N. 29 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 10 giugno 2016

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 10  giugno 2016  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Acque - Norme della Regione Abruzzo - Canoni di  concessione  per  le
  derivazioni di acqua pubblica ad uso idroelettrico - Determinazione
  in base alla "potenza efficiente netta" di ciascun  impianto,  come
  ufficialmente  definita  dall'AEEGSI   (Autorita'   per   l'energia
  elettrica, il gas e il sistema idrico). 
Ambiente - Parchi e aree naturali - Norme  della  Regione  Abruzzo  -
  Svolgimento di attivita' cinofile  e  cinotecniche  per  otto  mesi
  all'anno su una superficie non inferiore  al  cinquanta  per  cento
  delle zone B, C e D dei parchi naturali regionali e  non  inferiore
  al trenta per cento di  quella  delle  riserve  naturali  regionali
  guidate, controllate e speciali. 
- Legge della Regione Abruzzo 13 aprile 2016, n. 11  (Modifiche  alle
  leggi regionali 25/2011, 5/2015, 38/1996 e 9/2011), artt. 1,  comma
  1, lett. a), b) e c), sostitutive, rispettivamente,  dei  commi  1,
  1-bis e 1-ter dell'art. 12 della legge regionale 3 agosto 2011,  n.
  25 (Disposizioni in materia di  acque  con  istituzione  del  fondo
  speciale destinato  alla  perequazione  in  favore  del  territorio
  montano per le azioni  di  tutela  delle  falde  e  in  materia  di
  proventi relativi alle utenze di acque pubbliche); 4,  modificativo
  degli artt. 8, 9 e 19 della legge regionale 21 giugno 1996,  n.  38
  (Legge  quadro  sulle  aree  protette  della  Regione  Abruzzo  per
  l'Appennino Parco d'Europa). 
(GU n.29 del 20-7-2016 )
    Ricorso ex art.  127  Cost.  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
dello Stato presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi,  12,  e'
domiciliato per legge contro  la  Regione  Abruzzo,  in  persona  del
Presidente in carica, con sede a L'Aquila, Via Leonardo da  Vinci,  6
(Palazzo  I.  Silone)  per  la  declaratoria   della   illegittimita'
costituzionale  giusta  deliberazione  del  Consiglio  dei   ministri
assunta nella seduta del giorno 31 maggio  2016,  degli  articoli  1,
comma 1, lettere a), b) e c) e 4 della legge della Regione Abruzzo 13
aprile 2016, n. 11, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione
Abruzzo n. 59 del 14 aprile 2016. 
 
                          Premesse di fatto 
 
    In data 14 aprile 2016, sul n. 59 del Bollettino Ufficiale  della
Regione Abruzzo, e' stata pubblicata la  legge  regionale  13  aprile
2016, n. 11, intitolata  «Modifiche  alle  leggi  regionali  25/2011,
5/2015, 38/1996 e 9/2011». 
    In particolare, ed ai fini che qui interessano,  l'art.  1  della
legge contiene modifiche alla legge regionale 3 agosto 2011,  n.  25,
recante «Disposizioni in materia di acque con istituzione  del  fondo
speciale destinato alla perequazione in favore del territorio montano
per le azioni di tutela delle falde e in materia di proventi relativi
alle  utenze  di  acque  pubbliche»;   l'art.   4,   invece,   arreca
modificazioni alla legge regionale 21 giugno 1996, n.  38,  rubricata
quale «legge-quadro sulle aree protette  della  Regione  Abruzzo  per
l'Appennino Parco d'Europa». 
    Le norme contenute, rispettivamente, negli articoli 1,  comma  1,
lettere a), b) e c) e 4 della legge abruzzese n. 11/2016 eccedono  le
competenze  regionali,  invadono  quelle  statali  e   sono   percio'
violative di previsioni costituzionali e  comunitarie:  esse  vengono
pertanto  impugnate  con  il  presente  ricorso  ex  art.  127  Cost.
affinche' ne sia dichiarata la illegittimita' costituzionale e ne sia
pronunciato il conseguente annullamento per i seguenti 
 
                          Motivi di diritto 
 
 
                                  A 
 
L'art. 1, comma 1, lettere a), b) e c) della legge regionale  Abruzzo
n. 11/2016 
    1. Si premette che l'art. 1  della  legge  regionale  Abruzzo  n.
11/2016 - d'ora in avanti, per brevita', la legge - disciplina, come,
del resto, la legge regionale  sulla  quale  interviene  -  la  legge
regionale n. 25/2011 - il  canone  dovuto  per  le  utenze  di  acqua
pubblica e, segnatamente, il  sistema  di  determinazione  della  sua
misura. 
    Com'e' noto, a norma dell'art. 35 del regio decreto  11  dicembre
1933, n. 1775 - testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e
impianti elettrici - le utenze di acqua pubblica sono  sottoposte  al
pagamento di un  canone  annuo  «regolato  sulla  media  della  forza
motrice nominale diiponibile nell'anno»  (art.  35,  comma  3,  testo
unico cit.). 
    A sua volta, la forza motrice nominale - o potenza nominale -  di
un impianto elettrico  e'  «calcolata  in  base  alla  differenza  di
livello fra i due peli morti dei  canali  a  monte  ed  a  valle  del
meccanismo motore» (art. 35, comma 2, testo unico cit.). 
    L'art. 6 del medesimo testo unico distingue le  utenze  di  acqua
pubblica  a  seconda  che  abbiano  ad  oggetto  grandi   o   piccole
derivazioni le quali, quanto a quelle destinate  alla  produzione  di
forza motrice, si differenziano tra loro a seconda  che  abbiano  una
potenza nominale media annua superiore o meno a kW 3.000. 
    E'  altresi'  noto  che,  ai  sensi  dell'art.  86  del   decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 118,  le  regioni  e  gli  enti  locali
competenti per territorio  provvedono  alla  gestione  dei  beni  del
demanio idrico: nell'esercizio di tale funzione le regioni provvedono
pertanto alla determinazione e  all'introito  dei  canoni  rivenienti
dalla utilizzazione di detti beni. 
    In particolare, le regioni - e le Province autonome di  Trento  e
di Bolzano - provvedono alla determinazione e all'incasso dei  canoni
derivanti  dalla   concessione   delle   acque   pubbliche   ad   uso
idroelettrico. 
    Tutte  le  regioni  adottano  canoni  parametrati  alla   potenza
nominale media di concessione, con valori oscillanti tra i 13 e i  37
euro/kW: la Regione Abruzzo,  come  meglio  si  dira'  in  prosieguo,
parametra invece il canone di concessione idroelettrica alla  potenza
efficiente dell'impianto. 
    Tale diversa grandezza di riferimento conduce, in concreto,  alla
determinazione di canoni concessori di gran lunga superiori a  quelli
determinati sulla base della potenza nominale media dell'impianto con
effetti, come si  dira',  distorsivi  della  concorrenza  e,  quindi,
violativi  dell'art.  117,  comma   2,   lettera   e)   della   Carta
fondamentale. 
    2. L'art. 1 della legge modifica l'art. 12 della legge  regionale
n. 25/2011: in particolare, la lettera a) del comma 1 sostituisce  il
comma  1  dell'art.  12  fissando  il  costo   unitario   per   l'uso
idroelettrico di cui alla lettera c) del comma 5 dell'art.  93  della
legge regionale 17 aprile 2003, n.  7,  per  le  utenze  con  potenza
nominale superiore a 220 Kw, in euro 35,00 per  ogni  Kw  di  potenza
efficiente, oltre ai relativi aggiornamenti al  tasso  di  inflazione
programmata. 
    La successiva  lettera  b)  sostituisce  invece  il  comma  1-bis
dell'art. 12 della legge regionale  n.  25/2001  prevedendo,  per  la
definizione  di  potenza  efficiente,  il  rinvio  «alla  definizione
ufficiale utilizzata per la potenza efficiente  netta  dall'Autorita'
per l'Energia Elettrica e il Gas e il Sistema Idrico (AEEGSI)». 
    La lettera c) sostituisce infine  il  comma  1-ter  dell'art.  12
della legge regionale n. 25/2011 stabilendo  che  «il  canone  annuo,
calcolato applicando il valore riportato al comma 1 per  ogni  Kw  di
potenza nominali» sia  versato,  cosi'  come  previsto  dal  comma  2
dell'art. 93 della legge regionale n. 7/2003, entro il 28 febbraio di
ciascun anno anticipatamente e a titolo di acconto. La norma  prevede
altresi' le modalita' con  cui  la  potenza  efficiente  deve  essere
certificata da organismo terzo e comunicata  al  competente  Servizio
regionale nonche' al Gestore della rete  di  trasmissione  ovvero  al
Gestore dei servizi energetici: sulla base della  potenza  efficiente
misurata e certificata  dall'organismo  terzo  il  medesimo  Servizio
regionale provvede quindi a  «quantificare  l'importo  complessivo  a
conguaglio, secondo le modalita' di cui al comma 1», che deve  essere
versato entro 60 giorni dalla relativa richiesta. 
    La disposizione prosegue stabilendo che nel caso in cui  il  dato
della potenza efficiente - sulla base del quale  viene  calcolato  il
conguaglio dovuto - risulti inferiore alla potenza nominale  -  sulla
cui base e'  stato  computato  l'acconto  versato  anticipatamente  -
«nulla e' dovuto al concessionario a titolo di rimborso». 
    E' previsto poi che, «in  caso  di  mancata  comunicazione  della
potenza efficiente il canone dovuto e' triplicato rispetto al  canone
dovuto calcolato sulla potenza nominale media di  concessione»:  tale
ultima previsione - di natura sanzionatoria -  e'  analoga  a  quella
gia' contenuta nell'art. 12, comma 1-quinquies,  legge  regionale  n.
25/2011 (disposizione introdotta dall'art. 1,  comma  2,  lettera  c)
della legge regionale 3 novembre 2015, n. 36, e  ora  abrogata  dalla
lettera e) del comma 1 dell'art. 1 della stessa  legge  regionale  n.
11/2016). 
    La lettera d) della norma  in  commento  prevede  infine  che  il
termine stabilito dalla lettera precedente - quello  fissato  per  il
versamento dell'acconto di canone - per l'anno 2016 e'  stabilito  al
31 maggio 2016. 
    3. Le  norme  teste'  descritte  riproducono  sostanzialmente  le
analoghe disposizioni in precedenza contenute nelle leggi regionali 3
novembre 2015, n. 36, e 19 gennaio 2016, n. 5,  entrambe  oggetto  di
impugnativa da parte del Governo (rispettivamente, n. r.r.  2/2016  e
21/2016), e presentano quindi i medesimi  profili  di  illegittimita'
costituzionale. 
    La disposizione censurata, intervenendo nuovamente  sul  criterio
di determinazione del canone di concessione di derivazione  di  acqua
pubblica per uso idroelettrico gia' oggetto  dell'art.  1,  comma  2,
lettera b) della legge regionale n. 36 del 2015 e dell'art. 11, comma
6, lettera b) della legge regionale n. 5/2016, introduce infatti  una
«nuova» definizione di potenza efficiente sostanzialmente equivalente
a quella contenuta nelle impugnate  leggi  regionali  nn.  36/2015  e
5/2016. 
    L'art. 1, comma 2, lettera b) della legge  regionale  n.  36  del
2015 definiva infatti la potenza  elettrica  efficiente,  sulla  base
della quale calcolare l'ammontare del canone idroelettrico, come  «la
massima potenza  elettrica,  con  riferimento  alla  potenza  attiva,
comunque realizzabile dall'impianto durante un intervallo di tempo di
funzionamento pari a 4 ore,  supponendo  le  parti  dell'impianto  in
funzione in piena efficienza e nelle condizioni ottimali di portata e
di salto». 
    Il riferimento alla potenza  efficiente  come  parametro  per  la
determinazione della misura del canone concessorio idroelettrico  era
peraltro gia' previsto - con rinvio alla definizione del GSE (Gestore
dei  servizi  energetici)  -  dall'art.  16,  comma  2,  della  legge
regionale 10 gennaio 2012, n.  1,  la  quale,  modificando  la  legge
regionale n. 25/2011 in materia di proventi relativi alle  utenze  di
acque pubbliche, aveva previsto l'aumento da 27,50 € a  35,00  €  del
costo  unitario  per  l'uso  idroelettrico  e,  per  quel   che   qui
specificamente  interessa,  aveva  stabilito,   come   parametro   di
riferimento per la quantificazione  dell'ammontare  del  canone,  non
piu' la potenza nominale concessa o riconosciuta, bensi'  la  potenza
efficiente riportata nei rapporti annuali  dell'anno  precedente  dal
GSE  (tale  disposizione,   che   aveva   superato   il   vaglio   di
costituzionalita' avendo codesta Corte rilevato  che  non  era  stato
dimostrato «come il riferimento alla potenza efficiente influisca sui
costi e quale sia il "verso economico" di tale effetto» - sentenza 10
aprile 2014, n. 85 -, e' stata peraltro poi soppressa, in parte  qua,
dall'art. 1, comma 2, lettera a)  della  citata  legge  regionale  n.
36/2015). 
    L'art. 11, comma 6, lettera b) della successiva  legge  regionale
n. 5/2016, stabilendo che il costo unitario per  l'uso  idroelettrico
per  le  utenze  con  potenza  nominale  superiore  a  220  kw  fosse
ragguagliato alla potenza efficiente e rinviando per  la  definizione
di potenza efficiente alla definizione ufficiale utilizzata dal GSE e
dall'Autorita' per l'Energia Elettrica e il  Gas  (AEEG),  aveva  poi
solo  apparentemente  modificato  la  legge  regionale   n.   36/2015
perpetuando la medesima illegittimita' gia' riscontrata e  denunciata
con il ricorso avverso tale ultimo atto normativo. La definizione  di
«potenza   efficiente»   che,   ai   sensi   della   delibera    AEEG
179/2014/R/EPR, il GSE e l'AEEG  adottano  dal  2014  e'  infatti  la
stessa contenuta nella legge regionale n. 36/2015,  intendendosi  per
«potenza efficiente o massima potenza elettrica  di  un  impianto  di
produzione di (una sezione) ... la  massima  potenza  elettrica,  con
riferimento esclusivo alla massima potenza  attiva  che  puo'  essere
prodotta  con  continuita'  durante  un  dato  intervallo  di   tempo
sufficientemente lungo di funzionamento (almeno quattro ore  per  gli
impianti idroelettrici) supponendo tutte le  parti  dell'impianto  in
funzione in piena efficienza di portata e di  salto  nel  caso  degli
impianti idroelettrici». 
    Anche  le  modifiche  apportate  dalla  legge  impugnata  con  il
presente atto non mutano,  al  pari  di  quelle  recate  dalla  legge
regionale  n.  5/2016,  la  sostanza  della  definizione  di  potenza
efficiente gia' contenuta nella legge regionale n. 36/2015 quale  «la
massima potenza  elettrica,  con  riferimento  alla  potenza  attiva,
comunque realizzabile dall'impianto durante un intervallo di tempo di
funzionamento pari a 4 ore,  supponendo  le  parti  dell'impianto  in
funzione in piena efficienza e nelle condizioni ottimali di portata e
di salto». 
    La disposizione ora contenuta nell'art. 1, comma  1,  lettera  b)
della legge regionale n. 11/2016 si differenzia infatti  dalle  norme
in precedenza impugnate per il solo fatto che essa: a) espunge  dalla
definizione  di  potenza  efficiente  il  rinvio   alla   definizione
ufficiale di potenza efficiente utilizzata dal  GSE  (gia')  presente
nell'art. 11, comma 6, lettera b) della legge  regionale  n.  5/2016,
mantenendo tuttavia il richiamo alla definizione utilizzata dall'AEEG
- ora AEEGSI: Autorita' per l'Energia Elettrica e il Gas e il Sistema
Idrico - e 
    b) fa riferimento alla potenza efficiente netta. 
    La differenza tra le due disposizioni e' pero' soltanto apparente
perche': 
    ad a)  anche  la  definizione  ufficiale  di  potenza  efficiente
utilizzata dall'Autorita' per l'Energia  Elettrica  e  il  Gas  e  il
Sistema  Idrico  identifica  «la  massima  potenza   elettrica,   con
riferimento alla potenza attiva, comunque realizzabile  dall'impianto
durante un intervallo  di  tempo  di  funzionamento  pari  a  4  ore,
supponendo le parti dell'impianto in finzione in piena  efficienza  e
nelle condizioni ottimali di portata e di salto»; e 
    a b) la potenza efficiente netta si differenzia da  quella  lorda
per il solo fatto che la prima e' misurata all'uscita  dell'impianto,
al netto,  cioe',  della  potenza  assorbita  dai  servizi  ausiliari
dell'impianto e delle perdite nei trasformatori dell'impianto, mentre
la seconda e' misurata all'entrata  dell'impianto  di  produzione  di
energia elettrica - piu' precisamente,  ai  morsetti  dei  generatori
elettrici -: peraltro, poiche' sia la potenza efficiente netta sia la
potenza efficiente lorda identificano  entrambe  la  massima  potenza
elettrica realizzabile dall'impianto durante un intervallo  di  tempo
di funzionamento (4 ore), per  la  produzione  esclusiva  di  potenza
attiva, supponendo che tutte le parti dell'impianto siano interamente
in efficienza e, nel caso di un  impianto  idroelettrico,  che  siano
disponibili le piu' favorevoli condizioni di portata e di  salto,  e'
evidente che il valore  che  risulta  dal  riferimento  alla  potenza
efficiente netta si discosta soltanto di pochi punti  percentuali  da
quello risultante dal riferimento alla potenza efficiente lorda. 
    Da tanto consegue che, essendo rimasto immutato anche nella nuova
disposizione il riferimento alla nozione di  potenza  efficiente,  lo
scostamento  di  valori  riveniente  dal  riferimento  alla   potenza
efficiente netta contenuto nella norma che si impugna e', rispetto  a
quello  risultante  dalle   precedenti   definizioni   e   previsioni
normative, assolutamente marginale e privo, come tale, di  una  reale
ed effettiva significativita': con la conseguenza che la  misura  del
canone  risultante  dall'applicazione  della  (apparentemente  nuova)
definizione recata dall'art. 1,  comma  1,  lettera  b)  della  legge
regionale n. 11/2016 e', all'atto pratico, sostanzialmente identica a
quella  riveniente  dall'applicazione  delle   previsioni   normative
impugnate con i precedenti ricorsi. 
    Anche in questo caso,  la  determinazione  del  canone  si  fonda
inoltre sulla potenza di targa della macchina anziche' sulla  potenza
nominale media di concessione utilizzata da tutte le altre regioni  e
comporta  percio'  i  medesimi  negativi  effetti,  discriminatori  e
anticoncorrenziali, a danno degli operatori idroelettrici operanti in
Abruzzo gia' denunciati con le precedenti impugnative. 
    4. Da quanto si e' sin qui venuti esponendo risulta  altresi'  di
tutta evidenza che l'abrogazione dell'art. 11, comma 6,  della  legge
regionale n. 5/2016 da  parte  dell'art.  1,  comma  3,  della  legge
regionale n. 11/2016 e la contestuale riproduzione del suo  contenuto
nella norma oggetto del presente ricorso si risolve nel tentativo del
legislatore regionale abruzzese di eludere la definizione dei giudizi
di legittimita' costituzionale  instaurati  con  i  ricorsi  proposti
avverso le leggi regionali nn. 36/2015 e 5/2016. 
    Ed infatti, posto  che,  come  piu'  sopra  illustrato,  l'ultimo
intervento  legislativo  e'  solo  apparentemente  modificativo   dei
termini della questione - i quali  rimangono  invece  sostanzialmente
invariati -, merita sul punto richiamare la sentenza 29 ottobre 2009,
n.  272,  con  la  quale  codesta  Corte,  confermando   la   propria
consolidata  giurisprudenza,  ha  affermato  che  «il  principio   di
effettivita' della tutela costituzionale delle parti nei  giudizi  in
via di azione  non  tollera  che,  attraverso  l'uso  distorto  della
potesta'  legislativa,  uno  dei  contendenti  possa  introdurre  una
proposizione normativa di "contenuto" equivalente a quella  impugnata
e nel contempo sottrarla al gia' instaurato giudizio di  legittimita'
costituzionale. Si impone pertanto, in simili casi, il  trasferimento
della  questione  alla  norma  che,  sebbene  portata  da   un   atto
legislativo diverso da quella oggetto di impugnazione, sopravvive nel
suo immutato contenuto precettivo (sentenze n.  168/2008  e  n.  533/
2002)». 
    Tale orientamento  e'  stato  anche  di  recente  ribadito  dalla
sentenza 7 novembre 2014, n. 249 - resa proprio  con  riferimento  ad
altra legge della Regione Abruzzo (la n. 14 del 2014) -  nella  quale
si  e'  stabilito  che,  «poiche',  nella  specie,   ricorrono   tali
condizioni - avendo, come si e' detto, la Regione sostituito il testo
originario con una  variante  avente  analogo  contenuto  lesivo  del
precetto comunitario - le censure proposte in riferimento all'art. 38
della legge regionale  Abruzzo  n.  55  del  2013  debbono  ritenersi
trasferite  al  nuovo  testo,  con  la   conseguente   pronuncia   di
illegittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge  della  Regione
Abruzzo n. 14 del 2014 per violazione  dell'art.  117,  primo  comma,
Cost.» (v. anche la sentenza 11 febbraio 2010, n. 40 e, da ultimo, la
stessa gia' citata sentenza n. 85/2014). 
    5. Tanto chiarito, questa Difesa non ignora che, come s'e'  detto
in precedenza, con sentenza 10 aprile 2014, n. 85, codesta  Corte  ha
dichiarato in parte inammissibile e in parte infondata  la  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 16 della legge regionale  n.
1/2012 - estesa alla sopravvenuta disposizione modificativa contenuta
nella  legge  regionale  17  luglio  2012,  n.   34,   di   contenuto
sostanzialmente analogo -,  il  quale  aveva  sostituito  la  potenza
efficiente alla potenza nominale quale parametro di  riferimento  per
la determinazione della misura del canone concessorio  idroelettrico:
e che, in particolare, la questione e' stata dichiarata inammissibile
sia perche' non e' stato dimostrato «come il riferimento alla potenza
efficiente influisca sui costi e quale sia il  "verso  economico"  di
tale effetto» sia perche' nulla e' stato riferito «sui presupposti di
fatto della lamentata violazione delle regole della  concorrenza,  se
non il  generico  riferimento  al  testo  unico  n.  1775  del  1933»
(paragrafo 4.4). 
    Nel proporre alla Corte Ecc.ma  una  parziale  rimeditazione  dei
principi che, nella richiamata sentenza n. 85/2014, hanno condotto al
rigetto in parte qua del ricorso proposto contro la  legge  regionale
Abruzzo  n.   1/2012,   mette   conto   ricordare   che,   anche   in
quell'occasione, la disposizione regionale era  stata  impugnata  dal
Governo sul presupposto che la stessa violasse le competenze  statali
in materia, tra l'altro, di tutela  della  concorrenza,  creando  uno
squilibrio tra gli operatori economici insediati nel territorio della
Regione Abruzzo e quelli aventi sede  in  altra  Regione  (art.  117,
comma 2, lettera e) Cost). 
    La materia e' stata peraltro oggetto  di  ulteriore  esame  nella
sentenza 25 febbraio 2014, n. 28, depositata pero' in data successiva
all'udienza  di  trattazione  dell'impugnazione   definita   con   la
decisione n. 85/2014, e che non sembrerebbe essere stata valutata  in
quella sede. 
    Nell'affrontare  problematiche  connesse  alle  concessioni   del
settore  idroelettrico,  infatti,  veniva  asserita  la  inderogabile
necessita' che l'attivita' di generazione idroelettrica sia  ispirata
al principio secondo il quale deve essere garantito «l'accesso  degli
operatori  economici  al  mercato  dell'energia  secondo   condizioni
uniformi sul territorio nazionale» (cio', ai  fini  dell'affermazione
della competenza statale proprio in  applicazione  della  devoluzione
operata dall'art. 117, comma 2, lettera e) Cost.). 
    Simili affermazioni sono altresi'  contenute  nella  sentenza  1°
aprile 2014, n.  64,  ove  si  ribadisce  che  «in  tale  settore  il
legislatore  statale  ha  espressamente  affrontato   l'esigenza   di
tutelare la concorrenza  garantendo  l'uniformita'  della  disciplina
sull'intero territorio nazionale»; e che la necessita' di  «agevolare
l'accesso degli operatori economici al mercato  dell'energia  secondo
condizioni uniformi sul territorio  nazionale»,  attuata,  a  livello
nazionale, attraverso la normativa  posta  con  il  decreto-legge  22
giugno 2012, n. 83, porta  a  ritenere  la  disciplina  delle  utenze
idroelettriche  oggi  attratta  «nell'ambito  della  lettera  e)  del
secondo comma dell'art. 117 Cost.». 
    L'art. 37, comma 7, del decreto-legge  22  giugno  2012,  n.  83,
convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134,  prevede  infatti  che,
«al  fine  di  assicurare  un'omogenea  disciplina   sul   territorio
nazionale delle attivita' di generazione idroelettrica e  parita'  di
trattamento tra gli operatori economici,  con  decreto  del  Ministro
dello  sviluppo  economico,  previa  intesa  in  sede  di  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e di Bolzano, sono stabiliti  i  criteri  generali
per  la  determinazione,   secondo   principi   di   economicita'   e
ragionevolezza, da parte delle regioni, di valori massimi dei  canoni
delle concessioni ad uso idroelettrico». 
    E se e' vero che tale norma demanda alla  legislazione  regionale
di dettaglio la concreta fissazione, all'interno dei  valori  massimi
stabiliti dallo Stato, dei canoni delle  concessioni  idroelettriche,
e' pero' altrettanto vero  che  essa  costituisce  la  piu'  evidente
dimostrazione del fatto che la tutela della concorrenza  nel  mercato
dell'energia elettrica - e, di riflesso, la  parita'  di  trattamento
tra gli operatori economici - costituisce principio non  soltanto  di
rilievo  comunitario,  ma  trova  esplicito  riconoscimento  anche  a
livello nazionale. 
    Se tali devono ritenersi i principi che regolano il riparto delle
competenze nella materia che ne  occupa,  non  puo'  dunque  da  essi
prescindersi nell'esaminare il regime cui, per  effetto  della  norma
che qui si impugna  (e  di  quelle  che  con  variegate  formulazioni
l'hanno  preceduta),  la  materia  della  determinazione  dei  canoni
concessori dovuti dagli operatori idroelettrici  e'  oggi  sottoposta
nella Regione Abruzzo. 
    E tale esame conduce, ad avviso di questa Difesa, a ritenere  che
la norma abbia l'effetto di alterare le condizioni concorrenziali sul
territorio  nazionale,  discriminando  gli  operatori   idroelettrici
insediati in Abruzzo e cosi' violando l'art. 117, comma 2, lettera e)
della Costituzione. 
    6. Come s'e' detto in apertura del  presente  scritto,  tutte  le
regioni italiane parametrano il canone alla potenza nominale media di
concessione,  con  valori  oscillanti  tra  i  13  e  i  37   euro/kW
(segnatamente:  Veneto  29,68  euro/kW;  Sardegna,   14,35   euro/kW;
Lombardia 31,09 euro/kW; Basilicata  13,85  euro/kW;  Campania  13,89
euro/kW; Campania 13,89 euro/kW; Calabria 14,05 euro/kW; Molise 37,91
euro/kW; Sicilia 14,46 euro/kW; Toscana 15,26 euro/kW; Emilia-Romagna
14,3 euro/kW; Piemonte 28,24 euro/kW). 
    La Regione Abruzzo, invece, determina il  canone  di  concessione
idroelettrica sulla base della potenza efficiente dell'impianto. 
    Tale diversa grandezza di riferimento conduce, in concreto,  alla
determinazione di canoni concessori di gran lunga superiori a  quelli
determinati sulla base della potenza nominale media dell'impianto con
effetti, come si vedra',  distorsivi  della  concorrenza  e,  quindi,
violativi  dell'art.  117,  comma   2,   lettera   e)   della   Carta
fondamentale. 
    La potenza efficiente alla  quale  fa  da  tempo  riferimento  il
legislatore regionale abruzzese non si identifica infatti ne' con  la
potenza realmente prodotta dall'impianto idroelettrico ne' con quella
media producibile nell'anno, ma,  come  s'e'  visto,  consiste  nella
potenza che sarebbe teoricamente producibile durante quattro  ore  di
ipotetico funzionamento, in  condizioni  ottimali  di  portata  e  di
salto, sfruttando la massima efficienza possibile dell'impianto. 
    Si tratta, com'e' evidente, di un parametro che, avendo  riguardo
al funzionamento dell'impianto  in  condizioni  «estreme»  -  massima
efficienza di tutte le parti dell'impianto e condizioni  ottimali  di
portata e di salto - e temporalmente circoscritte - 4 ore -,  e'  non
solo completamente avulso  dalla  realta'  produttiva  quotidiana  ma
altresi' scarsamente significativo della reale capacita'  «economica»
del  concessionario/produttore   che   finisce,   quindi,   come   si
dimostrera', per esserne gravemente danneggiato. 
    Perche' se e' vero che, come ha sottolineato codesta Corte  nella
pluricitata sentenza n. 85/2014, nel quadro  competenziale  delineato
dal decreto legislativo n.  112/1998  lo  Stato  «non  puo'  limitare
l'autonomia legislativa regionale e provinciale acquisita in materia»
di determinazione della misura dei canoni di derivazione di  acqua  a
scopo idroelettrico, e' pero' altrettanto vero  che,  come  parimenti
evidenziato da  codesto  Consesso,  «l'unico  principio  fondamentale
della materia e' quello della onerosita' della  concessione  e  della
proporzionalita' del canone alla  entita'  dello  sfruttamento  della
risorsa pubblica e all'utilita' economica che  il  concessionario  ne
ricava». 
    E, sotto questo profilo, il  parametro  prescelto  dalla  Regione
Abruzzo  per  quantificare  il  canone  dovuto   dal   concessionario
idroelettrico  non  e',  come  s'e'  detto  e   come   si   provera',
proporzionato ne' «alla  entita'  dello  sfruttamento  della  risorsa
pubblica»  ne',   soprattutto,   «all'utilita'   economica   che   il
concessionario ne ricava». 
    7. E, invero, come e' evidente anche per un  soggetto  sprovvisto
di  particolari  cognizioni  tecniche,  il  parametro  della  potenza
efficiente, per di piu' identificata attraverso i dati di  targa  del
macchinario installato, puo' discostarsi di molto  dal  valore  della
potenza nominale di concessione. 
    Il che vale specialmente per gli impianti dotati di lago o bacino
di accumulo dell'acqua, che utilizzano grandi  quantita'  d'acqua  in
periodi  limitati  dell'anno  e  che  hanno,  dunque,  necessita'  di
macchinari con una potenza efficiente molto maggiore di quella  media
annua di concessione. 
    Un impianto a bacino di grandi dimensioni con  potenza  media  di
concessione pari a 50 mW, avra', tipicamente, una potenza  efficiente
- secondo la definizione introdotta dalla disposizione censurata - di
circa 150 mW (una potenza efficiente pari  dunque  a  3  volte  circa
quella di concessione). 
    L'incidenza economica della disposizione sulle imprese ubicate in
Abruzzo e' conseguente e direttamente proporzionale:  fermo  restando
il valore di euro 35 per kW ora ribadito  dall'art.  1  della  legge,
l'applicazione dello stesso ad  una  grandezza  (potenza  efficiente)
sino a 3 volte maggiore (di quella media  di  concessione)  comporta,
molto  semplicemente,  la  triplicazione  della  misura  del   canone
concessorio. 
    8. E per apprezzare come a tale aumento del canone, introdotto in
via  diretta  dalla  legge   regionale   in   esame,   consegua   una
sperequazione fra le imprese ubicate in Abruzzo e quelle  ubicate  in
altre regioni, e' sufficiente considerare il prezzo  di  vendita  del
bene prodotto, cioe' dell'energia elettrica. 
    Restando all'esempio del grande impianto di  bacino,  il  canone,
calcolato in base alla legge in esame, puo' arrivare a pesare sino  a
21 euro per ogni MW/h prodotto, mentre sarebbe di  soli  7  euro  per
MW/h  se  fosse  calcolato  sulla  base  della   potenza   media   di
concessione. Tale grandezza va confrontata con  l'attuale  prezzo  di
mercato dell'energia elettrica per impianti a bacino, il  quale  puo'
oscillare tra i 50 e i 90 euro per MW/h: ne  consegue  che  l'importo
del canone puo' arrivare ad «assorbire» circa un terzo del prezzo  di
vendita dell'energia. 
    9. Quanto precede dimostra, al di la' di ogni ragionevole dubbio,
che la disposizione che oggi si  impugna  incide  -  e  incide  assai
fortemente - sulla capacita' delle imprese di operare  in  condizioni
di parita' sul mercato unico dell'energia elettrica: e, ad avviso  di
questo Patrocinio, offre, sia detto per inciso, quella prova di «come
il riferimento alla potenza efficiente influisca sui  costi  e  quale
sia il "verso economico" di tale effetto» che aveva  indotto  codesta
Ecc.ma Corte a  dichiarare  inammissibile  la  analoga  questione  di
legittimita' costituzionale  sollevata  in  riferimento  all'art.  16
della legge regionale n. 1/2012 e decisa con la sentenza n. 85/2014. 
    Le imprese operanti in Abruzzo, gravate di un canone  pari  a  21
euro per  MW/h,  si  troveranno  infatti  a  competere  con  analoghi
impianti che avendo, invece, un canone molto piu'  basso  (oscillante
tra i 4 e i 7 MW/h) sono in grado di offrire sul mercato dell'energia
prezzi piu' bassi di quelli degli impianti abruzzesi. 
    Le imprese aventi impianti di produzione di energia idroelettrica
ubicati in Abruzzo sono cioe'  costrette  a  pagare  un  canone  che,
essendo ragguagliato alla potenza  efficiente  dell'impianto,  e'  di
molto superiore  a  quello  corrisposto  dalle  imprese  del  settore
operanti in altre regioni le  quali  pagano  invece  un  canone  che,
essendo determinato,  come  s'e'  detto,  sulla  base  della  potenza
nominale dell'impianto, e' di regola molto piu' basso. 
    E poiche' il prezzo di vendita di un bene  -  nella  fattispecie,
dell'energia elettrica - e' determinato  in  funzione  dei  costi  di
produzione e varia in relazione al variare di questi, e' evidente che
la  misura  del  canone  di  concessione  idroelettrica  -  il  quale
costituisce uno  dei  principali,  se  non  il  principale  costo  di
produzione - e' decisiva ai fini della formazione e della misura  del
corrispettivo offerto all'utenza finale: con  la  conseguenza  che  i
produttori idroelettrici abruzzesi, costretti a pagare un canone piu'
elevato per effetto dell'applicazione dei criteri recati dalla  legge
qui impugnata, non sono, sotto questo profilo, e coeteris paribus, in
grado di competere con  gli  operatoti  stabiliti  in  altre  regioni
italiane i quali, per effetto dei canoni piu' bassi corrisposti, sono
in condizione di produrre  a  costi  piu'  contenuti  e,  quindi,  di
offrire sul mercato dell'energia elettrica  prezzi  proporzionalmente
inferiori a quelli degli impianti abruzzesi. 
    Per le ragioni esposte, l'art. 1, comma 1, lettere a),  b)  e  c)
della legge regionale Abruzzo n. 11/2016 contrasta con i principi  in
materia di tutela della concorrenza contenuti nell'art. 37, comma  7,
del decreto-legge 22 giugno 2012, n.  83,  e  conseguentemente  viola
l'art. 117, comma 2, lettera e) della Costituzione. 
 
                                  B 
 
L'art. 4 della legge regionale Abruzzo n. 11/2016 
    1. L'art. 4 della legge interviene invece su alcune  disposizioni
della legge regionale 21 giugno 1996, n. 38 (legge-quadro sulle  aree
protette della  Regione  Abruzzo  per  l'Appennino  Parco  d'Europa),
rispettivamente, gli articoli 8 -  rubricato  «norme  transitorie  di
salvaguardia», 9 - contenente la  definizione  e  l'articolazione  in
zone dei parchi naturali regionali - e 19 - dedicato alla definizione
e classificazione delle riserve naturali regionali. 
    In particolare, la norma che qui si impugna, al  dichiarato  fine
di «favorire lo sviluppo sostenibile delle  aree  interne  attraverso
l'incremento  del  turismo  cinofilo»,  consente  lo  svolgimento  di
attivita' cinofile  e  cinotecniche  per  otto  mesi  l'anno  su  una
superficie non inferiore al cinquanta per cento delle zone B, C  e  D
dei parchi naturali regionali e non inferiore al trenta per cento  di
quella  delle  riserve  naturali  regionali  guidate,  controllate  e
speciali;   inoltre,   nelle   more   dell'adeguamento   alle   nuove
disposizioni  dei  regolamenti  o  dei  piani  dei  parchi   naturali
regionali ovvero del piano di assetto naturalistico, essa permette di
svolgere  quelle  attivita'  per  dodici  mesi   l'anno   sull'intera
superficie delle zone B, C  e  D  dei  parchi  naturali  regionali  e
sull'intera superficie delle riserve naturali regionali. 
    Cosi' disponendo, la norma non solo non rispetta i vincoli  posti
dalla  legislazione   nazionale   nell'esercizio   della   competenza
esclusiva   statale   in   materia   di   tutela   dell'ambiente    e
dell'ecosistema - cosi' violando l'art.  117,  comma  2,  lettera  s)
della Costituzione -, ma, come si vedra', si pone pure  in  contrasto
con gli obblighi  assunti  dall'Italia  sul  piano  internazionale  e
comunitario - cosi' violando l'art. 117, comma 1, della Carta. 
    Ma per meglio comprendere il senso e la portata delle censure che
si verranno esponendo pare opportuno ricordare che: 
    a) all'interno di ciascun parco o riserva regionale abruzzese e',
in ogni caso, vietata «la caccia, la cattura, il danneggiamento ed in
genere qualunque attivita' che possa costituire pericolo o turbamento
per le specie animali, per le uova e per i piccoli nati» (v. art.  8,
comma 2, della stessa legge regionale Abruzzo n. 38/1996); 
    b) le zone B e C dei parchi naturali regionali individuano  aree,
rispettivamente, «di elevato  valore  naturalistico  e  paesaggistico
(riserva generale)» (zona B) o «di protezione, per  la  conservazione
di ambienti naturali in parte antropizzati»  (zona  C)  (v.  art.  9,
comma 2, legge regionale n. 38/1996); 
    c) le riserve naturali regionali sono  costituite  da  «zone  del
territorio regionale, anche di limitata estensione,  che  presentano,
unitariamente considerate,  particolare  interesse  naturalistico  in
funzione  di  una  speciale  tutela  di  emergenze   geomogeologiche,
floristiche, faunistiche, paleontologiche e archeologiche o di  altri
valori ambientali» (art. 19, comma 1, legge regionale n. 38/1996); in
particolare, le riserve  naturali  guidate  sono  istituite  «per  la
conservazione e la ricostituzione di ambienti naturali nei  quali  e'
consentita  una  razionale  attivita'  agricola,  pascolava  ed   una
selvicoltura con criteri di sfruttamento naturalistici, nonche' forme
di turismo escursionistico» (art.  19,  comma  2,  lettera  b)  legge
regionale n. 38/1996); quelle  controllate  sono  istituite  «per  la
conservazione di ambienti naturali  in  parte  antropizzati,  in  cui
siano consentite le attivita' di  cui  alla  precedente  lettera  b)»
(art. 19, comma 2, lettera c) legge  regionale  n.  38/1996);  quelle
naturali, infine, sono istituite «per  la  salvaguardia  rigorosa  di
singoli ambienti  di  rilevante  interesse  naturalistico,  genetico,
paesaggistico, storico, umano e  geomorfogico»  (art.  19,  comma  2,
lettera d) legge regionale n. 38/1996). 
    Merita infine rammentare che, a mente dell'art. 1 della legge  23
agosto  1993,  n.  349,  recante  norme  in  materia   di   attivita'
cinotecnica, «per attivita' cinotecnica si intende l'attivita'  volta
all'allevamento,  alla  selezione  e  all'addestramento  delle  razze
canine». 
    Tanto premesso, l'art. 4  della  legge,  consentendo,  come  s'e'
detto, lo svolgimento di attivita' cinofile -  e,  quindi,  anche  di
gare  e  manifestazioni  canine  -  e  cinotecniche  per  gran  parte
dell'anno  (8  mesi)  o,  in  via  transitoria,  per  l'intero   anno
all'interno dei parchi e delle riserve  naturali  regionali  su  aree
che, in via transitoria, interessano o, a regime, possono arrivare ad
interessare l'intera superficie delle zone individuate dei parchi (B,
C e D) o l'intera superficie della riserva, pone  in  serio  pericolo
specie animali prioritarie e protette, quali,  ad  esempio,  il  lupo
(che e' ubiquitario), l'orso bruno marsicano  (specie  minacciata  di
estinzione, presente  nelle  principali  aree  protette  regionali  e
oggetto di uno specifico piano d'azione nazionale, il c.d. PATOM)  ed
il camoscio appenninico  (di  recente  reintrodotto  all'interno  del
Parco naturale regionale «Sirente-Velino»). 
    In tal modo, restringendo l'oggetto della tutela  prevista  dalle
norme (nazionali, europee e internazionali) in materia di  protezione
della fauna di seguito indicate, la disposizione censurata viola  nel
contempo sia l'art. 117, comma  2,  lettera  s),  Cost.  -  il  quale
riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la  materia
della «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali»  -
sia l'art. 117, comma 1, Cost. -  il  quale  impone  al  legislatore,
anche regionale, il rispetto dei vincoli  derivanti  dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali. 
    2. In particolare, l'art. 4 legge regionale n. 11/1999  contrasta
con le disposizioni di seguito elencate. 
2.1 - Articoli 2, comma 2, e 12, comma  1,  lettera  b)  e  d)  della
direttiva 92/43/CEE - c.d. HABITAT «relativa alla conservazione degli
habitat naturali e seminaturali, nonche' della flora  e  della  fauna
selvatiche» e art. 8, comma 1, lettera b) del decreto del  Presidente
della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, contenente il  Regolamento
di attuazione della suddetta direttiva 92/43/CEE. 
    L'art. 2, comma 2, della direttiva 92/43/CEE  prevede  l'adozione
da parte degli Stati  membri  di  misure  «intese  ad  assicurare  il
mantenimento  o  il  ripristino,  in  uno  stato   di   conservazione
soddisfacente, degli habitat naturali e delle specie di fauna e flora
selvatiche di interesse comunitario». 
    Il successivo art. 12 stabilisce a sua volta che gli Stati membri
istituiscano un regime di rigorosa tutela delle specie animali di cui
allegato IV lettera a) della direttiva - tra le quali sono  elencate,
tra le altre, le seguenti specie: il lupo (canis lupus), l'orso bruno
marsicano  (ursus  arctos  marsicanus)  e  il  camoscio   appenninico
(rupicapra pyrenaica ornata) -, con il divieto, fra  gli  altri,  di:
«perturbare deliberatamente  tali  specie,  segnatamente  durante  il
periodo  di  riproduzione,  di  allevamento,  di  ibernazione  e   di
migrazione» (comma 1, lettera b); «deterioramento o  distruzione  dei
siti di riproduzione o delle aree di riposo» (comma 1, lettera d). 
    In attuazione di tali disposizioni comunitarie, l'art.  8,  comma
1, lettera b) del decreto del Presidente della Repubblica n. 357/1997
ha introdotto a sua volta l'esplicito divieto di perturbare le specie
animali individuate alla lettera a) dell'allegato D al regolamento  -
specie tra le quali figura il  lupo,  l'orso  bruno  marsicano  e  il
camoscio  appenninico   -   durante   particolari   fasi   biologiche
(segnatamente, ciclo riproduttivo, l'ibernazione, lo svernamento e la
migrazione). 
    In questa  prospettiva  e'  percio'  di  tutta  evidenza  che  la
disposizione  regionale  impugnata,  consentendo  lo  svolgimento  di
attivita' cinofila e  cinotecnica  all'interno  delle  aree  naturali
protette  abruzzesi,  e'  suscettibile,  ex  se,  di  incidere  assai
negativamente sulle fasi  biologiche  di  vita  (sulla  riproduzione,
l'ibernazione, lo svernamento e la migrazione) delle  specie  animali
protette; e si pone  cosi'  in  insanabile  conflitto  con  le  norme
nazionali e sovranazionali sopra indicate - articoli 2,  comma  2,  e
12, comma 1, lettera b) e d) della direttiva 92/43/CEE - c.d. HABITAT
- «relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali,
nonche' della flora e della fauna selvatiche»  e  art.  8,  comma  1,
lettera b) del decreto del Presidente della  Repubblica  8  settembre
1997, n. 357, contenente il Regolamento di attuazione della  suddetta
direttiva 92/43/CEE - violando nel contempo, sotto altro profilo, sia
l'art. 117, comma 2, lettera s), Cost. sia l'art. 117, comma 1, Cost. 
2.2 - Art. 6, commi 2 e 3, della direttiva 92/43/CEE  e  art.  5  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 357/1997. 
    L'art. 6, comma 2, della direttiva 92/43/CEE stabilisce che  «gli
Stati membri adottano le opportune  misure  per  evitare  nelle  zone
speciali di conservazione il degrado degli habitat naturali  e  degli
habitat di specie nonche' la perturbazione delle specie  per  cui  le
zone sono state designate, nella misura  in  cui  tale  perturbazione
potrebbe avere conseguenze  significative  per  quanto  riguarda  gli
obiettivi della presente direttiva». 
    Il successivo comma 3 della medesima disposizione stabilisce  poi
che  «qualsiasi  piano  o  progetto  non  direttamente   connesso   e
necessario alla gestione  del  sito  ma  che  possa  avere  incidenze
significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente  ad  altri
piani  e  progetti,  forma  oggetto  di  una  opportuna   valutazione
dell'incidenza che ha sul sito,  tenendo  conto  degli  obiettivi  di
conservazione  del  medesimo.  Alla  luce  delle  conclusioni   della
valutazione dell'incidenza sul sito e fatto salvo il paragrafo 4,  le
autorita' nazionali competenti danno il loro accordo su tale piano  o
progetto  soltanto  dopo  aver  avuto  la  certezza  che   esso   non
pregiudichera' l'integrita' del sito in causa e, se del caso,  previo
parere dell'opinione pubblica». 
    In attuazione  delle  norme  citate  l'art.  5  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n.  357/1997  introduce  e  disciplina  a
livello  nazionale  il  procedimento  di  valutazione  di   incidenza
ambientale ai quali e' obbligatorio  sottoporre  qualsiasi  piano  od
intervento   suscettibile   di    avere    incidenze    significative
rispettivamente sui proposti siti di importanza comunitaria, sui siti
di importanza comunitaria e sulle zone speciali di conservazione. 
    Ora, poiche' le  attivita'  cinofile  e  cinotecniche  consentite
dalla  norma  regionale  all'esame  potrebbero  essere  svolte  anche
all'interno di aree classificate come siti di importanza  comunitaria
(SIC), le stesse,  siccome  suscettibili  di  incidere  negativamente
sullo stato di conservazione dell'equilibrio ambientale  delle  aree,
dovrebbero comunque essere approvate caso per  caso  e,  soprattutto,
solo a seguito della valutazione d'incidenza prevista dall'art. 5 del
decreto del Presidente della Repubblica n. 357/1997. 
    E non pare fuor di luogo rammentare a tale riguardo che,  secondo
quanto  affermato  dalla  giurisprudenza  di   codesta   Corte,   «la
disciplina della valutazione di incidenza  ambientale  (VINCA)  sulle
aree protette ai sensi di "Natura 2000", contenuta  nell'art.  5  del
regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  357
del 1997, deve ritenersi ricompresa  nella  "tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema", rientrante nella competenza esclusiva statale, e si
impone  a  pieno  titolo,  anche  nei  suoi  decreti  attuativi,  nei
confronti  delle  Regioni  ordinarie»  (cosi'  Corte   costituzionale
sentenze 18 aprile 2008, n. 104 e 17 marzo 2015, n. 38). 
    Pertanto, l'art. 4 della legge regionale  n.  11/2016,  esentando
indebitamente le attivita' cinofile e cinotecniche dalla  valutazione
di incidenza ambientale,  comporta  un  affievolimento  della  tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema e viola cosi' sia l'art.  117,  comma
1, Cost., per contrasto con la disciplina. contenuta nella  direttiva
92/43/CEE sia l'art. 117, comma 2, lettera s) Cost.,  in  riferimento
all'art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357/1997. 
2.3 Art. 6, comma 1, lettera  c)  della  Convenzione  «relativa  alla
conservazione della  vita  selvatica  e  dell'ambiente  _naturale  in
Europa» adottata a Berna il 19 settembre 1979, ratificata ed eseguita
in Italia con legge 5 agosto 1981, n. 503. 
    Per le medesime ragioni indicate in  precedenza  la  disposizione
regionale impugnata si pone altresi' in contrasto con l'art. 6, comma
1, lettera c) della citata Convenzione la  quale  impone  alle  Parti
contraenti di adottare le «necessarie e opportune leggi e regolamenti
onde provvedere a particolare  salvaguardia  delle  specie  di  fauna
selvatica enumerate all'allegato II» - tra le quali figurano,  ancora
una volta, il lupo, l'orso e il camoscio -, vietando espressamente di
«molestare intenzionalmente la fauna selvatica,  specie  nel  periodo
della riproduzione, dell'allevamento e dell'ibernazione, nella misura
in cui tali molestie siano  significative  in  relazione  agli  scopi
della presente Convenzione». 
    Per  questo  profilo,  la  norma  regionale   che   consente   lo
svolgimento di attivita' cinofile e  cinotecniche  all'interno  delle
aree protette abruzzesi, ponendosi in contrasto con vincoli derivanti
dagli obblighi internazionali, viola, ancora una volta,  l'art.  117,
comma 1, Cost. 
2.4 Articoli 10, comma 8, lettera e), 21, comma 1, lettera b)  e  30,
comma 1, lettera d) della legge  11  febbraio  1992,  n.  157,  sulla
disciplina  dell'attivita'  venatoria  e  art.  5,  punto  1,   della
direttiva 30 novembre 2009/147/CE «concernente la conservazione degli
uccelli selvatici» c.d. Uccelli. 
    Com'e' noto, poiche'  lo  svolgimento  di  attivita'  cinofile  e
cinotecniche   comprende   anche   l'attivita'   di   allevamento   e
addestramento dei cani per l'esercizio  dell'attivita'  venatoria  e'
fuor di dubbio che,  sotto  questo  profilo,  quelle  attivita'  sono
direttamente  riconducibili  alla   materia   della   caccia   (sulla
riconducibilita' dell'allevamento e dell'addestramento  dei  cani  da
caccia, in quanto attivita' strumentale all'esercizio venatorio, alla
materia della «caccia» v. Corte cost. 16 luglio 1991, n.  350  e,  da
ultimo, Corte costituzionale 17 luglio 2013, n. 193). 
    Da tale affermazione la sentenza da ultimo citata trae il  logico
corollario che l'attivita' di allevamento e addestramento di cani  da
caccia, rientrando nel concetto di attivita' venatoria, e'  anch'essa
soggetta alla pianificazione faunistico-venatoria prevista  dall'art.
10 della legge n. 157/1992 e alla modalita' e garanzie procedimentali
di cui al successivo art. 18. 
    In questa prospettiva e in questo ambito spetta dunque allo Stato
stabilire standard minimi e uniformi di tutela della fauna selvatica,
con regole che le regioni possono  modificare,  nell'esercizio  della
loro potesta' legislativa in materia di caccia, esclusivamente  nella
direzione dell'innalzamento del livello di tutela (v.,  ex  plurimis,
le sentenze di codesta Corte 12 dicembre 2013, n.  303,  12  dicembre
2012, n. 278, 10 maggio 2012, n. 116 e 26 aprile 2012, n. 106):  come
ribadito dalla consolidata  giurisprudenza  costituzionale  -  v.  le
sentenze 14 novembre 2003, n. 339,  16  luglio  1991,  n.  350  e  28
dicembre 1990, n. 578 - e amministrativa - Consiglio di  Stato,  sez.
VI,  7  luglio  2002,  n.  717;  Tribunale  amministrativo  regionale
Campania, Napoli,  sez.  I,  23  ottobre  2001,  n.  4639;  Tribunale
amministrativo regionale Liguria, sezione  II,  n.  368/2004)  -,  in
questa materia le  regioni  sono  pertanto  tenute  ad  attenersi  ai
divieti previsti dalla normativa quadro statale. 
    Tali norme, alle quali tutte le regioni devono attenersi, sono le
seguenti: 
        a) l'art. 10, comma 8, della legge n. 157/1992  -  contenente
«norme per la protezione della fauna selvatica  omeoterma  e  per  il
prelievo venatorio» - il quale stabilisce, per quanto qui  interessa,
che i piani faunistico-venatori comprendono, tra l'altro, «le zone  e
i periodi per l'addestramento, l'allenamento e le gare di cani  anche
su  fauna  selvatica  naturale  o  con  l'abbattimento  di  fauna  di
allevamento appartenente a specie cacciabili (lett. e); 
        b) il successivo art. 21, comma  1,  il  quale  pone  invece,
sempre per quanto qui interessa, un divieto  assoluto  di  «esercizio
venatorio nei parchi nazionali, nei parchi naturali regionali e nelle
riserve naturali conformemente alla legislazione nazionale in materia
di  parchi  e  riserve  naturali»  (lett.  b),   divieto   penalmente
sanzionato dall'art. 30, comma 1, lettera d) della stessa legge. 
    Il quadro normativo di riferimento  e'  infine  completato  dalla
direttiva 2009/147/CE - concernente la  conservazione  degli  uccelli
selvatici - la quale stabilisce, all'art. 5, punto 1, che  gli  Stati
membri adottino  «le  misure  necessarie  per  instaurare  un  regime
generale di protezione di tutte le specie di uccelli di cui  all'art.
1 - vale a  dire  degli  «uccelli  viventi  naturalmente  allo  stato
selvatico», protezione che e' espressamente  estesa  «alle  uova,  ai
nidi e agli habitat» - e che comprenda in particolare il divieto: 
        «a)  di  ucciderli  o  di  catturarli   deliberatamente   con
qualsiasi metodo; 
        b) di distruggere o di danneggiare deliberatamente i  nidi  e
le uova e di asportare i nidi; 
        c)  di  raccogliere  le  uova  nell'ambiente  naturale  e  di
detenerle anche vuote; 
        d) di disturbarli deliberatamente in particolare  durante  il
periodo di riproduzione e di dipendenza quando cio' abbia conseguenze
significative  in  considerazione  degli  obiettivi  della   presente
direttiva; 
        e) di detenere gli uccelli delle specie di cui  sono  vietate
la caccia e la cattura». 
    Da tutto quanto precede consegue che,  in  assenza  di  specifica
esclusione  dalle  attivita'  cinofile  e   cinotecniche   consentite
dall'art. 4 della legge regionale n. 11/2016  di  quelle  consistenti
nell'allevamento e nell'addestramento di cani da caccia, la  medesima
norma si pone in contrasto: 
        a) con  l'art.  10,  comma  8,  lettera  e)  della  legge  n.
157/1992,  che,  come  s'e'  visto,   assoggetta   a   pianificazione
l'addestramento, l'allenamento e le  gare  di  cani  anche  su  fauna
selvatica naturale; 
        b) con l'art. 21, comma 1, lettera b) -  e,  di  conseguenza,
con l'art. 30, comma 1, lettera d) - della stessa legge statale,  che
vietano e sanzionano l'esercizio venatorio nei parchi nazionali,  nei
parchi naturali regionali e nelle riserve naturali; 
        c) con l'art. 5 della direttiva 2009/147/CE,  che  impone  un
regime  di  protezione  generale  della   fauna   aviaria   selvatica
articolantesi nei divieti ivi elencati; 
    e, di conseguenza, viola sia la riserva di legge statale  di  cui
all'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione sia l'art. 117,
comma 1, della Carta. 
    Non e' del resto necessario disporre di particolari conoscenze  e
competenze   in   materia   etologica   per   comprendere   come   le
manifestazioni cinofile consentite dalla norma  possano  arrecare  un
consistente disturbo agli animali, determinare catture o  distruzione
di nidi e creare altre situazioni  di  danno  e  disagio  alla  fauna
selvatica (nel periodo di nidificazione e dipendenza per gli  uccelli
selvatici, durante il periodo di  iperfagia  e  letargia  per  l'orso
bruno marsicano o lo spostamento nelle aree  di  svernamento  per  il
camoscio appenninico). 
    La presenza di cani liberi di vagare privi  di  guinzaglio  nelle
aree protette, spinge infatti gli animali a spostarsi durante le fasi
del corteggiamento e della cova,  causando  l'abbandono  dei  nidi  e
delle covate, esercitando un impatto negativo sulla sopravvivenza dei
giovani e limitando di conseguenza il successo riproduttivo. 
    I cani, infatti, sono percepiti dalla fauna selvatica come veri e
propri predatori: molte specie  di  uccelli,  inoltre,  nidificano  a
terra e la loro riproduzione puo'  fallire  al  minimo  disturbo  con
l'abbandono del nido; e la presenza dei cani puo' compromettere anche
il letargo dell'orso. 
    La concretezza dei rischi  evidenziati  (particolarmente  elevati
per i galliformi  -  tra  i  quali  si  annoverano  anche  specie  di
specifico interesse  venatorio  come  i  fagiani,  le  coturnici,  le
quaglie, le pernici e i galli cedroni - e per la lepre italica) trova
puntuale riscontro nel parere reso dall'ISPRA  -  Istituto  superiore
per la protezione e la ricerca ambientale - in data  22  agosto  2012
con riferimento alla poi impugnata e annullata - in parte qua - legge
regionale del Veneto 10  agosto  2012,  n.  31:  in  detto  parere  -
richiamato nella gia' citata sentenza di codesta Corte n. 193/2013  -
si legge che «l'allenamento e l'addestramento  dei  cani  da  caccia,
indipendentemente dalla loro eta', durante il periodo riproduttivo di
uccelli e mammiferi selvatici determina un evidente e  indesiderabile
fattore di disturbo, in grado di determinare  in  maniera  diretta  o
indiretta una mortalita' aggiuntiva per  le  popolazioni  faunistiche
interessate». 
    E non e' quindi certo un caso che con  detta  sentenza  -  la  n.
193/2013  -   codesta   Corte   abbia   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale di una norma della Regione Lombardia - l'art. 1, comma
1, lettera b)  della  legge  regionale  31  luglio  2012,  n.  15  -,
addirittura piu' restrittiva di quella  ora  adottata  dalla  Regione
Abruzzo,  perche'  consentiva  l'attivita'  di   allenamento   e   di
addestramento  dei  cani   sull'intero   territorio   regionale   con
esclusione, tuttavia, delle aree protette. 
    La norma  che  si  impugna  -  la  quale  non  ha  precedenti  in
nessun'altra regione italiana - mette dunque a gravissimo rischio  la
conservazione di specie faunistiche  importanti,  tutelate  da  norme
europee e nazionali. 
2.5 Articoli 1, comma 3, lettera a), 11, commi 1, 3 e 4, e  12  della
legge 6 dicembre 1991, n. 394 «legge quadro sulle aree protette». 
    Com'e' noto, tale legge detta, in attuazione  degli  articoli  9,
comma 2, e  32  della  Costituzione  e  nel  rispetto  degli  accordi
internazionali, i  «principi  fondamentali  per  l'istituzione  e  la
gestione delle aree naturali protette, al  fine  di  garantire  e  di
promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione
del patrimonio naturale del paese» (cosi' l'art. 1,  comma  1,  della
legge). 
    Il comma 2 dell'art. 1 della legge quadro chiarisce che «ai  fini
della ... legge costituiscono il patrimonio  naturale  le  formazioni
fisiche, geologiche, geomoocologiche e biologiche, o gruppi di  esse,
che hanno rilevante valore naturalistico e ambientale». 
    Il successivo 3° comma stabilisce poi che «i territori nei  quali
siano presenti i valori di cui al comma  2,  specie  se  vulnerabili,
sono sottoposti ad uno speciale regime di tutela e di gestione,  allo
scopo di perseguire, in particolare, le seguenti finalita': 
        a)  conservazione  di   specie   animali   o   vegetali,   di
associazioni vegetali o forestali,  di  singolarita'  geologiche,  di
formazioni paleontologiche, di comunita' biologiche, di  biotopi,  di
valori scenici e  panoramici,  di  processi  naturali,  di  equilibri
idraulici e idrogeologici, di equilibri ecologici». 
    La tutela dei valori  naturali  ed  ambientali  nonche'  storici,
culturali, antropologici tradizionali e' affidata all'Ente parco  che
tali valori persegue attraverso gli strumenti del piano per il  parco
(art. 12 della legge) e del  regolamento  del  parco  (art.  11)  (in
argomento, cfr. Corte costituzionale sentenze  12  ottobre  2011,  n.
263, 11 febbraio 2011, n. 44 e 25 novembre 2008, n. 387). 
    Il regolamento del parco «disciplina l'esercizio delle  attivita'
consentite entro il tenitorio del parco», anche, se in generale, «nei
parchi sono vietate le attivita' e le opere che possono compromettere
la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati  con
particolare nguardo alla flora e alla fauna protette e ai  rispettivi
habitat. In particolare sono vietati: 
        a) la cattura, l'uccisione, il  danneggiamento,  il  disturbo
delle specie animali; la raccolta e il  danneggiamento  delle  specie
vegetali ...» (art. 11, commi 1  e  3,  lettera  a)  della  legge  n.
394/1991). 
    L'art. 11, comma 4, della  legge  n.  394/1991  precisa  poi  che
eventuali deroghe ai  divieti  di  cui  al  comma  3  possono  essere
stabilite solo dal regolamento del parco e che per quanto riguarda la
lettera a) del medesimo comma 3,  eventuali  prelievi  faunistici  ed
eventuali abbattimenti selettivi, necessari per ricomporre  squilibri
ecologici accertati dall'Ente parco, devono avvenire per iniziativa e
sotto la diretta responsabilita' e sorveglianza  dell'Ente  parco  ed
essere attuati dal personale dell'Ente parco o  da  persone  all'uopo
espressamente autorizzate dall'Ente parco stesso. 
    Tali disposizioni - e, segnatamente, l'art. 11,  comma  3,  della
legge quadro, che indica le attivita' vietate nei parchi -  vincolano
il legislatore regionale il quale non puo' discostarsi da esse  nella
misura in cui  stabiliscono  livelli  minimi  uniformi  su  tutto  il
territorio nazionale di tutela dell'ambiente  e,  come  e  in  quanto
tali, sono espressione della competenza legislativa  esclusiva  dello
Stato in materia di «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» ex  art.
117, comma 2, lettera s), Cost. (sul punto si v., tra  le  tante,  le
sentenze della Corte 26 gennaio 2012, n. 14, 12 ottobre 2011, n. 263,
11 febbraio 2011, n. 44, 18 marzo 2005, n. 108 e 14 luglio  2000,  n.
282). 
    Anche sotto questo profilo, lo svolgimento di attivita'  cinofile
e cinotecniche all'interno  delle  aree  naturali  protette  mette  a
repentaglio i valori naturali ed ambientali la cui tutela e' affidata
all'Ente parco traducendosi in attivita' oggettivamente incompatibili
con la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati,
con particolare riguardo alla  flora  e  alla  fauna  protette  e  ai
rispettivi habitat. 
    Per le suesposte ragioni l'art. 4 della legge  regionale  Abruzzo
n. 11/2016, ponendosi in contrasto  con  gli  articoli  1,  comma  3,
lettera a), 11, commi 1, 3 e 4, e 12 della legge  n.  394/1991  viola
l'art. 117, comma 2, lettera s) Cost. 
 
                               P.Q.M. 
 
     Il Presidente del Consiglio  dei  ministri  chiede  che  codesta
Ecc.ma  Corte  costituzionale  voglia  dichiarare  costituzionalmente
illegittimi,  e  conseguentemente  annullare,  per  i  motivi   sopra
rispettivamente indicati ed illustrati,  gli  articoli  1,  comma  1,
lettere a), b) e c) e 4 della legge della Regione Abruzzo  13  aprile
2016, n.  11,  pubblicata  nel  Bollettino  Ufficiale  della  Regione
Abruzzo n. 59 del 14 aprile 2016, come da delibera del Consiglio  dei
Ministri assunta nella seduta del giorno 31 maggio 2016. 
    Con  l'originale  notificato  del  ricorso  si  depositeranno   i
seguenti atti e documenti: 
        1. attestazione relativa  alla  approvazione,  da  parte  del
Consiglio dei Ministri nella riunione  del  giorno  31  maggio  2016,
della determinazione di impugnare la legge della Regione  Abruzzo  13
aprile 2016, n. 11, secondo i termini e per  le  motivazioni  di  cui
alla allegata relazione del Ministro per gli affari  regionali  e  le
autonomie; 
        2. copia  della  legge  regionale  impugnata  pubblicata  nel
Bollettino Ufficiale della Regione Abruzzo n. 59 del 14 aprile 2016. 
    Con riserva di illustrare e sviluppare in prosieguo i  motivi  di
ricorso anche alla luce delle difese avversarie. 
        Roma, 7 giugno 2016 
 
           Il vice Avvocato generale dello Stato: Mariani