N. 119 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 febbraio 2016
Ordinanza del 24 febbraio 2016 del Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Damiani Giovanni e Pastorelli Maria Concetta. Processo penale - Dibattimento - Nuove contestazioni - Modifica dell'imputazione - Facolta' dell'imputato di richiedere l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 cod. proc. pen., relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale che forma oggetto di nuova contestazione - Mancata previsione. - Codice di procedura penale, art. 516.(GU n.25 del 22-6-2016 )
TRIBUNALE DI TORINO IV Sezione Penale Il Tribunale di Torino in composizione collegiale nelle persone dei magistrati: Dott.ssa Arianna Maffiodo - Presidente; Dott. Gianni Reynaud - Giudice estensore; Dott.ssa Marta Sterpos - Giudice. Alla pubblica udienza del 24 febbraio 2016 nel procedimento a carico di: Damiani Giovanni, nato a Torino 7 settembre 1978, elettivamente domiciliato ex art. 161 c.p.p. presso l'avv. Tommaso Servetto del foro di Torino, difeso di fiducia dagli avvocati Tommaso Servetto e Giulia Mondino del Foro di Torino; Pastorelli Maria Concetta, nata a Torino 19 giugno 1976, residente e dichiaratamente domiciliata ex. art. 161 c.p.p. in Alpignano, via Val della Torre, 68, difesa di fiducia dagli avv. Tommaso Servetto e Giulia Mondino del Foro di Torino, imputati del delitto di cui agli articoli 110 c.p., 216 numeri 1 e 2, 219, 223 L. Fall., perche', Damiani quale Presidente del CDA dal 15 gennaio 2007 al 10 marzo 2008, e da tale data quale amministratore di fatto fino al fallimento - liquidatore dal 23 settembre 2008 fino al 22 aprile 2009, Pastorelli in concorso con Damiani, quale beneficiaria delle somme distratte, di D.O.C. Service srl in liquidazione, dichiarata fallita - con sentenza del tribunale di Torino in data 12 luglio 2012: Damiani distraeva quantomeno l'importo di € 150.049,02 pari ai prelievi effettuati dai c.c. della societa' fallita e privi di qualsiasi finalita' sociale. In particolare distraeva l'importo di € 120.049,02 pari a pagamenti apparentemente effettuati a fronte di fatture emesse dalla D.I. North West, di fatto relative ad operazioni inesistenti, nonche', in concorso con la Pastorelli, l'importo di € 30.000, prelevato dal c.c. n. 2457 presso Banca Popolare di Bergamo, intestato alla fallita e destinato alla Pastorelli a fronte di un inesistente «debito verso soci»; Damiani falsificava, allo scopo di coprire le illecite condotte distrattive di cui al capoverso precedente, i libri e le altre scritture contabili, annotando nel libro giornale fatture per operazioni inesistenti emesse dalla D.I. North West, cosi' da far apparire giustificati gli indebiti prelievi, nonche' sottraeva o comunque occultava allo scopo di procurarsi un ingiusto profitto l'intera contabilita' omettendo di consegnarla al curatore fallimentare in guisa da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, con impossibilita' per la curatela di esperire le azioni ricostitutive dell'asse fallimentare. Con l'aggravante di aver commesso piu' fatti fra quelli indicati dall'art. 216 L. Fall., in Torino, il 12 luglio 2012, ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del provvedimento la seguente Ordinanza Gli imputati sono stati originariamente tratti a giudizio avanti a questo Tribunale in composizione collegiale - unitamente ad Olaru Adrian Nicolae, la cui posizione e' stata successivamente separata - per rispondere di fatti di reato di bancarotta fraudolenta per distrazione (contestata ad entrambi) e bancarotta fraudolenta documentale (contestata al solo Damiani) in relazione al fallimento della D.O.C. Service Srl. Nel corso dell'istruzione dibattimentale ed in esito a prove emerse dalla stessa e ignote al momento di esercizio dell'azione penale, all'udienza del 12 ottobre 2015 il pubblico ministero ha modificato, ex art. 516 c.p.p., le contestazioni mosse agli imputati Damiani e Pastorelli, descrivendo diversamente i fatti loro ascritti sia con riguardo alla bancarotta per distrazione, sia con riferimento alla bancarotta documentale. Si tratta - e non e' controverso, ne' controvertibile - di contestazioni di fatti che presentano connotati materiali difformi da quelli dell'originaria accusa e che pertanto hanno reso necessaria la modifica dell'addebito a tutela del diritto di difesa ed al fine di evitare la violazione del principio di necessaria correlazione tra imputazione e sentenza. Il verbale contenente la nuova imputazione quale in epigrafe trascritta e' stato quindi notificato agli imputati Damiani e Pastorelli, assenti all'udienza, ed il processo, a norma dell'art. 520 c.p.p., e' stato rinviato al 13 gennaio 2016, con contestuale sospensione del dibattimento, per effettuare la notifica agli imputati del verbale contenente la nuova contestazione. Adempiuto l'incombente, alla nuova udienza gli imputati Damiani e Pastorelli, a mezzo del difensore costituito procuratore speciale, hanno chiesto che il processo a loro carico - relativo alla sola imputazione oggetto di modifica - fosse definito con il rito dell'applicazione della pena, formulando specifiche istanze nei termini che seguono: determinarsi la pena base in anni tre di reclusione; concedersi ad entrambi gli imputati le circostanze attenuanti generiche, prevalenti sull'aggravante contestata a Damiani, e ridursi la pena ad anni due di reclusione; ridursi detta pena, per la diminuente connessa alla scelta del rito, ad anni uno e mesi sei di reclusione per Damiani Giovanni e ad anni uno e mesi quattro di reclusione per Pastorelli Maria Concetta; richiesta subordinata, per entrambi gli imputati, alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Il pubblico ministero ha prestato il consenso per entrambe le istanze. La difesa degli imputati ha inoltre richiesto, nel caso in cui il Tribunale non ritenesse ammissibile l'istanza di applicazione concordata della pena per tardivita' della stessa, di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 516 c.p.p., per dedotta violazione degli articoli 24, secondo comma, e 3 della Costituzione, «nella parte in cui non prevede la facolta' dell'imputato di presentare a dibattimento richiesta di applicazione di pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p. relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione». Cio' premesso, reputa il Tribunale che l'istanza di applicazione della pena concordata tra le parti per gli imputati Damiani e Pastorelli - istanza che sarebbe altrimenti accoglibile, non sussistendo elementi per pronunciare una sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. ed essendo corretta la qualificazione giuridica dei fatti prospettata dalle parti, cosi' come le circostanze ed il loro bilanciamento, e congrue le pene indicate, nonche' concedibile ad entrambi gli imputati il beneficio della sospensione condizionale - non sia ammissibile alla luce del diritto processuale vigente. Vi osta, invero, la preclusione ricavabile dal combinato disposto degli articoli 446, primo comma, c.p.p. - che, per consolidata giurisprudenza, subordina l'esercizio di tale facolta', a pena di decadenza, al rispetto del termine della discussione all'udienza preliminare - e 516 c.p.p., che non prevede una «rimessione in termini» per poter effettuare la richiesta del giudizio speciale in parola nel caso in cui intervenga la modifica della contestazione per fatti emersi per la prima volta nell'istruttoria dibattimentale, come avvenuto nel caso di specie (si versa, invero, nell'ipotesi della c.d. «nuova contestazione fisiologica», diversa da quella c.d. «patologica», trovando quest'ultima fondamento in atti acquisiti nella fase delle indagini preliminari e gia' noti al pubblico ministero al momento di esercizio dell'azione penale). Verificata pertanto la rilevanza della disciplina normativa de qua per la decisione del caso di specie, reputa il Tribunale che la stessa, nella parte in cui preclude all'imputato la facolta' di avanzare istanza di patteggiamento in relazione al fatto diverso frutto di contestazione «fisiologica» - disciplina non suscettibile di contraria interpretazione secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale - sollevi fondati dubbi di legittimita' costituzionale per violazione del diritto di difesa (art. 24, secondo comma, della Costituzione), nonche' del principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge e del principio di ragionevolezza in rapporto alla differente disciplina processuale riservata ad eguali situazioni (art. 3 della Costituzione). E' doveroso rammentare che la giurisprudenza elaborata in materia dalla Corte costituzionale ha preso le mosse dall'affermazione secondo cui, a dibattimento iniziato, nel caso di un'eventuale modifica dell'imputazione, l'impossibilita' di beneficiare dei vantaggi connessi all'adozione dei riti speciali fa parte delle «regole del gioco», note alle parti processuali, le cui conseguenze sfavorevoli potevano e dovevano essere previste ex ante e di cui, dunque, non ci si puo' ex post dolere, poiche' l'imputato il quale non abbia optato nei termini per i riti premiali «non ha che da addebitare a se' medesimo le conseguenze della propria scelta» (Corte costituzionale, sentenza n. 316/1992, che ha dichiarato l'infondatezza, in relazione all'art. 3 della Costituzione, della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 519 c.p.p, nella parte in cui, in caso di contestazioni suppletive a norma dell'art. 517 c.p.p., non consente all'imputato di avvalersi del giudizio abbreviato). La casistica via, via emersa ha pero' mostrato come la rigida applicazione del principio comportasse, talora, conseguenze inaccettabili sul piano della ragionevolezza e della tutela del diritto dell'imputato ad operare liberamente e senza condizionamenti od ostacoli le proprie scelte di strategia difensiva. Di qui le correzioni all'impianto normativo originario apportate ad opera della Corte in una decisione successiva, relativa all'erroneita' od incompletezza dell'imputazione formulata rispetto agli elementi gia' acquisiti in sede d'indagine preliminare, con una rivalutazione, a sorpresa, degli stessi elementi nel corso del dibattimento e la conseguente contestazione di un fatto diverso o di un reato concorrente. Nell'esaminare tale ipotesi la Corte costituzionale ha insegnato che non puo' «parlarsi, in simili vicende, di una libera assunzione del rischio del dibattimento da parte dell'imputato» (Corte costituzionale, sentenza n. 265/1994). E poiche' «le valutazioni dell'imputato circa la convenienza del rito speciale vengono a dipendere anzitutto dalla concreta impostazione data al processo dal pubblico ministero (...) quando, in presenza di una evenienza patologica del procedimento, quale e' quella derivante dall'errore sulla individuazione del fatto e del titolo del reato in cui e' incorso il pubblico ministero, l'imputazione subisce una variazione sostanziale, risulta lesivo del diritto di difesa precludere all'imputato l'accesso ai riti speciali» (Corte costituzionale, sentenza n. 265/1994; cfr., per analoghe affermazioni, Corte costituzionale, sentenze n. 76/1993 e n. 214/1993). Con riferimento all'istituto del patteggiamento, e' stata dunque dichiarata la «illegittimita' costituzionale degli articoli 516 e 517 c.p.p. nella parte in cui non prevedono la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena a norma dell'art. 444 c.p.p., relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che gia' risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale ovvero quando l'imputato ha tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta di applicazione di pena in ordine alle originarie imputazioni» (Corte costituzionale, sentenza n. 265/1994). In tempi piu' recenti - con una pronuncia «additiva» relativa all'art. 517 c.p.p. - e' stata inoltre rimossa la preclusione a definire il processo con l'applicazione della pena su richiesta «in seguito alla contestazione nel dibattimento di una circostanza aggravante che gia' risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale» (Corte costituzionale, sentenza n. 184/2014). Quanto al rito abbreviato, a seguito di alcune pronunce d'inammissibilita' di questioni di legittimita' costituzionale al proposito sollevate - sul rilievo che fosse necessario un intervento legislativo volto ad adottare «un appropriato congegno normativo che componga le interferenze tra giudizio abbreviato e giudizio dibattimentale» (Corte costituzionale, sentenza n. 129/1993; v. anche ordinanze n. 413/2005 e n. 67/2008) - preso atto dell'inerzia del legislatore e del mutato quadro normativo, che ha diversamente delineato l'istituto del giudizio abbreviato e che, in talune ipotesi, ha consentito la definizione con tale rito di procedimenti giunti nella fase dibattimentale, la Corte costituzionale ha poi dichiarato l'illegittimita' costituzionale degli articoli 516 e 517 c.p.p. nella parte in cui non prevedono la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestati in dibattimento, «quando la nuova contestazione concerne un fatto che gia' risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell'azione penale» (Corte costituzionale, sentenza n. 333/2009). Questa pronuncia e la successiva sentenza della Corte costituzionale n. 139/2015 - che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 517 c.p.p. nella parte in cui non prevede la facolta' di richiedere il giudizio abbreviato con riferimento al reato per il quale vi sia stata suppletiva contestazione di una circostanza aggravante che gia' risultava dagli atti al momento di esercizio dell'azione penale - hanno dunque parificato le situazioni del patteggiamento e del giudizio abbreviato, rimuovendo l'originaria preclusione alla facolta' di richiedere i suddetti riti speciali in corso di dibattimento con esclusivo riferimento alle c.d. «contestazioni patologiche». In rapporto alle cc.dd. «contestazioni fisiologiche», la disciplina processuale preclusiva della possibilita' di fruire di riti premiali era stata censurata dalla Corte costituzionale gia' nella sentenza n. 530/1995, con cui era stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale degli articoli 516 e 517 c.p.p., per violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono la facolta' dell'imputato di proporre domanda di oblazione in relazione al fatto diverso o al reato concorrente contestati in dibattimento. In quell'occasione, di fatti, non si era fatta distinzione tra ipotesi in cui sia ravvisabile un iniziale errore del pubblico ministero nel contestare l'accusa rispetto agli elementi acquisiti in fase d'indagine preliminare e ipotesi in cui la necessita' della modifica dell'imputazione emerga, per la prima volta, nell'istruzione dibattimentale. Al di la' del procedimento per oblazione, l'originaria impostazione con cui la giurisprudenza costituzionale aveva legittimato l'impossibilita' a definire il processo con patteggiamento o giudizio abbreviato nel caso di fisiologica modifica dell'imputazione, avvenuta sulla scorta di elementi emersi per la prima volta in dibattimento, e' tuttavia mutata soltanto in tempi recenti. Cio' si e' pero' verificato soltanto con riferimento al giudizio abbreviato. Ed invero, con la sentenza n. 237/2012, la Corte ha ritenuto che i precedenti approdi nella materia de qua dovessero essere «necessariamente rivisti» alla luce di modifiche normative e delle proprie precedenti pronunce. Dopo aver ribadito quanto in passato gia' affermato sulla natura non dirimente del binomio «premialita-deflazione» individuato come necessario nella giurisprudenza costituzionale dei primi anni '90, osservando come un effetto di economia processuale pur sempre si ottiene allorquando il processo viene definito con un rito speciale in corso di dibattimento, la citata pronuncia svaluta il requisito della «prevedibilita'» da parte dell'imputato di contestazioni fisiologiche di un reato concorrente e, in generale, osserva come sia piu' difficilmente prevedibile la contestazione fisiologica di quella patologica. Del resto, la riconosciuta possibilita' di modificare l'imputazione anche nel giudizio abbreviato (sia pur limitatamente ai casi di integrazione probatoria conseguente al c.d. «abbreviato condizionato» od all'assunzione di nuove prove ex officio: v. articoli 438, comma 5, e 441-bis c.p.p., nel testo inserito dalla c.d. legge «Carotti», la n. 479/1999) impedisce di riproporre detto argomento - cio' che era stato fatto in passato - per addebitare all'imputato le conseguenze di una sua omissione nel caso in cui non si sia optato in limine per un giudizio speciale. Ma proprio dalla facolta' in tali casi riconosciuta all'imputato di «chiedere che il processo prosegua nelle forme ordinarie» a seguito della nuova contestazione mossa in abbreviato (art. 441-bis, primo comma, c.p.p.) emerge, secondo la Corte, un «indice di sistema, riguardo al fatto che, quando muta in itinere il tema d'accusa, l'imputato deve poter rivedere le proprie opzioni riguardo al rito da seguire» (Corte costituzionale, sentenza n. 237/2012). Di qui la ritenuta violazione del diritto di difesa e del principio di eguaglianza nell'impossibilita' di definire con rito abbreviato il reato concorrente contestato per la prima volta in dibattimento, in conseguenza di un fatto tutto sommato casuale come l'essere cio' avvenuto dopo l'esercizio dell'azione penale per il reato oggetto di contestazione originaria (e senza che, peraltro, la scelta difensiva fosse possibile, perche' la richiesta di definire il processo con rito abbreviato postula ovviamente la formulazione dell'imputazione). Del resto - si e' ancora osservato - appare irragionevole che detta preclusione sia rimessa a circostanze casuali, come la scelta discrezionale (e non sindacabile) del pubblico ministero di contestare il reato concorrente a dibattimento (piuttosto che iniziare ex novo l'azione penale), ovvero che gli atti relativi alla nuova imputazione siano restituiti al pubblico ministero se la contestazione suppletiva di un reato per cui e' prevista l'udienza preliminare si verifichi nell'ambito di un processo radicato con citazione diretta a giudizio (v. art. 521-bis, primo comma, c.p.p.). Si e' cosi' giunti alla declaratoria d'illegittimita' costituzionale dell'art. 517 c.p.p. «nella parte in cui non prevede la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione» (Corte costituzionale, sentenza n. 237/2012). La medesima conclusione - concretizzatasi in analoga pronuncia «additiva» emessa con riguardo all'art. 516 c.p.p. (v. Corte costituzionale, sentenza n. 273/2014) - e' stata poi adottata nel caso di contestazione fisiologica del fatto diverso, non essendosi ritenuto sufficiente a differenziare il trattamento normativo il rilievo che in questo caso (e a differenza dell'ipotesi della contestazione di reato concorrente) esisteva sin dall'inizio l'imputazione che avrebbe consentito la tempestiva richiesta del giudizio speciale. In questo quadro - e tenendo conto del principio cardine della vigente disciplina in materia, quale affermato dalle ultime due citate pronunce della Corte circa il fatto che, «quando muta in itinere il tema d'accusa, l'imputato deve poter rivedere le proprie opzioni riguardo al rito da seguire» - appare dunque non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 516 c.p.p. nella parte in cui non prevede la facolta' dell'imputato di richiedere il patteggiamento relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione. Sulla base delle osservazioni sopra svolte, la preclusione a fruire dei vantaggi connessi al patteggiamento in siffatto caso sembra qui tradursi: in una compressione dei diritti di difesa dell'imputato, al quale, in simili ipotesi, non puo' certo essere addebitata alcuna colpevole inerzia, ne' - secondo il piu' recente indirizzo della giurisprudenza costituzionale - possono essergli attribuite le conseguenze negative di un «prevedibile» sviluppo dibattimentale il cui rischio sia stato liberamente assunto; ed invero, l'opzione per il giudizio abbreviato e l'applicazione della pena su richiesta delle parti - secondo il consolidato orientamento del Giudice delle leggi - costituisce una modalita', tra le piu' qualificanti (v. Corte costituzionale, sentenza n. 148/2004), di esercizio del diritto di difesa (ex plurimis, Corte costituzionale, sentenze n. 219/2004, n. 70/1996, n. 497/1995, n. 76/1993) e «condizione primaria per l'esercizio del diritto di difesa e' che l'imputato abbia ben chiari i termini dell'accusa mossa nei suoi confronti» (Corte costituzionale, sentenze n. 237/2014 e n. 273/2014), sicche' l'ingiustificata esclusione della facolta' di richiedere il patteggiamento una volta modificata l'imputazione costituisce sospetta violazione dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione; nella disparita' di trattamento, con conseguente sospetta violazione dell'art. 3 della Costituzione, sussistente tra l'imputato al quale, sin dal primigenio esercizio dell'azione penale, sia correttamente contestato l'addebito con piena possibilita' di optare per il rito alternativo e l'imputato che - a causa dell'incompletezza delle indagini o per altra casuale ragione - si veda invece muovere un'imputazione incompleta e/o errata e, affrontando sulla base della stessa il giudizio, subisca poi la modifica dell'imputazione determinata dall'acquisizione dei relativi elementi di prova in corso di dibattimento senza poter piu' fruire dei benefici del rito premiale: «anche in rapporto alla contestazione fisiologica del fatto diverso vale, quindi, il rilievo di fondo, per cui l'imputato che subisce la nuova contestazione "viene a trovarsi in una posizione diversa e deteriore quanto alla facolta' di accesso ai riti alternativi e alla fruizione della correlata diminuzione di pena - rispetto a chi della stessa imputazione fosse stato chiamato a rispondere sin dall'inizio» (cosi', Corte costituzionale, sentenza n. 273/2014, nella quale si richiamano principi espressi con la precedente pronuncia n. 237/2014); nell'irragionevolezza di una disciplina processuale che, nel caso di contestazione c.d. «fisiologica» del fatto diverso, ex art. 516 c.p.p., consente all'imputato di recuperare i vantaggi connessi ad alcuni riti speciali (il giudizio abbreviato e l'oblazione, sulla base della normativa quale risultante dalle citate sentenze «additive» Corte costituzionale numeri 273/2014 e 530/1995, normativa da utilizzarsi quale tertium comparationis), impedendo invece l'accesso al rito dell'applicazione della pena su richiesta delle parti, con ulteriore, sospetta, violazione dell'art. 3 della Costituzione. Posto che - come si e' visto - il progressivo ampliamento delle facolta' di accesso ai riti speciali nel caso di modifica dell'imputazione in corso di dibattimento e' sempre avvenuto in forza di pronunce della Corte costituzionale che hanno accertato l'insussistenza di ragionevoli motivi per conservare le preclusioni poste dalla legge processuale, reputa questo Tribunale che non sia possibile procedere ad un'interpretazione costituzionalmente orientata della vigente disciplina, dovendosi invece rimettere al Giudice delle leggi la valutazione circa la conformita' di essa al quadro costituzionale di riferimento piu' sopra delineato.
P. Q. M. Letto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 516 c.p.p., in relazione agli articoli 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena, a norma dell'art. 444 c.p.p., relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto di nuova contestazione; Sospende il procedimento in corso nei confronti degli imputati Damiani Giovanni e Pastorelli Maria Concetta; Dispone che la presente ordinanza - letta alle parti nel pubblico dibattimento - sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati; Ordina l'immediata trasmissione degli atti del processo alla Corte costituzionale con la prova delle avvenute notifiche e comunicazioni di cui sopra. Torino, addi' 24 febbraio 2016. La Presidente: Maffiodo Il giudice estensore: Reynaud