N. 103 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 marzo 2016
Ordinanza del 14 marzo 2016 del Tribunale di Enna nel procedimento civile proposto da Azienda sanitaria provinciale di Enna contro Restivo Angela. Unione europea - TFUE - Previsione, ai sensi dell'art. 288 TFUE, che la decisione della Commissione rivolta agli Stati, ormai divenuta inoppugnabile dinanzi agli organi giurisdizionali comunitari, sia obbligatoria e vincolante anche per i giudici nazionali. - Legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunita' europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007), art. 2. Unione europea - Previsione, ai sensi dell'art. 267 TFUE, cosi' come interpretato nella sentenza della C.G.E. 30 settembre 2003, causa 224/01, che nell'attivita' interpretativa il giudice deve tenere conto delle posizioni espresse dalle istituzioni europee non giurisdizionali. - Legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunita' europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007), art. 2. Ordinamento giudiziario - Responsabilita' civile dei magistrati - Responsabilita' per colpa grave - Inclusione tra le ipotesi di manifesta violazione del diritto dell'Unione europea del contrasto tra un atto o un provvedimento giudiziario e l'interpretazione espressa della Corte di giustizia dell'Unione europea sulla vincolativita' delle decisioni della Commissione europea per il giudice nazionale. - Legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilita' civile dei magistrati), art. 2, comma 3 (come sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. c), della legge 27 febbraio 2015, n. 18 (Disciplina della responsabilita' civile dei magistrati) e comma 3-bis, introdotto dall'art. 2, comma 1, lett. c), della legge 27 febbraio 2015, n. 18 (Disciplina della responsabilita' civile dei magistrati).(GU n.21 del 25-5-2016 )
TRIBUNALE DI ENNA Ordinanza pronunciata fuori udienza ai sensi dell'art. 176 c.p.c e dell'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; Il giudice dott. Calogero Commandatore ha pronunciato la seguente ordinanza nell'ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo iscritto al n. 786/2011 R.G. proposto dall'Azienda sanitaria provinciale di Enna nei confronti di Restivo Angela; Letti gli atti, esaminata la documentazione; Preso atto delle dichiarazioni rese dalle parti in udienza; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. 1. Con ricorso ex art. 633 e ss. c.p.c., depositato il 14 maggio 2010, Restivo Angela chiese al Presidente del Tribunale di Enna di ingiungere all'A.U.S.L. n. 4 il pagamento della somma di 7.023,72 euro premettendo di avere abbattuto n. 14 capi bovini (cosi' come indicato in apposita attestazione dell'autorita' sanitaria) e di essere, pertanto, creditrice nei confronti della predetta amministrazione pubblica in forza dell'art. 1, legge della Regione Siciliana n. 12 del 5 giugno 1989 secondo cui «Al fine di perseguire l'obiettivi del risanamento degli allevamenti bovini dalla tubercolosi, dalla brucellosi e della leucosi e degli allevamenti ovi - caprini dalla brucellosi, ai sensi delle leggi 9 giugno 1964, n. 615, 23 gennaio 1968, n. 33 e 23 gennaio 1968, n. 34 e successive modificazioni ed integrazioni, e' concessa ai proprietari di capi bovini abbattuti e/o distrutti perche' riscontrati infetti da tubercolosi, brucellosi o leucosi e di capi ovi - caprini abbattuti e/o distrutti perche' riscontrati affetti da brucellosi, in aggiunta all'indennita' prevista dalle vigenti disposizioni nazionali, un'indennita' nella misura indicata nella tabella allegata alla presente legge». Il giudice del procedimento monitorio, sulla base della documentazione prodotta dalla ricorrente, emise ai sensi dell'art. 641 c.p.c., il decreto ingiuntivo n. 162/11 tempestivamente opposto dall'A.S.P. con l'istaurazione del presente processo. Tra i motivi a sostegno dell'opposizione, in via preliminare, l'A.S.P. evidenziava come il fondo previsto da tale legge non fosse stato reintegrato a partire dal 1997 dal competente Assessorato regionale poiche' tali indennizzi erano stati considerati «aiuti di Stato» rilevanti ex art. 87, par. 1 del Trattato CE (oggi art. 107 TFUE). La Regione Siciliana aveva provveduto ad adempiere all'obbligo di comunicazione previsto dall'art. 88, par. 3, TCE (oggi art. 108, par. 3 TFUE) onde ottenere, per ogni singola annualita', l'autorizzazione al pagamento di tale indennita'. Con la decisione C(2002) 4786 dell'11 dicembre 2002 indirizzata all'Italia, la Commissione europea - pur qualificando l'anzidetta misura come aiuto di Stato e, percio', deplorando l'operato dello Stato italiano per avere dato esecuzione all'aiuto in violazione dell'art. 88, par. 3 - ne aveva autorizzato l'erogazione per gli anni 1993, 1994, 1995, 1996 e 1997. Appare, pertanto, chiara la posizione della Commissione europea che, con decisione indirizzata all'Italia ha qualificato la misura in oggetto come aiuto di Stato. Tale decisione, allo stato, appare divenuta inoppugnabile poiche' nessuna delle parti in causa ha dedotto di averla impugnata e neppure ne hanno contestato, incidentalmente, la validita'. Di contro, per il periodo ricompreso per gli anni 2000-2006, nonostante l'art. 25, comma 16, L.R. n. 19/2005 avesse previsto un apposito rifinanziamento del fondo a seguito dell'ordinanza del Ministero della sanita' del 14 novembre 2008 e della nebulosita' del testo normativo la Regione Siciliana aveva disatteso quanto indicato nell'atto legislativo non rifinanziando il fondo e, pertanto, omettendo la comunicazione alla commissione ai sensi del citato art. 107 TFUE. 2. Da quanto fin qui esposto emerge, all'evidenza, come per la soluzione della presente controversia questo giudice debba preliminarmente valutare la possibile sussunzione dell'indennizzo previsto dalla citata legge regionale nella nozione di aiuto di Stato. Secondo la giurisprudenza eurounitaria, in prima battuta, e' demandato al giudice nazionale il compito di «di valutare se un provvedimento statale, adottato senza seguire il procedimento di controllo preventivo di cui all'art. 88, n. 3, CE, debba o meno esservi soggetto (sentenze 22 marzo 1977, causa 78/76, Steinike & Weinlig, Racc. pag. 595, punto 14, e 21 novembre 1991, causa C-354/90, Federation nationale du commerce exterieur des produits alimentaires et Syndicat national des negociants et transformateurs de saumon, Racc. pag. I-5505, punto 10). Analogamente, al fine di poter determinare se una misura statale attuata senza tener conto della procedura di esame preliminare prevista dall'art. 6 del terzo codice dovesse esservi o meno assoggettata, un giudice nazionale puo' essere indotto a interpretare la nozione di aiuto di cui all'art. 4, lett. c), del Trattato CECA e all'art. 1 del terzo codice (v., per analogia, sentenza 20 settembre 2001, causa C-390/98, Banks, Racc. pag. I-6117, punto 71).». (cfr. CGUE 18 luglio 2007, causa C-119/05, Lucchini, §50). Specifica, pero', la Corte di giustizia che nel caso in cui il giudice nazionale nutra dubbi in ordine alla qualificazione di una determinata misura come aiuto di Stato ai sensi dell'art. 107 TFUE lo stesso debba chiedere chiarimenti alla Commissione europea o, in alternativa, possa e, nel caso in cui sia giudice di ultima istanza; debba sottoporre la questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea (cfr. CGUE, Sez. II, 21 novembre 2013, n. 284, § 44). Il secondo giudizio, invece, ossia quello inerente alla compatibilita' di un provvedimento statale qualificato quale aiuto di Stato (§ 51) con il mercato interno, e' precluso al giudice nazionale che non puo' pronunciarsi su tale questione essendo la stessa di esclusiva competenza della Commissione europea che opera sotto il controllo del giudice comunitario (§ 52). Competenza esclusiva della Commissione che costituisce «principio e' vincolante nell'ordinamento giuridico nazionale in quanto corollario della preminenza del diritto comunitario» (§ 62). Spiegano, inoltre, i giudici della Corte di giustizia che tale competenza esclusiva della commissione preclude la possibilita' per i giudici nazionali di adire la Corte di giustizia ai sensi dell'art. 234 TCE (oggi art. 267 TFUE) onde interrogarla sulla compatibilita' con il mercato comune di un aiuto di Stato o di un regime di aiuti (CGUE, Sez. V, 24 luglio 2003, n. 297, § 47). Chiariti i vincoli interpretativi che questo giudice e' tenuto ad osservare in ragione del principio di primazia dell'ordinamento comunitario sul diritto nazionale e della natura vincolante delle pronunce della Corte di giustizia (Corte cost., 23 aprile 1985, n. 113, in Giur. cost., 1985, I, p. 694 e Corte cost., ord. 23 giugno 1999, n. 255, in Giur. cost., 1999, p. 2203) occorre verificare se tali limitazioni al potere giurisdizionale del giudice comune siano compatibili con i principi supremi di indipendenza interna ed esterna del giudice e della separazione dei poteri contemplati dalla nostra Costituzione. 3. Esaminando, in primo luogo, i limiti del sindacato giurisdizionale del giudizio di compatibilita' tra un provvedimento statale e il mercato comune deve evidenziarsi come tale valutazione, coinvolgendo scelte di opportunita' politica e amministrativa, possa costituire un'ipotesi di limite esterno della giurisdizione poiche' connotata da scelte inerenti alla policy or expediency della pubblica amministrazione che, anche nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, possono configurarsi quali limiti del pieno controllo giurisdizionale (cfr. Corte europea dei diritti dell'uomo, 19 marzo 1997, Hornsby c. Grecia in Riv. intern. dei dir. uomo, 1997, pp. 409-416). 4. Di contro, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia sopra ricordata, emerge come questo giudice sia altresi' vincolato dalla decisione della Commissione onde operare la qualificazione di una determinata misura nazionale come aiuto di Stato (cfr. C.G.C.E., 21 maggio 1987, in causa 249-85 secondo cui «Bisogna sottolineare, in secondo luogo, che ai sensi dell'art. 189, 4° comma, del trattato, le decisioni sono obbligatorie per i destinatari da esse designati. Ove si tratti di decisioni indirizzate agli Stati membri, questa obbligatorieta' vale per tutti gli organi dello Stato destinatario, ivi compresi i giudici. Discende da cio' che, in ossequio della preminenza del diritto comunitario, principio questo posto nella sentenza 15 luglio 1964 (Costa/ENEL, 6/64, Racc. pag. 1129) e precisato nella sentenza 9 marzo 1978 (Simmenthal, 106/77, Racc. pag. 629), i giudici nazionali devono astenersi dall'applicare le norme interne, ed in particolare, come nel caso in esame, quelle sulla concorrenza sleale e sulle vendite a premio, la cui attuazione potrebbe ostacolare l'esecuzione di una decisione comunitaria».). Tale decisione unitamente ad altri precedenti della Corte di giustizia sulla natura vincolante per i giudici nazionali delle decisioni assunte (come nel caso di specie) dalla Commissione europea nei confronti degli Stati membri e divenute inoppugnabili (cfr. CGUE, 9 marzo 1994, n. 188, in causa C-133-92).) si impone con tale chiarezza da escludere - a parere di questo giudice - la necessita' di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia che appare, in ogni caso, non pertinente poiche' questo giudice non dubita della validita' della decisione della Commissione ne' sussistono dubbi interpretativi sulla portata della stessa (CGUE, Sez. VI. 2 maggio 1996, n. 19). In altre parole, cio' che rileva nel presente giudizio, non e' la correttezza o la validita' della decisione della commissione, ma il riconoscimento della sua efficacia vincolante per questo giudice che verrebbe cosi' assoggettato alle decisioni assunte dalle autorita' amministrative europee. Ed invero, le decisioni della commissione, pur sussumibili nell'alveo dei provvedimenti amministrativi, si atteggiano cosi' a strumento per influenzare i giudizi in corso potendo impedire al giudice del caso concreto di vagliare l'ambito di applicazione delle norme nazionali e delle norme comunitarie. La valenza sostanzialmente legislativa e la conseguente vincolativita' per i giudici nazionali delle decisioni rese dalla Commissione europea trova conforto nella costante giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr. Cass. Civ., Sez. Trib., 11 maggio 2012, n. 7319 secondo cui «Le decisioni adottate dalla Commissione europea e non piu' impugnabili ne' dallo Stato membro designato come destinatario, ne' dalla parte direttamente ed individualmente interessata, per il decorso del termine di due mesi dal giorno in cui questa ha avuto conoscenza del provvedimento, hanno efficacia vincolante per il giudice nazionale, atteso il principio desumibile dagli art. 288, comma 4, e 263 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea» conformi Cass. Civ., Sez. Lav., 5 settembre 2013, n. 20413; Cass. Civ., Sez. Trib., 12 settembre 2012, n. 15207; Cass. Civ., Sez. I, 17 novembre 2005, n. 23269; Cass. Civ., Sez. I, 28 ottobre 2005, n. 21083; Cass. Civ., Sez. III, 4 marzo 2005, n. 4795) L'imperativita' delle pronunce della Corte di giustizia anche in relazione alla forza vincolante delle decisioni amministrative adottate dalle istituzioni europee e' assicurata, inoltre, dal sistema di responsabilita' dello Stato per atto giurisdizionale chiaramente delineato dalla giurisprudenza comunitaria. Occorre ricordare, infatti, come secondo la sentenza della C.G.U.E., 30 settembre 2003, causa-224/01 la «posizione adottata eventualmente da un'istituzione comunitaria» costituisca parametro ed elemento valutativo per fondare la responsabilita' dello Stato per violazione del diritto comunitario da parte dell'organo giurisdizionale di ultima istanza (cfr. § 52-55 della sentenza). La novellata legge n. 117/1988, disciplinante la responsabilita' dello Stato per i danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, ha incluso tra le ipotesi integranti la colpa grave (art. 2, commi 3 e 3-bis) dell'organo giurisdizionale - anche non di ultima istanza - la manifesta violazione del diritto dell'Unione europea da determinarsi tenendo conto dell'interpretazione dettata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia tra cui, per quanto fin qui detto, devono annoverarsi anche le pronunce con le quali il giudice eurounitario vincola i giudici comuni alle decisioni della Commissione (principio espressamente ribadito dal regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio del 16.12.2002) e delle altre istituzioni comunitarie. Il giudice comunitario ha delineato, in via pretoria, un sistema di responsabilita' dello Stato per violazione del diritto comunitario, non previsto espressamente dai Trattati, (cfr. C.G.C.E., Humblet c. Belgio, 16 dicembre 1960, C- 6/60, Russo c. AIMA, 22 gennaio 1976, C- 60/75) Francovich c. Italia, 19 novembre 1991, C-6/90 e C-9/90) e che costituisce, nel caso che ci occupa, uno strumento di "cooperazione autoritaria" non solo tra giudici nazionali e giudice comunitario in violazione degli artt. 101 e 107 Cost., ma anche tra giudici nazionali e le istituzioni comunitarie che possono influenzare i giudizi in corso tramite l'espressione di una mera "posizione" e di provvedimenti amministrativi. Tale interferenza, incidendo sull'indipendenza esterna della magistratura, si scontra con l'art. 101 e l'art. 104 Cost. che costituiscono concreta attuazione del principio supremo di separazione dei poteri che in reazione al potere giudiziario si atteggia a principio supremo e strutturale della tradizione costituzionale liberale. Ed invero, se il principio di separazione dei poteri puo' avere delle attenuazioni in ordine agli altri poteri (ad es. il rapporto che lega l'esecutivo al legislativo), nei sistemi costituzionali moderni, tale attenuazioni non possono riguardare il potere giudiziario. La giurisprudenza costituzionale, sul punto, ha sempre ribadito che il principio di indipendenza della magistratura non possa essere inciso da atti vincolanti provenienti dalle pubbliche amministrazioni (Cfr. Corte cost., 14 marzo 1988, n. 440) o da qualsiasi altra volonta' che non sia quello obbiettiva della legge. L'indipendenza della magistratura da ogni interferenza esterna costituiscono fondamentale garanzia dell'art. 24 Cost. e del giusto processo cosi' come evidenziato dalla giurisprudenza CEDU nella citata sentenza Hornsby. Incidere sull'indipendenza esterna della magistratura non costituisce, pertanto, solo una violazione del principio di separazione dei poteri, ma altresi' del diritto di accesso al giudice consacrato quale diritto supremo e universale dall'art. 24 Cost. nonche' del principio di eguaglianza sostanziale contemplato dall'art. 3, comma 2° Cost. di rappresentano un limite invalicabile sia per il diritto comunitario sia per il diritto internazionale consuetudinario e pattizio (cfr. Corte cost. n. 232/1989 e Corte cost. 238/2014). La C.G.U.E., stabilendo la vincolativita' delle decisioni della Commissione per i giudici nazionali comuni, non si limita ad interpretare ed applicare i trattati cosi' come previsto ex art. 19 TUE ed ex art. 267 TFUE, ma incide sul regime di gerarchia e rilevanza delle fonti del diritto nonche' sulla separazione dei poteri all'interno dei singoli Stati, superando cosi' i limiti previsti dal Trattato. In altre parole, la giurisprudenza della C.G.U.E. e in generale il diritto comunitario possono ritenersi vincolanti per il giudice comune, cosi' come stabilito dalla Corte costituzionale, solo qualora non venga intaccato il nucleo intangibile dell'identita' costituzionale. L'Unione europea, infatti, rimane una (speciale e peculiare) organizzazione internazionale in cui gli esclusivi titolari dei poteri sovrani (in particolare quello del c.d. kompetenz-kompetenz) permangono i capo agli Stati. Tale matrice internazionalistica dell'Unione emerge, all'evidenza, dal tenore degli artt. 4 e 5 del TUE in base al quale l'Unione puo' fare solo quanto e' previsto nei trattati. Tale limite distingue l'Unione europea dagli ordinamenti federali in cui la sovranita' non e' piu' dei singoli Stati ma di un ordinamento sovraordinato, originario e non limitato. Sotto tale profilo, pertanto, il controllo del rispetto delle competenze e del rispetto del nucleo intangibile dell'identita' costituzionale e' rimesso agli Stati e, segnatamente alle Corti costituzionali cui spetta l'identity review e Ultra-vires-Kontrolle rispetto agli atti dell'Unione (cosi' come chiarito dalla Corte costituzionale tedesca, da ultimo, nella sentenza Lissabon-Urteil) e, in sostanza la suprema e finale giustiziabilita' della responsabilita' per l'integrazione. Ed invero, principio di primazia del diritto dell'Unione europea vige solo nei limiti in cui interpretativi dettati dalla Corte costituzionale poiche' l'ordinamento UE non ha carattere originario e i valori di cui all'art. 2 TUE non hanno primato sull'identita' costituzionale degli Stati membri. 5. Con riguardo al profilo della rilevanza, e' opportuno rammentare che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 18 dell'11 gennaio 1989, nel decidere una serie di questioni di legittimita' costituzionale che erano state sollevate in relazione ad alcune disposizioni della legge n. 117 del 1988, ha chiarito quale sia l'esatto ambito di applicazione dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. In tale pronuncia il giudice delle leggi ha infatti precisato che tale norma comporta che la questione di costituzionalita' proposta deve esser tale che «il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione» di essa, implicando, di regola, che la rilevanza sia strettamente correlata all'applicabilita' della norma impugnata nel giudizio a quo. Tuttavia, come gia' implicitamente ritenuto in altre occasioni (cfr. Corte cost. 24 novembre 1982, n. 196; 4 luglio 1977, n. 125; 15 maggio 1974, n. 128), la Corte ha anche stabilito che: «debbono ritenersi influenti sul giudizio anche le norme che, pur non essendo direttamente applicabili nel giudizio a quo, attengono allo status del giudice, alla sua composizione nonche', in generale, alle garanzie e ai doveri che riguardano il suo operare. L'eventuale incostituzionalita' di tali norme e' destinata ad influire su ciascun processo pendente davanti al giudice del quale regolano lo status, la composizione, le garanzie e i doveri: in sintesi, la "protezione" dell'esercizio della funzione, nella quale i doveri si accompagnano ai diritti». Tale principio e' stato implicitamente ribadito anche nella sentenza 24 luglio 2013, n. 237 con la quale la Corte ha ritenuto non fondate, tra le altre, le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, e dell'art. 1, con l'allegata tabella A, del decreto legislativo n. 155 del 2012, nella parte in cui, disponevano la soppressione di alcuni uffici giudiziari, tra i quali il Tribunale ordinario di Sala Consilina. In quel caso la rilevanza della questione era stata desunta dal fatto che il processo che si stava svolgendo presso il succitato ufficio giudiziario avrebbe dovuto essere rinviato ad udienza successiva a quella di acquisto di efficacia del decreto legislativo n. 155 del 2012 e, quindi, nella nuova sede giudiziaria ed era stata motivata nella ordinanza di rimessione mediante richiamo al predetto principio. Ne' puo' affermarsi che il giudice rimanga indifferente all'esito del giudizio di responsabilita' nei confronti dello Stato, giacche' l'obbligo di rivalsa previsto dall'art. 9 della citata legge nonche' i riflessi in ambito del giudizio disciplinare, previsti dal successivo art. 10, di per se', influiscono sulla corretta determinazione dell'organo giurisdizionale. Sulla base di tali premesse si comprende la diretta rilevanza nel giudizio a quo delle questioni appena prospettate. Questo giudice, onde non rischiare di incorrere in un'ipotesi di responsabilita' dello Stato per fatto del magistrato, deve a priori escludere qualsiasi opzione interpretativa differente rispetto a quella adottata dalla Commissione europea vedendo di fatto menomata la liberta' interpretativa assicuratagli dall'art. 101 Cost. Il cittadino ricorrente verrebbe, inoltre, privato del diritto alla tutela giurisdizionale dinnanzi ad un giudice indipendente ed imparziale poiche' influenzato in modo vincolante da una decisione assunta aliunde da un'autorita' amministrativa. Anzi, una motivazione adottata da questo giudice che disattendesse expressis verbis la decisione della commissione potrebbe esporre lo scrivente ad una responsabilita' diretta nei confronti delle parti processuali potendosi configurare il dolo civilistico legittimante la chiamata diretta del magistrato nel giudizio di responsabilita' ex legge n. 117/1988.
P. T. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Rimette gli atti di legittimita' costituzionale dell'art. 2 legge 2 agosto 2008, n. 130 con cui viene ordinata l'esecuzione del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea nella parte in cui, ai sensi dell'art. 288 TFUE, cosi' come interpretato dalla costante giurisprudenza della Corte di giustizia, si prevede che la decisione della Commissione rivolta agli Stati, ormai divenuta inoppugnabile dinnanzi agli organi giurisdizionali comunitari, sia obbligatoria e vincolante in tutti i suoi elementi, anche per i giudici nazionali, in ragione del contrasto della norma con gli artt. 24, 101 e 104 Cost., ai sensi dell'art. 267 TFUE, cosi' come interpretato nella sentenza della C.G.U.E., 30 settembre 2003, causa-224/01, si prevede che nell'attivita' interpretativa il giudice debba tenere conto delle posizioni espresse dalle istituzioni europee non giurisdizionali, in ragione del contrasto della norma con gli artt. 24, 101 e 104 Cost. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 3 e 3-bis della legge 13 aprile 1988, n. 117 - cosi' come modificata dalla legge 27 febbraio 2015 n. 18 - nella parte in cui include tra le ipotesi di manifesta violazione del diritto dell'Unione europea il contrasto tra un atto o un provvedimento giudiziario e l'interpretazione espressa dalla Corte di giustizia dell'Unione europea sulla vincolativita' delle decisioni della Commissione europea per il giudice nazionale, in ragione del contrasto della norma con gli artt. 24, 101 e 104 Cost. Sospende il giudizio in corso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale; Dispone che, a cura della cancelleria, gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al pubblico ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri, e che sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Enna, 14 marzo 2016 Il Giudice: Calogero Commandatore