N. 67 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 febbraio 2016
Ordinanza dell'8 febbraio 2016 della Corte di assise d'appello di Reggio Calabria nel procedimento penale a carico di C. T.. Processo penale - Mezzi di ricerca della prova - Corrispondenza postale del detenuto. - Codice di procedura penale, art. 266; legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), artt. 18 (nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla legge 8 aprile 2004, n. 95), e 18-ter.(GU n.14 del 6-4-2016 )
CORTE DI ASSISE D'APPELLO DI REGGIO CALABRIA Seconda Sezione La Corte di Assise d'Appello di Reggio Calabria, Sezione Seconda, riunita in camera di consiglio e cosi' composta: Dott. Roberto Lucisano, Presidente; Dott. ssa Marialuisa Crucitti, Consigliere; sig. Rodolfo Di Paola, Giudice popolare; sig. Giovanni Lollio, Giudice popolare; sig. Maurizio Lamanna, Giudice popolare; sig. Antonino A D'Agostino, Giudice popolare; sig. Domenico Rechichi, Giudice popolare; sig. Melchiorre Mannino, Giudice popolare. Con la presenza dei Giudici popolari supplenti: sig. Maria Domenica Violi; sig. Domenico Lagana'; sig. Rosa Idone. Nel procedimento penale a carico di C.T. (nato a... il... ), a scioglimento della riserva formulata all'udienza del 18 gennaio 2016, nella quale il Procuratore Generale ha sollevato questione di legittimita' costituzionale; Sentite le altre parti osserva. Il presente procedimento si fonda su una serie di intercettazioni telefoniche, ambientali e, soprattutto, di missive spedite e ricevute in carcere dall'imputato C.T., dalle quali il giudice di primo grado inferiva l'esistenza di un progetto criminoso volto a consolidare e rafforzare il potere sul territorio di Siderno della famiglia C., con a capo lo stesso imputato detenuto, e la consumazione di una serie di specifici fatti delittuosi. La corrispondenza in questione non veniva acquisita agli atti a seguito di provvedimento di sequestro della stessa ex art. 254 codice di procedura penale ma per mezzo di un'attivita' di copiatura eseguita dalla polizia giudiziaria, previo provvedimento autorizzativo emesso dal giudice per le indagini preliminari competente. Le missive venivano, pertanto, recapitate ai destinatari senza alcuna comunicazione ai detenuti circa l'attivita' intrapresa dall'autorita' giudiziaria. Tale attivita' investigativa era in un primo tempo ritenuta legittima dalla Suprema Corte di cassazione che, con sentenza n. 3579 del 18 ottobre 2007 (dep. 2008, Costa, Rv. 238902), aveva affermato l'utilizzabilita' in via analogica, per la intercettazione di corrispondenza, della procedura prevista dal codice di rito per le intercettazioni telefoniche e di comunicazioni ex art. 266 e ss. c.p.p.. Secondo la richiamata sentenza il provvedimento del giudice che autorizzava il controllo della corrispondenza con eventuale sequestro delle lettere rilevanti per le indagini era parificabile ad un provvedimento di intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche, costituendo un mezzo di prova non specificamente ed autonomamente disciplinato dalla legge processuale, utilizzabile sia perche' non oggettivamente vietato, sia perche' la prova era formata in modo da garantire i diritti della persona. Successivamente all'emissione della sentenza di condanna del giudice di prime cure la sesta sezione penale della Cassazione, rilevata l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla questione relativa all'intercettabilita' della corrispondenza, rimetteva gli atti alle Sezioni Unite a norma dell'art. 618 codice di procedura penale. Le Sezioni Unite, con sentenza del 19 aprile 2012 (depositata il 18 luglio 2012), dopo aver rilevato che «ne' prima ne' dopo le novita' introdotte mediante l'art. 18-ter ordinanza pen. dalla legge n. 95 del 2004, poteva e puo' essere disposta dall'a.g. l'apprensione in forma occulta del contenuto della corrispondenza dei detenuti», enunciava il seguente principio di diritto: «la disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, di cui agli articoli 266 e seguenti c.p.p., non e' applicabile alla corrispondenza, dovendosi per la sottoposizione a controllo e la utilizzabilita' probatoria del contenuto epistolare seguire le forme del sequestro di corrispondenza di cui agli articoli 254 e 353 codice di procedura penale e, trattandosi di corrispondenza di detenuti, anche le particolari formalita' stabilite dall'art. 18-ter dell'ordinamento penitenziario». Conseguentemente a tale pronuncia, doveva, dunque, ritenersi inutilizzabile nel processo, a norma dell'art. 191 c.p.p., tutta quella documentazione consistente nella corrispondenza illegittimamente intercettata, trattandosi di prova acquisita in violazione dei divieti stabiliti dalla legge. Il primo giudice d'appello, peraltro, rilevava come l'inutilizzabilita' delle missive non implicasse, di per se', la perdita di tutto il materiale probatorio, potendosi per converso utilizzare le dichiarazioni degli imputati rispetto al contenuto di alcune lettere delle quali era stata data lettura dal pubblico ministero in sede di interrogatorio dibattimentale ed in contraddittorio tra le parti. La Corte d'Assise di Appello perveniva, dunque, anche sulla base di detti elementi, ad un giudizio di colpevolezza di C.T. e di C.G. per i delitti di tentata estorsione aggravata ed. associazione mafiosa ed il primo anche per i delitti di associazione finalizzata al narcotraffico, omicidio volontario aggravato e connessi reati in materia di armi. La Suprema Corte di Cassazione, investita da ricorso della difesa, annullava con rinvio la sentenza limitatamente al delitto di omicidio volontario ed ai connessi reati in materia di armi. Con riferimento al profilo relativo all'utilizzazione probatoria della corrispondenza, oggetto di intercettazione, i giudici di legittimita', pur non intendendo disattendere le indicazioni delle Sezioni Unite, sottolineavano la «consequenziale compromissione dell'acquisizione al procedimento e al processo di informazioni utili, nonche' la evidente sperequazione con la disciplina prevista per le intercettazioni e comunicazioni non epistolari» che non tranquillizzava sul versante del rispetto di principi costituzionali di grande momento, tra cui l'art. 3 della Costituzione. Veniva comunque confermata la statuizione del giudice di merito rispetto all'utilizzabilita' delle dichiarazioni espresse in sede di interrogatorio con cui l'imputato forniva una differente interpretazione del contenuto di una parte delle missive. Durante l'udienza del 18 gennaio 2016 di questo giudizio di rinvio il Procuratore Generale chiedeva che venisse sollevata questione di legittimita' costituzionale degli articoli 18 (nella versione antecedente alla riforma ex lege n. 95 del 2004) e dell'attuale art. 18-ter dell'ordinamento penitenziario - come interpretati dalle Sezioni Unite n. 28997/2012, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione in considerazione dell'irragionevole disparita' con la disciplina di cui agli articoli 266 e ss. codice di procedura penale nella parte in cui non consentono tali norme di procedere, per finalita' investigativa, al controllo della corrispondenza epistolare del detenuto all'insaputa del destinatario del provvedimento. Tanto premesso, ritiene questa Corte sussistenti nel caso di specie i requisiti di non manifesta infondatezza e di rilevanza richiesti perche' sia sollevata questione di legittimita' costituzionale. Quanto al primo profilo si osserva che l'interpretazione degli articoli 266 e ss. codice di procedura penale fornita dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza - gia' richiamata - n. 28997/2012, ne esclude l'applicabilita' anche alle ipotesi della corrispondenza. Questa si deve - allo stato - ritenere soltanto sottoponibile a sequestro secondo gli articoli 254 e 353 codice di procedura penale e, nell'ipotesi in cui si tratti di detenuti, osservando le particolari formalita' stabilite dall'art. 18-ter dell'ordinamento penitenziario. Com'e' noto, la liberta' e la segretezza della corrispondenza ricevono una spiccata tutela costituzionale: l'art. 15 della Carta Fondamentale, difatti, ne statuisce «l'inviolabilita'», consentendone la limitazione soltanto per atto motivato dell'autorita' giudiziaria e con le garanzie stabilite dalla legge. E' anche in virtu' di una simile «doppia riserva», l'una giurisdizionale e l'altra di legge, che le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato la non estensibilita' alla corrispondenza della disciplina sulle intercettazioni telefoniche e delle altre forme di telecomunicazione, a norma degli articoli 266 e seguenti del codice di rito. L'operazione, infatti, sarebbe di tipo analogico e pretorio, non consentita in una materia presidiata da una doppia riserva. Prova ne sarebbe anche la circostanza che il legislatore, per includervi l'intercettazione delle comunicazioni informatiche e telematiche, abbia dovuto prevederle espressamente con un apposito art. 266-bis, e che nel corso dei lavori parlamentari della XV legislatura si sia presentato un disegno di legge per includervi anche la corrispondenza, con l'introduzione di un art. 266-ter, senza che questo sfociasse poi in legge. L'unico strumento a disposizione dell'autorita' giudiziaria sarebbe pertanto quello del sequestro di corrispondenza, di cui agli articoli 254 e 353 c.p.p., nel caso in cui vi sia fondato motivo di ritenere che le lettere, i pacchi o gli altri oggetti di corrispondenza, abbiano una relazione con il reato. Appare dunque prima facie evidente come la risultante di questa - seppur condivisibile -interpretazione delle Sezioni Unite, conduca ad una evidente sperequazione. L'art. 15 della Costituzione tutela tanto la liberta' quanto la segretezza della corrispondenza, con la prima intendendosi il diritto di poter comunicare liberamente e senza interferenze con altri, e con la seconda, viceversa, riferendosi alla fondata pretesa che soggetti terzi non prendano illegittimamente conoscenza del contenuto della comunicazione. Lo strumento del sequestro di corrispondenza si riferisce soltanto al primo dei due aspetti esaminati, giacche' idoneo a «interrompere» lo scambio epistolare nel caso di relazione con il reato, mentre non si ritiene, allo stato, consentito il ricorso ad uno strumento giurisdizionale limitativo del solo secondo aspetto, statico, della segretezza della corrispondenza, nel caso in cui vi sia interesse da parte dell'autorita' investigativa a che il rapporto epistolare prosegua anche per prevenire e/o sanzionare la commissione di reati. Il ricorso ad un siffatto strumento viene viceversa consentito per le intercettazioni telefoniche e per le altre forme di telecomunicazione, con una disparita' evidentemente violativa del principio di uguaglianza perche' del tutto irragionevole. Ne' varrebbe a confutare questa affermazione il supposto rilievo secondo il quale la corrispondenza troverebbe, nel nostro ordinamento, una tutela rafforzata rispetto alle intercettazioni telefoniche in virtu' dell'art. 15 della Costituzione, giacche' lo stesso si riferisce non solo alla corrispondenza, ma «ad ogni altra forma di comunicazione», tra cui rientrano, e' appena il caso di rimarcarlo, le comunicazioni telefoniche. Tale disparita' viene ulteriormente accentuata nel caso di corrispondenza tra detenuti: l'art. 18-ter ord. pen. , infatti, prevede che, per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell'istituto nei confronti dei singoli detenuti o internati possano essere disposti, con decreto motivato, per un periodo non superiore a sei mesi, successivamente prorogabile per periodi non superiori a tre mesi, provvedimenti consistenti nella limitazione alla corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa; nel visto di controllo della corrispondenza; nel controllo del contenuto delle buste che racchiudono la corrispondenza; senza lettura della medesima. Il visto di controllo deve dunque consistere nell'apposizione di un segno riconoscibile e idoneo attestante l'effettuato controllo da parte dell'autorita' giudiziaria con conseguente comunicazione della visione del contenuto delle lettere ai soggetti che intrattengono la corrispondenza. In questo modo lo stato detentivo, del tutto irrilevante per i fini investigativi, si pone quale fattore ulteriormente limitativo delle indagini, valendo per cio' solo a determinare oneri comunicativi che di per se' sono incompatibili con la segretezza della funzione investigativa e che non sono richiesti per i soggetti non privati della liberta' personale. Con l'aberrante conseguenza, tra le altre, che - in assenza del visto di controllo - il detenuto possa senza problemi continuare dal carcere ad eseguire o espandere un progetto criminoso, anche ordinando o concordando la consumazione di gravi delitti. A fronte di cio', certamente legittima e incontestata e' la facolta' di sottopone ad intercettazione ambientale i colloqui tra detenuti e persone libere in visita, cosi come quella di effettuare anche riprese televisive onde cogliere lo scambio di segni occulti e «pizzini». Per queste modalita' non sono richiesti oneri diversi da quelli generalmente prescritti dal codice di rito, e non si configurano certo quali strumenti meno invasivi rispetto alla violazione della privatezza o della segretezza delle comunicazioni, essendo anzi le riprese video uno strumento assai piu' penetrante della lettura della corrispondenza. Tali profili gia' in occasione della sentenza parziale di annullamento con rinvio nel presente procedimento avevano portato incidentalmente la Suprema Corte ad esprimersi nel senso di non ritenere infondata un'eventuale questione di legittimita' costituzionale con riferimento all'art. 3 della Costituzione, non solo per la irragionevole disparita' di disciplina tra le intercettazioni telefoniche e quelle epistolari, ma anche in quanto l'art. 18-ter ordinanza pen. attribuirebbe una sorta di status privilegiato rispetto a quello dell'indagato non detenuto, «trattando in modo diseguale situazioni del tutto uguali, lo stato detentivo non potendo certo considerarsi, nella prospettiva dei fini investigativi (...) elemento che possa giustificare una diversa disciplina.». Non solo, ma preso atto della possibilita' di eseguire intercettazioni ambientali o riprese video anche all'interno delle strutture carcerarie «sarebbe difficile riscontrare una ragione di una diversa disciplina di comunicazioni svolte con diverse modalita' che non incidono, pero', depotenziandole, sulle esigenze attinenti alle indagini ne' che si traducono in una piu' incidente compromissione dei diritti fondamentali del detenuta comunicante a viva voce, magari con segni criptici, con l'interlocutore.» (Cass. 15197/2014). Pare, peraltro, a questa Corte che non sia manifestamente infondata anche la questione relativa al contrasto delle norme suddette con l'art. 112 della Costituzione. Il quadro normativo cosi delineato, infatti, risulta irragionevolmente compromissorio in relazione alle esigenze investigative e alla completezza delle stesse, tanto da rendere ineffettivo il principio dell'obbligatorieta' dell'azione in relazione alle ipotesi considerate. Come chiarito dalla sentenza n. 121/2009 della Corte costituzionale, infatti «[...] il principio di obbligatorieta' dell'azione penale, espresso dall'art. 112 Cost., non esclude che l'ordinamento possa subordinare l'esercizio dell'azione a specifiche condizioni [...]. Affinche' l'art. 112 Cost. non sia compromesso, tuttavia, simili canoni debbono risultare intrinsecamente razionali e tali da non produrre disparita' di trattamento fra situazioni analoghe: e cio', alla luce dello stesso fondamento dell'affermazione costituzionale dell'obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione penale, come elemento che concorre a garantire - oltre all'indipendenza del pubblico ministero nello svolgimento della propria funzione - anche e soprattutto l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge penale.». ; L'art. 112, dunque, si pone come naturale completamento dell'art. 3 della Costituzione in relazione alle vicende investigative e processuali; la distonia fra la disciplina riguardante le intercettazioni telefoniche e la corrispondenza, in particolare (ma non soltanto) qualora si tratti di soggetti detenuti, non rispetta quel medesimo canone di intrinseca razionalita' richiamato dalla giurisprudenza costituzionale, giacche' non e' giustificata ne' dalla natura dello strumento utilizzato ne', tantomeno, dal bene protetto - che afferisce in ogni caso alla segretezza delle comunicazioni private per come tutelate dall'art. 15 della Costituzione. Si e' dunque in presenza di una irragionevole menomazione dell'attivita' investigativa costituzionalmente attribuita agli uffici di Procura, impossibilitati, allo stato, ad impostare le indagini in modo tale da non compromettere il corso della spedizione della corrispondenza, cosi' come avviene per le intercettazioni telefoniche e delle altre forme di telecomunicazione, di modo da monitorare, sempre secondo canoni di legalita' assicurati dall'art. 266 c.p.p., il carteggio tra soggetti all'insaputa degli stessi. Il sequestro di corrispondenza, come gia' precisato, e' del tutto inidoneo a soddisfare le esigenze investigative sotto questo aspetto; impedendo la stessa ricezione delle missive e paralizzando irreversibilmente la comunicazione. L'attivita' investigativa viene addirittura vanificata nel caso di controllo di corrispondenza del detenuto, in quanto la previa apposizione del visto di controllo, riconoscibile, lo rende immediatamente edotto del controllo in atto, privandolo del tutto di efficacia, ben potendo il detenuto optare per una differente forma di comunicazione o per un linguaggio criptato tale da risultare sostanzialmente indecifrabile. E' appena il caso di ricordare, peraltro, che la completa individuazione degli elementi e delle fonti di prova si appalesa come precipitato naturale dell'art. 112 Cost. anche in ottica difensiva, stante l'onere per la parte pubblica di ricercare fatti e circostanze a favore della persona indagata, come da art. 358 del codice di rito: si pensi alle espressioni «dubbie» se non calate nel contesto di riferimento, o alle millanterie. Elementi, questi, da poter essere apprezzati solo in caso di intercettazione di comunicazioni diverse dal mero sequestro del plico. Detto cio', il giudizio sulla rilevanza deve necessariamente prendere le mosse dalla circostanza che le missive copiate e non sottoposte a sequestro ne' alle formalita' prescritte dagli art. 18 e 18-ter dell'ordinamento penitenziario, non possono essere, in virtu' della ricordata interpretazione delle Sezioni Unite della Cassazione, utilizzate nella loro completezza nel presente procedimento. Vero e', come ricordato poc'anzi, che nel primo giudizio d'appello la Corte d'Assise aveva ritenuto utilizzabili le dichiarazioni espresse dagli imputati in relazione al contenuto delle missive, di cui gli stessi implicitamente ammettevano l'esistenza e prospettavano una loro interpretazione, e che tale operazione - richiamando una giurisprudenza sul punto consolidata - veniva avallata dalla Corte di cassazione in sede di sentenza di annullamento. Tuttavia, se con riferimento ad altre ipotesi di reato (quelle di natura associativa e quella concernente il disegno estorsivo) il quadro probatorio che se ne ricavava appariva sufficientemente delineato ai fini di una compiuta valutazione circa la ravvisabilita' di tali ipotesi di reato (con conseguenti pronunce sia di condanna che di assoluzione relativamente ai diversi fatti ascritti agli imputati), occorre prendere atto della lacunosita' del materiale di prova processualmente utilizzabile relativamente alla fattispecie omicidiaria ed ai connessi reati in materia di armi contestati al Costa e per i quali la Suprema Corte ha disposto nuova pronuncia di questa Corte territoriale. Al riguardo non puo', infatti, non rilevarsi che la limitazione del quadro probatorio alle sole parti di missive sottoposte a suo tempo all'esame degli imputati ed oggetto delle loro dichiarazioni pregiudichi ad ogni evidenza una interpretazione che ne possa valorizzare il senso piu' ampio derivante dalla lettura degli interi documenti e dal raffronto tra gli stessi, cosi' cogliendone compiutamente sfumature, senso logico, sviluppo dinamico, riferimenti espliciti e/o impliciti. Si tratta di limitazione che, si badi, puo' andare a detrimento di entrambe le parti del procedimento, al cospetto di un insieme probatorio che si presenta allo stato - per le limitazioni derivanti dalla normativa vigente - sconnesso e frammentario, laddove una lettura completa della corrispondenza intercorsa tra le parti consentirebbe di pervenire ad una valutazione che tenga conto dell'intera documentazione in oggetto, evitando parzialita' ed incongruenze che andrebbero certamente a detrimento della corretta ricerca della verita' processuale. Per di piu', non puo' al riguardo omettersi di considerare che la stessa Suprema Corte nella sentenza di annullamento con rinvio ha fatto esplicito riferimento al fatto che sia stato possibile per il detenuto, tramite la corrispondenza postale, protrarre un condotta continuata criminosa, attraverso collegamenti mafiosi con l'esterno, il potenziamento della cosca operante a suo nome nel territorio di Siderno, la trasmissione continua di input per la perpetrazione ed organizzazione di omicidi. Appare, dunque, indispensabile che - attraverso l'esame diretto e completo della corrispondenza intrattenuta dal detenuto con l'esterno - si possa verificare se dal contenuto della stessa siano o meno ricavabili elementi idonei a sostenere l'unica contestazione concernente la fattispecie di omicidio volontario avanzata nell'ambito del presente procedimento. Da cio' deriva la sicura rilevanza che la questione di legittimita' costituzionale riveste nel caso di specie, potendo essa consentire - se accolta - il completo recupero del materiale di prova sul quale fondare il giudizio della Corte. Ritenuta pertanto la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 112 della Costituzione, e nei termini sin qui specificati, della norma di cui all'art. 266 codice di procedura penale e di quelle dell'ordinamento penitenziario regolatrici della materia cui la Corte deve dare applicazione nel presente giudizio, se ne impone la rimessione alla Corte costituzionale per la decisione, con conseguente sospensione del giudizio in corso.
P.Q.M. Visti gli articoli 1 legge cost. n. 1/48 e 23 della legge n. 87/53, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 112 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 266 c.p.p., nella parte in cui non consente l'intercettazione di corrispondenza postale che non interrompa il corso della spedizione, e degli articoli 18 (nella versione antecedente alla riforma ex lege n. 95 del 2004) e 18-ter della legge n. 354/1975, nella parte in cui non facciano «salve le ipotesi previste dall'art. 266 c.p.p.» per come modificato dalla Corte costituzionale. Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento della Repubblica. Reggio Calabria, 8 febbraio 2016 Il Presidente: Lucisano