N. 87 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 marzo 2016
Ordinanza del 1° marzo 2016 della Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di Gatto Maria ed altre 5. Processo penale - Impugnazioni - Sentenza di primo grado contenente statuizione di confisca ex art. 12-sexies del decreto-legge n. 306 del 1992 - Facolta' dei terzi, incisi nel diritto di proprieta' per effetto della sentenza, di proporre appello sul solo capo contenente la statuizione di confisca - Mancata previsione. - Codice di procedura penale, artt. 573, 579, comma 3, e 593.(GU n.18 del 4-5-2016 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PRIMA SEZIONE PENALE Composta dagli Ill.mi signori Magistrati: Dott. Maria Cristina Siotto - Presidente; Dott. Antonio Minchella - Consigliere; Dott. Raffaello Magi - Rel. Consigliere; Dott. Alessandro Centonze - Consigliere; Dott. Antonio Cairo - Consigliere, Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da: Gatto Maria nata il 17 settembre 1966; Rao Antonella nata l'8 aprile 1982; Rao Palmina nata il 25 giugno 1986; Rao Samanta nata il 13 gennaio 1988; Alesci Luisella nata il 28 settembre 1971; Bellinvia Carmela nata il 24 aprile 1939, avverso la sentenza n. 510/2013 Corte Appello di Messina, del 28 ottobre 2014; Visti gli atti, la sentenza e il ricorso; Udita in Pubblica udienza del 14 gennaio 2016 la relazione fatta dal Consigliere dott. Raffaello Magi; Udito il Procuratore Generale in persona del dott. Paolo Canevelli, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e la qualificazione delle proposte impugnazioni in appelli incidentali ex art. 322-bis c.p.p.; Ritenuto in fatto 1. - La presente ordinanza e' relativa, previa separazione, alla trattazione dei ricorsi preposti da Gatto Maria, Rao Antonella, Rao Palmina, Rao Samanta (in relazione alla confisca disposta anche in danno di Rao Giovanni) Alesci Luisella e Bellinvia Carmela (in relazione alla confisca disposta anche in danno di Ofria Salvatore) avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Messina in data 28 ottobre 2014 nei confronti di Bucceri Concetto ed altri. Con tale sentenza di secondo grado e' stata confermata la statuizione di confisca emessa in primo grado dal GUP del Tribunale di Messina (sentenza del 31 ottobre 2012) avente ad oggetto, per quanto qui rileva, numerosi beni formalmente intestati ai soggetti ricorrenti ma ritenuti, di fatto, riferibili agli imputati Rao Giovanni ed Ofria Salvatore (le cui posizioni sono state trattate da questa Corte nel fascicolo principale). Quanto alle posizioni dei terzi intestatari formali dei beni - qui in rilievo - gli atti di appello sono stati dichiarati inammissibili dalla Corte territoriale, che aveva consentito la partecipazione degli appellanti alle udienze del giudizio di secondo grado in virtu' della proposizione di autonomi atti di impugnazione avverso la prima decisione. In sentenza dette impugnazioni sono state dichiarate inammissibili, posto che non viene ritenuta esistente la legittimazione autonoma dei terzi ad impugnare con appello la decisione sfavorevole emessa in primo grado anche nei loro confronti (rectius incidente sul loro diritto di proprieta'). Durante la celebrazione del giudizio di primo grado erano state proposte separate istanze di restituzione dei beni, decise in via cumulativa nella decisione emessa dal GUP. Da cio', tuttavia, non puo' dedursi - per come argomentato in sentenza - l'esistenza di un autonomo potere di impugnazione con diritto di proporre appello in capo ai terzi, posto che - ad avviso della Corte messinese - costoro avrebbero al piu' potuto impugnare la decisione reiettiva con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 127, comma 7, data la natura di ordinanza - in tale parte - della decisione di primo grado. Va ricordato, inoltre, che quanto al compendio patrimoniale oggetto di confisca la norma azionata risulta essere quella contenuta nell'art. 12-sexies, legge n. 356 del 1992 e succ. mod. (norma introdotta con d.l. n. 399 del 20 giugno 1994, come modificato in sede di conversione dalla legge 8 agosto 1994, n. 501). In relazione al rapporto tra i soggetti ricorrenti ed i beni confiscati, lo stesso e' rappresentato nella decisione di primo grado, nel cui corpo si respingono le istanze di restituzione formulate dai suddetti terzi (con riferimento ai contenuti espressivi del parere contrario trasmesso dal Pubblico Ministero integralmente rieditato in sentenza). Quanto all'imputato Rao Giovanni rilevano le posizioni del coniuge Gatto Maria e delle figlie Rao Antonella, Rao Palmina, Rao Samanta. Quanto all'imputato Ofria Salvatore rilevano le posizioni del coniuge Alesci Luisella e della madre Bellinvia Carmela. I beni oggetto di statuizione di confisca risultano in massima parte intestati formalmente a detti terzi in proprieta'. Trattasi di numerose unita' immobiliari urbane, di quote sociali relative a s.r.l., di terreni agricoli, autovetture, mezzi d'opera, il cui elenco risulta riportato nella decisione di primo grado. Le decisioni di merito hanno ritenuto la sostanziale natura fittizia di dette intestazioni (interposizione di persona), con riferibilita' di fatto a Rao Giovanni e Ofria Salvatore (condannati per il delitto di cui all'art. 416-bis cod.pen.) dell'intero patrimonio confiscato ed hanno ritenuto sussistente il parametro normativo della sproporzione tra il valore degli investimenti e la redditivita' lecita dei diversi nuclei familiari, anche evidenziando la derivazione dei redditi da attivita' di impresa risultata condizionata, in positivo, dalla appartenenza del Rao e dell'Ofria al sodalizio mafioso oggetto di ricostruzione processuale. 2. - Avverso la decisione di secondo grado, sin qui sinteticamente evocata, hanno proposto ricorso per cassazione, i terzi intestatari di beni sottoposti a confisca Gatto Maria, Rao Antonella, Rao Palmina, Rao Samanta (in riferimento alla posizione di Rao Giovanni) Alesci Luisella e Bellinvia Carmela (in riferimento alla posizione di Ofria Salvatore). 2.1. - Gatto Maria, Rao Antonella, Rao Palmina e Rao Samanta, con unico atto di ricorso, proposto dai difensori muniti di procura speciale, deducono al primo motivo violazione di legge e vizio di motivazione nonche' indicano quali norme violate gli articoli 23 e 24 della legge n. 87 del 1953. Intervenute nel giudizio di appello, le ricorrenti avevano formalmente proposto questione di legittimita' costituzionale dell'art. 593 cod. proc. pen. e 12-sexies legge n. 356 del 1992 per contrasto con piu' disposizioni della Carta, nella parte in cui tali norme escludono l'intervento diretto nel giudizio del titolare dei beni oggetto di sequestro e confisca. In sintesi, ad essere contestata e' la normativa vigente in tema di appello, che esclude la legittimazione ad impugnare la decisione sfavorevole in tema di misure di sicurezza patrimoniali, da parte dei terzi titolari formali di diritti sui beni oggetto di confisca. Viene evidenziato potenziale contrasto con l'articolo 6 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, in tema di equita' del processo, nonche' in rapporto agli articoli 3, 24 e 42 Cost., con riferimento generale alla incidenza della decisione sul diritto di proprieta' senza possibilita' di adeguata tutela all'interno del processo. In ogni caso si evidenzia che su tale questione di costituzionalita' non e' intervenuta risposta alcuna da parte della Corte di Appello, ne' con separata ordinanza ne' con la sentenza che ha definito il grado (con esclusiva declaratoria di inammissibilita' delle proposte impugnazioni). Da cio' deriverebbe, in tesi, un vizio motivazionale della decisione, per incompletezza. In ogni caso si ripropone il dubbio di costituzionalita' della vigente disciplina normativa, nei termini suddetti. Al secondo motivo si deduce vizio di motivazione ed erronea applicazione degli articoli 593, 586 e 127 cod. proc. pen. Nel corpo della decisione di primo grado sono state contestualmente decise istanze di restituzione dei beni in sequestro, in taluni casi proposte dai terzi interessati. La scelta del giudicante di non trattare in via separata - ai sensi dell'art. 127 cod. proc. pen. - tali istanze ha determinato la impossibilita' di impugnare la decisione reiettiva, sia con l'appello - dichiarato inammissibile - che con un ipotetico ricorso per cassazione. Tale ricorso non era proponibile avverso la sentenza, stante la previsione ostativa di cui all'art. 586 cod. proc. pen. Si ritiene pertanto sussistente un vizio della decisione di primo grado, tale da travolgere le statuizioni di confisca ivi operate. Al terzo motivo si deduce omessa motivazione sui rilievi difensivi tesi a sostenere la legittimazione dei terzi a partecipare al giudizio di secondo grado. Si era sostenuta l'impugnabilita' della decisione di primo grado ai soli fini di tutela della proprieta'. Si era evidenziata, altresi', l'irragionevolezza di una disciplina - come quella vigente - che consente al terzo interessato di impugnare il provvedimento cautelare con il riesame e non la sentenza di primo grado che statuisce sulla confisca nel procedimento principale. Si era altresi' evidenziata la necessita' di una parificazione degli strumenti di tutela rispetto ad altri istituti analoghi dell'ordinamento giuridico, quali le misure di prevenzione patrimoniali che, nella configurazione normativa, offrono al terzo titolare di diritti la possibilita' di intervenire nel procedimento principale. Su tali quesiti non e' intervenuta risposta alcuna da parte della Corte di Appello, che si e' limitata a dichiarare inammissibili le proposte impugnazioni. Al quarto motivo, in ipotesi di ritenuta ammissibilita' del ricorso per cassazione, si deduce vizio di motivazione sulla statuizione di confisca. Il contenuto del motivo articola doglianze sui profili ricostruttivi di tipo patrimoniale e presuppone la risoluzione delle questioni antecedenti nel senso della ammissibilita' del ricorso. 2.3. - Il ricorso proposto da Bellinvia Carmela - a mezzo del difensore e procuratore speciale - risulta strutturato in modo del tutto analogo e pertanto si rinvia alla sintesi sin qui esposta. Vengono riproposte le questioni in punto di legittimazione e i vizi di motivazione della decisione impugnata. 2.4. - Anche il ricorso proposto da Alesci Luisella - a mezzo del difensore e procuratore speciale - propone questioni del tutto analoghe e contesta la omessa motivazione sulle questioni poste in sede di legittimazione, ivi compresa la questione incidentale di legittimita' costituzionale. Si compie riferimento, al fine di rafforzare il dubbio di costituzionalita', ai contenuti della Direttiva UE in tema di confisca adottata dal Parlamento europeo in data 3 aprile 2014 ove si prevede espressamente l'impugnabilita' del provvedimento di confisca da parte del soggetto interessato. 3. - In sede di discussione orale, il sig. Procuratore Generale ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla qualificazione di inammissibilita' degli atti di appello, con qualificazione di tali atti ai sensi dell'art. 322-bis cod. proc. pen. e trasmissione per competenza al Tribunale del Riesame di Messina. Considerato in diritto 1. - Ad avviso del Collegio va sollevata, nel caso in esame, questione di legittimita' costituzionale - con riferimento al contenuto degli artt. 3, 24, 42, 111 e 117 Cost. - delle previsioni di legge di cui agli articoli 573, 579, comma 3 e 593 cod. proc. pen. nella parte in cui dette norme non prevedono, a favore di terzi incisi nel diritto di proprieta' per effetto della sentenza di primo grado, la facolta' di proporre appello sul solo capo contenente la statuizione di confisca. Sul tema, gia' introdotto dalle parti ricorrenti, vanno tuttavia operate talune precisazioni di inquadramento giuridico che conducono a riformulare il dubbio di legittimita' costituzionale in termini parzialmente diversi - ed aggiuntivi - rispetto alla originaria prospettazione dei ricorrenti. In tal senso, la norma di cui all'art. 23, legge n. 87 del 1953, nella sua corrente interpretazione (tra le altre, Corte cost. n. 96 del 18 aprile 2012), consente al giudice procedente di provvedere anche ex officio ad integrare la prospettazione del dubbio di legittimita' costituzionale della disciplina che andrebbe applicata al caso in trattazione, li' dove sia ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione medesima (cosi', testualmente, la norma indicata: ... l'autorita' giurisdizionale, qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale o non ritenga che la questione sollevata sia manifestamente infondata, emette ordinanza con la quale, riferiti i termini ed i motivi della istanza con cui fu sollevata la questione, dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso; la questione di legittimita' costituzionale puo' essere sollevata, di ufficio, dall'autorita' giurisdizionale davanti alla quale verte il giudizio con ordinanza contenente le indicazioni previste alle lettere a) e b) del primo comma e le disposizioni di cui al comma precedente ...). Cio' posto, va dato atto della ricorrenza del primo presupposto di legge, rappresentato dalla rilevanza della questione. 2. - I soggetti terzi, non raggiunti da alcuna imputazione penale (neanche in riferimento alla norma incriminatrice in tema di intestazione fittizia di cui all'art. 12-quinquies, legge n. 356 del 1992) e, al contempo, titolari formali del diritto di proprieta' su beni confiscati, hanno proposto appello avverso la decisione di primo grado, relativamente al capo contenente la misura di sicurezza della confisca. Nel corso del giudizio di appello e' stata consentita la presenza formale di tali soggetti alle udienze di trattazione mai contenuti delle proprie e rispettive doglianze, essenzialmente rappresentati dalla contestazione in fatto della interposizione di persona e da argomentazioni relative all'assenza di sproporzione tra redditi e valore degli investimenti (argomentazioni potenzialmente utili ad escludere la confiscabilita' in rapporto alla disposizione regolatrice) non sono stati oggetto di specifica valutazione, essendo stati dichiarati inammissibili gli atti di appello, come esposto in precedenza. 2.1. - Avverso tale decisione e' stato proposto ricorso per cassazione con contestazione della declaratoria di inammissibilita', qui riproponendosi il dubbio di legittimita' costituzionale della disciplina normativa processuale (gia' proposto ma non delibato in secondo grado) nella parte in cui non prevede espressamente la facolta' di tali soggetti di esperire l'appello. Tale sequenza, sin qui rievocata, determina la formulazione di un giudizio di rilevanza della questione, per le ragioni che seguono. 2.2. - La declaratoria di inammissibilita' degli atti di appello - per come meglio si esporra' in seguito - e' stata emessa dal giudice di secondo grado in aderenza ad un univoco indirizzo interpretativo di questa Corte che esclude la possibilita' del terzo, proprietario formale del bene confiscato, di proporre tale impugnazione nel procedimento principale. Si ritiene, infatti, che nel processo penale - ed anche in ipotesi di confisca cd. «estesa» ex art. 12-sexies legge n. 356/1992 e succ. mod. - le ragioni proprie di tale soggetto, pur raggiunto da provvedimento con connotazione espropriativa del diritto, possano essere fatte valere mediante la proposizione di impugnazione del provvedimento (cautelare) di sequestro (art. 324 cod. proc. pen.) o nel corso del procedimento di primo grado attraverso la proposizione di separata istanza di restituzione (reclamabile ex art. 322-bis cod. proc. pen.), ma non mediante la proposizione di atto di appello, dovendosi - in tal caso - attendere la definizione del giudizio di merito, con esclusiva facolta' di proposizione di incidente di esecuzione ai senti dell'art. 676 cod. proc. pen. In tal senso, la ricognizione dei dati normativi ricadenti sul tema (573, 579, comma 3 e 593 cod. proc. pen.) porta a ritenere, secondo il diritto vivente, corretta la statuizione di inammissibilita' degli atti di appello, statuizione che non ha dato luogo ad acquiescenza ma nei cui confronti e' stato proposto il ricorso per cassazione, anche allo scopo di riproporre il dubbio di legittimita' costituzionale della sottesa disciplina. Vi e' pertanto sicura rilevanza della questione posta tramite il ricorso, atteso che le norme di cui questa Corte e' chiamata a fare applicazione - nella valutazione dei contenuti della impugnazione qui in esame - porterebbero alla conferma della valutazione di inammissibilita', contrastabile solo attraverso l'eventuale accoglimento del prospettato dubbio di legittimita' costituzionale. Si e' piu' volte affermato, nelle lezioni interpretative di questa Corte di legittimita', che poiche' una questione di legittimita' costituzionale sollevata nel corso di un giudizio di impugnazione possa essere rilevante e' necessario che alle sue sorti sia legata quella di un determinato motivo di impugnazione, sicche' l'accoglimento della relativa eccezione (e quindi la pronunzia di illegittimita' da parte della Corte costituzionale) si risolva nella fondatezza del correlato motivo di gravame (cosi' Sez. I n. 4391 del 22 ottobre 1993, ric. Tasselli, rv. 195791). Si e' anche precisato, di recente, che il ricorso per cassazione puo' avere ad oggetto anche soltanto la eccezione d'illegittimita' costituzionale della disposizione applicata dal giudice di merito, in quanto comporta comunque una censura di violazione di legge riferita al provvedimento impugnato, sempre che sussista la rilevanza della questione, nel senso che dalla invocata dichiarazione di illegittimita' possa conseguire una pronunzia favorevole in termini di annullamento, totale o parziale del provvedimento (cosi' Sez. I n. 409 del 10 dicembre 2008, ric. Sardelli, rv. 242456). Ora, nel caso in esame il tema proposto riguarda, in particolare, la stessa titolarita' del potere di proporre impugnazione tramite appello avverso la decisione di primo grado (l'an della facolta') ed e' pertanto evidente che li' dove risulti, all'esito dell'incidente di costituzionalita', fondato il dubbio proposto in termini di legittimita' della attuale disciplina (negatoria dell'an) la conseguenza immediata sarebbe quella, favorevole ai ricorrenti, di ribaltare il fondamento della decisione impugnata (nel senso della ammissibilita' degli atti di appello) con l'ulteriore profilo di inevitabile accoglimento del ricorso per carenza di motivazione sui contenuti specifici delle doglianze (non esaminati in secondo grado in virtu' della ritenuta assenza di legittimazione ad impugnare). Non puo' pertanto accogliersi la prospettazione conclusiva esposta nella requisitoria del sig. Procuratore Generale (nel senso di riqualificare, previo annullamento parziale della decisione impugnata, gli atti di appello proposti nel procedimento principale quali impugnazioni incidentali ex art. 322-bis cod. proc. pen.) posto che tale soluzione risulterebbe corretta esclusivamente in ipotesi di ritenuta irrilevanza o manifesta infondatezza del dubbio di costituzionalita'. In altre parole, la parte privata ha - nel caso in esame - inteso azionare (anche in virtu' dei contenuti cumulativi della decisione di primo grado che ha trattato in modo congiunto le doglianze degli imputati e quelle dei terzi) lo strumento dell'appello avverso la sentenza di primo grado (nel procedimento principale), strumento il cui esperimento risulta precluso in virtu' delle disposizioni ostative che si contestano sotto il profilo della aderenza ai principi costituzionali. La riqualificazione della impugnazione (secondo il generale principio espresso dall'art. 568, comma 5 cod. proc. pen.) in appello «incidentale» ai sensi dell'art. 322-bis cod. proc. pen., al di la' degli evidenti limiti che incontrebbe sul piano della effettivita' della tutela (data la definizione con confisca del procedimento principale in primo grado) presuppone la conferma della validita' costituzionale della attuale disciplina impeditiva e pertanto non puo' essere adottata li' dove si opti per la non manifesta infondatezza del dubbio di costituzionalita'. Al contempo, nessun rilievo ha sul tema la diversa opinione espressa in sentenza dalla Corte di Appello (che rievoca in modo improprio la previsione di legge di cui all'art. 127 cod. proc. pen. non applicabile alle istanze di restituzione avverso beni sottoposti a sequestro preventivo in vista della confisca) circa l'impugnabilita' della decisione di primo grado con ricorso per cassazione, posto che anche tale opinione - al di la' del vizio di inquadramento - presuppone la valutazione di manifesta infondatezza dei prospettato dubbio di legittimita' costituzionale. Va pertanto ritenuto sussistente, per quanto sinora detto, il parametro della rilevanza della questione. 3. - Quanto al profilo della non manifesta infondatezza, vanno rielaborate talune implicazioni sistematiche, rispetto ai contenuti addotti dalle parti. 3.1. - Il primo profilo riguarda la effettiva impossibilita', secondo la corrente interpretazione, del soggetto terzo - inciso dalla confisca nel suo diritto reale - di proporre appello avverso la decisione di primo grado. Tale assetto interpretativo deriva, secondo la pressoche' unanime lettura ermeneutica, da una serie di disposizioni di legge. Vengono in rilievo, sul tema: a) il principio di tassativita' delle impugnazioni (art. 568, comma 1 cod. proc. pen.), anche per quanto concerne la identificazione dei soggetti legittimati a proporla (art. 568, comma 3, che testualmente recita ... il diritto di impugnazione spetta soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce. Se la legge non distingue tra le diverse parti, tale diritto spetta a ciascuna di esse.); b) la previsione di legge di cui all'art. 573, comma 1 cod. proc. pen. secondo cui l'impugnazione per i soli interessi civili (come indubbiamente andrebbe considerata quella in esame, dato che il provvedimento di confisca incide sul diritto di proprieta' del terzo) e' proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale (il che impone la necessita' di rinvenire norma facoltizzante nel codice di procedura penale); c) la previsione di legge dell'art. 579, comma 3 cod. proc. pen. secondo cui l'impugnazione contro la sola disposizione che riguarda la confisca e' proposta con gli stessi mezzi previsti per i capi penali; d) la previsione di legge di cui all'art. 593 cod. proc. pen., nella parte in cui non menziona espressamente tra i titolari della facolta' di proporre appello i soggetti terzi, intestatari formali dei beni assoggettati a confisca in primo grado. Vengono altresi' in rilievo, a fini comparativi, le singole disposizioni che prevedono la facolta' di impugnazione della parte civile (art. 576 cod. proc. pen.) e del responsabile civile (art. 575 cod. proc. pen.) unitamente alla considerazione per cui il soggetto terzo inciso nel diritto di proprieta' (a causa di interposizione fittizia) non puo' ritenersi assimilabile ne' alla prima che alla seconda categoria soggettiva, atteso che, quanto al responsabile civile, viene in rilievo, essenzialmente, la previsione di legge di cui all'art. 185, comma 2 cod. pen., trattandosi del soggetto tenuto - secondo le leggi civili - a risarcire il danno cagionato dall'imputato. 3.2. - La condizione giuridica del terzo «titolare formale» del bene ritenuto, di fatto, nella disponibilita' dell'imputato e' pertanto quella di un soggetto che vede «aggredito» in sede penale il suo diritto di proprieta' in rapporto agli esiti di una valutazione incidentale - ma necessaria a fini di confisca - di fittizieta' della intestazione. Costui puo' essere ritenuto co-autore dello specifico reato di intestazione fittizia di cui all'art. 12-quinquies, legge n. 356 del 1992 nei soli casi tassativamente indicati in detta previsione di legge (consapevole agevolazione fornita al titolare «reale», al fine di escludere l'applicazione delle previsioni di legge in tema di misure di prevenzione o di realizzare delitti di ricettazione o riciclaggio) ed in tal caso puo' essere citato in giudizio (medesimo o separato) in qualita' di imputato, ma salva detta particolare ipotesi, non e' chiamato ad intervenire nel giudizio penale a fini di realizzazione del contraddittorio sulla pretesa fittizieta' della intestazione. In particolare, va ricordato che li' dove la presunta intestazione «di comodo» sia stata posta in essere in favore di prossimi congiunti (come nel caso in esame) l'esistenza di norme - in sede di misure di prevenzione - tese a rendere inutile tale modalita' - a fini elusivi - ha portato questa Corte di legittimita' ad escludere, in piu' occasioni, la sussistenza della punibilita' in riferimento al reato in parola (si vedano, sul tema, Sez. I n. 17064 del 2 aprile 2012, rv. 253340; Sez. I n. 4703 del 19 novembre 2012, rv. 254528, entrambe evidenzianti la necessita', in casi simili, di valorizzazione di ulteriori elementi di fatto, che evidenzino in concreto la finalita' elusiva della particolare disciplina di settore). Da cio' deriva che la condizione del soggetto (presunto intestatario fittizio) puo' restare - come nel caso in esame - esente da contestazione penale e la tutela degli interessi civili (diritto di proprieta') non puo' essere realizzata, in via occasionale e mediata, da una contemporanea assunzione della qualita' di imputato per la condotta di intestazione fittizia (circostanza, peraltro, pregiudizievole e non certo auspicata dal destinatario della potenziale ablazione). Cio' posto, e' proprio la considerazione delle ricadute del suddetto principio di tassativita' - dei casi e della titolarita' dei poteri di impugnazione - ad aver determinato l'orientamento giurisprudenziale che nega a tale soggetto la facolta' di impugnare in appello la decisione (sfavorevole) emessa in primo grado nei confronti dell'imputato e incidente sul diritto di proprieta' del terzo. Tale facolta', a ben vedere, non sarebbe di per se' preclusa dall'esame dei contenuti normativi riferibili - in quanto tali - agli articoli 573 e 593 c.p.p., norme che facoltizzano la proposizione di impugnazioni per gli interessi civili, anche in relazione «sola» statuizione di confisca, ma viene esclusa in relazione alla necessaria applicazione, posta da tali norme, delle disposizioni contenute nel codice di rito penale, unita alla: a) mancanza di una disposizione facoltizzante espressa; b) considerazione per cui il soggetto in questione non e' «parte» in senso formale del giudizio di primo grado, non essendo prevista la sua citazione (si vedano, tra le molte, Sez. III n. 23926 del 27 maggio 2010, rv. 247797; Sez. 1, n. 47312 dell'11 novembre 2011, rv. 251415; Sez. 6, n. 29124 del 2 luglio 2012, rv. 253180; Sez. III n. 4554 dell'11 dicembre 2007, rv. 238820; Sez. II n. 14146 del 14 marzo 2001, rv. 218641). Sempre in relazione alle ricadute del medesimo principio di tassativita' e' stata invece pacificamente ammessa la possibilita' di «reazione» di tale soggetto al provvedimento cautelare, ove si realizza il prodromo della confisca, ossia al decreto di sequestro preventivo. La particolare ampiezza della previsione di legge contenuta nell'art. 322, comma 1 cod. proc. pen., che identifica i titolari della facolta' di impugnazione del sequestro anche nella persona alle quale le cose sono state sequestrate e in quella che avrebbe diritto alla restituzione ha, per costante orientamento, ritenuto ammissibile l'impugnazione cautelare del terzo (proprietario formale) avverso il decreto di sequestro tramite il riesame (art. 324, con ricorribilita' per violazione di legge in sede di legittimita'). Cio' e' avvenuto sia in ipotesi di terzo titolare formale di beni sequestrati ai sensi del citato articolo 12-sexies che in rapporto alla posizione dei terzi acquirenti di (prospettata) buona fede in riferimento ad immobili oggetto di lottizzazione abusiva (tra le molte, Sez. III n. 16694 dell'11 marzo 2014, rv. 259803). Analogamente, la formulazione testuale della previsione di legge di cui all'art. 322-bis cod. proc. pen. ha determinato la costante considerazione della facolta' di tale soggetto di proporre - in sede procedimentale - istanze di restituzione del bene, con esperibilita', in caso di diniego, dello strumento dell'appello (anche in tal caso vi e' ricorribilita' in cassazione dell'eventuale diniego ai sensi dell'art. 325, comma 1 cod. proc. pen.). 3.3. - Dunque, una prima considerazione appare necessaria. Il soggetto terzo inciso nel diritto di proprieta' da un provvedimento di sequestro, pur non essendo «parte formale» del procedimento penale risulta titolare di specifici «diritti procedurali» (in tutta evidenza riconducibili alle ricadute delle previsioni costituzionali di cui agli artt. 24 e 42 Cost.) ed ha il potere di impugnare il provvedimento di sequestro preventivo, in una con la facolta' di presentare autonoma istanza di restituzione al giudice procedente, con potere di impugnazione dell'eventuale diniego. Tali facolta' sono state peraltro evidenziate proprio in una risalente decisione emessa dal giudice delle leggi (Corte cost. n. 18 del 1996) avente ad oggetto la particolare fisionomia funzionale dell'istituto della cd. «confisca estesa» ex art. 12-sexies, norma che in via ordinaria, nella sua dimensione finalistica e nella sua portata applicativa (in cio' differenziandosi dall'ipotesi ordinaria di cui all'art. 240 cod. pen.) pone il tema dimostrativo della «scissione» tra titolarita' apparente e potere di fatto sul bene. In tale decisione, per quanto qui rileva, dopo aver precisato che il legislatore non irragionevolmente (ha) ritenuto di presumere l'esistenza di un nesso pertinenziale tra alcune categorie di reati e i beni di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e che risultino di valore sproporzionato rispetto al reddito o alla attivita' economica del condannato stesso ..., si affermava che ... nel merito delle singole censure non sussiste alcuna violazione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa, sia per le considerazioni poste a fondamento della sentenza n. 48 del 1994 ove e' stata contestata la fondatezza, anche in riferimento all'art. 42 della Costituzione, di consimili rilievi che lo stesso Tribunale ebbe a svolgere sull'istituto del sequestro preventivo e sul relativo procedimento di riesame, sia perche' la persona cui i beni sono stati sequestrati puo' in ogni tempo contestare il provvedimento cautelare e provare l'inesistenza dei suoi presupposti domandando la revoca della misura, con l'ulteriore possibilita' di proporre appello avverso la decisione del giudice a norma dell'art. 322-bis, cod. proc. pen. Dunque l'equilibrio tra i valori coinvolti - in chiave di costituzionalita' - dal provvedimento di sequestro incidente su beni formalmente intestati a terzi (e non immediatamente percepibili come derivanti dal reato per cui si procede) si ritiene realizzato proprio in rapporto alla - evidenziata - facolta' di impugnazione del sequestro preventivo anche in capo al terzo inciso, nonche' in rapporto alla facolta' del medesimo soggetto (oltre che, ovviamente, dell'imputato) di domandare la restituzione, con impugnativa del diniego. Nessuna lesione rilevante dei diritti di difesa del terzo (in chiave di tutela della proprieta' e di giusto processo patrimoniale) puo' pertanto ritenersi sussistente nella fase del «sequestro preventivo» in virtu' della esistenza di specifiche norme facoltizzanti che detta tutela assicurano e realizzano, pur non assumendo il soggetto terzo una veste formale di parte processuale in senso stretto. 4. - Il quadro sin qui delineato, tuttavia, muta con l'emissione della decisione di primo grado, li' dove con la stessa venga disposta la confisca. La segnalata linea interpretativa, basata sulla osservanza del principio di tassativita', come si e' detto, esclude che avverso la sentenza il terzo possa esercitare una autonoma facolta' di impugnazione in secondo grado. Vi e' dunque una «asimmetria» del potere, posto che ci si trova di fronte ad un soggetto che vede «accrescersi» la probabilita' di spoliazione e che non ha reale facolta' di «reazione immediata» a siffatta decisione. Il terzo puo' impugnare il provvedimento cautelare ma non la decisione di primo grado che contiene la statuizione di confisca. Tale assetto risulterebbe - a parere del Collegio - razionale ed immune da sospetto di illegittimita' costituzionale ove fosse effettivamente garantita una costante possibilita', su istanza di parte, di rivalutazione del fondamento giustificativo della statuizione emessa (... in ogni tempo ... per mutuare l'espressione di cui alla decisione Corte cost. n. 18/1996 in precedenza citata). Ma cosi' non risulta, in virtu' della necessaria osservanza - in qualunque procedimento incidentale - dei contenuti della decisione di merito di primo grado. In particolare, nel settore qui in trattazione, e' stato di recente osservato, in modo pienamente condivisibile alla stregua della vigente formazione, da Sez. II n. 5380 del 10 gennaio 2015 (rv. 262283) che in tema di misure cautelari reali, quando sia intervenuta una sentenza di condanna in primo grado, al terzo interessato e' precluso - fino alla formazione del giudicato - rivolgersi al giudice della cognizione per far valere i propri diritti sui beni in sequestro. In tale arresto, nel realizzare una ulteriore ricognizione del tema, si e' affermato - tra l'altro - che «... sul punto, questa Corte ha avuto modo di statuire che, quando sia intervenuta una sentenza non irrevocabile di condanna deve escludersi, non solo la possibilita' di restituire i beni di cui e' stata disposta la confisca, ma anche l'immediata esecutivita' dei provvedimenti restitutori dei beni sottoposti a sequestro preventivo di cui non sia stata disposta la confisca, potendo quest'ultima intervenire nel successivo grado di giudizio di merito e, ricorrendo l'ipotesi di confisca obbligatoria, anche in sede esecutiva (Sez. 1, n. 8533 del 9 gennaio 2013, rv. 254927; Sez. 6, n. 40388 del 26 maggio 2009, rv. 245473). In sostanza, se nel corso delle indagini preliminari e durante il giudizio di primo grado, il terzo puo' far valere - dinanzi all'A.G. procedente - i propri diritti sui beni sequestrati, allo stesso e' invece precluso di rivolgersi al giudice della cognizione dopo la sentenza non irrevocabile di condanna e fino alla formazione del giudicato di condanna. Non puo' ammettersi, invero, che la statuizione di confisca contenuta nella sentenza sia posta in discussione - durante la pendenza del processo e al di fuori dello stesso - da un soggetto terzo, che non e' parte del rapporto processuale instaurato dinanzi al giudice della cognizione. Cio' non vuol dire che il terzo non possa, dopo la sentenza di condanna che ha disposto la confisca dei beni, tutelare i propri diritti. Egli, a tal fine, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna dell'imputato e sempreche' la confisca sia divenuta irrevocabile, potra' promuovere apposito incidente di esecuzione dinanzi al giudice di cui all'art. 665. Dunque, accedendosi a tale interpretazione (in chiave di superamento di un precedente indirizzo che tendeva ad ammettere la rivalutazione in sede incidentale anche durante la trattazione del giudizio di secondo grado, espresso, tra le altre, da Sez. II n. 14146 del 14 marzo 2001), atteso che la stessa appare in linea con il necessario equilibrio «di sistema» tra valenza dei contenuti della decisione di merito emessa in primo grado e possibilita' di modifica del provvedimento di confisca solo in sede di procedimento «principale» di appello, il tema della presente decisione risulta essere quello della comparazione tra tale specifico «assetto di tutela» e i principi costituzionali e convenzionali. In particolare, risulta necessario apprezzare se la «intermittenza» della tutela accordata al terzo (possibile impugnazione del decreto di sequestro/ possibile formulazione di istanze restitutorie durante il giudizio di primo grado/ facolta' di proporre incidente di esecuzione dopo il formarsi del giudicato) sia razionalmente giustificata e compatibile con i principi del giusto processo o sia punto da sottoporre a scrutinio in chiave di compatibilita' costituzionale. La verifica di compatibilita' va peraltro estesa ai contenuti delle norme poste dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (ai sensi dell'art. 117, comma 1 Cost.), per come gli stessi risultano interpretati dalla CEDU. In tal senso, come e' stato piu' volte ribadito dal giudice delle leggi «... a partire dalle sentenze n. 348 e 349 del 2007 questa Corte ha costantemente ritenuto che le norme della Convenzione - nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione - integrano, quali norme interposte, il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali ...; nel caso in cui si' profili un contrasto tra una norma interna e una norma della Convenzione, quindi, il giudice nazionale comune deve preventivamente verificare la praticabilita' di un'interpretazione della prima conforme alla norma convenzionale, ricorrendo a tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica (sentenze n. 236 e n. 113 del 2011; n. 93 del 2010 e n. 331 del 2009). Se questa verifica da' esito negativo e il contrasto non puo' essere risolto in via interpretativa, il giudice comune, non potendo disapplicare la norma interna ne' farne applicazione, avendola ritenuta in contrasto con la Convenzione, nella interpretazione che ne ha fornito la Corte di Strasburgo, e pertanto con la Costituzione, deve denunciare la rilevata incompatibilita' proponendo una questione di legittimita' costituzionale in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., ovvero all'art. 10, primo comma, Cost., ove si tratti di una norma convenzionale ricognitiva di una norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta. (Coste Cost. n. 264 del 2012). 5. - Cio' posto, non apparendo praticabile, alla luce di quanto sinora esposto, un assetto interpretativo diverso - ad avviso del Collegio - la non manifesta infondatezza della questione si concretizza per le ragioni che seguono. Vengono in rilievo piu' profili, che si esporranno partitamente ma la cui valenza va ovviamente ritenuta frutto di una interrelazione. 5.1. - La questione concerne il rispetto del contenuto degli articoli 3, 24, 42 e 111 della Costituzione, nonche' la previsione dell'art. 117 Cost., in riferimento a quanto previsto dagli articoli 6, comma 1, 13 e 1 prot. add. della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (ratificata con legge n. 848 del 4 agosto 1955). 5.2. - Un primo profilo e' di natura comparativa tra la posizione del terzo (intestatario formale) raggiunto da sequestro funzionale a confisca «estesa» (art. 12-sexies) e quella del terzo raggiunto da sequestro funzionale a confisca di prevenzione (attuale art. 20, comma 1 del d.lgs. n. 159 del 2011). In entrambe le previsioni di legge viene in rilievo l'ipotesi di scissione tra titolarita' formale del bene (il terzo) e sua disponibilita' di fatto (l'imputato o il proposto). Nel primo caso (art. 12-sexies) il terzo titolare di diritto reale e', come si e' detto, portatore di specifiche facolta' procedimentali che realizzano tutela durante la fase delle indagini preliminari, nel corso del giudizio di primo grado e in sede di esecuzione (nel modo che verra' in seguito analizzato). Nel secondo caso (art. 20, d.lgs. n. 159/2011) il terzo esplica il suo diritto al contraddittorio, alla difesa e alla prova sin dalla fase del procedimento di primo grado ed e' ritenuto titolare del potere di impugnazione avverso la decisione di primo grado (art. 23, comma 2: i terzi che risultino proprietari o comproprietari dei beni sequestrati, nei trenta giorni successivi alla esecuzione del sequestro sono chiamati dal Tribunale ad intervenire nel procedimento, con decreto motivato che contiene la fissazione della udienza in camera di consiglio; comma 3 all'udienza gli interessati possono svolgere le loro deduzioni con l'assistenza di un difensore, nonche' chiedere l'acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca ...; art. 27, comma 1 ... i provvedimenti [decisori di primo grado] sono comunicati ... agli interessati.). Vi e' dunque obiettiva diversita' del livello di tutela offerto dall'ordinamento al medesimo diritto, quello di proprieta', nelle due ipotesi considerate. La diversita' essenziale concerne l'articolazione - in sede di prevenzione - di un vero e proprio diritto di partecipazione al procedimento di primo grado (in luogo della mera facolta' di proporre impugnazione avverso il sequestro e/o successiva istanza - fuori udienza - tesa alla restituzione del bene) e di un autonomo potere di impugnazione del provvedimento conclusivo del giudizio di primo grado (in luogo della assenza di tale facolta', surrogata dalla titolarita' di un potere di sollecitazione alla rivalutazione dei giudicato). E' evidente che tale diversita' potrebbe - in tesi - giustificarsi con il diverso contenitore procedimentale, rappresentato nel primo caso dal processo penale (avente prioritaria finalita' di stabilire la colpevolezza o l'innocenza dell'imputato sul fatto contestato) e nel secondo caso dal procedimento di prevenzione (finalizzato ad una ricostruzione degli indici di pericolosita' soggettiva, cui accede la confisca in chiave di misura con portata di neutralizzazione degli effetti della accertata pericolosita', come di recente ribadito da S.U. n. 4880 del 2015 ric. Spinelli). Tuttavia tale distinzione, se ha potenziale rilievo nei confronti della conformazione di tutela complessivamente accordata dall'ordinamento al soggetto «destinatario» in via prioritaria dell'azione pubblica (imputato/proposto) perde fondamento sistematico ove vengano in rilievo - come nel caso in esame - le posizioni dei soggetti terzi, soggetti estranei tanto al reato (per definizione) che alla dinamica di inveramento della pericolosita' (in prevenzione). Cio' in particolare ove si ponga mente alla particolare natura dello strumento della confisca «estesa» (art. 12-sexies), sul cui statuto normativo questa Corte di legittimita' e' piu' volte intervenuta - anche in tempi recenti - al fine di evidenziare, ferme restando talune difformita' di disciplina (ribadite da Sez. U. n. 33451/2014 ric. Repaci), la comune radice funzionale e finalistica con la confisca di prevenzione proprio in tema di tutela dei terzi, in quel caso titolari del diritto di credito (si vedano tra le altre Sez. I n. 26527 del 20 m aggio 2014, rv. 259331 e Sez. I n. 21 del 19 settembre 2014, dep. 5 gennaio 2015, rv. 261712, tese a parificare la tutela offerta in punto di riconoscibilita' e conseguenze della buona fede del creditore secondo la procedura introdotta espressamente dagli artt. 52 e ss. del d.lgs. n. 159 del 2011). A cio' si aggiunge il dato, anch'esso rilevante, rappresentato dal fatto che il livello piu' esteso di tutela dei diritti partecipativi (in favore del terzo inciso) si colloca nell'area del procedimento di prevenzione, caratterizzato - per altri profili - da conformazione del diritto di difesa recessiva rispetto a quella offerta dal legislatore nel procedimento penale (si veda il tema del rilievo del vizio di motivazione in sede di legittimita', escluso nel solo procedimento di prevenzione). Pur nella consapevolezza, pertanto, del rilievo del differente «statuto normativo» complessivo del procedimento applicativo della misura di prevenzione (ribadito da Corte cost. n. 106 del 2015 in rapporto a diverso tema) va qui precisato che tale differenza di inquadramento e' da ritenersi fattore di ragionevole diversificazione degli ambiti di tutela in rapporto alla conformazione del diritto di difesa del soggetto proposto (verifica della pericolosita' e non della colpevolezza, fermo restando che in una evoluta concezione del giudizio di pericolosita' lo stesso non puo' prescindere dalla dimensione cognitiva che imponga come base della prognosi l'accertamento di fatti concreti) mentre il caso in esame concerne la comparazione delle facolta' processuali dei soggetti terzi, incisi nel diritto di proprieta'. Gia' sotto tale profilo, pertanto, si evidenzia un dubbio in termini di ragionevolezza complessiva della diversificazione di trattamento di posizioni sostanziali analoghe, ai sensi dell'art. 3 Cost. 5.3. - Non vi e' dubbio - restando sul profilo comparativo - che mentre in sede di giudizio penale di primo grado l'assenza della qualita' formale di «parte» in capo al soggetto terzo potrebbe dirsi congruamente bilanciata - sul piano della legalita' costituzionale quanto a difesa della proprieta' - dalla esistenza di una facolta' di sollecitazione alla restituzione (e fermo restando che, in tale ambito, il legislatore pare percorrere la strada della parificazione vera e propria, visti i contenuti testo del disegno di legge AC 1138 ed altri, approvato dalla Camera, con particolare riguardo all'art. 27, teso a realizzare la modifica del testo dell'art. 12-sexies nel senso dell'obbligo di citazione nel giudizio di cognizione dei terzi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni sequestrati) la totale assenza di poteri e facolta' di tali soggetti nel periodo che va dalla decisione di primo grado alla definitivita' della sentenza non appare razionalmente giustificata, ove posta in comparazione con il sistema delle misure di prevenzione ed anche in riferimento ai contenuti delle norme sovranazionali. Cio' in rapporto alla complessiva «qualita'» della tutela - rispetto ai valori in gioco - cui si unisce la considerazione dei limiti temporali al suo esercizio (post giudicato, una volta definito il giudizio di primo grado) ed alla particolare conformazione dell'incidente di esecuzione, adattato - in tal caso - a mezzo straordinario di impugnazione, peraltro in chiave di riequilibrio della mancata partecipazione al procedimento di uno del destinatari (quello formale) del provvedimento ablativo. Ferma restando, infatti, la discrezionalita' legislativa - nel senso che la parificazione delle forme di esercizio della tutela perseguita nel citato disegno di legge potrebbe non essere ritenuta come scelta costituzionalmente obbligata (ma detta opzione appare, di certo, in linea con i contenuti della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2014/42/UE relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato, con obbligo di adeguamento interno di prossima scadenza, specie per quanto concerne le garanzie di cui all'art. 8 in tema di ricorso effettivo e di potesta' di impugnazione del provvedimento di confisca, facolta' estese ai terzi in modo espresso) va affermato che la «sospensione» della tutela in secondo grado, derivante dalla omessa previsione in capo al terzo del potere di impugnare la sentenza determina ulteriore dubbio di lesione del parametro della effettivita' del diritto di difesa (artt. 24 e 42 Cost.) nonche' dei principi di cui agli artt. 6, comma 1, 13 e 1, prot. 1 Convenzione Europea, per come interpretati dalla CEDU. In particolare, la mancata possibilita' di contestare il fondamento della decisione di confisca nel giudizio principale di secondo grado, come si e' detto, pone tale categoria di soggetti (in tesi portatori di ragioni autonome di critica, correlate alla dimostrazione di non fittizieta' dell'acquisto del diritto) come titolari di una sorta di opposizione «postuma», da esercitarsi in sede esecutiva. Cio' invero, gia' sul piano della razionalita' del giudizio e della efficacia dell'amministrazione della giustizia e' un dato antagonista rispetto ai caratteri ordinari della decisione di secondo grado, posto che frammenta l'unitarieta' della valutazione su una fattispecie complessa (come quella della confisca estesa) ed espone il giudicato ad un rischio di revoca per la sua inopponibilita' al terzo (in ipotesi di fondamento della opposizione esecutiva) ed, in ogni caso, ad una precarieta' dei suoi effetti, spesso - di fatto - paralizzati per lungo tempo dalla mera esistenza di incidenti di esecuzione proposti da terzi titolari di diritti su beni oggetto di confisca definitiva penale. Ma, al di la' di tale aspetto (pur rilevante) e' da dirsi che la dimensione ontologica dell'incidente di esecuzione (strumento nato con finalita' ben diverse, ferma restando la sua opportuna flessibilita') non assicura la pienezza dei diritti difensivi, posto che da un lato realizza solo in via mediata il diritto alla prova del soggetto istante (nei limiti di cui all'art. 666, comma 5 cod. proc. pen., su cui in termini generali v. Sez. I, n. 3605 del 24 settembre 1993, rv. 195342) ed in ogni caso, nella sua dimensione cognitiva, risulta indubbiamente influenzato dalla esistenza della decisione irrevocabile posta a monte, nel cui ambito ben potrebbero essere state presi in esame - senza contraddittorio effettivo con il titolare formale del diritto di proprieta' - profili di ricostruzione probatoria e valutativi rilevanti anche in rapporto alla condizione giuridica del terzo, in potenziale violazione dei principio del contraddittorio inteso come garanzia partecipativa del soggetto interessato ai momenti di elaborazione probatoria (di cui all'art. 111 Cost.). E' evidente, sul punto, che pur nella sensibilita' interpretativa emersa sul piano delle modalita' di trattazione della udienza (Corte cost. n. 109 del 15 giugno 2015) di opposizione ex art. 667, comma 4 cod. proc. pen., con facolta' della parte opponente di richiedere la trattazione in pubblica udienza (nel caso che ha dato luogo a tale intervento si trattava, tra l'altro, di confisca disposta in sede esecutiva nei confronti di soggetto terzo) e pur in presenza di orientamenti interpretativi di questa Corte (v. Sez. I n. 30738 del 20 giugno 2013, rv. 256633) tesi ad evidenziare la necessita', pure in sede esecutiva, di assicurare - in simili casi - l'ingresso nei quadro cognitivo di nuovi elementi di fatto, tenendosi conto della precedente assenza di contraddittorio effettivo con il terzo, l'incidente di esecuzione e' strumento che sconta, sul piano della effettivita' della tutela dei diritti del terzo, la sua natura sistematica e funzionale, ben diversa da quella di una impugnazione straordinaria o di una opposizione di terzo al provvedimento definitivo. Inoltre, va evidenziato il rilievo, in chiave di effettivita' complessiva dello strumento, del dato temporale di «sospensione» della tutela. L'incidente di esecuzione presuppone - come si e' detto - la definitivita' della sentenza emessa inter alios, li' dove la tutela da accordarsi al terzo, specie sulla base delle norme convenzionali, deve avere carattere di effettivita' e tempestivita' nell'ambito di una lettura delle norme che impone il necessario raccordo tra quanto previsto dall'art. 1, prot. 1 Conv. (in tema di protezione della proprieta') e le linee essenziali espresse negli artt. 6, comma 1 e 13 della Convenzione in tema di giusto processo ed effettvita' dei rimedi, con rilievo di tale contrasto anche ai sensi dell'art. 117, comma 1 Cost., per quanto detto in precedenza. Tale raccordo sistematico, espresso sul tema della difesa della proprieta' in diverse occasioni nelle decisioni della CEDU, sia in rapporto alla posizione del soggetto titolare dei beni e sottoposto in via diretta al procedimento (v. Sez. II, 4 marzo 2014, Grande Stevens ed altri contro Italia, par. 188 ove si afferma - con citazione di ulteriori precedenti - che nonostante il silenzio dell'art. 1 del Prot. 1 in materia di esigenze procedurali, le procedure applicabili nel caso di specie devono offrire alla persona interessata una adeguata opportunita' di esporre i suoi argomenti alle autorita' competenti allo scopo di contestare effettivamente le misure che ledono i diritti sanciti da tale disposizione) che in riferimento alla posizione del terzo, in via generale (di recente, Sez. IV 4 marzo 2014 Microintelect Ood c. Bulgaria) ed in particolare nel caso del terzo intestatario di beni sottoposti a confisca di prevenzione nel sistema italiano (in particolare Sez. II 5 gennaio 2010, Bongiorno e altri contro Italia, in particolare ai paragrafi 48 e 49 in tema di effettivita' della garanzia giurisdizionale accordata ai soggetti terzi) impone di ritenere sussistente un dubbio di «adeguatezza» dell'attuale disciplina, sia in riferimento ai caratteri strutturali dell'incidente di esecuzione che in rapporto alla dilatazione temporale della tutela apprestata. In tal senso, non appare di ostacolo alla prospettazione del dubbio di costituzionalita' l'eventuale attribuzione al soggetto terzo (in ipotesi di fondatezza) della facolta' di proporre l'impugnazione principale in secondo grado (appello) pur non rivestendo la qualita' formale di parte nel giudizio di primo grado. Si e' gia' evidenziato, infatti, che fermo restando l'esercizio della discrezionalita' legislativa per come attualmente in itinere (e' evidente che l'attribuzione della qualita' di parte necessaria in primo grado risolverebbe la questione a monte, consentendo in via ordinaria l'impugnazione della sentenza) gia' allo stato attuale della normativa il soggetto terzo (titolare formale di diritto reale) pur non essendo «parte» del giudizio e' titolare di specifiche facolta' procedurali che ne consentono un intervento in piu' momenti del procedimento (impugnazione incidentale, istanza di restituzione) a dimostrazione della ricorrenza dell'interesse partecipativo, facolta' che peraltro consentono di ritenere non affetta da evidenti ragioni di sospetto di incostituzionalita' la disciplina del giudizio di primo grado. Da cio' deriva la tollerabilita', sul piano sistematico, della attribuzione - in tesi - di una facolta' di critica immediata alla decisione di primo grado, anche allo scopo di realizzare un unico momento di apprezzamento delle ragioni poste a base della ablazione patrimoniale in un contesto ispirato al contraddittorio effettivo con i diversi soggetti portatori di interessi neutralizzanti rispetto ai contenuti della decisione (imputato e terzo). E' evidente che un assetto del genere porterebbe implicazioni sul terreno del diritto alla parziale rinnovazione istruttoria (art. 603 cod. proc. pen.) da valutarsi in via interpretativa, ma tale aspetto non puo' ritenersi ostativo rispetto alla formulazione - qui espressa - di un potenziale conflitto della vigente disciplina con piu' parametri costituzionali. 6. - Anche in rapporto al contenuto delle argomentazioni sin qui operate va pertanto, sollevata questione di legittimita' costituzionale, nei termini e con le conseguenze di cui al dispositivo.
P. Q. M. Vista la legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, solleva, anche di ufficio, questione di legittimita' costituzionale - con riferimento agli artt. 3, 24, 42, 111 e 117 Cost. - degli articoli: 573, 579, comma 3 e 593 cod. proc. pen. nella parte in cui dette norme non prevedono, a favore di terzi incisi nel diritto di proprieta' per effetto della sentenza di primo grado, la facolta' di proporre appello sul solo capo contenente la statuizione di confisca. Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone altresi' che a cura della Cancelleria l'ordinanza sia notificata ai ricorrenti, al Procuratore Generale, al Presidente del Consiglio dei ministri nonche' ai Presidenti delle due camere del Parlamento. Cosi' deciso il 14 gennaio 2016. Il Presidente: Siotto Il Consigliere estensore: Magi