N. 32 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 novembre 2015
Ordinanza del 19 novembre 2015 del Tribunale di Velletri nel procedimento penale a carico di Z.G. ed altri. Reati e pene - Reato di disastro colposo di cui all'art. 449 cod. pen., in relazione all'art. 434 cod. pen. - Raddoppio dei termini di prescrizione. - Codice penale, art. 157, comma sesto.(GU n.9 del 2-3-2016 )
TRIBUNALE DI VELLETRI Sezione Unica Penale Ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale di questione incidentale di legittimita' ex art. 23 legge n. 87 del 1953. In composizione monocromatica, in persona del Giudice, dott. Mario Coderoni, nel procedimento penale iscritto al N.R.G. DIB. 1831/14 (RGNR 1448/07), nei confronti di: Z... G...., nato a ... in data ..., difeso di fiducia dall'Avv. Tullio Padovani; G... C...., nato a ... in data ..., difeso di fiducia dall'Avv. Mario Gebbia; P... G...., nato a ... in data ..., difeso di fiducia dall'Avv.ti Pasquale Giampietro e Marco Fagiolo; C... R...., nato a ... in data ..., difeso di fiducia dall'Avv.ti Pasquale Giampietro e Stefania Giampietro. Imputati Z.G., G.C. P.G. C.R. A) del reato p. e p. dagli artt. 113, 449, comma 1 (in rel. all'art. 434), 452, comma 1 n. 3 (in rel. all'art. 439) c.p. perche', nelle rispettive qualita' di cui infra in cooperazione colposa tra di loro e con C e P. (deceduto), cagionavano per colpa generica e specifica di cui infra un disastro ambientale, contaminando siti della Valle del Sacco destinati ad insediamenti abitativi, agricoli ed allevamento, derivandone pericolo per la pubblica incolumita', segnatamente per la pubblica salute, nonche' l'avvelenamento delle acque del Fiume Sacco destinate alla irrigazione dei terreni circostanti ed all'abbeveraggio degli animali bovini ed ovini ivi allegati con conseguente avvelenamento di sostanze destinate all'alimentazione umana (latte), prima che fossero distribuite per il consumo. In particolare: G... P... (deceduto), in qualita' di veterinario ufficiale dell'ASL RM/B presso lo stabilimento della Centrale del Latte di Roma responsabile del controllo del Latte di Roma, omettendo i controlli e le verifiche in violazione delle disposizioni dettate dalla normativa vigente (art. 12 d.P.R. 54/97 prescrive, tra l'altro che il servizio veterinario competente sottopone a controllo permanente gli stabilimenti di trattamento trasformazione del latte verifica che le procedure di autocontrollo siano costantemente e correttamente eseguite e procede a regolari verifiche dei risultati dei controlli nonche' predispone una relazione sulla verifica dei risultati delle analisi: art. 13 d.P.R. 54/97 - che prescrive tra l'altro, che il Servizio Veterinario competente controlla l'applicazione delle prescrizioni previste dal presente regolamento e l'adozione di procedure di autocontrollo - punto n. 11 Circolare Ministero della Sanita' n. 16 del 1° dicembre 1997 -che prevede che -il sistema di autocontrollo deve comprendere anche la ricerca di tutte le sostanze che possano alterare o rendere pericoloso il latte od i prodotti a base di latte e che compete al Servizio di Medicina Veterinaria dell'ASL controllare che le procedure di autocontrollo siano costantemente e correttamente eseguite e verificare i risultati dei controlli), non rilevava la presenza nel latte conferito da alcuni allevatori della zona di Colleferro, Segni, Gavignano alla Centrale del Latte di Roma di sostanza inquinante (beta-esaclorocicloesano) in quantita' superiore ai limiti consentiti sebbene i risultati positivi delle analisi, effettuate nel dicembre 2003 e nel giugno 2004 fossero a sua disposizione fin dal luglio 2004 non segnalando di conseguenza alcunche' ai competenti organi sanitari e consentendo di fatto che gli animali da latte allevati in prossimita' del Fiume Sacco, inquinato dalla predetta sostanza continuassero ad abbeverarsi ed alimentarsi con foraggio ed acqua contaminate producendo, a loro volta, latte contaminato: Z...G... in qualita' di direttore dello stabilimento della Centrale del Latte di Roma, in violazione dell'art. 13, comma 2 e 3 d.P.R. 54/97 (che prevede, tra l'altro, che il responsabile dello stabilimento di trattamento o di trasformazione del latte deve predisporre un sistema di autocontrollo in esito al quale si devono ritirare dal mercato, in caso di rischio immediato per la salute, i prodotti non conformi e si deve dare comunicazione immediata della natura del rischio e delle informazioni necessarie per identificare il lotto al Servizio Veterinario) ometteva, dopo aver appreso nel luglio 2004 dei risultati positivi delle analisi effettuate nel dicembre 2003 e giugno 2004 sul latte conferito da taluni allevatori in merito alla presenza di sostanza inquinante (beta-esaclorocicloesano), di darne comunicazione ai competenti organi sanitari, limitandosi a sospendere informalmente i conferimenti di latte provenienti da un'azienda locale; G...C... in qualita' di direttore dello stabilimento industriale della C.... s.r.l. di Colleferro dal 1° marzo 2001 fino al 31 maggio 2005, con mandato a sovrintendere dell'efficienza degli impianti ed al loro stato di manutenzione e ad assicurare la scrupolosa osservanza della normativa in materia ambientale, non predisponeva adeguate misure di sicurezza e/o adeguati sistemi di controllo per evitare che i residui dei processi di lavorazione chimica effettuati all'interno dello stabilimento industriale contaminassero i terreni e le acque circostanti inquinati attraverso la immissione continua di sostanze pericolose (esaclorocicloesano, minerali pesanti es. arsenico, piombo, mercurio, cadmio rame, zinco etc.-), veicolate dalla rete dei collettori interrati delle c.d. acque bianche fino al Fosso Cupo e da qui -al Fiume Sacco, senza alcun trattamento di depurazione con conseguente inquinamento dei terreni nonche' delle acque e del foraggio destinato all'alimentazione degli animali da latte allevati in prossimita' del Fiume Sacco; P. G., C. R., in qualita' rispettivamente di legale -rappresentante) e responsabile tecnico del Consorzio CSC di Colleferro, titolare dello scarico finale del collettore generale delle c.d. acque bianche, non predisponevano adeguate misure di sicurezza e/o adeguati sistemi di controllo e/o trattamento depurativo sebbene sollecitati in tal senso dalla Provincia di Roma in occasione della richiesta di rinnovo dell'autorizzazione allo scarico di acque reflue industriali (nella parte in cui si invita il CSC a raccogliere le c.d. «acque di prima pioggia» in una vasca appositamente dedicata), per evitare che le acque veicolate dalla rete dei collettori interrati delle c.d. acque bianche, che si diramava nel sottosuolo dell'insediamento industriale di Colleferro e dunque potenzialmente contenente sostanze pericolose (esaclorocicloesano e minerali pesanti vari - es. arsenico, piombo, mercurio, cadmio, rame, zinco etc.-) provenienti dall'immissione sversamento infiltrazione etc.. di residui dei processi di lavorazione industriale, si riversassero nel Fosso Cupo atttraverso una paratia mobile che veniva lasciata sempre aperta (e chiusa solo a seguito di prescrizione d'urgenza emessa dalla Provincia di Roma in data 23 maggio 2005) e da qui al Fiume Sacco, con conseguente inquinamento delle acque e del foraggio destinato all'alimentazione degli animali da latte allevati in prossimita' del Fiume Sacco. In Colleferro, Segni, Gavignano, fino al dicembre 2008 (data degli ultimi campionamenti risultati positivi, da parte dell'ARPA Lazio); Nel quale sono costituiti parti civili e responsabili civili i soggetti di cui all'allegato elenco. Decidendo sull'istanza delle difese degli imputati e dei responsabili civili, di rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimita' dell'art. 157 comma 6, codice penale per violazione dell'art. 3 Cost; Sentite le parti all'udienza del 22 ottobre 2015; Lette le istanze scritte e le memorie autorizzate ex art. 121 c.p.p. depositate dal PM e da alcune difese delle parti civili. Osserva Le difese degli imputati e dei responsabili civili, all'udienza del 22 ottobre 2015, hanno sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 157, comma 6, c.p. nella parte in cui prevede il raddoppio dei termini di prescrizione per il reato di disastro colposo ex art. 449 c.p., per violazione dell'art. 3 Cost. e, in particolare, del principio di uguaglianza e ragionevolezza, determinando tale norma un regime di prescrizione uguale tra la fattispecie dolosa di cui all'art. 434 c.p, e quella colposa punita dall'art. 449 c.p., pur essendo quest'ultima meno grave e cosi, complessivamente, comportando un trattamento proporzionalmente piu' deleterio per una fattispecie meno grave; le difese istanti richiamano, quanto alla fondatezza della questione, le motivazioni dell'ordinanza n. 18122 del 29 aprile 2015, con la quale la sezione IV penale della Corte di Cassazione ha gia' rimesso tale questione alla Corte costituzionale (ordinanza notificata alla Corte in data 18 giugno 2015, rubricata al n. 237/15 degli atti di promovimento di giudizio costituzionale); quanto alla rilevanza - alla luce anche dell'ordinanza pronunciata dal Giudice del dibattimento proprio all'udienza del 22 ottobre 2015, con la quale e stata rigettata l'istanza di immediata declaratoria ex art. 129 c.p.p. di estinzione del reato contestato per prescrizione - hanno sostenuto che l'eventuale accoglimento della questione proposta comporterebbe che gia' alla data odierna si sarebbe maturata la prescrizione del reato contestato per tutti gli imputati, dovendosi in particolare anticipare la data indicata nel capo di imputazione (dicembre 2008) a data non successiva al maggio del 2005. Sulla non manifesta infondatezza della questione. Occorre preliminarmente chiarire come il vaglio sulla non manifesta infondatezza di una questione di legittimita' costituzionale non equivale ad una valutazione piena nel merito della fondatezza della questione, valutazione quest'ultima riservata alla Corte costituzionale e non certo al giudice a quo, ma si risolve in una verifica prima facie della ammissibilita' della questione e della sua serieta'; in altre parole, perche' una questione di legittimita' costituzionale sia non manifestamente infondata e' sufficiente una delibazione di un mero dubbio di costituzionalita' della norma impugnata e non gia' una verifica approfondita della probabilita' di accoglimento o meno della questione da parte del Giudice Costituzionale. Fatta questa doverosa premessa, la questione sollevata dalle difese degli imputati e dei responsabili civili non e' manifestamente infondata; posto che la stessa e' gia' stata rimessa alla Corte costituzionale dalla recente ordinanza della Cassazione sopra citata (n. 237 del 29 aprile 2015), con motivazioni condivisibili, si rileva soprattutto come la norma impugnata sia stata gia' dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte delle Leggi, con una recente sentenza (la n. 143 del 28 maggio 2014), limitatamente al raddoppio del termine di prescrizione previsto per il delitto di incendio colposo, nella misura in cui determinava addirittura un decorso della prescrizione piu' lungo per la fattispecie colposa rispetto a quella dolosa di cui all'art. 423 c.p.. Invero il caso deciso dalla Corte con la pronuncia citata non era in tutto identico a quello oggetto del presente processo, poiche' nella specie la norma dell'art. 157 comma 6 c.p. determina soltanto che la fattispecie colposa abbia un termine di prescrizione uguale a quella dolosa; infatti, il disastro doloso (nell'ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 434 c.p., che e l'omologa di quella colposa, dal momento che prevede anch'essa il verificarsi dell'evento, a differenza dell'ipotesi del primo comma, che anticipa la punibilita' penale anche ai fatti di mero tentativo di disastro) e' punito con la pena massima di dodici anni di reclusione, sicche' il termine di prescrizione ordinario ex art. 157 c.p. e' di pari durata ed elevabile fino ad un quarto ex art. 161 c.p. in presenza di atti interruttivi, potendo cosi giungere fino a 15 anni; il disastro colposo (art. 449 c.p.) e' invece punito con la pena massima della reclusione fino a cinque anni, che corrisponderebbe, secondo la regola generale, ad un termine di prescrizione di 6 anni, elevabile in presenza di atti interruttivi fino ad un massimo di 7 anni e 6 mesi; invece, con l'applicazione della norma di cui al comma 6 dell'art. 157 c.p., il termine ordinario diventa di dodici anni, estensibili fino a quindici con eventuali atti interruttivi. La diversita' delle due ipotesi,se impedisce da un lato di estendere automaticamente la declaratoria di illegittimita' costituzionale di cui alla sentenza n. 143 del 2014 anche al caso in esame, tuttavia non impedisce di analizzare il caso stesso alla luce delle motivazioni poste alla base di tale decisione, le quali appaiono di portata generale e tali da potersi applicare anche a fattispecie analoghe. In primo luogo e' priva di pregio l'argomentazione - esposta in alcune delle memorie difensive delle parti civili - secondo cui la questione sarebbe inammissibile perche' si tradurrebbe nel sindacato di una scelta discrezionale del legislatore, precluso anche alla Corte delle Leggi; sul punto la giurisprudenza costituzionale (confermata proprio dalla citata sentenza 143/14) e' assolutamente consolidata nell'affermare che la discrezionalita' del legislatore incontra un limite invalicabile nel principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. e nella declinazione particolare di tale principio, costituita dal criterio di ragionevolezza, che impone non soltanto di trattare in maniera uniforme fattispecie uguali, ma anche, al contrario, di sottopone a trattamenti differenziati fattispecie tra loro diverse, in base ad un criterio di proporzionalita' che a sua volta costituisce la traduzione in concreto di quel principio di uguaglianza sostanziale, espressamente sancito dallo stesso art. 3 della Costituzione. In materia penale, piu' in particolare, tale principio si traduce nella necessita' per il legislatore - pur libero nella sua discrezionalita' di stabilire il diverso disvalore da attribuire a determinate condotte di rilevanza penale - di graduare il regime sanzionatorio in maniera proporzionale alla diversa gravita' delle fattispecie in modo da evitare palesi disparita' di trattamento o sperequazioni tra situazioni omogenee. Ebbene, sotto questo profilo, la Corte costituzionale ha innanzi tutto ribadito come il regime della prescrizione del reato abbia natura sostanziale e non processuale e come contribuisca quindi a determinare il complessivo trattamento sanzionatorio cui e' sottoposta una fattispecie delittuosa. La Corte ha poi evidenziato come da sempre il termine di prescrizione e' stato commisurato all'entita' della pena edittale stabilita per il reato e che tale legame si sia reso ancor piu' stringente con la disciplina introdotta dalla legge 251 del 2005, la quale, al precedente criterio di individuazione dei termini di prescrizione per "fasce di reati", ha sostituito il criterio unico secondo cui il termine di prescrizione e' pari alla pena massima edittale (con la sola eccezione per i delitti puniti con pena massima inferiore ai sei anni di reclusione). La Consulta, ancora, ha evidenziato come il legislatore possa discrezionalmente prevedere deroghe a tale regime ordinario, stabilendo un piu' rigoroso regime della prescrizione «sulla base di valutazioni correlate alle specifiche caratteristiche degli illeciti considerati e alla ponderazione complessiva degli interessi coinvolti», giustificandolo «sia dal particolare allarme sociale generato da alcuni tipi di reato, il quale comporti una "resistenza all'oblio" nella coscienza comune piu' che proporzionale all'energia della risposta sanzionatoria; sia dalla speciale complessita' delle indagini, richieste per il loro accertamento e dalla laboriosita' della verifica dell'ipotesi accusatori (in sede processuale, cui corrisponde un fisiologico allungamento dei tempi necessari per pervenire alla sentenza definitiva»; ma ha anche ribadito il concetto gia' in precedenza richiamato, ovvero che nell'esercizio di tale discrezionalita' il legislatore e' pur sempre vincolato al rispetto del principio di uguaglianza e di ragionevolezza. Da queste premesse, la Corte delle Leggi ha concluso per l'illegittimita' dell'art. 157, comma 6, c.p. in relazione all'incendio colposo, ravvisando una evidente ed irrazionale disparita' di trattamento, laddove il delitto colposo era sottoposto ad un termine di prescrizione piu' lungo dell'omologa fattispecie dolosa, sicuramente piu' grave, sia da un punto di vista ontologico, sia anche legislativo, vista la differenza di pena edittale; in particolare ha ritenuto come le eventuali ragioni giustificatrici di un regime derogatorio a quello ordinario della prescrizione, possono trovare spazio «soltanto quando si tratti di figure criminose eterogenee in rapporto al bene protetto o, quantomeno, alle modalita' di aggressione: non quando si discuta di fattispecie identiche sul piano oggettivo, che si differenziano tra loro unicamente per la componente psicologica». Essendo questi gli snodi argomentativi fondanti la decisione n. 143 del 2014, e' evidente come simili argomentazioni possano trovare spazio anche in relazione al raddoppio dei termini previsto dallo stesso art. 157, comma 6, c.p. per i delitti di disastro colposo e non possano escludere il dubbio sulla conformita' di tale norma alla Carta Fondamentale. Infatti, anche in questo caso ci troviamo di fronte a fattispecie delittuose strutturalmente identiche quanto alla tipologia di condotta e di evento, che si differenziano tra loro esclusivamente per il diverso atteggiarsi dell'elemento soggettivo e, quindi, per la diversa gravita'. Ovviamente l'ipotesi colposa e' molto meno grave di quella dolosa, come peraltro e' confermato proprio dal trattamento sanzionatorio previsto dallo stesso legislatore, che si traduce in una pena edittale massima, per la fattispecie colposa, inferiore alla meta' di quella stabilita per il delitto doloso. Ebbene, a fronte della notevole differenza di disvalore penale manifestata dallo stesso legislatore con le pene edittali previste per le due diverse ipotesi delittuose, appare quindi legittimo il dubbio sulla ragionevolezza di una norma che stabilisce un regime di prescrizione identico per entrambe le ipotesi, finendo cosi' per sottoporre la fattispecie meno grave ad un trattamento proporzionalmente deteriore rispetto a quella piu' grave. Infatti, le ragioni che la stessa Corte costituzionale ha individuato come possibili giustificazioni di una deroga al regime ordinario della prescrizione, legittimano sicuramente un trattamento differenziato e deteriore dei delitti di disastro o di inquinamento ambientale rispetto ad altri delitti comuni anche se sanzionati con pene edittali uguali o simili; in questo caso si puo' ben argomentare la ragionevolezza di un termine di prescrizione piu' elevato anche a parita' di pena, in base al maggior allarme sociale destato da tali condotte o alla maggiore complessita' delle indagini e dell'acquisizione delle prove necessarie per il loro accertamento. Ma una simile argomentazione perde di valore nel raffronto tra fattispecie strutturalmente identiche quanto agli elementi oggettivi del reato; in questo caso, infatti, non puo' certo sostenersi che il trattamento, formalmente uguale, ma sostanzialmente e proporzionalmente deteriore del delitto colposo rispetto al delitto doloso sia giustificato dal maggiore allarme sociale o dalla complessita' delle indagini necessarie per l'accertamento del reato, dal momento che sotto questo aspetto le due ipotesi non si differenziano in alcun modo (ed anzi forse i delitti dolosi hanno conseguenze piu' gravi, quanto meno sotto il profilo dell'allarme sociale). Per meglio spiegare il concetto appena esposto, si puo' osservare come la norma in commento avrebbe sicuramente superato positivamente il vaglio di costituzionalita' - anche in fase di delibazione della manifesta infondatezza della questione di legittimita' - laddove avesse previsto un raddoppio dei termini di prescrizione per tutte le ipotesi delittuose di disastro ambientale, sia dolose sia colpose; in tal caso, infatti, si sarebbe manifestata e giustificata la deroga al regime ordinario di prescrizione per tale tipologia di reati rispetto agli altri delitti comuni, ritenuti di minore allarme sociale o di minore complessita', mantenendo pero' anche la differenza di trattamento - nell'ambito della medesima tipologia di reati - tra la fattispecie dolosa, piu' grave e quella colposa, meno grave. Cosi' ragionando, non vale quindi ad escludere in radice il dubbio di legittimita' costituzionale il fatto che - a differenza della fattispecie dell'incendio - in questo caso il termine di prescrizione sia uguale per entrambe le ipotesi, perche' comunque si ravvisa una sproporzione tra i due regimi, derivante dallo squilibrio tra il trattamento sanzionatorio, nel quale il rapporto tra fattispecie dolosa e colposa e' piu' del doppio, e quello del termine di prescrizione, identico per entrambe. Sulla rilevanza della questione nel presente giudizio. La rilevanza della questione nel presente giudizio e' di palmare evidenza, sol che si consideri come questo Giudice - con ordinanza pronunciata alla scorsa udienza del 22 ottobre 2015 - ha rigettato la richiesta delle difese di immediata declaratoria ex art. 129 c.p.p. di estinzione del reato contestato per intervenuta prescrizione, fondandosi in parte proprio sulla norma dell'art. 157 comma 6 c.p. e sul termine massimo di 15 anni in essa stabilito. Piu' precisamente, come rilevato nella citata ordinanza, le vicende oggetto del presente processo si pongono in un arco temporale a cavallo tra le due discipline della prescrizione succedutesi nel tempo, coinvolgendo in parte condotte avvenute prima dell'8 dicembre 2005 (data di entrata in vigore della L. n. 251 del 5 dicembre 2005 c.d. Cirielli) ed in parte condotte successive. Per quanto riguarda le condotte antecedenti, tali sono sicuramente quelle contestate all'imputato Carlo Gentile, la cui posizione di garanzia dalla quale deriverebbe la responsabilita' per l'inquinamento ambientale contestato, cessa pacificamente il 31 maggio 2005, come chiaramente indicato nel capo di imputazione; allo stato attuale la normativa applicabile in tema di prescrizione e' quella antecedente alla legge 251/05, che prevedeva pur sempre un termine massimo di 15 anni (anche se diversamente articolato: 10 anni di termine ordinario, aumentato fino alla meta' per gli atti interdittivi, atti che nella specie ci sono gia' stati prima del decorso di tale termine, costituiti, dalla richiesta di rinvio a giudizio, dal decreto di fissazione dell'udienza preliminare, dal decreto che dispone il giudizio), salva la concessione delle attenuanti generiche ex art. 62-bis c.p. (che nella vecchia disciplina influiva sul calcolo della pena massima e quindi sull'individuazione del termine di prescrizione), concessione che pero' allo stato non e possibile prevedere, involgendo valutazioni di merito della vicenda che necessitano il completamento dell'istruttoria dibattimentale; in conclusione, allo stato attuale della normativa, il termine di prescrizione per le condotte contestate a Carlo Gentile sarebbe comunque di 15 anni, qualunque sia la disciplina applicata. Un'eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 157, comma 6, c.p. comporterebbe, invece, che il termine di prescrizione massimo per il reato de quo sarebbe di 7 anni e 6 mesi e che quindi il regime di prescrizione introdotto con la L. 251/05 sarebbe applicabile anche ai fatti antecedenti in forza dell'art. 10 comma 3 della stessa L. 251/05, che stabilisce la retroattivita' della nuova disciplina ove piu' favorevole agli imputati; dal che discenderebbe che, gia' alla data attuale, tale termine sarebbe decorso per le condotte consumatesi nel maggio del 2005, con la conseguente necessita' di immediata declaratoria ex art. 129 c.p.p. prima del termine del dibattimento. Ma la questione e' rilevante anche per le posizioni degli altri tre coimputati. Per essi, in realta', la consumazione del reato e' indicata nel capo di imputazione nel dicembre del 2008, data in cui vi sarebbe stato l'ultimo rilievo da parte dell'ARPA Lazio che ha riscontrato la presenza dell'agente inquinante (il betaesaclorocicloesano) nelle acque del fiume Sacco, ove vi sarebbe confluito - secondo l'ipotesi accusatoria - a causa delle omissioni colpose degli imputati. Come gia' rilevato nell'ordinanza del 22 ottobre 2015, peraltro, si tratta di una data di consumazione la cui esattezza deve essere sottoposta al vaglio dell'istruttoria dibattimentale, soprattutto alla luce della piu' recente giurisprudenza della Corte di cassazione, che delinea il reato di disastro ambientale come un reato istantaneo ad effetti permanenti, anticipandone la consumazione al momento in cui viene posta in essere la condotta che determina la prima immissione dell'agente inquinante nell'ambiente (si veda, per tutte Cassa sez. 1, 19 novembre 2014, n. 7941 sul caso Eternit); e' pur vero che nel caso di specie - come emerge chiaramente dal complesso capo di imputazione - il reato e' contestato nella forma colposa omissiva, sicche' lo stesso puo' avere anche natura permanente, nella misura in cui l'omissione contestata (in particolare l'avere omesso l'adozione di cautele, misure di sicurezza e controllo, trattamenti di depurazione) si protragga fino all'adozione delle cautele in ipotesi disattese e continui a determinare un'immissione di un agente nocivo nell'ambiente; tuttavia, si tratta di un punto quantomeno incerto, dovendosi valutare - soprattutto in termini di nesso di causalita' con l'evento - quali siano le condotte penalmente rilevanti ascrivibili agli odierni imputati e quindi quale sia la loro data di consumazione. E' ben possibile, quindi, alla luce della citata giurisprudenza di legittimita', che la data di consumazione del reato di disastro colposo venga individuata in un'epoca anteriore rispetto a quella contestata nell'imputazione; eventualita', questa, che appare in parte confermata dal fatto che lo stesso GUP presso il Tribunale di Velletri, in sede di udienza preliminare, ha pronunciato sentenza di non luogo a procedere per il delitto di avvelenamento di acque ex articoli 452 e 439 c.p. originariamente contestato agli imputati per le medesime condotte, individuandone la data ultima di consumazione nel maggio del 2005. Orbene - pur in una simile situazione di incertezza sulla corretta individuazione della data di consumazione del reato - e' evidente la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale qui sollevata, laddove l'eventuale accoglimento della stessa determinerebbe un dimezzamento del termine di prescrizione del reato contestato, dagli attuali quindici anni a sette anni e sei mesi. Infatti, qualora la consumazione venisse retrodatata ad un periodo non successivo a maggio del 2008, il termine di sette anni e mezzo sarebbe gia' decorso al momento della redazione della presente ordinanza (novembre 2015), con conseguente immediata declaratoria di prescrizione ex art. 129 c.p.p.. Ma se anche risultasse corretta la data di consumazione indicata nel decreto di rinvio a giudizio e quindi la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art 157, comma 6, c.p.p., non determinerebbe una immediata dichiarazione di estinzione del reato, la stessa avrebbe comunque un rilievo decisivo sul prosieguo del dibattimento, influenzandone la scansione dei tempi di trattazione della ancora complessa istruttoria da svolgere (restano da esaminare i testimoni delle parti civili, quelli delle difese e da svolgere l'eventuale esame degli imputati, nonche' la fase delle conclusioni, sicuramente molto lunga, visto l'elevato numero di parti coinvolte nel processo e la complessita' delle questioni da affrontare), che dovrebbe essere esaurita nell'arco di massimo sei mesi dalla ripresa del procedimento, per poter giungere in tempo utile ad una decisione nel merito.
P.Q.M. Visti gli articoli 134 Cost., 1 Legge Costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata - in riferimento all'art. 3 della Costituzione - la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 157 comma 6 codice penale, nella parte in cui stabilisce il raddoppio dei termini di prescrizione per il reato di disastro colposo ex art. 449 c.p. in relazione alla fattispecie dolosa di cui all'art. 434 comma 2, c.p.. Visti gli articoli 23 legge n. 87/53 e 159 c.p. Dispone la sospensione del presente procedimento e la conseguente sospensione dei termini di prescrizione sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina alla Cancelleria che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e che essa sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati. La lettura della presente ordinanza in udienza equivale a comunicazione della stessa per tutte le parti presenti o da considerarsi tali ai sensi di legge. Cosi' deciso in Velletri, in data 19 novembre 2015. Il Giudice: Coderoni