N. 101 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 marzo 2016
Ordinanza del 10 marzo 2016 della Corte dei conti - Sez. giurisdizionale per l'Emilia Romagna sui ricorsi riuniti proposti da De Robertis Roberto ed altri contro INPS.. Previdenza - Pensioni - Perequazione automatica delle pensioni per gli anni 2012 e 2013 - Esclusione per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS - Riconoscimento della perequazione per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il minimo INPS, relativamente agli anni 2011-2013, nella misura del 20% negli anni 2014-2015 e del 50% a decorrere dall'anno 2016. - Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 24, comma 25, lett. e), come sostituito dall'art. 1, comma 1, n. 1, del decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65 (Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2015, n. 109, e comma 25-bis, inserito dall'art. 1, comma 1, n. 2, del decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65 (Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2015, n. 109.(GU n.21 del 25-5-2016 )
LA CORTE DEI CONTI Sezione giurisdizionale regionale per l'Emilia-Romagna In funzione di Giudice unico delle pensioni in composizione monocratica in persona del consigliere Marco Pieroni, ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi iscritti ai nn. 43610, 43611, 43612, 43613, 43614, 43615, 43616, 43617, 43618, 43666/Pensioni Civili del registro di segreteria, proposti, rispettivamente, dai signori De Robertis Roberto, nato a Bari il 29 dicembre 1942, residente in Modena; Cavarra Antonino, nato a Castelvetro il 31 maggio 1930, residente in Modena; Cricchio Antonino, nato ad Ortona il 18 ottobre 1933, residente in Modena; De Robertis Leonardo, nato a Forli' il 22 aprile 1937, residente in Modena; Ferrari Giampaolo, nato a Piandimeleto il 31 agosto 1932, residente in Modena; Gragnoli Leonida, nato a Roma il 28 settembre 1931, residente in Modena; Lugli Mauro, nato a Modena il 22 aprile 1936, residente in Modena; Luongo Manfredi, nato ad Altavilla Irpina il 19 settembre 1945, residente in Modena; Signa Salvatore Umberto, nato a Palermo il 25 gennaio 1941, residente in Modena; tutti rappresentati e difesi dagli avv. prof. Rolando Pini e Giovanni C. Sciacca; Surace Salvatore, nato a Rizziconi (RC) il 6 settembre 1952, residente in Modena, rappresentato e difeso dall'avv. Rolando Pini; tutti elettivamente domiciliati in Bologna, via santo Stefano, n. 43, presso lo studio dell'avv. Giancarlo Fanzini; Uditi, nella pubblica udienza del 23 febbraio 2016, con l'assistenza della sig.ra Laura Cannas, l'avv. prof. Rolando Pini per i ricorrenti e l'avv. Mariateresa Nasso per l'INPS di Roma; Premesso 1. Con atti depositati rispettivamente in data 27 febbraio 2013 e 11 aprile 2013, i ricorrenti, tutti rappresentati e difesi dagli avv. prof. Rolando Pini e Giovanni C. Sciacca, proponevano distinti ricorsi, - riuniti in rito per identita' di oggetto -, avverso: a) i provvedimenti di determinazione del trattamento pensionistico loro attribuito a partire dal mese di agosto 2011, nella parte in cui detto trattamento e' stato assoggettato al «contributo di perequazione» previsto dall'art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, nel testo successivamente modificato dall'art. 24, comma 31-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214; b) la mancata rivalutazione automatica del loro trattamento pensionistico in applicazione dell'art. 24, comma 25, del medesimo decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011. 2. Questo Giudice, con riferimento alla prima richiesta, decideva con separata pronuncia. 3. Con riferimento alla seconda richiesta sub b), i ricorrenti si dolevano del fatto che, in applicazione dell'art. 24, comma 25, del citato decreto-legge n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011, la mancata rivalutazione automatica del loro trattamento pensionistico, prolungando nel tempo i medesimi effetti derivanti dal citato art. 18 comma 22-bis, del decreto-legge n. 201 del 2011, comportasse violazione degli articoli 3, 53, 36 e 38 Cost. L'INPS produceva, in replica, memorie depositate in data 12 settembre 2013 e 26 settembre 2013. Questo Giudice, con le ordinanze n. 37 e n. 38 del 13 maggio 2014, ritenuta la sussistenza dei, presupposti previsti dall'art. 23 della legge n. 87 del 1953, sospendeva i giudizi e rimetteva alla Corte costituzionale la risoluzione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, alla Corte costituzionale, per ritenuta violazione degli articoli 3, 53, 36 e 38 Cost. oltreche', sulla base dell'art. 117, primo comma, Cost., quale parametro interposto, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma 4 novembre 1950 (CEDU), ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 4. La Corte costituzionale si e pronunciata con la sentenza n. 70/2015 dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui prevede che «In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento». Medio tempore, e' intervenuto il decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65 (Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2015, n. 109, che all'art. 1 (Misure in materia di rivalutazione automatica delle pensioni - In vigore dal 21 luglio 2015), cosi' dispone: «1. Al fine di dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015, nel rispetto del principio dell'equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica, assicurando la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche in funzione della salvaguardia della solidarieta' intergenerazionale, all'art. 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, sono apportate le seguenti modificazioni: 1) il comma 25 e' sostituito dal seguente: «25. La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013, e riconosciuta: a) nella misura del 100 per cento per i trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS. Per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; b) nella misura del 40 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e pan o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a quattro volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; c) nella misura del 20 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a cinque volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; d) nella misura del 10 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a sei volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; e) non e' riconosciuta per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi.»; 2) dopo il comma 25 sono inseriti i seguenti: «25-bis. La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013 come determinata dal comma 25, con riguardo ai trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e' riconosciuta: a) negli anni 2014 e 2015 nella misura del 20 per cento; b) a decorrere dall'anno 2016 nella misura del 50 per cento. 25-ter. Resta fermo che gli importi di cui al comma 25-bis sono 1 rivalutati, a decorrere dall'anno 2014, sulla base della normativa vigente.». A seguito dell'entrata in vigore di detta normativa l'INPS ha emanato la circolare INPS n. 125 del 25 giugno del 2015. 5. Le parti ricorrenti, a seguito del pronunciamento della Corte costituzionale, hanno chiesto, ai sensi dell'art. 297 codice di procedura civile la fissazione della nuova udienza dopo la sospensione del processo e, con successive memorie (depositate il 28 ottobre, 25 novembre 2015, 13 gennaio 2016 e 4 febbraio 2016), hanno eccepito: a) l'illegittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25, lettera e), del decreto-legge n. 201 del 2011, come modificato dal decreto-legge n. 65 del 2015, in riferimento all'art. 136 Cost., sotto il profilo che la disposizione, con riguardo ai trattamenti pensionistici complessivamente superiore a sei volte il trattamento minimo INPS, mantiene, per il biennio 2012-2013, l'esclusione dalla rivalutazione automatica gia' prevista dal medesimo art. 24, comma 25, nella versione dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza n. 70 del 2015 della Corte costituzionale; b) l'illegittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25, lettera e), del decreto-legge n. 201 del 2011, come modificato dal decreto-legge n. 65 del 2015, in riferimento agli articoli 38, 36 e 3 Cost., sotto il profilo che la disposizione, nell'escludere per il biennio 2012-2013, ogni rivalutazione dei trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS, viola i principi di adeguatezza, proporzionalita' e ragionevolezza che presiedono alla materia pensionistica; c) l'illegittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25-bis, del decreto-legge n. 201 del 2011, come modificato dal decreto-legge n. 65 del 2015, in riferimento agli artt. 38, 36 e 3 Cost., sotto il profilo che la disposizione riconosce la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013 come determinata dal comma 25, con riguardo ai trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS: a) negli anni 2014 e 2015, nella misura del 20 per cento; b) a decorrere dall'anno 2016, nella misura del 50 per cento, con cio' escludendo dal meccanismo perequativo i percettori di trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi, fascia pensionistica entro la quale si collocano i ricorrenti, con cio' violando i principi di adeguatezza, proporzionalita' e ragionevolezza che presiedono alla materia pensionistica; d) l'illegittimita' costituzionale del comma 25 e del comma 25-bis, dell'art. 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, come modificato dal decreto-legge n. 65 del 2015, in riferimento all'art. 3 Cost., sotto il profilo che, ambedue le disposizioni, rispettivamente nell'escludere per i trattamenti pensionistici superiore a sei volte il trattamento minimo INPS la rivalutazione automatica per il 2012 e il 2013, nonche' per il successivo biennio 2014-2015, estendendo detta preclusione «a decorrere dal 2016», e cioe' «a regime», violano il valore costituzionale dell'affidamento ingenerato dell'art. 69, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, contemplante un meccanismo di rivalutazione significativamente piu' elevato; e) l'illegittimita' costituzionale della citata disciplina introdotta dal decreto-legge n. 65 del 2015 per violazione dell'art. 53 Cost. L'Inps, con memoria depositata il 4 dicembre 2015, ha controdedotto ritenendo, la normativa di cui al decreto-legge n. 65 del 2015, medio tempore intervenuta, rispettosa del decisum della Corte costituzionale, facendo proprie le argomentazioni contenute sia: a) nella sentenza n. 186/2015, della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia, secondo la quale «la normativa sopravvenuta e' da ritenere costituzionalmente legittima, in quanto non piu' fissa, ma progressivamente proporzionata all'entita' delle pensioni in godimento e calibrata, secondo criteri di progressivita' ed evitando automatismi valevoli indistintamente per tutti i pensionati, a bilanciare, in un momento di recessione, contrapposte esigenze costituzionali, di tutela delle finanze e dei conti pubblici e specularmente di protezione dei meno elevati trattamenti pensionistici acquisiti», tanto piu' che la sospensione della perequazione implica che le somme trattenute vengono riversate direttamente al sistema previdenziale al fine specifico di garantirne la sostenibilita', in ossequio ad un principio solidaristico (Corte cost. sentenza n. 173/1986); quanto alla forza retroattiva della disposizione denunciata riguardante gli esercizi 2012 e 2013, l'INPS ha ritenuto che la portata retroattiva della norma non confligge con i principi di ragionevolezza, considerata anche l'emergenza finanziaria in cui versa il nostro Paese; b) sia nella sentenza n. 491/2015, della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, secondo la quale la normativa impugnata sarebbe coerente con i principi di adeguatezza e proporzionalita' i indicata dalla Corte costituzionale al legislatore con la sentenza n. 70/2015. 6. Nel merito, i ricorrenti, in relazione ai trattamenti pensionistici in godimento, tutti complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi (con la conseguenza che le pretese pensionistiche degli interessati avanzate in questa sede non sarebbero meritevoli di accoglimento, laddove l'eccepita questione di legittimita' costituzionale riguardante la disciplina medio tempore introdotta dal decreto-legge n. 65/2015 non dovesse presentare dubbi di «non manifesta infondatezza» in relazione ai parametri evocati), hanno formulato, in aggiunta all'originaria domanda avente ad oggetto il censurato mancato riconoscimento della perequazione pensionistica riferita agli esercizi 2012-2013, anche quella concernente, il biennio 2014-2015, e il periodo successivo che si snoda, a regime, «a decorrere dal 2016». 7. Al riguardo, a seguito di sollecitazione di questo Giudice (art. 101 c.p.c.), l'INPS ha ritenuto che la pretesa, estesa dalle parti attrici al trattamento pensionistico spettante relativamente agli anni 2014-2015 e dal 2016, costituisca domanda nuova e pertanto inammissibile poiche' non conforme alle originarie conclusioni del ricorso. L'eccezione di inammissibilita' formulata dall'Istituto previdenziale, e avversata dalla difesa dei ricorrenti, non e' fondata. Infatti, la domanda di specie non puo' configurarsi, ai sensi degli articoli 183 e 189 c.p.c., domanda nuova bensi' estensione della, domanda originaria (emendatio libelli) poiche' la vicenda sostanziale appare collegata (recte «connessa a vario titolo») a quella dedotta in giudizio con l'atto introduttivo, sicche', nella formulazione della medesima domanda presentata in sede di riassunzione del giudizio, non e' dato ravvisare mutamento ne' della causa petendi ne' del petitum mediato, che, a ben vedere, rimangono, a seguito della previsione introdotta dal decreto-legge n. 65/2015, non solo inalterati, ma nella prospettazione delle parti attoree confermati stante l'aggravamento dei diritti che si assumono conculcati; la normativa medio tempore intervenuta - che le parti non avrebbero comunque avuto modo di impugnare in occasione della formulazione del ricorso originario -, nel confermare l'azzeramento della perequazione pensionistica non solo per il successivo biennio 2014-2015 e a «regime» «a decorrere dal 2016», presenta dunque un nesso di stretta consequenzialita' rispetto alle domande originarie (Cass. civ. sez, unite, sent., n. 12310/2015), sicche', anche in ragione del principio di economia processuale, l'eccezione dell'INPS non puo' trovare accoglimento. 8. La menzionata disciplina introdotta con il decreto-legge n. 65 del 2015, come dimostra la tabella allegata alle memorie depositate nel corso del giudizio, trova applicazione nel caso di specie, in quanto la misura dei trattamenti pensionistici in godimento dei ricorrenti e' superiore al limite di sei volte il minimo INPS, con la conseguenza che ove detta disciplina dovesse trovare nella specie concreta applicazione, le domande attoree dovrebbero essere rigettate, con il che la questione di costituzionalita' eccepita dai ricorrenti e' rilevante ai fini del decidere. 9. Quanto al secondo «filtro» di accesso al giudizio incidentale di legittimita' costituzionale, l'art. 23 della legge n. 87 del 1953 assegna al giudice del processo principale il potere-dovere di accertare, in linea di mera delibazione, e dunque prima facie, se, in riferimento alla norma di cui egli debba fare applicazione, sussista un dubbio di legittimita' costituzionale in relazione a disposizioni della Costituzione o delle leggi costituzionali, che si assumono violate, con conseguente sospensione dell'applicazione della norma medesima, e remissione della questione medesima alla Corte costituzionale. Sicche' allo scopo di stabilire se sussista nella specie il requisito della «non manifesta infondatezza della questione» evocata per ritenuta violazione del giudicato costituzionale (art. 136 Cost.) e degli altri parametri costituzionali di cui agli articoli 3, 36, 38 e 53 Cost., occorre, preliminarmente, ricostruire il dictum giudiziale estraibile dalla sentenza n. 70 del 2015, con richiamo del congiunto della motivazione e del dispositivo, laddove il solo dispositivo non possa essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale (Cass. n. 17649/2012). Tale operazione di definizione del «comando giudiziale», appare, nella specie, tanto piu' necessaria dal momento che, pur di fronte ad una «declaratoria di illegittimita' costituzionale secca», con conseguente caducazione della norma oggetto di scrutinio, la motivazione della sentenza della Corte, significativamente, conclude affermando che «la norma censurata e', pertanto, costituzionalmente illegittima nei termini esposti». 10. Nella ricostruzione del giudicato della Corte appaiono significativi taluni passaggi che, lungi dal limitare il decisum alle sole «fasce (pensionistiche) piu' basse», garantendo a queste ultime l'integrale tutela dall'erosione indotta dalle dinamiche inflazionistiche, in piu' parti, si riferisce a tutti i trattamenti pensionistici, anche a quelli di «maggiore consistenza». A conferma di cio' la sentenza n. 70 volge in dictum cio' che la Consulta aveva formulato in termini di monito al legislatore con la sentenza n. 316 del 2010, laddove la ratio decidendi (della sentenza n. 70) si sostanzia nell'affermazione che «la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, o la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, entrerebbero in collisione con gli invalicabili principi di ragionevolezza e' proporzionalita'». Difatti, nella pronuncia n. 70 si trova affermato, in continuita' con la pregressa giurisprudenza costituzionale, che «la perequazione automatica dei trattamenti pensionistici e' uno strumento di natura tecnica, volto a garantire nel tempo il rispetto del criterio di adeguatezza di cui all'art. 38, secondo comma, Cost. Tale strumento si, presta contestualmente a innervare il principio di sufficienza della retribuzione di' cui all'art. 36 Cost., principio applicato, per costante giurisprudenza di questa Corte, ai trattamenti di quiescenza, intesi quale retribuzione differita (fra le altre, sentenza n. 208 del 2014 e sentenza n. 116 del 2013). Per le sue caratteristiche di neutralita' e obiettivita' e per la sua strumentalita' rispetto all'attuazione dei suddetti principi costituzionali, la tecnica della perequazione si impone, senza predefinirne le modalita', sulle scelte discrezionali del legislatore, cui spetta intervenire per determinare in concreto il quantum di tutela di volta in volta necessario. Un tale intervento deve ispirarsi ai principi costituzionali di cui agli articoli 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., principi strettamente interconnessi, proprio in ragione delle finalita' che perseguono.» [...] «Al legislatore spetta, inoltre, individuare idonei meccanismi che assicurino la perdurante adeguatezza delle pensioni all'incremento del costo della vita». La medesima sentenza n. 70, al punto 10 del Considerato in diritto, cosi conclude «La censura relativa al comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, se vagliata sotto i profili della proporzionalita' e adeguatezza del trattamento pensionistico, induce a ritenere che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalita', con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con «irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attivita'» (sentenza n. 349 del 1985). Non e' stato dunque ascoltato il monito indirizzato al legislatore con la sentenza n. 316 del 2010. Si profila con chiarezza, a questo riguardo, il nesso inscindibile che lega il dettato degli articoli 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. (fra le piu' recenti, sentenza n. 208 del 2014, che richiama la sentenza n. 441 del 1993). Su questo terreno si deve esercitare il legislatore nel proporre un corretto bilanciamento, ogniqualvolta si profili l'esigenza di un risparmio di spesa; nel rispetto di un ineludibile vincolo di scopo «al fine di evitare che esso possa pervenire a valori critici, tali che potrebbero rendere inevitabile l'intervento correttivo della Corte» (sentenza n. 226 del 1993). La disposizione concernente l'azzeramento del meccanismo perequativo, contenuta nel comma 24 dell'art. 25 del decreto-legge n. 201 del 2011, come convertito, si limita a richiamare genericamente la «contingente situazione finanziaria», senza che emerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento, nei cui confronti si effettuano interventi cosi' fortemente incisivi. Anche in sede di conversione (legge 22 dicembre 2011, n. 214), non e' dato riscontrare alcuna documentazione tecnica circa le attese maggiori entrate, come previsto dall'art. 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, recante «Legge di contabilita' e finanza pubblica» (sentenza n. 26 del 2013, che interpreta il citato art. 17 quale «puntualizzazione tecnica» dell'art. 81 Cost.). L'interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, e' teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata.». 11. Come e' possibile ricavare dalla lettura della citata sentenza n. 70, deve ritenersi se per un verso l'an circa la spettanza della perequazione non puo' essere negata ai percipienti trattamenti pensionistici (non essendone consentito l'«azzeramento» a meno che non «emerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento, nei cui confronti si effettuano interventi cosi' fortemente incisivi»), per altro verso, in ragione di concorrenti interessi di rilevanza costituzionale, e' consentito al legislatore calibrarne «il quantum di tutela» nel rispetto dei «limiti della ragionevolezza e proporzionalita'». 12. Alla luce di quanto precede, non possono non dirsi vulnerati i parametri di cui agli articoli 136, 38, 36 e 3 Cost., ad opera dell'art. 24, commi 25, lettera e, per il biennio 2012-2013, e i parametri di cui agli articoli 38, 36 e 3 Cost., ad opera dell'art. 25-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato e integrato dal decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65 (Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2015, n. 109, che per i bienni 2012-2013 e 2014-2015, nonche' a decorrere dal 2016 esclude per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi la perequazione automatica di detti trattamenti pensionistici. Infatti, mentre il citato art. 24, comma 25, lettera e, puo' qualificarsi «riproduttivo» della disposizione espunta dall'ordinamento con la citata sentenza caducatoria (intendendosi per «riproduttiva» quelle disposizioni che pongono una disciplina, pur se sostanzialmente non diversa, tuttavia formalmente diversa ed autonoma rispetto a quella divenuta inefficace, [mentre le disposizioni «confermative» esplicitamente o implicitamente ne protraggono o ne presuppongono integra l'efficacia]), il successivo comma 25-bis, costituisce un prolungamento della disposizione medesima elevando «a regime» la non spettanza di alcuna perequazione pensionistica i trattamenti complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Tale disposizione di cui occorre fare applicazione nel presente giudizio, in quanto riproduttiva di altra disposizione gia' dichiarata costituzionalmente illegittima, alla luce degli insegnamenti della Corte costituzionale deve formare oggetto di uno scrutinio di stretta ragionevolezza (segnatamente per il biennio 2012-2013), nel senso che le decisioni di illegittimita' costituzionale hanno per destinatario non solo chi e' chiamato ad applicare la legge, ma anche il legislatore, al quale l'art. 136 Cost. impone di accettare l'immediata cessazione dell'efficacia giuridica della norma incostituzionale, poiche' diversamente opinando si potrebbe determinare un'ipotesi di violazione di giudicato laddove la norma ripristini o preservi l'efficacia di una norma gia' dichiarata incostituzionale (Corte cost. n. 262/2009; v., anche, sentenza n. 73/2013). Sulla base di quanto precede, non si rivela perspicuo, in relazione a quanto affermato dalla Corte nella sentenza n. 70, con riferimento alla disposizione dichiarata incostituzionale (ove si afferma che "la disposizione concernente l'azzeramento del meccanismo perequativo, contenuta nel comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge 201 del 2011, come convertito, si limita a richiamare genericamente la «contingente; situazione finanziaria», senza che emerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento, nei cui confronti si effettuano interventi cosi' fortemente incisivi. Anche in sede di conversione (legge 22 dicembre 2011, n. 214), non e' dato riscontrare alcuna documentazione tecnica circa le attese maggiori entrate, come previsto dall'art. 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, recante «Legge di contabilita' e finanza pubblica» [sentenza n. 26 del 2013, che interpreta il citato art. 17 quale «puntualizzazione tecnica» dell'art. 81 Cost.]"), quanto previsto nel decreto-legge citato che cosi' genericamente si esprime «Al fine di dare attuazione, ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015, nel rispetto del principio dell'equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica, assicurando la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche in funzione della salvaguardia della solidarieta' intergenerazionale»; infatti al riguardo non e' dato cogliere il bilanciamento fra l'interesse pubblico perseguito dal legislatore e il grave sacrificio imposto ai pensionati i quali, rassicurati dal pronunciamento della Corte costituzionale, si sono visti nuovamente riproporre, per il passato, l'azzeramento del diritto alla rivalutazione del trattamento pensionistico in godimento, e il prolungamento di tale sacrificio «a regime». Deve aggiungersi, che la disposizione di cui si dubita della legittimita' costituzionale, caducata e riprodotta, si caratterizza in tre sostanziali differenze rispetto alla disposizione di cui all'art. 1, comma 19, della legge n. 247 del 2007, oggetto del monito di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 316 del 2010 (monito non ascoltato dal legislatore medesimo e che ha indotto la Corte a volgere in dictum il monito medesimo con la sentenza caducatoria n. 70) e cioe' che la disposizione caducata e riprodotta (art. 24, comma 25, lett e): a) riguarda un biennio (2012-2013), mentre quella del 2007 riguardava solo l'anno 2008; b) risulta motivata in relazione a generiche esigenze di equilibrio di bilancio, laddove la norma precedente individuava la specifica esigenza di «introdurre un contributo di solidarieta' a carico degli iscritti e dei pensionati delle gestioni previdenziali confluite nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti e del Fondo di previdenza per il personale di volo dipendente da aziende di navigazione aerea, allo scopo di determinare in modo equo il concorso dei medesimi al riequilibrio del predetto Fondo»; c) individua quale ammontare sul quale incide l'azzeramento della perequazione il trattamento pensionistico complessivamente superiore a sei volte il minimo INPS, mentre la norma del 2007 individuava quale entita' massima un ammontare piu' elevato (pari ad otto volte il minimo INPS); detta disciplina e' stata portata a regime per il biennio 2014-2015 e «a decorrere dal 2016» (circa il significato da assegnare alla locuzione «a decorrere» indicata dal legislatore, quale sinonimo del carattere «permanente» della misura, cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 43/2016, punto 9 del Considerato in diritto). Per le ragioni che precedono, non puo' ritenersi fugato ogni dubbio circa la «non manifesta infondatezza» della questione di costituzionalita' delle disposizioni delle quali occorre fare applicazione; nel presente giudizio, in relazione agli articoli 136, 38, 36 e 3, poiche', appunto, l'art. 24, comma 25, lettera e), come modificato ad opera del decreto-legge n. 65 del 2015, di fronte ad una pronuncia della Corte costituzionale, n. 70, a carattere caducatorio circa l'azzeramento della perequazione pensionistica per tutti i trattamenti pensionistici e non «in parte qua», limitatamente cioe' ai trattamenti previdenziali modesti, persevera nell'azzerare per taluni trattamenti pensionistici superiori ad una determinata soglia la perequazione pensionistica, senza cioe' modularne la spettanza sia pure in modo inversamente proporzionale rispetto all'ammontare della pensione percepita. Analogo dubbio, in relazione agli articoli 38, 36 e 3 Cost., investe la disciplina «a regime» introdotta dall'art. 24, comma 25-bis, citato, in tal modo non solo prolungando il blocco della rivalutazione monetaria (nella specie) dei trattamenti pensionistici ma escludendo «a regime», rendendolo cioe' strutturale per la sola categoria dei titolari di trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il minimo INPS, il meccanismo della rivalutazione - riconducibile nell'alveo dei sistemi di indicizzazione - che attende alla precipua funzione di mantenere integro il collegamento con il fenomeno dell'inflazione e dunque dei trattamenti pensionistici - nella misura in cui essi attendono alla funzione fondamentale inerente a diritti civili e sociali, quali quelli di sostegno della vecchiaia (art. 5, comma 1, lettera g, della legge costituzionale n. 1 del 2012) - con le complessive dinamiche del costo della vita a garanzia della adeguatezza degli emolumenti percepiti e maturati dai lavoratori alle loro esigenze di vita (art. 38 Cost.). Detta disciplina appare dunque confliggere con il precetto della «adeguatezza» (art. 38, secondo comma, 36 e 3 Cost.) della prestazione pensionistica nel tempo in quanto detto precetto presuppone la permanenza delle condizioni di effettivita' della protezione economica garantita, effettivita' che viene a mancare quando una legge non preveda l'adeguamento (non necessariamente per mezzi di meccanismi automatici, cfr. Corte cost., sentt. n. 457 del 1998 e n. 280 del 1974) dell'importo della prestazione al mutamento nel tempo dei valori monetari (Cort. cost., sentenza n. 487 del 1988), come in «maniera definitiva» dispone ora la normativa di cui all'art. 24, commi 25 e 25-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011. 12.1. In proposito, vale anche ricordare quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 127 del 2015 (punto 7 del Considerato in diritto) in ordine al regime di cui all'art. 34 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo) che ha introdotto un nuovo sistema di perequazione automatica delle pensioni idoneo e indefettibile nell'assicurare la dinamica perequativa delle pensioni; tale argomento, ha indotto la Corte a rigettare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 18, commi 6, 7 e 8, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 981 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3, primo comma, 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, stante il carattere anacronistico di tale meccanismo, che non si profila come una componente essenziale e indefettibile nell'assicurare la dinamica perequativa delle pensioni, ora regolata secondo criteri direttivi sensibilmente diversi (quelli disciplinati proprio dal citato art. 34 che disciplina la perequazione automatica di tutte le pensioni). 12.2. E' altresi' da notare che con la sentenza n. 30 del 2004, la Corte costituzionale ha affermato che in tema di perdurante adeguatezza dei trattamenti pensionistici nel settore del pubblico impiego l'integrazione anche economica tramite interventi a carico della finanza pubblica appare tanto piu' necessaria «in presenza di un significativo allungamento della vita dei cittadini, e del conseguente prolungamento del periodo nel quale e' anzitutto il trattamento pensionistico ad assicurare un'esistenza libera e dignitosa al pensionato e ai suoi familiari». In assenza di un principio costituzionale, che assicuri l'adeguamento costante delle pensioni al successivo trattamento economico dell'attivita' di servizio corrispondente, spetta al legislatore individuare modalita' per garantire un trattamento pensionistico adeguato non solo al momento del collocamento a riposo, ma anche successivamente, in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta sulla base di un «ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti», tenendo conto della attuale disponibilita' delle risorse finanziarie ma con il limite, comunque, di assicurare «la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona». Sul punto la Corte ha altresi' evidenziato che «il legislatore nazionale, dopo aver cercato di garantire un collegamento delle pensioni relative al settore del pubblico impiego alla dinamica retributiva» e, successivamente, aver configurato un «meccanismo di perequazione automatica per consentire l'adeguamento periodico delle pensioni di tutte le diverse categorie del pubblico impiego agli incrementi stipendiali intervenuti, secondo un indice da concordare tra il Governo e le parti sindacali», ha «svincolato, per esigenze di contenimento della spesa pubblica, i trattamenti pensionistici dall'andamento delle successive retribuzioni e cercato di salvaguardarne nel tempo il potere d'acquisto e l'adeguatezza attraverso il solo meccanismo della perequazione automatica dell'importo alle variazioni del costo della vita». Tale meccanismo risulta «coerente sia con il prevalente carattere contributivo assunto dal sistema pensionistico [...] sia con la profonda riforma che ha interessato il pubblico impiego ed in particolare la dirigenza pubblica, il cui trattamento economico e, per la parte accessoria, correlato alle funzioni attribuite, alle connesse responsabilita' ed ai risultati conseguiti». Rimane, comunque fermo che «il verificarsi di irragionevoli scostamenti dell'entita' delle pensioni rispetto alle effettive variazioni del potere d'acquisto della moneta, sarebbe indicativo della inidoneita' dei meccanismo in concreto prescelto ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia mezzi adeguati ad una esistenza libera e dignitosa nel rispetto dei principi e dei diritti sanciti dagli articoli 36 e 38 della Costituzione». 12.3. Occorre poi rimarcare, quanto alla permanenza del sacrificio che ora si impone ai percipienti il trattamento pensionistico nella misura eccedente sei volte il minimo INPS, che la stessa Corte ha si' affermato che, in ragione delle necessarie attuali prospettive pluriennali del ciclo di bilancio, rese ancor piu' stringenti in ossequio alla modifica costituzionale di cui alla legge costituzionale n. 1 del 2012 (segnatamente dall'art. 97, primo comma, Cost., che impone, elevandolo a indefettibile principio costituzionale, l'innovativo principio della sostenibilita' del debito, Corte costituzionale sentenza n. 310/2013, punto 13.4 del Considerato in diritto), sacrifici gravosi non possono non interessare periodi piu' lunghi rispetto a quelli presi in considerazione da precedenti sentenze della Corte (es.: sentenza n. 245 del 1997); e tuttavia la Corte ha prontamente aggiunto e rimarcato che detti periodi devono essere «certo definiti» (Corte cost. sentenza n. 310/2013, punto 13.5. del Considerato in diritto; ordinanza n. 113 del 2014). D'altro canto, la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 178 del 2015 (punto 17 del Considerato in diritto), ha sottolineato la rilevanza della «temporaneita'» di sacrifici di situazioni soggettive consolidate in base alla previgente normativa, richiamando l'orientamento della Corte europea dei diritti dell'uomo (Seconda sezione, sentenza 8 ottobre 2013, Antonio Augusto da Conceiçao Mateus e Lino Jesus Santos Januario contro Portogallo, punti 23 - 29 del Considerato in diritto), secondo il quale l'esigenza di «un "giusto equilibrio" tra le esigenze di interesse generale della comunita' e i requisiti di protezione dei diritti fondamentali dell'individuo», proprio in tema di riduzione dei trattamenti pensionistici, va operata sulla scorta dell'elemento chiave del limite temporale che le contraddistingue. 12.4. Conclusivamente deve ritenersi non manifestamente infondata la questione di legittimita': a) con riferimento, al biennio 2012-2013, dell'art. 24, comma 25, lettera e), dell'art. 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, come modificato dal decreto-legge n. 65 del 2015, in relazione agli articoli 136, 38, 36 e 3 Cost. b) con riferimento al biennio 2014-2015 e a regime dal 2016, dell'art. 24, comma 25-bis, dell'art. 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, come modificato dal decreto-legge n. 65 del 2015, in relazione agli articoli 38, 36 e 3 Cost. 13. Quanto alla questione riguardante il biennio 2012-2013, l'art. 24, comma 25 lettera e), del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, la nuova formulazione del decreto-legge n. 65 del 2015, pur dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 70 del 2015, impedisce a questo Giudice, ponendosi come pregiudiziale, l'accoglimento del ricorso avendo riprodotto con «effetto retroattivo», per pensionati titolari di trattamento pensionistico complessivamente superiore a sei volte il minimo INPS. Si pone pertanto un dubbio di non manifesta infondatezza della norma citata in relazione agli articoli 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, rispetto all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in quanto norma interposta. In particolare, la disciplina citata sembra infatti recare i pregiudizio al valore del legittimo affidamento e della certezza del diritto, il quale trova copertura costituzionale nell'art. 3 Cost. Invero, detto principio non esclude che il legislatore possa assumere disposizioni che modifichino in senso sfavorevole agli interessati la disciplina di rapporti giuridici «anche se l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti», ma esige che cio' avvenga alla condizione «che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto» (sentenze n. 56 del 2015, n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009). Solo in presenza di posizioni giuridiche non adeguatamente consolidate, dunque, ovvero in seguito alla sopravvenienza di interessi pubblici che esigano interventi normativi diretti a incidere peggiorativamente su di esse, ma sempre nei limiti della proporzionalita' dell'incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti, e' consentito alla legge di intervenire in senso sfavorevole su assetti regolatori precedentemente definiti (ex plurimis, sentenza n. 56 del 2015). Tanto premesso, sussiste il dubbio che il quadro normativo preesistente alla disposizione denunciata di incostituzionalita', e cioe' il regime perequativo, come descritto in precedenza, fosse tale da far sorgere nei pensionati la ragionevole fiducia nel non azzeramento di detto meccanismo, anche in relazione tanto alla ratio decidendi sottesa alle sentenze n. 70 del 2015 e n. 127 del 2015 quanto al principio affermato nella sentenza n. 216 del 2015, secondo la quale le scelte onerose per gli interessi dei privati esigono una equilibrata valutazione comparativa degli interessi in gioco, nei limiti, cioe', della ragionevolezza e della proporzionalita'; nella specie, l'emergenza finanziaria (nella pronuncia n. 216, la disciplina denunciata aveva l'obiettivo di ridurre il debito) e' stata ritenuta recessiva innanzi alla tutela dei diritti riconosciuti ai possessori di banconote in lire di prestazione pensionistica; analoga radicale e irreversibile incisione sulle situazioni giuridiche soggettive dei pensionati, dopo la pronuncia n. 70 del 2015 della Corte costituzionale, sembra derivare dalla scelta del legislatore di prevedere il blocco della perequazione pensionistica nei termini sopra indicati. Ne discende che l'art. 24, comma 25 lettera e), del decreto-legge n. 201 del 2011 come modificato dal decreto-legge n. 65 del 2015 (riguardante il biennio 2012-2013), per le ragioni sopra esposte, sembra confliggere agli articoli 2, 3 e primo comma, della Costituzione, rispetto all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in quanto norma interposta (Corte cost. sentenze n. 348 e 349/2007), per come in casi analoghi e' stata interpretata dalla Corte costituzionale e dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (cfr., anche Corte EDU, sentenza 7/6/2011 Agrati c. Italia), sussistendo concretamente una fattispecie di riproduzione, con effetti retroattivi, di una norma gia' espunta dall'ordinamento siccome costituzionalmente illegittima, con conseguente violazione in termini di ragionevolezza del principio del legittimo affidamento e di certezza del i diritto, per come definito dalla sentenza della Corte costituzionale (Corte cost. sentt. nn. 216/2015; n. 156/2007). 14. Ulteriore dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 24, commi 25, lettera e), e 25-bis, del decreto-legge n. 201 del 2011, come modificato dal decreto-legge n. 65 del 2015, si pone in relazione agli articoli 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, rispetto all'art. 1 (Protezione della proprieta') del Protocollo addizionale della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, in quanto norma interposta, riguardante il «diritto [di ogni persona] al rispetto dei suoi beni». Difatti, la Corte di Strasburgo, in diverse sentenze, ha ritenuto riconducibili nel «diritto di ogni persona al rispetto dei suoi beni» non solo i «beni attuali» in quanto valori patrimoniali, ma anche i crediti e tra questi quelli relativi ad una pensione (cfr., caso Mottola e altri c. Italia, ricorso n. 29932/07, sentenza 4 febbraio 2014, punti 40 e 41; caso Staibano e altri c. Italia, ricorso n. 29907/07, sentenza 4 febbraio 2014, punti 40 e 41; caso Maggio e altri c. Italia, ricorsi nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08 sentenza 31 maggio 2011), a condizione che il titolare di essi abbia sufficiente fondamento nel diritto interno, come nel caso del titolare dei trattamenti pensionistici cui spetta, alla luce della sentenza n. 70 del 2015, la «perequazione automatica»; e tuttavia, il legislatore, con la normativa oggetto di dubbio, non sembra avere disciplinato detto «bene», e cioe' la «perequazione automatica», nel rispetto del requisito dell'equo bilanciamento alla luce del principio per cui ogni ingerenza su un «bene» della persona debba essere ragionevolmente proporzionata al fine perseguito, avendo privato, in modo «non transitorio», e cioe' in modo permanente, i percettori di un reddito superiore complessivamente a sei volte il minimo INPS del meccanismo perequativo, con conseguente incisione individuale eccessiva dei diritti di detti pensionati. 15. Con la sentenza n. 70 del 2015, la Corte dichiarava non fondata la questione di legittimita' costituzionale, della disciplina impugnata, in riferimento alla ipotizzata violazione degli articoli 2, 3, 23 e 53 Cost., in relazione alla presunta natura tributaria della misura in esame (Corte cost. n. 70/2015, punto 4 del Considerato in diritto). Orbene, in considerazione della nuova formulazione della norma, la misura di azzeramento della rivalutazione automatica per gli anni 2012-2013, 2014-2015 e dal 2016, relativa ai trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS, ripropone il dubbio circa la introduzione, ad opera del legislatore, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato, di una prestazione patrimoniale di natura tributaria, lesiva del principio di universalita' dell'imposizione a parita' di capacita' contributiva, in quanto posta a carico di una sola categoria di contribuenti; sicche', la norma, nell'imporre alle parti di concorrere alla spesa pubblica non in ragione della propria capacita' contributiva, presenterebbe profili di violazione del principio di eguaglianza, in quanto la Costituzione non impone una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria, esigendo un indefettibile raccordo con la capacita' contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressivita', come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza (Corte cost. sentt. nn. 10/2015; 116/2013; 223/2012). Nel rigettare la predetta questione, la Corte ricordava che tre sono gli elementi indefettibili della fattispecie tributaria: la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare una (definitiva) decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse, connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione, devono essere destinate a sovvenire pubbliche spese (Corte cost. sentt. nn. 70/2015; 219/2014; 154/2014; 310/2013; 238/2009; 141/2009; 335; 64/2008; 334/2006; 73/2005). Tanto premesso, l'azzeramento della perequazione automatica oggetto di censura, non sembra sfuggire ai canoni della prestazione patrimoniale di natura tributaria, atteso che: a) esso da' luogo ad una prestazione patrimoniale imposta, realizzata attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio, destinato a reperire risorse per l'erario. Infatti, la norma all'esame esclude per i trattamenti superiori complessivamente a sei volte il trattamento minimo INPS (e senza distinzione per fasce pensionistiche) la perequazione, procurando una (definitiva) decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; tant'e' che la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 70 del 2015, osserva che, «per le modalita' con cui opera il meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, e, per, sua natura definitiva. Le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensi' sull'ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento e' gia' stato intaccato» (Corte cost. sentenza n. 70/2015, punto 9 del Considerato in diritto); b) la decurtazione non integra, per definizione, una modifica di un rapporto sinallagmatico, poiche' il trattamento pensionistico non e' correlato ad una controprestazione (peraltro, nell'ipotesi del sistema contributivo, la decurtazione non comporta modifica del rapporto di sinallagma); c) le risorse, connesse al presupposto economicamente rilevante, individuato nel superamento della predetta fascia pensionistica, e derivanti dalla suddetta decurtazione, sembrano, sulla base dei principi che presiedono al diritto contabile, destinate a sovvenire pubbliche spese. Infatti, sulla base del disposto dell'art. 17 della legge n. 196 del 2009 (attuativo dell'art. 81 Cost.; cosi', Corte costituzionale n. 26/2013), la copertura finanziaria di nuovi o maggiori oneri e' costituita oltreche' da nuove o maggiori entrate (art. 17, comma 1, lettera c) anche dalla riduzione di precedenti autorizzazioni legislative di spesa (art. 17, comma 1, lettera b); e sembra essere quest'ultimo il caso entro il quale ricondurre il cd. «risparmio di spesa» derivante dalla norma oggetto di scrutinio che ha rimosso dall'ordinamento l'autorizzazione legislativa di spesa che «a regime» estendeva anche ai trattamenti complessivamente superiori a sei volte il minimo INPS la perequazione pensionistica, risorse finanziarie che dunque verranno utilizzate per sovvenire pubbliche spese diverse da quelle per le quali erano state originariamente destinate in considerazione della dichiarata esigenza di «rispetto del principio dell'equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica». Deve aggiungersi che l'assenza di una espressa indicazione della destinazione delle maggiori risorse conseguite dallo Stato per effetto della disciplina in questione non esclude che siano destinate a sovvenire pubbliche spese, e, in particolare, a stabilizzare la finanza pubblica, trattandosi di un usuale comportamento del legislatore quello di non prevedere, per i proventi delle imposte, una destinazione diversa dal generico «concorso alle pubbliche spese» desumibile dall'art. 53 Cost. Nella specie, tale destinazione si desume anche dall'incipit dell'art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 65 del 2015 («1. Al fine di dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015, nel rispetto del principio dell'equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica, assicurando la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche in funzione della salvaguardia della solidarieta' intergenerazionale [...]). Occorre soggiungere che la misura introdotta dal decreto-legge n. 65 del 2015, concorre ad approfondire un ulteriore elemento di irragionevolezza ove si consideri che il blocco della perequazione si cumula con altre forme di prelievo surrettizio IRPEF, qual e' il contributo di solidarieta', che gia', allo stato, determina accentuate differenze orizzontali in danno dei pensionati percettori di redditi elevati i quali, per effetto del contributo di solidarieta' loro imposto, vedono crescere di 15 punti l'incidenza del prelievo fra i 90 e i 350 mila euro, il triplo di quanto sarebbe avvenuto sulla base della sola IRPEF rispetto, ad esempio, ai dipendenti privati e ai lavoratori autonomi (cfr. Corte dei conti, sez. riun. in sede di controllo, n. 5/SSRRCO/RCFP/14, Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2014, pp. 85 e 86). Ne discende che sussistono dubbi di legittimita' costituzionale della disciplina citata anche in relazione agli articoli 2, 3, 23 e 53 Cost. 16. Per quanto sopra esposto, visti gli articoli 134 Cost. e la legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, questo Giudice dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 24, commi 25, lettera e), e 25-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dal decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65 (Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR), convertito, con modificazioni, dalla legge dalla legge 17 luglio 2015, n. 109, in relazione agli articoli 136, 38, 36, 3, 2, 23 e 53 Cost. e 117, primo comma, della Costituzione rispetto all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU) e all'art. 1 del Protocollo addizionale di detta Convenzione firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, in quanto norme interposte. 17. Si dispone, in conseguenza, la sospensione dei giudizi in epigrafe, ordinando l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e gli adempimenti a cura della Cancelleria di cui al dispositivo.
P. Q. M. Visti l'art. 134 Cost. e la legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, questo Giudice unico: dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 136, 38, 36, 3, 2, 23 e 53 Cost. e 117, primo comma, della Costituzione rispetto all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU) e all'art. 1 del Protocollo addizionale di detta Convenzione firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, in quanto norme interposte, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 24, commi 25, lett. e), e 25-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dal decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65 (Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2015, n. 109; dispone la sospensione dei giudizi in epigrafe; ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; ordina, altresi', alla Cancelleria che la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di legittimita' ed al Presidente del Consiglio dei ministri e che essa sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Bologna, nella pubblica udienza del giorno 23 febbraio 2016. Il Giudice unico estensore: Marco Pieroni