N. 87 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 marzo 2016

Ordinanza  del  1°  marzo  2016  della  Corte   di   cassazione   nel
procedimento penale a carico di Gatto Maria ed altre 5. 
 
Processo penale - Impugnazioni - Sentenza di primo  grado  contenente
  statuizione di confisca ex art. 12-sexies del decreto-legge n.  306
  del 1992 - Facolta' dei terzi, incisi nel diritto di proprieta' per
  effetto  della  sentenza,  di  proporre  appello  sul   solo   capo
  contenente la statuizione di confisca - Mancata previsione. 
- Codice di procedura penale, artt. 573, 579, comma 3, e 593. 
(GU n.18 del 4-5-2016 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                        PRIMA SEZIONE PENALE 
 
    Composta dagli Ill.mi signori Magistrati: 
        Dott. Maria Cristina Siotto - Presidente; 
        Dott. Antonio Minchella - Consigliere; 
        Dott. Raffaello Magi - Rel. Consigliere; 
        Dott. Alessandro Centonze - Consigliere; 
        Dott. Antonio Cairo - Consigliere, 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da: 
        Gatto Maria nata il 17 settembre 1966; 
        Rao Antonella nata l'8 aprile 1982; 
        Rao Palmina nata il 25 giugno 1986; 
        Rao Samanta nata il 13 gennaio 1988; 
        Alesci Luisella nata il 28 settembre 1971; 
        Bellinvia Carmela nata il 24 aprile 1939, 
avverso la sentenza n. 510/2013 Corte  Appello  di  Messina,  del  28
ottobre 2014; 
    Visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
    Udita in Pubblica udienza del 14 gennaio 2016 la relazione  fatta
dal Consigliere dott. Raffaello Magi; 
    Udito  il  Procuratore  Generale  in  persona  del  dott.   Paolo
Canevelli, che ha concluso  per  l'annullamento  senza  rinvio  della
sentenza impugnata e la qualificazione delle proposte impugnazioni in
appelli incidentali ex art. 322-bis c.p.p.; 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - La presente ordinanza e' relativa, previa separazione,  alla
trattazione dei ricorsi preposti da Gatto Maria, Rao  Antonella,  Rao
Palmina, Rao Samanta (in relazione alla confisca  disposta  anche  in
danno di Rao  Giovanni)  Alesci  Luisella  e  Bellinvia  Carmela  (in
relazione alla confisca disposta anche in danno di  Ofria  Salvatore)
avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Messina in  data
28 ottobre 2014 nei confronti di Bucceri Concetto ed altri. 
    Con tale  sentenza  di  secondo  grado  e'  stata  confermata  la
statuizione di confisca emessa in primo grado dal GUP  del  Tribunale
di Messina (sentenza del 31 ottobre  2012)  avente  ad  oggetto,  per
quanto qui rileva, numerosi beni formalmente  intestati  ai  soggetti
ricorrenti ma  ritenuti,  di  fatto,  riferibili  agli  imputati  Rao
Giovanni ed Ofria Salvatore (le cui posizioni sono state trattate  da
questa Corte nel fascicolo principale). 
    Quanto alle posizioni dei terzi intestatari formali  dei  beni  -
qui  in  rilievo  -  gli  atti  di  appello  sono  stati   dichiarati
inammissibili dalla  Corte  territoriale,  che  aveva  consentito  la
partecipazione degli appellanti alle udienze del giudizio di  secondo
grado in virtu' della proposizione di autonomi atti  di  impugnazione
avverso la prima decisione. 
    In   sentenza   dette   impugnazioni   sono   state    dichiarate
inammissibili,  posto   che   non   viene   ritenuta   esistente   la
legittimazione  autonoma  dei  terzi  ad  impugnare  con  appello  la
decisione sfavorevole emessa in primo grado anche nei loro  confronti
(rectius incidente sul loro diritto di proprieta'). 
    Durante la celebrazione del giudizio di primo grado  erano  state
proposte separate istanze di restituzione dei  beni,  decise  in  via
cumulativa nella decisione emessa dal GUP. 
    Da cio', tuttavia, non puo' dedursi -  per  come  argomentato  in
sentenza - l'esistenza di un  autonomo  potere  di  impugnazione  con
diritto di proporre appello in capo ai terzi, posto che -  ad  avviso
della Corte messinese - costoro avrebbero al piu' potuto impugnare la
decisione reiettiva con ricorso per  cassazione  ai  sensi  dell'art.
127, comma 7, data la natura di ordinanza - in  tale  parte  -  della
decisione di primo grado. 
    Va ricordato,  inoltre,  che  quanto  al  compendio  patrimoniale
oggetto di confisca la norma azionata risulta essere quella contenuta
nell'art. 12-sexies, legge n.  356  del  1992  e  succ.  mod.  (norma
introdotta con d.l. n. 399 del 20 giugno  1994,  come  modificato  in
sede di conversione dalla legge 8 agosto 1994, n. 501). 
    In relazione al rapporto tra i  soggetti  ricorrenti  ed  i  beni
confiscati, lo stesso  e'  rappresentato  nella  decisione  di  primo
grado, nel  cui  corpo  si  respingono  le  istanze  di  restituzione
formulate dai suddetti terzi (con riferimento ai contenuti espressivi
del parere contrario trasmesso dal Pubblico  Ministero  integralmente
rieditato in sentenza). 
    Quanto  all'imputato  Rao  Giovanni  rilevano  le  posizioni  del
coniuge Gatto Maria e delle figlie Rao Antonella,  Rao  Palmina,  Rao
Samanta. 
    Quanto all'imputato Ofria Salvatore  rilevano  le  posizioni  del
coniuge Alesci Luisella e della madre Bellinvia Carmela. 
    I beni oggetto di statuizione di confisca  risultano  in  massima
parte intestati formalmente a detti terzi in proprieta'. 
    Trattasi di numerose unita' immobiliari urbane, di quote  sociali
relative a s.r.l., di terreni agricoli, autovetture,  mezzi  d'opera,
il cui elenco risulta riportato nella decisione di primo grado. 
    Le decisioni di  merito  hanno  ritenuto  la  sostanziale  natura
fittizia di  dette  intestazioni  (interposizione  di  persona),  con
riferibilita' di fatto a Rao Giovanni e Ofria  Salvatore  (condannati
per  il  delitto  di  cui  all'art.  416-bis  cod.pen.)   dell'intero
patrimonio confiscato ed  hanno  ritenuto  sussistente  il  parametro
normativo della sproporzione tra il valore degli  investimenti  e  la
redditivita' lecita dei diversi nuclei familiari, anche  evidenziando
la  derivazione  dei  redditi  da  attivita'  di  impresa   risultata
condizionata, in positivo, dalla appartenenza del Rao e dell'Ofria al
sodalizio mafioso oggetto di ricostruzione processuale. 
    2.  -  Avverso  la  decisione   di   secondo   grado,   sin   qui
sinteticamente evocata, hanno  proposto  ricorso  per  cassazione,  i
terzi intestatari di beni sottoposti  a  confisca  Gatto  Maria,  Rao
Antonella, Rao Palmina, Rao Samanta (in riferimento alla posizione di
Rao Giovanni) Alesci Luisella e  Bellinvia  Carmela  (in  riferimento
alla posizione di Ofria Salvatore). 
    2.1. - Gatto Maria, Rao Antonella, Rao Palmina e Rao Samanta, con
unico atto di ricorso,  proposto  dai  difensori  muniti  di  procura
speciale, deducono al primo motivo violazione di  legge  e  vizio  di
motivazione nonche' indicano quali norme violate gli articoli 23 e 24
della legge n. 87 del 1953. 
    Intervenute  nel  giudizio  di  appello,  le  ricorrenti  avevano
formalmente  proposto  questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 593 cod. proc. pen. e 12-sexies legge n. 356 del  1992  per
contrasto con piu' disposizioni della Carta, nella parte in cui  tali
norme escludono l'intervento diretto nel giudizio  del  titolare  dei
beni oggetto di sequestro e confisca. 
    In sintesi, ad essere contestata e' la normativa vigente in  tema
di appello, che esclude la legittimazione ad impugnare  la  decisione
sfavorevole in tema di misure di sicurezza patrimoniali, da parte dei
terzi titolari formali di diritti sui beni oggetto di confisca. 
    Viene evidenziato potenziale contrasto  con  l'articolo  6  della
Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, in  tema  di  equita'  del
processo, nonche' in rapporto agli articoli 3, 24  e  42  Cost.,  con
riferimento generale alla incidenza della decisione  sul  diritto  di
proprieta' senza possibilita'  di  adeguata  tutela  all'interno  del
processo. 
    In  ogni  caso  si   evidenzia   che   su   tale   questione   di
costituzionalita' non e' intervenuta risposta alcuna da  parte  della
Corte di Appello, ne' con separata ordinanza ne' con la sentenza  che
ha definito il grado (con esclusiva declaratoria di  inammissibilita'
delle proposte impugnazioni). 
    Da cio'  deriverebbe,  in  tesi,  un  vizio  motivazionale  della
decisione, per incompletezza. 
    In ogni caso si ripropone il dubbio  di  costituzionalita'  della
vigente disciplina normativa, nei termini suddetti. 
    Al secondo motivo si  deduce  vizio  di  motivazione  ed  erronea
applicazione degli articoli 593, 586 e 127 cod. proc. pen. 
    Nel  corpo  della   decisione   di   primo   grado   sono   state
contestualmente decise istanze di restituzione dei beni in sequestro,
in taluni casi proposte dai terzi interessati. 
    La scelta del giudicante di non trattare in  via  separata  -  ai
sensi dell'art. 127 cod. proc. pen. - tali istanze ha determinato  la
impossibilita' di impugnare la decisione reiettiva, sia con l'appello
- dichiarato  inammissibile  -  che  con  un  ipotetico  ricorso  per
cassazione. Tale ricorso non era  proponibile  avverso  la  sentenza,
stante la previsione ostativa di cui all'art. 586 cod. proc. pen. 
    Si ritiene pertanto sussistente un vizio della decisione di primo
grado, tale da travolgere le statuizioni di confisca ivi operate. 
    Al  terzo  motivo  si  deduce  omessa  motivazione  sui   rilievi
difensivi tesi a sostenere la legittimazione dei terzi a  partecipare
al giudizio di secondo grado. 
    Si era sostenuta l'impugnabilita' della decisione di primo  grado
ai  soli  fini  di  tutela  della  proprieta'.  Si  era  evidenziata,
altresi', l'irragionevolezza di una disciplina - come quella  vigente
- che consente al terzo interessato  di  impugnare  il  provvedimento
cautelare con il riesame  e  non  la  sentenza  di  primo  grado  che
statuisce sulla confisca nel procedimento principale. 
    Si era altresi' evidenziata la necessita'  di  una  parificazione
degli  strumenti  di  tutela  rispetto  ad  altri  istituti  analoghi
dell'ordinamento  giuridico,   quali   le   misure   di   prevenzione
patrimoniali che, nella configurazione normativa,  offrono  al  terzo
titolare di diritti la possibilita' di intervenire  nel  procedimento
principale. 
    Su tali quesiti non e' intervenuta risposta alcuna da parte della
Corte di Appello, che si e' limitata a  dichiarare  inammissibili  le
proposte impugnazioni. 
    Al quarto motivo,  in  ipotesi  di  ritenuta  ammissibilita'  del
ricorso  per  cassazione,  si  deduce  vizio  di  motivazione   sulla
statuizione di confisca. 
    Il  contenuto  del  motivo   articola   doglianze   sui   profili
ricostruttivi di tipo patrimoniale e presuppone la risoluzione  delle
questioni antecedenti nel senso della ammissibilita' del ricorso. 
    2.3. - Il ricorso proposto da Bellinvia Carmela  -  a  mezzo  del
difensore e procuratore speciale - risulta strutturato  in  modo  del
tutto analogo e pertanto si rinvia  alla  sintesi  sin  qui  esposta.
Vengono riproposte le questioni in punto di legittimazione e  i  vizi
di motivazione della decisione impugnata. 
    2.4. - Anche il ricorso proposto da Alesci Luisella - a mezzo del
difensore e  procuratore  speciale  -  propone  questioni  del  tutto
analoghe e contesta la omessa motivazione sulle  questioni  poste  in
sede di legittimazione, ivi  compresa  la  questione  incidentale  di
legittimita'  costituzionale.  Si  compie  riferimento,  al  fine  di
rafforzare  il  dubbio  di  costituzionalita',  ai  contenuti   della
Direttiva UE in tema di confisca adottata dal Parlamento  europeo  in
data 3 aprile 2014 ove si prevede espressamente l'impugnabilita'  del
provvedimento di confisca da parte del soggetto interessato. 
    3. - In sede di discussione orale, il sig.  Procuratore  Generale
ha chiesto  l'annullamento  senza  rinvio  della  sentenza  impugnata
limitatamente alla qualificazione di inammissibilita' degli  atti  di
appello, con qualificazione di tali atti ai sensi  dell'art.  322-bis
cod. proc. pen.  e  trasmissione  per  competenza  al  Tribunale  del
Riesame di Messina. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Ad avviso del Collegio va  sollevata,  nel  caso  in  esame,
questione  di  legittimita'  costituzionale  -  con  riferimento   al
contenuto degli artt. 3, 24, 42, 111 e 117 Cost. -  delle  previsioni
di legge di cui agli articoli 573, 579, comma 3 e 593 cod. proc. pen.
nella parte in cui dette norme  non  prevedono,  a  favore  di  terzi
incisi nel diritto di proprieta' per effetto della sentenza di  primo
grado, la facolta' di proporre appello sul solo  capo  contenente  la
statuizione di confisca. 
    Sul tema, gia' introdotto dalle parti ricorrenti, vanno  tuttavia
operate talune precisazioni di inquadramento giuridico che  conducono
a riformulare il dubbio di  legittimita'  costituzionale  in  termini
parzialmente diversi -  ed  aggiuntivi  -  rispetto  alla  originaria
prospettazione dei ricorrenti. 
    In tal senso, la norma di cui all'art. 23, legge n. 87 del  1953,
nella sua corrente interpretazione (tra le altre, Corte cost.  n.  96
del 18 aprile 2012), consente al  giudice  procedente  di  provvedere
anche ex  officio  ad  integrare  la  prospettazione  del  dubbio  di
legittimita' costituzionale della disciplina che  andrebbe  applicata
al caso in trattazione, li' dove sia ritenuta la rilevanza e  la  non
manifesta infondatezza della questione medesima (cosi', testualmente,
la  norma  indicata:  ...  l'autorita'  giurisdizionale,  qualora  il
giudizio  non   possa   essere   definito   indipendentemente   dalla
risoluzione della questione  di  legittimita'  costituzionale  o  non
ritenga che la  questione  sollevata  sia  manifestamente  infondata,
emette ordinanza con la quale, riferiti i termini ed i  motivi  della
istanza con  cui  fu  sollevata  la  questione,  dispone  l'immediata
trasmissione degli atti  alla  Corte  costituzionale  e  sospende  il
giudizio in corso; la questione di legittimita'  costituzionale  puo'
essere sollevata, di ufficio, dall'autorita' giurisdizionale  davanti
alla quale verte il giudizio con ordinanza contenente le  indicazioni
previste alle lettere a) e b) del primo comma e  le  disposizioni  di
cui al comma precedente ...). 
    Cio' posto, va dato atto della ricorrenza del  primo  presupposto
di legge, rappresentato dalla rilevanza della questione. 
    2. - I soggetti terzi, non raggiunti da alcuna imputazione penale
(neanche  in  riferimento  alla  norma  incriminatrice  in  tema   di
intestazione fittizia di cui all'art. 12-quinquies, legge n. 356  del
1992) e, al contempo, titolari formali del diritto di  proprieta'  su
beni confiscati, hanno proposto appello avverso la decisione di primo
grado, relativamente al capo contenente la misura di sicurezza  della
confisca. 
    Nel corso del giudizio di appello e' stata consentita la presenza
formale di tali soggetti alle udienze di  trattazione  mai  contenuti
delle proprie e rispettive  doglianze,  essenzialmente  rappresentati
dalla contestazione in fatto della interposizione  di  persona  e  da
argomentazioni relative all'assenza di  sproporzione  tra  redditi  e
valore degli investimenti  (argomentazioni  potenzialmente  utili  ad
escludere  la   confiscabilita'   in   rapporto   alla   disposizione
regolatrice) non sono stati oggetto di specifica valutazione, essendo
stati dichiarati inammissibili gli atti di appello, come  esposto  in
precedenza. 
    2.1. - Avverso tale  decisione  e'  stato  proposto  ricorso  per
cassazione con contestazione della declaratoria di  inammissibilita',
qui riproponendosi il dubbio  di  legittimita'  costituzionale  della
disciplina normativa processuale (gia' proposto ma  non  delibato  in
secondo grado) nella  parte  in  cui  non  prevede  espressamente  la
facolta' di tali soggetti di esperire l'appello. 
    Tale sequenza, sin qui rievocata, determina la formulazione di un
giudizio di rilevanza della questione, per le ragioni che seguono. 
    2.2. - La declaratoria di inammissibilita' degli atti di  appello
- per come meglio si esporra'  in  seguito  -  e'  stata  emessa  dal
giudice  di  secondo  grado  in  aderenza  ad  un  univoco  indirizzo
interpretativo di questa Corte che esclude la possibilita' del terzo,
proprietario  formale  del  bene   confiscato,   di   proporre   tale
impugnazione nel procedimento principale. 
    Si ritiene, infatti, che  nel  processo  penale  -  ed  anche  in
ipotesi di confisca cd. «estesa» ex art. 12-sexies legge n.  356/1992
e succ. mod. - le ragioni proprie di tale soggetto, pur raggiunto  da
provvedimento con connotazione  espropriativa  del  diritto,  possano
essere fatte valere mediante  la  proposizione  di  impugnazione  del
provvedimento (cautelare) di sequestro (art. 324 cod. proc.  pen.)  o
nel corso del procedimento di primo grado attraverso la  proposizione
di separata istanza di restituzione (reclamabile ex art. 322-bis cod.
proc. pen.), ma non mediante la  proposizione  di  atto  di  appello,
dovendosi - in tal caso - attendere la definizione  del  giudizio  di
merito, con  esclusiva  facolta'  di  proposizione  di  incidente  di
esecuzione ai senti dell'art. 676 cod. proc. pen. 
    In tal senso, la ricognizione dei dati  normativi  ricadenti  sul
tema (573, 579, comma 3 e 593 cod.  proc.  pen.)  porta  a  ritenere,
secondo   il   diritto   vivente,   corretta   la   statuizione    di
inammissibilita' degli atti di appello, statuizione che non  ha  dato
luogo ad acquiescenza ma nei  cui  confronti  e'  stato  proposto  il
ricorso per cassazione, anche allo scopo di riproporre il  dubbio  di
legittimita' costituzionale della sottesa disciplina. 
    Vi e' pertanto sicura rilevanza della questione posta tramite  il
ricorso, atteso che le norme di cui questa Corte e' chiamata  a  fare
applicazione - nella valutazione dei contenuti della impugnazione qui
in  esame  -  porterebbero  alla  conferma   della   valutazione   di
inammissibilita',   contrastabile   solo    attraverso    l'eventuale
accoglimento del prospettato dubbio di legittimita' costituzionale. 
    Si e' piu'  volte  affermato,  nelle  lezioni  interpretative  di
questa  Corte  di  legittimita',  che  poiche'   una   questione   di
legittimita' costituzionale sollevata nel corso  di  un  giudizio  di
impugnazione possa essere rilevante e' necessario che alle sue  sorti
sia legata quella di un determinato motivo di  impugnazione,  sicche'
l'accoglimento della relativa eccezione (e  quindi  la  pronunzia  di
illegittimita' da parte della Corte costituzionale) si risolva  nella
fondatezza del correlato motivo di gravame (cosi' Sez. I n. 4391  del
22 ottobre 1993, ric. Tasselli, rv. 195791). 
    Si e' anche precisato, di recente, che il ricorso per  cassazione
puo' avere ad oggetto anche soltanto  la  eccezione  d'illegittimita'
costituzionale della disposizione applicata dal giudice di merito, in
quanto comporta comunque una censura di violazione di legge  riferita
al provvedimento impugnato, sempre che sussista  la  rilevanza  della
questione,  nel   senso   che   dalla   invocata   dichiarazione   di
illegittimita' possa conseguire una pronunzia favorevole  in  termini
di annullamento, totale o parziale del provvedimento (cosi' Sez. I n.
409 del 10 dicembre 2008, ric. Sardelli, rv. 242456). 
    Ora, nel caso in esame il tema proposto riguarda, in particolare,
la stessa titolarita' del potere  di  proporre  impugnazione  tramite
appello avverso la decisione di primo grado (l'an della facolta')  ed
e' pertanto evidente che li' dove risulti,  all'esito  dell'incidente
di costituzionalita',  fondato  il  dubbio  proposto  in  termini  di
legittimita'  della  attuale  disciplina   (negatoria   dell'an)   la
conseguenza immediata sarebbe quella, favorevole  ai  ricorrenti,  di
ribaltare il fondamento della decisione impugnata  (nel  senso  della
ammissibilita' degli atti di  appello)  con  l'ulteriore  profilo  di
inevitabile accoglimento del ricorso per carenza di  motivazione  sui
contenuti specifici delle doglianze (non esaminati in  secondo  grado
in virtu' della ritenuta assenza di legittimazione ad impugnare). 
    Non  puo'  pertanto  accogliersi  la  prospettazione   conclusiva
esposta nella requisitoria del sig. Procuratore Generale  (nel  senso
di  riqualificare,  previo  annullamento  parziale  della   decisione
impugnata, gli atti di appello proposti nel  procedimento  principale
quali impugnazioni incidentali ex art. 322-bis cod. proc. pen.) posto
che tale soluzione risulterebbe corretta esclusivamente in ipotesi di
ritenuta  irrilevanza  o  manifesta  infondatezza   del   dubbio   di
costituzionalita'. 
    In altre parole, la parte privata ha - nel caso in esame - inteso
azionare (anche in virtu' dei contenuti cumulativi della decisione di
primo grado che ha trattato in  modo  congiunto  le  doglianze  degli
imputati e quelle dei terzi) lo  strumento  dell'appello  avverso  la
sentenza di primo grado (nel procedimento principale),  strumento  il
cui  esperimento  risulta  precluso  in  virtu'  delle   disposizioni
ostative che  si  contestano  sotto  il  profilo  della  aderenza  ai
principi costituzionali. 
    La  riqualificazione  della  impugnazione  (secondo  il  generale
principio espresso dall'art. 568, comma 5 cod. proc. pen.) in appello
«incidentale» ai sensi dell'art. 322-bis cod. proc. pen., al  di  la'
degli evidenti limiti che incontrebbe sul  piano  della  effettivita'
della tutela (data  la  definizione  con  confisca  del  procedimento
principale in primo grado) presuppone  la  conferma  della  validita'
costituzionale della attuale disciplina  impeditiva  e  pertanto  non
puo'  essere  adottata  li'  dove  si  opti  per  la  non   manifesta
infondatezza del dubbio di costituzionalita'. 
    Al contempo, nessun rilievo  ha  sul  tema  la  diversa  opinione
espressa in sentenza dalla Corte di  Appello  (che  rievoca  in  modo
improprio la previsione di legge di cui all'art. 127 cod. proc.  pen.
non applicabile alle istanze di restituzione avverso beni  sottoposti
a   sequestro   preventivo   in   vista   della    confisca)    circa
l'impugnabilita' della decisione  di  primo  grado  con  ricorso  per
cassazione, posto che anche tale opinione - al di la'  del  vizio  di
inquadramento - presuppone la valutazione di  manifesta  infondatezza
dei prospettato dubbio di legittimita' costituzionale. 
    Va pertanto ritenuto sussistente, per  quanto  sinora  detto,  il
parametro della rilevanza della questione. 
    3. - Quanto al profilo della non  manifesta  infondatezza,  vanno
rielaborate talune implicazioni sistematiche, rispetto  ai  contenuti
addotti dalle parti. 
    3.1. - Il primo profilo  riguarda  la  effettiva  impossibilita',
secondo la corrente interpretazione,  del  soggetto  terzo  -  inciso
dalla confisca nel suo diritto reale - di proporre appello avverso la
decisione di primo grado. 
    Tale assetto interpretativo deriva, secondo la pressoche' unanime
lettura ermeneutica, da una serie di disposizioni di legge. 
    Vengono in rilievo, sul tema: 
    a) il principio di tassativita'  delle  impugnazioni  (art.  568,
comma  1  cod.  proc.   pen.),   anche   per   quanto   concerne   la
identificazione dei soggetti legittimati a proporla (art. 568,  comma
3, che testualmente recita ...  il  diritto  di  impugnazione  spetta
soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce. Se la
legge non distingue tra le  diverse  parti,  tale  diritto  spetta  a
ciascuna di esse.); 
        b) la previsione di legge di cui all'art. 573, comma  1  cod.
proc. pen. secondo cui l'impugnazione per  i  soli  interessi  civili
(come indubbiamente andrebbe considerata quella in esame, dato che il
provvedimento di confisca incide sul diritto di proprieta' del terzo)
e' proposta, trattata e decisa con le forme  ordinarie  del  processo
penale (il che impone la necessita' di rinvenire norma  facoltizzante
nel codice di procedura penale); 
        c) la previsione di legge dell'art. 579, comma 3  cod.  proc.
pen. secondo cui  l'impugnazione  contro  la  sola  disposizione  che
riguarda la confisca e' proposta con gli stessi mezzi previsti per  i
capi penali; 
        d) la previsione di legge di  cui  all'art.  593  cod.  proc.
pen., nella parte in cui non menziona espressamente  tra  i  titolari
della facolta' di proporre  appello  i  soggetti  terzi,  intestatari
formali dei beni assoggettati a confisca in primo grado. 
    Vengono altresi' in  rilievo,  a  fini  comparativi,  le  singole
disposizioni che prevedono la facolta' di  impugnazione  della  parte
civile (art. 576 cod. proc. pen.) e del responsabile civile (art. 575
cod. proc. pen.) unitamente alla considerazione per cui  il  soggetto
terzo inciso nel diritto di proprieta'  (a  causa  di  interposizione
fittizia) non puo' ritenersi assimilabile ne'  alla  prima  che  alla
seconda categoria soggettiva,  atteso  che,  quanto  al  responsabile
civile, viene in rilievo, essenzialmente, la previsione di  legge  di
cui all'art. 185, comma 2 cod. pen., trattandosi del soggetto  tenuto
-  secondo  le  leggi  civili  -  a  risarcire  il  danno   cagionato
dall'imputato. 
    3.2. - La condizione giuridica del terzo «titolare  formale»  del
bene  ritenuto,  di  fatto,  nella  disponibilita'  dell'imputato  e'
pertanto quella di un soggetto che vede «aggredito» in sede penale il
suo diritto di proprieta' in rapporto agli esiti di  una  valutazione
incidentale - ma necessaria a fini di confisca - di fittizieta' della
intestazione. 
    Costui puo' essere ritenuto co-autore dello  specifico  reato  di
intestazione fittizia di cui all'art. 12-quinquies, legge n. 356  del
1992 nei soli casi tassativamente indicati  in  detta  previsione  di
legge (consapevole agevolazione fornita al titolare «reale», al  fine
di escludere l'applicazione delle previsioni  di  legge  in  tema  di
misure di prevenzione o  di  realizzare  delitti  di  ricettazione  o
riciclaggio) ed in tal caso puo' essere citato in giudizio  (medesimo
o separato) in qualita'  di  imputato,  ma  salva  detta  particolare
ipotesi, non e' chiamato ad intervenire nel giudizio penale a fini di
realizzazione del contraddittorio  sulla  pretesa  fittizieta'  della
intestazione. 
    In  particolare,  va  ricordato  che   li'   dove   la   presunta
intestazione «di comodo» sia stata  posta  in  essere  in  favore  di
prossimi congiunti (come nel caso in esame) l'esistenza di norme - in
sede di misure di prevenzione - tese a rendere inutile tale modalita'
- a fini elusivi  -  ha  portato  questa  Corte  di  legittimita'  ad
escludere, in piu' occasioni, la  sussistenza  della  punibilita'  in
riferimento al reato in parola (si vedano, sul tema, Sez. I n.  17064
del 2 aprile 2012, rv. 253340; Sez. I n. 4703 del 19  novembre  2012,
rv. 254528, entrambe evidenzianti la necessita', in casi  simili,  di
valorizzazione di ulteriori elementi  di  fatto,  che  evidenzino  in
concreto  la  finalita'  elusiva  della  particolare  disciplina   di
settore). 
    Da  cio'  deriva  che  la  condizione  del   soggetto   (presunto
intestatario fittizio) puo' restare - come nel caso in esame - esente
da contestazione penale e la tutela degli interessi  civili  (diritto
di proprieta') non puo'  essere  realizzata,  in  via  occasionale  e
mediata, da una contemporanea assunzione della qualita'  di  imputato
per la condotta  di  intestazione  fittizia  (circostanza,  peraltro,
pregiudizievole  e  non  certo  auspicata  dal   destinatario   della
potenziale ablazione). 
    Cio' posto, e'  proprio  la  considerazione  delle  ricadute  del
suddetto principio di tassativita' - dei casi e della titolarita' dei
poteri  di  impugnazione  -  ad   aver   determinato   l'orientamento
giurisprudenziale che nega a tale soggetto la facolta'  di  impugnare
in appello la decisione  (sfavorevole)  emessa  in  primo  grado  nei
confronti dell'imputato e incidente sul  diritto  di  proprieta'  del
terzo. 
    Tale facolta', a ben vedere, non  sarebbe  di  per  se'  preclusa
dall'esame dei contenuti normativi riferibili - in quanto tali - agli
articoli 573 e 593 c.p.p., norme che facoltizzano la proposizione  di
impugnazioni per gli interessi  civili,  anche  in  relazione  «sola»
statuizione  di  confisca,  ma  viene  esclusa  in   relazione   alla
necessaria applicazione, posta  da  tali  norme,  delle  disposizioni
contenute nel codice di rito penale, unita alla: a) mancanza  di  una
disposizione facoltizzante espressa; b)  considerazione  per  cui  il
soggetto in questione non e' «parte» in senso formale del giudizio di
primo grado, non essendo prevista la sua citazione (si vedano, tra le
molte, Sez. III n. 23926 del 27 maggio 2010, rv. 247797; Sez.  1,  n.
47312 dell'11 novembre 2011, rv. 251415;  Sez.  6,  n.  29124  del  2
luglio 2012, rv. 253180; Sez. III n. 4554 dell'11 dicembre 2007,  rv.
238820; Sez. II n. 14146 del 14 marzo 2001, rv. 218641). 
    Sempre in relazione  alle  ricadute  del  medesimo  principio  di
tassativita' e' stata invece pacificamente ammessa la possibilita' di
«reazione» di  tale  soggetto  al  provvedimento  cautelare,  ove  si
realizza il prodromo della confisca, ossia al  decreto  di  sequestro
preventivo. 
    La particolare  ampiezza  della  previsione  di  legge  contenuta
nell'art. 322, comma 1 cod. proc. pen.,  che  identifica  i  titolari
della facolta' di impugnazione del sequestro anche nella persona alle
quale le cose sono state sequestrate e in quella che avrebbe  diritto
alla restituzione ha, per costante orientamento, ritenuto ammissibile
l'impugnazione cautelare del terzo (proprietario formale) avverso  il
decreto di sequestro tramite il riesame (art. 324, con ricorribilita'
per violazione di legge in sede di legittimita').  Cio'  e'  avvenuto
sia in ipotesi di terzo titolare formale di beni sequestrati ai sensi
del citato articolo 12-sexies che  in  rapporto  alla  posizione  dei
terzi acquirenti  di  (prospettata)  buona  fede  in  riferimento  ad
immobili oggetto di lottizzazione abusiva (tra le molte, Sez. III  n.
16694 dell'11 marzo 2014, rv. 259803). 
    Analogamente, la formulazione testuale della previsione di  legge
di cui all'art. 322-bis cod. proc. pen. ha  determinato  la  costante
considerazione della facolta' di tale soggetto di proporre - in  sede
procedimentale - istanze di restituzione del bene, con esperibilita',
in caso di diniego, dello strumento dell'appello (anche in  tal  caso
vi e' ricorribilita' in cassazione dell'eventuale  diniego  ai  sensi
dell'art. 325, comma 1 cod. proc. pen.). 
    3.3. - Dunque, una prima considerazione appare necessaria. 
    Il  soggetto  terzo  inciso  nel  diritto  di  proprieta'  da  un
provvedimento di sequestro,  pur  non  essendo  «parte  formale»  del
procedimento  penale   risulta   titolare   di   specifici   «diritti
procedurali» (in tutta evidenza  riconducibili  alle  ricadute  delle
previsioni costituzionali di cui agli artt. 24 e 42 Cost.) ed  ha  il
potere di impugnare il provvedimento di sequestro preventivo, in  una
con la facolta' di presentare autonoma  istanza  di  restituzione  al
giudice  procedente,  con  potere  di   impugnazione   dell'eventuale
diniego. 
    Tali facolta' sono state  peraltro  evidenziate  proprio  in  una
risalente decisione emessa dal giudice delle leggi (Corte cost. n. 18
del 1996) avente ad  oggetto  la  particolare  fisionomia  funzionale
dell'istituto della cd. «confisca estesa» ex  art.  12-sexies,  norma
che in via ordinaria, nella sua dimensione finalistica  e  nella  sua
portata applicativa (in cio' differenziandosi dall'ipotesi  ordinaria
di cui all'art. 240  cod.  pen.)  pone  il  tema  dimostrativo  della
«scissione» tra titolarita' apparente e potere di fatto sul bene. 
    In tale decisione, per quanto qui rileva, dopo aver precisato che
il legislatore  non  irragionevolmente  (ha)  ritenuto  di  presumere
l'esistenza di un nesso pertinenziale tra alcune categorie di reati e
i beni di cui il condannato non possa giustificare la  provenienza  e
che risultino di valore sproporzionato rispetto  al  reddito  o  alla
attivita' economica del condannato stesso ..., si affermava  che  ...
nel merito delle singole censure non sussiste alcuna  violazione  del
principio di  uguaglianza  e  del  diritto  di  difesa,  sia  per  le
considerazioni poste a fondamento della sentenza n. 48 del  1994  ove
e' stata contestata la fondatezza, anche in riferimento  all'art.  42
della Costituzione, di consimili rilievi che lo stesso Tribunale ebbe
a svolgere sull'istituto del  sequestro  preventivo  e  sul  relativo
procedimento di riesame, sia perche' la persona cui i beni sono stati
sequestrati puo' in ogni tempo contestare il provvedimento  cautelare
e provare l'inesistenza dei suoi  presupposti  domandando  la  revoca
della  misura,  con  l'ulteriore  possibilita'  di  proporre  appello
avverso la decisione del giudice  a  norma  dell'art.  322-bis,  cod.
proc. pen. 
    Dunque l'equilibrio  tra  i  valori  coinvolti  -  in  chiave  di
costituzionalita' - dal provvedimento di sequestro incidente su  beni
formalmente intestati a terzi (e non immediatamente percepibili  come
derivanti dal reato per cui si procede) si ritiene realizzato proprio
in rapporto  alla  -  evidenziata  -  facolta'  di  impugnazione  del
sequestro preventivo anche  in  capo  al  terzo  inciso,  nonche'  in
rapporto alla facolta' del medesimo soggetto (oltre che,  ovviamente,
dell'imputato) di domandare  la  restituzione,  con  impugnativa  del
diniego. 
    Nessuna lesione rilevante dei diritti di  difesa  del  terzo  (in
chiave di tutela della proprieta' e di giusto processo  patrimoniale)
puo'  pertanto  ritenersi  sussistente  nella  fase  del   «sequestro
preventivo»  in  virtu'   della   esistenza   di   specifiche   norme
facoltizzanti che detta  tutela  assicurano  e  realizzano,  pur  non
assumendo il soggetto terzo una veste formale di parte processuale in
senso stretto. 
    4. - Il quadro sin qui delineato, tuttavia, muta con  l'emissione
della decisione di primo grado, li' dove con la stessa venga disposta
la confisca. 
    La segnalata linea interpretativa, basata  sulla  osservanza  del
principio di tassativita', come si e' detto, esclude che  avverso  la
sentenza  il  terzo  possa  esercitare  una  autonoma   facolta'   di
impugnazione in secondo grado. 
    Vi e' dunque una «asimmetria» del potere, posto che ci  si  trova
di fronte ad un soggetto che vede «accrescersi»  la  probabilita'  di
spoliazione e che non ha reale facolta'  di  «reazione  immediata»  a
siffatta  decisione.  Il  terzo  puo'  impugnare   il   provvedimento
cautelare ma  non  la  decisione  di  primo  grado  che  contiene  la
statuizione di confisca. 
    Tale assetto risulterebbe - a parere del Collegio - razionale  ed
immune  da  sospetto  di  illegittimita'  costituzionale  ove   fosse
effettivamente garantita una costante  possibilita',  su  istanza  di
parte,  di  rivalutazione   del   fondamento   giustificativo   della
statuizione emessa (... in ogni tempo ... per  mutuare  l'espressione
di cui alla decisione Corte cost. n. 18/1996 in precedenza citata). 
    Ma cosi' non risulta, in virtu' della necessaria osservanza -  in
qualunque procedimento incidentale - dei contenuti della decisione di
merito di primo grado. 
    In particolare, nel settore  qui  in  trattazione,  e'  stato  di
recente osservato, in  modo  pienamente  condivisibile  alla  stregua
della vigente formazione, da Sez. II n. 5380 del 10 gennaio 2015 (rv.
262283) che in tema di misure cautelari reali, quando sia intervenuta
una sentenza di condanna in primo  grado,  al  terzo  interessato  e'
precluso - fino alla formazione del giudicato - rivolgersi al giudice
della cognizione  per  far  valere  i  propri  diritti  sui  beni  in
sequestro. 
    In tale arresto, nel realizzare una  ulteriore  ricognizione  del
tema, si e' affermato - tra l'altro -  che  «...  sul  punto,  questa
Corte ha avuto modo di  statuire  che,  quando  sia  intervenuta  una
sentenza non irrevocabile di condanna deve escludersi,  non  solo  la
possibilita' di restituire  i  beni  di  cui  e'  stata  disposta  la
confisca,  ma  anche  l'immediata  esecutivita'   dei   provvedimenti
restitutori dei beni sottoposti a sequestro preventivo di cui non sia
stata disposta la  confisca,  potendo  quest'ultima  intervenire  nel
successivo grado di giudizio di merito  e,  ricorrendo  l'ipotesi  di
confisca obbligatoria, anche in sede esecutiva (Sez. 1, n. 8533 del 9
gennaio 2013, rv. 254927; Sez. 6, n. 40388 del 26  maggio  2009,  rv.
245473). 
    In sostanza, se nel corso delle indagini preliminari e durante il
giudizio di primo grado, il terzo puo' far valere - dinanzi  all'A.G.
procedente - i propri diritti sui beni sequestrati,  allo  stesso  e'
invece precluso di rivolgersi al giudice  della  cognizione  dopo  la
sentenza non irrevocabile di condanna  e  fino  alla  formazione  del
giudicato  di  condanna.  Non  puo'  ammettersi,   invero,   che   la
statuizione  di  confisca  contenuta  nella  sentenza  sia  posta  in
discussione - durante la pendenza del processo e al  di  fuori  dello
stesso - da  un  soggetto  terzo,  che  non  e'  parte  del  rapporto
processuale instaurato dinanzi al giudice della cognizione. Cio'  non
vuol dire che il terzo non possa, dopo la sentenza di condanna che ha
disposto la confisca dei beni, tutelare i propri diritti. Egli, a tal
fine, dopo il passaggio  in  giudicato  della  sentenza  di  condanna
dell'imputato e sempreche' la  confisca  sia  divenuta  irrevocabile,
potra' promuovere apposito incidente di esecuzione dinanzi al giudice
di cui all'art. 665. 
    Dunque,  accedendosi  a  tale  interpretazione  (in   chiave   di
superamento di un precedente indirizzo che tendeva  ad  ammettere  la
rivalutazione in sede incidentale anche durante  la  trattazione  del
giudizio di secondo grado, espresso, tra le  altre,  da  Sez.  II  n.
14146 del 14 marzo 2001), atteso che la stessa appare in linea con il
necessario equilibrio «di sistema» tra valenza  dei  contenuti  della
decisione di merito emessa in primo grado e possibilita' di  modifica
del  provvedimento  di  confisca  solo  in   sede   di   procedimento
«principale» di appello, il tema  della  presente  decisione  risulta
essere quello della  comparazione  tra  tale  specifico  «assetto  di
tutela» e i principi costituzionali e convenzionali. 
    In   particolare,   risulta   necessario   apprezzare    se    la
«intermittenza»  della   tutela   accordata   al   terzo   (possibile
impugnazione del decreto  di  sequestro/  possibile  formulazione  di
istanze restitutorie durante il giudizio di primo grado/ facolta'  di
proporre incidente di esecuzione dopo il formarsi del giudicato)  sia
razionalmente giustificata e compatibile con i  principi  del  giusto
processo  o  sia  punto  da  sottoporre  a  scrutinio  in  chiave  di
compatibilita' costituzionale. 
    La verifica di compatibilita' va  peraltro  estesa  ai  contenuti
delle norme poste dalla Convenzione Europea dei diritti  dell'uomo  e
delle liberta' fondamentali (ai sensi dell'art. 117, comma 1  Cost.),
per come gli stessi risultano interpretati dalla CEDU. 
    In tal senso, come e' stato piu' volte ribadito dal giudice delle
leggi «... a partire dalle sentenze n. 348  e  349  del  2007  questa
Corte ha costantemente ritenuto che le norme della Convenzione -  nel
significato  loro  attribuito  dalla  Corte   europea   dei   diritti
dell'uomo, specificamente istituita per dare ad esse  interpretazione
ed applicazione - integrano, quali  norme  interposte,  il  parametro
costituzionale espresso dall'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  nella
parte in cui impone la conformazione della  legislazione  interna  ai
vincoli derivanti dagli obblighi internazionali ...; nel caso in  cui
si' profili un contrasto tra una norma  interna  e  una  norma  della
Convenzione, quindi, il giudice nazionale comune deve preventivamente
verificare  la  praticabilita'  di  un'interpretazione  della   prima
conforme alla norma  convenzionale,  ricorrendo  a  tutti  i  normali
strumenti di ermeneutica giuridica (sentenze n.  236  e  n.  113  del
2011; n. 93 del 2010 e n. 331 del 2009). Se questa verifica da' esito
negativo  e  il  contrasto   non   puo'   essere   risolto   in   via
interpretativa, il giudice comune, non potendo disapplicare la  norma
interna ne' farne applicazione, avendola ritenuta in contrasto con la
Convenzione, nella interpretazione che ne  ha  fornito  la  Corte  di
Strasburgo, e  pertanto  con  la  Costituzione,  deve  denunciare  la
rilevata incompatibilita' proponendo una  questione  di  legittimita'
costituzionale in  riferimento  all'art.  117,  primo  comma,  Cost.,
ovvero all'art. 10, primo comma, Cost., ove si tratti  di  una  norma
convenzionale ricognitiva di una  norma  del  diritto  internazionale
generalmente riconosciuta. (Coste Cost. n. 264 del 2012). 
    5. - Cio' posto, non apparendo praticabile, alla luce  di  quanto
sinora esposto, un assetto interpretativo diverso  -  ad  avviso  del
Collegio  -  la  non  manifesta  infondatezza  della   questione   si
concretizza per le ragioni che seguono. 
    Vengono in rilievo piu' profili, che si  esporranno  partitamente
ma  la  cui  valenza   va   ovviamente   ritenuta   frutto   di   una
interrelazione. 
    5.1. - La questione concerne  il  rispetto  del  contenuto  degli
articoli 3, 24, 42 e 111 della Costituzione,  nonche'  la  previsione
dell'art. 117 Cost., in riferimento a quanto previsto dagli  articoli
6, comma 1, 13 e 1  prot.  add.  della  Convenzione  Europea  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(ratificata con legge n. 848 del 4 agosto 1955). 
    5.2. - Un primo profilo e' di natura comparativa tra la posizione
del terzo (intestatario formale) raggiunto da sequestro funzionale  a
confisca «estesa» (art. 12-sexies) e quella del  terzo  raggiunto  da
sequestro funzionale a confisca  di  prevenzione  (attuale  art.  20,
comma 1 del d.lgs. n. 159 del 2011). 
    In entrambe le previsioni di legge viene in rilievo l'ipotesi  di
scissione  tra  titolarita'  formale  del  bene  (il  terzo)  e   sua
disponibilita' di fatto (l'imputato o il proposto). 
    Nel primo caso (art. 12-sexies)  il  terzo  titolare  di  diritto
reale  e',  come  si  e'  detto,  portatore  di  specifiche  facolta'
procedimentali che realizzano tutela durante la fase  delle  indagini
preliminari, nel corso del giudizio di  primo  grado  e  in  sede  di
esecuzione (nel modo che verra' in seguito analizzato). 
    Nel secondo caso (art. 20, d.lgs. n. 159/2011) il  terzo  esplica
il suo diritto al contraddittorio, alla difesa e alla prova sin dalla
fase del procedimento di primo grado  ed  e'  ritenuto  titolare  del
potere di impugnazione avverso la decisione di primo grado (art.  23,
comma 2: i terzi che risultino proprietari o comproprietari dei  beni
sequestrati,  nei  trenta  giorni  successivi  alla  esecuzione   del
sequestro  sono   chiamati   dal   Tribunale   ad   intervenire   nel
procedimento, con decreto motivato che contiene la  fissazione  della
udienza in camera di consiglio; comma 3 all'udienza  gli  interessati
possono svolgere le loro deduzioni con l'assistenza di un  difensore,
nonche' chiedere l'acquisizione di ogni elemento utile ai fini  della
decisione sulla confisca ...; art. 27, comma 1  ...  i  provvedimenti
[decisori di primo grado] sono comunicati ... agli interessati.). 
    Vi e' dunque obiettiva diversita' del livello di  tutela  offerto
dall'ordinamento al medesimo diritto, quello di proprieta', nelle due
ipotesi considerate. 
    La diversita' essenziale concerne l'articolazione -  in  sede  di
prevenzione - di un vero  e  proprio  diritto  di  partecipazione  al
procedimento di primo grado (in luogo della mera facolta' di proporre
impugnazione avverso il sequestro  e/o  successiva  istanza  -  fuori
udienza - tesa alla restituzione del bene) e di un autonomo potere di
impugnazione del provvedimento conclusivo del giudizio di primo grado
(in luogo della assenza di tale facolta', surrogata dalla titolarita'
di un potere di sollecitazione alla rivalutazione dei giudicato). 
    E'  evidente  che  tale  diversita'  potrebbe   -   in   tesi   -
giustificarsi   con   il    diverso    contenitore    procedimentale,
rappresentato nel primo caso dal processo penale (avente  prioritaria
finalita' di stabilire la colpevolezza  o  l'innocenza  dell'imputato
sul  fatto  contestato)  e  nel  secondo  caso  dal  procedimento  di
prevenzione  (finalizzato  ad  una  ricostruzione  degli  indici   di
pericolosita' soggettiva, cui accede la confisca in chiave di  misura
con  portata  di  neutralizzazione  degli  effetti  della   accertata
pericolosita', come di recente ribadito da S.U. n. 4880 del 2015 ric.
Spinelli). 
    Tuttavia tale distinzione, se ha potenziale rilievo nei confronti
della   conformazione   di    tutela    complessivamente    accordata
dall'ordinamento  al  soggetto  «destinatario»  in  via   prioritaria
dell'azione pubblica (imputato/proposto) perde fondamento sistematico
ove vengano in rilievo - come nel caso in esame -  le  posizioni  dei
soggetti terzi, soggetti estranei tanto al  reato  (per  definizione)
che  alla   dinamica   di   inveramento   della   pericolosita'   (in
prevenzione). 
    Cio' in particolare ove si ponga mente  alla  particolare  natura
dello strumento della confisca «estesa»  (art.  12-sexies),  sul  cui
statuto  normativo  questa  Corte  di  legittimita'  e'  piu'   volte
intervenuta - anche in tempi recenti - al fine di evidenziare,  ferme
restando talune difformita' di disciplina (ribadite  da  Sez.  U.  n.
33451/2014 ric. Repaci), la comune radice  funzionale  e  finalistica
con la confisca di prevenzione proprio in tema di tutela  dei  terzi,
in quel caso titolari del diritto di credito (si vedano tra le  altre
Sez. I n. 26527 del 20 m aggio 2014, rv. 259331 e Sez. I n. 21 del 19
settembre 2014, dep. 5 gennaio 2015, rv. 261712, tese a parificare la
tutela offerta in punto di riconoscibilita' e conseguenze della buona
fede del creditore  secondo  la  procedura  introdotta  espressamente
dagli artt. 52 e ss. del d.lgs. n. 159 del 2011). A cio' si  aggiunge
il dato, anch'esso rilevante, rappresentato dal fatto che il  livello
piu' esteso di tutela dei diritti partecipativi (in favore del  terzo
inciso)  si  colloca  nell'area  del  procedimento  di   prevenzione,
caratterizzato - per altri profili - da conformazione del diritto  di
difesa recessiva  rispetto  a  quella  offerta  dal  legislatore  nel
procedimento penale (si  veda  il  tema  del  rilievo  del  vizio  di
motivazione in sede di legittimita', escluso nel solo procedimento di
prevenzione). 
    Pur nella consapevolezza, pertanto, del  rilievo  del  differente
«statuto normativo» complessivo del  procedimento  applicativo  della
misura di prevenzione (ribadito da Corte cost. n.  106  del  2015  in
rapporto a diverso tema) va qui  precisato  che  tale  differenza  di
inquadramento e' da ritenersi fattore di ragionevole diversificazione
degli ambiti di tutela in rapporto alla conformazione del diritto  di
difesa del soggetto proposto  (verifica  della  pericolosita'  e  non
della colpevolezza, fermo restando che in una evoluta concezione  del
giudizio di  pericolosita'  lo  stesso  non  puo'  prescindere  dalla
dimensione  cognitiva  che   imponga   come   base   della   prognosi
l'accertamento di fatti concreti) mentre il caso in esame concerne la
comparazione delle facolta' processuali dei  soggetti  terzi,  incisi
nel diritto di proprieta'. Gia'  sotto  tale  profilo,  pertanto,  si
evidenzia un dubbio in termini di  ragionevolezza  complessiva  della
diversificazione di trattamento di posizioni sostanziali analoghe, ai
sensi dell'art. 3 Cost. 
    5.3. - Non vi e' dubbio - restando sul profilo comparativo -  che
mentre in sede di giudizio penale  di  primo  grado  l'assenza  della
qualita' formale di «parte» in capo al soggetto terzo potrebbe  dirsi
congruamente bilanciata - sul piano  della  legalita'  costituzionale
quanto a difesa della proprieta' - dalla esistenza di una facolta' di
sollecitazione alla restituzione  (e  fermo  restando  che,  in  tale
ambito, il legislatore pare percorrere la strada della  parificazione
vera e propria, visti i contenuti testo del disegno di legge AC  1138
ed altri, approvato dalla Camera, con particolare  riguardo  all'art.
27, teso a realizzare la modifica del testo dell'art.  12-sexies  nel
senso dell'obbligo di citazione nel giudizio di cognizione dei  terzi
titolari  di  diritti  reali  o  personali  di  godimento  sui   beni
sequestrati) la totale assenza di poteri e facolta' di tali  soggetti
nel periodo che va dalla decisione di primo grado alla  definitivita'
della sentenza non appare razionalmente giustificata,  ove  posta  in
comparazione con il sistema delle misure di prevenzione ed  anche  in
riferimento ai contenuti delle norme sovranazionali. 
    Cio' in rapporto  alla  complessiva  «qualita'»  della  tutela  -
rispetto ai valori in gioco - cui si  unisce  la  considerazione  dei
limiti temporali al suo esercizio (post giudicato, una volta definito
il  giudizio  di  primo  grado)  ed  alla  particolare  conformazione
dell'incidente di esecuzione, adattato  -  in  tal  caso  -  a  mezzo
straordinario di impugnazione, peraltro  in  chiave  di  riequilibrio
della mancata partecipazione al procedimento di uno  del  destinatari
(quello formale) del provvedimento ablativo. 
    Ferma restando, infatti, la discrezionalita'  legislativa  -  nel
senso che la parificazione delle  forme  di  esercizio  della  tutela
perseguita nel citato disegno di legge potrebbe non  essere  ritenuta
come scelta costituzionalmente obbligata (ma detta opzione appare, di
certo, in linea  con  i  contenuti  della  Direttiva  del  Parlamento
europeo e del Consiglio n. 2014/42/UE relativa al congelamento e alla
confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato, con obbligo di
adeguamento interno di prossima scadenza, specie per quanto  concerne
le garanzie di cui all'art. 8 in  tema  di  ricorso  effettivo  e  di
potesta' di impugnazione  del  provvedimento  di  confisca,  facolta'
estese ai terzi in modo espresso) va affermato che  la  «sospensione»
della tutela in secondo grado, derivante dalla omessa  previsione  in
capo al terzo del potere di impugnare la sentenza determina ulteriore
dubbio di lesione del parametro della  effettivita'  del  diritto  di
difesa (artt. 24 e 42 Cost.) nonche' dei principi di cui  agli  artt.
6,  comma  1,  13  e  1,  prot.  1  Convenzione  Europea,  per   come
interpretati dalla CEDU. 
    In  particolare,  la  mancata  possibilita'  di   contestare   il
fondamento della decisione di confisca  nel  giudizio  principale  di
secondo grado, come si e' detto, pone tale categoria di soggetti  (in
tesi  portatori  di  ragioni  autonome  di  critica,  correlate  alla
dimostrazione di non  fittizieta'  dell'acquisto  del  diritto)  come
titolari di una sorta di opposizione  «postuma»,  da  esercitarsi  in
sede esecutiva. 
    Cio' invero, gia' sul piano della  razionalita'  del  giudizio  e
della efficacia  dell'amministrazione  della  giustizia  e'  un  dato
antagonista rispetto ai caratteri ordinari della decisione di secondo
grado, posto che frammenta l'unitarieta'  della  valutazione  su  una
fattispecie complessa (come quella della confisca estesa)  ed  espone
il giudicato ad un rischio di revoca per la  sua  inopponibilita'  al
terzo (in ipotesi di fondamento della opposizione esecutiva)  ed,  in
ogni caso, ad una precarieta' dei suoi effetti, spesso - di  fatto  -
paralizzati per lungo tempo dalla  mera  esistenza  di  incidenti  di
esecuzione proposti da terzi titolari di diritti su beni  oggetto  di
confisca definitiva penale. 
    Ma, al di la' di tale aspetto (pur rilevante) e' da dirsi che  la
dimensione ontologica dell'incidente di  esecuzione  (strumento  nato
con  finalita'  ben  diverse,  ferma  restando   la   sua   opportuna
flessibilita') non assicura la pienezza dei diritti difensivi,  posto
che da un lato realizza solo in via mediata il diritto alla prova del
soggetto istante (nei limiti di cui all'art. 666, comma 5 cod.  proc.
pen., su cui in termini generali v. Sez. I, n. 3605 del 24  settembre
1993, rv. 195342) ed in ogni caso, nella  sua  dimensione  cognitiva,
risulta indubbiamente influenzato  dalla  esistenza  della  decisione
irrevocabile posta a monte, nel  cui  ambito  ben  potrebbero  essere
state presi  in  esame  -  senza  contraddittorio  effettivo  con  il
titolare formale del diritto di proprieta' - profili di ricostruzione
probatoria e valutativi rilevanti anche in rapporto  alla  condizione
giuridica del terzo,  in  potenziale  violazione  dei  principio  del
contraddittorio  inteso  come  garanzia  partecipativa  del  soggetto
interessato ai momenti di elaborazione probatoria  (di  cui  all'art.
111 Cost.). 
    E' evidente, sul punto, che pur nella sensibilita' interpretativa
emersa sul piano delle modalita' di trattazione della udienza  (Corte
cost. n. 109 del 15 giugno 2015) di opposizione ex art. 667, comma  4
cod. proc. pen., con facolta' della parte opponente di richiedere  la
trattazione in pubblica udienza (nel caso che ha dato  luogo  a  tale
intervento si trattava, tra l'altro, di  confisca  disposta  in  sede
esecutiva nei confronti di soggetto  terzo)  e  pur  in  presenza  di
orientamenti interpretativi di questa Corte (v. Sez. I n.  30738  del
20 giugno 2013, rv. 256633) tesi ad evidenziare la  necessita',  pure
in sede esecutiva, di assicurare - in simili casi  -  l'ingresso  nei
quadro cognitivo di nuovi elementi di fatto,  tenendosi  conto  della
precedente  assenza  di  contraddittorio  effettivo  con  il   terzo,
l'incidente di esecuzione e' strumento che sconta,  sul  piano  della
effettivita' della tutela  dei  diritti  del  terzo,  la  sua  natura
sistematica e funzionale, ben diversa da quella di  una  impugnazione
straordinaria  o  di  una  opposizione  di  terzo  al   provvedimento
definitivo. 
    Inoltre, va evidenziato il rilievo,  in  chiave  di  effettivita'
complessiva dello strumento,  del  dato  temporale  di  «sospensione»
della tutela. 
    L'incidente di esecuzione presuppone - come  si  e'  detto  -  la
definitivita' della sentenza emessa inter alios, li' dove  la  tutela
da accordarsi al terzo, specie sulla base delle norme  convenzionali,
deve avere carattere di effettivita' e tempestivita'  nell'ambito  di
una lettura delle norme che impone il necessario raccordo tra  quanto
previsto dall'art. 1, prot. 1 Conv.  (in  tema  di  protezione  della
proprieta') e le linee essenziali espresse negli artt. 6, comma  1  e
13 della Convenzione in tema di giusto processo  ed  effettvita'  dei
rimedi, con rilievo di tale contrasto anche ai sensi  dell'art.  117,
comma 1 Cost., per quanto detto in precedenza. 
    Tale raccordo sistematico, espresso sul tema della  difesa  della
proprieta' in diverse occasioni nelle decisioni della  CEDU,  sia  in
rapporto alla posizione del soggetto titolare dei beni  e  sottoposto
in via diretta al procedimento (v. Sez.  II,  4  marzo  2014,  Grande
Stevens ed altri contro  Italia,  par.  188  ove  si  afferma  -  con
citazione di  ulteriori  precedenti  -  che  nonostante  il  silenzio
dell'art. 1 del Prot.  1  in  materia  di  esigenze  procedurali,  le
procedure applicabili nel caso di specie devono offrire alla  persona
interessata una adeguata opportunita' di  esporre  i  suoi  argomenti
alle autorita' competenti allo scopo di contestare effettivamente  le
misure che ledono i diritti sanciti  da  tale  disposizione)  che  in
riferimento alla posizione del terzo, in via  generale  (di  recente,
Sez. IV 4 marzo 2014 Microintelect Ood c. Bulgaria) ed in particolare
nel caso del terzo intestatario di  beni  sottoposti  a  confisca  di
prevenzione nel sistema italiano (in particolare Sez.  II  5  gennaio
2010, Bongiorno e altri contro Italia, in particolare ai paragrafi 48
e 49 in tema di effettivita' della garanzia giurisdizionale accordata
ai soggetti terzi)  impone  di  ritenere  sussistente  un  dubbio  di
«adeguatezza»  dell'attuale  disciplina,  sia   in   riferimento   ai
caratteri strutturali dell'incidente di esecuzione  che  in  rapporto
alla dilatazione temporale della tutela apprestata. 
    In tal senso, non appare  di  ostacolo  alla  prospettazione  del
dubbio di  costituzionalita'  l'eventuale  attribuzione  al  soggetto
terzo  (in  ipotesi  di  fondatezza)  della  facolta'   di   proporre
l'impugnazione  principale  in  secondo  grado  (appello)   pur   non
rivestendo la qualita' formale di parte nel giudizio di primo grado. 
    Si e' gia' evidenziato, infatti, che fermo  restando  l'esercizio
della discrezionalita' legislativa per come  attualmente  in  itinere
(e' evidente che l'attribuzione della qualita' di parte necessaria in
primo grado risolverebbe la questione a  monte,  consentendo  in  via
ordinaria l'impugnazione della  sentenza)  gia'  allo  stato  attuale
della normativa il soggetto terzo (titolare formale di diritto reale)
pur non essendo  «parte»  del  giudizio  e'  titolare  di  specifiche
facolta' procedurali che ne consentono un intervento in piu'  momenti
del procedimento (impugnazione incidentale, istanza di  restituzione)
a  dimostrazione  della  ricorrenza   dell'interesse   partecipativo,
facolta' che peraltro consentono di ritenere non affetta da  evidenti
ragioni di sospetto di incostituzionalita' la disciplina del giudizio
di primo grado. 
    Da cio' deriva la tollerabilita', sul  piano  sistematico,  della
attribuzione - in tesi - di una facolta' di  critica  immediata  alla
decisione di primo grado, anche allo scopo  di  realizzare  un  unico
momento di apprezzamento delle ragioni poste a base  della  ablazione
patrimoniale in un contesto ispirato al contraddittorio effettivo con
i diversi soggetti portatori di interessi neutralizzanti rispetto  ai
contenuti della decisione (imputato e  terzo).  E'  evidente  che  un
assetto del genere porterebbe implicazioni sul  terreno  del  diritto
alla parziale rinnovazione istruttoria (art. 603 cod. proc. pen.)  da
valutarsi in via interpretativa, ma tale aspetto non  puo'  ritenersi
ostativo rispetto alla formulazione - qui espressa - di un potenziale
conflitto della vigente disciplina con piu' parametri costituzionali. 
    6. - Anche in rapporto al contenuto delle argomentazioni sin  qui
operate   va   pertanto,   sollevata   questione   di    legittimita'
costituzionale,  nei  termini  e  con  le  conseguenze  di   cui   al
dispositivo. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Vista la legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, solleva,  anche  di
ufficio, questione di legittimita' costituzionale -  con  riferimento
agli artt. 3, 24, 42, 111 e 117 Cost. -  degli  articoli:  573,  579,
comma 3 e 593 cod. proc. pen. nella parte  in  cui  dette  norme  non
prevedono, a favore di terzi incisi nel  diritto  di  proprieta'  per
effetto della sentenza  di  primo  grado,  la  facolta'  di  proporre
appello sul solo capo contenente la statuizione di confisca. 
    Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. 
    Dispone altresi' che a cura  della  Cancelleria  l'ordinanza  sia
notificata ai ricorrenti, al Procuratore Generale, al Presidente  del
Consiglio dei ministri nonche' ai Presidenti  delle  due  camere  del
Parlamento. 
    Cosi' deciso il 14 gennaio 2016. 
 
                        Il Presidente: Siotto 
 
 
                                       Il Consigliere estensore: Magi