N. 104 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 novembre 2015

Ordinanza del 16 novembre 2015 del Tribunale di Cassino  sul  ricorso
proposto da Tanzilli  Antonio  Lino  e  Cooperativa  socio  sanitaria
Valcomino a r.l.  contro  Ministero  del  lavoro  e  delle  politiche
sociali, Direzione provinciale del lavoro di Frosinone.. 
 
Sanzioni amministrative - Previsione dell'applicazione delle sanzioni
  amministrative soltanto nei casi e per i tempi in esse  considerati
  - Applicazione all'autore dell'illecito amministrativo della  legge
  successiva piu' favorevole - Mancata previsione. 
- Legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale),  art.
  1. 
(GU n.22 del 1-6-2016 )
 
                     TRIBUNALE CIVILE DI CASSINO 
 
    Il giudice dr. Vincenza Ovallesco a  scioglimento  della  riserva
assunta all'udienza del 5 novembre 2015; 
    Nella causa promossa da Tanzilli Antonio Lino e Cooperativa socio
sanitaria Valcomino a r.l. nei confronti del Ministero del  lavoro  e
delle  politiche  sociali,  Direzione  provinciale  del   lavoro   di
Frosinone, iscritta al n. 1073/2005 r.g. del Tribunale di Cassino; 
    Visto l'art. 1, legge 24 novembre 1981, n. 689; 
    Visto l'art. 3 Cost.; 
    Visto l'art. 7 Convenzione europea dei diritti dell'uomo; 
    Visto  l'art.  15  Patto  internazionale  dei  diritti  civili  e
politici; 
    Visto  l'art.  49  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea; 
    Visto l'art. 117 Cost.; 
    Visti gli articoli 23 ss. legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Solleva eccezione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,
legge n. 689/1981, in quanto contrastante con gli articoli 3  e  117,
comma primo, Cost., quest'ultimo in relazione: 
        all'art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848; 
        all'art. 15 del  Patto  internazionale  relativo  ai  diritti
civili  e  politici,  adottato  a  New  York  il  16  dicembre  1966,
ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881; 
        all'art. 49 della Carta dei diritti fondamentali  dell'Unione
europea, proclamata a Nizza il 7  dicembre  2000  e  adattata  il  12
dicembre 2007 a Strasburgo; 
    Per i seguenti motivi. 
    L'art. 1, legge n. 689/1981, intitolato "principio di legalita'",
prevede  che   nessuno   possa   essere   assoggettato   a   sanzioni
amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore
prima della commissione della violazione. 
    Non  viene,  quindi,  ripetuto  il  principio   dell'applicazione
retroattiva della lex  mitior,  ossia  della  legge  successiva  piu'
favorevole all'autore della violazione (art, 2, comma secondo, c.p.). 
    Tale lacuna deve ritenersi in contrasto con l'art. 3 Cost. e  con
il principio di ragionevolezza e uguaglianza. 
    Malgrado la Corte costituzionale si sia gia' pronunciata in senso
negativo sul punto (v. Corte costituzionale 28 novembre 2002, n. 501;
Corte  costituzionale  15  luglio  2003,  n.  243),  si  ritiene  che
l'evoluzione giurisprudenziale degli ultimi anni, anche della  stessa
Consulta, imponga una riconsiderazione della questione. 
    Deve  essere  rilevato,  infatti,  che   la   Corte   (v.   Corte
costituzionale  23  novembre  2006,  n.   393),   occupandosi   della
legittimita' costituzionale della legge 5 dicembre 2005, n.  251,  ha
recentemente  chiarito  che  la  retroattivita'  della   legge   piu'
favorevole, pur non essendo prevista espressamente dalla Costituzione
(a differenza dell'irretroattivita' della legge sfavorevole), nemmeno
in ambito  penale,  deve  comunque  considerarsi  espressione  di  un
principio  generale   dell'ordinamento,   legato   ai   principi   di
materialita' e offensivita' della violazione, dovendosi  adeguare  la
sanzione alle eventuali modificazioni della percezione della gravita'
degli illeciti da parte dell'ordinamento giuridico. 
    Sebbene il  principio  dell'applicazione  retroattiva  della  lex
mitior non sia assoluto, ha spiegato in quell'occasione la  Corte,  a
differenza di quello di cui all'art. 2, comma primo, codice penale (e
art. 25, comma secondo, Cost.), tuttavia, la sua deroga  deve  essere
giustificata da gravi motivi di interesse generale  (Corte  Cost.  n.
393/2006; Corte costituzionale 22 luglio 2011, n.  236),  dovendo  in
tal senso superare un vaglio positivo di ragionevolezza e non un mero
vaglio negativo di non manifesta irragionevolezza. 
    Devono, cioe', essere  positivamente  individuati  gli  interessi
superiori,  di  rango  almeno  pari  a  quello   del   principio   in
discussione, che ne giustifichino il sacrificio. 
    Non  si  ravvisano,  tuttavia,  nella  specie,  motivi  tali   da
supportare  il  sacrificio  al  trattamento  piu'  favorevole,   come
dimostra  anche  la  considerazione  che,  in   altri   settori,   il
legislatore ha recentemente introdotto norme del tenore dell'art.  2,
comma secondo, codice penale e, a tal proposito, possono citarsi: 
        l'art. 23-bis del decreto del Presidente della Repubblica  31
marzo 1988, n. 148 (introdotto dall'art. 1, legge 7 novembre 2000, n.
326), in materia di illeciti valutari; 
        l'art. 3 del decreto legislativo 18 dicembre  1997,  n.  472,
sulle violazioni tributarie (v. Cassazione n. 1656/2013); 
        l'art. 46 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112,  in
materia di concessioni del servizio di riscossione; 
        l'art. 3 del decreto legislativo 8 giugno 2001,  n.  231,  in
materia di responsabilita' amministrativa  degli  enti  per  illecito
penale. 
    Malgrado  si  tratti  di  settori  speciali,  non  sussiste   una
differenza ontologica tra gli illeciti amministrativi  oggetto  delle
norme citate e la disciplina generale della legge n. 689/1981, ne' si
rinvengono motivi di  interesse  generale  tali  da  giustificare  il
diverso trattamento. 
    Circa il  fatto  che  le  sentenze  sopra  richiamate  riguardano
specificatamente la materia penalistica,  non  pare  che  cio'  possa
costituire un serio ostacolo alla loro applicazione anche al  settore
degli illeciti amministrativi. 
    La dottrina italiana si e',  infatti,  da  tempo,  orientata  nel
senso di ritenere che non  sussiste  una  differenza  ontologica  tra
illeciti penali e illeciti  amministrativi,  sicche'  la  scelta  del
legislatore di sanzionare una certa condotta tramite l'una o  l'altra
sanzione dipende e deve essere ispirata unicamente  al  principio  di
sussidiarieta' (bisogno e meritevolezza di pena), nell'ottica  di  un
diritto penale minimo. 
    I tradizionali corollari del principio di legalita' e riserva  di
legge in materia penale, pertanto, sebbene  in  passato  siano  stati
riferiti alla sola materia penale, tendono oggi,  invece,  ad  essere
considerati espressione, di limiti generali al potere punitivo  dello
Stato, e cio'  anche  con  riferimento  all'applicazione  retroattiva
della lex mitior, nel senso che l'essenza afflittiva  della  potesta'
sanzionatoria - anche amministrativa  -  dovrebbe  essere  rapportata
alla valutazione che storicamente l'ordinamento operi della  condotta
che intende reprimere. 
    Le, stesse norme sopra citate che, nel corso  degli  anni,  hanno
esteso l'applicazione retroattiva della ex mitior anche  a  specifici
settori di illecito amministrativo, sono segno di  questa  evoluzione
della sensibilita' giuridica. 
    Tale omogeneita' tra illecito penale e amministrativo, dal  punto
di vista delle garanzie minime, connota, del resto, anche  il  quadro
sovranazionale,  ove  pure  interessanti  argomenti  possono   trarsi
dall'evoluzione della giurisprudenza della Corte europea dei  diritti
dell'uomo sull'art. 7 della  Convenzione  (sentenza  Scoppola  contro
Italia, 2009; sentenza Mihai Roma contro Romania, 2012),  anche  alla
luce dell'art. 15 del  Patto  internazionale  sui  diritti  civili  e
politici e dell'art. 49 della Carta di Nizza. 
    Va premesso che la Corte europea dei diritti  dell'uomo  ha  piu'
volte ricordato che l'applicazione delle garanzie previste  dall'art.
7 non dipende dalla qualificazione da ciascun ordinamento  attribuita
all'illecito e alle sue conseguenze sanzionatorie, altrimenti sarebbe
assai semplice per gli Stati eludere i dettami della Convenzione. 
    La Corte ha, quindi, elaborato una nozione  autonoma  di  materia
penale, legata a parametri sostanziali  (cosiddetti  criteri  Engel),
tra cui la natura del precetto violato e la gravita'  della  sanzione
prevista, con la conseguenza che il nomen iuris attribuito da ciascun
ordinamento ad una fattispecie afflittiva non e'  che  il  punto  di'
partenza per  valutare  la  concreta  applicabilita'  delle  garanzie
convenzionali.  Cosi',  con  riferimento  alla  natura  del  precetto
violato, la Corte ha ritenuto fondamentale che la norma  sia  diretta
alla generalita' dei consociati e che  il  precetto  abbia  finalita'
preventiva,  repressiva,  punitiva  (v.  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo  Ziliberg  contro  Moldavia;  Corte  europea  dei   diritti
dell'uomo Paykar Yev contro Armenia). 
    Nel determinare il carattere  penale  o  meno  di  una  sanzione,
cioe', la Corte ne  considera  l'afflittivita',  usando  come  stella
polare il finalismo della sanzione stessa, ricostruendo in termini di
dissuasione e al tempo stesso  di  repressione,  secondo  un  modello
tipicamente punitivo. 
    Quanto alla gravita' della sanzione, non e' necessario  che  essa
comporti la privazione della liberta' personale (v. Corte europea dei
diritti dell'uomo Kadubec contro Slovacchia), essendo sufficiente che
il  soggetto  subisca  anche  solo  delle  conseguenze   finanziarie,
tenendosi presente che, comunque, non va considerata la  sanzione  in
concreto applicata, ma  la  sanzione  piu'  grave  che  l'ordinamento
avrebbe potuto applicare. 
    Se, dunque, si fa applicazione  di  tali  criteri  agli  illeciti
amministrativi e alle relative sanzioni, non vi e' alcuna difficolta'
a ritenere che anch'essi rientrino nel fuoco dell'art. 7 della  CEDU,
cosi'  come  interpretato  dalla  giurisprudenza   della   Corte   di
Strasburgo. 
    D'altro canto, tornando alla giurisprudenza della  Corte  europea
dei diritti dell'uomo sull'art. 7,  non  puo'  trascurarsi  che,  nel
2009, con la sentenza Scoppola contro Italia,  la  Corte  stessa,  in
parte mutando i  propri  precedenti  orientamenti,  ha  espressamente
affermato  che  il  principio  dell'applicazione  della  legge   piu'
favorevole al reo  deve  considerarsi  implicito  nell'art.  7  della
Convenzione, anche, alla luce dell'importanza acquisita dal principio
in parola nel panorama giuridico europeo e internazionale. 
    Il  revirement  e'  stato  giustificato   proprio   anche   dalla
necessita' di adeguare il sistema di tutele Convenzione  europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali
alle altre Carte di diritti presenti nel panorama internazionale  (ad
esempio, art. 15 Patto internazionale dei diritti civili e  politici;
art. 49 Carta dei diritti dell'Unione europea). 
    Trattasi  di  una  decisione  ispirata  al   cosiddetto   maximum
standard, ossia all'esigenza  di  conformare  il  livello  di  tutela
assicurato  dalle  norme  convenzionali  a  quello  riconosciuto   da
analoghe e omologhe disposizioni di matrice sovranazionale, che,  nel
caso  di  specie,  hanno   espressamente   innalzato   il   principio
dell'applicazione della lex mitior al rango di principio fondamentale
del diritto penale, nell'accezione  sopra  esposta  (lo  stesso  iter
argomentativo, del resto, di Corte costituzionale n. 393/2006). 
    Il tutto e' stato confermato, in tempi  recenti,  nella  sentenza
Corte europea dei diritti dell'uomo MIHAI Torna contro Romania, 2012,
dove espressamente si afferma che l'art. 7 della Convenzione,  da  un
lato, proibisce l'applicazione retroattiva  della  legge  penale  che
vada  a  detrimento   dell'accusato,   e,   dall'altro,   "garantisce
l'applicazione  della  legge  piu'  favorevole  al  reo",   con   una
statuizione lapidaria, che sembra superare anche i residui margini di
discrezionalita'  che  la  Corte  costituzionale  aveva  lasciato  al
legislatore nella  sentenza  n.  236/2011  (bilanciamento  con  altri
interessi di pari rango). 
    L'acquisita natura di garanzia convenzionale del principio  della
retroattivita'   della   lex   mitior,   unitamente    all'inclusione
dell'illecito amministrativo e delle relative sanzioni nella  materia
penale ai sensi della Convenzione, comporta, quindi, la necessita' di
riconsiderare  -  superandolo  -   l'orientamento   giurisprudenziale
consolidato  (v.  Cassazione  civ.,  1  luglio  1999,  n.  6712/1999;
Cassazione civ., sez. un., 29 gennaio 1994, n. 890; Cassazione  civ.,
17 agosto 1998, n. 8074; Cassazione civ., 25 febbraio 1998, n.  2058;
Cassazione civ., 17 novembre 1995,  n.  11928;  Cassazione  civ.,  15
dicembre 1992, n. 13246; Cassazione civ., 28 ottobre 1986,  n.  6318;
Cons. St., 3 giugno 2010, n. 3497;  Consiglio  di  Stato,  29  aprile
2000, n. 2544),  avallato,  in  passato,  dalle  citate  sentenze  n.
501/2002  e  245/2003   della   Corte   costituzionale,   sfavorevoli
all'applicazione  alla  materia  delle  sanzioni  amministrative  del
principio in esame. 
    Per  i  motivi  suddetti,  le  questioni  sollevate  non  possono
ritenersi manifestamente infondate. 
    La questione non puo' essere risolta per via  interpretativa,  in
quanto esiste consolidata  giurisprudenza  (vero  e  proprio  diritto
vivente) della Corte di Cassazione, oltre a precedenti negativi della
Corte costituzionale, che, in piu' occasioni, hanno ribadito  la  non
applicabilita' del principio della retroattivita' della lex mitior al
settore degli  illeciti  amministrativi,  rifiutando  un'applicazione
analogica dell'art. 2, comma secondo, c.p., anche alla luce dell'art.
14 preleggi (v. Cassazione civ. n. 6712/1999; Cassazione  civ.,  sez.
un., n. 890/1994; Cassazione civ. n. 6318/1986; Consiglio di Stato n.
3497/2010;  Consiglio  di  Stato  n.  2544/2000),  e  considerando  i
limitati casi in cui il  principio  della  retroattivita'  della  lex
mitior opera come casi settoriali,  non  estensibili  oltre  il  loro
ristretto ambito di applicazione. 
    Inoltre, come gia' evidenziato da Corte costituzionale 24 ottobre
2007, n. 348, l'unico rimedio, in caso di contrasto tra la  normativa
italiana  e  quella  convenzionale,   laddove   non   sia   possibile
un'interpretazione. conforme (come nella specie,  stante  il  diritto
vivente  contrario),  non  potendosi  ricorrere  alla  tecnica  della
disapplicazione (prerogativa del diritto comunitario), e'  il  rinvio
alla Consulta per violazione dell'art. 117, comma primo, Cost. 
    Deve  essere  rilevato   che   la   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  1,  legge  n.  689/981  (in  relazione  ai
parametri in epigrafe evidenziati) e' stata  sollevata,  nei  termini
sopra esposti, dal Tribunale di Cremona  (ord.),  11  settembre  2013
(con atto di promovimento pubblicato in Gazzetta Ufficiale 15 gennaio
2014, n. 3). 
    Deve,   altresi',   essere   rilevato   che   sui   sospetti   di
incostituzionalita' rilevati dal citato Tribunale cremonese, la Corte
costituzionale, con ordinanza 28 ottobre 2014, n. 247, ha disposto la
«la restituzione degli  atti  al  Tribunale  ordinario  di  Cremona»,
«affinche' valuti la perdurante rilevanza della questione  alla  luce
del mutamento del  quadro  normativo»  intervenuto  in  seguito  alla
declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 18 bis, commi
terzo e quarto, decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 (disposta da
Corte Cost. 2014, n. 153): disposizioni in base  alle  quali  si  era
determinato l'illecito amministrativo ed  erano  state  applicate  le
sanzioni punitive nella fattispecie sottoposta  alla  cognizione  del
giudice rimettente. 
    Sono rimasti irrisolti, quindi, oltre che attuali, i  dubbi,  nei
sensi sopra specificati, in ordine alla  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, legge n.  689/1981,  nella  parte  in  cui  non  prevede
l'applicazione all'autore dell'illecito  amministrativo  della  legge
posteriore piu' favorevole. 
    La questione e' pregiudiziale e la sua soluzione e' necessaria ai
fini della decisione della controversia. 
    Nella specie, infatti, si tratta di opposizione ex art. 22, legge
n. 689/1981  ad  ordinanza  ingiunzione  del  Ministero  del  lavoro,
Direzione provinciale del lavoro di Frosinone, proposta da  parte  di
una persona fisica e da un soggetto  giuridico,  ai  quali  e'  stata
contestata la violazione dell'obbligo - previsto nel secondo  periodo
dell'art. 2, comma primo, decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61
-  di  comunicare,  mediante  invio  di  copia  del  contratto,  alla
direzione  provinciale  del  lavoro   (competente   per   territorio)
l'assunzione a tempo parziale. 
    Sul  punto,  deve  essere  rilevato  che  la  condotta   omissiva
richiamata trovava sanzione ai sensi del citato art. 8, comma quarto,
decreto legislativo n. 61/2000. 
    In seguito, l'art. 85,  comma  secondo,  decreto  legislativo  10
settembre 2003, n. 276, ha modificato l'art. 2, comma primo,  decreto
legislativo  n.  61/2000,  disponendo  la  soppressione   dell'intero
secondo periodo, dalle parole  «Il  datore  di  lavoro»  alle  parole
«dello stesso»: con cio' eliminando esattamente proprio l'obbligo del
datore di  lavoro  di  dare  comunicazione  dell'assunzione  a  tempo
parziale  del  lavoratore  alla  direzione  provinciale  del   lavoro
competente per territorio. 
    La  citata  norma  abrogativa  travolge   anche   la   previsione
sanzionatoria di cui all'art. 8, comma quarto, decreto legislativo n.
61/2000: e cio' anche per ragioni di ordine testuale, se si considera
che all'art. 85, comma primo,  lettera  i),  decreto  legislativo  n.
276/2003,  e'  disposta  l'abrogazione  di  «tutte  le   disposizioni
legislative e regolamentari incompatibili con il  presente  decreto»:
ora, che una norma previsiva di una sanzione per una  certa  condotta
sia in tutto incompatibile con la disposizione abrogativa della norma
che prevedeva quella certa condotta sanzionabile,  e  quindi  con  il
nuovo  sistema  normativo  (che  non  ritiene  piu'  illecita  quella
condotta originariamente sanzionata), e' argomento non contrastabile. 
    Deve essere aggiunto, sul punto specifico,  che,  da  ultimo,  il
decreto  legislativo  n.  61/2000  e'  stato   interamente   abrogato
dall'art. 55, comma primo, lettera a), decreto legislativo 15  giugno
2015, n. 81. 
    Pertanto,  dal  settembre  2003  la  condotta   contestata   agli
opponenti non e' piu' prevista dal  diritto  positivo  come  illecito
amministrativo. 
    Ne consegue, conclusivamente, che,  nella  fattispecie  concreta,
mentre la sanzione applicata dall'ente procedente -  sulla  base  del
combinato disposto di cui  agli  articoli  2,  comma  primo,  secondo
periodo, e 8, comma quarto,  decreto  legislativo  n.  61/2000  -  e'
risultata pari ad euro  129103,29;  nel  caso  in  cui  si  ritenesse
applicabile la normativa piu' favorevole intervenuta in seguito  alle
prescrizioni abrogative di cui all'art. 85,  comma  secondo,  decreto
legislativo n. 276/2003, non vi sarebbe alcuna sanzione  applicabile,
in  quanto  la  condotta  attribuita  agli  opponenti  non  e'   piu'
considerata illecito amministrativo e non e' sanzionata. 
 
                               P. Q. M. 
 
    Ritenuto che le  questioni  sollevate  siano  pregiudiziali,  non
potendosi decidere  sulla  misura  (recte:  sull'applicazione)  della
sanzione ex art. 23, comma undicesimo, legge  n.  689/1981  senza  la
risposta della Consulta; 
    Ritenuto, altresi',  che  la  questione  non  sia  manifestamente
infondata per tutti i motivi addotti; 
    Ritenuto che la lettera della legge - alla  luce  della  costante
interpretazione  giurisprudenziale  -  non  consenta  interpretazioni
alternative, compatibili con  il  dettato  costituzionale  e  con  la
Convenzione EDU; 
    Solleva eccezione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,
legge n. 689/1981, nella parte  in  cui  non  prevede  l'applicazione
all'autore dell'illecito amministrativo della legge  successiva  piu'
favorevole, in relazione all'art. 3  e  117  Cost.,  quest'ultimo  in
relazione all'art. 7  CEDU,  all'art.  15  Patto  internazionale  dei
diritti civili e politici, all'art. 49 Carta di Nizza; 
    Dispone la sospensione del processo in corso; 
    Ordina la trasmissione dell'ordinanza e  degli  atti  alla  Corte
costituzionale, unitamente alla prova delle notificazioni eseguite; 
    Ordina  altresi',  che  la  Cancelleria  notifichi  la   presente
ordinanza alle parti, alla Presidenza del Consiglio dei ministri e ai
Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica ex
art. 23, ult. comma, legge n. 87/1953. 
 
        Cassino, 16 novembre 2015 
 
                   Il Giudice: Vincenza Ovallesco