N. 101 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 marzo 2016

Ordinanza   del  10  marzo  2016  della  Corte  dei  conti   -   Sez.
giurisdizionale per l'Emilia Romagna sui ricorsi riuniti proposti  da
De Robertis Roberto ed altri contro INPS.. 
 
Previdenza - Pensioni - Perequazione automatica  delle  pensioni  per
  gli anni 2012 e 2013 - Esclusione per i  trattamenti  pensionistici
  complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS -
  Riconoscimento della perequazione per i  trattamenti  pensionistici
  di importo complessivo  superiore  a  tre  volte  il  minimo  INPS,
  relativamente agli anni 2011-2013, nella misura del 20% negli  anni
  2014-2015 e del 50% a decorrere dall'anno 2016. 
- Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per  la
  crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti  pubblici),
  convertito, con modificazioni, dalla legge  22  dicembre  2011,  n.
  214, art. 24, comma 25, lett.  e),  come  sostituito  dall'art.  1,
  comma  1,  n.  1,  del  decreto-legge  21  maggio   2015,   n.   65
  (Disposizioni urgenti in materia  di  pensioni,  di  ammortizzatori
  sociali e di garanzie TFR), convertito,  con  modificazioni,  dalla
  legge 17 luglio 2015, n. 109, e comma 25-bis, inserito dall'art. 1,
  comma  1,  n.  2,  del  decreto-legge  21  maggio   2015,   n.   65
  (Disposizioni urgenti in materia  di  pensioni,  di  ammortizzatori
  sociali e di garanzie TFR), convertito,  con  modificazioni,  dalla
  legge 17 luglio 2015, n. 109. 
(GU n.21 del 25-5-2016 )
 
                         LA CORTE DEI CONTI 
       Sezione giurisdizionale regionale per l'Emilia-Romagna 
 
    In funzione di  Giudice  unico  delle  pensioni  in  composizione
monocratica in persona del consigliere Marco Pieroni, ha  pronunciato
la seguente ordinanza sui  ricorsi  iscritti  ai  nn.  43610,  43611,
43612, 43613,  43614,  43615,  43616,  43617,  43618,  43666/Pensioni
Civili del registro di  segreteria,  proposti,  rispettivamente,  dai
signori De Robertis  Roberto,  nato  a  Bari  il  29  dicembre  1942,
residente in Modena; Cavarra  Antonino,  nato  a  Castelvetro  il  31
maggio 1930, residente in Modena; Cricchio Antonino, nato  ad  Ortona
il 18 ottobre 1933, residente in Modena; De Robertis Leonardo, nato a
Forli' il 22 aprile 1937, residente  in  Modena;  Ferrari  Giampaolo,
nato a Piandimeleto il 31 agosto 1932, residente in Modena;  Gragnoli
Leonida, nato a Roma il 28 settembre 1931, residente in Modena; Lugli
Mauro, nato a Modena il 22 aprile 1936, residente in  Modena;  Luongo
Manfredi, nato ad Altavilla Irpina il 19 settembre 1945, residente in
Modena; Signa Salvatore Umberto, nato a Palermo il 25  gennaio  1941,
residente in Modena; tutti rappresentati e difesi  dagli  avv.  prof.
Rolando  Pini  e  Giovanni  C.  Sciacca;  Surace  Salvatore,  nato  a
Rizziconi  (RC)  il  6   settembre   1952,   residente   in   Modena,
rappresentato e difeso dall'avv. Rolando  Pini;  tutti  elettivamente
domiciliati in Bologna, via santo Stefano, n. 43,  presso  lo  studio
dell'avv. Giancarlo Fanzini; 
    Uditi,  nella  pubblica  udienza  del  23  febbraio   2016,   con
l'assistenza della sig.ra Laura Cannas, l'avv. prof. Rolando Pini per
i ricorrenti e l'avv. Mariateresa Nasso per l'INPS di Roma; 
 
                              Premesso 
 
    1. Con atti depositati rispettivamente in data 27 febbraio 2013 e
11 aprile 2013, i ricorrenti, tutti rappresentati e difesi dagli avv.
prof. Rolando  Pini  e  Giovanni  C.  Sciacca,  proponevano  distinti
ricorsi, - riuniti in rito per identita' di oggetto -, avverso: a)  i
provvedimenti di determinazione del  trattamento  pensionistico  loro
attribuito a partire dal mese di agosto  2011,  nella  parte  in  cui
detto  trattamento  e'   stato   assoggettato   al   «contributo   di
perequazione» previsto dall'art. 18, comma 22-bis, del  decreto-legge
6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni  urgenti  per  la  stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla  legge  15  luglio
2011, n. 111, nel  testo  successivamente  modificato  dall'art.  24,
comma 31-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni
urgenti per la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti
pubblici), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  22  dicembre
2011, n.  214;  b)  la  mancata  rivalutazione  automatica  del  loro
trattamento pensionistico in applicazione dell'art. 24, comma 25, del
medesimo   decreto-legge   n.   201   del   2011,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011. 
    2. Questo Giudice, con riferimento alla prima richiesta, decideva
con separata pronuncia. 
    3. Con riferimento alla seconda richiesta sub b), i ricorrenti si
dolevano del fatto che, in applicazione dell'art. 24, comma  25,  del
citato decreto-legge n. 201 del 2011, convertito dalla legge  n.  214
del 2011, la mancata rivalutazione automatica  del  loro  trattamento
pensionistico, prolungando nel tempo i medesimi effetti derivanti dal
citato art. 18 comma 22-bis,  del  decreto-legge  n.  201  del  2011,
comportasse violazione degli articoli 3, 53, 36 e 38 Cost. 
    L'INPS produceva, in  replica,  memorie  depositate  in  data  12
settembre 2013 e 26 settembre 2013. 
    Questo Giudice, con le ordinanze n. 37 e  n.  38  del  13  maggio
2014, ritenuta la sussistenza dei, presupposti previsti dall'art.  23
della legge n. 87 del 1953, sospendeva i  giudizi  e  rimetteva  alla
Corte costituzionale la risoluzione della questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 24, comma 25, del decreto-legge  6  dicembre
2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita,  l'equita'  e  il
consolidamento dei conti pubblici),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 22  dicembre  2011,  n.  214,  alla
Corte costituzionale, per ritenuta violazione degli articoli  3,  53,
36 e 38 Cost. oltreche',  sulla  base  dell'art.  117,  primo  comma,
Cost., quale parametro interposto, della Convenzione europea  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
firmata a Roma 4 novembre 1950 (CEDU), ratificata  e  resa  esecutiva
con legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    4. La Corte costituzionale si e pronunciata con  la  sentenza  n.
70/2015 dichiarando  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  24,
comma 25, del decreto-legge 6 dicembre  2011,  n.  201  (Disposizioni
urgenti per la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti
pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della
legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui  prevede  che  «In
considerazione   della   contingente   situazione   finanziaria,   la
rivalutazione automatica dei trattamenti  pensionistici,  secondo  il
meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge  23  dicembre
1998,  n.  448,  e  riconosciuta,  per  gli   anni   2012   e   2013,
esclusivamente ai trattamenti pensionistici  di  importo  complessivo
fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per
cento». 
    Medio tempore, e' intervenuto il decreto-legge 21 maggio 2015, n.
65 (Disposizioni urgenti in materia di  pensioni,  di  ammortizzatori
sociali e di garanzie  TFR),  convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge 17 luglio 2015, n. 109, che all'art. 1 (Misure  in  materia  di
rivalutazione automatica delle pensioni - In  vigore  dal  21  luglio
2015), cosi' dispone: «1. Al fine  di  dare  attuazione  ai  principi
enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70  del  2015,
nel rispetto  del  principio  dell'equilibrio  di  bilancio  e  degli
obiettivi di finanza pubblica,  assicurando  la  tutela  dei  livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e  sociali,
anche   in   funzione   della   salvaguardia    della    solidarieta'
intergenerazionale, all'art. 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.
201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011,  n.
214, sono apportate le seguenti modificazioni: 
        1) il comma 25 e' sostituito dal seguente: 
    «25. La rivalutazione automatica dei  trattamenti  pensionistici,
secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23
dicembre  1998,  n.  448,  relativa  agli  anni  2012   e   2013,   e
riconosciuta: 
    a) nella misura del 100 per cento per i trattamenti pensionistici
di importo complessivo fino a tre volte il trattamento  minimo  INPS.
Per le pensioni di importo  superiore  a  tre  volte  il  trattamento
minimo INPS e inferiore a tale limite  incrementato  della  quota  di
rivalutazione automatica spettante  sulla  base  di  quanto  previsto
dalla  presente  lettera,  l'aumento  di  rivalutazione  e'  comunque
attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 
    b) nella misura del 40 per cento per i trattamenti  pensionistici
complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo  INPS  e
pan o inferiori a  quattro  volte  il  trattamento  minimo  INPS  con
riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per  le
pensioni di importo superiore a quattro volte il predetto trattamento
minimo  e  inferiore  a  tale  limite  incrementato  della  quota  di
rivalutazione automatica spettante  sulla  base  di  quanto  previsto
dalla  presente  lettera,  l'aumento  di  rivalutazione  e'  comunque
attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 
    c) nella misura del 20 per cento per i trattamenti  pensionistici
complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS
e pari  o  inferiori  a  cinque  volte  il  trattamento  minimo  INPS
riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per  le
pensioni di importo superiore a cinque volte il predetto  trattamento
minimo  e  inferiore  a  tale  limite  incrementato  della  quota  di
rivalutazione automatica spettante  sulla  base  di  quanto  previsto
dalla  presente  lettera,  l'aumento  di  rivalutazione  e'  comunque
attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 
    d) nella misura del 10 per cento per i trattamenti  pensionistici
complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo  INPS
e pari o inferiori  a  sei  volte  il  trattamento  minimo  INPS  con
riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per  le
pensioni di importo superiore a sei  volte  il  predetto  trattamento
minimo  e  inferiore  a  tale  limite  incrementato  della  quota  di
rivalutazione automatica spettante  sulla  base  di  quanto  previsto
dalla  presente  lettera,  l'aumento  di  rivalutazione  e'  comunque
attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 
    e)  non  e'  riconosciuta   per   i   trattamenti   pensionistici
complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con
riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi.»; 
        2) dopo il comma 25 sono inseriti i seguenti: 
    «25-bis.   La   rivalutazione    automatica    dei    trattamenti
pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1,
della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e  2013
come  determinata  dal  comma  25,  con   riguardo   ai   trattamenti
pensionistici  di  importo  complessivo  superiore  a  tre  volte  il
trattamento minimo INPS e' riconosciuta: 
    a) negli anni 2014 e 2015 nella misura del 20 per cento; 
    b) a decorrere dall'anno 2016 nella misura del 50 per cento. 
    25-ter. Resta fermo che gli importi di cui al comma 25-bis sono 1
rivalutati, a decorrere dall'anno 2014, sulla  base  della  normativa
vigente.». 
    A seguito dell'entrata in vigore di  detta  normativa  l'INPS  ha
emanato la circolare INPS n. 125 del 25 giugno del 2015. 
    5. Le parti ricorrenti, a seguito del pronunciamento della  Corte
costituzionale, hanno chiesto,  ai  sensi  dell'art.  297  codice  di
procedura  civile  la  fissazione  della  nuova   udienza   dopo   la
sospensione del processo e, con successive memorie (depositate il  28
ottobre, 25 novembre 2015, 13 gennaio 2016 e 4 febbraio 2016),  hanno
eccepito: a) l'illegittimita' costituzionale dell'art. 24, comma  25,
lettera e), del decreto-legge n. 201 del 2011,  come  modificato  dal
decreto-legge n. 65 del 2015,  in  riferimento  all'art.  136  Cost.,
sotto il profilo che la disposizione,  con  riguardo  ai  trattamenti
pensionistici complessivamente superiore a sei volte  il  trattamento
minimo INPS, mantiene, per il biennio 2012-2013,  l'esclusione  dalla
rivalutazione automatica gia' prevista dal medesimo  art.  24,  comma
25, nella versione dichiarata  costituzionalmente  illegittima  dalla
sentenza  n.   70   del   2015   della   Corte   costituzionale;   b)
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 25,  lettera  e),
del decreto-legge n. 201 del 2011, come modificato dal  decreto-legge
n. 65 del 2015, in riferimento agli articoli 38, 36 e 3 Cost.,  sotto
il  profilo  che  la  disposizione,  nell'escludere  per  il  biennio
2012-2013,   ogni   rivalutazione   dei   trattamenti   pensionistici
complessivamente superiori a sei volte il  trattamento  minimo  INPS,
viola i principi di adeguatezza,  proporzionalita'  e  ragionevolezza
che  presiedono  alla  materia  pensionistica;  c)   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 24, comma 25-bis, del decreto-legge  n.  201
del 2011, come modificato  dal  decreto-legge  n.  65  del  2015,  in
riferimento agli artt. 38, 36 e 3 Cost.,  sotto  il  profilo  che  la
disposizione riconosce la rivalutazione  automatica  dei  trattamenti
pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1,
della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e  2013
come  determinata  dal  comma  25,  con   riguardo   ai   trattamenti
pensionistici  di  importo  complessivo  superiore  a  tre  volte  il
trattamento minimo INPS: a) negli anni 2014 e 2015, nella misura  del
20 per cento; b) a decorrere dall'anno 2016, nella misura del 50  per
cento, con cio' escludendo dal meccanismo perequativo i percettori di
trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei  volte  il
trattamento minimo INPS con riferimento all'importo  complessivo  dei
trattamenti  medesimi,  fascia  pensionistica  entro  la   quale   si
collocano i ricorrenti, con cio' violando i principi di  adeguatezza,
proporzionalita'  e  ragionevolezza  che  presiedono   alla   materia
pensionistica; d) l'illegittimita' costituzionale del comma 25 e  del
comma 25-bis, dell'art. 24 del decreto-legge n. 201  del  2011,  come
modificato dal decreto-legge n. 65 del 2015, in riferimento  all'art.
3  Cost.,  sotto   il   profilo   che,   ambedue   le   disposizioni,
rispettivamente  nell'escludere  per  i   trattamenti   pensionistici
superiore a sei volte il trattamento  minimo  INPS  la  rivalutazione
automatica per il 2012 e il 2013, nonche' per il  successivo  biennio
2014-2015, estendendo detta preclusione «a  decorrere  dal  2016»,  e
cioe' «a regime», violano il valore  costituzionale  dell'affidamento
ingenerato dell'art. 69, comma 1, della legge 23  dicembre  2000,  n.
388, contemplante un meccanismo di  rivalutazione  significativamente
piu'  elevato;  e)  l'illegittimita'  costituzionale   della   citata
disciplina introdotta dal decreto-legge n. 65 del 2015 per violazione
dell'art. 53 Cost. 
    L'Inps,  con  memoria  depositata  il   4   dicembre   2015,   ha
controdedotto ritenendo, la normativa di cui al decreto-legge  n.  65
del 2015, medio tempore intervenuta,  rispettosa  del  decisum  della
Corte costituzionale, facendo  proprie  le  argomentazioni  contenute
sia: a) nella sentenza n. 186/2015, della Corte  dei  conti,  Sezione
giurisdizionale per  la  Regione  Lombardia,  secondo  la  quale  «la
normativa sopravvenuta e' da ritenere  costituzionalmente  legittima,
in  quanto  non  piu'  fissa,   ma   progressivamente   proporzionata
all'entita' delle pensioni in godimento e calibrata, secondo  criteri
di progressivita' ed evitando  automatismi  valevoli  indistintamente
per tutti i pensionati, a bilanciare, in un  momento  di  recessione,
contrapposte esigenze costituzionali, di tutela delle finanze  e  dei
conti  pubblici  e  specularmente  di  protezione  dei  meno  elevati
trattamenti pensionistici acquisiti», tanto piu' che  la  sospensione
della perequazione implica che le somme trattenute vengono  riversate
direttamente al sistema previdenziale al fine specifico di garantirne
la sostenibilita', in ossequio ad un principio  solidaristico  (Corte
cost. sentenza n. 173/1986);  quanto  alla  forza  retroattiva  della
disposizione denunciata riguardante gli esercizi 2012 e 2013,  l'INPS
ha ritenuto che la portata retroattiva della norma non confligge  con
i  principi  di   ragionevolezza,   considerata   anche   l'emergenza
finanziaria in cui versa il nostro Paese; b) sia  nella  sentenza  n.
491/2015, della Corte  dei  conti,  Sezione  giurisdizionale  per  la
Regione Lazio,  secondo  la  quale  la  normativa  impugnata  sarebbe
coerente con i principi di adeguatezza e proporzionalita' i  indicata
dalla Corte costituzionale al legislatore con la sentenza n. 70/2015. 
    6.  Nel  merito,  i  ricorrenti,  in  relazione  ai   trattamenti
pensionistici in godimento, tutti complessivamente  superiori  a  sei
volte  il  trattamento  minimo  INPS  con   riferimento   all'importo
complessivo dei trattamenti  medesimi  (con  la  conseguenza  che  le
pretese pensionistiche degli interessati avanzate in questa sede  non
sarebbero meritevoli di accoglimento, laddove l'eccepita questione di
legittimita' costituzionale riguardante la disciplina  medio  tempore
introdotta dal decreto-legge n. 65/2015 non dovesse presentare  dubbi
di «non manifesta infondatezza» in relazione ai  parametri  evocati),
hanno formulato, in aggiunta all'originaria domanda avente ad oggetto
il censurato mancato riconoscimento della perequazione  pensionistica
riferita  agli  esercizi  2012-2013,  anche  quella  concernente,  il
biennio 2014-2015, e il periodo successivo che si snoda, a regime, «a
decorrere dal 2016». 
    7. Al riguardo, a seguito di  sollecitazione  di  questo  Giudice
(art. 101 c.p.c.), l'INPS ha ritenuto che la  pretesa,  estesa  dalle
parti attrici al trattamento  pensionistico  spettante  relativamente
agli anni 2014-2015 e dal 2016, costituisca domanda nuova e  pertanto
inammissibile poiche' non conforme alle  originarie  conclusioni  del
ricorso. 
    L'eccezione   di   inammissibilita'    formulata    dall'Istituto
previdenziale, e  avversata  dalla  difesa  dei  ricorrenti,  non  e'
fondata. 
    Infatti, la domanda di specie non  puo'  configurarsi,  ai  sensi
degli articoli 183 e 189  c.p.c.,  domanda  nuova  bensi'  estensione
della, domanda originaria  (emendatio  libelli)  poiche'  la  vicenda
sostanziale appare collegata (recte  «connessa  a  vario  titolo»)  a
quella dedotta in giudizio con l'atto  introduttivo,  sicche',  nella
formulazione  della  medesima   domanda   presentata   in   sede   di
riassunzione del giudizio, non e' dato ravvisare mutamento ne'  della
causa petendi ne' del petitum mediato, che, a ben vedere,  rimangono,
a seguito della previsione introdotta dal decreto-legge  n.  65/2015,
non solo inalterati, ma  nella  prospettazione  delle  parti  attoree
confermati  stante  l'aggravamento  dei  diritti  che   si   assumono
conculcati; la normativa medio tempore intervenuta - che le parti non
avrebbero  comunque  avuto  modo  di  impugnare  in  occasione  della
formulazione del ricorso originario -, nel  confermare  l'azzeramento
della perequazione pensionistica non solo per il  successivo  biennio
2014-2015 e a «regime» «a decorrere dal  2016»,  presenta  dunque  un
nesso di stretta consequenzialita' rispetto alle  domande  originarie
(Cass. civ. sez, unite, sent.,  n.  12310/2015),  sicche',  anche  in
ragione del principio di economia processuale, l'eccezione  dell'INPS
non puo' trovare accoglimento. 
    8. La menzionata disciplina introdotta con il decreto-legge n. 65
del 2015, come dimostra la tabella allegata alle  memorie  depositate
nel corso del giudizio, trova applicazione nel  caso  di  specie,  in
quanto la misura  dei  trattamenti  pensionistici  in  godimento  dei
ricorrenti e' superiore al limite di sei volte il minimo INPS, con la
conseguenza che ove detta disciplina  dovesse  trovare  nella  specie
concreta  applicazione,  le   domande   attoree   dovrebbero   essere
rigettate, con il che la questione di costituzionalita' eccepita  dai
ricorrenti e' rilevante ai fini del decidere. 
    9. Quanto al secondo «filtro» di accesso al giudizio  incidentale
di legittimita' costituzionale, l'art. 23 della legge n. 87 del  1953
assegna al  giudice  del  processo  principale  il  potere-dovere  di
accertare, in linea di mera delibazione, e dunque prima facie, se, in
riferimento alla norma di cui egli debba fare applicazione,  sussista
un dubbio di legittimita' costituzionale in relazione a  disposizioni
della Costituzione o delle  leggi  costituzionali,  che  si  assumono
violate, con conseguente sospensione  dell'applicazione  della  norma
medesima,  e  remissione  della   questione   medesima   alla   Corte
costituzionale. 
    Sicche' allo scopo di  stabilire  se  sussista  nella  specie  il
requisito della «non manifesta infondatezza della questione»  evocata
per ritenuta violazione del giudicato costituzionale (art. 136 Cost.)
e degli altri parametri costituzionali di cui agli articoli 3, 36, 38
e  53  Cost.,  occorre,  preliminarmente,   ricostruire   il   dictum
giudiziale estraibile dalla sentenza n. 70 del 2015, con richiamo del
congiunto della  motivazione  e  del  dispositivo,  laddove  il  solo
dispositivo  non  possa  essere  sufficiente  alla  comprensione  del
comando giudiziale (Cass. n. 17649/2012). 
    Tale operazione di definizione del «comando giudiziale»,  appare,
nella specie, tanto piu' necessaria dal momento che, pur di fronte ad
una  «declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  secca»,   con
conseguente  caducazione  della  norma  oggetto  di   scrutinio,   la
motivazione della sentenza della Corte, significativamente,  conclude
affermando che «la norma censurata e',  pertanto,  costituzionalmente
illegittima nei termini esposti». 
    10.  Nella  ricostruzione  del  giudicato  della  Corte  appaiono
significativi taluni passaggi che, lungi dal limitare il decisum alle
sole «fasce (pensionistiche) piu' basse», garantendo a queste  ultime
l'integrale   tutela   dall'erosione    indotta    dalle    dinamiche
inflazionistiche, in piu' parti, si riferisce a tutti  i  trattamenti
pensionistici, anche a quelli di «maggiore consistenza». 
    A conferma di cio' la sentenza n. 70 volge in dictum cio' che  la
Consulta aveva formulato in termini di monito al legislatore  con  la
sentenza n. 316 del 2010, laddove la ratio decidendi (della  sentenza
n. 70) si sostanzia nell'affermazione che  «la  sospensione  a  tempo
indeterminato del meccanismo perequativo, o la frequente reiterazione
di misure intese a paralizzarlo, entrerebbero in collisione  con  gli
invalicabili principi di ragionevolezza e' proporzionalita'». 
    Difatti, nella pronuncia n. 70 si trova affermato, in continuita'
con la pregressa giurisprudenza costituzionale, che «la  perequazione
automatica dei trattamenti pensionistici e' uno strumento  di  natura
tecnica, volto a garantire nel tempo  il  rispetto  del  criterio  di
adeguatezza di cui all'art. 38, secondo comma, Cost.  Tale  strumento
si, presta contestualmente a innervare il  principio  di  sufficienza
della retribuzione di' cui all'art. 36  Cost.,  principio  applicato,
per costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  ai  trattamenti  di
quiescenza,  intesi  quale  retribuzione  differita  (fra  le  altre,
sentenza n. 208 del 2014 e sentenza n. 116  del  2013).  Per  le  sue
caratteristiche  di  neutralita'  e  obiettivita'  e   per   la   sua
strumentalita'  rispetto   all'attuazione   dei   suddetti   principi
costituzionali,  la  tecnica  della  perequazione  si  impone,  senza
predefinirne   le   modalita',   sulle   scelte   discrezionali   del
legislatore, cui spetta intervenire per determinare  in  concreto  il
quantum di tutela di volta in volta necessario.  Un  tale  intervento
deve ispirarsi ai principi costituzionali di cui  agli  articoli  36,
primo comma,  e  38,  secondo  comma,  Cost.,  principi  strettamente
interconnessi, proprio in ragione delle  finalita'  che  perseguono.»
[...] «Al legislatore spetta, inoltre, individuare idonei  meccanismi
che   assicurino   la   perdurante   adeguatezza    delle    pensioni
all'incremento del costo della vita». 
    La medesima sentenza n.  70,  al  punto  10  del  Considerato  in
diritto, cosi conclude «La censura relativa al comma 25 dell'art.  24
del decreto-legge n. 201 del 2011, se vagliata sotto i profili  della
proporzionalita' e adeguatezza del trattamento pensionistico,  induce
a ritenere che siano stati valicati  i  limiti  di  ragionevolezza  e
proporzionalita',  con  conseguente  pregiudizio  per  il  potere  di
acquisto del trattamento stesso e  con  «irrimediabile  vanificazione
delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il  tempo
successivo alla cessazione della propria attivita'» (sentenza n.  349
del 1985). Non e' stato dunque ascoltato  il  monito  indirizzato  al
legislatore  con  la  sentenza  n.  316  del  2010.  Si  profila  con
chiarezza, a questo riguardo,  il  nesso  inscindibile  che  lega  il
dettato degli articoli 36, primo comma, e 38,  secondo  comma,  Cost.
(fra le piu' recenti, sentenza n.  208  del  2014,  che  richiama  la
sentenza n. 441 del 1993). Su questo terreno si  deve  esercitare  il
legislatore nel proporre un corretto bilanciamento, ogniqualvolta  si
profili l'esigenza di un risparmio  di  spesa;  nel  rispetto  di  un
ineludibile vincolo di scopo «al  fine  di  evitare  che  esso  possa
pervenire a valori critici, tali che potrebbero  rendere  inevitabile
l'intervento correttivo della Corte» (sentenza n. 226 del  1993).  La
disposizione concernente l'azzeramento  del  meccanismo  perequativo,
contenuta nel comma 24 dell'art. 25  del  decreto-legge  n.  201  del
2011, come  convertito,  si  limita  a  richiamare  genericamente  la
«contingente situazione finanziaria», senza che  emerga  dal  disegno
complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze  finanziarie  sui
diritti oggetto di bilanciamento, nei  cui  confronti  si  effettuano
interventi cosi' fortemente incisivi. Anche in  sede  di  conversione
(legge 22 dicembre 2011, n. 214),  non  e'  dato  riscontrare  alcuna
documentazione  tecnica  circa  le  attese  maggiori  entrate,   come
previsto dall'art. 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196,
recante «Legge di contabilita' e finanza pubblica»  (sentenza  n.  26
del 2013, che interpreta il citato art.  17  quale  «puntualizzazione
tecnica»  dell'art.  81  Cost.).  L'interesse  dei   pensionati,   in
particolar modo  di  quelli  titolari  di  trattamenti  previdenziali
modesti, e' teso alla conservazione  del  potere  di  acquisto  delle
somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale  il  diritto  a
una prestazione previdenziale adeguata.». 
    11.  Come  e'  possibile  ricavare  dalla  lettura  della  citata
sentenza n. 70,  deve  ritenersi  se  per  un  verso  l'an  circa  la
spettanza della perequazione non puo' essere  negata  ai  percipienti
trattamenti pensionistici (non essendone consentito l'«azzeramento» a
meno che non «emerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza
delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento,  nei
cui confronti si effettuano interventi cosi'  fortemente  incisivi»),
per altro verso, in ragione di  concorrenti  interessi  di  rilevanza
costituzionale, e' consentito al legislatore calibrarne  «il  quantum
di  tutela»  nel  rispetto  dei  «limiti   della   ragionevolezza   e
proporzionalita'». 
    12. Alla luce di quanto precede, non possono non dirsi  vulnerati
i parametri di cui agli articoli 136, 38, 36  e  3  Cost.,  ad  opera
dell'art. 24, commi 25, lettera e, per  il  biennio  2012-2013,  e  i
parametri di cui agli articoli 38, 36 e 3 Cost., ad  opera  dell'art.
25-bis, del decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.  201  (Disposizioni
urgenti per la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti
pubblici), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  22  dicembre
2011, n. 214, come modificato e integrato dal decreto-legge 21 maggio
2015,  n.  65  (Disposizioni  urgenti  in  materia  di  pensioni,  di
ammortizzatori  sociali  e  di   garanzie   TFR),   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 17 luglio 2015, n. 109, che per  i  bienni
2012-2013 e 2014-2015, nonche' a decorrere dal  2016  esclude  per  i
trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei  volte  il
trattamento minimo INPS con riferimento all'importo  complessivo  dei
trattamenti medesimi la perequazione automatica di detti  trattamenti
pensionistici. 
    Infatti, mentre il citato art. 24,  comma  25,  lettera  e,  puo'
qualificarsi    «riproduttivo»     della     disposizione     espunta
dall'ordinamento con la citata sentenza caducatoria (intendendosi per
«riproduttiva» quelle disposizioni che pongono una disciplina, pur se
sostanzialmente non diversa, tuttavia formalmente diversa ed autonoma
rispetto  a  quella  divenuta  inefficace,  [mentre  le  disposizioni
«confermative» esplicitamente o implicitamente ne  protraggono  o  ne
presuppongono integra  l'efficacia]),  il  successivo  comma  25-bis,
costituisce un prolungamento della disposizione medesima elevando  «a
regime» la non  spettanza  di  alcuna  perequazione  pensionistica  i
trattamenti complessivamente superiori a  sei  volte  il  trattamento
minimo INPS con riferimento all'importo complessivo  dei  trattamenti
medesimi. 
    Tale disposizione di cui occorre fare applicazione  nel  presente
giudizio,  in  quanto  riproduttiva  di   altra   disposizione   gia'
dichiarata   costituzionalmente   illegittima,   alla   luce    degli
insegnamenti della Corte costituzionale deve formare oggetto  di  uno
scrutinio di stretta  ragionevolezza  (segnatamente  per  il  biennio
2012-2013),  nel   senso   che   le   decisioni   di   illegittimita'
costituzionale hanno per destinatario non solo  chi  e'  chiamato  ad
applicare la legge, ma anche il  legislatore,  al  quale  l'art.  136
Cost.  impone  di  accettare  l'immediata  cessazione  dell'efficacia
giuridica della norma incostituzionale, poiche' diversamente opinando
si potrebbe determinare un'ipotesi di violazione di giudicato laddove
la  norma  ripristini  o  preservi  l'efficacia  di  una  norma  gia'
dichiarata incostituzionale (Corte  cost.  n.  262/2009;  v.,  anche,
sentenza n. 73/2013). 
    Sulla base  di  quanto  precede,  non  si  rivela  perspicuo,  in
relazione a quanto affermato dalla Corte nella sentenza  n.  70,  con
riferimento alla disposizione  dichiarata  incostituzionale  (ove  si
afferma che "la disposizione concernente l'azzeramento del meccanismo
perequativo, contenuta nel comma 25 dell'art.  24  del  decreto-legge
201 del 2011, come convertito, si limita a  richiamare  genericamente
la  «contingente;  situazione  finanziaria»,  senza  che  emerga  dal
disegno  complessivo  la   necessaria   prevalenza   delle   esigenze
finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento, nei  cui  confronti
si effettuano interventi cosi' fortemente incisivi. Anche in sede  di
conversione (legge 22 dicembre 2011, n. 214), non e' dato riscontrare
alcuna documentazione tecnica circa le attese maggiori entrate,  come
previsto dall'art. 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196,
recante «Legge di contabilita' e finanza pubblica»  [sentenza  n.  26
del 2013, che interpreta il citato art.  17  quale  «puntualizzazione
tecnica» dell'art. 81 Cost.]"),  quanto  previsto  nel  decreto-legge
citato  che  cosi'  genericamente  si  esprime  «Al  fine   di   dare
attuazione,  ai  principi  enunciati  nella  sentenza   della   Corte
costituzionale  n.  70  del  2015,   nel   rispetto   del   principio
dell'equilibrio di bilancio e degli obiettivi  di  finanza  pubblica,
assicurando  la  tutela  dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni
concernenti i diritti civili  e  sociali,  anche  in  funzione  della
salvaguardia  della  solidarieta'  intergenerazionale»;  infatti   al
riguardo non  e'  dato  cogliere  il  bilanciamento  fra  l'interesse
pubblico perseguito dal legislatore e il grave sacrificio imposto  ai
pensionati  i  quali,  rassicurati  dal  pronunciamento  della  Corte
costituzionale, si sono visti nuovamente riproporre, per il  passato,
l'azzeramento  del  diritto  alla   rivalutazione   del   trattamento
pensionistico in godimento, e il prolungamento di tale sacrificio  «a
regime». 
    Deve aggiungersi, che la disposizione  di  cui  si  dubita  della
legittimita' costituzionale, caducata e riprodotta,  si  caratterizza
in tre sostanziali  differenze  rispetto  alla  disposizione  di  cui
all'art. 1, comma 19, della legge n. 247 del 2007, oggetto del monito
di cui alla sentenza della  Corte  costituzionale  n.  316  del  2010
(monito non ascoltato dal legislatore medesimo e che  ha  indotto  la
Corte a  volgere  in  dictum  il  monito  medesimo  con  la  sentenza
caducatoria n. 70) e cioe' che la disposizione caducata e  riprodotta
(art. 24, comma 25, lett e):  a)  riguarda  un  biennio  (2012-2013),
mentre quella del  2007  riguardava  solo  l'anno  2008;  b)  risulta
motivata in relazione a generiche esigenze di equilibrio di bilancio,
laddove la norma precedente  individuava  la  specifica  esigenza  di
«introdurre un contributo di solidarieta' a carico degli  iscritti  e
dei pensionati  delle  gestioni  previdenziali  confluite  nel  Fondo
pensioni lavoratori dipendenti e  del  Fondo  di  previdenza  per  il
personale di volo dipendente da aziende di  navigazione  aerea,  allo
scopo di determinare  in  modo  equo  il  concorso  dei  medesimi  al
riequilibrio del predetto Fondo»; c) individua  quale  ammontare  sul
quale  incide  l'azzeramento  della   perequazione   il   trattamento
pensionistico complessivamente superiore a sei volte il minimo  INPS,
mentre la  norma  del  2007  individuava  quale  entita'  massima  un
ammontare piu' elevato (pari ad otto volte  il  minimo  INPS);  detta
disciplina e' stata portata a regime per il biennio  2014-2015  e  «a
decorrere dal 2016» (circa il significato da assegnare alla locuzione
«a decorrere» indicata dal legislatore, quale sinonimo del  carattere
«permanente» della misura, cfr.  Corte  costituzionale,  sentenza  n.
43/2016, punto 9 del Considerato in diritto). 
    Per le ragioni che precedono,  non  puo'  ritenersi  fugato  ogni
dubbio circa la  «non  manifesta  infondatezza»  della  questione  di
costituzionalita'  delle  disposizioni  delle  quali   occorre   fare
applicazione; nel presente giudizio, in relazione agli articoli  136,
38, 36 e 3, poiche', appunto, l'art. 24, comma 25, lettera  e),  come
modificato ad opera del decreto-legge n. 65 del 2015,  di  fronte  ad
una  pronuncia  della  Corte  costituzionale,  n.  70,  a   carattere
caducatorio circa l'azzeramento della perequazione pensionistica  per
tutti i trattamenti pensionistici e non «in parte qua», limitatamente
cioe' ai trattamenti previdenziali modesti,  persevera  nell'azzerare
per taluni trattamenti pensionistici  superiori  ad  una  determinata
soglia  la  perequazione  pensionistica,  senza  cioe'  modularne  la
spettanza  sia  pure  in  modo  inversamente  proporzionale  rispetto
all'ammontare della pensione percepita. 
    Analogo dubbio, in relazione agli articoli  38,  36  e  3  Cost.,
investe la disciplina  «a  regime»  introdotta  dall'art.  24,  comma
25-bis, citato, in tal modo non  solo  prolungando  il  blocco  della
rivalutazione monetaria (nella specie) dei trattamenti  pensionistici
ma escludendo «a regime», rendendolo cioe' strutturale  per  la  sola
categoria dei titolari di trattamenti pensionistici  complessivamente
superiori  a  sei  volte  il  minimo  INPS,   il   meccanismo   della
rivalutazione   -   riconducibile   nell'alveo   dei    sistemi    di
indicizzazione - che attende  alla  precipua  funzione  di  mantenere
integro il collegamento con il fenomeno dell'inflazione e dunque  dei
trattamenti pensionistici - nella misura in cui essi  attendono  alla
funzione fondamentale inerente a  diritti  civili  e  sociali,  quali
quelli di sostegno della vecchiaia (art. 5, comma 1, lettera g, della
legge costituzionale n. 1 del 2012) - con  le  complessive  dinamiche
del costo della vita a garanzia della  adeguatezza  degli  emolumenti
percepiti e maturati dai lavoratori alle loro esigenze di vita  (art.
38 Cost.). 
    Detta disciplina appare dunque confliggere con il precetto  della
«adeguatezza»  (art.  38,  secondo  comma,  36  e  3   Cost.)   della
prestazione  pensionistica  nel  tempo  in  quanto   detto   precetto
presuppone la  permanenza  delle  condizioni  di  effettivita'  della
protezione economica garantita,  effettivita'  che  viene  a  mancare
quando una legge non preveda l'adeguamento (non  necessariamente  per
mezzi di meccanismi automatici, cfr. Corte cost., sentt. n.  457  del
1998 e n. 280 del 1974) dell'importo della prestazione  al  mutamento
nel tempo dei valori monetari  (Cort.  cost.,  sentenza  n.  487  del
1988), come in «maniera definitiva» dispone ora la normativa  di  cui
all'art. 24, commi 25 e 25-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.
201  (Disposizioni  urgenti  per  la   crescita,   l'equita'   e   il
consolidamento dei conti pubblici),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011. 
    12.1. In proposito, vale anche ricordare quanto  affermato  dalla
Corte costituzionale nella sentenza n. 127  del  2015  (punto  7  del
Considerato in diritto) in ordine al regime di cui all'art. 34  della
legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di  finanza  pubblica  per  la
stabilizzazione e lo sviluppo) che ha introdotto un nuovo sistema  di
perequazione  automatica  delle  pensioni  idoneo   e   indefettibile
nell'assicurare  la  dinamica  perequativa   delle   pensioni;   tale
argomento,  ha  indotto  la  Corte  a  rigettare  la   questione   di
legittimita' costituzionale  dell'art.  18,  commi  6,  7  e  8,  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n.  981  (Disposizioni  urgenti  per  la
stabilizzazione   finanziaria),   convertito,   con    modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111,  sollevata,
in riferimento agli articoli 2, 3, primo  comma,  117,  primo  comma,
della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione  all'art.  6  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955,  n.  848,  dalla
Corte dei conti, sezione giurisdizionale per  la  Regione  siciliana,
stante il carattere anacronistico di  tale  meccanismo,  che  non  si
profila   come   una   componente    essenziale    e    indefettibile
nell'assicurare la dinamica perequativa delle pensioni, ora  regolata
secondo criteri direttivi sensibilmente diversi (quelli  disciplinati
proprio dal citato art. 34 che disciplina la perequazione  automatica
di tutte le pensioni). 
    12.2. E' altresi' da notare che con la sentenza n. 30  del  2004,
la Corte costituzionale  ha  affermato  che  in  tema  di  perdurante
adeguatezza dei trattamenti pensionistici nel  settore  del  pubblico
impiego l'integrazione anche economica tramite  interventi  a  carico
della finanza pubblica appare tanto piu' necessaria «in  presenza  di
un  significativo  allungamento  della  vita  dei  cittadini,  e  del
conseguente prolungamento del  periodo  nel  quale  e'  anzitutto  il
trattamento  pensionistico  ad  assicurare  un'esistenza   libera   e
dignitosa al pensionato e  ai  suoi  familiari».  In  assenza  di  un
principio costituzionale, che assicuri l'adeguamento  costante  delle
pensioni  al  successivo  trattamento  economico  dell'attivita'   di
servizio corrispondente, spetta al legislatore individuare  modalita'
per garantire un  trattamento  pensionistico  adeguato  non  solo  al
momento del collocamento  a  riposo,  ma  anche  successivamente,  in
relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta sulla  base
di  un   «ragionevole   bilanciamento   dei   valori   costituzionali
coinvolti», tenendo conto della attuale disponibilita' delle  risorse
finanziarie ma con il limite, comunque, di  assicurare  «la  garanzia
delle esigenze minime di protezione della persona». 
    Sul punto la Corte ha altresi' evidenziato  che  «il  legislatore
nazionale, dopo aver  cercato  di  garantire  un  collegamento  delle
pensioni relative al  settore  del  pubblico  impiego  alla  dinamica
retributiva» e, successivamente, aver configurato un  «meccanismo  di
perequazione automatica per consentire l'adeguamento periodico  delle
pensioni di tutte le diverse  categorie  del  pubblico  impiego  agli
incrementi stipendiali intervenuti, secondo un indice  da  concordare
tra il Governo e le parti sindacali», ha «svincolato, per esigenze di
contenimento  della  spesa  pubblica,  i  trattamenti   pensionistici
dall'andamento   delle   successive   retribuzioni   e   cercato   di
salvaguardarne  nel  tempo  il  potere  d'acquisto  e   l'adeguatezza
attraverso  il  solo   meccanismo   della   perequazione   automatica
dell'importo alle variazioni del costo della vita».  Tale  meccanismo
risulta  «coerente  sia  con  il  prevalente  carattere  contributivo
assunto dal sistema pensionistico [...] sia con la  profonda  riforma
che ha interessato il pubblico impiego ed in particolare la dirigenza
pubblica, il cui trattamento economico e, per  la  parte  accessoria,
correlato alle funzioni attribuite, alle connesse responsabilita'  ed
ai risultati conseguiti». Rimane, comunque fermo che «il  verificarsi
di irragionevoli scostamenti  dell'entita'  delle  pensioni  rispetto
alle effettive variazioni del potere d'acquisto della moneta, sarebbe
indicativo della inidoneita' dei meccanismo in concreto prescelto  ad
assicurare al lavoratore e alla sua famiglia mezzi  adeguati  ad  una
esistenza libera e dignitosa nel rispetto dei principi e dei  diritti
sanciti dagli articoli 36 e 38 della Costituzione». 
    12.3.  Occorre  poi  rimarcare,  quanto   alla   permanenza   del
sacrificio  che  ora  si  impone  ai   percipienti   il   trattamento
pensionistico nella misura eccedente sei volte il minimo INPS, che la
stessa Corte ha  si'  affermato  che,  in  ragione  delle  necessarie
attuali prospettive pluriennali del ciclo  di  bilancio,  rese  ancor
piu' stringenti in ossequio alla modifica costituzionale di cui  alla
legge costituzionale n. 1 del 2012 (segnatamente dall'art. 97,  primo
comma,  Cost.,  che  impone,  elevandolo  a  indefettibile  principio
costituzionale,  l'innovativo  principio  della  sostenibilita'   del
debito, Corte costituzionale sentenza n.  310/2013,  punto  13.4  del
Considerato  in  diritto),  sacrifici   gravosi   non   possono   non
interessare  periodi  piu'  lunghi  rispetto  a   quelli   presi   in
considerazione da precedenti sentenze della Corte (es.:  sentenza  n.
245 del  1997);  e  tuttavia  la  Corte  ha  prontamente  aggiunto  e
rimarcato che detti periodi devono  essere  «certo  definiti»  (Corte
cost. sentenza n. 310/2013, punto 13.5. del Considerato  in  diritto;
ordinanza n. 113 del 2014). 
    D'altro canto, la stessa Corte costituzionale, nella sentenza  n.
178 del 2015 (punto 17 del Considerato in diritto),  ha  sottolineato
la  rilevanza  della  «temporaneita'»  di  sacrifici  di   situazioni
soggettive consolidate in base alla previgente normativa, richiamando
l'orientamento della Corte europea  dei  diritti  dell'uomo  (Seconda
sezione, sentenza 8 ottobre 2013, Antonio Augusto da Conceiçao Mateus
e Lino Jesus Santos Januario contro Portogallo, punti  23  -  29  del
Considerato in diritto), secondo il quale l'esigenza di  «un  "giusto
equilibrio" tra le esigenze di interesse generale della comunita' e i
requisiti di protezione  dei  diritti  fondamentali  dell'individuo»,
proprio in  tema  di  riduzione  dei  trattamenti  pensionistici,  va
operata sulla scorta dell'elemento chiave del limite temporale che le
contraddistingue. 
    12.4. Conclusivamente deve ritenersi non manifestamente infondata
la questione di legittimita': 
    a) con riferimento, al biennio 2012-2013, dell'art. 24, comma 25,
lettera e), dell'art. 24 del decreto-legge  n.  201  del  2011,  come
modificato dal decreto-legge  n.  65  del  2015,  in  relazione  agli
articoli 136, 38, 36 e 3 Cost. 
    b) con riferimento al biennio 2014-2015  e  a  regime  dal  2016,
dell'art. 24, comma 25-bis, dell'art. 24 del decreto-legge n. 201 del
2011, come modificato dal decreto-legge n. 65 del 2015, in  relazione
agli articoli 38, 36 e 3 Cost. 
    13. Quanto  alla  questione  riguardante  il  biennio  2012-2013,
l'art. 24, comma 25 lettera e), del decreto-legge n.  201  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, la  nuova
formulazione del decreto-legge n. 65 del 2015, pur dopo la  pronuncia
della Corte  costituzionale  n.  70  del  2015,  impedisce  a  questo
Giudice, ponendosi come  pregiudiziale,  l'accoglimento  del  ricorso
avendo riprodotto con «effetto retroattivo», per pensionati  titolari
di trattamento pensionistico complessivamente superiore a  sei  volte
il minimo INPS. 
    Si pone pertanto un dubbio di non  manifesta  infondatezza  della
norma citata in relazione agli articoli 2,  3  e  117,  primo  comma,
della Costituzione, rispetto all'art. 6 della Convenzione europea dei
diritti dell'uomo, in quanto norma interposta. 
    In particolare, la disciplina  citata  sembra  infatti  recare  i
pregiudizio al valore del legittimo affidamento e della certezza  del
diritto, il quale trova copertura costituzionale nell'art. 3 Cost. 
    Invero, detto principio non  esclude  che  il  legislatore  possa
assumere disposizioni  che  modifichino  in  senso  sfavorevole  agli
interessati la disciplina di rapporti giuridici «anche  se  l'oggetto
di questi sia costituito da diritti soggettivi  perfetti»,  ma  esige
che  cio'  avvenga  alla  condizione  «che  tali   disposizioni   non
trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo  a
situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti,  l'affidamento
dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento
fondamentale dello Stato di diritto» (sentenze n. 56 del 2015, n. 302
del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009). Solo in  presenza  di  posizioni
giuridiche non adeguatamente consolidate, dunque, ovvero  in  seguito
alla sopravvenienza di  interessi  pubblici  che  esigano  interventi
normativi diretti a incidere peggiorativamente su di esse, ma  sempre
nei  limiti  della  proporzionalita'  dell'incisione  rispetto   agli
obiettivi di interesse pubblico perseguiti, e' consentito alla  legge
di  intervenire  in   senso   sfavorevole   su   assetti   regolatori
precedentemente definiti (ex plurimis, sentenza n. 56 del 2015). 
    Tanto premesso,  sussiste  il  dubbio  che  il  quadro  normativo
preesistente alla disposizione denunciata di  incostituzionalita',  e
cioe' il regime perequativo, come descritto in precedenza, fosse tale
da  far  sorgere  nei  pensionati  la  ragionevole  fiducia  nel  non
azzeramento di detto meccanismo, anche in relazione tanto alla  ratio
decidendi sottesa alle sentenze n. 70 del 2015  e  n.  127  del  2015
quanto al principio affermato nella sentenza n. 216 del 2015, secondo
la quale le scelte onerose per gli interessi dei privati esigono  una
equilibrata valutazione comparativa degli  interessi  in  gioco,  nei
limiti, cioe', della ragionevolezza e della  proporzionalita';  nella
specie,  l'emergenza  finanziaria  (nella  pronuncia   n.   216,   la
disciplina denunciata aveva l'obiettivo  di  ridurre  il  debito)  e'
stata ritenuta recessiva innanzi alla tutela dei diritti riconosciuti
ai possessori di banconote  in  lire  di  prestazione  pensionistica;
analoga  radicale  e   irreversibile   incisione   sulle   situazioni
giuridiche soggettive dei pensionati, dopo la  pronuncia  n.  70  del
2015 della Corte costituzionale, sembra  derivare  dalla  scelta  del
legislatore di prevedere il blocco della  perequazione  pensionistica
nei termini sopra indicati. 
    Ne discende che l'art. 24, comma 25 lettera e), del decreto-legge
n. 201 del 2011 come modificato dal  decreto-legge  n.  65  del  2015
(riguardante il biennio 2012-2013), per  le  ragioni  sopra  esposte,
sembra  confliggere  agli  articoli  2,  3  e  primo   comma,   della
Costituzione, rispetto  all'art.  6  della  Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo, in quanto norma interposta (Corte  cost.  sentenze
n. 348 e 349/2007), per come in casi analoghi e'  stata  interpretata
dalla  Corte  costituzionale  e  dalla  Corte  europea  dei   diritti
dell'uomo  (cfr.,  anche  Corte  EDU,  sentenza  7/6/2011  Agrati  c.
Italia), sussistendo concretamente una fattispecie  di  riproduzione,
con effetti retroattivi, di una norma gia'  espunta  dall'ordinamento
siccome costituzionalmente illegittima, con conseguente violazione in
termini di ragionevolezza del principio del legittimo  affidamento  e
di certezza del i diritto, per come  definito  dalla  sentenza  della
Corte costituzionale (Corte cost. sentt. nn. 216/2015; n. 156/2007). 
    14. Ulteriore dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 24,
commi 25, lettera e), e 25-bis, del decreto-legge n.  201  del  2011,
come modificato  dal  decreto-legge  n.  65  del  2015,  si  pone  in
relazione agli articoli 2, 3 e 117, primo comma, della  Costituzione,
rispetto all'art. 1  (Protezione  della  proprieta')  del  Protocollo
addizionale  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei   diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, in quanto norma  interposta,
riguardante il «diritto [di ogni persona] al rispetto dei suoi beni».
Difatti, la Corte di Strasburgo, in  diverse  sentenze,  ha  ritenuto
riconducibili nel «diritto di ogni persona al rispetto dei suoi beni»
non solo i «beni attuali» in quanto valori patrimoniali, ma  anche  i
crediti e tra questi quelli relativi  ad  una  pensione  (cfr.,  caso
Mottola e altri c. Italia, ricorso n. 29932/07, sentenza  4  febbraio
2014, punti 40 e 41; caso Staibano e  altri  c.  Italia,  ricorso  n.
29907/07, sentenza 4 febbraio 2014, punti 40  e  41;  caso  Maggio  e
altri c. Italia, ricorsi nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e
56001/08 sentenza 31 maggio 2011), a condizione che  il  titolare  di
essi abbia sufficiente fondamento nel diritto interno, come nel  caso
del titolare dei trattamenti  pensionistici  cui  spetta,  alla  luce
della sentenza n.  70  del  2015,  la  «perequazione  automatica»;  e
tuttavia, il legislatore, con la normativa  oggetto  di  dubbio,  non
sembra avere disciplinato detto  «bene»,  e  cioe'  la  «perequazione
automatica», nel rispetto del requisito dell'equo bilanciamento  alla
luce del principio per cui ogni ingerenza su un «bene» della  persona
debba essere ragionevolmente proporzionata al fine perseguito, avendo
privato, in modo «non transitorio», e cioe'  in  modo  permanente,  i
percettori di un reddito superiore complessivamente a  sei  volte  il
minimo INPS del meccanismo  perequativo,  con  conseguente  incisione
individuale eccessiva dei diritti di detti pensionati. 
    15. Con la sentenza n. 70  del  2015,  la  Corte  dichiarava  non
fondata la questione di legittimita' costituzionale, della disciplina
impugnata, in riferimento alla ipotizzata violazione  degli  articoli
2, 3, 23 e 53 Cost., in relazione  alla  presunta  natura  tributaria
della  misura  in  esame  (Corte  cost.  n.  70/2015,  punto  4   del
Considerato  in  diritto).  Orbene,  in  considerazione  della  nuova
formulazione  della   norma,   la   misura   di   azzeramento   della
rivalutazione automatica per gli  anni  2012-2013,  2014-2015  e  dal
2016,  relativa   ai   trattamenti   pensionistici   complessivamente
superiori a sei volte il trattamento minimo INPS, ripropone il dubbio
circa la introduzione, ad opera  del  legislatore,  indipendentemente
dal nomen iuris utilizzato, di una prestazione patrimoniale di natura
tributaria, lesiva del principio di universalita' dell'imposizione  a
parita' di capacita' contributiva, in quanto posta a  carico  di  una
sola categoria di contribuenti; sicche', la norma, nell'imporre  alle
parti di concorrere alla spesa pubblica non in ragione della  propria
capacita'  contributiva,  presenterebbe  profili  di  violazione  del
principio di eguaglianza, in quanto la Costituzione  non  impone  una
tassazione fiscale uniforme, con  criteri  assolutamente  identici  e
proporzionali per  tutte  le  tipologie  di  imposizione  tributaria,
esigendo un indefettibile raccordo con la capacita' contributiva,  in
un quadro di sistema informato  a  criteri  di  progressivita',  come
svolgimento  ulteriore,  nello  specifico   campo   tributario,   del
principio di eguaglianza (Corte cost. sentt. nn.  10/2015;  116/2013;
223/2012). 
    Nel rigettare la predetta questione, la Corte ricordava  che  tre
sono gli elementi  indefettibili  della  fattispecie  tributaria:  la
disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare
una (definitiva) decurtazione  patrimoniale  a  carico  del  soggetto
passivo; la decurtazione  non  deve  integrare  una  modifica  di  un
rapporto sinallagmatico;  le  risorse,  connesse  ad  un  presupposto
economicamente rilevante e  derivanti  dalla  suddetta  decurtazione,
devono essere destinate a  sovvenire  pubbliche  spese  (Corte  cost.
sentt. nn. 70/2015; 219/2014; 154/2014; 310/2013; 238/2009; 141/2009;
335; 64/2008; 334/2006; 73/2005). 
    Tanto  premesso,  l'azzeramento  della  perequazione   automatica
oggetto di censura, non sembra sfuggire ai canoni  della  prestazione
patrimoniale di natura tributaria, atteso che: a) esso da'  luogo  ad
una prestazione patrimoniale imposta, realizzata attraverso  un  atto
autoritativo di carattere ablatorio, destinato a reperire risorse per
l'erario. Infatti, la  norma  all'esame  esclude  per  i  trattamenti
superiori complessivamente a sei volte il trattamento minimo INPS  (e
senza  distinzione  per  fasce   pensionistiche)   la   perequazione,
procurando una (definitiva) decurtazione patrimoniale  a  carico  del
soggetto passivo; tant'e' che la stessa Corte  costituzionale,  nella
sentenza n. 70 del 2015, osserva che, «per le modalita' con cui opera
il meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita  del  potere
di acquisto del trattamento, anche se limitata a  periodi  brevi,  e,
per, sua natura  definitiva.  Le  successive  rivalutazioni  saranno,
infatti,  calcolate  non  sul   valore   reale   originario,   bensi'
sull'ultimo importo nominale, che dal  mancato  adeguamento  e'  gia'
stato intaccato» (Corte  cost.  sentenza  n.  70/2015,  punto  9  del
Considerato  in  diritto);  b)  la  decurtazione  non  integra,   per
definizione, una modifica di un rapporto sinallagmatico,  poiche'  il
trattamento pensionistico non e' correlato ad  una  controprestazione
(peraltro, nell'ipotesi del sistema contributivo, la decurtazione non
comporta  modifica  del  rapporto  di  sinallagma);  c)  le  risorse,
connesse al presupposto  economicamente  rilevante,  individuato  nel
superamento della predetta fascia pensionistica,  e  derivanti  dalla
suddetta  decurtazione,  sembrano,  sulla  base  dei   principi   che
presiedono al diritto  contabile,  destinate  a  sovvenire  pubbliche
spese. Infatti, sulla base del disposto dell'art. 17 della  legge  n.
196  del  2009  (attuativo   dell'art.   81   Cost.;   cosi',   Corte
costituzionale n. 26/2013),  la  copertura  finanziaria  di  nuovi  o
maggiori oneri e' costituita oltreche' da nuove  o  maggiori  entrate
(art. 17, comma 1, lettera c) anche  dalla  riduzione  di  precedenti
autorizzazioni legislative di spesa (art. 17, comma 1, lettera b);  e
sembra essere quest'ultimo il caso entro il quale ricondurre  il  cd.
«risparmio di spesa» derivante dalla norma oggetto di  scrutinio  che
ha rimosso dall'ordinamento l'autorizzazione legislativa di spesa che
«a regime» estendeva anche ai trattamenti complessivamente  superiori
a sei volte il minimo INPS  la  perequazione  pensionistica,  risorse
finanziarie che dunque verranno utilizzate  per  sovvenire  pubbliche
spese diverse da quelle per  le  quali  erano  state  originariamente
destinate in considerazione della dichiarata  esigenza  di  «rispetto
del principio  dell'equilibrio  di  bilancio  e  degli  obiettivi  di
finanza pubblica». 
    Deve aggiungersi che l'assenza di una espressa indicazione  della
destinazione  delle  maggiori  risorse  conseguite  dallo  Stato  per
effetto della disciplina in questione non esclude che siano destinate
a sovvenire pubbliche spese, e, in  particolare,  a  stabilizzare  la
finanza  pubblica,  trattandosi  di  un  usuale   comportamento   del
legislatore quello di non prevedere, per i  proventi  delle  imposte,
una destinazione diversa dal generico «concorso alle pubbliche spese»
desumibile dall'art. 53 Cost.  Nella  specie,  tale  destinazione  si
desume anche dall'incipit dell'art. 1, comma 1, del decreto-legge  n.
65 del 2015 («1. Al fine di dare  attuazione  ai  principi  enunciati
nella sentenza  della  Corte  costituzionale  n.  70  del  2015,  nel
rispetto del principio dell'equilibrio di bilancio e degli  obiettivi
di finanza pubblica, assicurando la  tutela  dei  livelli  essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e  sociali,  anche  in
funzione della  salvaguardia  della  solidarieta'  intergenerazionale
[...]). 
    Occorre soggiungere che la misura introdotta dal decreto-legge n.
65 del 2015,  concorre  ad  approfondire  un  ulteriore  elemento  di
irragionevolezza ove si consideri che il blocco della perequazione si
cumula con altre forme di prelievo  surrettizio  IRPEF,  qual  e'  il
contributo  di  solidarieta',  che  gia',   allo   stato,   determina
accentuate differenze orizzontali in danno dei pensionati  percettori
di  redditi  elevati  i  quali,  per  effetto   del   contributo   di
solidarieta' loro imposto, vedono crescere di  15  punti  l'incidenza
del prelievo fra i 90 e i 350 mila euro, il triplo di quanto  sarebbe
avvenuto sulla  base  della  sola  IRPEF  rispetto,  ad  esempio,  ai
dipendenti privati e ai lavoratori autonomi (cfr.  Corte  dei  conti,
sez. riun. in sede di controllo, n.  5/SSRRCO/RCFP/14,  Rapporto  sul
coordinamento della finanza pubblica 2014, pp. 85 e 86). 
    Ne discende che sussistono dubbi di  legittimita'  costituzionale
della disciplina citata anche in relazione agli articoli 2, 3,  23  e
53 Cost. 
    16. Per quanto sopra esposto, visti gli articoli 134 Cost.  e  la
legge 11  marzo  1953,  n.  87,  art.  23,  questo  Giudice  dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 24, commi 25,  lettera  e),  e  25-bis,  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni  urgenti  per  la
crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento  dei   conti   pubblici),
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214,
come modificato dal decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65 (Disposizioni
urgenti in materia  di  pensioni,  di  ammortizzatori  sociali  e  di
garanzie TFR), convertito, con modificazioni, dalla legge dalla legge
17 luglio 2015, n. 109, in relazione agli articoli 136, 38, 36, 3, 2,
23 e 53  Cost.  e  117,  primo  comma,  della  Costituzione  rispetto
all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU)  e  all'art.  1  del
Protocollo addizionale di detta  Convenzione  firmata  a  Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848, in quanto norme interposte. 
    17. Si dispone, in conseguenza, la  sospensione  dei  giudizi  in
epigrafe, ordinando l'immediata trasmissione degli  atti  alla  Corte
costituzionale e gli adempimenti a cura della Cancelleria di  cui  al
dispositivo. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti l'art. 134 Cost. e la legge 11 marzo 1953, n. 87, art.  23,
questo Giudice unico: 
    dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento
agli articoli 136, 38, 36, 3, 2, 23 e 53 Cost. e  117,  primo  comma,
della Costituzione rispetto all'art. 6 della Convenzione europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali
(CEDU) e all'art. 1 del Protocollo addizionale di  detta  Convenzione
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con
legge 4 agosto 1955, n. 848, in quanto norme interposte, la questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 24, commi 25,  lett.  e),  e
25-bis, del decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.  201  (Disposizioni
urgenti per la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti
pubblici), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  22  dicembre
2011, n. 214, come modificato dal decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65
(Disposizioni urgenti  in  materia  di  pensioni,  di  ammortizzatori
sociali e di garanzie  TFR),  convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge 17 luglio 2015, n. 109; 
    dispone la sospensione dei giudizi in epigrafe; 
    ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    ordina, altresi', alla Cancelleria che la presente ordinanza  sia
notificata alle parti del giudizio di legittimita' ed  al  Presidente
del Consiglio dei ministri e che essa sia  comunicata  al  Presidente
del Senato  della  Repubblica  ed  al  Presidente  della  Camera  dei
deputati. 
 
    Cosi' deciso in Bologna, nella pubblica  udienza  del  giorno  23
febbraio 2016. 
 
              Il Giudice unico estensore: Marco Pieroni