l'art. 6 della CEDU atteso che, come si e' visto, la Corte europea ha stigmatizzato la previsione posta in via generale ed astratta dell'assenza del pubblico in una serie di procedimenti, tra i quali quello di cui all'art. 309 c.p.p. Richiamando quanto gia' affermato nella causa Martinie contro la Francia, la Corte ha ribadito che «quando, sia in appello che in primo grado, una procedura «civile» sul merito si svolge a porte chiuse in virtu' di una norma generale e assoluta, senza che la persona soggetta a giurisdizione abbia la possibilita' di sollecitare una udienza pubblica facendo valere le particolarita' della sua causa(..) una procedura che si svolge in questo modo non puo' in linea di principio essere considerata conforme all'art. 6 § 1 della Convenzione: salvo circostanze del tutto eccezionali, la persona soggetta a giurisdizione deve almeno avere la possibilita' di domandare la tenuta di dibattimenti pubblici, potendo esserle tuttavia opposte le porte chiuse, a fronte di circostanze della causa e per i motivi sopra richiamati". Nei termini esposti, dunque, l'art. 127 codice di procedura penale violerebbe di per se' il principio convenzionale in quanto non consente alla parte coinvolta di chiedere che l'udienza che la riguarda si svolga a porte aperte, a prescindere dell'esistenza in concreto di esigenze che richiedano l'assenza del pubblico. La possibilita', pertanto, di impedire la partecipazione del pubblico dovrebbe essere valutata caso per caso, alla stregua delle (tassative) circostanze elencate nel secondo periodo del primo paragrafo. Gia' lo stesso meccanismo previsto dal codice di rito si pone dunque in contrasto con l'art. 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e con esso, quale norma interposta, con l'art. 117 Cost. La Corte europea ha poi anche individuato le circostanze che (sole) potrebbero consentire (nel singolo caso) la celebrazione del procedimento a porte chiuse e che (oltre a quelle espressamente elencate) possono farsi rientrare tra quelle "speciali nelle quali la pubblicita' potrebbe ledere gli interessi della giustizia" e che consistono nell'alto tecnicismo della materia trattata o nella tutela della riservatezza delle parti coinvolte. La stessa Corte europea, tuttavia, ha previsto il superamento anche di tali limiti ove "la posta in gioco" sia rilevante, mentre la Corte costituzionale, rigettando con cio' un'obiezione dell'Avvocatura della Stato, ha negato possa farsi questione di tutela della riservatezza delle parti quando siano proprio queste ultime a chiedere che la trattazione del giudizio si svolga in forma pubblica. La materia oggetto del procedimento di cui all'art. 309 codice di procedura penale - ma anche in quello di appello ai sensi dell'art. 310 codice di procedura penale - non riveste, almeno di norma, un rilevante tasso di tecnicismo giuridico attenendo essa alle misure cautelari sia personali che reali; la natura della valutazione affidata al giudice non si presenta diversa - se non per una minore ampiezza - da quella di ogni giudizio di merito dovendosi giudicare la fondatezza dell'addebito cautelare - sotto il profilo della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per quelle personali e di giuridica plausibilita' per quelle reali - giungendo, in caso di positiva delibazione e di accertata sussistenza di esigere cautelari - ad applicare provvedimenti restrittivi della liberta' personale (o del patrimonio, in caso di misure reali) che, in un ampio ventaglio, possono giungere ad avere effetti sostanzialmente coincidenti a quelli derivanti dalla pena irrogata con la sentenza definitiva. Trattasi pertanto di un giudizio che oltre a non comportare un alto grado di tecnicismo - avendo ad oggetto un concreto fatto storico - pure rappresenta una "altissima posta in gioco" andando ad incidere in maniera rilevante sul patrimonio, sull'onorabilita' e sulla liberta' personale di chi ne viene attinto. Appare superfluo insistere su tale aspetto costituendo esperienza comune la constatazione di come, sotto l'aspetto mediatico, il momento per cosi' dire traumatico di emersione del procedimento sia proprio l'esecuzione della misura cautelare seguito dalla prima possibilita' di confronto del sottoposto con il materiale indiziario raccolto nei suoi confronti rappresentata proprio dal procedimento di riesame. E' proprio in tale momento cruciale che si verifica per la prima volta il contraddittorio e si da' all'indagato la possibilita' di difendersi. Sottrarre tale fondamentale momento alla verifica ed al controllo del pubblico, senza alcuna ragionevole giustificazione, comporta irrimediabilmente la lesione del principio del giusto processo quale voluto sotto questo profilo dalla norma pattizia. 4.4 Non osta alla partecipazione del pubblico all'udienza di trattazione del ricorso ex art. 309 codice di procedura penale alcuna delle circostanze indicate nel secondo periodo del par. 1 dell'art. 6 della CEDU. Nel caso in esame, infatti, si tratta dell'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di un soggetto indagato di appartenenza ad associazione di tipo mafioso. Non vengono pertanto coinvolti ne' l'interesse alla moralita', ne' quello all'ordine pubblico o della sicurezza nazionale, ne gli interessi dei minori o la protezione della vita delle parti in causa. E' stato rilevato - cio' che potrebbe costituire una situazione lesiva degli interessi della giustizia - che l'esigenza di escludere la partecipazione del pubblico deriverebbe dallo stato del procedimento nel momento in cui viene applicata la misura cautelare, di regola quello delle indagini preliminari, governato dal principio della segretezza necessario per non compromettere la genuina acquisizione delle prove e quindi il compiuto accertamento dei fatti. Pur volendo prescindere dal considerare che, nonostante tale evenienza (l'applicazione della misura cautelare nella fase delle indagini preliminari) ricorra nella maggior parte dei casi, vi sono tuttavia ipotesi in cui essa non si presenta, va comunque osservato che proprio la proposizione del ricorso fa cadere il segreto delle indagini (la c.d. discovery) avendo l'autorita' giudiziaria procedente l'obbligo di trasmettere in tempi stretti gli atti utilizzati dal pubblico ministero in occasione della richiesta nonche' quelli successivi favorevoli alla persona sottoposta alle indagini. Ma il segreto cade ancor prima, con la consegna all'imputato di copia del provvedimento in sede di esecuzione della misura (art. 293 c.p.p.), atteso che gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza (art. 329 c.p.p.). Ne' puo' soccorrere in contrario la deroga di cui al terzo comma dell'art. 329 c.p.p., atteso che trattasi di evento appunto eccezionale, che non ricorre nel caso in esame e che in ipotesi potrebbe integrare una di quelle circostanze speciali nelle quali il giudice potrebbe in via eccezionale disporre la celebrazione dell'udienza a porte chiuse. D'altra parte l'inutilizzabilita' di tali atti (cfr. Cassazione pen. , sez. VI, sent. 17/05/1993, n. 1473, rv. 195473) renderebbe superflua la loro trasmissione. Al contrario, la pubblicita' delle udienze in questo momento si rivelerebbe quanto mai opportuna proprio al fine del controllo sulla trasparenza dell'attivita' giudiziaria. La natura di primo giudizio di merito sull'ipotesi accusatoria rivestita dal procedimento di riesame, unitamente all'evento traumatico derivante dalla restrizione della liberta' personale dell'indagato o dal sequestro dei suoi beni, sollecita, com'e' di comune esperienza, l'attenzione dell'opinione pubblica sul suo esito: interesse che attualmente puo' essere soddisfatto solo in maniera mediata e parziale. Appurato allora che non si rinvengono interessi giuridicamente rilevanti che impongano la segretezza dell'udienza, non si comprende perche' debba essere irragionevolmente compresso quello che la stessa Corte costituzionale ha definito come "principio connaturato ad un ordinamento democratico fondato sulla sovranita' popolare, cui deve conformarsi l'amministrazione della giustizia, la quale - in forza dell'art. 101, primo comma, Cost. - trova in quella sovranita' la sua legittimazione". Neanche sotto tale profilo, dunque, l'esclusione del pubblico dalle udienze potrebbe apparire giustificata. 4.5 Certamente quello di riesame e' un giudizio di merito di natura sommaria e provvisoria, inserendosi nel procedimento principale solo al fine di valutare la legittimita' dell'applicazione di una misura cautelare: giudizio destinato ad essere superato dalla sentenza dibattimentale, della quale nondimeno costituisce una sorta di anticipazione essendo il tribunale - in sede di esame della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza - chiamato a prevedere se con elevato grado di probabilita' sulla scorta degli elementi offerti la penale responsabilita' dell'indagato sara' affermata nel processo. Proprio il carattere incidentale del procedimento potrebbe allora consentire di affermarne la compatibilita' con il dettato convenzionale. E' stato infatti affermato, in materia di ricusazione, che non e' ipotizzabile "contrasto alcuno dell'art. 41 c.p.p., comma 1, come sopra inteso ed applicato, con l'art. 6, p. 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali secondo l'interpretazione costantemente fornitane dalla Corte di Strasburgo, che ne ha sempre limitato la portata ai soli giudizi aventi ad oggetto un'accusa penale (e a quelli civili inerenti a diritti e obblighi di carattere civile), con esclusione di qualsivoglia procedimento o subprocedimento incidentale (cfr., e pluribus, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali 9.2.06, Celot c. Italia, ricorso n. 27451/05)". (Cass. pen., sez. II, sent. 18/02/2010, n. 8808, rv. 246455). E tuttavia la lettura della decisione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali richiamata induce a ritenere che tale conclusione non si attagli al ricorso ex art. 309 c.p.p. Pronunciandosi sul dedotto vizio dell'omessa notifica al difensore dell'avviso dell'udienza in camera di consiglio nel ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 41 codice di procedura penale la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali ha infatti affermato: "La Corte constata che l'unico scopo del procedimento in questione era la determinazione dell'autorita' competente ratione loci per trattare la causa. Essa ritiene pertanto che tale procedimento costituisce una procedura incidentale e indipendente dal procedimento principale che l'ha prevocata (v., mutatis mutandis e in materia di applicazione dell'art. 6 § 1 a una procedura di ricusazione, SchreibereBoetsch c. Francia (dee.), n. 58751/00, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali 2003-XII). Si tratta di stabilire se tale procedura comportasse una «decisione» sulla «fondatezza» di una «accusa penale» ai sensi dell'art. 6 § 1 della Convenzione. La Corte constata che la Corte di cassazione non era chiamata a «decidere» sulla colpevolezza o innocenza del ricorrente. Il suo ruolo non consisteva in alcun modo nel decidere sul merito della causa, ma nel pronunciarsi sulla questione incidentale di determinare quale fosse il tribunale competente ratione loci. Nella misura in cui la procedura incidentale poteva influenzare il procedimento principale relativo alla fondatezza delle accuse, la Corte ricorda che l'art. 6 § 1 della Convenzione non si accontenta di un legame sottile o di ripercussioni lontane: l'esito della procedura deve essere direttamente determinante per l'esito della causa (v., in materia di nozione di «diritti e doveri di carattere civile», Ringeisen c. Austria, sentenza del 16 luglio 1971, serie A r i 13, p. 39, § 94). Di conseguenza, la Corte ritiene che l'applicabilita' dell'art. 6 § 1 al procedimento principale non fa rientrare, per connessione, la procedura per la determinazione della competenza ratione loci nel campo di applicazione di questo articolo (v., mutatis mutandis, SchreibereBoetsch gia' cit.). La Corte conclude da cio' che la procedura in questione non riguardava la fondatezza di un'accusa in materia penale". Alla stregua della suddetta affermazione sembra al tribunale che al di la' della natura incidentale o meno del procedimento, cio' che rileva ai fini dell'applicabilita' dell'art. 6 par. 1 e' la presenza di un giudizio sulla fondatezza dell'accusa penale, come del resto esplicitamente recita la norma ("un tribunale ... che decidera' sul fondamento di ogni accusa in materia penale elevata contro di lei"), a nulla rilevando che tale decisione definisca definitivamente "la causa". Non sembra pertanto irrilevante che il tribunale del riesame sia chiamato a valutare la fondatezza dell'accusa incidendo in maniera definitiva (quanto al giudizio di merito e salve circostanze sopravvenute) sulla liberta' personale e sul diritto di proprieta', sia pure ai soli fini cautelari. Crede insomma il tribunale che in considerazione della posta in gioco e della valutazione del merito dell'accusa anche il procedimento di riesame possa essere qualificato quale "causa" ai sensi dell'art. 6 par. 1 della CEDU. 4.5 Va infine considerato che le richiamate pronunce della Corte costituzionale, in forza delle quali la parte puo' ora chiedere la partecipazione del pubblico nei procedimenti per l'applicazione delle misure prevenzione e di quelle di sicurezza, hanno comportato una disparita' di trattamento delle parti in essi coinvolte con quelle del procedimento di riesame che non appare sorretto da adeguata e ragionevole giustificazione. Ed invero se la necessita' della pubblicita' dell'udienza, su richiesta dell'interessato, e' stata individuata nella rilevanza della posta in gioco non possono anche nel procedimento di riesame non rinvenirsi quelle "specifiche particolarita', che valgono a differenziarlo da un complesso di altre procedure camerali e che conferiscono specifico risalto alle esigenze alla cui soddisfazione il principio di pubblicita' delle udienze e' preordinato". Tenute poi conto del rilievo costituzionale di tale principio, quale riconosciuto dalla stessa Corte seppure esso non sia dal testo costituzionale espressamente richiamato, e della natura sostanzialmente analoga del giudizio formulato in sede di riesame a quello oggetto del dibattimento, attenendo entrambi alla fondatezza dell'accusa, non si evidenziano plausibili ragioni che giustifichino l'esclusione del controllo del pubblico in questo primo momento di valutazione della fondatezza dell'accusa che per essere anche temporalmente piu' vicino alla commissione del fatto-reato piu' colpisce l'interesse dell'opinione pubblica. Sotto questo profilo l'impossibilita' per l'interessato di chiedere che l'udienza si svolga in forma pubblica viola l'art. 3 Cost. per l'irragionevole disparita' di trattamento tra le esposte situazioni. 5. Il Tribunale conclusivamente ritiene che il disposto degli articoli 309, comma 8, e 127, comma 6, c.p.p., nel non consentire che su richiesta dell'indagato il ricorso per riesame delle misure cautelari si svolga nelle forme della pubblica udienza, violi: l'art. 3 Cost. per l'irragionevole disparita' di trattamento con il procedimento per l'applicazione di misure di sicurezza e di quelle di prevenzione nonche' con il giudizio abbreviato e quello ordinario; l'art. 117, primo comma Cost. in quanto non rispetta il principio della pubblicita' della causa sancito dall'art. 6 par. 1 CEDU; l'art. 111, primo comma Cost., in quanto contrastante con il principio del giusto processo.
P.Q.M. Il Tribunale, visti gli artt. 134 Cost. e 23 legge n. 87/1953; dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, nei termini di cui in motivazione, degli artt. 309, comma 8, e 127, comma 6, codice di procedura penale nella parte in cui non consentono che il procedimento per il riesame delle misure cautelari si svolga, su richiesta dell'indagato o del ricorrente, nelle forme della pubblica udienza. Sospende il presente procedimento. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Lecce il 26 giugno 2015 Il Presidente Est.: Piccinno