N. 114 ORDINANZA 6 aprile - 20 maggio 2016
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Giudizio abbreviato - Accoglimento della richiesta - Esclusione del responsabile civile. - Codice di procedura penale, art. 87, comma 3. -(GU n.21 del 25-5-2016 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Paolo GROSSI; Giudici :Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 87, comma 3, del codice di procedura penale, promosso dalla Corte d'appello di Milano nel procedimento penale a carico di C.L.G., con ordinanza del 12 maggio 2014, iscritta al n. 145 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 2014. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 6 aprile 2016 il Giudice relatore Giuseppe Frigo. Ritenuto che, con ordinanza del 12 maggio 2014, la Corte d'appello di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 87, comma 3, del codice di procedura penale, in forza del quale l'esclusione del responsabile civile «e' disposta senza ritardo, anche di ufficio, quando il giudice accoglie la richiesta di giudizio abbreviato»; che la Corte rimettente riferisce di essere investita del processo nei confronti di una persona imputata dei reati di omicidio colposo plurimo, commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, e di guida sotto l'influenza dell'alcool; che all'udienza preliminare i difensori dei familiari delle vittime, costituitisi parti civili, avevano chiesto, con l'adesione del difensore dell'imputato, la citazione, quale responsabile civile, di una societa' di assicurazioni, la quale si era a sua volta costituita in giudizio, documentando l'avvenuta corresponsione di somme ai danneggiati, da essi accettate in acconto; che l'imputato aveva indi richiesto il giudizio abbreviato, sicche' il Giudice dell'udienza preliminare, nel disporlo, aveva estromesso il responsabile civile in applicazione della norma censurata; che, di seguito a cio', l'imputato aveva eccepito l'illegittimita' costituzionale della norma, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost.: eccezione che il Giudice aveva respinto, ritenendo che - a prescindere dai profili di tardivita' dedotti dalle parti civili - la questione fosse comunque manifestamente infondata; che con sentenza dell'11 giugno 2013, il Giudice dell'udienza preliminare aveva dichiarato l'imputato colpevole dei reati ascrittigli, condannandolo alla pena ritenuta equa e al risarcimento del danno in favore delle parti civili, da liquidare in un separato giudizio, in conto del quale aveva assegnato una provvisionale: sentenza contro la quale avevano proposto appello l'imputato e alcune delle parti civili; che, cio' premesso, la Corte rimettente osserva come la Corte costituzionale, con l'ordinanza n. 247 del 2008, si sia gia' pronunciata su una precedente questione di legittimita' costituzionale dell'art. 87, comma 3, cod. proc. pen., sollevata dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Sassari; che detto giudice aveva rilevato come la norma censurata - coerente con l'originaria fisionomia del giudizio abbreviato, quale giudizio allo stato degli atti caratterizzato dalla massima celerita' - fosse rimasta priva di giustificazione alla luce delle successive, profonde modifiche della struttura del rito, divenuto ormai «un vero e proprio giudizio di merito, alternativo a quello ordinario»: donde il suo contrasto sia con l'art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevole disparita' di trattamento delle pretese risarcitorie della parte civile; sia con l'art. 24 Cost., per la lesione del diritto di agire in giudizio di quest'ultima; sia, infine, con l'art. 111 Cost., per il vulnus alla ragionevole durata del processo; che la questione era stata dichiarata, peraltro, manifestamente inammissibile, in quanto sollevata dopo che il giudice a quo aveva dichiarato inammissibile la richiesta di citazione del responsabile civile ai sensi dello stesso art. 87, comma 3, cod. proc. pen., facendo, con cio', definitiva applicazione della norma censurata e consumando, cosi', il proprio potere decisorio; che la Corte milanese ritiene di dover riproporre «le censure di costituzionalita'», rilevando come, nella specie, non ricorra analogo profilo di inammissibilita'; che la questione risulterebbe rilevante, non solo perche' l'imputato era stato condannato in primo grado e la questione era stata riproposta nel suo atto di appello, ma soprattutto perche' permarrebbero, nel giudizio di secondo grado, «tutte le conseguenze derivanti dalla norma applicata dal primo giudice»; che non varrebbe evocare, in contrario, la remota affermazione della giurisprudenza di legittimita' secondo la quale l'imputato, non essendo legittimato a chiamare in giudizio il responsabile civile, non potrebbe neppure opporsi alla sua estromissione: a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 112 del 1998, l'imputato e', infatti, abilitato a chiamare in giudizio l'assicuratore, nel caso di responsabilita' civile derivante - come nella specie - dall'assicurazione obbligatoria prevista dalla legge 24 dicembre 1969, n. 990 (Assicurazione obbligatoria della responsabilita' civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti); che nel caso in esame, d'altra parte, la citazione del responsabile civile era stata chiesta da una delle parti civili, sebbene non appellante; avevano comunque proposto appello altre parti civili, rispetto alle quali la posizione del responsabile civile risultava del tutto identica; che quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo ribadisce che la norma censurata risultava coerente con l'originaria disciplina del giudizio abbreviato, in base alla quale l'imputato aveva la facolta' di chiedere, con il consenso del pubblico ministero, che il processo fosse definito nell'udienza preliminare e il giudice poteva accogliere la richiesta solo ove ritenesse il processo definibile allo stato degli atti; che l'istituto e' stato, peraltro, ridisegnato dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e all'ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennita' spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense), la quale ha eliminato il requisito del consenso del pubblico ministero, consentendo, altresi', all'imputato di subordinare la richiesta ad una integrazione probatoria e riconoscendo al giudice il potere di assumere, anche d'ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione (artt. 438, comma 5, e 441, comma 5, cod. proc. pen.); che, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 169 del 2003, l'imputato puo', inoltre, rinnovare la richiesta del rito alternativo sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, oltre che revocarla in caso di nuove contestazioni (art. 441-bis cod. proc. pen.); che il giudizio abbreviato avrebbe, di conseguenza, assunto un aspetto «estremamente diverso e molto piu' composito» di quello originario, a fronte del quale la rigida regola di esclusione del responsabile civile - espressiva delle esigenze di celerita' inizialmente proprie dell'istituto - non troverebbe piu' giustificazione; che e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata; che, ad avviso della difesa dello Stato, la questione sarebbe inammissibile per difetto di rilevanza, sotto un duplice profilo: da un lato, perche' la Corte rimettente non avrebbe specificato se l'estromissione del responsabile civile abbia formato oggetto di impugnazione con l'atto di appello, o sia stata invece contestata solo nel corso dell'udienza preliminare; dall'altro, perche' la questione verterebbe sulle facolta' processuali spettanti ad una parte gia' estromessa dal processo (e nei cui confronti, quindi, non e' stato costituito il contraddittorio in grado di appello), sicche' il suo eventuale accoglimento non avrebbe alcuna influenza sul giudizio a quo: in ogni caso, mancherebbe ogni congrua motivazione sul punto; che il giudice a quo non avrebbe, inoltre, indicato in modo adeguato le ragioni del contrasto tra la norma censurata e i parametri costituzionali evocati, limitandosi ad un rinvio per relationem alla motivazione dell'ordinanza con cui e' stata sollevata la precedente questione decisa dall'ordinanza n. 247 del 2008; che, nel merito, la questione sarebbe comunque infondata; che la presenza del responsabile civile apparirebbe, infatti, «ontologicamente incompatibile» con il rito abbreviato, in considerazione dell'esigenza di «non gravare il giudizio stesso, che dovrebbe essere caratterizzato dalla massima celerita', della presenza, non indispensabile, di soggetti la cui posizione e' incisa solo sul piano privatistico dalla decisione penale»; che, pur considerando le modifiche strutturali subite dal giudizio abbreviato, il mantenimento del regime di incompatibilita' tra tale rito e la presenza del responsabile civile costituirebbe frutto di una scelta discrezionale del legislatore, che non si esporrebbe a censure sul piano del rispetto del principio di ragionevolezza, del diritto di difesa della parte civile e del principio di ragionevole durata del processo, tenuto conto anche della non operativita', nei confronti del responsabile civile, della causa di sospensione del giudizio civile prevista dall'art. 75, comma 3, cod. proc. pen. Considerato che la Corte d'appello di Milano dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 87, comma 3, del codice di procedura penale, in forza del quale l'esclusione del responsabile civile «e' disposta senza ritardo, anche di ufficio, quando il giudice accoglie la richiesta di giudizio abbreviato», denunciandone il contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione; che - come eccepito dall'Avvocatura generale dello Stato - la Corte rimettente non motiva in modo adeguato l'asserita rilevanza della questione, la quale viene fatta discendere, in sostanza, dal solo fatto che essa sia stata nuovamente prospettata dall'imputato nell'atto di appello, senza indicare in qual modo il suo accoglimento inciderebbe sul giudizio a quo, discutendosi della posizione di una parte gia' estromessa dal giudizio di primo grado e nei cui confronti non e' stato instaurato il contraddittorio in grado di appello; che la giurisprudenza di legittimita' e', in effetti, consolidata nel senso che le ordinanze dibattimentali di esclusione della parte civile non sono suscettibili ne' di impugnazione immediata ed autonoma, stante il principio di tassativita' dei mezzi di impugnazione (art. 568 cod. proc. pen.), ne' di impugnazione differita unitamente alla sentenza, ai sensi dell'art. 586, comma 1, cod. proc. pen., perche' il soggetto danneggiato, una volta estromesso dal processo, perde la qualita' di parte e non e' piu' legittimato all'impugnazione (per tutte, Corte di cassazione, sezioni unite penali, 19 maggio-13 luglio 1999, n. 12); che la Corte rimettente avrebbe dovuto porsi, di conseguenza, il problema di verificare se analoga conclusione si imponga - in conformita' a quanto generalmente si ritiene in dottrina - anche in rapporto alle ordinanze di esclusione del responsabile civile: cio', tanto piu' a fronte del fatto che, nel caso di specie, non si discute neppure di un'ordinanza dibattimentale, ma di un provvedimento emesso nel corso dell'udienza preliminare; che il difetto di congrua motivazione sulla rilevanza rende la questione manifestamente inammissibile (ex plurimis, ordinanze n. 136 e n. 57 del 2015), rimanendo assorbite le ulteriori eccezioni di inammissibilita' dell'Avvocatura generale dello Stato. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la manifesta inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 87, comma 3, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Milano con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 aprile 2016. F.to: Paolo GROSSI, Presidente Giuseppe FRIGO, Redattore Roberto MILANA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2016. Il Cancelliere F.to: Roberto MILANA