N. 17 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 8 marzo 2016

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria l'8 marzo 2016 (della Regione Veneto). 
 
Bilancio e contabilita' pubblica - Legge di stabilita' 2016  -  Norme
  riguardanti la sospensione per  l'anno  2016  dell'efficacia  delle
  leggi regionali e delle deliberazioni degli enti locali nella parte
  in cui prevedono aumenti dei tributi e delle addizionali attribuiti
  alle Regioni e agli Enti locali con legge dello Stato  rispetto  ai
  livelli di aliquote o  tariffe  applicabili  per  l'anno  2015;  la
  indisponibilita', nelle more dell'adozione dei decreti  legislativi
  attuativi della legge n. 124 del 2015, dei  posti  dirigenziali  di
  prima e seconda fascia delle amministrazioni pubbliche vacanti alla
  data  del  15  ottobre  2015  e  la  cessazione  di  diritto,   con
  risoluzione dei relativi contratti,  degli  incarichi  dirigenziali
  conferiti dopo il 15 ottobre 2015; il limite del 25 per  cento  del
  personale cessato nell'anno precedente per le  assunzioni  a  tempo
  indeterminato; la disciplina delle modalita' previste  in  caso  di
  mancato  raggiungimento  delle  intese  in  sede  di  rilascio  del
  provvedimento  autorizzatorio  per  le  infrastrutture  energetiche
  strategiche; la competenza dei Comuni in tema di  pianificazione  e
  programmazione territoriale circa le valutazioni  di  incidenza  di
  determinati interventi minori; i piani  di  rientro  dal  disavanzo
  sanitario; l'aggiornamento dei  livelli  essenziali  di  assistenza
  sanitaria; la rideterminazione del  livello  di  finanziamento  del
  fabbisogno  sanitario  nazionale  standard;  la  disciplina   degli
  istituti  di  ricovero  e  cura  a  carattere  scientifico  (IRCCS)
  pubblici e privati; le modalita'  e  l'entita'  del  concorso  alla
  finanza pubblica delle Regioni e delle Province  autonome  per  gli
  anni dal 2016 al 2019; l'attribuzione alle Province e  alle  Citta'
  metropolitane delle Regioni a statuto ordinario  di  un  contributo
  finalizzato al finanziamento delle  spese  connesse  alle  funzioni
  relative alla viabilita' e all'edilizia scolastica. 
- Legge 28 dicembre 2015, n. 208 ("Disposizioni per la formazione del
  bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge  di  stabilita'
  2016)"), art. 1, commi 26, 219, 228, 241, 363, 524, 525, 526,  527,
  528, 529, 531, 532, 533, 534, 535, 536, 553, 555,  568,  574,  680,
  681, 682 e 754. 
(GU n.16 del 20-4-2016 )
    Ricorso proposto dalla regione Veneto (C.F. 80007580279  -  P.IVA
02392630279), in persona del Presidente della Giunta regionale  dott.
Luca Zaia (C.F. ZAILCU68C27C9570),  autorizzato  con  delibera  della
Giunta regionale n. 160 del 23 febbraio 2016 (all. 1),  rappresentato
e difeso, per mandato a margine del presente atto,  tanto  unitamente
quanto   disgiuntamente,    dagli    avv.ti    Ezio    Zanon    (C.F.
ZNNZE157L07B563K) coordinatore dell'Avvocatura regionale, prof.  Luca
Antonini (C.F. NTNLCU63E27D869I) del Foro di  Milano  e  Luigi  Manzi
(C.F. MNZLGU34E15HS01V) del Foro di Roma, con domicilio eletto presso
lo studio di quest'ultimo  in  Roma,  Via  Confalonieri,  n.  5  (per
eventuali   comunicazioni:   fax   06/3211370,   posta    elettronica
certificata luigimanzi@ordineavvocatiroma.org), contro il  Presidente
del Consiglio  dei  ministri  pro  tempore,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e'  domiciliato
ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12 per  la  dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni della legge
n. 208 del 28 dicembre 2015 recante: «Disposizioni per la  formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge  di  stabilita'
2016)», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302  del  30  dicembre
2015 - Suppl. Ordinario n. 70: 
        1) articolo 1, comma 26; 
        2) articolo 1, comma 219; 
        3) articolo 1, comma 228; 
        4) articolo 1, comma 241; 
        5) articolo 1, comma 363; 
        6) articolo 1, commi 524, 525, 526, 527, 528, 529, 531,  532,
533, 534, 535 e 536; 
        7) articolo 1, commi 553 e 555; 
        8) articolo 1, comma 568; 
        9) articolo 1, comma 574; 
        10) articolo 1, commi 680, 681 e 682; 
        11) articolo 1, comma 754. 
 
                               Motivi 
 
1)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,   comma   26,   per
violazione degli articoli 3, 5, 32, 97, 117, III e IV  comma,  118  e
119 della Costituzione. 
    L'art. 1, comma 26,  sancisce  per  l'anno  2016  la  sospensione
dell'efficacia delle leggi regionali e delle deliberazioni degli enti
locali, nella parte in cui prevedono  aumenti  dei  tributi  e  delle
addizionali rispetto ai livelli di aliquote o tariffe applicabili per
l'anno 2015. 
    La disposizione quindi  blocca,  per  quanto  qui  interessa,  il
potere delle Regioni di' aumentare le aliquote dei  tributi  e  delle
addizionali rispetto a quelle deliberate, entro la data del 30 luglio
2015, per l'esercizio 2015. 
    Al contempo, pero', l'art. 1, ai  commi  553  e  555,  sottostima
l'impatto  finanziario  dei  nuovi  LEA  e,  al  comma  574,   riduce
drasticamente il livello  di  finanziamento  del  Servizio  sanitario
nazionale  cui  concorre  lo  Stato   per   il   2016   (si   vedano,
rispettivamente, i punti 6 e 8 del presente ricorso).  Diverse  altre
disposizioni (ad esempio i commi 67, 121 e 182), inoltre, riducono  -
vuoi introducendo imposte sostitutive, vuoi modificando  le  relative
discipline - le basi imponibili de tributi regionali  come  l'Irap  e
l'addizionale Irpef. 
    Da una parte,  dunque,  il  legislatore  statale  impedisce  alle
Regioni di aumentare le aliquote relative a tutti  i  tributi  propri
derivati,  dall'altra  sotto  finanzia  i  nuovi   LEA,   riduce   il
finanziamento del Fondo sanitario  e  rimodula  al  ribasso  le  basi
imponibili dei tributi propri derivati regionali. 
    E' evidente che  in  questo  contesto  normativo  le  Regioni  si
trovano a dover garantire il servizio sanitario regionale, anche  con
prestazioni aggiuntive (i nuovi LEA), con risorse statali  ridotte  e
insufficienti, venendo nel contempo  private  della  possibilita'  di
esercitare uno sforzo fiscale. 
    Risulta pertanto di immediata evidenza  l'irragionevolezza  e  la
mancanza di proporzionalita' della disciplina  dettata  dall'art.  1,
comma 26. 
    Ma vi e' di piu'. 
    A tale situazione gia' critica, si  aggiunge  la  previsione,  da
parte del comma 723, di pesanti  sanzioni  per  il  caso  di  mancato
conseguimento di un saldo non negativo, in termini di competenza, tra
le entrate finali e le spese finali da parte dell'ente. 
    In particolare, per quanto riguarda le Regioni, l'art.  1,  comma
723, stabilisce che nell'anno  successivo  alla  violazione:  «b)  la
regione e' tenuta a versare all'entrata  del  bilancio  dello  Stato,
entro sessanta giorni dal termine stabilito per la trasmissione della
certificazione  relativa  al  rispetto  del  pareggio  di   bilancio,
l'importo corrispondente allo  scostamento  registrato.  In  caso  di
mancato versamento si procede al  recupero  di  detto  scostamento  a
valere sulle giacenze depositate a qualsiasi titolo nei conti  aperti
presso la tesoreria statale. Trascorso  inutilmente  il  termine  dei
trenta giorni  dal  termine  di  approvazione  del  rendiconto  della
gestione per la trasmissione  della  certificazione  da  parte  della
regione, si procede al blocco di qualsiasi prelievo dai  conti  della
tesoreria statale sino a quando la certificazione non e' acquisita; 
    c) l'ente non puo' impegnare spese correnti, per  le  regioni  al
netto delle spese per la sanita', in misura superiore all'importo dei
corrispondenti impegni effettuati nell'anno precedente  a  quello  di
riferimento; 
    d)  l'ente  non  puo'   ricorrere   all'indebitamento   per   gli
investimenti; i mutui e i prestiti obbligazionari posti in essere con
istituzioni creditizie  o  finanziarie  per  il  finanziamento  degli
investimenti  o  le  aperture  di  linee  di  credito  devono  essere
corredati da apposita attestazione da cui  risulti  il  conseguimento
dell'obiettivo di cui al primo periodo relativo all'anno precedente. 
    L'istituto finanziatore o l'intermediario  finanziario  non  puo'
procedere al finanziamento o al collocamento del prestito in  assenza
della predetta attestazione; 
    e) l'ente  non  puo'  procedere  ad  assunzioni  di  personale  a
qualsiasi  titolo,  con  qualsivoglia  tipologia  contrattuale,   ivi
compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e  di
somministrazione,   anche   con   riferimento    ai    processi    di
stabilizzazione in atto. E'  fatto  altresi'  divieto  agli  enti  di
stipulare  contratti  di  servizio  con  soggetti  privati   che   si
configurino come elusivi della presente disposizione; 
    f) l'ente e' tenuto a rideterminare le indennita' di funzione  ed
i gettoni di' presenza del presidente, del sindaco e  dei  componenti
della  giunta  in  carica  nell'esercizio  in  cui  e'  avvenuta   la
violazione, con una riduzione del 30 per cento rispetto all'ammontare
risultante alla data del 30  giugno  2014.  Gli  importi  di  cui  al
periodo precedente sono acquisiti al bilancio dell'ente». 
    E' questo dunque il contesto complessivo  all'interno  del  quale
deve essere considerata la norma impugnata. 
    Lo scrivente patrocinio evidentemente non ignora  che  il  blocco
provvisorio dell'aumento  delle  addizionali  e  dei  tributi  propri
derivati, in precedenti occasioni, non e' stato ritenuto  illegittimo
dalla giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte  (sentt.  nn.  381/2004,
284/2009  e  298/2009).  E'  dirimente  pero'  evidenziare  che  tale
valutazione si inseriva in contesti normativi radicalmente diversi da
quello  attuale,  in  cui  non  solo  non  si   prefigurava   i)   un
definanziamento del Fondo sanitario e ii) un obbligo di  garanzia  di
nuovi LEA con un finanziamento evidentemente sottostimato,  ma  dove,
soprattutto, iii) nell'ambito del Patto di  stabilita'  interno  alle
Regioni veniva solo imposto un mero  tetto  di  spesa,  che,  sebbene
sanzionato in termini analoghi a quello attuale, rimaneva  del  tutto
indifferente (riguardando solo il versante della spesa e  non  quello
dell'entrata)  rispetto  alla  possibilita'  di  un  autonomo  sforzo
fiscale regionale. 
    Ora, invece, con il superamento del Patto di  stabilita'  interno
alle Regioni e' imposto un pareggio contabile  di  bilancio,  il  cui
mancato  conseguimento  -  che  comporta  sanzioni  come  il  divieto
dell'indebitamento per la spesa di investimento  -  potrebbe  trovare
direttamente causa nel blocco dell'autonomia fiscale  regionale,  che
appunto preclude  alle  Regioni  la  possibilita'  di  pareggiare  il
bilancio attraverso un proprio sforzo fiscale. 
    Di qui l'evidente irragionevolezza della norma che, da  un  lato,
impedisce uno sforzo fiscale,  dall'altro  lo  impone  in  quanto  i)
incrementa i LEA e ii) decrementa il finanziamento statale. 
    In altre parole, proprio  per  effetto  della  sospensione  della
possibilita' di manovra sui  tributi  propri  derivati  disposta  dal
legislatore statale, in contrasto con il principio autonomistico, con
il comma 26, la Regione potrebbe trovarsi esposta, se non  riduce  la
spesa per i servizi ai cittadini -  in  particolare  quella  relativa
alla  sanita',  che  costituisce  il  capitolo   piu'   rilevante   e
penalizzato dalle ultime manovre statali, a danno quindi del  diritto
alla salute -, al mancato conseguimento  del  suddetto,  pareggio  di
bilancio. 
    Si configura, quindi, con tutta evidenza una situazione normativa
profondamente diversa da quella  in  altre  occasioni  giudicata  non
illegittima  dalla  giurisprudenza  di  Codesta  Ecc.ma   Corte   che
determina il contrasto della disposizione con gli arti. 3, 5, 32 e 97
della Costituzione,  che  ridonda  sulle  prerogative  costituzionali
delle Regioni, con violazione, anche diretta, degli articoli 117, III
e IV comma, 118 e 119 Cost. 
2)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma   219,   per
violazione degli articoli 3, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della
Costituzione, nonche' del principio di leale  collaborazione  di  cui
agli articoli 5 e 120 della Costituzione. 
    Il comma 219  sancisce  -  nelle  more  dell'adozione  di  alcuni
decreti legislativi della c.d. legge  Madia  (Legge  n.  124/2015)  e
dell'attuazione di altre disposizioni della legge di  stabilita'  per
il  2015  (Legge  n.  190/2014)  -   l'indisponibilita'   dei   posti
dirigenziali  di  prima  e  seconda  fascia   delle   amministrazioni
pubbliche che risultano  vacanti  alla  data  del  15  ottobre  2015,
tenendo comunque conto del numero dei  dirigenti  in  servizio  senza
incarico o con incarico di studio e  del  personale  dirigenziale  in
posizione di comando, distacco, fuori ruolo o  aspettativa.  Prevede,
inoltre,  fatti  salvi  alcuni  casi   espressamente   previsti,   la
cessazione di diritto, con risoluzione  dei  relativi  contratti,  al
primo gennaio 2016 degli incarichi dirigenziali conferiti dopo il  15
ottobre 2015 e dispone che in ciascuna amministrazione possano essere
conferiti  incarichi  dirigenziali  solo  nel  rispetto  del   numero
complessivo dei posti resi indisponibili. 
    Poiche' la norma si applica alle amministrazioni pubbliche di cui
all'art. 1, comma 2, decreto legislativo  n.  165/2001  e  successive
modificazioni, essa interessa anche il personale  dirigenziale  delle
Regioni e, da questo punto di vista, si  pone  in  contrasto  con  la
Costituzione sotto molteplici profili. 
    Da un lato, infatti, occorre constatare che, benche' contenuta in
una legge di stabilita', la disposizione impugnata,  come  rileva  la
Relazione tecnica (1)  . non comporta infatti «effetti sui  saldi  di
finanza  pubblica»  e  pertanto  non   puo'   essere   legittimamente
annoverata tra gli interventi statali rivolti al coordinamento  della
finanza pubblica di cui al terzo comma dell'art. 117  Cost.  Inoltre,
essa presenta in ogni caso un carattere puntuale  ed  esaustivo,  che
non lascia alcuno spazio aperto  alla  autonomia  regionale,  perche'
definisce uno specifico temporale di applicazione, precise  categorie
dirigenziali incluse ed escluse, puntuali  conseguenze  sui  rapporti
gia' in essere. Pertanto, anche  a  volerla  ritenere  una  norma  di
coordinamento della finanza pubblica, riveste in ogni  caso  un  alto
grado di dettaglio, incompatibile con gli standard  minimi  richiesti
dalla giurisprudenza  di  Codesta  Ecc.ma  Corte  costituzionale  per
superare il test di costituzionalita' (ex plurimis  sentenza  n.  182
del 2011). 
    Dall'altro, la norma impugnata indebitamente incide sulla materia
«ordinamento  e   organizzazione   amministrativa»   delle   Regioni,
all'interno della quale «la costante giurisprudenza di questa  Corte»
(sentenza n. 149 del 2012) ha collocato  la  disciplina  dei  profili
«pubblicistico-organizzativi»  dell'impiego  pubblico,  che   «quindi
appartengono alla competenza legislativa residuale della Regione  (ex
multis, sentenze n. 63 del 2012, nn. 339 e 77 del 2011,  n.  233  del
2006, n. 2 del 2004)» (cfr., in termini analoghi, sentenza n. 100 del
2010). 
    Posto, inoltre, che la disciplina  impugnata  e'  stabilita,  per
quanto riguarda le Regioni, «Nelle  more  dell'adozione  dei  decreti
legislativi» attuativi degli articoli 11 («Dirigenza pubblica») e  17
(«Riordino  della  disciplina  del  lavoro  alle   dipendenze   delle
amministrazioni  pubbliche»)  della  c.d.  Legge   Madia,   si   deve
oltretutto constatare che  mentre  quest'ultima,  nelle  disposizioni
citate, perlomeno prevede  forme  di  concertazione  con  le  Regioni
(ancorche' insufficienti, tanto che la regione Veneto con il  ricorso
reg. ric. n.  94/2015 ha impugnato le citate disposizioni  dinanzi  a
Codesta Ecc.ma Corte), nella disciplina in oggetto manca invece  ogni
forma di raccordo con le stesse. 
    Per  i  motivi  sopra  indicati,   la   norma   impugnata,   data
l'interferenza  con  le  competenze  regionali,   evidentemente   non
risolvibile con il mero criterio  della  prevalenza  del  legislatore
statale, si pone in contrasto con gli articoli 117, III e IV comma, e
118 Cost., nonche' con il principio di leale  collaborazione  di  cui
agli articoli 5 e 120 Cost. 
    Ma non solo. 
    La disposizione impugnata si pone  in  contrasto  anche  con  gli
articoli 3 e 97 della  Costituzione,  dal  momento  che  fra  l'altro
determina una illegittima reformatio in peius del regime vigente  per
i dirigenti assunti  dopo  la  data  del  15  ottobre  2015  e  prima
dell'entrata in vigore della legge n. 208  del  2015,  colpiti  dalla
risoluzione  di  diritto  del  proprio  contratto,  con  una   palese
violazione del  principio  del  legittimo  affidamento  (cfr.  quanto
affermato da Codesta Ecc.ma Corte nella sentenza n. 160 del  2013)  e
del buon andamento della Pubblica amministrazione. Si realizza quindi
una  violazione  degli  articoli  3  e  97  Cost.,   che,   incidendo
sull'autonomia organizzativa della Regione, ridonda  in  una  lesione
delle competenze regionali di cui agli articoli 117, III e IV  comma,
e 118 Cost. 
3)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma   228,   per
violazione degli articoli 3, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della
Costituzione. 
    Il  comma  228  qui  censurato,  attraverso  il   richiamo   alle
amministrazioni di cui all'alt. 3, comma 5, decreto-legge n. 90/2014,
prevede che le Regioni e gli enti locali possano  procedere,  per  il
triennio 2016-2018, ad assunzioni di personale a tempo  indeterminato
di qualifica  non  dirigenziale  nel  limite  di  un  contingente  di
personale corrispondente, per ciascuno  dei  predetti  anni,  ad  una
spesa pari al 25% di quella relativa al  medesimo  personale  cessato
nell'anno precedente. 
    Con riferimento invece al personale collocato in mobilita'  degli
enti di area  vasta  destinato  a  funzioni  non  fondamentali  (come
individuato dall'art. 1, comma 421,  della  legge  n.  190/2014),  il
comma de quo prosegue confermando per questo le percentuali stabilite
dal succitato art. 3, comma 5, decreto-legge n. 90/2014 (ovvero:  80%
della spesa relativa al  personale  di  ruolo  cessato  dal  servizio
nell'anno precedente per gli anni 2016 e 2017 e 100% per il 2018). 
    La disposizione in esame, infine, dispone la disapplicazione  per
il biennio 2017-2018 della possibilita' di procedere ad assunzioni  a
tempo indeterminato nel limite  del  100%  della  spesa  relativa  al
personale  di  ruolo  cessato  dal  servizio  nell'anno   precedente,
prevista dall'art. 3, comma 5-quater, decreto-legge n.  90/2014,  per
Regioni ed enti locali «virtuosi» (ossia con un'incidenza delle spese
di personale sulla spesa corrente pari o inferiore al 25%; tra questi
rientra la regione Veneto, che registra una spesa  corrente  di  euro
10.203.628.274 e di euro 146.042.452 di spesa per il personale - dati
Copaff                                                          2014:
http://www.mef.gov.it/ministero/commissioni/copaff/documenti/I_bilanc
i_delle_regioni_in_sintesi_2014.pdf). 
    Il comma qui impugnato, quindi, blocca, per il biennio 2017-2018,
la possibilita' per le  Regioni  e  gli  enti  locali  «virtuosi»  di
procedere ad assunzioni a tempo indeterminato prescindendo dal limite
del 25% del personale cessato nell'anno precedente. 
    Anche per gli enti virtuosi varranno, dunque, i limiti di cui  ai
primi due periodi del comma 228, ovvero: i) 25% della  spesa  per  il
personale di ruolo cessato l'anno precedente per le nuove  assunzioni
e ii) fino al 2017 compreso, 80% di tale spesa per  il  personale  in
mobilita' (a decorrere dal 2018 il limite e innalzato al 100%). 
    Sebbene  finalizzata  alla  legittima   esigenza   di   assorbire
innanzitutto il personale riallocato degli enti di area  vasta,  tale
disposizione  di  coordinamento  della  finanza  pubblica  stabilisce
tuttavia un illegittimo automatismo legislativo, non proporzionato  e
incongruente sotto il profilo della  connessione  razionale  e  della
necessita', dal momento che  la  nonna,  senza  «tenere  conto  della
situazione dell'ente pubblico dal punto di vista della  dotazione  di
personale» (Corte cost. sent. n. 272 del 2015), limita  la  capacita'
organizzativa di una Regione «virtuosa» in  misura  non  giustificata
dall'esigenza di riassorbire il personale riallocato degli  enti  di'
area vasta. 
    Si realizza quindi una violazione degli articoli 3  e  97  Cost.,
che ridonda nella lesione dell'autonomia costituzionalmente garantita
alla Regione dagli articoli 117, III e IV comma, 118 e 119 Cost. 
4)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma   241,   per
violazione dell'art. 117, III e IV comma, 118  della  Costituzione  e
del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 della
Costituzione. 
    Il  comma  241  modifica  il  comma  3-bis   dell'art.   57   del
decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 4 aprile 2012, n. 35),  rubricato  «Disposizioni  per  le
infrastrutture  energetiche  strategiche,   la   metanizzazione   del
mezzogiorno e in tema di bunkeraggio». 
    Tale norma, nella versione previgente,  disponeva:  «In  caso  di
mancato raggiungimento delle intese, si provvede con le modalita'  di
cui all'art. 1, comma 8-bis, della legge  23  agosto  2004,  n.  239,
nonche' con le modalita' di cui all'art. 14-quater,  comma  3,  della
legge 7 agosto 1990, n. 241». 
    La disposizione che qui si impugna espunge dal disposto in  esame
le modalita' di cui all'art.  1,  comma  8-bis,  legge  n.  239/2004,
sicche' rimane, ad oggi, il solo riferimento alle  modalita'  di  cui
all'art. 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241. 
    Appare utile riportare il contenuto  dell'art.  1,  comma  8-bis,
legge  n.  239/2004,  che  disciplina  le  modalita'   per   superare
l'eventuale mancata espressione, da parte della Regione,  degli  atti
di assenso o di intesa,  qui  richiamati  in  sede  di  rilascio  del
provvedimento  autorizzatorio  per  le   infrastrutture   energetiche
strategiche. Tale norma recita infatti: «Fatte salve le  disposizioni
in materia di valutazione di impatto ambientale, nel caso di  mancata
espressione da parte delle amministrazioni regionali  degli  atti  di
assenso o di intesa, comunque denominati, inerenti alle  funzioni  di
cui  al  comma  8  del  presente  articolo,  entro  il   termine   di
centocinquanta giorni dalla richiesta nonche'  nel  caso  di  mancata
definizione dell'intesa di cui al comma 5 dell'art. 52-quinquies  del
testo unico di cui al  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  8
giugno 2001, n. 327, e nei casi di  cui  all'art.  3,  comma  4,  del
decreto legislativo  1°  giugno  2011,  n.  93,  il  Ministero  dello
sviluppo economico invita le medesime a provvedere entro  un  termine
non superiore a trenta giorni. In caso di ulteriore inerzia da  parte
delle amministrazioni  regionali  interessate,  lo  stesso  Ministero
rimette gli atti alla  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  la
quale, entro sessanta giorni dalla rimessione, provvede in merito con
la partecipazione della  regione  interessata.  Le  disposizioni  del
presente comma si applicano anche ai procedimenti  amministrativi  in
corso e sostituiscono il comma 6 del  citato  art.  52-quinquies  del
testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  327
del 2001». 
    E' evidente  che  la  soppressione  operata  dalla   disposizione
impugnata  elimina   un   meccanismo   diretto   ad   assicurare   il
coinvolgimento della Regione nell'ipotesi del  mancato  conseguimento
dell'intesa nella materia attinente a infrastrutture  e  insediamenti
energetici  strategici  (ovvero:  stabilimenti   di   lavorazione   e
stoccaggio di oli minerali;  depositi  di  oli  minerali;  oleodotti,
impianti per l'estrazione di energia geotermica), nonche' alle  opere
necessarie al trasporto,  allo  stoccaggio,  al  trasferimento  degli
idrocarburi. 
    Attenendo  quindi   alla   materia   «produzione,   trasporto   e
distribuzione nazionale  dell'energia»,  il  comma  241  si  pone  in
violazione della competenza regionale in materia di  energia  di  cui
all'art. 117, III e IV  comma,  e  118  Cost.  e  viola  altresi'  il
principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120  della
Costituzione. 
5)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma   363,   per
violazione degli  articoli  3,  97,  117,  III  e  IV,  e  118  della
Costituzione, nonche' del principio di leale  collaborazione  di  cui
agli articoli 5 e 120 della Costituzione. 
    Il comma 363, «al fine di rilanciare le  spese  per  investimenti
degli enti locali», dispone che i Comuni con popolazione superiore  a
20.000 abitanti, nel cui territorio ricadono interamente  i  siti  di
importanza  comunitaria  (S.I.C.),  effettuino  le   valutazioni   di
incidenza ex art. 5 del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
357/1997 di taluni interventi  minori.  Si  tratta,  in  particolare,
degli  interventi  di:   manutenzione   straordinaria,   restauro   e
risanamento  conservativo,  ristrutturazione  edilizia,   anche   con
incrementi volumetrici o di superfici coperte  inferiori  al  20  per
cento delle volumetrie o delle superfici coperte esistenti, opere  di
sistemazione esterne, realizzazione di pertinenze e volumi tecnici. 
    In questi termini la norma interviene in un ambito attinente  non
solo alla  tutela  dell'ambiente,  ma  anche  a  diverse  materie  di
competenza concorrente e residuale regionale  quali  il  governo  del
territorio, la  tutale  della  salute,  la  valorizzazione  dei  beni
ambientali, il turismo. 
    Si tratta quindi di un ambito «intrinsecamente  trasversale»,  al
cui riguardo Codesta Ecc.ma Corte ha evidenziato: «la materia  tutela
dell'ambiente  ha  natura   intrinsecamente   trasversale,   con   la
conseguenza che, in ordine alla  stessa,  si  manifestano  competenze
diverse che ben possono essere anche di tipo regionale» (sentenza  n.
398  del  2006),  precisando  che  alle  Regioni  e'  in  ogni   caso
riconosciuta, nell'esercizio delle loro competenze che interferiscano
con  la  tutela  dell'ambiente,  la  potesta'  di   determinare   una
elevazione del grado di tale tutela (sent. n. 93 del 2013). 
    La  disposizione  impugnata,  invece,  nel  fare   salve   alcune
previsioni del decreto del Presidente della Repubblica  n.  357/1997,
non  menziona  l'art.  5,  comma  5,  che  recita:  «Ai  fini   della
valutazione di incidenza dei piani e degli interventi di cui ai commi
da 1 a 4, le regioni e le province autonome, per  quanto  di  propria
competenza, definiscono le modalita' di  presentazione  dei  relativi
studi,  individuano  le  autorita'  competenti  alla  verifica  degli
stessi, da effettuarsi secondo gli indirizzi di cui all'allegato G, i
tempi  per  l'effettuazione  della  medesima  verifica,  nonche'   le
modalita'  di  partecipazione  alle  procedure  nel  caso  di   piani
interregionali». 
    Quest'ultima  disposizione  viene  quindi  derogata  dalla  norma
impugnata, la quale attribuisce invece  direttamente  ai  Comuni  con
popolazione superiore a 20.000 abitanti la competenza a effettuare la
valutazione di incidenza degli interventi «minori». 
    Proprio in attuazione del citato art. 5, comma 5, del decreto del
Presidente della Repubblica n. 357/1997 invece, la regione Veneto  ha
disciplinato compiutamente le verifiche di  incidenza  di  interventi
relativi -  tra  gli  altri  -  a  siti  di  importanza  comunitaria,
definendo gli aspetti procedurali e le  linee  di  indirizzo  per  la
stesura del documento di valutazione  di  incidenza,  dettando  linee
guida per  lo  svolgimento  di  dette  verifiche  e  individuando  le
autorita' competenti in materia. Con la D.G.R. n. 2299 del 2014 - con
la  quale  da  ultimo  e'  stata  disciplinata  la  procedura   della
valutazione di incidenza - la regione Veneto ha  infatti  rimesso  il
compito  di  effettuare  la  prescritta  valutazione   di   incidenza
all'autorita'  pubblica  competente   all'approvazione   del   piano,
progetto o intervento», ossia all'autorita' che di volta in volta  e'
competente ad approvare l'intervento il cui impatto sull'habitat deve
essere sottoposto a valutazione ai sensi del decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 357/1997. 
    E'  utile  peraltro  rilevare  che  la  disposizione  de  qua  e'
pressoche' identica alla norma contenuta nell'art. 57, comma 1, della
legge n. 221 del 28 dicembre 2015, entrata in vigore lo stesso giorno
della legge di stabilita' per il 2016. Sennonche' il suddetto art. 57
fa espressamente salva - a differenza dell'art. 1, comma  363,  della
legge di stabilita' per il 2016 - la facolta' delle  sole  Regioni  a
statuto speciale, e delle Province autonome di Trento e  di  Bolzano,
di riservarsi con apposita norma la competenza esclusiva  in  materia
(2) 
    La suddetta deroga non risulta quindi  disposta  a  favore  delle
Regioni a  statuto  ordinario,  che  risultano  invece  completamente
private  della  competenza   precedentemente   loro   attribuita   di
disciplinare la materia, individuando «le modalita' di  presentazione
dei relativi studi», «le autorita'  competenti  alla  verifica  degli
stessi», «i  tempi  per  l'effettuazione  della  medesima  verifica»,
«nonche' le modalita' di partecipazione». 
    Nel dispone l'assegnazione di detti compiti  ai  soli  Comuni  il
legislatore statale ha, peraltro, agito senza  nessun  coinvolgimento
delle Regioni, nonostante si versasse in un ambito che  indubbiamente
intreccia competenze anche regionali. 
    Sebbene Codesta Ecc. ma Corte abbia rilevato, nella sent.  n.  38
del  2015,  che  «la  disciplina  della  valutazione   di   incidenza
ambientale (VINCA) sulle aree protette ai  sensi  di  «Natura  2000»,
contenuta  nell'art.  5  del  regolamento  di  cui  al  decreto   del
Presidente  della  Repubblica  n.  357  del  1997,   deve   ritenersi
ricompresa nella «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», rientrante
nella competenza esclusiva statale», cio' era  funzionale,  nel  caso
deciso,  a   «escludersi   che   il   legislatore   regionale   possa
legittimamente adottare una disposizione come quella  in  esame,  che
esenta alcune tipologie di interventi dalla valutazione di  incidenza
ambientale, con conseguente affievolimento della tutela dell'ambiente
e dell'ecosistema». 
    Diverso e' l'obiettivo della nonna impugnata, solo finalizzata  a
«rilanciare le spese per investimenti degli  enti  locali»  e  quindi
senza alcuna considerazione, ne' degli interessi ambientali,  ne'  di
quelli, e'  tra  gli  altri,  del  governo  del  territorio  o  della
valorizzazione dei beni ambientali rimessi alla competenza regionale. 
    Da questo punto di vista la norma  dispone  una  irragionevole  -
interferenza, lesiva anche del principio del  buon  andamento  della.
Pubblica  Amministrazione,  con  le  competenze   e   la   discipline
regionali, non essendo per nulla  dimostrato  che  i  Comuni  possano
garantire, rispetto a quanto previsto dalla disciplina regionale, una
maggiore tutela  degli  interessi  complessivamente  coinvolti  nella
valutazione di incidenza ambientale. 
    Nei termini sopra illustrati, la disposizione di cui al comma 363
lede  dunque  gli  articoli  3  e  97  della  Costituzione,  con  una
violazione che ridonda sulle competenze regionali relative al governo
del territorio, alla valorizzazione dei beni ambientali, alla  tutela
della salute, al turismo di cui agli articoli 117, III e IV comma,  e
118 Cost.,  e  si  pone  in  contrasto  con  il  principio  di  leale
collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cast. 
6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi  524,  525,  526,
527, 528, 529, 531, 532, 533, 534, 535 e 536,  per  violazione  degli
articoli 3, 32, 97, 117, III e IV comma, 118, 119 e 123, nonche'  del
principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120  della
Costituzione. 
    Le disposizioni contenute  nei  commi  impugnati  impongono  alle
Regioni, anche a quelle non sottoposte a Piano di rientro in sanita',
complesse procedure di dettaglio relative all'adozione  e  attuazione
di piani di  rientro  e,  ancor  prima,  all'individuazione  di  enti
sanitari inefficienti e insufficienti all'erogazione  di  determinati
livelli di assistenza. 
    In particolare, il comma 524 dell'art. 1 prevede che  le  Regioni
individuino con apposito provvedimento della Giunta  regionale  entro
il 30 giugno di ciascun  anno  le  Aziende  Ospedaliere,  le  Aziende
Universitarie,  gli  istituti  di  ricovero  e   cura   a   carattere
scientifico pubblici o altri enti che erogano prestazioni di ricovero
e cura (ad eccezione delle ASL, per le quali i commi 535 e 536 recano
una disciplina parzialmente diversa) che soddisfino una o entrambe le
seguenti condizioni:  1)  scostamento  tra  costi  e  ricavi  pari  o
superiore al 10 per cento dei suddetti ricavi o, in valore  assoluto,
pari ad almeno 10 milioni di euro; 2) mancato rispetto dei  parametri
relativi a volumi, qualita' ed esiti delle cure. 
    In sede di prima applicazione, il successivo comma  525  anticipa
al 31 marzo 2016 il termine per operare l'individuazione  degli  enti
che  presentano  una  o  entrambe  le  condizioni   di   cui   sopra,
specificando quali dati utilizzare a tale scopo. 
    La metodologia di  valutazione  dello  scostamento  tra  costi  e
ricavi di cui al comma 524, gli ambiti assistenziali ed  i  parametri
di riferimento relativi a volumi, qualita' ed esiti delle cure  e  le
linee guida per la predisposizione dei piani di  rientro  degli  enti
sono definiti, ai sensi del comma 526, con decreto del Ministro della
Salute, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle  Finanze  e
sentita la Conferenza Stato-Regioni. 
    Al comma 527 viene fissato al 31 dicembre  2016  il  termine  per
provvedere   all'aggiornamento   previsto   dall'art.   34,   decreto
legislativo n. 118/2011 degli  schemi  di  contabilita'  allegati  al
medesimo decreto. 
    Il comma 528 introduce,  per  gli  enti  cosi  individuati  dalla
Regione, l'obbligo di presentare alla medesima un piano  di  rientro,
entro i novanta giorni successivi  all'emanazione  del  provvedimento
regionale di individuazione. Tale piano deve riguardare un periodo di
tempo non superiore al triennio e deve definire «le  misure  atte  al
raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario e patrimoniale e
al  miglioramento  della  qualita'  delle  cure   o   all'adeguamento
dell'offerta.» 
    Le Regioni non in piano di rientro valutano entro  trenta  giorni
l'adeguatezza  delle  misure,  la  coerenza  con  la   programmazione
sanitaria e approvano i piani con provvedimento della Giunta. I piani
cosi approvati sono immediatamente efficaci ed esecutivi (comma 529). 
    In base al comma 531, poi, la Regione  che  non  si  sia  avvalsa
della facolta' di istituire la gestione sanitaria accentrata ai sensi
dell'art. 19, comma 2, lett. b), punto i),  (decreto  legislativo  n.
118/2011 e dunque di gestire direttamente una quota del finanziamento
del  Servizio  sanitario  e'  tenuta  ora  a  istituirla  a   seguito
dell'approvazione del piano di rientro.  Quest'ultimo  deve  peraltro
essere comunicato  entro  cinque  giorni  dal  provvedimento  che  lo
approva ai tavoli tecnici di cui agli articoli  9  e  12  dell'Intesa
sancita in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano in  data  23
marzo 2005. La gestione sanitaria  accentrata  iscrive,  dunque,  nel
proprio  bilancio   una   quota   del   Fondo   sanitario   regionale
corrispondente alla somma degli eventuali scostamenti negativi di cui
ai piani di rientro. 
    Il successivo comma 532 precisa che gli interventi  previsti  nei
piani di rientro sono vincolanti per gli enti interessati  e  che  le
misure in essi contenute possono comportare effetti di variazione dei
provvedimenti amministrativi, ivi compresi quelli gia' adottati dagli
enti in materia di programmazione e pianificazione aziendale. 
    Alla Regione e' inoltre  demandato  il  compito  (comma  533)  di
verificare trimestralmente l'adozione e la realizzazione delle misure
previste dai piani di rientro. Qualora le verifiche trimestrali diano
esito positivo,  una  (non  meglio  precisata)  quota  delle  risorse
iscritte nella gestione sanitaria accentrata puo' essere  erogata,  a
titolo di anticipazione, agli enti de quibus.  In  caso  di  verifica
trimestrale negativa, invece, la Regione  adotta  le  misure  per  la
riconduzione in equilibrio della gestione, nel rispetto  dei  livelli
di assistenza, come  individuati  nel  piano  di  rientro  dell'ente.
Infine, al termine di  ogni  esercizio,  i  risultati  economici  dei
singoli enti devono  essere  pubblicati  sul  sito  della  Regione  e
raffrontati agli obiettivi del piano di rientro. 
    Il  comma  534  prevede  l'automatica  decadenza  del   direttore
generale  dell'ente  interessato  nei  seguenti  casi:   a)   mancato
adempimento dell'obbligo di trasmissione del  piano  di  rientro  (la
disposizione contiene - peraltro - un evidente errore  posto  che  fa
riferimento alla «mancata trasmissione del piano di rientro  all'ente
interessato»); b) esito negativo della verifica annuale  dello  stato
di attuazione del medesimo piano di rientro.  Piu'  precisamente,  la
disposizione prescrive che «tutti i contratti dei direttori generali,
ivi inclusi quelli in essere», prevedano tale  decadenza  automatica,
imponendo  l'ulteriore  onere  di  modificare  i  suddetti   rapporti
contrattuali. 
    A  decorrere   dal   2017,   la   disciplina   illustrata   trova
applicazione, ai sensi del comma 535, anche alle ASL  e  ai  relativi
presidi  a  gestione  diretta,  nonche'  agli  altri  enti   pubblici
(individuati da leggi regionali) che eroghino prestazioni di ricovero
e cura, qualora presentino «un significativo scostamento tra costi  e
ricavi ovvero il mancato rispetto dei parametri  relativi  a  volumi,
qualita' ed esiti delle cure». 
    La definizione dei parametri quantitativi e degli altri  elementi
che costituiscono le condizioni per l'adozione del piano  di  rientro
per i suddetti enti sono demandate, dal successivo comma 536,  ad  un
decreto del Ministro della Salute, da adottarsi di  concerto  con  il
Ministro  dell'Economia  e  delle  Finanze,  sentita  la   Conferenza
Stato-Regioni, entro il 30  giugno  2016.  La  medesima  disposizione
stabilisce, inoltre, che con successivo decreto  del  Ministro  della
Salute, di concerto con il Ministro dell'Economia  e  delle  Finanze,
d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, da adottarsi  entro  il  31
dicembre 2016, sono apportati i necessari aggiornamenti ai modelli di
rilevazione dei costi dei  presidi  ospedalieri  a  gestione  diretta
delle aziende sanitarie. 
    Tale  complesso  normativo,  mentre  non  presenta   profili   di
criticita' costituzionale in relazione alle  Regioni  assoggettate  a
piano di  rientro,  si  dimostra  chiaramente  lesivo  dell'autonomia
regionale nella misura in  cui  pretende  di  applicarsi  anche  alle
Regioni in equilibrio finanziario. 
    Il presupposto della applicazione dei piani di rientro,  infatti,
e' sempre stato - sia dall'art. 1, comma 180, della legge n. 311/2004
che nelle successive evoluzioni: legge n. 266/2005 (art. 1, commi 278
e 281), legge n. 296/06 (art. 1, comma 796, lett.  b),  decreto-legge
n. 159/2007 (art. 4), legge n. 191/2009 (art. 2, commi 80 e 95) - una
situazione  di  grave  disavanzo  dell'intero  comparto  della  spesa
sanitaria di una determinata Regione, che, comportando il rischio del
mancato rispetto dei vincoli di stabilita'  interni  ed  esterni,  ha
imposto la necessita' di un accordo con lo Stato al fine di vincolare
la Regione interessata sia al rientro dalla situazione di  disavanzo,
sia alla garanzia dei livelli essenziali di assistenza. 
    E' solo in presenza del presupposto di una  grave  situazione  di
disavanzo  nella  complessiva  spesa  sanitaria  di  una  determinata
Regione che la giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte ha  legittimato
l'inevitabile compressione dell'autonomia regionale che deriva  dalla
imposizione di un  piano  di  rientro,  le  cui  disposizioni  spesso
risultano molto piu' dettagliate di quanto  dovrebbe  essere  proprio
delle norme di principio. E'  solo  quindi  per  il  rischio  che  il
disavanzo si ripercuota sull'intero sistema finanziario nazionale che
il vincolo solidaristico, che lega tutti gli enti che compongono  uno
Stato unitario, impone a ciascuno di essi  di  accettare  limitazioni
della  propria  sfera  di  competenza   per   non   pregiudicare   il
raggiungimento degli obiettivi  comuni  e  il  rispetto  dei  vincoli
finanziari imposti a livello sia nazionale che europeo. 
    In assenza di una situazione di  grave  disavanzo  finanziario  o
addirittura in presenza  di  una  situazione  di  certificato  (dallo
stesso Stato) equilibrio finanziario (come  nel  caso  della  regione
Veneto: si veda il doc. n. 2, pag. 20) e addirittura nel caso di  una
Regione, come il Veneto, scelta dallo stesso Ministero  della  Salute
come una delle cinque Regioni benchmarck  al  fine  dell'applicazione
dei costi standard nella sanita', ai sensi dell'art. 27  del  decreto
legislativo n. 68/2011, (3) mancano, invece, del tutto i  presupposti
per cui il legislatore statale e' autorizzato ad intromettersi  nella
gestione della spesa sanitaria regionale fino ad  imporre  l'adozione
di piani di rientro, specificando in modo  arbitrario  i  livelli  di
scostamento tra costi e  ricavi  e  gli  altri  parametri  rivolti  a
vincolare singoli enti del Servizio sanitario regionale. 
    In  questo  caso  la  menomazione  della   competenza   regionale
destabilizza gravemente  l'equilibrio  complessivo  assicurato  dalla
Regione, all'interno della quale possono  esistere,  in  presenza  di
adeguate  ragioni,  particolari  e  singole  situazioni  di   Aziende
ospedaliere  in  disavanzo  (si  noti  bene)  non  inefficiente,   ma
giustificato, in questo particolare caso, da decisioni  rimesse  alla
autonomia politica regionale.  Un  esempio  per  chiarire:  l'Azienda
ospedaliera di Padova presenta  quasi  strutturalmente  un  disavanzo
annuo intorno ai 25 milioni di euro, ma e' dovuto  al  fatto  che  la
stessa rappresenta una eccellenza a livello  europeo  in  determinati
settori, come quello dei trapianti, con migrazioni sanitarie da tutta
Europa, cui fa fronte con D.r.g.  fissati  dal  Ministero  in  misura
notoriamente  sottostimata.  Si  tratta  quindi  di  una   situazione
particolarissima, dove il disavanzo  deriva  dalla  eccellenza  della
struttura e dalla sottostima dei D.r.g.. 
    Imporre a tale Azienda ospedaliera, come vorrebbero le norme  qui
impugnate, un piano di rientro fino a ridurre il disavanzo entro i 10
milioni di euro (piano di rientro il  cui  mancato  rispetto  sarebbe
oltretutto sanzionato  con  la  decadenza  automatica  del  direttore
generale)  produrrebbe  un  gravissimo  danno  al  sistema  sanitario
complessivo della Regione e alla capacita' di cura dello stesso,  con
lesione del  diritto  alla  salute,  in  quanto  la  Regione  sarebbe
costretta a depotenziare l'operativita' di una indubbia struttura  di
eccellenza nell'ambito delle alte specializzazioni. 
    Al  contrario,  nell'attuale  assetto,  senza  compromettere   la
situazione  di  equilibrio  del  comparto  complessivo  della   spesa
sanitaria regionale,  che,  come  detto,  risulta  certificato  dagli
stessi organi statali, la regione Veneto ha  potuto  identificare  un
punto di equilibrio  nella  programmazione  e  gestione  della  spesa
sanitaria, che consente di fare fronte al  deficit  non  inefficiente
dell'Azienda ospedaliera di Padova. 
    Il complesso meccanismo predisposto  dalle  norme  impugnate,  in
quanto applicabili anche alle  Regioni  non  sottoposte  a  piano  di
rientro, rappresenta quindi un maldestro ed inefficace  tentativo  di
spending   review   disposto   in   violazione   del   principio   di
proporzionalita', dal momento  che  difetta  la  stessa  legittimita'
dello scopo delle normative che  pretendono  di  applicarsi  anche  a
Regioni  in  equilibrio  finanziario,  rispetto  alle  quali  difetta
completamente il  presupposto  che,  invece,  ha  sempre  legittimato
l'imposizione di piani di rientro. Difettano poi anche la connessione
razionale  e  la  necessita',  dal  momento   che   sconvolgendo   la
programmazione regionale non e'  detto  che  la  misura  comporti  un
efficientamento qualitativo e quantitativo della spesa; piuttosto, e'
molto probabile, o addirittura certo in determinati casi come  quello
proposto, il contrario. 
    E' quindi del tutto  evidente  la  mancanza,  nelle  disposizioni
impugnate, degli standard minimi richiesti  dalla  giurisprudenza  di
Codesta   Ecc.ma   Corte   costituzionale   per    la    legittimita'
costituzionale delle norme statali  di  coordinamento  della  finanza
pubblica. 
    Come messo in rilievo in molteplici occasioni da Questa Corte, se
il  legislatore  statale  puo'  «con  una  disciplina  di  principio,
legittimamente  «imporre  agli  enti   autonomi,   per   ragioni   di
coordinamento   finanziario   connesse   ad   obiettivi    nazionali,
condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle  politiche
di bilancio,  anche  se  questi  si  traducono,  inevitabilmente,  in
limitazioni indirette all'autonomia di spesa  degli  enti»,  tuttavia
«questi vincoli possono considerarsi rispettosi dell'autonomia  delle
Regioni  e  degli  enti  locali   quando   stabiliscono   un   limite
complessivo,  che  lascia  agli  enti  stessi   ampia   liberta'   di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di  spesa»
(sentenze n. 217 del 2012, n. 182 del 2011, nonche' sentenze  n.  297
del 2009, n. 289 del 2008 e n. 169 del 2007) e «siano rispettosi  del
canone   generale    della    ragionevolezza    e    proporzionalita'
dell'intervento   normativo   rispetto   all'obiettivo    prefissato»
(sentenza n. 22 del 2014). 
    Nel caso di specie, invece, viene  meno  il  rispetto  di  quello
«spazio aperto all'esercizio dell'autonomia regionale»  (ex  plurimis
sentenza n. 182 del 2011) che costituisce  la  condizione  necessaria
perche' il coordinamento della finanza pubblica non si traduca in una
menomazione,   irragionevole   e   non   proporzionata    al    fine,
dell'autonomia politica  della  Regione  e  della  sua  capacita'  di
programmazione. 
    Non viene  inoltre  nemmeno  rispettato  il  principio  di  leale
collaborazione, dal momento che  i  decreti  diretti  a  definire  la
metodologia di valutazione dello scostamento tra costi e ricavi,  gli
ambiti assistenziali ed i parametri di riferimento relativi a volumi,
qualita' ed esiti delle cure e le linee guida per la  predisposizione
dei piani di rientro degli enti sono definiti,  ai  sensi  del  comma
526, con decreto del  Ministro  della  Salute,  di  concerto  con  il
Ministro dell'Economia e delle Finanze, solo «sentita», la Conferenza
Stato-Regioni, senza nemmeno che sia prevista un'intesa. Addirittura,
in relazione alle ASL e ai relativi presidi a gestione diretta,  tali
decreti dovranno definire i parametri - al cui verificarsi si  impone
l'obbligo  del  piano  di  rientro  -  di  un,  del  tutto  generico,
«significativo scostamento tra costi e ricavi», anche in questo  caso
solo «sentita» la Conferenza Stato-Regioni, entro il 30 giugno 2016. 
    Con riferimento specifico ai commi  524,  525  e  529  si  rileva
inoltre la violazione di quanto  stabilito  dalla  giurisprudenza  di
Questa Ecc.ma Corte (sentenza n.  293/2012  e,  nello  stesso  senso,
sentenze n. 387/2007, n. 95/2008 e  n.  22/2012)  in  relazione  agli
ambiti rimessi all'organizzazione interna della Regione, dal  momento
che impongono che l'individuazione degli enti inefficienti (di cui ai
commi 524 e 525) e. l'approvazione dei piani di rientro  (comma  529)
avvengano con «provvedimento della Giunta  regionale»,  posto  invece
che l'individuazione dell'organo regionale titolare di  una  funzione
amministrativa  rientra  nella  normativa  di   dettaglio   attinente
all'organizzazione interna della Regione. 
    Le norme impugnate si dimostrano, stante  quanto  sopra  esposto,
disposte in violazione degli articoli 3, 32 e 97 della  Costituzione,
la  cui  violazione  ridonda  nelle   competenze   costituzionalmente
garantite  alla  Regione  in  termini  di  autonomia  amministrativa,
legislativa, finanziaria e programmatoria; le stesse violano altresi'
gli articoli 117, III e IV comma, 118, 119 e 123 della  Costituzione,
nonche' gli articoli 5 e  120  della  Costituzione  con  riguardo  al
principio di leale collaborazione. 
7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 553  e  555,  per
violazione degli articoli 3, 32, 97, 117, II, III e IV comma,  118  e
119 della Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione
di cui agli articoli 5 e 120 Cost. e  degli  articoli  5,  lett.  g),
della legge cost. n. 1 del 2012 e 11 della legge n. 243 del 2013. 
    Il comma 553 prevede che all'aggiornamento dei livelli essenziali
di assistenza sanitaria di  cui  al  d.P.C.M.  29  novembre  2001  si
provveda entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge  di
stabilita', disponendo che  tale  aggiornamento  debba  avvenire  «in
misura non superiore a 800 milioni di euro annui». 
    Il comma 555 finalizza poi per l'anno 2016 lo stesso  importo  di
(soli) 800 milioni per  i  nuovi  Livelli  essenziali  di  assistenza
(LEA), facendone valere il finanziamento sulla quota  indistinta  del
fabbisogno sanitario standard nazionale. 
    Nel merito va precisato che non  e'  intervenuta  una  preventiva
Intesa sul relativo livello di finanziamento, in contrasto quindi con
quanto previsto dall'art.  10,  comma  7  del  Patto  per  la  Salute
2014-2016  (4)  e  che  l'istruttoria  e'  stata  contraddittoria   e
inadeguata. 
    Infatti: 
        i) lo stesso Ministro della Salute aveva  stimato  «adeguato»
per la revisione dei LEA uno stanziamento di 900 milioni di euro. (5) 
        ii) alle Regioni e'  stato  solo  presentato  uno  schema  di
decreto del Presidente del Consiglio  dei  ministri  del  2  febbraio
2015, integralmente sostitutivo del d.P.C.M. 29 novembre 2001 recante
«Definizione dei Livelli essenziali di  assistenza»,  ma  mai  si  e'
pervenuto ad una intesa in merito  alla  quantificazione  finanziaria
dei nuovi LEA e successivamente a  quella  data  non  e'  stata  piu'
sottoposta  alle  stesse  alcuna  ulteriore  versione  del   suddetto
decreto. 
    In definitiva, le suddette disposizioni stabiliscono, in modo del
tutto arbitrario e  persino  contraddittorio,  in  800  ml  l'importo
destinato all'aggiornamento dei LEA; inoltre, tale finanziamento  non
e' aggiuntivo, ma semplicemente quantifica le risorse nell'ambito del
finanziamento gia' predeterminato. 
    Sebbene poi la procedura di cui al comma  554  preveda  un'intesa
per l'emanazione del decreto, tuttavia, la  stessa  e'  vincolata  al
limite massimo di finanziamento  stabilito  (individuato  come  detto
senza alcuna forma di collaborazione con le Regioni) dal comma 553. 
    In questo modo, la  previsione  di  nuovi  LEA,  il  cui  impatto
finanziario e' quindi decisamente  sottostimato  (solo  a  titolo  di
esempio e' sufficiente, in questa sede, ricordare che la citata bozza
di d.P.C.M. stimava in 1 mln di euro l'importo  per  la  fecondazione
eterologa (6) quando la sola regione Sicilia aveva stanziato 3,8  mln
al riguardo  (7) non comporta, come invece dovrebbe, un finanziamento
aggiuntivo rispetto al concorso statale al finanziamento del Servizio
sanitario nazionale (SSN), ma avviene a valere sulla quota indistinta
dello stesso. 
    Se cio' e' conforme a quanto stabilito dall'art. 1, comma 3,  del
Patto per la Salute 2014-2016 (che prevede  che  l'aggiornamento  dei
LEA  avvenga  nell'ambito   delle   disponibilita'   complessivamente
considerate), in realta', considerata la pesante riduzione che l'art.
1 della legge di stabilita' al comma 568 (si veda il  punto  seguente
del ricorso) attua rispetto alla previsione  stabilita  nello  stesso
Patto di un livello di finanziamento pari a 115.444.000.000 euro  per
il 2016, e' evidente la sostanziale violazione di  quanto  concordato
tra Stato e Regioni: l'ammontare delle disponibilita' che  nel  Patto
avrebbe potuto sostenere i nuovi LEA e', infatti,  stato  ridotto  di
oltre 5 mld, peraltro anche violando le  procedure  di  concertazione
previste dallo stesso Patto  in  caso  di  variazione  degli  importi
originari. 
    E'  quindi  singolare  dover  constatare  che   l'occasione   per
l'aggiornamento dei livelli  essenziali  delle  prestazioni  (la  cui
determinazione e' stata prevista in Costituzione per  garantirne  una
tutela  a  livello  centrale)  sia  quindi  paradossalmente  divenuta
un'occasione  per  introdurre  ulteriori   misure   di   contenimento
finanziario in grado di compromettere quegli stessi livelli. 
    In cio' contraddicendo quanto affermato da Codesta  Ecc.ma  Corte
costituzionale nella sentenza n. 10  del  2016:  «la  quantificazione
delle risorse in modo funzionale e proporzionato  alla  realizzazione
degli  obiettivi  previsti   dalla   legislazione   vigente   diventa
fondamentale   canone    e    presupposto    del    buon    andamento
dell'amministrazione, cui lo  stesso  legislatore  si  deve  ottenere
puntualmente». 
    In questi  termini,  le  disposizioni  impugnate  si  pongono  in
contrasto,  per  irragionevolezza,  difetto  di  istruttoria   e   di
proporzionalita', con gli articoli 3, 32 e 97  Cost.,  contrasto  che
ridonda  in  una  violazione,   anche   diretta,   delle   competenze
legislative, amministrative e finanziarie regionali, nonche' con  gli
articoli 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione e  del
principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost. 
    Ma non solo. 
    Oltre che con i parametri gia' invocati, la  norme  impugnate  si
pongono in violazione con quanto dispongono rispettivamente l'art. 5,
lett. g), della legge cost. n. 1 del 2012 (Introduzione del principio
del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale) (8) e l'art.  11
della legge n. 243 del 2013 (Concorso dello  Stato  al  finanziamento
dei livelli essenziali  e  delle  funzioni  fondamentali  nelle  fasi
avverse del ciclo o al verificarsi di  eventi  eccezionali).  (9)  E'
evidente, infatti, che tali disposizioni rafforzano, perlomeno in via
di principio  e  pur  nella  dinamica  dell'equilibrio  di  bilancio,
l'impegno della Repubblica nella  garanzia  dei  livelli  essenziali,
riconosciuti come imprescindibile livello di  garanzia  dei  principi
fondamentali  di  eguaglianza   e   solidarieta'.   Tuttavia,   nella
disposizione  impugnata  non  solo  non  traspare   alcuna   verifica
effettuata al riguardo, ma le suddette nonne sono rimaste  pienamente
inattuate. Di qui il contrasto delle  disposizioni  impugnate  con  i
presupposti minimi che la dinamica dell'equilibrio di  bilancio  deve
in ogni caso considerare, con  evidente  ricaduta,  anche  in  questo
caso, sull'autonomia costituzionalmente  riconosciuta  alle  Regioni,
che subisce un definanziamento senza  che,  in  nessuna  sede,  siano
state  nemmeno  minimamente  prese  in  considerazione   le   ipotesi
specificate negli articoli di cui si denuncia la violazione. 
8)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma   568,   per
violazione degli articoli 3, 32, 97, 117, III e IV comma, 118  e  119
della Costituzione e del principio di  leale  collaborazione  di  cui
agli articoli 5 e 120 della Costituzione, nonche' degli  articoli  5,
lett. g), della legge cost. n. 1 del 2012 e 11 della legge n. 243 del
2013. 
    L'art.  1,  comma  568,  riduce,  senza   che   sia   previamente
intervenuta un'intesa in sede di Conferenza  Stato-Regioni  (10)   il
fabbisogno sanitario nazionale standard per  il  2016  fissandolo  in
111.000 milioni di euro,  quando  era  invece  stato  precedentemente
stabilito dalla legge di stabilita' 2015 (commi 167 e 556,  dell'art.
1, legge n. 190/2014) e dal  c.d.  decreto  legge  Enti  territoriali
(art.  9-septies,  decreto-legge  n.  78/2015)  che  il  livello   di
finanziamento del Servizio sanitario nazionale (SSN) cui concorre  lo
Stato per il 2016 fosse fissato in 113,097 milioni di euro. 
    E' opportuno precisare  che  il  fabbisogno  sanitario  nazionale
standard e' stato finora sempre determinato sulla base di un  sistema
di accordi tra Stato e Regioni, recepiti annualmente in  disposizioni
di legge. In particolare, l'Intesa del 10 luglio 2014 sul  Patto  per
la Salute per il triennio 2014-2016 ha definito il quadro finanziario
per il triennio di' vigenza e ha precisato,  all'art.  30,  comma  2,
che, in caso di modifiche degli importi relativi al finanziamento del
SSN, la stessa Intesa sul Patto per la Salute deve essere oggetto  di
revisione (11) 
    E'  quindi  dirimente  considerare  che,  per   quanto   riguarda
l'ammontare del fabbisogno sanitario nazionale standard, il Patto per
la Salute 2014-2016 aveva determinato il livello di finanziamento del
SSN a cui concorre lo Stato come segue: 109.928.000.000 euro  per  il
2014; 112.062.000.000 euro per il 2015; 115.444.000.000 euro  per  il
2016. 
    La legge di stabilita' per il  2015  (legge  n.  190/2014)  aveva
confermato il livello di finanziamento per il biennio  2015-2016  nei
suddetti termini: 112.062.000.000 euro per il  2015;  115.444.000.000
euro per il 2016. 
    Contestualmente, la legge di stabilita' per il 2015  aveva  anche
stabilito  che  l'ammontare  delle  risorse  destinate  alla  sanita'
potesse essere rideterminato in base al contributo aggiuntivo che  le
Regioni devono assicurare alla finanza pubblica  per  ciascuno  degli
anni dal 2015 al 2018. La stessa legge  di  stabilita'  per  il  2015
aveva, inoltre, previsto che gli ambiti di spesa da cui attingere  le
risorse necessarie all'ammontare del contributo aggiuntivo  avrebbero
dovuto essere individuati entro il 31 gennaio 2015 con una intesa  in
sede  di  Conferenza  Stato-regioni.  L'Intesa,  poi  sancita  il  26
febbraio 2015, ha previsto, con riferimento alla quota di  pertinenza
delle Regioni  a  statuto  ordinario,  una  riduzione  delle  risorse
destinate al SSN per circa 2.000 milioni di  euro  (12)  ma  solo  in
relazione all'anno 2015, per  cui  il  finanziamento  avrebbe  dovuto
assestarsi per il 2016 in 113.097 milioni di euro. 
    L'art. 1, comma  568,  che  qui  si  impugna,  anche  richiamando
disposizioni che la regione Veneto ha impugnato con  i  ricorsi  reg.
ric. n. 31/2015  e  n.  95/2015,  riduce  pertanto  in  via  (13)  in
contrasto con quanto stabilito dalla giurisprudenza di Codesta Ecc.ma
Corte costituzionale sul carattere necessariamente transitorio  delle
nonne che impongono obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica:
ex plurimis le sentenze nn. 79 del 2014, 193 del 2012, 148 del  2012,
232 del 2011 e 326 del 2010) e senza  che  sia  intervenuta  l'intesa
prescritta dall'art. 30, comma 2, del Patto per la  Salute  2014-2016
il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale  a  cui
concorre lo Stato, peraltro con un taglio meramente lineare  e  senza
alcuna considerazione ne' dei costi standard di cui agli articoli  da
25 a 32 del decreto legislativo n. 68 del 2011, ne'  dei  livelli  di
spesa di Regioni virtuose che hanno gia' raggiunto elevati livelli di
efficienza nella gestione della sanita'. 
    In questi termini, la norma, per nulla assistita  da  un'adeguata
istruttoria   sulla   sostenibilita'   del   definanziamento,    anzi
determinando assurdamente una contrazione delle risorse a  fronte  di
un aumento delle prestazioni da erogare (i  nuovi  LEA:  si  veda  il
punto precedente del ricorso), riduce sia in  termini  assoluti,  sia
rispetto  al  tendenziale  di  crescita  il   previsto   livello   di
finanziamento della principale competenza  attribuita  alle  Regioni,
determinando sia una ingente compromissione dell'autonomia  regionale
sia  la  compromissione  di  quell'inviolabile  diritto  alla  salute
(degradato quindi sullo stesso piano di altri interessi) che la spesa
sanitaria regionale e' diretta a tutelare. 
    La norma, peraltro,  e'  anche  destinata  ad  incidere  in  modo
permanente e indiscriminato non solo sulle realta' inefficienti, dove
puo' ritenersi esista ancora una possibilita'  di  razionalizzazione,
ma anche su quelle realta' efficienti, dove minimo e' il  livello  di
spreco  e  quindi  estremamente  complessa  la  possibilita'  di  una
ulteriore razionalizzazione della spesa senza mettere  a  repentaglio
la garanzia del diritto alla salute. 
    Al riguardo, come affermato da Codesta Ecc.ma Corte  nella  sent.
n. 10/2016, non resta che ricordare  che:  «in  assenza  di  adeguate
finti di finanziamento a cui attingere per soddisfare i bisogni della
collettivita' di riferimento in un quadro organico e complessivo,  e'
arduo  rispondere  alla   primaria   e   fondamentale   esigenza   di
preordinare, organizzare e qualificare  la  gestione  dei  servizi  a
rilevanza sociale da rendere alle popolazioni interessate.  In  detto
contesto, la quantificazione  delle  risorse  in  modo  funzionale  e
proporzionato  alla  realizzazione  degli  obiettivi  previsti  dalla
legislazione vigente diventa fondamentale canone  e  presupposto  del
buon andamento dell'amministrazione, cui  lo  stesso  legislatore  si
deve attenere puntualmente». 
    Altrimenti l'art. 3 della  Costituzione  risulta  anche  «violato
sotto il principio dell'eguaglianza sostanziale a causa dell'evidente
pregiudizio  al  godimento  dei  diritti   conseguente   al   mancato
finanziamento dei relativi servizi. Tale profilo di garanzia presenta
un carattere fondante nella tavola dei valori costituzionali»  (sent.
n. 10/2016). 
    Per quanto detto, si  realizza  una  arbitraria  violazione,  per
irragionevolezza e difetto di proporzionalita', degli articoli 3,  32
e 97 Cost., che ridonda in una violazione delle competenze regionali,
anche autonomamente considerate, di cui agli articoli 117, III  e  IV
comma, 118  e  119  della  Costituzione  e  del  principio  di  leale
collaborazione di cui agli arti. 5 e 120 Cost. 
    Ma non solo. 
    La  norma,  determinando  uno  scollamento  tra  un  livello   di
finanziamento che viene  pesantemente  ridotto  e  la  necessita'  di
garantire i livelli essenziali, la cui  quantificazione  e'  peraltro
avvenuta, come evidenziato nel punto precedente del presente ricorso,
in modo decisamente inadeguato e senza risorse  aggiuntive,  si  pone
altresi'    in    contrasto,    con    ricaduta    sulla    autonomia
costituzionalmente garantita  alla  Regione,  con  quanto  stabilisce
l'art. 5, comma 1, lett. g), della legge cost. n. I del 2012 e  l'art
11 della legge n. 243 del 2012 sulla necessita'  del  concorso  dello
Stato al  finanziamento  dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni
inerenti ai diritti sociali nelle fasi avverse del ciclo economico. 
    Se  infatti  esistono  fasi  avverse  del  ciclo  economico   che
impongono una restrizione del livello del finanziamento del  SSN  cui
concorre lo  Stato  (in  ogni  caso  illegittima  anche  perche'  non
proporzionata e comunque avvenuta senza  la  prescritta  intesa),  e'
altrettanto  evidente  che  nel  contempo  si  imporrebbe   perlomeno
l'attivazione del meccanismo previsto dalle suddette disposizioni. 
    Va aggiunto, infine, a ulteriore dimostrazione  della  violazione
del principio di leale collaborazione e del difetto  di  istruttoria,
che nessun coinvolgimento e' avvenuto della (pur istituita: la  prima
convocazione e' avvenuta il 10 ottobre  2013)  Conferenza  permanente
per il coordinamento della finanza pubblica,  il  cui  coinvolgimento
nella defmizione della manovre di finanza pubblica e' invece  imposto
dall'art. 5, comma 1, della legge  n.  42  del  2009  (che  attua  il
precetto costituzionale di leale collaborazione): «a)  la  Conferenza
concorre alla definizione degli obiettivi  di  finanza  pubblica  per
comparto, anche in relazione ai livelli di  pressione  fiscale  e  di
indebitamento; «e poi ribadito dall'art. 33 del  decreto  legislativo
n.  68  del  2011  che  la  definisce  quale  «organismo  stabile  di
coordinamento della finanza pubblica  fra  comuni,  province,  citta'
metropolitane, regioni e Stato». 
    9) Illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma  574,  per
violazione degli articoli 3, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della
Costituzione. 
    Il comma 574 modifica l'art. 15, comma 14,  del  decreto-legge  6
luglio 2012, n. 95, fra l'altro disponendo alla lett. b), che: «(...)
A  decorrere  dall'anno  2016,  in  considerazione  del  processo  di
riorganizzazione  del  settore  ospedaliero  privato  accreditato  in
attuazione di quanto previsto dal regolamento di cui al  decreto  del
Ministro della salute 2 aprile 2015, n. 70, al fine di valorizzare il
ruolo dell'alta specialita' all'interno del territorio nazionale,  le
regioni e le  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  possono
programmare l'acquisto di prestazioni di  assistenza  ospedaliera  di
alta specialita', nonche'  di  prestazioni  erogate  da  parte  degli
istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) a  favore
di cittadini residenti in regioni diverse da quelle  di  appartenenza
ricomprese  negli  accordi  per  la  compensazione  della   mobilita'
interregionale di cui all'art. 9 del Patto per la salute  sancito  in
sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni
e le province autonome di Trento e  di  Bolzano  con  intesa  del  10
luglio 2014 (atto rep. 82/CSR), e negli  accordi  bilaterali  fra  le
regioni per il governo della mobilita' sanitaria  interregionale,  di
cui all'art. 19 del Patto per la salute  sancito  con  intesa  del  3
dicembre 2009, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 3 del 5 gennaio
2010, in deroga ai limiti previsti dal primo periodo». 
    In  tal  modo,  la  disposizione   impugnata   interviene   nella
disciplina degli istituti di ricovero e cura a carattere  scientifico
(IRCCS), introducendo una irragionevole disparita' di trattamento tra
IRCCS privati e IRCCS pubblici, a pregiudizio di questi ultimi. 
    In via generale, la capacita' operativa degli IRCCS pubblici  e',
infatti, limitata dalle  numerose  disposizioni  di  spending  review
statale che contingentano la spesa di  tali  istituti,  imponendo  ad
essi di fatto un limite alla loro  capacita'  operativa.  Tra  queste
misure e' sufficiente  ricordare  le  disposizioni  sul  contenimento
della spesa farmaceutica, che, fin  dal  2002,  hanno  introdotto  al
riguardo tetti di spesa, sotto forma di percentuale sul finanziamento
complessivo, sia per la spesa farmaceutica territoriale, in tutte  le
sue forme (convenzionata,  diretta  e  per  conto),  sia  per  quella
ospedaliera. Segnatamente, l'art. 15 del decreto-legge n. 95/2012  ha
fissato tali percentuali rispettivamente al 13,1% e al  2,4%  per  il
2012 e all' 11,35% e al 3,5% a partire dal 2013. Ulteriori e notevoli
vincoli statali  per  le  strutture  pubbliche  sussistono,  poi,  in
materia  di  costo  del  personale:  l'art.   15,   comma   21,   del
decreto-legge citato, infatti,  prevede  il  rispetto  di  stringenti
tetti di spesa per  i[  personale.  Inoltre,  sussistono  altrettanto
gravosi limiti al turn over anche degli enti di ricerca (in  tema  si
veda l'art. 3, comma 2, decreto-legge n. 90/2014). 
    L'insieme di queste misure di spending review che condiziona  gli
IRCCS pubblici, invece, non si applica in alcun modo, data la  natura
non pubblica, agli IRCCS privati, che mantengono una  piena  liberta'
di spesa e organizzativa stante la loro natura privatistica. 
    Gli unici vincoli per gli IRCCS privati sono, invece,  costituiti
dai «tetti di spesa» derivanti dalla contrattazione con le Regioni  e
dalla misura di spending review che era  stata  introdotta  dall'art.
15, comma 14, del decreto-legge n. 95/2012, il quale  prevedeva  che:
«A tutti i singoli contratti e a  tutti  i  singoli  accordi  vigenti
nell'esercizio 2012,  ai  sensi  dell'art.  8-quinquies  del  decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, per l'acquisto  di  prestazioni
sanitarie  da   soggetti   privati   accreditati   per   l'assistenza
specialistica  ambulatoriale  e  per  l'assistenza  ospedaliera,   si
applica  una  riduzione  dell'importo  e  dei  corrispondenti  volumi
d'acquisto in misura percentuale fissa, determinata dalla  regione  o
dalla provincia autonoma, tale da ridurre la spesa complessiva annua,
rispetto alla spesa consuntivata per l'anno 2011, dello 0,5 per cento
per l'anno 2012, dell'1 per cento per l'anno 2013 e del 2 per cento a
decorrere dall'anno 2014. (...)». 
    La norma in questione,  dunque,  stabiliva  una  riduzione  della
spesa  annua  per  l'acquisto  di  prestazioni  da  soggetti  privati
accreditati, che, a decorrere dal 2014, sarebbe dovuta essere pari al
2% rispetto alla  spesa  consuntiva.  Tale  riduzione,  pero',  viene
derogata a partire dal 2016 ad opera del comma  574,  qui  impugnato,
che dispone il superamento del precedente tetto di  spesa  ammettendo
l'acquisto  di  prestazioni  di  assistenza   ospedaliera   di   alta
specialita', nonche' di prestazioni erogate da parte  degli  IRCCS  a
favore di  cittadini  residenti  in  Regioni  diverse  da  quelle  di
appartenenza «in deroga ai limiti previsti dal primo periodo», ovvero
in deroga ai limiti posti dall'art. 15, comma 14, primo periodo,  del
decreto-legge n. 95/2012. 
    Tale  modifica,  dunque,  se  prima  facie   appare   applicabile
genericamente a  tutto  il  sistema  degli  IRCCS  sia  pubblici  che
privati, in realta', mentre  mantiene  intatte  le  limitazioni  alla
spesa degli IRCCS pubblici prima ricordate, deroga  all'unico  limite
di spesa imposto dallo Stato a quelli privati.  In  questo  modo,  la
nonna  impugnata  determina  una  disparita'   di   trattamento   tra
situazioni ragionevolmente uguali e  dirotta  di  fatto  sugli  IRCCS
privati - maggiormente abilitati  ad  intercettarla  in  forza  della
rimozione del limite - la mobilita'  interregionale,  alla  quale  si
applicano i nuovi vincoli stabiliti dai previsti dall'art.  1,  commi
575 e 576, della legge qui impugnata. 
    In questi termini, si determina il contrasto con gli articoli 3 e
97 della Costituzione con una violazione che ricade sulle  competenze
regionali in materia di organizzazione  e  programmazione  sanitaria,
anche direttamente considerate, di cui agli articoli 117,  III  e  IV
comma, 118 e 119 della Costituzione. 
    10) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 680,  681  e
682, per violazione degli articoli 3, 32, 97, 117, III  e  IV  comma,
118, 119 Cost., del principio di leale  collaborazione  di  cui  agli
articoli 5 e 120 della Costituzione, nonche' degli articoli 5,  lett.
g), della legge cost. n. 1 del 2012 e 11 della legge n. 243 del 2013. 
    Le disposizioni di cui ai commi 680, 681  e  682  determinano  le
modalita' e  l'entita'  del  concorso  alla  finanza  pubblica  delle
Regioni e delle Province autonome per gli anni dal 2016 al 2019. 
    Piu'  precisamente,  il  comma  680  stabilisce  la  misura   del
contributo alla finanza  pubblica  delle  Regioni  e  delle  Province
autonome in 3.980 milioni di euro per l'anno 2017 e in 5.480  milioni
di euro per  ciascuno  degli  anni  2018  e  2019.  Rimette  all'auto
coordinamento regionale la facolta'  di  individuare  gli  ambiti  di
spesa da tagliare e i relativi importi, nel rispetto dei LEA, per poi
stabilire che l'accordo cosi' raggiunto sia recepito  con  intesa  in
sede di Conferenza Stato-Regioni entro il 31 gennaio di ciascun anno.
In caso di mancata intesa, si stabilisce che provveda il Governo  con
decreto  del  Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,   previa
deliberazione del Consiglio dei Ministri, da  adottarsi  entro  venti
giorni dalla scadenza dei termini per l'intesa,  assegnando  i  tagli
alle singole Regioni «tenendo anche conto della popolazione residente
e del PIL». Inoltre, in tal  caso  dovranno  essere  rideterminati  i
livelli di finanziamento degli  ambiti  di  spesa  individuati  e  le
modalita'  di  acquisizione  delle  risorse  da  parte  dello  Stato,
considerando anche le risorse destinate al finanziamento corrente del
SSN. 
    Il comma 681 estende anche al 2019 il contributo delle Regioni  a
statuto  ordinario  gia'  previsto  dall'art.  46,   comma   6,   del
decreto-legge n. 66/2014. E' appena il caso  di  precisare  che  tale
contributo,  stabilito  inizialmente  in  750  milioni  di  euro  per
ciascuno degli anni dal 2015 al 2017, e' stato esteso anche  al  2018
ed incrementato di 3,452 milioni di euro dalla  legge  di  stabilita'
per il 2015 (cfr. art. 1, comma 398, della legge n. 190/2014). 
    Il comma 682, sempre in  relazione  al  contributo  alla  finanza
pubblica richiesto alle Regioni ordinarie dall'art. 46, comma 6,  del
decreto-legge n. 66/2014 (cosi' come modificato dal comma 681 che qui
si impugna), stabilisce che per il 2016 le modalita' di realizzazione
del contributo dovranno  essere  concordate  in  sede  di  Conferenza
Stato-Regioni entro il 31 gennaio 2016. Anche in questa  ipotesi,  in
caso  di  mancata  intesa  troveranno  applicazione  le  disposizioni
contenute  nel  secondo  periodo  del  citato  art.  46,   comma   6,
decreto-legge n. 66/2014, vale a dire che gli importi attribuiti alle
singole Regioni e gli ambiti di spesa dovranno essere determinati con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottarsi entro
venti giorni dalla scadenza dei termini  dell'intesa,  tenendo  anche
conto del PIL e della popolazione residente. Con il medesimo d.P.C.M.
dovranno inoltre essere  rideterminati  i  livelli  di  finanziamento
degli ambiti di spesa individuati  e  le  modalita'  di  acquisizione
delle risorse da parte dello Stato. Per gli anni 2017 e 2018, invece,
la norma censurata precisa che si procedera' come stabilito al  comma
680. Lo stesso  comma  682  specifica  inoltre  che,  ai  fini  della
definizione delle modalita'  di  realizzazione  del  risparmio,  alla
cifra complessiva di 4.202 milioni di  euro  va  sottratta  la  cifra
corrispondente al risparmio realizzato  in  modo  permanente  con  il
taglio per  200  milioni  di  euro  del  finanziamento  del  Servizio
sanitario nazionale, attuato dagli articoli da 9-bis a 9-septies  del
decreto-legge n. 78/2015. 
    Le suddette disposizioni,  in  questi  termini  rappresentano  il
caotico precipitato di diverse manovre di taglio lineare  alla  spesa
regionale che  sono  gia'  state  impugnate  dell'odierna  ricorrente
avanti a Questa Ecc.ma Corte con i ricorsi reg. fic. n. 63 del  2014,
n. 31 del 2015 e n. 95 del 2015 (rispettivamente relativi a: articoli
8, commi 4, 6, 10, e 46, comma 6, del decreto-legge n. 66/2014;  art.
1, commi 398, lett. a), b) e c), 414 e 556, della legge n.  190/2014;
articoli 9-bis,  9-ter,  9-  quater  e  9-septies,  decreto-legge  n.
78/2015). 
    Esse risultano viziate per i motivi che di seguito si espongono: 
        i) L'eccessiva misura  e  mancanza  di  proporzionalita'  del
taglio disposto, al punto di costringere  materialmente  le  Regni  a
estendere, in sede di auto coordinamento, i tagli  anche  alla  spesa
sanitaria, dal momento che l'entita' degli stessi non trova  ormai  -
paradossalmente - capienza  all'interno  dell'ammontare  della  spesa
primaria (extra sanitaria)  per  beni  e  servizi  disponibile  delle
Regioni. Tale mancanza di proporzionalita' era  stata  gia'  peraltro
sottolineata, ben prima che si  susseguissero  le  altre,  ulteriori,
manovre, dalla Corte dei Conti nella delibera del 29  dicembre  2014,
«Relazione  sulla  gestione  finanziaria  degli  enti  territoriali»,
chiaramente rimarcando come al compatto degli enti  territoriali  sia
stato  richiesto  «uno  sforzo  di  risanamento   non   proporzionato
all'entita' delle loro risorse», in base a scelte andate «a vantaggio
degli altri comparti che compongono il  conto  economico  consolidato
delle amministrazioni pubbliche» e auspicando (ma  evidentemente  non
e' avvenuto) che  «futuri  interventi  di  contenimento  della  spesa
assicurino mezzi di copertura finanziaria in grado  di  salvaguardare
il corretto adempimento  dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni
nonche' delle funzioni fondamentali  inerenti  ai  diritti  civili  e
sociali». 
        ii) Il carattere meramente  lineare  dei  tagli  che  vengono
imposti alla spesa regionale, con una indebita interferenza in ambiti
inerenti a fondamentali diritti civili e soprattutto sociali (date le
competenze,  in  materia  di  sanita'  e   di   assistenza   sociale,
costituzionalmente assegnate alle Regioni), dove lo  Stato  dovrebbe,
invece, esplicare la propria fondamentale funzione  di  coordinamento
attraverso   la   determinazione   dei   livelli   essenziali   delle
prestazioni, che invece  in  relazione  ai  cd.  LIVEAS  non  e'  mai
avvenuta. 
        iii) Il difetto  di  istruttoria,  dal  momento  che  nessuna
verifica di sostenibilita' dei tagli e' stata  effettuata  a  livello
centrale, con l'effetto di  compromettere  l'erogazione  dei  servizi
soprattutto in quelle realta' regionali che hanno adottato  da  tempo
misure  di   contenimento   della   spesa   riducendola   a   livelli
difficilmente comprimibili ulteriormente senza arrecare un vulnus  al
sistema dei servizi sociali. 
        iv) La totale mancanza, nei criteri  di  riparto  del  taglio
sulla spesa sanitaria, ad ogni riferimento ai costi  standard,  tanto
piu' grave quanto si consideri che per il riparto del Fondo sanitario
nazionale, il decreto legislativo n. 68 del 2011, agli articoli da 25
a 32, impone l'espresso riferimento ai costi e ai fabbisogni standard
regionali. 
        v)  Lo  scollamento  che  si  realizza  tra  un  livello   di
finanziamento del fondo sanitario che viene  pesantemente  ridotto  e
una determinazione dei livelli essenziali che  e'  stata  rivista  da
parte dello Stato solo inserendo nuovi  LEA,  peraltro  evidentemente
sottostimati (si veda il p.to 6 del presente ricorso). 
        vi) L'elusione di quanto ripetutamente  disposto  da  Codesta
Ecc,ma Corte fin dalla sentenza n. 193 del 2012 sulla illegittimita',
per  violazione  dell'art.  119  Cost.,  di  «misure  restrittive  in
riferimento alle Regioni ordinarie, alle Province ed ai Comuni  senza
indicare un termine finale di operativita' delle misure  stesse»,  in
quanto possono essere ritenute principi fondamentali  in  materia  di
coordinamento della  finanza  pubblica,  ai  sensi  del  terzo  comma
dell'art. 117 Cost., le norme che «si limitino a porre  obiettivi  di
riequilibrio  della  finanza  pubblica,  intesi  nel  senso   di   un
transitorio contenimento complessivo, anche se  non  generale,  della
spesa  corrente  e  non  prevedano  in  modo  esaustivo  strumenti  o
modalita' per il perseguimento dei suddetti  obiettivi  (sentenza  n.
148 del 2012; conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del  2011  e  n.
326 del 2010)». La sentenza aveva quindi fissato in  un  triennio  il
limite temporale massimo delle manovre di  contenimento  della  spesa
pubblica a carico delle Regioni. E' evidente che  risulti  del  tutto
elusiva di questa giurisprudenza la tecnica  normativa  adottata  dal
legislatore statale consistente nel fissare un termine  triennale  ai
tagli, estendendolo poi, di anno in anno, con  successivi  interventi
normativi: tale tecnica, infatti, rende tamquan non esset quel limite
temporale   che   costituisce   la   condizione    di    legittimita'
costituzionale dell'intervento statale di coordinamento della finanza
pubblica.  Nel  caso  di  specie,  quindi,  le  nonne  impugnate   si
concretizzano: i) in un catalogo di tagli meramente lineari senza che
sia definito alcun criterio effettivo di sostanziale riforma; ii)  in
misure che di fatto assumono un carattere sostanzialmente permanente. 
        vii) L'arbitrarieta' e irragionevolezza della previsione,  in
caso di mancata intesa entro il  31  gennaio,  che  i  tagli  vengano
ripartiti dal Governo tenendo «conto della  popolazione  residente  e
del PIL» regionale, Tale previsione, infatti, indebolisce, in sede di
auto coordinamento, la posizione «contrattuale» delle Regioni con  un
PIL piu' elevato rispetto alle altre Regioni, La norma, peraltro, non
precisa in che misura verra' considerato, ai  fini  del  riparto,  il
criterio del PIL, e non  esclude  che  possa  essere  utilizzato  dal
Governo come criterio decisamente prevalente. Le Regioni con  un  PIL
piu'  elevato  quindi,  risultando  esposte  al  rischio   di   dover
accettare, in caso di mancata intesa, un maggiore impatto del taglio,
si vedono indebolite rispetto alla  possibilita'  di  contrastare  le
pretese avanzate dalle Regioni con un PIL meno elevato, che  potranno
imporre criteri di riparto del taglio a loro favorevoli. Tuttavia  le
Regioni  con  un  PIL  piu'  elevato  risultano  essere  quelle  piu'
efficienti sul lato della spesa pubblica, come  emerge  dalla  scelta
effettuata dal Ministero della Salute delle cinque regioni benchmarck
al fine dell'applicazione dei costi standard nella sanita', ai  sensi
dell'art. 27 del decreto legislativo n.  68/2011,  identificate,  per
l'anno 2014, nelle regioni Veneto, Emilia Romagna, Lombardia,  Marche
e Umbria (14) .Da questo punto di vista, l'utilizzo del criterio  del
PIL come parametro alternativo cui rapportare il taglio  in  caso  di
mancata intesa risulta del tutto irragionevole e lesivo del principio
di proporzionalita'. Esso infatti non si dimostra congruo rispetto ai
test  di  connessione  razionale  e  di  necessita':   una   semplice
valutazione sul rapporto mezzi-fini  e  sul  ricorso  al  mezzo  meno
restrittivo dimostra come sia stata, con tutta evidenza,  travalicata
la  logica  costituzionale  che  dovrebbe  presiedere  alla  funzione
statale di coordinamento della  spesa  pubblica,  dovendo  la  stessa
essere diretta a contenere innanzitutto  la  spesa  inefficiente  (la
c.d. spesa cattiva) prima che la e.d. spesa  buona  (che  finanzia  i
servizi ed e' funzionale alla garanzia dei diritti).  Lo  stesso  PIL
regionale, inoltre, non si traduce affatto in  una  isponibilita'  di
risorse a livello regionale, dai momento  che  alle  Regioni  vengono
assegnate: i) solo  una  quota  delle  compartecipazioni  ai  tributi
erariali riscossi sul territorio (si pensi ad  esempio  all'IVA,  che
peraltro ha una distribuzione regionale abbastanza uniforme su  tutto
il territorio nazionale); ii) tributi propri (che  nel  loro  insieme
costituiscono una parte senz'altro  inferiore  e  marginale  rispetto
alle prime); iii) quote del Fondo  perequativo  per  le  realta'  con
minore  capacita'  fiscale.  In  questi  termini  non  e'  per  nulla
dimostrato che una Regione «povera» in termini  di  PIL  disponga  di
risorse inferiori, a parita' di sforzo fiscale, di altre Regioni piu'
ricche in termini  di  PIL  (stante  appunto  la  configurazione  del
sistema di finanza decentrata  e  l'effetto  perequativo  ordinario).
Anzi, dai dati che emergono dal  rapporto  annuale  della  Ragioneria
Generale dello Stato del  2015  sulla  spesa  statale  regionalizzata
risulta l'esatto contrario, dal momento che le cinque Regioni in  cui
la spesa finale e' stata inferiore sono esattamente le cinque Regioni
assunte come benchmark per l'efficienza  della  spesa  sanitaria!  In
Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Marche e Umbria  la  spesa  finale
per abitante e' stata  pari  rispettivamente  a  euro  2.478,  2.960,
2.974, 3.041, 3.214;  invece,  ad  esempio  nelle  regioni  Calabria,
Campania, Abruzzo (in cui si registra un PIL  inferiore  alle  cinque
prima citate) e' stata invece  pari  rispettivamente  a  euro  4.132,
3.863, 4.920.  Infine,  quello  del  PIL  regionale  e'  un  criterio
profondamente diverso da quello della capacita' fiscale previsto come
unico criterio perequativo ordinario tra le autonomie territoriali ai
sensi del terzo comma dell'art. 119 Cost. e che consiste nel  gettito
standardizzato dei tributi  di  competenza  regionale.  Pertanto,  il
criterio che stabilisce un maggiore impatto del taglio sulle  Regioni
con un PIL piu' elevato non appare conforme al dettato costituzionale
anche sotto un altro punto di vista: esso  introduce  una  misura  di
perequazione implicita (dal momento che il taglio si  concretizza  in
una riduzione dei trasferimenti statali) in alcun modo riconducibile,
come ha affermato Codesta Ecc.ma Corte  nella  sentenza  n.  79/2014,
all'art. 119, III e V comma, Cost.  Infatti  prescindendo  dall'unico
criterio consentito (quello della capacita' fiscale), si realizza, in
tal modo, un indebito incameramento di risorse  spettanti  agli  enti
territoriali, che vengono genericamente assunte  nel  bilancio  dello
Stato e non destinate a quell'unica forma di perequazione  consentita
dal V comma dell'art.  119  Cost.,  ovvero:  i)  inerente  a  risorse
aggiuntive, ii) in relazione a determinate Regioni; 
        viii) La mancata attuazione del disposto dell'art.  5,  lett.
g), della legge cost. n. 1 del 2012 (Introduzione del  principio  del
pareggio di bilancio nella Carta costituzionale) e dell'art. 11 della
legge n. 243 del 2013 (Concorso  dello  Stato  al  finanziamento  dei
livelli essenziali e delle funzioni fondamentali nelle  fasi  avverse
del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali),  dal  momento  che
non risulta sia stato mai istituito nello  stato  di  previsione  del
Ministero  dell'Economia  e   delle   Finanze   il   previsto   Fondo
straordinario per il concorso dello Stato,  nelle  fasi  avverse  del
ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali,  al  finanziamento  dei
livelli essenziali delle prestazioni e  delle  funzioni  fondamentali
inerenti ai diritti civili e sociali. Di qui il  contrasto,  anche  a
prescindere dalle procedure applicative dell'art.  11  citato,  della
disposizione impugnata con  i  presupposti  minimi  che  la  dinamica
dell'equilibrio di  bilancio  deve  in  ogni  caso  considerare,  con
evidente ricaduta  sulla  autonomia  costituzionalmente  riconosciuta
alle Regioni. 
    Stante quanto  esposto,  risulta  evidente  che  le  disposizioni
impugnate travalicano la funzione del «coordinamento»  della  finanza
pubblica   e   si   concretizzano   in   misure   di   indiscriminato
«contenimento», cosi' risultando  pero'  prive  degli  indispensabili
elementi   di    razionalita',    proporzionalita',    efficacia    e
sostenibilita' che dovrebbero quantomeno  informare  la  funzione  di
coordinamento della finanza pubblica. 
    Inoltre, data l'entita' dei tagli attuati dal Governo sulla spesa
regionale,  assume  rilevo,  nella  valutazione  della   legittimita'
costituzionale dei commi qui impugnati, quanto  affermato  da  Questa
Ecc.ma  Corte  nella  sentenza  n.  188/2015:  «Le  possibilita'   di
ridimensionamento incontrano tuttavia dei limiti. Vale  in  proposito
il costante  orientamento  di  questa  Corte,  secondo  cui  «possono
aversi, senza violazione costituzionale, anche riduzioni  di  risorse
per la Regione ...,  purche'  non  tali  da  rendere  impossibile  lo
svolgimento delle sue funzioni. Cio' vale tanto piu' in  presenza  di
un sistema di finanziamento [che dovrebbe essere] coordinato  con  il
riparto delle funzioni, cosi' da fiar corrispondere il piu' possibile
[...] esercizio di funzioni e relativi oneri finanziari da  un  lato,
disponibilita' di risorse [...] dall'altro» (sentenza n. 138 del 1999
e, piu' di recente, sentenza n. 241  del  2012).  ...  Una  dotazione
finanziaria cosi' radicalmente ridotta, non accompagnata da  proposte
di riorganizzazione dei servizi o da  eventuale  riallocazione  delle
funzioni a suo tempo trasferite,  comporta  dunque  una  lesione  del
principio in considerazione. Cio' proprio in ragione del fatto che  a
determinarla non e' la riduzione delle risorse in se', bensi' la  sua
irragionevole percentuale, in assenza  di  correlate  misure  che  ne
possano giustificare il dimensionamento  attraverso  il  recupero  di
efficienza o una riallocazione di parte delle funzioni  a  suo  tempo
conferite» (cfr., inoltre, sent. n. 10/2016). 
    Di  qui  l'evidente  contrasto  delle  norme  impugnate  con  gli
articoli 3, 32,  97  Cost.,  che  ridonda  in  una  violazione  delle
competenze regionali indebitamente compresse  di  cui  agli  articoli
117,  III  e  IV  comma,  118  e  119   della   Costituzione,   anche
autonomamente considerati, del principio di leale  collaborazione  di
cui agli articoli 5 e 120 Cost., nonche' del disposto di cui articoli
5, comma 1, lett. g), della legge cost. n. 1  del  2012  e  11  della
legge n. 243 del 2013. 
    Va  aggiunto,  infine,  anche  in   questo   caso   a   ulteriore
dimostrazione della violazione del principio di leale  collaborazione
e del difetto di istruttoria, che nessun coinvolgimento  e'  avvenuto
della (pur istituita: la prima convocazione e' avvenuta il 10 ottobre
2013)  Conferenza  permanente  per  il  coordinamento  della  finanza
pubblica, il cui coinvolgimento nella definizione  della  manovre  di
finanza pubblica e' imposto dall'art. 5, comma 1, della legge  n.  42
del  2009  (in  attuazione  del  principio  costituzionale  di  leale
collaborazione): «a) la Conferenza concorre  alla  definizione  degli
obiettivi di finanza pubblica per comparto,  anche  in  relazione  ai
livelli di pressione fiscale e di  indebitamento;»  e  poi  ribadito,
dall'art. 33 del decreto legislativo n. 68 del 2011 che la  definisce
quale «organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica  fra
comuni, province, citta' metropolitane, regioni e Stato». 
11)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  754,   per
violazione degli articoli 3, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della
Costituzione, nonche' degli articoli 5 e 120 della  Costituzione  per
violazione del principio di leale collaborazione. 
    Il comma 754 attribuisce un contributo a  favore  di  Province  e
Citta' metropolitane delle Regioni a statuto  ordinario  «finalizzato
al finanziamento delle spese connesse  alle  finzioni  relative  alla
viabilita' e all'edilizia scolastica.» 
    L'importo complessivo di tale contributo e' pari a 495 milioni di
euro per l'anno 2016, 470 milioni di euro per ciascuno degli anni dal
2017 al 2020 e 400 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2021. 
    Il contributo e' cosi' ripartito: a favore  delle  Province,  245
milioni di euro per l'anno 2016, 220 milioni  di  euro  per  ciascuno
degli anni dal 2017 al 2020 e 150 milioni di curo annui  a  decorrere
dall'anno 2021. A favore  delle  Citta'  metropolitane,  sono  invece
destinati 250 milioni di curo a decorrere dal 2016. 
    Per il riparto del contributo tra gli enti, la nonna rinvia ad un
decreto del  Ministro  dell'interno,  di  concerto  con  il  Ministro
dell'economia e delle finanze e il Ministro delegato per  gli  affari
regionali, da  adottarsi  entro  il  28  febbraio  2016,  sentita  la
Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali, che dovra' anche  tenere
conto degli  impegni  relativi  alle  voci  di  spesa  connesse  alle
funzioni di viabilita' ed edilizia  scolastica,  come  desunti  dagli
ultimi tre rendiconti disponibili. 
    Sebbene   la   diposizione   stanzi   risorse   in   un   settore
effettivamente  in  grave  sofferenza  e  nel  quale  e'   senz'altro
necessario intervenire prontamente, essa si presenta tuttavia viziata
sotto diversi profili, che ne inficiano anche la stessa efficacia. 
    L'edilizia scolastica, infatti, rientra per  espressa  ammissione
di Codesta Ecc.ma Corte costituzionale, nella competenza  concorrente
(sent. n. 62 del 2013) in virtu' dell'intersecarsi in tale ambito  di
diverse competenze, come il «governo del territorio», la  «protezione
civile», l'istruzione», ecc. 
    Difatti, la legislazione nazionale  riconosce  alle  Regioni  una
esplicita competenza programmatoria e di coordinamento con l'art.  4,
comma 1-ter, della  legge  n.  23  del  1996  (Norme  per  l'edilizia
scolastica) (15) 
    Anche l'art. 10, del decreto-legge n. 104  del  2013  (Mutui  per
l'edilizia scolastica e per l'edilizia residenziale  universitaria  e
detrazioni fiscali), piu' recentemente ha  confermato  la  necessita'
dell'intervento delle Regioni  in  materia  di  edilizia  scolastica,
prevedendo  la  necessita'  di  un'intesa  in  sede   di   Conferenza
unificata. 
    La disposizione censurata,  con  riferimento  alle  modalita'  di
ripartizione delle risorse de quibus, prescinde,  invece,  totalmente
dal coinvolgimento delle Regioni, dal momento  che  prevede  che  sia
solo «sentita la conferenza Stato-citta' e autonomie locali»,  quando
invece  la  potesta'  programmatoria  riconosciuta  in  materia  alle
Regioni imponeva la previsione di un'intesa  in  sede  di  Conferenza
unificata (cfr. senta n.  62  del  2013  dove  Codesta  Ecc.ma  Corte
afferma che: «Deve, inoltre, sottolinearsi che l'art.  53,  comma  1,
prevede, ai fini dell'approvazione del piano di  edilizia  scolastica
da parte del CIPE, il massimo coinvolgimento delle  Regioni  mediante
il meccanismo dell'intesa. Gli interessi regionali,  dunque,  trovano
adeguata tutela»). 
    Ne' vale obiettare che l'art. 1, comma 85, della legge n. 56/2014
elenca, tra le funzioni fondamentali delle Province (e di conseguenza
delle Citta'; Metropolitane in forza del rimando di cui al  comma  44
dell'art. 1 della legge n. 56 del 2014)  la  «gestione  dell'edilizia
scolastica», facendo, pertanto, venir meno qualsiasi riferimento alle
scuole secondarie superiori prima stabilito  dall'art.  3,  comma  1,
lett. b), della citata legge n. 23/1996  (16) 
    E'  infatti  chiaro  che  la  suddetta  novella  non  ha  affatto
attribuito alla sola  competenza  delle  Province  tutta  la  materia
dell'edilizia scolastica. Difatti, come concludono anche ANCI  e  UPI
nel documento predisposto il 3 luglio 2014 (17) e come viene peraltro
messo in luce dal Dossier legge di stabilita' 2016 redatto a cura del
Servizio studi di Camera e Senato (18) , da una  lettura  sistematica
delle disposizioni sulle funzioni fondamentali  dei  Comuni  e  delle
Province, si evince che restano  in  capo  alle  Province  (solo)  le
competenze in materia  di  gestione  dell'edilizia  scolastica  delle
scuole secondarie di secondo grado. 
    Delineato in questi termini il quadro competenziale in materia di
edilizia scolastica, appare evidente che la norma impugnata prescinde
in modo del tutto irragionevole dalle competenze regionali in materia
di programmazione e coordinamento dell'edilizia scolastica, che  sole
potrebbero  permettere  una  -  gestione  -  dei  fondi  organica   e
funzionale  alle  effettive  e   complessive   esigenze   dell'intero
territorio regionale,  configurando,  conseguentemente,  una  lesione
degli articoli 3, 97 117, III e IV  comma,  118  Cost.,  nonche'  del
principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost. 
    Ma vi e' di piu'. 
    La  norma  impugnata,   infatti,   stabilendo   un   vincolo   di
destinazione «al finanziamento delle  spese  connesse  alle  funzioni
relative alla  viabilita'  e  all'edilizia  scolastica»,  si  pone  -
secondo la costante giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte  (sentenze
n. 79 del 2014, n. 273, n. 254 e n. 46 del 2013, n. 176 e n.  71  del
2012), ribadita anche  di  recente  nella  sent.  n.  189/2015  -  in
violazione dell'art. 119 della Cost., dal momento che il  contributo:
i) finanzia il normale  esercizio  delle  funzioni;  ii)  si  rivolge
indistintamente a tutte le Province e Citta' metropolitane. 
    La  circostanza  rende  ancora  piu'  evidente   l'illegittimita'
costituzionale derivante dal mancato  coinvolgimento  delle  Regioni,
dal momento che, stante l'indubbio intreccio di competenze,  solo  la
previsione  di  un'intesa  nell'ambito  della  Conferenza   unificata
varrebbe  a  rendere  costituzionalmente  legittimo,  in  virtu'  del
processo  di  concertazione   e   condivisione,   il   contributo   a
destinazione vincolata (in tal senso, sentt. nn. 16 del 2010, 79  del
2011, 201 del 2007, 219 del 2005 e 50 del 2005). 
    Peraltro Codesta Ecc.ma Corte «ha  dichiarato  costituzionalmente
illegittime norme che disciplinavano i criteri e le modalita' ai fini
del riparto o della riduzione di fondi e trasferimenti  destinati  ad
enti territoriali, nella misura in cui, rinviando a fonti  secondarie
di attuazione, non prevedevano «a monte» lo strumento dell'intesa con
la Conferenza unificata non solo in caso  di  intreccio  di  materie,
riconducibili alla  potesta'  legislativa  statale  e  regionale  (ex
plurimis, sentenza n. 168 del 2008), ma anche  in  caso  di  potesta'
legislativa regionale residuale (ex  plurimis,  sentenze  n.  27  del
2010; nonche', in specifico riferimento al trasporto pubblico locale,
n. 222 del 2005), affermando costantemente la necessita'  dell'intesa
(tra le tante, sentenze n. 182 e n. 117 del 2013)» (sent. n. 273  del
2013). 
    Per le ragioni suesposte, la disposizione di cui al comma 754  si
pone in contrasto con gli articoli 3,  97,  la  cui  lesione  ridonda
nella violazione delle competenze regionali di cui agli articoli 117,
III e IV comma, 118 e 119  Cost.,  anche  autonomamente  considerati,
nonche' con il principio di leale collaborazione di cui agli articoli
5 e 120 Cost. 

(1) Cfr. Relazione tecnica alla legge di stabilita' 2016 -  legge  28
    dicembre  2015,   n.   208,   scaricabile   al   seguente   link:
    http://www.rgs.mef.gov.it/Documenti/VERSIONE-I/Attiviti/Bilancio_
    di_previsione/Legge_di_stabilit/2016/RT_definitiva
    AS_2111-B_Legge_di stabilita_2016.pdf., pag. 66 

(2) Art. 57, comma 1, legge n. 221 del 28 dicembre 2015: «Al fine  di
    semplificare  le  procedure  relative  ai  siti   di   importanza
    comunitaria, come definiti dall'art. 2, comma 1, lettera m),  del
    regolamento di cui al decreto del Presidente della  Repubblica  8
    settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni,  fatta  salva
    la facolta' delle regioni e delle province autonome di  Trento  e
    di Bolzano di  riservarsi,  con  apposita  norma,  la  competenza
    esclusiva, sono effettuate dai comuni con popolazione superiore a
    20.000 abitanti, nel cui territorio ricade internamente il  sito,
    le valutazioni  di  incidenza  dei  seguenti  interventi  minori:
    manutenzione straordinaria, restauro e risanamento  conservativo,
    ristrutturazione edilizia, anche con incrementi volumetrici o  di
    superfici coperte inferiori al 20 per cento  delle  volumetrie  o
    delle superfici coperte esistenti; opere di sistemazione esterne,
    realizzazione  di  pertinenze  e  volumi   tecnici.   L'autorita'
    competente  al  rilascio   dell'approvazione   definitiva   degli
    interventi di cui al presente comma provvede entro il termine  di
    sessanta giorni». 

(3) Emerge, infatti, dalla  nota  metodologica  del  Ministero  della
    Salute  del  21  giugno  2013,  applicativa  della  delibera  del
    Consiglio dei Ministri 11 dicembre 2012, recante «Definizione dei
    criteri  di  qualita'  dei  servizi  erogati,  appropriatezza  ed
    efficienza per la scelta delle regioni  di  riferimento  ai  fini
    della determinazione dei costi  e  dei  fabbisogni  standard  nel
    settore sanitario», pubblicata nella  Gazzetta  Ufficiale,  Serie
    generale, n. 135 dell'11 giugno 2013, che le  Regioni  benchmarck
    sono state identificate nelle  regioni  Veneto,  Emilia  Romagna,
    Lombardia, Marche e Umbria. 

(4) Patto della salute 2014 - 2016, art. 10, comma 7: «Con il decreto
    del  Ministro  della  salute,  di  concerto   con   il   Ministro
    dell'economia e delle finanze, d'intesa con la  Conferenza  Stato
    Regioni, da adottarsi entro il  31  dicembre  2014,  si  provvede
    all'aggiornamento del  decreto  del  12  dicembre  2001,  di  cui
    all'art.  9,  comma  1  del  decreto  legislativo  n.  56/2000  e
    all'approvazione della metodologia di monitoraggio del sistema di
    garanzia per il monitoraggio dell'assistenza sanitaria». 

(5) Cfr. audizione del Ministro Lorenzin in 12a Commissione al Senato
    del 2 ottobre  2015  (http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame
    jsp?tipodoc=SommComm&leg= I 7&id=94043 3). 

(6) Cosi Relazione tecnica allo Schema di decreto del Presidente  del
    Consiglio dei ministri  recante  Nuova  definizione  dei  divelli
    essenziali di assistenza sanitaria, 2 febbraio 2015,  p.  16.  Il
    documento     e'     scaricabile      al      seguente      link:
    http://www.osservatorioaic.it/1-abbandono-deilea-alle-regioni-pma
    -e-ivg-084.html.  

(7) Si veda il decreto dell'Assessore per  la  Salute  della  Regione
    siciliana del 15 aprile 2015, recante «Modifiche ed  integrazioni
    del  decreto  28  gennaio  2015  concernente   tariffe   per   le
    prestazioni  di  fecondazione  eterologa  e  relative  quote   di
    compartecipazione» (pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
    Regione siciliana, parte 1, n. 18 del 30 aprile 2015), reperibile
    al                         seguente                         link:
    http://www.gurs.regione.sicilia.it/Gazzette/g15-18/g15-18.pdf
    L'art. 1 del decreto stabilisce infatti: «Per quanto indicato  in
    premessa, che qui si intende integralmente riportato, si  dispone
    la ripartizione della somma di € 3.800.000,00, nella misura sotto
    riportata,  alle  aziende  sanitarie  provinciali   di   Palermo,
    Catania, Caltanissetta e Messina, da destinare al pagamento delle
    prestazioni rese dai centri di PMA pubblici e provati accreditati
    dal network regionale per le tecniche omologhe (D.A. n. 2283  del
    26 ottobre 2012) ed eterologhe (D.A. n. 2227 de129 dicembre  2014
    e D.A. n, 109 del 28  gennaio  2015),  ricadenti  nel  bacino  di
    propria competenza, come in premessa individuati, il cui utilizzo
    dovra' essere rendicontato dalle stesse aziende  mediante  idonea
    documentazione  contabile  e  certificazione  medica   attestante
    l'avvenuta prestazione (..)». 

(8) L'art. 5, lett. g), della legge cost. n. 1 del 2012  prevede  che
    la legge di cui all'art.  81,  sesto  comma,  della  Costituzione
    disciplini: «g) le modalita' attraverso le quali lo Stato,  nelle
    fasi avverse del ciclo economico o al  verificarsi  degli  eventi
    eccezionali di cui alla lettera d) del presente comma,  anche  in
    deroga all'art. 119 della Costituzione, concorre ad assicurare il
    finanziamento, da parte  degli  altri  livelli  di  governo,  dei
    livelli   essenziali   delle   prestazioni   e   delle   funzioni
    fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali». 

(9) L'art. 11 della legge n. 243 del 2013, in vigore dal  30  gennaio
    2013, specifica che: «1. E' istituito nello stato  di  previsione
    del  Ministero   dell'economia   e   delle   finanze   il   Fondo
    straordinario per il concorso dello Stato, nelle fasi avverse del
    ciclo o al verificarsi di eventi  eccezionali,  al  finanziamento
    dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni  e  delle   funzioni
    fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali, alimentato  da
    quota parte delle risorse derivanti dal ricorso all'indebitamento
    consentito dalla correzione per gli effetti del  ciclo  economico
    del saldo del conto consolidato. L'ammontare della dotazione  del
    Fondo di cui al presente comma e' determinato  nei  documenti  di
    programmazione finanziaria e di bilancio, sulla base della  stima
    degli effetti dell'andamento del ciclo economico,  tenendo  conto
    della quota di entrate proprie degli enti  di  cui  all'art.  10,
    comma 1, influenzata dall'andamento del ciclo economico». 

(10) La circostanza e' confermata da Camera dei deputati Senato della
     Repubblica, Dossier legge di stabilita' 2016, Schede di lettura,
     A.C.       3444,       novembre       2015,        p.        325
     http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00950746.pdf). 

(11) L'art.  1,  del  Patto  per  la  Salute   2014-2016   (rubricato
     «Determinazione del fabbisogno del Servizio sanitario  nazionale
     e dei fabbisogni regionali- costi standard e Livelli  Essenziali
     di Assistenza») cosi  dispone:  «1.  Al  fine  di  garantire  il
     rispetto degli obblighi  comunitari  e  la  realizzazione  degli
     obiettivi di finanza pubblica  per  il  triennio  2014-2016,  il
     livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui
     concorre lo Stato: e' confermato  in  109.928.000.000  euro  per
     l'anno 2014; e' fissato in 112.062.000,000 euro per l'anno  2015
     e in 115.444.000.000  euro  per  l'anno  2016,  salvo  eventuali
     modifiche  che  si  rendessero  necessarie   in   relazione   al
     conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazioni
     del quadro macroeconomico, nel qual caso  si  rimanda  a  quanto
     previsto all'art. 30 comma 2. (Omissis)». L'art. 30 del medesimo
     Patto (rubricato «Norme finali») dispone poi: «1. Il Governo, le
     Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano, si impegnano
     ad  adottare  ogni   necessario   provvedimento   normativo   ed
     amministrativo, in attuazione della  presente  Intesa,  anche  a
     modifica o integrazione o abrogazione di norme. 2.  In  caso  di
     modifiche  normative  sostanziali  e/o  degli  importi  di   cui
     all'articolo 1, ove necessarie  in  relazione  al  conseguimento
     degli obiettivi di finanza pubblica e a  variazioni  del  quadro
     macroeconomico,  la  presente  Intesa  dovra'  essere   altresi'
     oggetto di revisione» (evidenziato ns.). 

(12) L'Intesa del 2 luglio 2015 ha poi  individuato  gli  ambiti  sui
     quali operare un efficientamento della spesa sanitaria. 

(13) La circostanza e' confermata anche  da  Camera  dei  deputati  -
     Senato della  Repubblica,  Dossier  legge  di  stabilita'  2016,
     Schede  di  lettura,  A.C.  3444,   novembre   2015,   p.   326.
     http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00950746.pdf). 

(14) Cosi emerge dalla nota metodologica del Ministero  della  Salute
     del 21 giugno 2013, applicativa della delibera del Consiglio dei
     Ministri 11 dicembre 2012, recante «Definizione dei  criteri  di
     qualita' dei servizi erogati, appropriatezza ed  efficienza  per
     la  scelta  delle  regioni  di   riferimento   ai   fini   della
     determinazione dei costi e dei fabbisogni standard  nel  settore
     sanitario», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale,
     n. 135 dell'11 giugno 2013. Le prime tre Regioni  hanno  un  PIL
     pro capite superiore a quello della media delle Regioni italiane
     e  vengono  quindi   potenzialmente   esposte,   nonostante   il
     riconoscimento  governativo  dell'efficienza  della  spesa,   al
     rischio di  subire  in  misura  maggiore  l'impatto  del  taglio
     disposto dal Governo. La stessa contraddizione  emerge  riguardo
     alla spesa extra sanitaria: il dato di una  maggiore  efficienza
     delle  Regioni  con  un  PIL  piu'  elevato  e'  confermato   da
     molteplici indicatori, primo  fra  tutti  quello  inerente  alla
     spesa per il personale i cui eccessi in  alcune  Regioni  (nelle
     quali eppure si registra un PIL meno elevato) sono noti da tempo
     al Governo in  forza  delle  pubblicazioni  Copaff  sui  bilanci
     regionali riclassificati in base alla previsione di cui all'art.
     19-bis, decreto-legge n. 135/2009: certamente le stesse  Regioni
     sono le piu' virtuose in termini di contenimento della spesa per
     il personale 

(15) Art. 4,  comma  1-ter,  legge  n.  23/1996:  «La  programmazione
     dell'edilizia scolastica si  realizza  mediante  piani  generali
     triennali e piani annuali di attuazione predisposti e  approvati
     dalle regioni sentiti gli  uffici  scolastici  regionali,  sulla
     base delle proposte formulate dagli enti territoriali competenti
     sentiti gli uffici scolastici provinciali, che all'uopo adottano
     le procedure consultive dei consigli scolastici  distrettuali  e
     provinciali». La stessa norma prevede  peraltro,  al  successivo
     comma 9, un potere sostitutivo in capo alle Regioni qualora  gli
     enti locali non provvedano agli  adempimenti  necessari  a  dare
     attuazione alla programmazione regionale. 

(16) Art. 3, comma 1, lett. b), legge n. 23/1996:  «(...)  provvedono
     alla realizzazione, alla fornitura e alla manutenzione ordinaria
     e straordinaria degli edifici: b) le  province,  per  quelli  da
     destinare a sede di istituti e scuole di  istruzione  secondaria
     superiore, compresi i licei artistici e gli istituti d'arte,  di
     conservatori di musica, di accademie, di istituti superiori  per
     le industrie artistiche, nonche' di convitti  e  di  istituzioni
     educative statali.» 

(17) ANCI-UPI, L'attuazione della  legge  56/14:  il  riordino  delle
     funzioni delle Province e delle Citta' metropolitane e l'accordo
     in conferenza unificata, Roma, 3 luglio 2014, p.  3,  reperibile
     al                        seguente                         link:
     http://www.upinet.it/docs/contenuti/2014/07/Nota_UNITARIA%20A
     nci%20Upi_%20funzioni_luglio%202014.pdf 

(18) Camera dei deputati - Senato della Repubblica, Dossier legge  di
     stabilita' 2016, Schede di lettura, A.C. 3444, novembre 2015, p.
     474
     (htip://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00950746.pdf. 
 
                               P. Q. M. 
 
    la Regione del Veneto chiede che  l'Ecc.ma  Corte  costituzionale
dichiari l'illegittimita' costituzionale delle seguenti  disposizioni
della legge n. 208 del 28 dicembre 2015 recante: «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita' 2016)», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del  30
dicembre 2015 - Suppl. Ordinario n. 70: 
        articolo 1, comma 26, per violazione degli articoli 3, 5, 32,
97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione; 
        articolo 1, comma 219, per violazione degli articoli  3,  97,
117, III e IV comma,  118  e  119  della  Costituzione,  nonche'  del
principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120  della
Costituzione; 
        articolo 1, comma 228, per violazione degli articoli  3,  97,
117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione; 
        articolo 1, comma 241, per violazione dell'art. 117, III e IV
comma, e 118 della  Costituzione,  nonche'  del  principio  di  leale
collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione; 
        articolo 1, comma 363, per violazione degli articoli  3,  97,
117, III e IV, e 118 della Costituzione,  nonche'  del  principio  di
leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione; 
        articolo 1, »commi 524, 525, 526, 527, 528,  529,  531,  532,
533, 534, 535 e 536, per violazione degli articoli 3,  32,  97,  117,
III e IV comma, 118,  119  e  123  della  Costituzione,  nonche'  del
principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120  della
Costituzione; 
        articolo 1, commi 553 e 555, per violazione degli articoli 3,
32, 97, 117, II, III e IV comma, 118 e 119  della  Costituzione,  del
principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120  Cost,
nonche' degli articoli 5, comma 1, lett. g), della legge cost.  n.  1
del 2012 e 11 della legge n. 243 del 2013; 
        articolo 1, comma 568, per violazione degli articoli  3,  32,
97,117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione,  del  principio
di  leale  collaborazione  di  cui  agli  articoli  5  e  120   della
Costituzione, nonche' degli articoli 5,  comma  1,  lett.  g),  della
legge cost. n. 1 del 2012 e 11 della legge n. 243 del 2013; 
        articolo 1, comma 574, per violazione degli articoli  3,  97,
117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione; 
        articolo 1, commi  680,  681  e  682,  per  violazione  degli
articoli 3, 32, 97, 117, III  e  IV  comma,  118  e  119  Cost.,  del
principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120  della
Costituzione, nonche' degli articoli 5,  comma  1,  lett.  g),  della
legge cost. n. 1 del 2012 e 11 della legge n. 243 del 2013. 
        articolo 1, comma 754, per violazione degli articoli  3,  97,
117, III e IV comma, 118 e  119  della  Costituzione,  nonche'  degli
articoli 5 e 120 della Costituzione per violazione del  principio  di
leale collaborazione. 
 
       Avv. EzioZanon - Avv. Luca Antonini - Avv. Luigi Manzi