N. 342 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 agosto 2015

Ordinanza del 29 agosto 2015 del Tribunale  -  Sez.  del  riesame  di
Lecce nel procedimento penale a carico di P.A.. 
 
Processo penale - Procedimento per il  riesame  delle  ordinanze  che
  dispongono una misura coercitiva - Svolgimento,  su  istanza  degli
  interessati, nelle forme dell'udienza pubblica - Preclusione. 
- Codice di procedura penale, artt. 309, comma 8, e 127, comma 6. 
(GU n.2 del 13-1-2016 )
 
                         TRIBUNALE DI LECCE 
                         Sezione del riesame 
 
    Il Tribunale, riunitosi in camera di consiglio nelle persone di: 
    dott. Silvio M. Piccinno - Presidente; 
    dott. Anna Paola Capano - giudice; 
    dott. Antonio Gatto - giudice; 
    Ha pronunziato la seguente ordinanza nei confronti  di  P.A.,  n.
..., il  ...  sul  ricorso  presentato  il  15  giugno  2015  avverso
l'ordinanza emessa dal g.u.p. presso il Tribunale di Lecce in data  4
novembre 2014 con la quale si disponeva  la  misura  cautelare  della
custodia cautelare in carcere. 
    1. Il giudice applicava detta misura avendo  ritenuto  sussistere
nei confronti del ricorrente gravi indizi di colpevolezza del delitto
di cui all'art. 416-bis codice penale. 
    Avverso  il  suddetto  provvedimento  ha  proposto   ricorso   il
difensore per l'annullamento dell'ordinanza. 
    2.  All'udienza  del  26  giugno  2015  il   difensore   chiedeva
preliminarmente che il procedimento si svolgesse in pubblica  udienza
e sollevava questione di costituzionalita' dell'art. 309, comma 8, in
relazione all'art. 127 codice di procedura penale  sulla  base  delle
considerazioni che seguono: 
        «La  premessa  e'   rappresentata,   ineludibilmente,   dalle
sentenze recenti della Corte costituzionale n. 97 e n. 109 del  2015,
con le quali sono stati dichiarati illegittimi da un canto, (sent. n.
109), gli articoli 666 comma 3 e 678 col codice di  procedura  penale
nella  parte  in  cui  non  consentono  che,   su   richiesta   degli
interessati, il procedimento di fronte al Tribunale di  Sorveglianza,
nelle materie di sua competenza, si svolga nelle  forme  dell'udienza
pubblica e, dall'altro canto, (sent. n. 109) gli articoli  666  comma
3, 667 comma 4 e 676 codice di procedura penale nella  parte  in  cui
non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento  di
opposizione contro l'ordinanza  m  materia  di  confisca  si  svolga,
davanti al GE, nelle forme dell'udienza pubblica. 
    Le due sentenze  gemelle  hanno  aperto  una  breccia  ormai  non
rimediabile verso la trattazione - sempre su  richiesta  delle  parti
interessate - dei  procedimenti  nelle  forme  dell'udienza  pubblica
laddove si verta in tema di diritti fondamentali della persona e  che
ricevono una tutela di rango costituzionale. E  cosi'  e'  certamente
nel procedimento che si celebra innanzi  al  Tribunale  del  Riesame,
laddove le questioni riguardano diritti  fondamentali  della  persona
come quello della liberta' personale (misure cautelari  personali)  e
della proprieta' (misure cautelari reali). Sicche' anche nel caso  di
specie le norme censurate sono in contrasto con l'art. 117, col Cost.
e, in via interposta, con l'art. 6 paragr. 1 Convenzione europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,
nella  parte  in  cui  afferma  il  principio  di   pubblicita'   dei
procedimenti giudiziari; in contrasto con l'art. 111 Cost. che impone
un giusto processo, posto che il processo equo deve  poter  prevedere
di procedere in forma pubblica, almeno nei  casi  in  cui  siano  gli
interessati a richiederlo. 
    A tal proposito  si  richiamano  gli  argomenti  che  sono  stati
sviluppati nelle recenti sentenze n. 97 e n. 109, ben  adattabili  al
caso de quo. I dati normativi in scrutinio - art. 309 comma 8 e  art.
127 comma 6 c.p.p. - sono univoci  nell'escludere  la  partecipazione
del pubblico al procedimento in questione. Il comma 8 del citato art.
309 prevede, infatti, che il procedimento davanti  al  tribunale  del
riesame si  svolge  in  camera  di  consiglio  nelle  forme  previste
dall'art.  127.  La  formula,  in   assenza   di   deroghe,   rimanda
espressamente all'art. 127 codice di procedura  penale  e,  comunque,
espressamente al suo comma 6, in forza del quale «L'udienza si svolge
senza la presenza del pubblico», ossia in camera di consiglio. 
    Non  e'  revocabile  in  dubbio  che  tale   regime   si   rivela
incompatibile con la garanzia  della  pubblicita'  Miei  procedimenti
giudiziari, sancita  dall'art.  6,  paragrafo  1,  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, cosi' come interpretato dalla Corte europea dei diritti
dell'uomo, e, di conseguenza, con l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,
rispetto al quale la citata  disposizione  convenzionale  assume  una
valenza integrativa, quale «norma interposta». L'art. 6, paragrafo 1,
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali stabilisce - per la  parte  conferente  -
che «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata  [...],
pubblicamente  ed  entro  un  termine  ragionevole  da  un  tribunale
indipendente e imparziale [...]»,  soggiungendo,  altresi',  che  «La
sentenza deve essere  resa  pubblicamente,  ma  l'accesso  alla  sala
d'udienza puo' essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto
o  parte  del  processo  nell'interesse  della  morale,   dell'ordine
pubblico o della sicurezza nazionale  in  una  societa'  democratica,
quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita
privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata  strettamente
necessaria  dal  tribunale,  quando  in   circostanze   speciali   la
pubblicita'  possa   portare   pregiudizio   agli   interessi   della
giustizia». La Corte europea dei diritti dell'uomo ha gia' avuto modo
di ritenere in contrasto con l'indicata garanzia convenzionale taluni
procedimenti giurisdizionali dei quali la legge italiana prevedeva la
trattazione in forma camerate.  Cio'  e'  avvenuto,  in  specie,  con
riguardo al procedimento  applicativo  delle  misure  di  prevenzione
(sentenza 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza  contro  Italia,  sulla
cui scia sentenza 26 luglio 2011, Paleari contro Italia; sentenza  17
maggio 2011, Capitani e Campanella contro Italia; sentenza 2 febbraio
2010, Leone contro Italia; sentenza 5 gennaio 2010, Bongiorno e altri
contro Italia; sentenza 8 luglio 2008, Perre e altri contro Italia) e
al procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione (sentenza
10 aprile 2012, Lorenzetti contro It.). La Corte europea e' pervenuta
a tale conclusione richiamando la  propria  costante  giurisprudenza,
secondo la quale la pubblicita' delle procedure giudiziarie tutela le
persone soggette alla giurisdizione contro una giustizia segreta, che
sfugge al controllo del pubblico, e costituisce anche  uno  strumento
per preservare la fiducia nei giudici, contribuendo cosi a realizzare
lo scopo dell'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali:
ossia l'equo processo. Come attestano  le  eccezioni  previste  dalla
seconda parte della norma, questa non impedisce,  in  assoluto,  alle
autorita'  giudiziarie  di  derogare  al  principio  di   pubblicita'
dell'udienza. La stessa Corte europea ha, d'altra parte, ritenuto che
alcune situazioni eccezionali, attinenti alla natura delle  questioni
da trattare - quale, ad esempio, il carattere «altamente tecnico» del
contenzioso - possano giustificare che si faccia a meno di un'udienza
pubblica, in ogni caso, tuttavia, l'udienza a porte chiuse, per tutta
o  parte  della  durata,  deve  essere  «strettamente  imposta  dalle
circostanze della causa». Con particolare  riguardo  al  procedimento
per l'applicazione delle misure di prevenzione, la Corte europea  dei
diritti dell'uomo non ha negato che detta procedura possa  presentare
«un elevato grado di tecnicita'» e far emergere,  altresi',  esigenze
di protezione della vita privata di terze persone. Ma ha rilevato che
l'entita' della «posta in gioco»  -  rappresentata  (nel  caso  delle
misure patrimoniali) dalla confisca di «beni  e  capitali»  -  e  gli
effetti che la procedura  stessa  puo'  produrre  sulle  persone  non
consentono di affermare «che il controllo del pubblico» -  almeno  su
sollecitazione del soggetto  coinvolto  -  «non  sia  una  condizione
necessaria alla garanzia del rispetto dei diritti  dell'interessato».
Di conseguenza, ha ritenuto «essenziale», ai fini della realizzazione
della garanzia prefigurata dalla norma convenzionale, «che le persone
[...] coinvolte in un procedimento di applicazione  delle  misure  di
prevenzione si vedano almeno offrire la possibilita'  di  sollecitare
una pubblica udienza davanti alle sezioni specializzate dei tribunali
e delle corti d'appello» (sentenza  13  novembre  2007,  Bocellari  e
Rizza contro It.).  In  termini  similari  la  Corte  europea  si  e'
espressa  con  riferimento  al  procedimento   per   la   riparazione
dell'ingiusta detenzione, non ravvisando, anche in tal  caso,  alcuna
circostanza eccezionale atta a  giustificare  la  deroga  generale  e
assoluta al  principio  di  pubblicita'  dei  giudizi,  insita  nella
previsione della sua trattazione in forma camerale (art.  315,  comma
3, in relazione all'art. 646, comma 1, codice di procedura penale  ).
Nell'ambito di  tale  procedura,  infatti,  i  giudici  interni  sono
chiamati essenzialmente a valutare se l'interessato abbia contribuito
a provocare la sua detenzione intenzionalmente  o  per  colpa  grave:
sicche' non si discute di «questioni di natura  tecnica  che  possono
essere regolate  in  maniera  soddisfacente  unicamente  in  base  al
fascicolo» (sentenza 10 aprile 2012, Lorenzetti contro It.). 
    Come gia' rilevato dalla Consulta con le citate  sentenze  n.  93
del 2010, n. 135 del 2014 e n. 97 del 2015, la  norma  convenzionale,
come  interpretata  dalla  Corte  europea,  non  contrasta   con   le
conferenti tutele offerte dalla Costituzione (ipotesi nella quale  la
norma stessa rimarrebbe inidonea a integrare il  parametro  dell'art.
117, primo comma, Cost.), ma si pone, anzi, in sostanziale  assonanza
con esse. L'assenza di un esplicito richiamo, non scalfisce, infatti,
il valore costituzionale del principio di pubblicita'  delle  udienze
giudiziarie, peraltro consacrato anche in altre carte  internazionali
dei diritti fondamentali. 
    La  pubblicita'  del  giudizio  -  specie  di  quello  penale   -
rappresenta, in effetti, un principio connaturato ad  un  ordinamento
democratico (ex plurimis, sentenze n. 373 del 1992, n. 69 del 1991  e
n. 50 del 1989). Il principio non ha valore assoluto, potendo  cedere
in presenza di particolari ragioni giustificative, purche', tuttavia,
obiettive e razionali (sentenza n. 212 del 1986),  e,  nel  caso  del
dibattimento penale, collegate  ad  esigenze  di  tutela  di  beni  a
rilevanza costituzionale (sentenza n. 12 del 1971). 
    Orbene, deve escludersi che, con riguardo al procedimento oggi in
esame, siano ravvisabili  ragioni  atte  a  giustificare  una  deroga
generalizzata e assoluta al principio di pubblicita'  delle  udienze,
solo perche' attiene accuse per reati  di  criminalita'  organizzata,
per i quali le norme - anche quelle in tema di liberta'  personale  -
viaggiano su altro binario. 
    Il procedimento in questione e' finalizzato, infatti, a mantenere
in vita e/o annullare una misura estrema  e  relativa  alla  liberta'
personale, che non ammette  alternative:  misura  che  incide  su  un
diritto munito di  garanzia  convenzionale  e  costituzionale,  ossia
quello della liberta' personale. 
    La «posta in gioco» in tale procedimento e' assai  elevata,  come
attesta eloquentemente il caso oggetto del giudizio a quo,  attinente
alla  misura  cautelare   della   custodia   in   carcere   applicata
all'indagato per reati che comportano pene elevatissime. 
    Non si tratta, altresi', in linea generale, di un  contenzioso  a
carattere tipicamente e spiccatamente «tecnico», rispetto al quale il
controllo del pubblico sull'esercizio dell'attivita'  giurisdizionale
possa ritenersi non necessario alla luce della peculiare natura delle
questioni trattate: innanzi al Tribunale del riesame vengono trattate
le questioni di merito oltre che  tecniche  riguardanti  un'ordinanza
custodiale. 
    Ne' si puo' invocare, in casi come  quello  al  nostro  esame  la
pericolosita' sociale della persona, presunta, peraltro, ex lege,  in
ragione  degli  addebiti  cautelari,  che  imporrebbe  l'assenza  del
pubblico per ragioni di ordine pubblico. Una  cosa  e',  infatti,  la
pericolosita' del soggetto che puo' essere fronteggiata con i sistemi
previsti dalla legge (il riferimento corre alla presenza  a  distanza
in videoconferenza del soggetto) ed altra cosa e' la forma - camerale
o pubblica - di trattazione di questioni relative a beni fondamentali
di quel soggetto. 
    Ci si permette di osservare che proprio nei casi in  cui  vengono
fatte valere dalla Pubblica Accusa presunzioni  legali  iuris  et  de
iure o iuris tantum nei confronti di un indagato e/o imputato,  vanno
evitate le forme di giustizie segrete che possono far  sorgere  nella
persona interessata sospetti di giustizia sommaria. 
    3. E' del tutto evidente la rilevanza della questione  sollevata,
atteso che  la  richiesta  avanzata  dall'indagato,  di  trattare  il
procedimento che lo concerne in pubblica udienza, trova  un  ostacolo
insormontabile nel chiaro ed inequivoco disposto dell'art. 309, comma
8, codice di  procedura  penale  secondo  il  quale  il  procedimento
davanti al tribunale si svolge in camera  di  consiglio  nelle  forme
previste dall'art. 127 ossia, secondo quanto prescrive il sesto comma
di tale ultima disposizione, senza la presenza del pubblico. 
    4. La questione posta appare, poi, non manifestamente infondata. 
    4.1   I   parametri   costituzionali   coinvolti,   secondo    la
prospettazione difensiva, sono costituiti dagli articoli  111,  primo
comma, e 117, primo comma, della Costituzione in  relazione  all'art.
6, paragrafo 1, della Convenzione per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU). 
    L'art. 111 Cost. stabilisce i principi  che  regolano  il  giusto
processo, ma non annovera espressamente tra essi la pubblicita' delle
udienze, mentre il primo comma dell'art. 117 afferma che la  potesta'
legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle  Regioni  nel  rispetto
della Costituzione nonche'  dei  vincoli  derivanti  dall'ordinamento
comunitario e degli obblighi internazionali. 
    Tali norme vengono dunque in rilievo mediante rinvio  all'art.  6
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, il primo comma  del  quale  dispone  che  ogni
persona ha diritto che la sua  causa  sia  esaminata  imparzialmente,
pubblicamente e in un tempo ragionevole, da  parte  di  un  tribunale
indipendente ed imparziale, costituito dalla legge, che decidera' sia
in ordine alle controversie  sui  suoi  diritti  ed  obbligazioni  di
natura civile, sia sul fondamento di ogni accusa  in  materia  penale
elevata  contro  di  lei.  Il  giudizio  deve  essere  pubblico,   ma
l'ingresso nella sala di udienza puo' essere vietato alla stampa e al
pubblico durante tutto o  parte  del  processo  nell'interesse  della
moralita' dell'ordine pubblico o della  sicurezza  nazionale  in  una
societa' democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la
protezione della vita delle  parti  in  causa,  o  in  quella  misura
ritenuta  strettamente  indispensabile  dal  tribunale,   quando   in
circostanze speciali la  pubblicita'  potesse  ledere  gli  interessi
della giustizia. 
    Sulla base  di  tale  principio  la  Corte  costituzionale,  come
rilevato dalla difesa, ha dichiarato illegittimi alcuni  procedimenti
che non prevedevano la partecipazione del pubblico. 
    Cosi' con la sentenza 17/03/2010, n. 93 la  Corte  ha  dichiarato
l'incostituzionalita' degli articoli 4 legge n. 1423/56 e 2-ter legge
n. 575/65 nella parte in cui non consentono  che,  su  istanza  degli
interessati, il  procedimento  per  l'applicazione  delle  misure  di
prevenzione si svolga, davanti al tribunale e alla  corte  d'appello,
nelle forme dell'udienza pubblica. A tale  conclusione  la  Corte  e'
pervenuta richiamando la consolidata giurisprudenza della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali  secondo  la  quale  "la  pubblicita'  delle   procedure
giudiziarie tutela le persone soggette alla giurisdizione contro  una
giustizia segreta, che sfugge al controllo del pubblico e costituisce
anche uno strumento per preservare la fiducia  nei  giudici  (tra  le
altre, sentenza 14 novembre 2000, nella causa Riepan contro Austria).
Con la trasparenza  che  essa  conferisce  all'amministrazione  della
giustizia, contribuisce, quindi, a realizzare lo scopo  dell'art.  6,
paragrafo 1,  della  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali:  ossia   l'equo
processo (ex plurimis, sentenza 25 luglio 2000, nella causa Tierce  e
altri contro SanMarino)». Ne' poteva farsi ricorso alle  eccezioni  -
che pure la norma pattizia prevede «quando, sia in primo grado che in
appello, una procedura «sul merito»  si  svolge  a  porte  chiuse  in
virtu' di una norma  generale  ed  assoluta,  senza  che  la  persona
soggetta alla giurisdizione fruisca di quella facolta'. Una procedura
siffatta non puo' essere, invero, considerata  conforme  all'art.  6,
paragrafo 1,  della  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, giacche', salvi casi
del  tutto  eccezionali,   l'interessato   deve   avere   almeno   la
possibilita' di chiedere  un  dibattimento  pubblico;  richiesta  che
potra' essere eventualmente disattesa, qualora lo svolgimento a porte
chiuse risulti giustificato «dalle circostanze della causa  e  per  i
motivi sopra richiamati» (al riguardo, sentenza 12 aprile 2006, nella
causa Martinie contro Francia)". Aggiungeva  poi  la  Corte  che  "va
senz'altro escluso che la norma internazionale  convenzionale,  cosi'
come interpretata dalla Corte europea, contrasti  con  le  conferenti
tutele offerte dalla nostra Costituzione. L'assenza di  un  esplicito
richiamo  in  Costituzione  non  scalfisce,  in  effetti,  il  valore
costituzionale   del   principio   di   pubblicita'   delle   udienze
giudiziarie: principio che -  consacrato  anche  in  altri  strumenti
internazionali, quale, in particolare, il Patto internazionale di New
York relativo ai diritti civili e politici, adottato il  16  dicembre
1966 e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881 (art.  14)  -
trova oggi ulteriore conferma nell'art. 47, paragrafo 2, della  Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione  europea  (cosiddetta  Carta  di
Nizza), recepita dall'art. 6, paragrafo 1, del  Trattato  sull'Unione
europea, nella versione consolidata derivante dalle modifiche ad esso
apportate dal Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 ed entrata  in
vigore il 1° dicembre 2009. Questa Corte ha avuto modo,  in  effetti,
di affermare in piu'  occasioni  che  la  pubblicita'  del  giudizio,
specie di quello penale,  costituisce  principio  connaturato  ad  un
ordinamento democratico fondato sulla sovranita' popolare,  cui  deve
conformarsi l'amministrazione della giustizia, la quale  -  in  forza
dell'art. 101, primo comma, Cost. - trova in quella sovranita' la sua
legittimazione (sentenze n. 373 del 1992; n. 69 del 1991; n.  50  del
1989; n. 212 del 1986; n. 17 e 16 del 1981; n. 12 del 1971  e  n.  65
del 1965). Il principio non ha valore  assoluto,  potendo  cedere  in
presenza di particolari ragioni  giustificative,  purche',  tuttavia,
obiettive e razionali (sentenza n. 212 del 1986),  e,  nel  caso  del
dibattimento penale, collegate  ad  esigenze  di  tutela  di  beni  a
rilevanza costituzionale (sentenza n. 12 del 1971).  Le  osservazioni
della Corte europea dei diritti dell'uomo colgono, d'altro canto,  le
specifiche peculiarita' del procedimento di prevenzione, che  valgono
a differenziarlo da un complesso  di  altre  procedure  camerali.  Si
tratta, cioe', di un procedimento all'esito del quale il  giudice  e'
chiamato ad esprimere un giudizio di merito, idoneo  ad  incidere  in
modo  diretto,  definitivo  e  sostanziale  su  beni   dell'individuo
costituzionalmente tutelati, quali la liberta'  personale  (art.  13,
primo comma, Cost.)  e  il  patrimonio  (quest'ultimo,  tra  l'altro,
aggredito  in  modo  normalmente  "massiccio"  e  in  componenti   di
particolare rilievo, come del resto nel procedimento a quo),  nonche'
la stessa liberta' di iniziativa economica, incisa dalle misure anche
gravemente "inabilitanti"  previste  a  carico  del  soggetto  cui  e
applicata la misura di  prevenzione  (in  particolare,  dall'art.  10
della legge n. 575 del 1965). Il  che  conferisce  specifico  risalto
alle esigenze alla cui  soddisfazione  il  principio  di  pubblicita'
delle udienze e' preordinato". 
    Analoghe  considerazioni  la  Corte  ha  svolto  con  riferimento
all'art. 679 codice di procedura penale  che  per  l'applicazione  di
misure di sicurezza diverse dalla  confisca  prevedeva,  mediante  il
richiamo all'art. 666 c.p.p., lo svolgimento dell'udienza  in  camera
di consiglio. Anche per questa ipotesi la Corte affermava che  "avuto
riguardo  all'evidenziato  oggetto  dell'accertamento,  non  si   e',
dunque, di fronte ad un contenzioso a carattere meramente e altamente
«tecnico», rispetto al quale il controllo del pubblico sull'esercizio
dell'attivita' giurisdizionale - richiesto dall'art. 6, paragrafo  1,
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali,  cosi'  come  interpretato  dalla  Corte
europea dei diritti dell'uomo - possa ritenersi non  necessario  alla
luce della peculiare natura delle questioni  trattate.  Quanto,  poi,
alle esigenze di riservatezza che, ad  avviso  dell'Avvocatura  dello
Stato, giustificherebbero la sottrazione dell'udienza di sicurezza al
regime della pubblicita', esse vengono riferite allo stesso  soggetto
nei cui confronti il procedimento si svolge, in correlazione ai mezzi
istruttori richiesti ai fini del giudizio sulla sua personalita', Ma,
a prescindere da ogni altra  possibile  obiezione,  e'  dirimente  al
riguardo il rilievo che  siffatte  esigenze  risulterebbero  comunque
ininfluenti rispetto al petitum, che  mira  a  lasciare  allo  stesso
interessato la valutazione dell'opportunita' di rendere  pubblica  la
trattazione della procedura. Per  altro  verso,  poi,  la  «posta  in
gioco» nel procedimento in questione si presenta, senza alcun dubbio,
particolarmente elevata. Nella  generalita'  dei  casi,  la  verifica
della pericolosita' sociale, operata nell'ambito del procedimento  di
cui si discute, e' prodromica alla sottoposizione dell'interessato  a
misure di sicurezza personali (art. 215 codice  penale).  Nell'ambito
delle misure di sicurezza patrimoniali (art. 236, primo comma, codice
penale),  la  confisca  risulta,   infatti,   espressamente   esclusa
dall'ambito di  operativita'  del  procedimento  stesso,  essendo  la
competenza in materia attribuita  al  giudice  dell'esecuzione  (art.
676, comma 1, codice di procedura  penale);  mentre  la  cauzione  di
buona condotta e' prevista in pochissime ipotesi, oltre  a  risultare
largamente desueta nella pratica. Le misure  di  sicurezza  personali
comportano, peraltro, limitazioni di rilevante spessore alla liberta'
personale, raggiungendo, casti delle misure detentive,  un  tasso  di
afflittivita' del tutto analogo a vello delle pene  detentive.  Dette
misure sono  applicate,  inoltre,  per  periodi  minimi  di  notevole
durata.  Nell'ipotesi  oggetto  del  giudizio  a  quo,  ad   esempio,
l'eventuale dichiarazione di  delinquenza  abituale  dell'interessato
potrebbe comportare la sua assegnazione ad una colonia agricola o  ad
una casa di lavoro per la durata minima di due anni (art. 217  codice
penale); in altre ipotesi il periodo minimo di internamento e'  anche
piu' lungo. La revoca anticipata della misura  prima  della  scadenza
del  termine  di  durata  minima,  all'esito  di  un  riesame   della
pericolosita', rappresenta, d'altro canto, una mera eventualita'.  Al
pari del procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione,
anche quello considerato presenta, dunque, specifiche particolarita',
che valgono a differenziarlo  da  un  complesso  di  altre  procedure
camerali e che conferiscono specifico risalto alle esigenze alla  cui
soddisfazione  il  principio  di   pubblicita'   delle   udienze   e'
preordinato. Si tratta, infatti, di  un  procedimento  all'esito  del
quale il giudice e' chiamato ad  esprimere  un  giudizio  di  merito,
idoneo ad incidere in modo diretto, definitivo e  sostanziale  su  un
bene primario dell'individuo, costituzionalmente tutelato,  quale  la
liberta' personale" (Corte cost., sentenza n. 135/14). 
    Ad uguali  conclusioni  la  Corte  perveniva  in  riferimento  al
procedimento di sorveglianza (sent. n. 97/15) e da ultimo a quello di
esecuzione per l'eventuale  applicazione  della  confisca  (sera.  n.
109/15). 
    4.2 Nelle decisioni  sopra  richiamate  la  Corte  ha  dichiarato
l'illegittimita'  delle  norme   che   impedivano   la   celebrazione
dell'udienza, su istanza di parte, in forma pubblica facendo  ricorso
all'obbligo di recepimento delle norme di  carattere  comunitario  ed
internazionale  che  non  si  pongano   in   contrasto   con   quelle
costituzionali. 
    E' pertanto alla portata del principio posto  dall'art.  6  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali che bisogna avere riguardo. 
    Come rilevato  nelle  esposte  sentenze,  la  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo ha avuto modo di pronunciarsi sulla portata di tale
principio proprio in relazione a procedimenti che non consentivano la
partecipazione del pubblico. 
    Nella prima di esse (causa Bocellari e Rizza contro l'Italia)  la
Corte ha affermato: 
        "la pubblicita' della procedura degli  organi  giudiziari  di
cui all'art. 6 § 1 tutela  le  persone  soggette  alla  giurisdizione
contro una giustizia segreta che sfugge  al  controllo  del  pubblico
(vedere, Riepan c. Austria, n. 35115/97, § 27, CEDH  2000-XII);  essa
costituisce anche uno dei mezzi per preservare la fiducia nelle corti
e  nei  tribunali.   Con   la   trasparenza   che   essa   conferisce
all'amministrazione della giustizia,  aiuta  a  realizzare  lo  scopo
dell'art. 6 § 1: l'equo processo, la cui garanzia e' annoverata fra i
principi di ogni societa'  democratica  ai  sensi  della  Convenzione
(vedere fra molte altre, Tierce e altri c. Saint-Marin, n.  24954/94,
24971/94 e 24972/94, § 92, CEDH 2000-IX). 
    L'art. 6 § 1 tuttavia non pone ostacoli al fatto che le autorita'
giudiziarie decidano, viste le particolarita' della causa  sottoposta
al loro esame, di derogare a questo principio:  ai  sensi  stessi  di
questa norma, " (...)  l'accesso  alla  sala  d'udienza  puo'  essere
vietato alla stampa e al pubblico per  tutto  o  parte  del  processo
nell'interesse  della  moralita',  dell'ordine   pubblico   o   della
sicurezza nazionale in una societa' democratica,  quando  lo  esigono
gli interessi dei minori o la protezione della vita  delle  parti  in
causa,  o  nella  misura  giudicata   strettamente   necessaria   dal
tribunale, quando in circostanze  speciali  la  pubblicita'  potrebbe
ledere gli interessi della giustizia"; l'udienza a porte chiuse,  can
chiusura totale o parziale, deve allora essere  strettamente  imposta
dalle circostanze della causa (vedere per esempio, mutatis  mutandis,
la sentenza Diennet c. Francia, del 26 settembre 1.995,  Serie  A  n.
325-A, § 34). 
    Peraltro,  la  Corte   ha   ritenuto   che   alcune   circostanze
eccezionali, attinenti alla  natura  delle  questioni  sottoposte  al
giudice nell'ambito della procedura di cui trattasi (vedere,  mutatis
mutandis, la sentenza  Miller  c.  Suede  dell'8  febbraio  2005,  n.
55853/00, § 29), possono giustificare il fare a meno di una  pubblica
udienza (vedere in particolare la sentenza Göç c.  Turchia  [GC],  n.
36590/97, CEDH 2002-V, § 47). Essa considera cosi', ad  esempio,  che
il contenzioso della sicurezza sociale, altamente tecnico, spesso  si
presta meglio agli scritti piuttosto che alle  difese  orali  e  che,
l'organizzazione sistematica dei dibattimenti potendo  costituire  un
ostacolo alla particolare diligenza richiesta in materia di sicurezza
sociale, e' comprensibile che in un tale campo le autorita' nazionali
tengano conto di imperativi di efficacia e di economia  (vedere,  per
esempio, le sentenze Miller  e  Schuler-Zgraggen  prima  citate).  E'
tuttavia necessario sottolineare che, nella maggior parte delle cause
riguardanti  un  procedimento  innanzi  alle  autorita'   giudiziarie
«civili» che decidono nel merito  nelle  quali  essa  e'  arrivata  a
questa conclusione, il ricorrente  aveva  avuto  la  possibilita'  di
sollecitare la tenuta di una pubblica udienza. 
    Come la Corte ha affermato  nella  causa  Martinie  (Martinie  c.
Francia [GC], n. 58675/00, CEDH 2006...), la  situazione  e'  diversa
quando, sia in appello che in primo grado, una procedura «civile» sul
merito si svolge a porte chiuse in virtu' di  una  norma  generale  e
assoluta, senza che la persona  soggetta  a  giurisdizione  abbia  la
possibilita' di sollecitare una  pubblica  udienza  pubblica  facendo
valere le particolarita' della sua causa. Una procedura che si svolge
in questo modo non puo' in  linea  di  principio  essere  considerata
conforme all'art. 6 § 1  della  Convenzione:  salvo  circostanze  del
tutto eccezionali, la persona soggetta a  giurisdizione  deve  almeno
avere  la  possibilita'  di  domandare  la  tenuta  di   dibattimenti
pubblici, potendo esserle tuttavia opposte le porte chiuse, a  fronte
di circostanze della causa e per i motivi  sopra  richiamati  (vedere
Martinie, sopra citata, § 42). 
    La Corte e' sensibile al ragionamento  del  Governo  secondo  cui
talvolta possono entrare in gioco in questo tipo di  procedure  degli
interessi superiori, quali la protezione della vita privata di minori
o  di  persone  terze  indirettamente   interessate   dal   controllo
finanziario. Peraltro, la Corte non  dubita  che  una  procedura  che
tenda essenzialmente al controllo delle finanze e  dei  movimenti  di
capitali possa presentare un elevato grado di  tecnicita'.  Tuttavia,
non bisogna perdere di vista la posta in  gioco  delle  procedure  di
prevenzione e gli effetti che sono  suscettibili  di  produrre  sulla
situazione personale delle persone coinvolte. 
    La  Corte  osserva  che  questo  tipo   di   procedura   riguarda
l'applicazione  della  confisca  di  beni  e   capitali,   cosa   che
direttamente e sostanzialmente coinvolge la  situazione  patrimoniale
della persona soggetta a  giurisdizione.  Davanti  a  tale  posta  in
gioco, non si puo' affermare che il controllo del  pubblico  non  sia
una condizione necessaria alla  garanzia  del  rispetto  dei  diritti
dell'interessato (vedere Martinie, prima citata, § 43 e, a contrario,
Jussilla c. Finlandia [GC], n. 73053/01, § 48, CEDH-2006...). 
    Riassumendo, la Corte giudica essenziale che le persone  soggette
a giurisdizione coinvolte in un procedimento  di  applicazione  delle
misure di prevenzione si vedano almeno  offrire  la  possibilita'  di
sollecitare una pubblica udienza davanti alle  sezioni  specializzate
del tribunale e delle corti d'appello. 
    Nella fattispecie, i ricorrenti non hanno beneficiato  di  questa
possibilita'. Pertanto vi e' stata violazione dell'art. 6 §  1  della
Convenzione». 
    A tali considerazioni la Corte poi faceva espresso  rinvio  nella
decisione degli altri ricorsi indicati  nelle  sentenze  della  Corte
costituzionale sopracitate. 
    4.3 Ritiene il tribunale che da esse puo' anzitutto ravvisarsi un
contrasto di principio tra l'art. 127 codice di  procedura  penale  e
l'art. 6 della CEDU atteso che, come si e' visto, la Corte europea ha
stigmatizzato  la  previsione  posta  in  via  generale  ed  astratta
dell'assenza del pubblico in una serie di procedimenti, tra  i  quali
quello di cui all'art. 309 c.p.p. 
    Richiamando quanto gia' affermato nella causa Martinie contro  la
Francia, la Corte ha ribadito che «quando,  sia  in  appello  che  in
primo grado, una procedura «civile» sul  merito  si  svolge  a  porte
chiuse in virtu' di una norma  generale  e  assoluta,  senza  che  la
persona soggetta a giurisdizione abbia la possibilita' di sollecitare
una udienza pubblica  facendo  valere  le  particolarita'  della  sua
causa(..) una procedura che si svolge in  questo  modo  non  puo'  in
linea di principio essere considerata conforme all'art. 6 §  1  della
Convenzione: salvo circostanze  del  tutto  eccezionali,  la  persona
soggetta  a  giurisdizione  deve  almeno  avere  la  possibilita'  di
domandare  la  tenuta  di  dibattimenti  pubblici,  potendo   esserle
tuttavia opposte le porte chiuse, a fronte di circostanze della causa
e per i motivi sopra richiamati". 
    Nei termini esposti,  dunque,  l'art.  127  codice  di  procedura
penale violerebbe di per se' il principio convenzionale in quanto non
consente alla parte  coinvolta  di  chiedere  che  l'udienza  che  la
riguarda si svolga a porte aperte, a  prescindere  dell'esistenza  in
concreto di esigenze che richiedano l'assenza del pubblico. 
    La possibilita', pertanto,  di  impedire  la  partecipazione  del
pubblico dovrebbe essere valutata caso per caso, alla  stregua  delle
(tassative)  circostanze  elencate  nel  secondo  periodo  del  primo
paragrafo. 
    Gia' lo stesso meccanismo previsto dal codice  di  rito  si  pone
dunque  in  contrasto  con  l'art.  6  Convenzione  europea  per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali  e
con esso, quale norma interposta, con l'art. 117 Cost. 
    La Corte europea ha poi  anche  individuato  le  circostanze  che
(sole) potrebbero consentire (nel singolo caso) la  celebrazione  del
procedimento a porte chiuse  e  che  (oltre  a  quelle  espressamente
elencate) possono farsi rientrare tra quelle "speciali nelle quali la
pubblicita' potrebbe ledere gli  interessi  della  giustizia"  e  che
consistono nell'alto tecnicismo della materia trattata o nella tutela
della riservatezza delle parti coinvolte. 
    La stessa Corte europea, tuttavia,  ha  previsto  il  superamento
anche di tali limiti ove "la posta in gioco" sia rilevante, mentre la
Corte    costituzionale,    rigettando    con    cio'    un'obiezione
dell'Avvocatura della Stato,  ha  negato  possa  farsi  questione  di
tutela della riservatezza delle parti  quando  siano  proprio  queste
ultime a chiedere che la trattazione del giudizio si svolga in  forma
pubblica. 
    La materia oggetto del procedimento di cui all'art. 309 codice di
procedura penale - ma anche in quello di appello ai  sensi  dell'art.
310 codice di procedura penale - non riveste,  almeno  di  norma,  un
rilevante tasso di tecnicismo giuridico attenendo  essa  alle  misure
cautelari sia  personali  che  reali;  la  natura  della  valutazione
affidata al giudice non si presenta diversa - se non per  una  minore
ampiezza - da quella di ogni giudizio di merito  dovendosi  giudicare
la fondatezza  dell'addebito  cautelare  -  sotto  il  profilo  della
sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per quelle personali e di
giuridica plausibilita' per quelle reali  -  giungendo,  in  caso  di
positiva delibazione e di accertata sussistenza di esigere  cautelari
- ad applicare provvedimenti restrittivi della liberta' personale  (o
del patrimonio, in caso di misure reali) che, in un ampio  ventaglio,
possono giungere  ad  avere  effetti  sostanzialmente  coincidenti  a
quelli derivanti dalla pena irrogata con la sentenza definitiva. 
    Trattasi pertanto di un giudizio che oltre a  non  comportare  un
alto grado di tecnicismo  -  avendo  ad  oggetto  un  concreto  fatto
storico - pure rappresenta una "altissima posta in gioco" andando  ad
incidere in maniera rilevante  sul  patrimonio,  sull'onorabilita'  e
sulla liberta' personale di chi ne viene attinto. 
    Appare superfluo insistere su tale aspetto costituendo esperienza
comune la  constatazione  di  come,  sotto  l'aspetto  mediatico,  il
momento per cosi' dire traumatico di emersione del  procedimento  sia
proprio l'esecuzione  della  misura  cautelare  seguito  dalla  prima
possibilita' di confronto del sottoposto con il materiale  indiziario
raccolto nei suoi confronti rappresentata proprio dal procedimento di
riesame. E' proprio in tale momento cruciale che si verifica  per  la
prima volta il contraddittorio e si da' all'indagato la  possibilita'
di difendersi. Sottrarre tale fondamentale momento alla  verifica  ed
al controllo del pubblico, senza alcuna ragionevole  giustificazione,
comporta  irrimediabilmente  la  lesione  del  principio  del  giusto
processo quale voluto sotto questo profilo dalla norma pattizia. 
    4.4 Non osta alla  partecipazione  del  pubblico  all'udienza  di
trattazione del ricorso ex art. 309 codice di procedura penale alcuna
delle circostanze indicate nel secondo periodo del par. 1 dell'art. 6
della CEDU. Nel caso in esame, infatti, si  tratta  dell'applicazione
della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di  un
soggetto indagato di appartenenza ad associazione  di  tipo  mafioso.
Non vengono pertanto coinvolti ne' l'interesse  alla  moralita',  ne'
quello all'ordine  pubblico  o  della  sicurezza  nazionale,  ne  gli
interessi dei minori o la protezione della vita delle parti in causa. 
    E' stato rilevato - cio' che potrebbe costituire  una  situazione
lesiva degli interessi della giustizia - che l'esigenza di  escludere
la  partecipazione  del  pubblico   deriverebbe   dallo   stato   del
procedimento nel momento in cui viene applicata la misura  cautelare,
di regola quello delle indagini preliminari, governato dal  principio
della  segretezza  necessario  per  non  compromettere   la   genuina
acquisizione delle prove e quindi il compiuto accertamento dei fatti. 
    Pur volendo prescindere  dal  considerare  che,  nonostante  tale
evenienza (l'applicazione della misura  cautelare  nella  fase  delle
indagini preliminari) ricorra nella maggior parte dei casi,  vi  sono
tuttavia ipotesi in cui essa non si presenta, va  comunque  osservato
che proprio la proposizione del ricorso fa cadere  il  segreto  delle
indagini  (la  c.d.   discovery)   avendo   l'autorita'   giudiziaria
procedente  l'obbligo  di  trasmettere  in  tempi  stretti  gli  atti
utilizzati  dal  pubblico  ministero  in  occasione  della  richiesta
nonche' quelli successivi favorevoli  alla  persona  sottoposta  alle
indagini. 
    Ma il segreto cade ancor prima, con la consegna  all'imputato  di
copia del provvedimento in sede di esecuzione della misura (art.  293
c.p.p.), atteso che  gli  atti  di  indagine  compiuti  dal  pubblico
ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a
quando l'imputato non ne possa avere conoscenza  (art.  329  c.p.p.).
Ne' puo' soccorrere in contrario la deroga  di  cui  al  terzo  comma
dell'art.  329  c.p.p.,  atteso  che  trattasi  di   evento   appunto
eccezionale, che non ricorre nel caso  in  esame  e  che  in  ipotesi
potrebbe integrare una di quelle circostanze speciali nelle quali  il
giudice  potrebbe  in  via  eccezionale  disporre   la   celebrazione
dell'udienza a porte chiuse.  D'altra  parte  l'inutilizzabilita'  di
tali atti (cfr. Cassazione pen. , sez. VI, sent. 17/05/1993, n. 1473,
rv. 195473) renderebbe superflua la loro trasmissione. 
    Al contrario, la pubblicita' delle udienze in questo  momento  si
rivelerebbe quanto mai opportuna proprio al fine del controllo  sulla
trasparenza dell'attivita' giudiziaria. 
    La natura di primo giudizio di  merito  sull'ipotesi  accusatoria
rivestita  dal  procedimento  di   riesame,   unitamente   all'evento
traumatico  derivante  dalla  restrizione  della  liberta'  personale
dell'indagato o dal sequestro dei suoi  beni,  sollecita,  com'e'  di
comune esperienza, l'attenzione dell'opinione pubblica sul suo esito:
interesse che attualmente puo' essere  soddisfatto  solo  in  maniera
mediata e parziale. 
    Appurato allora che non si  rinvengono  interessi  giuridicamente
rilevanti che impongano la segretezza dell'udienza, non si  comprende
perche' debba essere irragionevolmente compresso quello che la stessa
Corte costituzionale ha definito come "principio  connaturato  ad  un
ordinamento democratico fondato sulla sovranita' popolare,  cui  deve
conformarsi l'amministrazione della giustizia, la quale  -  in  forza
dell'art. 101, primo comma, Cost. - trova in quella sovranita' la sua
legittimazione". 
    Neanche sotto tale profilo,  dunque,  l'esclusione  del  pubblico
dalle udienze potrebbe apparire giustificata. 
    4.5 Certamente quello di riesame e'  un  giudizio  di  merito  di
natura  sommaria  e   provvisoria,   inserendosi   nel   procedimento
principale solo al fine di valutare la legittimita' dell'applicazione
di una misura cautelare: giudizio destinato ad essere superato  dalla
sentenza dibattimentale, della quale nondimeno costituisce una  sorta
di anticipazione essendo il  tribunale  -  in  sede  di  esame  della
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza - chiamato  a  prevedere
se con elevato grado di  probabilita'  sulla  scorta  degli  elementi
offerti la penale responsabilita' dell'indagato sara'  affermata  nel
processo. 
    Proprio il carattere incidentale del procedimento potrebbe allora
consentire  di  affermarne   la   compatibilita'   con   il   dettato
convenzionale. 
    E' stato infatti affermato, in materia di ricusazione, che non e'
ipotizzabile "contrasto alcuno dell'art. 41  c.p.p.,  comma  1,  come
sopra inteso ed applicato, con  l'art.  6,  p.  1  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali secondo l'interpretazione costantemente fornitane  dalla
Corte di Strasburgo, che ne ha sempre limitato  la  portata  ai  soli
giudizi aventi  ad  oggetto  un'accusa  penale  (e  a  quelli  civili
inerenti a diritti e obblighi di carattere civile), con esclusione di
qualsivoglia procedimento  o  subprocedimento  incidentale  (cfr.,  e
pluribus,  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei   diritti
dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  9.2.06,  Celot  c.  Italia,
ricorso n. 27451/05)". (Cass. pen., sez.  II,  sent.  18/02/2010,  n.
8808, rv. 246455). 
    E tuttavia la lettura della decisione della  Convenzione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali richiamata induce a ritenere che tale conclusione non si
attagli al ricorso ex art. 309 c.p.p. 
    Pronunciandosi  sul  dedotto  vizio   dell'omessa   notifica   al
difensore dell'avviso dell'udienza in camera di consiglio nel ricorso
per cassazione ai sensi dell'art. 41 codice di  procedura  penale  la
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali ha infatti affermato: 
        "La Corte constata che  l'unico  scopo  del  procedimento  in
questione era la  determinazione  dell'autorita'  competente  ratione
loci  per  trattare  la  causa.  Essa  ritiene  pertanto   che   tale
procedimento costituisce una procedura incidentale e indipendente dal
procedimento principale che l'ha prevocata (v., mutatis mutandis e in
materia  di  applicazione  dell'art.  6  §  1  a  una  procedura   di
ricusazione,  SchreibereBoetsch  c.  Francia  (dee.),  n.   58751/00,
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali 2003-XII).  Si  tratta  di  stabilire  se  tale
procedura comportasse  una  «decisione»  sulla  «fondatezza»  di  una
«accusa penale» ai sensi dell'art. 6 § 1 della Convenzione. La  Corte
constata che la Corte di cassazione non  era  chiamata  a  «decidere»
sulla colpevolezza o innocenza  del  ricorrente.  Il  suo  ruolo  non
consisteva in alcun modo nel decidere sul merito della causa, ma  nel
pronunciarsi sulla questione incidentale di determinare  quale  fosse
il tribunale competente ratione loci. 
    Nella misura in cui la procedura incidentale  poteva  influenzare
il procedimento principale relativo alla fondatezza delle accuse,  la
Corte ricorda che l'art. 6 § 1 della Convenzione non si accontenta di
un legame sottile o di ripercussioni lontane: l'esito della procedura
deve essere direttamente determinante per l'esito della causa (v., in
materia di  nozione  di  «diritti  e  doveri  di  carattere  civile»,
Ringeisen c. Austria, sentenza del 16 luglio 1971, serie A r i 13, p.
39, § 94). Di conseguenza,  la  Corte  ritiene  che  l'applicabilita'
dell'art. 6 § 1 al procedimento  principale  non  fa  rientrare,  per
connessione, la procedura  per  la  determinazione  della  competenza
ratione loci nel  campo  di  applicazione  di  questo  articolo  (v.,
mutatis mutandis, SchreibereBoetsch gia' cit.). 
    La Corte conclude da cio'  che  la  procedura  in  questione  non
riguardava la fondatezza di un'accusa in materia penale". 
    Alla stregua della suddetta affermazione sembra al tribunale  che
al di la' della natura incidentale o meno del procedimento, cio'  che
rileva ai fini dell'applicabilita' dell'art. 6 par. 1 e' la  presenza
di un giudizio sulla fondatezza dell'accusa penale,  come  del  resto
esplicitamente recita la norma ("un tribunale ... che  decidera'  sul
fondamento di ogni accusa in materia penale elevata contro  di lei"),
a nulla rilevando che tale decisione  definisca  definitivamente  "la
causa". 
    Non sembra pertanto irrilevante che il tribunale del riesame  sia
chiamato a valutare la fondatezza dell'accusa  incidendo  in  maniera
definitiva  (quanto  al  giudizio  di  merito  e  salve   circostanze
sopravvenute) sulla liberta' personale e sul diritto  di  proprieta',
sia pure ai soli fini cautelari. 
    Crede insomma il tribunale che in considerazione della  posta  in
gioco  e  della  valutazione  del   merito   dell'accusa   anche   il
procedimento di riesame possa essere  qualificato  quale  "causa"  ai
sensi dell'art. 6 par. 1 della CEDU. 
    4.5 Va infine considerato che le richiamate pronunce della  Corte
costituzionale, in forza delle quali la parte puo'  ora  chiedere  la
partecipazione del pubblico nei procedimenti per l'applicazione delle
misure prevenzione e di quelle di  sicurezza,  hanno  comportato  una
disparita' di trattamento delle parti in essi  coinvolte  con  quelle
del procedimento di riesame che non appare  sorretto  da  adeguata  e
ragionevole  giustificazione.  Ed  invero  se  la  necessita'   della
pubblicita' dell'udienza, su  richiesta  dell'interessato,  e'  stata
individuata nella rilevanza della posta in gioco  non  possono  anche
nel  procedimento  di  riesame  non  rinvenirsi  quelle   "specifiche
particolarita', che valgono a differenziarlo da un complesso di altre
procedure camerali e che conferiscono specifico risalto alle esigenze
alla cui soddisfazione il principio di pubblicita' delle  udienze  e'
preordinato". 
    Tenute poi conto del rilievo costituzionale  di  tale  principio,
quale riconosciuto dalla stessa Corte seppure esso non sia dal  testo
costituzionale   espressamente    richiamato,    e    della    natura
sostanzialmente analoga del giudizio formulato in sede di  riesame  a
quello oggetto del dibattimento, attenendo entrambi  alla  fondatezza
dell'accusa, non si evidenziano plausibili ragioni che  giustifichino
l'esclusione del controllo del pubblico in questo  primo  momento  di
valutazione  della  fondatezza  dell'accusa  che  per  essere   anche
temporalmente piu'  vicino  alla  commissione  del  fatto-reato  piu'
colpisce l'interesse dell'opinione pubblica. 
    Sotto  questo  profilo  l'impossibilita'  per  l'interessato   di
chiedere che l'udienza si svolga in forma  pubblica  viola  l'art.  3
Cost. per l'irragionevole disparita' di trattamento  tra  le  esposte
situazioni. 
    5. Il Tribunale conclusivamente ritiene  che  il  disposto  degli
articoli 309, comma 8, e 127, comma 6, c.p.p., nel non consentire che
su richiesta  dell'indagato  il  ricorso  per  riesame  delle  misure
cautelari si svolga nelle forme della pubblica udienza, violi: 
    l'art. 3 Cost. per l'irragionevole disparita' di trattamento  con
il procedimento per l'applicazione di misure di sicurezza e di quelle
di prevenzione nonche' con il giudizio abbreviato e quello ordinario; 
    l'art. 117, primo comma Cost. in quanto non rispetta il principio
della pubblicita' della causa sancito dall'art. 6 par. 1 CEDU; 
    l'art. 111, primo comma Cost.,  in  quanto  contrastante  con  il
principio del giusto processo. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale, visti gli artt. 134 Cost. e 23 legge n. 87/1953; 
    dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale, nei termini di cui in motivazione, degli
artt. 309, comma 8, e 127, comma 6, codice di procedura penale  nella
parte in cui non consentono che il procedimento per il riesame  delle
misure  cautelari  si  svolga,  su  richiesta  dell'indagato  o   del
ricorrente, nelle forme della pubblica udienza. 
    Sospende il presente procedimento. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
    Ordina che a cura della cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei  ministri  e
comunicata ai presidenti del Senato della Repubblica e  della  Camera
dei deputati. 
    Cosi' deciso in Lecce il 26 giugno 2015 
 
                    Il Presidente Est.: Piccinno