N. 180 ORDINANZA 21 giugno - 15 luglio 2016

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Straniero e apolide - Assegno  sociale  -  Condizioni  -  Titolarita'
  della carta di soggiorno. 
- Legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione  del
  bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge  finanziaria
  2001), art. 80, comma 19. 
-   
(GU n.29 del 20-7-2016 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo
  CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano  AMATO,
  Silvana SCIARRA, Nicolo' ZANON, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  80,  comma
19, della legge  23  dicembre  2000,  n.  388  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge
finanziaria 2001), promosso dal Tribunale ordinario di  Bologna,  nel
procedimento vertente  tra  H.J.J.N.  e  l'Istituto  nazionale  della
previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 13 marzo 2015,  iscritta
al n. 161 del registro ordinanze 2015  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 35,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2015. 
    Visto  l'atto  di  costituzione  dell'INPS,  nonche'  l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  21  giugno  2016  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo; 
    uditi l'avvocato Clementina Pulli per l'INPS e  l'avvocato  dello
Stato Chiarina Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 13 marzo 2015 (r.o.  n.  161  del
2015), il Tribunale ordinario di Bologna, in funzione di giudice  del
lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 10,  primo  comma,  e
117, primo  comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione
all'art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 80,  comma
19, della legge  23  dicembre  2000,  n.  388  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge
finanziaria 2001), «nella parte in cui subordina al  requisito  della
titolarita' della carta di soggiorno CE  per  soggiornanti  di  lungo
periodo, la concessione agli stranieri  legalmente  soggiornanti  nel
territorio  dello  Stato  da  almeno  dieci   anni,   del   beneficio
dell'assegno sociale previsto dall'art. 3, comma 6°, della  legge  n.
335/1995 e successive integrazioni»; 
    che il giudice a quo ha premesso di essere  stato  investito  del
ricorso proposto da un cittadino siriano,  regolarmente  residente  a
Bologna dal 1° agosto 1992, avverso la determinazione amministrativa,
con la quale l'INPS, a norma della disposizione qui denunciata, aveva
respinto la domanda di riconoscimento dell'assegno sociale in  quanto
il richiedente non risultava in possesso del permesso di soggiorno CE
per soggiornanti di lungo periodo; 
    che,  secondo  il  giudice  rimettente,  tale  disposizione,   si
porrebbe in contrasto con l'art. 10, primo comma, Cost., tenuto conto
che,  tra  le   norme   internazionali   generalmente   riconosciute,
«rientrano  quelle  che,  nel   garantire   i   diritti   inviolabili
indipendentemente dalla appartenenza a determinate entita' politiche,
vietano   la   discriminazione   nei   confronti   degli   stranieri,
legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato» e che, quanto
alla non manifesta infondatezza  della  questione,  «[s]ul  punto  la
Corte costituzionale si e' gia' pronunciata  in  situazioni  analoghe
con le sentenze n. 306/2008 e n. 11/2009»; 
    che, inoltre, alla luce di quanto affermato nella sentenza n.  87
del 2010 (recte: n. 187 del 2010), sarebbe violato anche l'art.  117,
primo comma, Cost., in relazione all'art. 14 della CEDU, e all'art. 1
del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a  Parigi
il 20 marzo 1952 e reso esecutivo con legge n. 848  del  1955,  cosi'
come interpretati dalla Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  dal
momento che le prestazioni in esame «sono destinate a  consentire  il
concreto soddisfacimento di bisogni primari inerenti  alla  sfera  di
tutela della persona, ovvero a costituire un diritto fondamentale, in
quanto  garanzia   per   la   stessa   sopravvivenza   del   soggetto
beneficiario»; 
    che, in punto di rilevanza, il giudice a quo ha  evidenziato  che
«il  ricorrente  e'  in  possesso  di  tutti  i  requisiti   per   il
riconoscimento del beneficio  dell'assegno  sociale»  e  «il  rifiuto
della prestazione e'  dipeso  unicamente  dal  mancato  possesso  del
permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo  ai  sensi
dell'art. 80, comma 19° Legge 23 dicembre 2000 n. 388»; 
    che si e' costituito in giudizio  l'INPS,  il  quale  ha  chiesto
dichiararsi manifestamente inammissibile o  infondata  la  questione,
osservando  che  analoghe  questioni  sono  gia'   state   dichiarate
inammissibili con l'ordinanza n. 197 del 2013 e con la sentenza n. 22
del 2015; 
    che, inoltre, secondo l'Istituto resistente,  il  rimettente  non
avrebbe considerato  che  le  sentenze  della  Corte  costituzionale,
richiamate nell'ordinanza come precedenti pertinenti, si riferiscono,
in  realta',  a  provvidenze  economiche  diverse,  non  assimilabili
all'assegno sociale e, quanto all'asserita violazione della normativa
comunitaria, avrebbe trascurato che il regolamento  (CEE)  14  giugno
1971, n. 1408/71 del Consiglio, relativo all'applicazione dei  regimi
di  sicurezza  sociale  ai  lavoratori  subordinati,  ai   lavoratori
autonomi e ai  loro  familiari  che  si  spostano  all'interno  della
Comunita', come interpretato dalla Corte di  giustizia,  esclude  dal
suo campo di applicazione i regimi di assistenza sociale; 
    che e' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  concludendo   per   l'inammissibilita'   o,   comunque,   per
l'infondatezza  della  questione   di   legittimita'   costituzionale
sollevata; 
    che, in punto di rilevanza, l'Avvocatura generale dello Stato  ha
osservato che l'ordinanza, da  un  lato,  non  chiarisce  perche'  il
cittadino straniero, malgrado residente in Italia dal 1992,  non  sia
in possesso della carta di soggiorno e, dall'altro, non  tiene  conto
della disciplina dettata dall'art. 20, comma 10, del decreto-legge 25
giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo  economico,
la  semplificazione,  la  competitivita',  la  stabilizzazione  della
finanza pubblica  e  la  perequazione  tributaria),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 6  agosto  2008,  n.
133, il quale stabilisce che «[a]  decorrere  dal  1°  gennaio  2009,
l'assegno sociale di cui all'articolo  3,  comma  6,  della  legge  8
agosto 1995, n. 335, e' corrisposto agli aventi diritto a  condizione
che abbiano soggiornato legalmente in via  continuativa,  per  almeno
dieci anni nel territorio nazionale»; 
    che, comunque, secondo la difesa statale,  la  questione  sarebbe
infondata  in  quanto  al   legislatore   e'   consentito   prevedere
ragionevoli  restrizioni  nella  corresponsione  di  provvidenze   in
considerazione delle limitate risorse finanziarie; 
    che, trattandosi di  cittadini  di  Paesi  terzi,  la  previsione
denunciata  non   risulterebbe   in   contrasto   con   l'ordinamento
comunitario ne' con le disposizioni della CEDU o con l'art. 10 Cost.; 
    che, infine, il giudice rimettente non avrebbe considerato che il
beneficio in esame e' volto a tutelare interessi «obiettivamente  non
comparabili» a quelli relativi ad altre provvidenze  e  persegue,  al
tempo   stesso,   «la   finalita'   di   scoraggiare    atteggiamenti
opportunistici»; 
    che con memoria depositata il 29 gennaio 2016 l'INPS, ribadite le
conclusioni gia' rassegnate, ha segnalato che la Corte di cassazione,
sezione lavoro, con la sentenza del 30 ottobre  2015,  n.  22261,  ha
reputato ragionevole la disciplina oggetto di censura affermando  che
si tratta di emolumento che prescinde dallo stato di  invalidita'  e,
pertanto, non investe la tutela di  condizioni  minime  di  salute  o
gravi situazioni di urgenza. 
    Considerato che il Tribunale ordinario di Bologna, in funzione di
giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 10, primo
comma, e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in
relazione all'art. 14 della Convenzione europea per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto  1955,  n.  848,  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 80,  comma  19,  della  legge  23  dicembre  2000,  n.  388
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2001), «nella parte in cui  subordina
al requisito della  titolarita'  della  carta  di  soggiorno  CE  per
soggiornanti  di  lungo  periodo,  la  concessione   agli   stranieri
legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato  da  almeno  dieci
anni, del beneficio dell'assegno sociale previsto dall'art. 3,  comma
6°, della legge n. 335/1995 e successive integrazioni»; 
    che il giudice rimettente ha mostrato di  non  essersi  posto  il
problema della eventuale applicabilita', anche solo  per  escluderla,
al caso del ricorrente, della disciplina dettata dall'art. 20,  comma
10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112  (Disposizioni  urgenti
per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita',  la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della  legge  6
agosto 2008, n. 133, il quale stabilisce che «[a]  decorrere  dal  1°
gennaio 2009, l'assegno sociale di cui all'articolo 3, comma 6, della
legge 8 agosto 1995, n. 335, e' corrisposto  agli  aventi  diritto  a
condizione che abbiano soggiornato legalmente  in  via  continuativa,
per almeno dieci anni nel territorio nazionale»; 
    che, come questa Corte ha gia' chiarito,  tale  disciplina  -  le
ragioni della cui eventuale inapplicabilita' nel giudizio  principale
non  risultano  neppure  accennate  -  «appare  comunque   indicativa
dell'orizzonte entro il quale il legislatore ha ritenuto di  disporre
in una materia del tutto singolare come questa dell'assegno  sociale,
dal momento che il nuovo e piu' ampio limite temporale  richiesto  ai
fini della concessione del beneficio risulta  riferito  non  solo  ai
cittadini extracomunitari ma anche a quelli dei Paesi UE e financo  -
stando allo stretto  tenore  letterale  della  norma  -  agli  stessi
cittadini italiani» (ordinanza n. 197 del 2013); 
    che, dunque, non vi sarebbe  violazione  dei  principi  enunciati
dall'art.   14   della   CEDU,   e   dall'art.   1   del   Protocollo
addizionale alla Convenzione stessa,  in  quanto  «da  un  lato,  non
risulterebbe  evocabile  alcun  elemento   di   discriminazione   tra
cittadini extracomunitari, a seconda che risultino o no titolari  del
permesso di soggiorno  UE  per  soggiornanti  di  lungo  periodo,  e,
dall'altro lato, neppure sussisterebbe una disparita' di  trattamento
tra cittadini stranieri e italiani, posto che il requisito  temporale
del  soggiorno  riguarderebbe  tutti  i   potenziali   fruitori   del
beneficio» (ordinanza n. 197 del 2013, citata); 
    che, infine, la previsione di un  limite  di  stabile  permanenza
(per dieci anni) sul territorio nazionale come requisito per ottenere
il riconoscimento del predetto beneficio appare  adottata,  piuttosto
che sulla base di una scelta di  tipo  meramente  "restrittivo",  sul
presupposto, per  tutti  «gli  aventi  diritto»,  di  un  livello  di
radicamento piu' intenso  e  continuo  rispetto  alla  mera  presenza
legale  nel  territorio  dello  Stato  e,  del   resto,   in   esatta
corrispondenza  alla  previsione  del  termine  legale  di  soggiorno
richiesto per il conseguimento della cittadinanza italiana,  a  norma
dell'art. 9, comma 1, lettera f), della legge 5 febbraio 1992, n.  91
(Nuove norme sulla cittadinanza); 
    che, alla luce dei riferiti rilievi, la questione  proposta  deve
essere dichiarata manifestamente inammissibile. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19,  della  legge  23
dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale  e  pluriennale  dello  Stato  -  legge  finanziaria   2001),
sollevata, in riferimento agli artt. 10, primo comma,  e  117,  primo
comma, della Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione  all'art.  14
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali, firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con  legge  4  agosto  1955,  n.  848  ed
all'art.  1  del  Protocollo  addizionale  alla  Convenzione  stessa,
firmato a Parigi il 20 marzo 1952, dal Tribunale ordinario di Bologna
con l'ordinanza in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2016. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                   Alessandro CRISCUOLO, Redattore 
                   Carmelinda MORANO, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2016. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Carmelinda MORANO