N. 69 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 febbraio 2016

Ordinanza  del  17  febbraio  2016  del  Tribunale  di  Messina   nel
procedimento  civile  promosso   da   Palumbo   Vincenzo   ed   altri
contro Presidenza   del   Consiglio    dei    ministri    e Ministero
dell'interno. 
 
Elezioni - Elezioni della Camera dei deputati - Lista dei candidati -
  Attribuzione dei seggi - Soglia di sbarramento. 
- Legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni  in  materia  di  elezione
  della Camera dei deputati), artt. 1, lett. a), d) ed e); d.P.R.  30
  marzo 1957, n.  361  (Approvazione  del  testo  unico  delle  leggi
  recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), artt. 83,
  commi primo, secondo, terzo, quarto e quinto, e 84, comma  secondo,
  come sostituiti dall'art. 2, commi 25 e 26, della  legge  6  maggio
  2015, n. 52 (Disposizioni in materia di elezione della  Camera  dei
  deputati). 
Elezioni  -  Elezioni  della  Camera  dei  deputati   -   Premio   di
  maggioranza. 
- Legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni  in  materia  di  elezione
  della Camera dei deputati), art. 1, lett. f); d.P.R. 30 marzo 1957,
  n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme  per
  la elezione della Camera dei deputati), artt. 1, comma  secondo,  e
  83, commi primo, secondo, terzo, quarto e quinto,  come  modificati
  dall'art. 2, commi 1 e  25,  della  legge  6  maggio  2015,  n.  52
  (Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati). 
Elezioni - Elezioni della Camera dei deputati -  Proclamazione  degli
  eletti  -  Blocco  misto  delle  liste  e   delle   candidature   -
  Impossibilita' per gli elettori di scelta diretta dei deputati. 
- Legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni  in  materia  di  elezione
  della Camera dei deputati), art. 1, lett. g); d.P.R. 30 marzo 1957,
  n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme  per
  la elezione della Camera dei deputati), artt. 18-bis, comma  terzo,
  primo periodo, 19, comma primo, primo periodo, e 84,  comma  primo,
  come modificati dall'art. 2, commi 10, lett. c),  11  e  26,  della
  legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni  in  materia  di  elezione
  della Camera dei deputati). 
Elezioni  -  Elezioni  del  Senato  della  Repubblica  -  Soglia   di
  sbarramento in misura piu' elevata di quella prevista per la Camera
  dei deputati. 
- Decreto legislativo 20 dicembre 1993, n.  533  (Testo  unico  delle
  leggi recanti norme per l'elezione del  Senato  della  Repubblica),
  artt. 16, comma 1, lett. b), come novellato dall'art. 4,  comma  7,
  della legge 21 dicembre 2005, n.  270  (Modifiche  alle  norme  per
  l'elezione  della  Camera  dei  deputati   e   del   Senato   della
  Repubblica). 
Elezioni - Elezioni della Camera dei deputati  -  Applicazione  delle
  disposizioni concernenti l'elezione della Camera dei  Deputati  dal
  1° luglio 2016. 
- Legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni  in  materia  di  elezione
  della Camera dei deputati), art. 2, comma 35. 
(GU n.14 del 6-4-2016 )
 
                        TRIBUNALE DI MESSINA 
       Collegio per le cause in materia di diritti elettorali 
 
    Il Tribunale di Messina, Collegio per  le  cause  in  materia  di
diritti elettorali, composto dai magistrati: 
        1) dott. Giuseppe Minutoli, Presidente rel.; 
        2) dott. Antonino Orifici, Giudice; 
        3) dott. Giuseppe Bonfiglio, Giudice; 
    Esaminati gli atti della causa n. 6316/2015 R.G., sul ricorso  ex
art. 702-bis c.p.c., avente ad oggetto "diritti di elettorato  attivo
e passivo", proposto da Palumbo Vincenzo, Magaudda Tommaso,  Ugdulena
Francesca, Magaudda Giuseppe,  Cotroleo  Girolamo,  D'Uva  Francesco,
Gembillo  Giuseppe  Rocco,  Magaudda  Paolo  Maria,   Rao   Giuseppe,
Villarosa Alessio, Zafarana Valentina, rappresentati  e  difesi,  per
procura in calce al ricorso  dagli  avv.  Vincenzo  Palumbo,  Tommaso
Magaudda, Francesca Ugdulena, Giuseppe Magaudda, ricorrenti; 
    Contro Presidenza  del  Consiglio  dei   ministri   e   Ministero
dell'Interno,  rappresentati  e  difesi   ex   lege   dall'Avvocatura
distrettuale dello Stato di Messina, resistenti; 
    In esito all'udienza del 12  febbraio  2016,  ha  pronunciato  la
seguente ordinanza: 
1. Il thema decidendum. 
    Con  ricorso  proposto  nelle  forme  dell'art.  702-bis  c.p.c.,
depositato in data 24 novembre 2015, i ricorrenti, premesso di essere
cittadini italiani iscritti nelle  liste  elettorali  del  Comune  di
Messina, hanno chiesto a questo Tribunale di: 
        a) riconoscere e dichiarare il  loro  diritto  soggettivo  di
elettorato,   per   partecipare    personalmente,    liberamente    e
direttamente, in un sistema istituzionale di democrazia parlamentare,
con metodo democratico ed in condizioni di liberta'  ed  eguaglianza,
alla vita politica della Nazione, nel legittimo esercizio della  loro
quota di sovranita' popolare, cosi' come previsto e  garantito  dagli
artt. 1, 2, 3, 24, 48, 49, 51, 56, 71, 92, 111, 113, 117, 138 Cost. e
dagli artt. 13 CEDU (Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo), 3 Protocollo Cedu, entrambi ratificati in  Italia
con legge 4 agosto 1955, n. 848; 
        b) di riconoscere e dichiarare che l'applicazione della legge
elettorale 6 maggio 2015, n. 52 ("disposizioni in materia di elezione
della Camera dei deputati"), con riguardo alle norme via  via  citate
nel ricorso (oltre che degli artt. 16 e 17 della legge n. 533/1993 in
tema di elezioni del Senato),  risulta  gravemente  lesiva  dei  loro
diritti come sopra indicati, ponendosi in contrasto con le  superiori
disposizioni costituzionali; 
        c) conseguentemente, in via inicidentale, ai sensi  dell'art.
23, legge 11  marzo  1953,  n.  87,  ritenuta  la  rilevanza,  e  non
manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale
dedotte,   disporre   la   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
Costituzionale. 
    Si e' costituita l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Messina
per  la  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  e  il   Ministero
dell'interno, contestando in toto le domande avversarie. 
2. Sulla riserva di collegialita'. 
    Ritiene il Collegio che  la  questione  prospettata  in  giudizio
(attinente  in  sostanza  ai  diritti  politici   connessi   a   quel
particolare status  della  persona  che  inerisce  alla  qualita'  di
cittadino-elettore) rientri tra le ipotesi per le quali e' prescritta
la composizione collegiale del tribunale, ai sensi  dell'art.  50-bis
c.p.c.: infatti, si tratta di  causa  nella  quale  "e'  obbligatorio
l'intervento del pubblico ministero" (co. 1, n. 1), a norma dell'art.
70, comma 1, n. 1 c.p.c., secondo cui  "Il  pubblico  ministero  deve
intervenire, a pena di nullita' rilevabile d'ufficio: (...) 3)  nelle
cause riguardanti lo stato e la capacita'  delle  persone;  (...)  5)
negli altri casi previsti dalla legge". 
    Del resto, lo stesso art. 70 prevede come necessario l'intervento
del pubblico ministero anche "(...)  5)  negli  altri  casi  previsti
dalla legge". E per questo aspetto,  tenendo  conto  della  normativa
prevista per le azioni popolari  e  le  controversie  in  materia  di
eleggibilita', decadenza e incompatibilita' nelle elezioni  comunali,
provinciali e regionali (art. 22. d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150) e
di quella per le elezioni del Parlamento europeo  (legge  24  gennaio
1979, n. 18 e successive modificazioni), puo' ritenersi  che  sia  un
principio di sistema che  il  pubblico  ministero  debba  intervenire
nelle cause in materia di diritti elettorali, tanto  piu'  laddove  -
come nel caso in esame - si discuta dei sistemi  attraverso  i  quali
vengono formate  le  supreme  assemblee  rappresentative  del  potere
legislativo nazionale e in cui e' di  tutta  evidenza  l'esigenza  di
tutela dell'interesse pubblico sotteso. 
    Non potendo la procedura semplificata prevista dall'art.  702-bis
c.p.c., quanto alla mera articolazione sommaria del rito, scelta  dai
ricorrenti, incidere sulla riserva di  collegialita'  in  esame,  che
opera sul piano della capacita' e composizione del giudice, ne deriva
dunque che la pronuncia sull'azione in  esame  compete  al  Collegio,
nella formazione prevista dalle tabelle di quest'Ufficio per le cause
in materia di diritti elettorali. 
3. Sulla eccezione di inammissibilita' dell'azione  perche'  proposta
al di fuori di una determinata consultazione elettorale. 
    3.1 -  L'Avvocatura  erariale  ha  eccepito  preliminarmente  che
l'azione sarebbe inammissibile,  in  assenza  di  una  condizione  di
attuale  esistenza  dell'attivato  diritto  di   elettorato   attivo,
derivandone la carenza dell'interesse ad  agire,  non  essendo  state
ancora indette le elezioni politiche e non  ricorrendo  una  prossima
competizione elettorale nella quale esercitare il diritto di voto che
si intenderebbe leso  dalle  censurate  norme  di  legge,  le  quali,
peraltro, entreranno in vigore dal 1°  luglio  2016.  Ne  deriverebbe
l'irrilevanza delle dedotte questioni di legittimita' costituzionale,
per impossibilita'  di  accesso  diretto  degli  istanti  alla  Corte
costituzionale  con  riferimento  ad  una  legge  non  immediatamente
applicabile neppure in astratto. 
    3.2  -  A  giudizio  del  Collegio,   anche   alla   luce   delle
controdeduzioni svolte dai ricorrenti con la memoria autorizzata,  va
condiviso   l'orientamento    giurisprudenziale    per    il    quale
"l'espressione del voto - attraverso cui si manifestano la sovranita'
popolare e la stessa dignita' dell'uomo - rappresenta l'oggetto di un
diritto inviolabile e "permanente", il cui  esercizio  da  parte  dei
cittadini puo'  avvenire  in  qualunque  momento  e  deve  esplicarsi
secondo modalita' conformi alla Costituzione, sicche'  uno  stato  di
incertezza al riguardo ne determina  un  pregiudizio  concreto,  come
tale  idoneo  a  giustificare  la  sussistenza,  in  capo  ad   essi,
dell'interesse ad agire per ottenerne  la  rimozione  in  carenza  di
ulteriori rimedi, direttamente utilizzabili  con  analoga  efficacia,
per la tutela giurisdizionale di quel fondamentale diritto" (Cass. 17
maggio 2013, n. 12060). 
    Ora, se e' vero che  la  superiore  statuizione  dei  giudici  di
legittimita' ha  riguardato  un  ricorso  proposto  da  un  cittadino
elettore in relazione ad elezioni per la Camera dei Deputati e per il
Senato della Repubblica che si erano gia' svolte,  e'  altresi'  vero
che  gli   stessi   (espressamente   riferendosi   anche   a   future
consultazioni elettorali) hanno significativamente evidenziato -  con
iter argomentativo che si condivide integralmente e che va  applicato
anche alla fattispecie in esame - che: 
        a)  la  (indagine  sulla)  meritevolezza  dell'interesse  non
costituisce un parametro valutativo richiesto a norma  dell'art.  100
c.p.c.,  (a  differenza  di  quanto  previsto  in  materia  negoziale
dall'art. 1322, comma 2, c.c); 
        b)  ai  fini  della  proponibilita'  delle  azioni  di   mero
accertamento  (ammesso  che  quella  proposta  sia  realmente   tale,
potendosi  in   verita'   avvicinare   all'archetipo   delle   azioni
costitutive   o   di   accertamento-costitutive),   "e'   sufficiente
l'esistenza di uno stato di dubbio o incertezza oggettiva sull'esatta
portata dei diritti  e  degli  obblighi  scaturenti  da  un  rapporto
giuridico di fonte negoziale o anche legale, in quanto tale idonea  a
provocare un ingiusto pregiudizio non evitabile se non per il tramite
del richiesto accertamento giudiziale della concreta  volonta'  della
legge, senza che sia necessaria  l'attualita'  della  lesione  di  un
diritto  (v.  Cass.  n.  13556  e  n.  4496/2008,  n.  1952/1976,  n.
2209/1966)"; 
        c)  "l'espressione  del  voto  -  attraverso  la   quale   si
manifestano la sovranita' popolare (art. 1,  comma  2,  Cost.)  e  la
stessa  dignita'  dell'uomo  -  costituisce  oggetto  di  un  diritto
inviolabile (artt. 2, 48, 56 e 58 Cost., art.  3,  prot.  1  CEDU)  e
"permanente" dei  cittadini,  i  quali  possono  essere  chiamati  ad
esercitarlo in qualunque momento e devono poterlo esercitare in  modo
conforme a Costituzione. Lo stato di incertezza al riguardo e'  fonte
di un pregiudizio concreto e cio' e' sufficiente per giustificare  la
meritevolezza dell'interesse ad agire"; 
        d) infine,  subordinare  la  proponibilita'  di  azioni  come
quella  in  esame  (attinente,  come  detto,   a   diritti   politici
fondamentali della persona quale elettore, con riguardo al diritto di
elettorato attivo) "al maturare di tempi indefiniti o al  verificarsi
di  condizioni  non  previste  dalla  legge  (come,  ad  esempio,  la
convocazione dei comizi elettorali)  implicherebbe  una  lesione  dei
parametri costituzionali  (art.  24,  e  art.  113,  comma  2)  della
effettivita' e tempestivita' della tutela giurisdizionale". 
    Peraltro, la Corte costituzionale, con  la  sentenza  13  gennaio
2014,  n.   1   (pronunciando   sulle   questioni   di   legittimita'
costituzionale  sollevate  dalla  Suprema  Corte   remittente   prima
citata), ha statuito l'ammissibilita' di  una  questione  relativa  a
"normativa  elettorale  non  conforme  ai  principi   costituzionali,
indipendentemente da atti applicativi della stessa,  in  quanto  gia'
l'incertezza  sulla  portata  del  diritto  costituisce  una  lesione
giuridicamente rilevante"; ha, quindi, aggiunto  che  "l'esigenza  di
garantire il principio  di  costituzionalita'  rende  imprescindibile
affermare il sindacato di questa Corte  -  che  «deve  coprire  nella
misura piu' ampia possibile l'ordinamento giuridico» (sentenza n. 387
del 1996) - anche sulle leggi, come  quelle  relative  alle  elezioni
della Camera e del Senato, «che  piu'  difficilmente  verrebbero  per
altra via ad essa sottoposte» (sentenze n. 384 del 1991 e n. 226  del
1976)",  essendo  necessario  tutelare  "l'esigenza  che  non   siano
sottratte al sindacato di costituzionalita' le  leggi,  quali  quelle
concernenti le elezioni della Camera e del Senato, che definiscono le
regole della composizione di organi costituzionali essenziali per  il
funzionamento di un sistema democratico-rappresentativo e che  quindi
non possono essere immuni da quel sindacato". 
    3.3 - Ne' in contrario varrebbe invocare - come  ha  inteso  fare
l'Avvocatura dello Stato - la piu'  recente  Corte  Cost.  15  giugno
2015,  n.  110  che  ha  dichiarato  inammissibile  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 21, primo comma, numeri  1-bis)
e 2), della legge 24 gennaio 1979, n. 18  (Elezioni  dei  membri  del
Parlamento  europeo   spettanti   all'Italia)   relativa   a   future
consultazioni, giungendo a conclusioni  diverse  da  Corte  Cost.  n.
1/2014, in applicazione degli stessi criteri ivi elaborati in tema di
pregiudizialita'  e  rilevanza  delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale. 
    Infatti,  nell'invocata   pronuncia   i   giudici   delle   leggi
espressamente  hanno  osservato  come  la  questione  sollevata   con
riferimento alla normativa per l'elezione  dei  membri  italiani  del
Parlamento europeo  (oggetto  di  quel  vaglio  di  legittimita')  si
differenzia per un profilo determinante - attinente al diverso regime
del controllo giurisdizionale sulla relativa vicenda elettorale -  da
quella inerente le elezioni del Parlamento nazionale (decisa  con  la
citata sentenza n. 1 del 2014), posto che: 
        a) nell'ipotesi delle elezioni per  il  Parlamento  nazionale
(caso deciso nel 2014), il  controllo  dei  risultati  elettorali  e'
sottratto al giudice comune ed e' rimesso  dall'art.  66  Cost.  alle
Camere di  appartenenza  degli  eletti,  «quale  unica  eccezione  al
sistema generale di tutela giurisdizionale in  materia  di  elezioni»
(sentenze n. 259/2009 e n. 113/1993): di conseguenza, il  vulnus  che
si lamenti arrecato a un diritto fondamentale, quale e' il diritto di
voto, da una normativa elettorale che si sospetti  costituzionalmente
illegittima non potrebbe essere eliminato attraverso lo strumento del
giudizio incidentale successivo; 
        b) al contrario,  la  legge  che  disciplina  l'elezione  dei
membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia (caso  deciso  nel
2015) non puo' ritenersi - come invece e' stato affermato della legge
elettorale per la Camera e il Senato  -  ricadente  in  quella  «zona
franca», sottratta al sindacato costituzionale, che questa  Corte  ha
ritenuto di non poter tollerare, in nome dello  stesso  principio  di
costituzionalita':   infatti,   "le   vicende   elettorali   relative
all'elezione dei membri italiani del Parlamento europeo, a differenza
di quelle relative all'elezione  del  Parlamento  nazionale,  possono
essere sottoposte  agli  ordinari  rimedi  giurisdizionali,  nel  cui
ambito puo' svolgersi ogni  accertamento  relativo  alla  tutela  del
diritto di voto e puo' essere sollevata incidentalmente la  questione
di costituzionalita' delle norme che lo disciplinano". 
    3.4 - In conclusione, l'azione in esame,  proposta  da  cittadini
elettori, titolari, quindi, del  diritto  di  elettorato  attivo  (v.
certificati elettorali prodotti) e, conseguentemente, legittimati ad,
agire secondo quanto prima evidenziato, e' ammissibile  in  astratto,
dovendosi  quindi  passare  alla  verifica  dei   presupposti   della
rilevanza  e  non   manifesta   infondatezza   delle   questioni   di
legittimita' costituzionale prospettate dai ricorrenti. 
4. Sulla rilevanza delle questioni prospettate. 
    Va premesso che, nell'ambito del giudizio preliminare  di  filtro
affidato al giudice a quo  per  l'accesso  alla  giurisdizione  della
Corte costituzionale ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo  1953,  n.
87, il requisito della  rilevanza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale sollevata esprime - come opportunamente  osservato  in
dottrina - l'indissolubile suo legame con l'esercizio della  funzione
giurisdizionale, potendo il  giudice  delle  leggi  essere  investito
soltanto di questioni relative a norme legislative di cui il  giudice
a  quo  debba  necessariamente  fare  applicazione  ai   fini   della
definizione del giudizio dinanzi a lui pendente. 
    Cio' posto, il merito del presente giudizio, cosi' come delineato
in ricorso, e' costituito dall'accertamento  del  diritto  soggettivo
dei   ricorrenti,   costituzionalmente   tutelato,   di    esercitare
l'elettorato   attivo   conformemente   ai   principi   della   Carta
fondamentale e sovranazionale, con metodo democratico e in un sistema
istituzionale di democrazia parlamentare, assertivamente pregiudicato
dal nuovo sistema elettorale introdotto con la legge 6  maggio  2015,
n. 52. 
    Sussiste,  di  conseguenza,  la  rilevanza  delle  questioni   di
legittimita' sollevate: infatti, la  risoluzione  delle  stesse  (ove
venga riconosciuta anche la non manifesta infondatezza) e' con  tutta
evidenza  strumentale  e  pregiudiziale  alla  verifica  del  petitum
richiesto, coincidente con l'accertamento della portata  del  diritto
di voto, ritenuta incerta a causa delle norme censurate. 
    Non osta  a  tale  valutazione  la  circostanza  che  la  dedotta
incostituzionalita' di una o piu' norme di legge costituisca  l'unico
motivo di ricorso innanzi  al  giudice  a  quo,  ogni  qualvolta  sia
individuabile nel giudizio principale un petitum separato e  distinto
dalla questione di legittimita' costituzionale, sul quale il  giudice
rimettente sia chiamato a pronunciarsi" (Corte cost. n. 4/2000; Corte
cost. n. 59/1957). Al riguardo, non puo' non richiamarsi quanto  gia'
statuito dal giudice di legittimita', secondo cui, premesso  che  "vi
sono leggi che creano in maniera immediata restrizioni dei  poteri  o
doveri in capo a determinati  soggetti,  in  tali  casi  l'azione  di
accertamento puo' rappresentare l'unica strada  percorribile  per  la
tutela giurisdizionale di diritti fondamentali  di  cui,  altrimenti,
non sarebbe possibile  una  tutela  ugualmente  efficace  e  diretta"
(Cass. n. 12060/2013 cit.). 
    Va aggiunto che l'esistenza nel nostro ordinamento di  un  filtro
per l'accesso alla Corte costituzionale (costituito dal  giudizio  di
rilevanza  della  questione  di   costituzionalita'   rispetto   alla
definizione di un giudizio comune)  non  puo'  tradursi,  a  pena  di
incostituzionalita' della legge  n.  87/1953,  "in  un  ostacolo  che
precluda quell'accesso qualora  si  debba  rimuovere  un'effettiva  e
concreta lesione di valori costituzionali primari": ne  consegue  che
"fallace sarebbe quindi l'obiezione  (...)  secondo  cui  l'eventuale
pronuncia di  accoglimento  della  Corte  costituzionale  verrebbe  a
consumare ex se la tutela  richiesta  al  giudice  remittente,  nella
successiva fase del giudizio principale, con l'effetto  di  escludere
l'incidentalita' del giudizio costituzionale.  Infatti,  il  giudizio
sulla  rilevanza  va  fatto  nel  momento  in  cui   il   dubbio   di
costituzionalita' e' posto,  dalla  cui  dimostrata  fondatezza  (per
effetto della sentenza della Corte costituzionale) e' possibile avere
solo una conferma e non certo una smentita della correttezza di  quel
giudizio sulla rilevanza". 
    Puo', quindi, concludersi sul punto che la proposta questione  di
legittimita' costituzionale non esaurisce la controversia di  merito,
che ha una portata piu' ampia,  in  quanto  il  petitum  oggetto  del
giudizio principale e' costituito dalla pronuncia di accertamento del
diritto costituzionalmente tutelato, in  ipotesi  condizionata  dalla
decisione delle sollevate questioni di  legittimita'  costituzionale,
in quanto residuerebbe la verifica delle altre condizioni da  cui  la
legge fa dipendere il riconoscimento del diritto di  voto;  non  v'e'
neppure  coincidenza  (sul  piano  fattuale  e  giuridico)   tra   il
dispositivo della sentenza costituzionale e quello della sentenza che
definisce  il  giudizio  di  merito,  la  quale   ultima,   accertata
l'avvenuta lesione del diritto azionato, lo ripristina nella pienezza
della  sua  espansione,  seppure  per  il  tramite   della   sentenza
costituzionale (Cassa  n.  12060/2013):  infatti,  la  rimozione  del
pregiudizio lamentato dagli attori, frutto  di  una  (gia'  avvenuta)
modificazione della realta' giuridica, resa incerta da una  normativa
elettorale in ipotesi  incostituzionale,  necessita  di  un'attivita'
ulteriore, giuridica e materiale, ad opera del giudice di merito, che
consenta ai cittadini elettori di esercitare realmente il diritto  di
voto in  modo  pieno  e  in  sintonia  con  i  valori  costituzionali
(un'attivita'   diversa   e   successiva    rispetto    all'eventuale
accoglimento  delle  questioni   di   legittimita'   costituzionale),
indispensabile per accertare il contenuto del diritto dell'attore (in
tal senso, v. in motivazione, Corte cost. n.  1/2014,  cit.,  secondo
cui  le  sollevate  questioni  di  legittimita'  costituzionale  sono
ammissibili, anche in linea con l'esigenza che non siano sottratte al
sindacato di costituzionalita' le leggi, quali quelle concernenti  le
elezioni della Camera e del Senato, che definiscono le  regole  della
composizione di organi costituzionali essenziali per il funzionamento
di un sistema democratico-rappresentativo e che  quindi  non  possono
essere immuni da quel sindacato). 
    Va poi  ricordato  che  l'ammissibilita'  dell'azione  introdotta
avanti al giudice ordinario non collide con la  competenza  riservata
alle Camere  tramite  le  rispettive  Giunte  parlamentari  (art.  66
Cost.), la quale non interferisce con la  giurisdizione  del  giudice
naturale  dei  diritti  fondamentali  e  dei  diritti   politici   in
particolare, che e' il giudice ordinario (Cass. n. 12060/2013). 
5. I singoli motivi di ricorso. Il primo motivo: la violazione  delle
norme costituzionali in tema di formazione delle leggi. 
    5.1 - Affermata in via generale (per le superiori considerazioni)
la  sussistenza  del  requisito  preliminare  della  rilevanza  delle
questioni prospettate (salva la concreta  verifica  per  ciascuna  di
esse), occorre esaminare i singoli motivi di ricorso,  per  accertare
l'ulteriore requisito previsto dal'art.  23,  legge  n.  87/1953  per
l'accesso alla  Corte  costituzionale  e,  cioe',  la  non  manifesta
infondatezza dei motivi stessi, intesa quale delibazione  (non  della
probabile incostituzionalita', ma) della mera esistenza del dubbio di
costituzionalita' della norma impugnata, senza la possibilita' di una
risoluzione della questione sul piano interpretativo. 
    Non puo' sottacersi in proposito che il giudice a quo non  ha  il
compito di sindacare  la  legittimita'  delle  norme  censurate,  ma,
appunto, di verificare che i rilievi sollevati non siano  palesemente
pretestuosi o del tutto privi di fondamento. 
    5.2 - Premesso che la violazione delle norme strumentali  per  il
processo  formativo  della  legge  e'   suscettibile   di   sindacato
costituzionale (Corte cost. n. 3/1957; Corte  cost.  n.  9/1959),  la
prima questione sollevata concerne  l'asserita  violazione  dell'art.
72, comma 1 e 4,  Cost.  (secondo  cui  la  procedura  normale  -  da
adottare per le leggi elettorali - prevede che il  disegno  di  legge
sia esaminato in commissione e poi dalla Camera  o  dal  senato,  che
l'approva articolo per articolo), posto che il d.d.l. unificato  A.C.
3-B-Bis e'  stato  approvato  senza  la  preventiva  votazione  delle
commissioni in sede referente e dopo che il governo  aveva  posto  la
questione di fiducia, senza emendamenti ed articoli aggiuntivi, sugli
artt. 1, 2 e 4, con voto finale di fiducia  il  4  maggio  2015,  con
unica votazione a scrutinio palese cumulativamente per  tutti  e  tre
gli articoli in questione. 
    Ritiene il Tribunale che la questione - certamente rilevante  nel
giudizio di merito - sia manifestamente infondata, non  emergendo  in
atti elementi idonei ad introdurre dubbi di incostituzionalita'. 
    Infatti, dai documenti prodotti dai ricorrenti  e  legittimamente
utilizzabili in  questa  sede  processuale,  anche  alla  luce  delle
contrarie eccezioni e deduzioni dell'Avvocatura erariale, non risulta
dimostrata la dedotta violazione della procedura ordinaria prescritta
per le leggi elettorali dall'art. 72 Cost., non emergendo per tabulas
che, a  seguito  della  proposizione  dal  parte  del  Governo  della
questione di fiducia, sia stata  omessa  la  votazione  articolo  per
articolo,  previo  esame  in  commissione.  Peraltro,  gli  ulteriori
profili prospettati (come quelli inerenti  il  c.d.  Lodo  lotti  del
1980, attinente alle disposizioni  regolamentari  della  Camera)  non
appaiono rilevanti per la questione in esame. 
6. Il quarto  e  il  quinto  motivo:  il  vulnus  ai  principi  della
rappresentanza democratica: il premio di maggioranza, la mancanza  di
soglia minima per il ballottaggio,  la  clausola  di  sbarramento,  i
criteri di calcolo delle soglie. 
    6.1 - Per ragioni di coerenza  sistematica  nell'esposizione,  e'
opportuno esaminare a questo punto il quarto ed il quinto  motivo  di
ricorso, con i quali si deduce la violazione degli artt. 1, comma 1 e
2; 3, comma 1 e 2; 48, comma 2; 49; 51, comm 1; 56, comma 1  Cost.  e
art. 3 protocollo CEDU ad opera  delle  norme  denunciate  (artt.  1,
lett. f) legge n. 52/2015; 1, comma 2 e 83, comma 1, 2,  3,  4  e  5,
d.p.r. n. 361/1957, come modificati dall'art. 2, comma 1 e 25,  legge
n.  52/2015),  nella  parte  in  cui  -  ledendo  i  principi   della
rappresentanza democratica, della  sovranita'  popolare,  della  pari
dignita' e dell'eguale capacita' politica ed elettorale: 
        a) fanno scattare il premio di maggioranza (con  attribuzione
di 340 seggi alla Camera) alla lista che ha superato  la  soglia  del
40% dei voti al primo turno di votazione ovvero,  in  mancanza,  alla
lista che abbia comunque vinto il ballottaggio tra le prime due liste
del primo turno; 
        b) non prevedono alcuna soglia minima di votanti  e  di  voti
validi per accedere al ballottaggio; 
        c) escludono dall'attribuzione dei seggi  le  liste  che  non
hanno superato la soglia del 3% dei voti validi; 
        d) computano nel calcolo delle predette soglie anche  i  voti
espressi nelle circoscrizioni Trentino Alto Adige  e  Valle  d'Aosta,
pur  se  gli  stessi  non  concorrono  alla  ripartizione  dei  seggi
assegnati al di fuori delle rispettive Regioni. 
    In  particolare,  i  ricorrenti  evidenziano  tra   l'altro   che
l'esigenza di assicurare la governabilita' non possa essere attuata a
discapito   del   principio   del   pluralismo   politico,    essendo
indispensabile  perseguire  un  certo  grado  di  ragionevolezza  nei
meccanismi legislativi che tramutino i  voti  in  seggi,  soprattutto
laddove, come nella legge censurata, si utilizzino cumulativamente  e
non alternativamente gli strumenti del premio di maggioranza e  della
soglia   di   sbarramento,   le   quali   ultime   escludono    dalla
rappresentativita' parlamentare larghe fasce di elettori, con effetti
nefasti sulla liberta' ed eguaglianza del voto. 
    6.2  -  Il  Tribunale  non  ignora  il   dibattito,   soprattutto
dottrinale, seguito alle sentenze  n.  1/2014  e  n.  110/2015  della
Consulta  ed  alla  emanazione  della   legge   qui   sospettata   di
incostituzionalita',  nel  contesto  del   raggiungimento   di   quel
necessario equilibrio tra l'obiettivo - costituzionalmente  legittimo
- di assicurare da un lato la stabilita' del governo del Paese  e  la
rapidita' dei processi decisionali (v., in motivazione,  Corte  cost.
n. 1/2014) e dall'altro i principi  della  rappresentativita',  nella
consapevolezza   -   evidenziata   da   illustri   studiosi   -   che
"rappresentativita' e governabilita' sono contenuti fondamentali  del
principio democratico e che vanno garantite e contemperate  non  solo
tramite la legge elettorale, ma nel contesto dell'intero sistema  che
caratterizza la forma dello Stato e di governo". 
    6.3 - Cio' posto, ed iniziando ad esaminare i plurimi e complessi
profili dedotti con il motivo di ricorso in questione, e' noto che la
piu'  volte  citata  Corte  cost.   n.   1/2014   non   ha   ritenuto
incostituzionale ex se la previsione di  un  premio  di  maggioranza,
avendo invece censurato l'art. 83, comma 1, n.  5,  e  comma  2,  del
d.P.R. n. 361 del 1957, come modificata dalla legge n. 270/2005, solo
in quanto non imponeva,  ai  fini  dell'attribuzione  del  premio  di
maggioranza, il raggiungimento di una  soglia  minima  di  voti  alla
lista (o coalizione di liste) di maggioranza relativa  dei  voti:  in
tal modo assegnando automaticamente un numero anche molto elevato  di
seggi ad una formazione che  aveva  conseguito  una  percentuale  pur
molto ridotta di suffragi e realizzando di conseguenza  un'illimitata
compressione della  rappresentativita'  dell'assemblea  parlamentare,
incompatibile con i principi  costituzionali  in  base  ai  quali  le
assemblee  parlamentari  sono  sedi  esclusive  della  rappresentanza
politica nazionale (art. 67 Cost.). 
    In motivazione, i giudici delle leggi osservano come "l'Assemblea
Costituente, «pur manifestando, con l'approvazione di un  ordine  del
giorno, il favore per  il  sistema  proporzionale  nell'elezione  dei
membri della  Camera  dei  deputati,  non  intese  irrigidire  questa
materia  sul  piano  normativo,   costituzionalizzando   una   scelta
proporzionalistica o disponendo  formalmente  in  ordine  ai  sistemi
elettorali, «la configurazione dei quali resta  affidata  alla  legge
ordinaria", posto che, peraltro, la «determinazione delle  formule  e
dei sistemi elettorali costituisce un ambito nel quale si esprime con
un massimo di  evidenza  la  politicita'  della  scelta  legislativa»
(sentenza n. 242 del 2012; ordinanza n. 260 del 2002; sentenza n. 107
del 1996)". Ne' potrebbe ritenersi vulnerato da una legge  elettorale
maggioritaria il principio costituzionale di  eguaglianza  del  voto,
che  "esige  che  l'esercizio  dell'elettorato  attivo   avvenga   in
condizione  di  parita',  in  quanto   «ciascun   voto   contribuisce
potenzialmente e con pari  efficacia  alla  formazione  degli  organi
elettivi» (sentenza n. 43 del 1961), ma  «non  si  estende  [..."  al
risultato concreto della  manifestazione  di  volonta'  dell'elettore
[..." che dipende [.." esclusivamente dal sistema che il  legislatore
ordinario, non  avendo  la  Costituzione  disposto  al  riguardo,  ha
adottato per le elezioni politiche  e  amministrative,  in  relazione
alle  mutevoli  esigenze  che  si  ricollegano   alle   consultazioni
popolari» (sentenza n. 43 del 1961)". 
    In  definitiva  (avverte  Corte  cost.  n.  1/2014)  "il  sistema
elettorale (...)  e'  sempre  censurabile  in  sede  di  giudizio  di
costituzionalita'  quando  risulti   manifestamente   irragionevole",
soprattutto in presenza di un meccanismo premiale che,  in  astratto,
potrebbe essere "foriero di una eccessiva sovrarappresentazione della
lista di maggioranza relativa, in quanto consente ad  una  lista  che
abbia ottenuto un  numero  di  voti  anche  relativamente  esiguo  di
acquisire la maggioranza assoluta dei seggi.  In  tal  modo  si  puo'
verificare  in  concreto  una  distorsione  fra  voti   espressi   ed
attribuzione di seggi che, pur essendo presente in qualsiasi  sistema
elettorale, nella specie assume una misura tale da comprometterne  la
compatibilita' con il principio di eguaglianza del voto". 
    In tale contesto, appare necessario che venga affidato ai  vaglio
di costituzionalita' il giudizio "se la norma oggetto  di  scrutinio,
con  la  misura  e  le  modalita'  di  applicazione  stabilite,   sia
necessaria e idonea  al  conseguimento  di  obiettivi  legittimamente
perseguiti, in quanto, tra piu' misure appropriate, prescriva  quella
meno restrittiva dei diritti  a  confronto  e  stabilisca  oneri  non
sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi". 
    6.4 - Sulla base delle superiori  premesse  in  diritto,  occorre
verificare se la normativa censurata (nella parte in cui fa  scattare
il premio di maggioranza, con attribuzione di 340 seggi  alla  Camera
su 630 totali, alla lista che ha superato la soglia del 40% dei  voti
al primo turno di votazione ovvero, in mancanza, alla lista che abbia
comunque vinto il ballottaggio tra  le  prime  due  liste  del  primo
turno) possa sollevare un minimo dubbio di conformita'  al  principio
fondamentale di eguaglianza del voto (art. 48, secondo comma, Cost.),
che richiede che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con  pari
efficacia alla formazione  degli  organi  elettivi  (Corte  cost.  n.
43/1961). 
    Tenendo conto di quanto evidenziato prima in  punto  di  diritto,
non potrebbe dubitarsi in astratto (nel contesto del giudizio di  non
manifesta infondatezza) della  conformita'  alla  Costituzione  della
previsione di un premio di maggioranza  alla  lista  che  ottenga  la
percentuale prescritta del 40% dei voti al primo  turno:  a  giudizio
del Tribunale, infatti, si  tratta  di  una  soglia  che  non  appare
irragionevole,  nell'ambito  della  discrezionalita'   politica   del
legislatore, perche' ne' esigua (e, quindi, potenzialmente  idonea  a
falsare eccessivamente il rapporto tra  voti  e  rappresentanza)  ne'
lontana  dalla  maggioranza  assoluta  (e,  pertanto,   difficilmente
raggiungibile),  si'   da   non   rendere   intollerabile   la   c.d.
disproporzionalita' tra voti espressi e seggi attribuiti. 
    Tuttavia,  anche  alla  luce  del  significativamente  oscillante
dibattito che la dottrina  costituzionalistica  sta  sviluppando  sul
tema, la circostanza che non venga previsto  un  necessario  rapporto
tra voti ottenuti rispetto non gia' ai voti validi, ma  al  complesso
degli aventi diritto al  voto  (una  sorta  di  quorum  di  votanti),
unitamente al fatto che il premio di maggioranza operi anche in  caso
di  ballottaggio  (che  andrebbe  comunque  considerato  come   nuova
votazione tra due sole liste, diversa dalla precedente,  nella  quale
e' necessario che la lista vincente prenda almeno il 50,01% dei  voti
rispetto alla  lista  concorrente)  e  che  vi  sia  la  clausola  di
sbarramento al 3% (che verra' esaminata di qui a poco), fa sorgere il
dubbio della non manifesta  infondatezza  della  questione  sollevata
(certamente rilevante rispetto alla res  iudicanda  del  giudizio  di
merito), nella misura  in  cui  -quel  premio  di  maggioranza,  come
acutamente osservato, in dottrina,  finirebbe  con  il  "liberare  le
decisioni   della   piu'   forte   minoranza   da   ogni    controllo
dell'elettorato".  Senza  dimenticare  che,  essendo  nella   riforma
costituzionale   solo   la   Camera   espressione    diretta    della
rappresentativita' popolare, il principio maggioritario non puo'  che
essere adeguatamente contenuto. 
    6.5 - Quanto al profilo della clausola  di  sbarramento  (essendo
previsto che ciascuna lista superi almeno il  3%  dei  voti  validi),
osserva  il  Tribunale  (condividendo  quanto  evidenziato  in  altra
autorevole sede) che di per se' la sua previsione obbedisce a criteri
aventi elevato tasso di discrezionalita'  ed  opportunita'  politica,
nel contesto dell'esigenza di tutelare  la  governabilita',  evitando
un'eccessiva frammentazione del voto (e delle opposizioni), e che  la
percentuale in questione non e' ne' troppo bassa (si'  da  essere  di
fatto  irrilevante)  ne'  eccessivamente  elevata  (tale,  cioe',  da
penalizzare troppo il principio della eguaglianza del  voto).  Non  a
caso Corte cost. n.  193/2015  (in  tema  di  legge  regionale  della
Lombardia, che esclude le  liste  provinciali  il  cui  gruppo  abbia
ottenuto nell'intera Regione meno del 3 per cento dei voti, se non e'
collegato a un candidato Presidente che abbia conseguito almeno il  5
per cento) ha affermato che la previsione di soglie di sbarramento  e
delle relative modalita' di applicazione sono tipiche  manifestazioni
della  discrezionalita'  del  legislatore  che  intenda  evitare   la
frammentazione  della  rappresentanza  politica  e  contribuire  alla
governabilita'. 
    Tuttavia, la sua previsione (che in ipotesi tende a  privilegiare
i partiti piu' forti, anche di opposizione) va  valutata  nell'ambito
dell'intero  sistema  che  delinea  i  criteri  di  selezione   della
rappresentanza politica alla Camera:  ne  consegue  che,  richiamando
quanto prima affermato circa il premio di maggioranza  (a  sua  volta
tendente a sovra-rappresentare il partito con piu' voti) la questione
di legittimita' sollevata - certamente rilevante rispetto al giudizio
di merito introdotto  dai  ricorrenti  -  non  appare  manifestamente
infondata nella concatenazione delle motivazioni addotte. 
    6.6 - Il profilo di incostituzionalita' prospettato con  riguardo
al calcolo delle predette soglie anche  con  i  voti  espressi  nelle
circoscrizioni Trentino Alto Adige e Valle d'Aosta, pur se gli stessi
non concorrono alla ripartizione dei  seggi  assegnati  al  di  fuori
delle rispettive Regioni, appare manifestamente  infondato  anche  in
relazione alla genericita' delle motivazioni addotte. 
7. Secondo motivo: la violazione del principio di sovranita' popolare
e del principio di rappresentativita', con surrettizia trasformazione
della costituzione, al di fuori del meccanismo dell'art. 138 Cost. 
    Ritiene  il  Tribunale  che  sia  manifestamente   infondata   la
questione (dedotta con il secondo motivo di ricorso,  qui  esaminato)
concernente l'asserita violazione degli artt. 1, comm  1  e  2,  117,
comma 1, e 138 Cost., nonche' dell'art. 3 Protocollo CEDU  nel  senso
prospettato dai ricorrenti, secondo cui il complesso delle  modifiche
alla legislazione elettorale qui censurate (artt. 1, 2 e 4, legge  n.
52/2015) e, quindi, il c.d. premio di maggioranza,  consentira'  alla
lista vincente di concentrare nelle  sue  mani  anche  il  potere  di
revisionare  la  Costituzione,  trasformandola  da  rigida   (secondo
l'originario disegno dei costituenti) in uno strumento flessibile,  a
disposizione  di'  qualsiasi  partito  che  risulti   occasionalmente
maggioritario in Parlamento, pur essendo minoritario nel Paese:  cio'
in palese violazione dei principi di democraticita' della  Repubblica
e di sovranita' popolare espressi dalle  norme  costituzionali  prima
indicate. 
    Infatti, la superiore argomentazione, per il vero, sembra provare
troppo, potendosi applicare anche - a legislazione  previgente  -  in
caso di  coalizioni  che  comunque  raggiungano  il  quorum  previsto
dall'art. 138 Cost. (approvazione  delle  leggi  di  revisione  della
Costituzione e delle altre leggi costituzionali in doppia lettura e a
maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella  seconda
votazione); ed inoltre, non tiene conto del fatto che (anche a  voler
prescindere dalla considerazione che la Corte  Costituzionale,  nella
citata  sentenza  n.  1/2014  non  ha  escluso  per  nulla  -   anzi,
richiedendola - la possibilita' di prevedere  una  soglia  minima  di
consensi per far operare il meccanismo del premio di maggioranza)  il
principio di sovranita' popolare ritenuto  pregiudicato  dalla  norma
censurata e' comunque fatto salvo dalla perdurante  previsione  della
procedura di referendum confermativo, quale  ulteriore  garanzia  del
procedimento di revisione costituzionale. 
8. Terzo motivo: il  vulnus  al  principio  della  rappresentativita'
territoriale e del voto diretto. 
    Sostengono i ricorrenti che la nuova  normativa  (in  particolare
gli artt. 1, lett. a), d) ed e) della legge n.  52/2015;  l'art.  83,
comma 1-5, e 84, comma 2 e 4, d.p.r.  n.  361/1957,  come  sostituiti
rispettivamente dall'art. 2,  comma  25  e  26,  legge  n.  52/2015),
partendo (a  differenza  di  quella  pregressa)  dalla  distribuzione
nazionale per approdare a quella circoscrizionale, dia  rilevanza  al
comportamento degli elettori svincolato dal riferimento ad un  ambito
territoriale, in violazione  del  principio  del  voto  diretto,  con
specifico riferimento all'art. 56, comma 1 e 4, Cost., che esprime la
necessita' che i deputati siano rappresentativi  dell'elettorato  del
territorio nel quale gli elettori  di  riferimento  sono  chiamati  a
votare. 
    La normativa del 2015, prevede  la  suddivisione  del  territorio
nazionale in 20 circoscrizioni elettorali, suddivise in  100  collegi
plurinominali (fatti salvi i collegi uninominali nelle circoscrizioni
Valle d'Aosta e Trentino Alto Adige) e, nel contesto di un  complesso
meccanismo di calcolo da parte dell'Ufficio centrale  nazionale,  nel
caso in cui una lista abbia esaurito in una circoscrizione il  numero
dei candidati potenzialmente eleggibili, i seggi spettanti  a  quella
circoscrizione "carente" vengono trasferiti ad  altra  circoscrizione
in cui vi siano candidati "eccedentari",  eleggibili  in  virtu'  del
trasferimento di seggi. 
    La questione prospettata,  pur  nella  complessita'  tecnica  del
meccanismo elettorale, appare non manifestamente infondata (oltre che
certamente rilevante al fine di accertare  l'ambito  del  diritto  di
elettorato attivo dei ricorrenti), poiche', pur trattandosi di scelte
di politica legislativa che, se non  palesemente  irragionevoli,  non
possono formare oggetto di sindacato di costituzionalita', intercetta
il  dubbio  che  venga  leso  il   criterio   di   rappresentativita'
territoriale che l'art. 56 Cost. (pur senza  prevedere  l'elezione  a
base regionale ex art. 57 per il  Senato)  delinea  con  riguardo  al
rapporto tra  i  seggi  da  distribuire  e  la  popolazione  di  ogni
circoscrizione.  In  effetti,  la  farraginosita'   della   normativa
censurata (ampiamente esposta nel ricorso), che sembra consentire, ad
esempio,  la  traslazione  dei  voti  utili  per  l'elezione  da  una
circoscrizione (che risulti carente di candidati)  ad  un'altra  (che
risulti eccedentaria), ai sensi  dell'art.  2,  comma  26,  legge  n.
52/2015,  rende,   allora,   necessario   l'invocato   sindacato   di
costituzionalita', al fine di verificare  se  la  scelta  legislativa
collida con il  principio  di  rappresentativita'  e  responsabilita'
dell'eletto rispetto agli elettori che lo hanno espresso. 
9.  Sesto  motivo:  impossibilita'  di   scegliere   direttamente   e
liberamente i deputati. 
    I ricorrenti censurano gli artt. 1, lett. g), legge  n.  52/2015,
18-bis, comma 3, primo periodo, d.p.r. n. 361/1957,  come  modificato
dall'art. 2, comma 10, lett. c), legge n. 52/2015, art. 19, comma  1,
primo periodo, d.p.r. n. 361/1957, sostituito dall'art. 2, comma  11,
legge n.  52/2015,  84,  comma  1,  d.p.r.  n.  361/1957,  modificato
dall'art. 2, comma 26, legge n. 52/2015,  in  quanto,  prevedendo  il
c.d. blocco misto delle liste e delle  candidature,  la  composizione
delle stesse liste (un candidato bloccato e  gli  altri  liberi),  la
possibilita' per un candidato di essere in piu' liste in  un  massimo
di dieci collegi  plurinominali  diversi,  la  scelta  dei  candidati
eletti, partendo dal primo (il capolista bloccato) e poi  proseguendo
con gli altri, in ragioni dei voti ottenuti,  essi  violerebbero  gli
artt. 1, comma 1 e 2; 2; 48, comma 2; 51, comma 1; 56, comma  1  e  4
Cost.: cio' in quanto con tale  sistema  la  grande  maggioranza  dei
deputati (almeno i 100 capilista del partito risultato  maggioritario
e tutti i 278 deputati dei partiti minoritari) verra' automaticamente
eletta senza essere passata attraverso il vaglio preferenziale  degli
elettori, ai quali restera' certamente la  delusione  di  vedere  che
anche molti dei capilista, magari  localmente  apprezzati,  finiranno
per trasmigrare altrove, lasciando il posto a primi dei  non  eletti,
graditi solo al capolista rinunziante o al leader  del  suo  partito.
Peraltro, i capilista possono  candidarsi  in  dieci  collegi,  cosi'
realizzando un'insopportabile disparita' di trattamento rispetto agli
altri. 
    Cio' premesso, alla luce delle  eccezioni  dell'Avvocatura  dello
Stato, va ricordato che la Corte costituzionale, con la  sentenza  n.
1/2014, ha dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  delle  norme
della legge elettorale precedente (art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 361
del 1957 e, in via consequenziale, art. 59,  comma  1,  del  medesimo
d.P.R., nonche' art. 14, comma 1, del d.lgs. n.  533  del  1993),  in
quanto le liste bloccate ivi previste, non  consentendo  all'elettore
di esprimere alcuna preferenza al fine di determinare l'elezione,  ma
solo  di  scegliere  una  lista  di  partito,  cui  era  rimessa   la
designazione e  la  collocazione  in  lista  di  tutti  i  candidati,
avrebbero reso il voto sostanzialmente "indiretto",  e,  quindi,  ne'
libero, ne' personale, in violazione  dell'art.  48,  secondo  comma,
Cost.: in tal modo, essendo "un voto  per  la  scelta  della  lista",
quelle norme  "escludono  ogni  facolta'  dell'elettore  di  incidere
sull'elezione dei propri rappresentanti, la quale dipende, oltre che,
ovviamente,  dal  numero  dei   seggi   ottenuti   dalla   lista   di
appartenenza,  dall'ordine  di  presentazione  dei  candidati   nella
stessa, ordine di presentazione che  e'  sostanzialmente  deciso  dai
partiti. La scelta dell'elettore, in altri termini, si traduce in  un
voto di preferenza esclusivamente per  la  lista,  che  -  in  quanto
presentata in circoscrizioni  elettorali  molto  ampie,  come  si  e'
rilevato - contiene un numero assai elevato di  candidati,  che  puo'
corrispondere   all'intero   numero   dei   seggi   assegnati    alla
circoscrizione, e li rende, di conseguenza, difficilmente conoscibili
dall'elettore stesso. Una simile disciplina priva l'elettore di  ogni
margine di scelta dei propri rappresentanti, scelta che e' totalmente
rimessa ai partiti". Cio' in  quanto  "il  cittadino  e'  chiamato  a
determinare l'elezione di tutti  i  deputati  e  di  tutti  senatori,
votando un elenco  spesso  assai  lungo  (nelle  circoscrizioni  piu'
popolose) di candidati, che difficilmente conosce" (...)  individuati
sulla  base  di  scelte  operate  dai  partiti,  che  si   riflettono
nell'ordine di presentazione, si' che  anche  l'aspettativa  relativa
all'elezione in riferimento allo stesso ordine di lista  puo'  essere
delusa, tenuto conto della possibilita'  di  candidature  multiple  e
della facolta' dell'eletto di optare per altre  circoscrizioni  sulla
base delle indicazioni del partito." 
    Tenuto conto di tali principi  (avendo  in  sostanza  il  Giudice
delle leggi  censurato  la  scelta  bloccata  della  totalita'  degli
eletti), occorre verificare se le nuove norme abbiano  rispettato  il
dictum della Corte ovvero se sussistano  dubbi  sulla  non  manifesta
infondatezza della questione di costituzionalita' prospettata. 
    Cio' posto,  osserva  il  Tribunale  che  la  legge  censurata  -
nell'ambito dei cento collegi previsti  sul  territorio  nazionale  -
prevede da un lato liste bloccate solo per una parte dei seggi (i 100
capilista)  e  dall'altro  circoscrizioni  elettorali   relativamente
piccole, introducendo, come e' stato notato,  un  sistema  misto,  in
parte blindato ed in parte preferenziale.  Di  per  se',  quindi,  le
norme potrebbero considerarsi coerenti con le indicazioni della Corte
costituzionale.   Tuttavia,   in   ambiti   connotati   da   un'ampia
discrezionalita' legislativa, quale quello in  esame,  la  stessa  ha
avuto modo di sottolineare la necessita' di «operare il bilanciamento
degli interessi  costituzionalmente  rilevanti  tenendo  conto  delle
circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» (ancora C.
Cost. n. 1/2014, nonche' n. 1130/1988). 
    Pertanto, (e questo rileva ai fini del giudizio di non  manifesta
infondatezza), residua il dubbio -  manifestato  in  dottrina  e  che
questo Tribunale condivide - che possa concretamente realizzarsi  per
le forze di opposizione (rectius: minoritarie) un effetto  distorsivo
dovuto  alla  rappresentanza  parlamentare  largamente  dominata   da
capilista bloccati, pur se con il correttivo della  multicandidatura,
ma con possibilita' che il voto  in  tali  casi  sia  sostanzialmente
"indiretto", e, quindi, ne'  libero,  ne'  personale,  in  violazione
dell'art. 48, secondo comma, Cost. 
    Sotto tale profilo, la questione sollevata - certamente rilevante
per il giudizio di merito - merita di essere sottoposta al  sindacato
del giudice delle leggi. 
10. Settimo motivo: violazione del diritto di elettorato  passivo  ed
attivo per possibile sforamento del plenum della Camera dei deputati. 
    I ricorrenti deducono che l'art. 83, comma 3, d.p.r. n. 361/1957,
come modificato dall'art. 2,  comma  25,  legge  n.  52/2015,  e'  in
contrasto con l'art. 56, comma 2, Cost. (oltreche' con gli artt. 3  e
51, comma 1, Cost.), nella parte in cui consente - per il  meccanismo
descritto in ricorso - la possibilita' di proclamare eletti un numero
di deputati superiore a quello di 630 costituzionalmente  previsto  e
cioe' da 631 a 639, per effetto  della  mancata  precisazione  che  i
seggi gia' assegnati con diverso  sistema  nelle  regioni  della  Val
d'Aosta e del Trentino Alto Adige non vanno computati  nei  seggi  da
assegnare alle minoranze. 
    Il motivo e' manifestamente infondato, poiche' -  al  di  la'  di
eventuali imprecisioni della norma - il comma 6 dello stesso articolo
(nonche' l'art. 92, comma 1-bis) si preoccupa di chiarire che i  voti
espressi in quelle due regioni non concorrono alla  ripartizione  dei
seggi  assegnati  nella  restante  parte  del  territorio  nazionale:
sicche' e' tutto da dimostrare che sia possibile eleggere  un  numero
di deputati superiore al tetto prescritto dalla Costituzione. 
    Ad  abundantiam,  va  rilevato  come  l'asserita   illegittimita'
costituzionale del novellato art. 83, comma 3, possa, invero,  essere
risolta  in  via  ermeneutica,  sulla  base   di   un'interpretazione
costituzionalmente orientata, ossia assumendo che proprio il  secondo
comma dell'art. 56 Cost. valga ad escludere che si possa superare per
effetto della legge elettorale il numero di componenti  della  Camera
dei deputati fissato nella Carta costituzionale. 
    Ne consegue come, seguendo tale impostazione, la  normativa  vada
interpretata ritenendo che in caso di elezione nei  collegi  di  tali
due regioni di deputati di liste diverse da quella  premiata,  questi
siano da computare in riduzione ulteriore della  quota  di  seggi  da
ripartire tra le liste minoritarie nazionali. 
11. Ottavo motivo: indizione di  un  secondo  turno  di  ballottaggio
anche quando la lista maggioritaria, pur non superando la soglia  del
40% dei voti validi, abbia comunque conseguito almeno 340 seggi. 
    Con il motivo in esame i ricorrenti paventano  la  violazione  da
parte  dell'art.  83,  comma  1,  n.  7,  d.p.r.  n.  361/1957,  come
modificato dall'art. 2, comma 25, legge n. 52/2015,  degli  artt.  3,
51,  comma  1  Cost.,  nella  parte  in  cui  prevede   comunque   il
ballottaggio se nessuna lista ha ottenuto al primo turno il  40%  dei
voti validi, pur se la stessa abbia gia' ottenuto n. 340 seggi. 
    Premesso che gli stessi ricorrenti evidenziano che si tratterebbe
comunque  di  un  caso  limite,   la   questione   sollevata   appare
manifestamente infondata,  poiche',  proprio  partendo  dall'invocata
Corte cost. n. 1/2014, la previsione di un premio di maggioranza alla
sola lista che  al  primo  turno  ottenga  almeno  il  40%  dei  voti
(dovendosi in caso contrario procedersi al ballottaggio)  costituisce
una scelta politica del legislatore per nulla irragionevole, rispetto
alla quale l'eventualita' paventata in ricorso non appare inficiare i
principi costituzionali che si intendono tutelare. 
    Peraltro,  la  piena  conformita'  al  principio  stabilito   dal
giudicato costituzionale e' da rinvenire  nella  stessa  ratio  dello
svolgimento del secondo turno per il premio  di  maggioranza.  Avendo
l'elettorato scelto al primo  turno  il  proprio  rappresentante,  il
secondo turno svolge in concreto la funzione di coagulare il consenso
elettorale su una precisa  indicazione  di  governo,  realizzando  la
massima estrinsecazione del diritto di elettorato passivo. 
12. Nono motivo: il vulnus  alle  prerogative  del  Presidente  della
Repubblica. 
    I ricorrenti deducono che l'art. 14-bis, d.p.r. n. 361/1957, come
sostituito dall'art. 2, comma 8, legge n. 52/2015, violi  l'art.  92,
comma 2, Cost. e il loro diritto a  partecipare  alla  vita  politica
della Repubblica in un sistema di  democrazia  parlamentare,  laddove
prevede che "contestualmente al  deposito  del  contrassegno  di  cui
all'articolo 14, i partiti o i gruppi  politici  organizzati  che  si
candidano a governare depositano il programma  elettorale  nel  quale
dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come capo
della forza politica (...)" a cura di persona munita di  "mandato  da
parte del presidente o  del  segretario  del  partito  o  del  gruppo
politico organizzato": in tal modo verrebbero lese le prerogative del
Capo dello Stato, posto che il leader di quello che  sara'  il  primo
partito assommera' in se' il potere di nominare la maggior parte  dei
deputati  e,  contemporaneamente,  di   godere   di   una   impropria
investitura popolare quale capo del Governo, senza che il  Presidente
della Repubblica possa disattendere la proposta, a pena di una  crisi
istituzionale, comportando la novella una surrettizia  trasformazione
della Repubblica da "parlamentare" a "presidenziale". 
    Il motivo e manifestamente infondato, in quanto, a tacer  d'altro
(ricordando le prassi invalse nella c.d. Prima e Seconda Repubblica),
l'inciso (contenuto nella  norma  contestata)  secondo  cui  "restano
ferme  le  prerogative  spettanti  al  Presidente  della   Repubblica
previste  dall'art.  92,  comma  2,  Cost.  del  Capo  dello   Stato"
costituisce un presidio formale di tutela dei poteri della piu'  alta
carica dello Stato, come peraltro affermato espressamente da Cass. n.
12060/2013 in merito ad analoga censura  sollevata  in  quella  sede,
sicche' nessun vincolo (diverso da quelli consolidatisi nella  prassi
costituzionale) potrebbe derivare dalla indicazione  del  capo  della
forza politica di maggioranza. 
13. Decimo motivo: violazione del diritto di  associarsi  liberamente
in partiti e per accedere in condizioni di eguaglianza  alle  cariche
elettive. 
    Il motivo in esame attiene all'asserita violazione degli artt. 3,
49 e 51, comma 1, Cost. ad opera dell'art. 18-bis d.p.r. n. 361/1957,
come modificato dall'art. 2, comma 10, lett. b), e comma 36, legge n.
52/2015, nella parte in cui vengono introdotte forme di ostacolo alla
nascita  e  all'affermarsi  di  nuove  forme  politiche,   attraverso
sbarramenti alla presentazione delle liste in  sede  circoscrizionale
ovvero in collegi plurinominali (numero di firme tra  1.500  e  2.000
elettori),  che,  invece,  per  irragionevole  privilegio,   non   si
applicheranno non solo ai partiti o  gruppi  politici  costituiti  in
gruppo  parlamentare  in  entrambe   le   camere   all'inizio   della
legislatura  in  corso  al  momento  della  convocazione  dei  comizi
(secondo la normativa in vigore sino al 30 giugno 2016) ma anche, per
le prime elezioni successive alla data di  entrata  in  vigore  della
legge,  ai  partiti  o  ai  gruppi  politici  costituiti  in   gruppo
parlamentare in almeno una delle due Camere al 1° gennaio 2014, oltre
che ai partiti rappresentativi di minoranze linguistiche che  abbiano
conseguito almeno un seggio alle ultime elezioni. 
    In  sostanza,  secondo  la  prospettazione  dei  ricorrenti,   il
privilegio (dell'esclusione della necessita' delle firme)  se  da  un
lato  penalizzerebbe  in  maniera  eccessiva  le   nuove   formazioni
politiche  (costrette  a  raccogliere  un  numero  ritenuto  alto  di
sottoscrizioni), dall'altro viene esteso irragionevolmente: 
        a) anche a soggetti politici gia' presenti nella legislatura,
sulla base di una data (1° gennaio 2014) del tutto arbitraria; 
        b) ad alcune soltanto delle minoranze linguistiche del  Paese
(Val d'Aosta  e  Trentino  Alto  Adige)  escludendo  la  piu'  grande
minoranza presente in Italia, quella sarda, riconosciuta dall'art. 2,
legge n. 482/1999). 
    La   questione   appare   manifestamente   infondata,   dovendosi
condividere le eccezioni dell'Avvocatura dello Stato. 
    Infatti, per cio' che concerne il primo profilo,  la  scelta  del
legislatore di chiedere alle nuove formazioni politiche di dimostrare
un minimo di  consenso  popolare  rispetto  a  chi  e'  gia'  passato
attraverso  il  vaglio  delle   elezioni   non   appare   per   nulla
irragionevole, restando affidata alla discrezionalita'  dello  stesso
legislatore anche l'individuazione di un discrimine temporale. 
    Quanto al secondo profilo (quello delle minoranze), la  questione
non appare rilevante nel giudizio in questione, promosso da cittadini
elettori iscritti nelle liste elettorali del Comune di Messina, ed  a
tacere di ogni questione relativa alla particolare rilevanza e tutela
che le minoranze linguistiche delle regioni Val  d'Aosta  e  Trentino
Alto Adige (e provincia di Bolzano) risultano  avere  nei  rispettivi
Statuti speciali rispetto alle altre regioni aventi  medesimo  regime
di specialita' (come lo stesso Friuli  o  la  minoranza  albanese  in
Sicilia o Calabria e cosi' via). 
14. Undicesimo motivo: violazione del diritto dei ricorrenti di agire
in giudizio per la  tutela  dei  loro  diritti  in  materia  di  atti
preliminari e successivi alle elezioni politiche. 
    Con  il  motivo  in  esame  i  ricorrenti  lamentano   l'asserita
violazione degli artt. 3, 24, 49, 51, 111, comma 1 e 2, 113, comma  1
e 2, Cost. e 13 CEDU ad opera della mancata attuazione, con  il  c.d.
codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104/2010) della  delega
prevista dall'art. 44, comma 1, legge 18  giugno  2009,  n.  69,  per
quanto concerne il contenzioso elettorale nazionale:  ne  deriverebbe
che una lista  esclusa  dalla  competizione  elettorale  non  avrebbe
possibilita' di ricorrere  in  giudizio,  dovendosi  accontentare  di
esperire le inutili procedure presso le commissioni  elettorali,  che
sono organi essenzialmente amministrativi. 
    La questione e' manifestamente infondata, poiche', anche a tacere
del fatto che involge la previsione della  c.d.  autodichia  prevista
dall'art.  66  Cost.,  rientra  nella  discrezionalita'  del   potere
legislativo prevedere forme ulteriori e diverse di tutela, senza  che
ne derivi, a legislazione invariata, un inammissibile vuoto di tutela
(Cass. ord. 15 febbraio 2013, n. 3731, secondo cui  "le  sopravvenute
disposizioni del codice  del  processo  amministrativo  (emanato  con
d.lgs. n. 104 del 2010)  in  tema  di  contenzioso  sulle  operazioni
elettorali, ed in particolare gli artt. 126 e  129  del  cit.  codice
che, rispettivamente, fissano la giurisdizione esclusiva del  giudice
amministrativo nella materia  e  disciplinano  la  tutela  anticipata
avverso  gli  atti  di   esclusione   dai   procedimenti   elettorali
preparatori,  lungi  dall'implicare  l'attrazione  nell'ambito  della
suaccennata  giurisdizione  di  controversie  attinenti   alla   fase
preparatoria delle elezioni politiche nazionali, confermano  come  il
legislatore   abbia   inteso   escludere   da   quell'ambito   simili
controversie; infatti, le citate disposizioni sono state emanate  dal
Governo in attuazione della legge n. 69 del 2009, art. 44, con cui al
medesimo Governo, delegato a  provvedere  al  riordino  del  processo
amministrativo   sul   contenzioso   elettorale,   era   stata   data
espressamente la facolta' d'introdurre la giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo nelle controversie concernenti  gli  atti  del
procedimento  preparatorio  per  l'elezione  delle  due  Camere   del
Parlamento: delega, tuttavia, non esercitata su questo punto,  avendo
il Governo deciso di  disciplinare  solo  il  contenzioso  elettorale
riguardante  le  consultazioni  amministrative,  quelle  regionali  e
quelle europee, ed avendo  invece,  quanto  alle  elezioni  politiche
nazionali, espressamente motivato nella relazione accompagnatoria  al
decreto delegato la propria scelta  di  non  innovare  la  situazione
preesistente, tenuto conto dei vincoli  temporali  posti  dal  citato
art. 61 Cost.; a questa scelta non e' verosimilmente estranea neppure
la  considerazione  che,  pur  se  nella  veste  formale  di   organo
amministrativo, l'Ufficio elettorale  centrale,  per  la  sua  stessa
composizione e per la sua collocazione, sul piano  sostanziale  offre
un livello di tutela per molti versi gia'  equiparabile,  nell'ambito
della fase preparatoria delle  elezioni,  a  quello  di  una  vera  e
propria tutela giurisdizionale"). 
15. Dodicesimo motivo: irragionevolezza delle soglie  di  accesso  al
Senato. 
    Ancora, i ricorrenti censurano  la  previsione  delle  soglie  di
sbarramento previste in misura piu' elevata per elezioni  del  Senato
rispetto a quelle della Camera  dall'art.  16,  comma  1,  lett.  b),
d.lgs. n. 533/1993, novellato dall'art. 4, comaa 7, legge n. 207/2005
e dall'art. 17, in base ai quali, in ciascun  ambito  regionale,  per
poter accedere alla ripartizione dei seggi  le  coalizioni  di  liste
debbono raggiungere almeno il 20% dei voti validi; le  singole  liste
facenti parte delle stesse coalizioni debbono conseguire almeno il 3%
dei voti validi, mentre le liste  non  coalizzate  devono  conseguire
almeno l'8% dei voti validi. Cio' premesso, essi  sostengono  che  le
superiori previsioni appaiono irragionevolmente diverse rispetto alla
Camera dei deputati, pregiudicando l'obiettivo della  governabilita',
per la possibilita' del raggiungimento di maggioranze diverse nei due
rami del Parlamento, in tal modo ponendosi in contrasto con gli artt.
1, 3, 48, comma 2, 49 e 51 Cost. e rendendo comunque  piu'  difficile
l'elezione al Senato, con irragionevole compressione del  diritto  di
elettorato passivo. 
    La questione appare non manifestamente infondata. 
    Gia' la Corte costituzionale, con  la  sentenza  n.  1/2014,  nel
dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 17, commi 2 e 4,
del d.lgs. n. 533 del 1993 (che disciplina il premio  di  maggioranza
per le elezioni del Senato della Repubblica, prevedendo che l'Ufficio
elettorale regionale, qualora la coalizione di  liste  o  la  singola
lista, che abbiano ottenuto il maggior numero di voti validi espressi
nell'ambito della circoscrizione, non abbiano conseguito almeno il 55
per cento dei seggi assegnati alla regione, assegni alle medesime  un
numero di seggi ulteriore necessario per raggiungere il 55 per  cento
dei seggi  assegnati  alla  regione)  ha  osservato  che,  nonostante
rientri nella discrezionalita' delle scelte  politiche  riservate  al
legislatore ordinario differenziare i sistemi elettorali dei due rami
del Parlamento, essa ha  tuttavia  il  dovere  di  verificare  se  la
disciplina   legislativa   violi   manifestamente   i   principi   di
proporzionalita' e ragionevolezza e, pertanto, sia lesiva degli artt.
1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost. 
    E' cio' che puo' sospettarsi nel caso in esame, nella  misura  in
cui  la  palese  diversita'  di  sistema  elettorale,  favorendo   la
formazione  di  maggioranze  parlamentari  non  coincidenti,  pur  in
presenza di una distribuzione del voto sostanzialmente omogenea tra i
due  rami  del  Parlamento,  "rischia   di   compromettere   sia   il
funzionamento della forma di  governo  parlamentare  delineata  dalla
Costituzione repubblicana, nella  quale  il  Governo  deve  avere  la
fiducia  delle  due  Camere  (art.  94,  primo  comma,  Cost.),   sia
l'esercizio  della  funzione  legislativa,  che   l'art.   70   Cost.
attribuisce collettivamente alla Camera ed al Senato" (in motivazione
la predetta sentenza) e, in  definitiva,  rischia  di  vanificare  il
risultato che si intende conseguire con un'adeguata stabilita'  della
maggioranza parlamentare e del governo. 
16.  Tredicesimo  motivo:  irragionevole  applicazione  della   nuova
normativa elettorale per la Camera  a  Costituzione  vigente  per  il
Senato. 
    I ricorrenti, per ultimo, si dolgono  che  l'art.  2,  comma  35,
legge n. 52/2015 (secondo cui le  disposizioni  di  cui  al  presente
articolo si applicano per le elezioni della  Camera  dei  deputati  a
decorrere dal 1° luglio 2016) si ponga in contrasto con gli artt.  1,
3, 48, comma 1, 49, 51, comma 1, 56, comma 1 Cost., nella  misura  in
cui, in caso di nuove elezioni a legislazione elettorale  del  Senato
invariata (pur essendo in itinere la riforma costituzionale di questo
ramo  del  Parlamento),  si  produrrebbe  una  situazione  di  palese
ingovernabilita', per la coesistenza di due diverse  maggioranze.  La
dedotta incostituzionalita' discenderebbe  dalla  mancata  previsione
del differimento dell'entrata in vigore della  legge  n.  52/2015  al
momento in cui verra' attuata la riforma costituzionale indicata. 
    Anche  tale  questione  (che  pur  involge  scelte  di  carattere
politico  rientranti  nella  responsabilita'  del   legislatore   che
sfuggono   al   sindacato   di   costituzionalita',   non   apparendo
irragionevoli due sistemi elettorali parzialmente  diversi  per  rami
del Parlamento che hanno differenti composizioni  e  caratteristiche,
pur  nell'attuale  sistema  di  bicameralismo   perfetto),   non   e'
manifestamente infondata, essendo anche rilevante  per  la  decisione
del presente giudizio, tenuto conto  delle  osservazioni  svolte  con
riguardo al dodicesimo motivo. 
17. Conclusioni. 
    In conclusione, ritenute manifestamente  infondate  le  questioni
prospettate ai motivi nn. 1, 2, 7, 8, 9, 10 ed 11, sono  rilevanti  e
non  manifestamente  infondate  le  questioni  di   costituzionalita'
sollevate nel giudizio, tutte incidenti sulle modalita' di  esercizio
della sovranita' popolare, aventi ad oggetto: 
        1. gli artt. 1, lett. a), d) ed e) della  legge  n.  52/2015;
l'art. 83, comma 1-5, e 84, comma 2 e 4,  d.p.r.  n.  361/1957,  come
sostituiti rispettivamente dall'art. 2,  comma  25  e  26,  legge  n.
52/2015, per violazione dell'art. 56, comma 1 e 4, Cost. 
        2. gli artt. 1, lett. f) legge n. 52/2015; 1, comma 2  e  83,
comma 1, 2, 3, 4 e 5, d.p.r. n. 361/1957, come  modificati  dall'art.
2, comma 1 e 25, legge n. 52/2015), per  violazione  degli  artt.  1,
comma 1 e 2; 3, comma 1 e 2; 48, comma 2; 49; 51, comma 1; 56,  comma
1 Cost. e art. 3 protocollo CEDU; 
        3. gli artt. 1, lett. g), legge n. 52/2015, 18-bis, comma  3,
primo periodo d.p.r. n. 361/1957, come modificato dall'art. 2,  comma
10, lett. c), legge n. 52/2015,  art.  19,  comma  1,  primo  periodo
d.p.r. n. 361/1957,  sostituito  dall'art.  2,  comma  11,  legge  n.
52/2015, 84, comma 1, d.p.r. n.  361/1957,  modificato  dall'art.  2,
comma 26 legge n. 52/2015, per violazione degli artt. 1, comma 1 e 2;
2; 48, comma 2; 51, comma 1; 56, comma 1 e 4 Cost. 
        4. gli artt. 16, comma  1,  lett.  b),  d.lgs.  n.  533/1993,
novellato dall'art. 4, comma 7, legge n. 207/2005 e dall'art. 17, per
violazione degli artt. 1, 3, 48, comma 2, 49 e 51 Cost. 
        5. l'art. 2, comma 35, legge n. 52/2015 per violazione  degli
artt. 1, 3, 48, comma 1, 49, 51, comma 1, 56, comma 1 Cost. 
    Non  si  ravvisa  l'esigenza  di  pubblicazione  del  dispositivo
dell'ordinanza  su   quotidiani   nazionali,   come   richiesto   dai
ricorrenti. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale di Messina, pronunciando sul ricorso ex art. 702-bis
c.p.c. iscritto al n. 6316/2015 R.G.; 
    1. Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni
di costituzionalita' sollevate dai ricorrenti, aventi ad oggetto: 
    a) gli artt. 1, lett. a), d) ed e) della legge n. 52/2015; l'art.
83, comma 1-5, e 84, comma 2 e 4, d.p.r. n. 361/1957, come sostituiti
rispettivamente dall'art. 2, comma 25 e  26,  legge  n.  52/2015,  in
relazione all'art. 56, comma 1 e 4, Cost. 
    b) gli artt. 1, lett. f), legge n. 52/2015;  1,  comma  2  e  83,
comma 1, 2, 3, 4 e 5, d.p.r. n. 361/1957, come  modificati  dall'art.
2, comma 1 e 25, legge n. 52/2015), in relazione agli artt. 1,  comma
1 e 2; 3, comma 1 e 2; 48, comma 2; 49; 51,  comma  1;  56,  comma  1
Cost. e art. 3 protocollo CEDU; 
    c) gli artt. 1, lett. g) legge n. 52/2015, 18-bis, comma 3, primo
periodo, d.p.r. n. 361/1957, come modificato dall'art. 2,  comma  10,
lett. c) legge n. 52/2015, art. 19, comma 1, primo periodo d.p.r.  n.
361/1957, sostituito dall'art. 2, comma 11,  legge  n.  52/2015,  84,
comma 1, d.p.r. n. 361/1957, modificato dall'art. 2, comma 26,  legge
n. 52/2015, in relazione agli artt. 1, comma 1 e 2; 2; 48,  comma  2;
51, comma 1; 56, comma 1 e 4 Cost.; 
    d) gli artt. 16, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 533/1993, novellato
dall'art. 4, comma 7, legge n. 207/2005 e dall'art. 17, in  relazione
agli artt. 1, 3, 48, comma 2, 49 e 51 Cost. 
    e) l'art. 2, comma 35, legge n. 52/2015 in relazione  agli  artt.
1, 3, 48, comma 1, 49, 51, comma 1, 56, comma 1 Cost.; 
    2.  Dispone  l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla   Corte
costituzionale; 
    3. Sospende il giudizio in corso; 
    4. Manda alla cancelleria: 
    a)  di  notificare  la  presente  ordinanza  al  Presidente   dei
Consiglio dei ministri nonche' di darne comunicazione  al  Presidente
del Senato  della  Repubblica  ed  al  Presidente  della  Camera  dei
Deputati; 
    b) di notificare la medesima ordinanza alle  parti  del  presente
giudizio, compreso il Pubblico Ministero; 
    c) di trasmettere  gli  atti,  comprensivi  della  documentazione
attestante  il  perfezionamento  delle  prescritte  comunicazioni   e
notificazioni, alla Corte Costituzionale. 
 
        Cosi' deciso  in  Messina,  nella  camera  di  consiglio  del
Tribunale, collegio per le cause  elettorali,  in  data  17  febbraio
2016. 
 
                Il Presidente est.: Giuseppe Minutoli