N. 163 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 luglio 2016

Ordinanza del 5 luglio 2016 del Tribunale di Torino nel  procedimento
civile promosso da Ciotti Luigi Pio  e  altri  contro Presidente  del
Consiglio dei ministri e Ministro dell'interno. 
 
Elezioni - Disposizioni in  materia  di  elezioni  della  Camera  dei
  deputati (c.d. "Italicum") - Premio di maggioranza  -  Attribuzione
  di 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale,  almeno  il
  40 per cento dei voti validi o, in mancanza, il maggior  numero  di
  voti  validi  al  ballottaggio  -  Ripartizione  proporzionale   ed
  assegnazione dei seggi tra le restanti liste. 
- Legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni  in  materia  di  elezione
  della Camera dei deputati), artt. 1, comma 1, lett. f) e  2,  comma
  25, [sostitutivo dell'] art. 83, in relazione al novellato comma  5
  [, del Decreto del Presidente della Repubblica 30  marzo  1957,  n.
  361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per  la
  elezione della Camera dei deputati)]. 
Elezioni - Disposizioni in  materia  di  elezioni  della  Camera  dei
  deputati (c.d. "Italicum") - Previsione per il deputato  eletto  in
  piu' collegi plurinominali dell'obbligo di dichiarare al Presidente
  della Camera, entro otto giorni dalla  proclamazione,  il  collegio
  plurinominale prescelto e, in caso di mancata  opzione,  previsione
  del sorteggio. 
- Decreto del Presidente della  Repubblica  30  marzo  1957,  n.  361
  (Approvazione del testo unico delle  leggi  recanti  norme  per  la
  elezione della Camera  dei  deputati),  art.  85,  come  modificato
  dall'art.  2,  comma  27,  della  legge  6  maggio  2015,   n.   52
  (Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati). 
(GU n.30 del 27-7-2016 )
 
                    TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO 
                        Prima Sezione Civile 
 
    Nella causa civile iscritta al n. r.g. 27796/2015 promossa da: 
        Ciotti Luigi Pio, codice fiscale CTTPLG45P10G642I, con l'Avv.
Lamacchia Roberto; 
        D'Orsi Angelo, codice fiscale  DRSNGL47A01G834Z,  con  l'Avv.
Lenti Ennio; 
        Novelli Diego, codice fiscale  NVLDGI31E22L219D,  con  l'Avv.
Lenti Ennio; 
        Alfonzi Daniela, codice fiscale LFNDNL57B46L219K, con  l'Avv.
Lenti Ennio; 
        Caputo Antonio, codice fiscale CPTNTN49R12E033R,  con  l'Avv.
Lenti Ennio; 
        Bruzzone  Emanuele,  codice  fiscale  BRZMNL48T10A479X,   con
l'Avv. Lenti Ennio; 
        Naggi    Giovanni    Pietro    Enrico,     codice     fiscale
NGGGNN41D28L219A, con l'Avv. Lenti Ennio; 
        Ortona Guido, codice  fiscale  RTNGDU47C16L750V,  con  l'Avv.
Lenti Ennio; 
        Dogliani Mario, codice fiscale DGLMRA46L06L219F,  con  l'Avv.
Lenti Ennio; 
        Cottino Gastone, codice fiscale CTTGTN25B08L219I, con  l'Avv.
Lenti Ennio; 
        Pallante  Francesco,  codice  fiscale  PLLFNC72E07L219Y,  con
l'Avv. Lenti Ennio; 
        Pepino Livio, codice  fiscale  PPNLVI44T12B720R,  con  l'Avv.
Lenti Ennio; 
        Revelli Marco, codice fiscale  RVLMRC47T03D205J,  con  l'Avv.
Lenti Ennio; 
        Dadone Fabiana, codice fiscale DDNFBN84B52D205Y,  con  l'Avv.
Lenti Ennio; 
        Brunazzi Marco, codice fiscale BRNMRC42A26L219W,  con  l'Avv.
Lenti Ennio; 
        Algostino Alessandra, codice  fiscale  LGSLSN70T69L219Y,  con
l'Avv. Lenti Ennio; 
        Di Giovine  Alfonso,  codice  fiscale  DGVLNS43A15E716G,  con
l'Avv. Lenti Ennio, 
attore 
    contro Presidente del Consiglio dei Ministri  pro-tempore,  C.F.,
con l'Avv.  Avvocatura  dello  Stato  Torino,  Ministro  dell'interno
pro-tempore, C.F., con l'Avv. Avvocatura dello Stato Torino, 
convenuto. 
    Il Giudice dott. Maria Cristina  Contini,  a  scioglimento  della
riserva assunta all'udienza del 23  marzo  2016,  ha  pronunciato  la
seguente ordinanza: 
 
                              In fatto 
 
    I ricorrenti hanno convenuto in giudizio avanti al  Tribunale  di
Torino, nelle forme di cui agli articoli 702-bis  e  ss.  c.p.c.,  il
Presidente del Consiglio  dei  ministri  pro-tempore  e  il  Ministro
dell'interno pro-tempore chiedendo che venga accertato il diritto  di
«votare conformemente alla Costituzione»  lamentando  la  lesione  di
tale diritto ad opera di specifiche norme della legge  elettorale  n.
52 del 6 maggio 2015  (il  c.d.  Italicum)  che  hanno  sostituito  o
modificato il decreto del Presidente della Repubblica n. 361  del  30
marzo 1957 e le residue norme della legge elettorale n. 270/2005  che
aveva modificato il Testo  Unico  per  l'elezione  del  Senato  della
Repubblica, approvato con decreto legislativo n. 533 del 20  dicembre
1993. 
    Hanno precisato di essere tutti cittadini italiani iscritti  alle
liste elettorali e quindi legittimati a far valere  il  diritto  allo
svolgimento di un procedimento elettorale regolare tale  intendendosi
quello che rispetta i  diritti  garantiti  dalla  Costituzione  e  in
particolare il diritto di voto definito dall'art. 48 secondo comma  a
mente del quale «il voto e' personale ed eguale, libero e segreto». 
    In  ordine  alla  possibilita'  di  introdurre  la   domanda   di
accertamento di  cui  sopra  nelle  forme  del  rito  sommario  hanno
specificato che oggetto della  domanda  era  soltanto  l'accertamento
della violazione del loro diritto di votare secondo i  dettami  della
Costituzione qualora si fosse andati al voto con  applicazione  delle
disposizioni sospettate di illegittimita' costituzionale. 
    Non e' stata invece proposta alcuna domanda inerente lo  «status»
di   elettore   di   ciascuno   dei   ricorrenti,   con   conseguente
sussidiarieta' dell'azione cosi' presentata ex art. 50-ter c.p.c., la
cui  decisione  era  attribuita  in  via  generale  al  Tribunale  in
composizione monocratica per la quale era possibile adottare il  rito
sommario. 
    Sempre in via  preliminare  i  ricorrenti  hanno  argomentato  in
ordine alla sussistenza del loro attuale interesse  ad  agire  tenuto
conto del disposto dell'art. 1, comma I lettera  c)  della  legge  n.
52/20l5 che dispone: «la Camera dei deputati  e'  eletta  secondo  le
disposizioni della presente legge a decorrere  dal  1°  luglio  2016»
evidenziando che la legge e' stata promulgata ed e' entrata in vigore
e, inoltre, con la promulgazione del  decreto  legislativo  7  agosto
2015,  n.  122,  la  legge  ha  avuto  parziale  attuazione,  con  la
suddivisione dell'Italia in circoscrizioni e collegi. 
    In forza dell'art.  2,  comma  36  della  legge  n.  52/20l6,  le
disposizioni ritenute lesive del proprio diritto  di  voto  avrebbero
trovato applicazione in occasione delle  «prime  elezioni  successive
alla data di entrata in vigore della presente legge». 
    Dunque i ricorrenti evidenziano che le prossime elezioni  per  il
rinnovo del Parlamento saranno regolate da tali  disposizioni  e  che
sussiste  il  loro  interesse  attuale   a   vederne   accertata   la
contrarieta'  a  Costituzione,  prima  ancora  che  vengano   indette
elezioni dato che la semplice entrata in vigore del  testo  di  legge
contestato comportava di per se' la lesione del diritto di voto. 
    Indicate  specificamente  le  norme  di  legge  e   i   parametri
costituzionali ritenuti violati hanno concluso in via preliminare per
l'accertamento della violazione del  loro  diritto  di  voto,  previa
rimessione delle questioni cosi' sollevate alla Corte costituzionale. 
    La  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  e   il   Ministero
dell'interno si sono costituiti concludendo  per  l'infondatezza  del
ricorso. 
    Hanno eccepito la carenza di  interesse  ad  agire  ex  art.  100
codice di procedura civile in quanto la nuova  legge  elettorale  non
era ancora entrata in vigore, essendo applicabile a decorrere dal  1°
luglio 2016 e non potendosi, pertanto  postulare  che  una  norma  di
legge non entrata in vigore possa ledere un diritto. 
    Nel   merito   hanno   eccepito   che   tutte   le   censure   di
costituzionalita'  erano  manifestamente  infondate,  posto  che,  in
estrema sintesi la nuova legge elettorale per l'elezione della Camera
di deputati: 
    -  Realizza  l'obiettivo  (costituzionalmente  rilevante)   della
governabilita' ed efficienza decisionale  con  riduzione  del  numero
delle formazioni politiche in Parlamento (con la soglia di accesso al
3% e con l'attribuzione di un premio di maggioranza alla sola lista e
non alle coalizioni); 
    - La legge n. 52/2016 e' in stretta correlazione con la  modifica
del bicameralismo perfetto ed ha lo scopo di evitare  il  rischio  di
differenti maggioranze nei due rami del Parlamento. 
    Sentite le parti all'udienza del 23 marzo 2016 il Giudice  si  e'
riservato di provvedere. 
 
                             In diritto 
 
La corretta instaurazione del giudizio nelle forme di cui agli  artt.
702-bis e ss. codice di procedura civile e la  sua  decidibilita'  da
parte del Tribunale  in  composizione  monocratica,  ex  art.  50-ter
c.p.c.. 
    I  ricorrenti  hanno  esposto  chiaramente  di   voler   proporre
un'azione finalizzata all'accertamento della portata del loro diritto
di voto, ritenuta incerta e comunque soggetta a limitazioni  a  causa
delle disposizioni introdotte con la legge n. 52/2016  e  di  volerne
ottenere  la  riespansione  quantomeno  con  la  reviviscenza   delle
disposizioni vigenti a seguito dalla emanazione della sentenza  della
Corte costituzionale n. 1/2014. 
    E' chiaramente esposto nel ricorso introduttivo che i  ricorrenti
intendono proporre la medesima azione di  accertamento  proposta  nel
procedimento nel corso del quale erano state sollevate dalla Corte di
cassazione,  con  ordinanza  17  maggio   2013,   le   questioni   di
legittimita' costituzionale che avevano portato alla  sentenza  della
Corte  costituzionale  n.  1/2014  con  cui  era   stata   dichiarata
l'illegittimita' dell'art. 83, comma 1, n. 5 e comma 2,  del  decreto
del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n.  361  (approvazione
del Testo Unico delle leggi recanti norme per l'elezione della Camera
dei deputati, dell'art. 17, commi 2 e 4 del  decreto  legislativo  20
dicembre 1993, n. 533 (Testo unico  delle  leggi  recanti  norme  per
l'elezione del Senato della Repubblica) e degli articoli 4, comma 2 e
59 del decreto del Presidente della Repubblica  n.  361  del  1957  e
dell'art. 14 comma 1, del decreto legislativo n. 533 del  1993  nella
parte in cui non consentono all'elettore di esprimere una  preferenza
per i candidati. 
    Le norme adottate  dal  legislatore  dopo  tale  declaratoria  di
incostituzionalita', con la legge n.  52/2016  non  vengono  ritenute
lesive,  invece,  dello  status  di  elettore  di  cui  ciascuno  dei
ricorrenti si afferma titolare e che non  ritengono  in  se'  violato
dalle disposizioni contenute nella legge in  questione  che,  invece,
viene ritenuta pregiudizievole del pieno  esercizio  del  diritto  di
voto. 
    Non trattandosi quindi di azione avente ad oggetto l'accertamento
della  esistenza,  inesistenza  o  di  limiti  alle  prerogative  che
discendono dallo status di elettore, essa non ricade nell'ipotesi  di
cui all'art. 50-bis n. 1 codice di procedura civile  che  riserva  al
Collegio la decisione delle cause nelle  quali  sia  obbligatoria  la
partecipazione del P.M.. 
    Non  rientrando  la  presente  controversia,  per  le   questioni
prospettate, in nessuna  delle  altre  ipotesi  di  c.d.  riserva  di
collegialita',  essa  e'  senz'altro  decidibile  dal  Tribunale   in
composizione monocratica,  secondo  la  clausola  generale  contenuta
nell'art. 50-ter codice di  procedura  civile  e,  per  questo,  deve
ritenersi  correttamente  instaurata  nelle  forme  di  cui  all'art.
702-bis c.p.c., come chiaramente previsto dal primo comma della norma
in questione. 
L'interesse ad agire 
    La parte convenuta ha contestato l'interesse ex art.  100  codice
di procedura civile dei ricorrenti, in considerazione del  fatto  che
la  legge  n.  52/2015  non  sarebbe  entrata  in   vigore,   essendo
applicabile a decorrere dal 1° luglio 2016. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    La legge n. 52/2015 e' entrata in vigore, ossia ha assunto  forza
di legge dello Stato,  a  far  data  dal  23  maggio  2015,  data  di
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale Serie generale n.  105  dell'8
maggio 2015. 
    E'  stata  esclusivamente  differita   la   sua   applicabilita',
prevista, per le disposizioni di cui all'art. 2,  a  partire  dal  1°
luglio 2016 (come disposto dall'art. 2 comma 36). 
    Gli attori lamentano quindi l'incertezza, nei termini che si sono
esposti, della reale portata del loro diritto di voto come conformato
da un corpus di norme gia' in vigore e la cui applicabilita', benche'
differita al prossimo mese di luglio, non e' discutibile, trattandosi
di disposizioni  che,  gia'  in  vigore,  regoleranno  certamente  la
prossima competizione elettorale per  il  rinnovo  della  Camera  dei
deputati. 
    Sussiste quindi, ed e' attuale,  l'interesse  dei  ricorrenti  ad
ottenere la pronuncia di accertamento di cui si e' detto prima ancora
che la legge sia applicata, ossia prima ancora che vengano  convocati
i comizi elettorali. 
    Sul punto e' condivisibile l'argomentazione  svolta  dalla  parte
ricorrente secondo cui vi e' interesse a tale accertamento anche e  -
soprattutto - prima della  competizione  elettorale,  in  quanto  una
volta emesso il decreto di convocazione dei comizi elettorali, non vi
sarebbe piu' uno spazio di tutela effettiva per  l'elettore  che  non
potrebbe  ottenere  pronunce  giurisdizionali  che   incidano   sulle
elezioni,  anche  se  svolte  sulla  base  di  norme  poi  dichiarate
incostituzionali (tale e' appunto la situazione che si e'  verificata
nel giudizio che ha portato alla citata sentenza n. 1/2014). 
    La sentenza n. 8878/2014 emessa dalla Corte di cassazione dopo la
sentenza  n.  1/2014  della   Corte   costituzionale   conferma   che
l'eventuale accertamento della  lesione  del  diritto  di  voto  come
conseguenza della ritenuta illegittimita'  costituzionale  di  alcune
norme elettorali non puo' che portare ad un ripristino  futuro  della
pienezza di tale diritto, non potendo tale accertamento  toccare  gli
esiti delle elezioni che si erano tenute sotto la vigenza delle norme
dichiarate  incostituzionali  (si  veda  la  sentenza  n.   8878/2014
prodotta dalla parte ricorrente). 
La rilevanza 
    La   valutazione   della    rilevanza    della    questione    di
costituzionalita' impone al giudice  di  verificare  se  sussista  un
collegamento giuridico tra la norma sospettata di non essere conforme
a Costituzione e la domanda su cui il giudice e' chiamato a decidere. 
    Deve in  sostanza  sussistere  un  rapporto  di  pregiudizialita'
necessaria tra la questione di legittimita' costituzionale  sollevata
in un determinato giudizio e la sua decisione. 
    Occorre quindi  chiedersi  se,  nel  presente  caso,  l'eventuale
accoglimento delle questioni  di  costituzionalita'  prospettate  dai
ricorrenti possa avere effetti nella presente controversia. 
    Ritiene il Giudice che la risposta debba essere affermativa. 
    Come insegna la Corte di  cassazione,  sezione  I,  ordinanza  17
maggio 2013, n.  12060  l'azione  che,  come  quella  promossa  dagli
odierni ricorrenti, e' volta a soddisfare  non  tanto  l'esigenza  di
«sapere ... di non poter  esercitare  (nelle  prossime  elezioni)  il
diritto fondamentale di voto in modo conforme a Costituzione, ma  ...
di rimuovere un pregiudizio che  invero  non  e'  dato  da  una  mera
situazione di incertezza ma  da  una  (gia'  avvenuta)  modificazione
della realta'  giuridica  che  postula  di  essere  rimossa  mediante
un'attivita'  ulteriore,  giuridica  e  materiale,  che  consenta  ai
cittadini elettori di esercitare realmente il diritto di voto in modo
pieno e in sintonia con i valori costituzionali» non e' un'azione  di
mero accertamento, ha ad  oggetto  una  questione  non  astratta  ne'
ipotetica ed essa non si risolve, in se' considerata,  in  «una  mera
richiesta di un parere legale al giudice». 
    E' infatti individuabile una autonomia tra il  dispositivo  della
sentenza costituzionale e quello della sentenza che dovrebbe definire
il giudizio di merito,  posto  che  quest'ultima  dovrebbe  accertare
l'avvenuta lesione del diritto azionato e  dovrebbe,  in  ipotesi  di
accoglimento della questione di costituzionalita', ripristinare  tale
diritto «nella pienezza della sua espansione, seppure per il  tramite
della sentenza costituzionale»  con  l'eliminazione  dall'ordinamento
delle norme ritenute lesive della posizione  giuridica  fatta  valere
dai ricorrenti, di elettori che intendono esercitare il loro  diritto
di voto in conformita' ai precetti costituzionali. 
    Come statuito dalla Corte costituzionale con sentenza n.  59  del
1957 «la circostanza che la dedotta incostituzionalita' di una o piu'
norme legislative costituisca l'unico motivo di  ricorso  innanzi  al
giudice a quo non impedisce di considerare sussistente  il  requisito
della  rilevanza,  ogni  qualvolta  sia  individuabile  nel  giudizio
principale un petitum separato e distinto dalla  questione  (o  dalle
questioni)  di  legittimita'  costituzionale  sul  quale  il  Giudice
rimettente sia chiamato a pronunciarsi». 
    Deve  pertanto  escludersi,  anche  nel  presente  caso,  che  la
proposta questione di costituzionalita' esaurisca in se' ogni aspetto
della controversia di merito, per le ragioni esposte in identico caso
nella citata ordinanza della Corte di  cassazione  ed  essa  pertanto
deve dirsi dotata di quel vincolo di pregiudizialita'  costituzionale
necessaria che la rende rilevante ai sensi e per gli effetti  di  cui
all'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87 a mente del quale  «l'autorita'
giurisdizionale,  qualora  il  giudizio  non  possa  essere  definito
indipendentemente dalla risoluzione della questione  di  legittimita'
costituzionale  ...  emette  ordinanza  con  la  quale  ...   dispone
l'immediata trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale  e
sospende il giudizio in corso». 
La legge n. 52/2015 e la riforma costituzionale:  individuazione  del
corretto parametro di valutazione della  conformita'  a  Costituzione
della legge elettorale 
    E' noto che il Parlamento ha approvato (in prima deliberazione al
Senato nella seduta del 13 ottobre 2015 e dalla Camera  nella  seduta
dell'11 gennaio 2016 e, in seconda deliberazione,  dal  Senato  nella
seduta del 20 gennaio 2016 e dalla Camera nella seduta del 12  aprile
2016) un testo di legge di riforma costituzionale. 
    Il  testo  non  e'  entrato  in  vigore  essendo   sottoposto   a
referendum, ex art. 138 Costituzione, la cui data non e' stata ancora
fissata e che dovrebbe, comunque, tenersi entro l'autunno del 2016. 
    La riforma costituzionale attualmente  in  itinere  prevede,  per
quanto di rilievo nel presente procedimento, il superamento del  c.d.
bicameralismo   perfetto   con   l'adozione   di   un   bicameralismo
«differenziato» che conferma l'articolazione del  Parlamento  in  due
rami, la Camera dei deputati e il Senato, ma che  nel  nuovo  assetto
avranno composizione diversa e funzioni in gran parte non coincidenti
e, in particolare, non parteciperanno piu'  in  modo  paritario  alla
funzione legislativa. 
    E' previsto che  la  Camera  dei  deputati  che  «rappresenta  la
Nazione» sara' titolare del rapporto fiduciario con il Governo, oltre
che della funzione di indirizzo politico e di controllo  dell'operato
del  Governo  e   manterra'   la   titolarita'   della   «produzione»
legislativa. 
    I componenti della Camera saranno eletti con il sistema  previsto
dalla legge n. 52/2015. 
    Il Senato sara' invece, la camera di  rappresentanza  degli  enti
territoriali, con funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri  enti
costitutivi della Repubblica, oltre che con l'Unione europea,  e  non
avra'  piu',  salvo   alcune   specifiche   materie,   una   potesta'
legislativa. 
    E' prevista  l'eliminazione  dell'elezione  di  questa  Camera  a
suffragio  universale  e  diretto:  sara'  infatti  composto  da   95
senatori, rappresentativi delle istituzioni territoriali e 5 senatori
di nomina Presidenziale, i primi saranno eletti in secondo grado  dai
consigli regionali tra i propri membri e, nella  misura  di  uno  per
ciascuno, tra i sindaci dei comuni nei rispettivi territori. 
    Il  disegno  di  riforma  costituzionale  mantiene   il   sistema
bicamerale perfetto in sede di produzione  legislativa  solo  in  via
residuale, per determinate categorie di leggi, previste espressamente
dalla Costituzione. 
    L'evidente strumentalita' della nuova legge  elettorale  rispetto
al previsto, ma non ancora attuato, quadro di riforme istituzionali a
livello costituzionale, dato che appunto si limita a disciplinare  le
regole  per  l'elezione  della  Camera  dei  deputati,   ha   indotto
pressoche' tutti i commentatori, ed anche i ricorrenti,  a  valutarne
la tenuta Costituzionale non solo sulla base del  testo  della  Carta
fondamentale oggi vigente, ma anche e soprattutto in base all'assetto
istituzionale che risultera' dalla (eventuale) entrata in vigore  del
disegno di riforma. 
    Viene infatti evidenziato che in un  sistema  come  quello  sopra
delineato, il legislatore dovrebbe tenere conto, in modo ancora  piu'
attento, del rispetto della sovranita' e rappresentativita'  popolare
espressi attraverso il diritto di voto,  rispetto  alle  esigenze  di
governabilita', essendo ormai la sola Camera dei deputati  ad  essere
rappresentativa della Nazione in quanto l'unica eletta direttamente e
a suffragio universale. 
    Osserva il  Tribunale  che  tali  condivisibili  valutazioni  non
potranno, nel presente procedimento, assumere rilievo quali parametri
di verifica di conformita' alla Costituzione  delle  norme  censurate
dai ricorrenti, in  relazione  al  diritto  di  voto  come  delineato
dall'art.  48  Costituzione,  per  l'evidente  ragione  che  non   e'
possibile,  oggi,  prendere  in   considerazione   un   testo   della
Costituzione non ancora in vigore e la  cui  entrata  in  vigore  e',
inoltre, solo eventuale, dipendendo essa  dall'esito  del  referendum
costituzionale di cui si e' detto. 
    Per tali ragioni non verranno esaminate  ne'  prese  comunque  in
considerazione  le  argomentazioni  svolte  dai  ricorrenti  e  dalla
dottrina che ha dibattuto su questi temi, dell'eventuale  conformita'
a Costituzione della legge n. 52/2015 nelle parti censurate, rispetto
a un testo della Costituzione non attualmente in vigore. 
Le singole censure di  illegittimita'  costituzionale  sollevate  dai
ricorrenti. 
    La parte ricorrente denuncia l'illegittimita'  costituzionale  di
diverse disposizioni della legge elettorale n. 52 del 6  maggio  2015
in relazione a piu' articoli della Carta costituzionale. 
    Dette censure sono  articolate  in  tredici  motivi  che  saranno
esaminati in modo analitico e separato (ad eccezione dei motivi  4  e
12, nonche' 10 e 13, che saranno, invece, esaminati «a  coppie»,  per
ragioni di chiarezza),  incominciando  da  quelli  che  il  Tribunale
ritiene essere manifestamente infondati (n.ri 1, 2, 3, 4,  5,  7,  9,
10, 11, 12 e 13), per trattare infine i motivi 6  e  8,  rispetto  ai
quali  il  dubbio  di  illegittimita'   non   appare   manifestamente
infondato. 
    Con il primo motivo, i  ricorrenti  lamentano  che  la  legge  n.
52/2015 sia stata approvata  con  una  procedura  diversa  da  quella
imposta, per la legge elettorale, dalla Carta costituzionale all'art.
74 comma 4. 
    La censura dei ricorrenti secondo cui l'approvazione della  legge
n. 52/2015, alla Camera, con l'adozione da parte  del  Governo  della
«questione  di  fiducia»  ex  art.   116   Regolamento   parlamentare
violerebbe la procedura di formazione della legge elettorale prevista
dall'art.  72  commi  1  e  4  Costituzione   appare   manifestamente
infondata. 
    I  ricorrenti  muovono  dal  presupposto  che  la  procedura   di
approvazione della legge con «riserva di  assemblea»  prevista  dalla
norma costituzionale citata sia, nella sostanza, incompatibile con la
procedura   prevista   dall'art.   116    Regolamento    parlamentare
nell'ipotesi (non regolata direttamente, ne'  espressamente  prevista
dalla Costituzione) che il Governo ponga «la  questione  di  fiducia»
sulla procedura di approvazione di una legge sottoposta all'esame del
Parlamento quando questa legge, per la materia  che  e'  destinata  a
regolare, sia una «legge elettorale», intendendosi  per  tale  quella
che, come la legge n. 52/2015, detta le regole per la  configurazione
del sistema elettorale,  ossia  individua  le  «formule  dei  sistemi
elettorali» (cit. Sentenza Corte costituzionale 1/2014) attraverso le
quali si stabilisce  in  via  generale  in  che  modo  «ciascun  voto
contribuisce ...  alla  formazione  degli  organi  elettivi»  (stessa
sentenza). 
    Tale asserita incompatibilita'  non  appare  sussistere,  per  le
ragioni che seguono. 
    L'art. 72 prevede, al primo comma che: «ogni  disegno  di  legge,
presentato a una Camera e, secondo  le  norme  del  suo  regolamento,
esaminato da una commissione  e  poi  dalla  Camera  stessa,  che  lo
approva articolo per articolo e con votazione finale»; al terzo comma
prevede che: «puo' altresi' stabilire in quali casi e forme l'esame e
l'approvazione dei disegni di legge sono deferiti a commissioni anche
permanenti, composte in  modo  da  rispecchiare  la  proporzione  dei
gruppi parlamentari. Anche in tali casi, fino al  momento  della  sua
approvazione definitiva, il disegno di legge e' rimesso  alla  Camera
se il governo o un decimo dei componenti della  Camera  o  un  quinto
della Commissione richiedono che sia discusso o votato  dalla  Camera
stessa oppure che sia sottoposto alla  sua  approvazione  finale  con
sole dichiarazioni di voto ....». 
    Il quarto comma prevede che: «la procedura normale di esame e  di
approvazione diretta da parte della Camera e' sempre adottata  per  i
disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale ...». 
    Ritengono i ricorrenti che per la legge  elettorale  non  possano
essere  adottate  procedure  diverse  da  quella  definita  «normale»
dall'art. 72 Costituzione che prevede l'esame diretto  del  testo  da
parte  della  Camera,  con  approvazione  articolo  per  articolo   e
votazione finale. 
    La procedura speciale prevista dall'art.  116  Regolamento  della
Camera, in quando si discosterebbe da tale  paradigma,  non  potrebbe
essere applicata per la formazione della legge elettorale, non avendo
il Governo, in questo caso, la corrispondente prerogativa. 
    E' noto che per gli articoli 1, 2 e 4 della legge n.  52/2015  il
Governo ha effettivamente  posto  la  «questione  di  fiducia»  cosi'
adottando,  alla  Camera,  la  procedura  prevista  dal   Regolamento
parlamentare art. 116 comma IV che prevede, quanto alla procedura per
il «mantenimento di  un  articolo»,  che  la  votazione  avvenga  sul
singolo  articolo  «dopo  che  tutti  gli  emendamenti   sono   stati
illustrati» e che, in caso di approvazione «gli emendamenti stessi si
intendono respinti». 
    Secondo  la  medesima  disposizione,  quando  venga   posta   «la
questione di fiducia» la votazione avviene per appello nominale,  con
facolta'  per  un  solo  deputato  per  ciascun  gruppo  di   rendere
dichiarazioni di voto. 
    L'art. 116 Regolamento della Camera non indica, al quarto  comma,
la legge elettorale tra le materie per le quali  viene  espressamente
esclusa la possibilita' di adottare la descritta  procedura  di  voto
(ossia per le quali il  Governo  non  puo'  porre  la  «questione  di
fiducia»). 
    L'art. 49 dello stesso Regolamento  prevede,  invece,  che  sulle
leggi elettorali (cosi' come su altri «argomenti») la votazione debba
avvenire a scrutinio segreto ma solo  se  ne  venga  fatta  esplicita
richiesta. 
    L'art. 24 comma 12 stesso Regolamento prevede inoltre che  quando
un progetto di legge debba essere  votato  a  scrutinio  segreto  non
possa essere oggetto di contingentamento  dei  tempi  (salvo  diversa
unanime delibera della Conferenza dei capigruppo). 
    Le norme regolamentari citate devono essere lette  congiuntamente
e, dal loro combinato disposto, si ricava,  per  quanto  concerne  il
voto di approvazione alla Camera di  una  legge  elettorale,  che  il
Governo puo' porre la questione di fiducia, e quindi  ricorrere  alla
speciale procedura di voto indicata dall'art. 116 del Regolamento per
la quale, tuttavia, puo' essere richiesta (ma deve  appunto  esserlo)
la votazione a scrutinio segreto, invece che  per  appello  nominale,
con conseguente divieto, in tal caso, di contingentamento  dei  tempi
di discussione. 
    Questa procedura non si discosta, in termini  sostanziali,  dalla
c.d.  procedura  «normale»  prevista  dall'art.  72  commi  1   e   4
Costituzione. 
    Infatti la  procedura  c.d.  «normale»  di  cui  al  primo  comma
prescrive che la votazione  avvenga  «articolo  per  articolo  e  con
votazione finale» ed  essa  consiste  in  una  riserva  all'assemblea
dell'esame diretto e della approvazione del testo  di  legge  la  cui
ratio e' quella di assicurare che su certi argomenti vi sia  ampia  e
piena partecipazione alla formazione della legge anche da parte delle
minoranze. 
    Tale riserva di assemblea, nella sostanza, viene assicurata anche
dalla procedura di cui al citato art. 116 comma  IV  del  Regolamento
parlamentare in quanto esso  prevede  che  si  proceda,  come  e'  in
effetti avvenuto, all'esame del singolo articolo e degli emendamenti,
con votazione sul singolo articolo (con  decadenza  automatica  degli
emendamenti solo in caso di voto favorevole all'articolo). 
    Con il secondo motivo la parte ricorrente censura gli articoli 1,
comma 1 lettera f) nella parte in cui prevede  che  «sono  attribuiti
comunque 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale,  almeno
il 40% dei  voti  validi»·e  2  comma  25  capoverso  «art.  83»  con
particolare riferimento ai commi: 1 numeri  5  e  6,  2,  3  e  4  in
relazione agli articoli 1 comma secondo e 61 Costituzione. 
    Le norme prevedono, molto  in  sintesi,  che  vengono  attribuiti
«comunque 340 seggi» (il c.d. premio di maggioranza) alla  lista  che
ottiene, su base nazionale, almeno il 40% dei voti validi. 
    Ne  viene  censurata  l'irrazionalita'  in  quanto  nulla   viene
disposto per regolare l'ipotesi in cui due liste  raggiungano,  nella
stessa tornata elettorale,  «almeno  il  40%  dei  voti  validi»  con
conseguente diritto, per ciascuna di esse, di vedersi  attribuire  il
premio di  maggioranza,  cosa  pero'  non  possibile,  non  potendosi
attribuire  un  numero  di  seggi  superiore  a  quello   massimo   e
immodificabile previsto dalla Costituzione. 
    La parte ricorrente sostiene che in tale ipotesi la questione non
potrebbe essere risolta in via interpretativa senza violare  comunque
le stesse disposizioni di legge in quanto: 
        - Sarebbe assurdo e irrazionale  interpretare  la  norma  non
attribuendo a nessuna delle due liste la vittoria e, quindi il premio
di maggioranza; 
        - Sarebbe arbitrario attribuire il premio di maggioranza alla
lista che risultasse vincente anche per un solo voto (in quanto nulla
prevede la legge); 
        - Sarebbe arbitrario e non  conforme  alla  legge  indire  il
turno di ballottaggio in presenza di due liste che hanno superato  lo
sbarramento del 40% (essendo invece il ballottaggio previsto solo  in
caso di mancato raggiungimento di questa soglia). 
    La questione, come posta, e' manifestamente infondata. 
    Si deve anzitutto osservare che la parte ricorrente muove  da  un
presupposto non condivisibile  e  non  conforme  ai  generali  canoni
interpretativi di una disposizione normativa. 
    Infatti viene censurato, per irrazionalita',  l'art.  1  comma  1
lettera f) nella sola parte  in  cui  prevede:  «la  presente  legge,
mediante le necessarie  modificazioni  al  testo  unico  delle  leggi
recanti norme per l'elezione della Camera dei  deputati  e  le  altre
disposizioni in diretta correlazione con  le  medesime  modificazioni
stabilisce: ... sono attribuiti comunque 340  seggi  alla  lista  che
ottiene, su base nazionale almeno il 40% dei voti validi ...». 
    In realta' la norma prosegue prevedendo che: «o, in  mancanza,  a
quella che prevale in un turno di ballottaggio  tra  le  due  con  il
maggior numero di voti, esclusa ogni forma di collegamento tra  liste
o di apparentamento tra i due turni di votazione». 
    L'interprete  deve  quindi  farsi  carico,  prima  di  tutto,  di
verificare se il testo normativo possa essere interpretato in modo da
ricavare la norma che regola il caso apparentemente non  disciplinato
e solo ove cio'  non  risultasse  possibile  potrebbe  effettivamente
essere sospettata di non conformita' a Costituzione secondo il canone
della razionalita' (argomento ex articoli  1363  codice  civile  1367
codice civile anche con una  finalita'  conservativa,  come  previsto
dall'art. 1369 c.c., oltre che in base al generale dovere del Giudice
di individuare, tra le varie opzioni possibili, l'interpretazione che
risulti conforme alla Costituzione). 
    L'art. 1 lettera f) legge n. 52/2015, letta  per  intero,  indica
che  la  soglia  di  «almeno»  il  40%   e'   quella   che   consente
l'attribuzione del premio di maggioranza, in presenza della quale  e'
escluso il ricorso al turno di ballottaggio. 
    Tuttavia  la  medesima  disposizione  contiene  un  criterio   di
indubbio carattere generale, che e'  quello  della  prevalenza  della
lista che ha ottenuto il maggior numero di voti. 
    Tale criterio e' menzionato  espressamente  per  identificare  il
vincitore del premio di maggioranza al turno di ballottaggio ma  esso
e' certamente utilizzabile, proprio  per  la  sua  valenza  generale,
nell'ipotesi prevista dai ricorrenti, ossia del superamento da  parte
di due liste dello sbarramento del 40%. 
    In tal  caso  la  norma  non  potrebbe  che  essere  interpretata
ritenendo che debba essere considerata  vincitrice,  con  diritto  di
accedere al premio di maggioranza, quella tra le due liste che  abbia
ottenuto, rispetto all'altra, il maggior numero di voti. 
    Non  si  vede,  per  contro,  quale  sia  l'ostacolo   a   questa
interpretazione, pure presa in considerazione dalla parte ricorrente,
che del tutto apoditticamente, afferma che si tratterebbe di  ipotesi
«non  prevista»  (quella,  teorica,  di  prevalenza  di   una   lista
sull'altra, anche per un solo voto). 
    La ratio della disposizione e' infatti quella  di  attribuire  il
premio di maggioranza (a fini di  stabilita'  e  di  «governabilita'»
alla lista  o  gruppo  di  liste  collegate  (l'apparentamento  e  il
collegamento tra liste e' infatti espressamente vietato per  il  solo
turno di ballottaggio) che abbia ottenuto piu' voti. 
    E' allora corretto e conforme alla Costituzione  interpretare  la
disposizione, leggendola nella sua  totalita',  nel  senso  che  essa
prevede che in caso in cui due liste raggiungano la soglia del 40% al
primo turno, il premio di maggioranza debba  essere  attribuito  alla
lista che, cosi' come previsto per il turno di ballottaggio,  ottenga
un numero di voti superiore rispetto all'altra. 
    Si deve del resto osservare che la  verifica  del  raggiungimento
della  soglia  del  40%  viene  effettuata  sulla  base  della  cifra
elettorale nazionale raggiunta da ciascuna lista (v. art. 2 comma  25
(contenente la riformulazione dell'art.  83  del  decreto  Presidente
della Repubblica n. 361/l957), dato che viene ottenuto  dalla  «somma
delle cifre  elettorali  circoscrizionali  conseguite  nelle  singole
circoscrizioni dalle liste aventi il medesimo  contrassegno»,  ma  e'
ben possibile che si tratti di liste che, in termini assoluti,  hanno
ricevuto  un  differente  numero  di   voti   (espressi   e   validi,
evidentemente). 
    Con il terzo motivo si censurano gli articoli: 1 comma 1  lettera
f, 2 comma 25 capoverso «art.  83»  numeri  5  e  6,  commi  2  e  5;
capoverso «art. 83-bis» commi 1, numeri 1, 2 e 3 e 4 della  legge  n.
52/215 in relazione agli articoli  1,  3,  48,  49,  51  e  67  della
Costituzione. 
    I ricorrenti prendono in considerazione la possibilita'  che,  in
presenza di una forte  dispersione  del  voto  verso  liste  che  non
raggiungano la soglia del 3%, si verifichi  il  caso  che  una  lista
ottenga 340 seggi al primo turno, ma che non raggiunga la percentuale
del 40%. 
    Si sostiene che, in questo caso, non si  potrebbe  attribuire  il
premio di maggioranza (per difetto del presupposto del raggiungimento
di una soglia di almeno il 40%) e ne' si potrebbe applicare la  norma
di «salvaguardia» prevista dall'art. 83 comma 1, n. 7)  che  consente
di mantenere ferma l'attribuzione dei 340 seggi conquistati al  primo
turno  costringendo  tale  lista,  oggettivamente  maggioritaria,  al
ballottaggio. 
    Si produrrebbe allora l'effetto - irragionevole e contraddittorio
rispetto ai fini dichiarati dal  legislatore  -  di  costringere  una
lista che  ha  gia'  la  maggioranza  dei  seggi  a  confrontarsi  al
ballottaggio con la seconda lista per numero di voti. 
    L'irragionevolezza  e  la   contraddittorieta'   denunciate   dai
ricorrenti, inoltre, sarebbero ancor piu' evidenti qualora, all'esito
del suddetto ballottaggio, risultasse vincente la lista che al  primo
turno aveva preso meno voti dell'altra. 
    Anche  questo  motivo  appare  manifestamente  infondato  essendo
basato su una interpretazione non conforme al dettato normativa. 
    L'art. 83, comma 1 numeri 3, 4, 5, 6 e 7  prevede  che  l'ufficio
centrale  nazionale,  dopo  avere  determinato  la  cifra  elettorale
nazionale di ciascuna lista, procede al  riparto  dei  seggi  tra  le
liste che abbiano conseguito sul piano nazionale  almeno  il  3%  dei
voti validi espressi  e  le  liste  rappresentative  delle  minoranze
linguistiche, ottenendo cosi' il «quoziente elettorale nazionale». 
    Con  la  divisione  della  cifra  elettorale  nazionale  per   il
quoziente ottenendo cosi' il numero di seggi da attribuire a ciascuna
lista. 
    Effettuata tale operazione, verifica se  la  lista  con  maggiore
cifra elettorale abbia raggiunto il  40%  dei  voti  validi  espressi
(ipotesi prevista dal n. 5) e verifica se tale lista  abbia  ottenuto
almeno 340 seggi e, qualora una lista abbia ottenuto 340 seggi «resta
ferma l'attribuzione dei seggi» effettuata in base al n. 4. 
    La norma indica quindi che, nel caso in cui una  lista  al  primo
turno non abbia raggiunto il 40% dei voti, calcolato ai sensi del  n.
2  del  nuovo  testo  dell'art.  83  decreto  del  Presidente   della
Repubblica n. 361/1957 (che e' il  comma  25  dell'art.  2  legge  n.
52/2015) ma abbia conseguito «almeno  340  seggi»  (avendo  cosi'  la
maggioranza) dei seggi alla Camera, tale attribuzione viene mantenuta
ferma (in base appunto al n. 7 dell'art. 83), il  che  significa  che
essa non viene messa  in  discussione  per  il  fatto  di  non  avere
raggiunto anche la soglia del 40% dei voti validi. 
    Questo significa, non apparendo altrimenti la disposizione citata
avere un significato, che in tale ipotesi la lista  o  coalizione  di
liste che abbia ottenuto tale risultato, non e' costretta  ad  andare
al ballottaggio. 
    In sostanza le norme in esame, lette nel loro  insieme,  indicano
che il premio di maggioranza debba essere attribuito alla  lista  che
raggiunga il 40%  dei  voti  validi  espressi  (ovvero,  in  caso  di
parita', a quella che abbia ottenuto il 40% e il numero di voti  piu'
alto in termini assoluti) ma  che  non  abbia  anche  conseguito  340
seggi. 
    Se pero' una lista, pur al di  sotto  della  soglia  del  40%  ha
ottenuto comunque 340 seggi, non vi sara' necessita' di  costringerla
al ballottaggio in quanto il risultato che il legislatore  ha  inteso
conseguire con il premio di maggioranza, al primo o al secondo turno,
e' stato gia'  raggiunto  in  via  diretta  da  una  delle  liste  in
competizione. 
    Vanno quindi disattese le censure  proposte  dai  ricorrenti  che
muovono dal presupposto che si ritiene errato e non  sostenibile  con
una adeguata interpretazione delle norme, secondo cui il mantenimento
della attribuzione dei 340 seggi ottenuto direttamente da  una  lista
sarebbe soggetto all'ulteriore  requisito  del  raggiungimento  anche
della soglia del 40% dovendosi, in tal caso andare necessariamente al
ballottaggio per attribuire il premio di maggioranza. 
    Si ritiene, per tutte  le  ragioni  che  si  sono  in  precedenza
esposte,  che  l'interpretazione  offerta  dalla  parte   ricorrente,
estremamente   formalistica,   condurrebbe   ad   una    applicazione
irrazionale delle citate disposizioni, che finirebbe per disattendere
il risultato dei voti espressi e  favorirebbe  l'applicazione  di  un
meccanismo correttivo in vista della governabilita', quale e' appunto
l'attribuzione del premio di maggioranza, in un caso in cui  di  tale
correttivo non vi e' necessita'. 
    Con   il   quarto   motivo   viene   censurata   l'illegittimita'
costituzionale degli articoli 1 e 2 legge n. 52/2015  per  violazione
dell'art. 138 della Costituzione. 
    Con  il  dodicesimo  motivo  viene   censurata   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 2 comma 8 legge n. 52/2015 e degli  articoli
14 e 14-bis decreto del Presidente della Repubblica n.  361/1957  per
violazione dell'art. 92 Costituzione. 
    I due motivi vengono accorpati. 
    Con il quarto motivo i ricorrenti espongono  le  ragioni  per  le
quali,  in  generale,  si  debba  ritenere  incompatibile  l'impianto
complessivo della legge elettorale in esame «con la forma di  governo
parlamentare vigente in Italia a norma  di  Costituzione»  dato  che,
secondo le nuove disposizioni elettorali il Presidente del  Consiglio
dei ministri verrebbe «eletto» - da un punto  di  vista  sostanziale,
non formale,  in  via  diretta  contestualmente  al  Parlamento,  con
conseguente  svuotamento  delle  prerogative  del  Presidente   della
Repubblica in materia. 
    Affermano infatti che: «con un premio di  maggioranza  attribuito
ad una sola lista vincente, con indicazione sulla scheda del Capo  di
quella  stessa  lista  e  seguito  di  un  ballottaggio,   le   dette
prerogative del Presidente della Repubblica risultano sostanzialmente
annichilite. Si e' di fronte, nei fatti a una quasi elezione  diretta
del  Presidente  del  Consiglio   dei   ministri,   circostanza   che
necessariamente produce un  mutamento  della  forma  di  governo,  da
parlamentare    ad    un    premierato    assoluto    tendenzialmente
presidenzialistico, ma senza i contrappesi  della  forma  di  governo
presidenziale classica (USA)», con conseguente surrettizio  mutamento
della forma di governo, aggirando la procedura prevista dall'art. 138
Costituzione. 
    Con il dodicesimo motivo si sottolinea  che  l'indicazione  della
«persona  da  loro  indicata  come  capo   della   forza   politica»,
specialmente in caso di ricorso al turno di ballottaggio comporta, in
sostanza, un mutamento della  forma  di  governo  da  parlamentare  a
presidenziale in quanto il ·programma elettorale» di cui al  comma  1
dell'art. 14-bis decreto del Presidente della Repubblica n.  361/1957
non e' altro se non il programma del  partito  che  quella  lista  (o
coalizione di liste) esprime. 
    Pertanto in caso di attribuzione del  premio  di  maggioranza  in
sede di ballottaggio (al quale non  possono  accedere  coalizioni  di
liste, ma solo le due liste risultate vincitrici al primo  turno)  la
pretesa di affermare, come fa il primo comma del nuovo  art.  14-bis,
che «restano ferme  le  prerogative  spettanti  al  Presidente  della
Repubblica previste dall'art. 92 secondo  comma  della  Costituzione»
sarebbe  una   vacua   formalita',   essendo   stato,   in   realta',
completamente svuotata tale prerogativa, non potendo  far  altro,  il
Capo dello Stato, se non prendere atto del risultato del primo  turno
ovvero del ballottaggio. 
    Osserva il Tribunale, prima di esaminare nel merito  la  censura,
che i motivi come configurati appaiono di dubbia rilevanza. 
    Infatti le questioni cosi' sollevate, a  differenza  delle  altre
(per le quali valgono le generali considerazioni sulla rilevanza  che
si sono svolte in precedenza) non attengono  al  modo  in  cui  viene
esercitato  il  voto  rispetto   al   parametro   costituzionale   di
uguaglianza  e  liberta'  posto  dall'art.  48  secondo  comma  della
Costituzione, riguardando invece  l'asserita  restrizione,  o  meglio
eliminazione, di una prerogativa  attribuita  dalla  Costituzione  al
Presidente della Repubblica che  secondo  il  disegno  costituzionale
vigente - viene esercitata solo dopo che il corpo  elettorale  si  e'
espresso: L'art. 92  comma  II  prevede  che:  «il  Presidente  della
Repubblica nomina il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  e,  su
proposta di questo, i Ministri». 
    Non  si  comprende  come  l'eventuale  violazione  del   disposto
dell'art. 92 Costituzione, anche  letto  in  relazione  all'art.  138
Costituzione, possa, nella presente  controversia,  tradursi  in  una
restrizione del diritto di voto che e' la posizione soggettiva che  i
ricorrenti assumono essere stata lesa dalle norme in esame e rispetto
alla quale viene chiesta tutela avanti a questo Tribunale. 
    Al contrario, ne viene prospettato un eccessivo ampliamento,  la'
dove, secondo i ricorrenti, viene attribuito al corpo  elettorale  il
potere di nomina diretta del Presidente del Consiglio dei ministri. 
    A prescindere da ogni valutazione in ordine alle conseguenze  che
una simile disposizione possa avere sulla  «forma  di  governo»,  non
appare  apprezzabile  la  violazione,  da  parte  delle  disposizioni
censurate, delle prerogative  assicurate  all'elettore  dall'art.  48
Costituzione. 
    Ma anche ritenendo che rientri nella definizione di voto «uguale»
e «libero» il diritto  dell'elettore  di  esprimere  un  voto  i  cui
effetti siano prevedibilmente limitati alla scelta dei rappresentanti
della Camera, senza che ad esso e  al  suo  esito  siano  collegabili
effetti diretti sul potere di nomina attribuito al  Presidente  della
Repubblica, le censure svolte dai ricorrenti appaiono  manifestamente
infondate. 
    Si osserva, inoltre, che benche'  con  il  dodicesimo  motivo  si
censuri  espressamente  la  non  conformita'  a  Costituzione   anche
dell'art. 14 decreto del Presidente della Repubblica n. 361/1957,  di
esso e del suo contenuto non viene fatta menzione nei ritenuti motivi
di illegittimita' Costituzionale, interamente dedicati al primo comma
dell'art.  14-bis  del  medesimo   decreto   del   Presidente   della
Repubblica, introdotto con la legge n. 52/2015. 
    La norma in questione,  inoltre,  inserita  nel  Titolo  III  del
decreto del Presidente della  Repubblica  dedicato  al  «procedimento
elettorale preparatorio» regola le modalita' di deposito,  presso  il
Ministero dell'interno, dello statuto e dei  simboli  che  i  partiti
politici o i gruppi politici  organizzati  intendono  presentare  nei
collegi. 
    Tale disposizione non contiene norme  che  incidano  di  per  se'
sulla determinazione del voto in uscita rispetto al voto in entrata e
non  pare  pertanto  neppure  idonea  a  ledere,  per   gli   aspetti
prospettati dai ricorrenti, il loro diritto di voto nel senso di  cui
si e' detto in precedenza. 
    Il suo inserimento  nel  dodicesimo  motivo  deve  allora  essere
ricondotto a un mero errore materiale. 
    In ogni caso di essa non si terra' conto nell'analisi dei  motivi
quarto e dodicesimo, in quanto neppure i  ricorrenti  si  dolgono  in
modo specifico del suo contenuto. 
    La censura  cade,  invece,  sull'art.  1  lettera  f  (premio  di
maggioranza) letto in combinazione con l'art. 2 nella  parte  in  cui
modifica l'art. 14-bis primo comma nella parte in  cui  prevede  che,
contestualmente al contrassegno, i partiti o i gruppi organizzati che
si candidano a governare devono depositare  il  programma  elettorale
nel quale «dichiarano  il  nome  e  cognome  della  persona  da  loro
indicata come capo della forza  politica»  con  la  precisazione  che
«restano  ferme  le  prerogative  spettanti   al   Presidente   della
Repubblica previste dall'art. 92 secondo comma, della Costituzione». 
    Ricordano i ricorrenti che questa norma deve  essere  considerata
insieme alle disposizioni che attribuiscono il premio di  maggioranza
(al primo turno o al ballottaggio) in forza delle quali all'esito del
voto c'e' necessariamente una lista  vincitrice,  anche  qualora  non
abbia ottenuto la maggioranza dei voti potendo, anzi, attribuirsi  la
vittoria sulla  base  di  percentuali  di  consenso  anche  di  molto
inferiori al 40%. 
    In questo caso, per effetto della preventiva indicazione del capo
della  forza  politica  che  tale  lista  incarna,  vi  sarebbe   una
automatica «designazione» del Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Cio' comporterebbe  una  sostanziale  privazione  del  potere  di
nomina attribuito al Capo dello Stato dall'art.  92  con  conseguente
surrettizio mutamento della  forma  di  governo,  senza  tuttavia  il
rispetto  della  procedura  di  revisione   di   cui   all'art.   138
Costituzione. 
    Tale   rilievo,   ad   avviso   dei   ricorrenti,   dimostrerebbe
ulteriormente l'avvenuta violazione dell'art. 72 commi primo e quarto
Costituzione, in sede di approvazione  della  legge  n.  52/2015  per
mancato rispetto delle procedure normali di  formazione  della  legge
elettorale  laddove  contiene   in   se'   la   modifica   di   norme
costituzionali. 
    Si deve obiettare che non vi sono effettivi margini per  dubitare
della violazione delle prerogative del  Capo  dello  Stato  ad  opera
delle norme sopra citate, lette in combinazione tra  loro,  non  solo
per  l'espressa  salvaguardia  di  esse  che  si  ricava  dall'inciso
«restano ferme ... » (che pare addirittura  ultronea,  dato  che  non
potrebbe  una  norma  di  rango   inferiore   modificare   la   norma
costituzionale che viene riconfermata). 
    Infatti, oltre a quanto gia' evidenziato sul medesimo tema  dalla
Corte costituzionale nella sentenza n. 23/2011, non vi e' nelle norme
sospettate  di  illegittimita'  costituzionale  alcuna   disposizione
testuale dalla quale  si  possa  far  discendere  l'esistenza  di  un
vincolo derivante dall'indicazione del capo  della  «forza  politica»
alla quale si riferisce o si ispira la  lista  che  viene  depositata
(art. 14-bis primo comma) e che poi risulti vincitrice e il potere di
nomina del Presidente del Consiglio da parte del Capo dello Stato. 
    Si deve inoltre considerare che  la  prerogativa  del  Presidente
della Repubblica di cui  si  discute  e',  sulla  base  dello  stesso
attuale disegno costituzionale, intrinsecamente connessa al risultato
della competizione elettorale posto che, ferma restando l'assenza  di
vincoli  formali  nella  scelta  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, la nomina  cosi'  effettuata  costituisce  un  atto  di  un
procedimento complesso, dato che il Presidente  del  Consiglio  cosi'
nominato potra' insediarsi, con il Governo,  solo  dopo  e  se  avra'
ottenuto la fiducia delle due Camere (art. 94 Cost.). 
    Questo significa che il potere di  nomina  non  puo'  che  essere
esercitato tenendo conto necessariamente  del  risultato  elettorale,
dovendo il nominato confrontarsi con il  gradimento  del  Parlamento,
indubbiamente influenzato dalla  sua  composizione,  quale  risultata
dall'indicazione del corpo elettorale. 
    Sulla base delle  norme  censurate,  che  in  nulla  mutano  tale
disegno (quanto alla necessita' della fiducia del Parlamento  e  alla
necessita' che il Presidente del Consiglio venga scelto tenendo conto
della concreta possibilita' di ottenere tale fiducia dal Parlamento),
l'unico dato certo da esse ricavabile e che la  lista  vincitrice  ha
gia' indicato colui o colei che - verosimilmente  -  in  quanto  capo
della corrispondente forza politica, verra' indicato  al  Capo  dello
Stato come futuro Presidente del Consiglio in sede di consultazioni. 
    Non vi e', nelle norme in esame, alcun automatismo  che  imponga,
invece, al Presidente della Repubblica di  nominare  alla  Presidenza
del Consiglio proprio la  persona  indicata  come  capo  della  forza
politica della lista vincitrice. 
    Anche in caso di vittoria al primo o al secondo turno di una sola
lista, il Capo dello Stato, in sede di nomina ex  art.  92  II  comma
Costituzione potra' e dovra'  tenere  conto  di  tutte  le  variabili
pertinenti quali, ad esempio, le eventuali cause  di  ineleggibilita'
sopravvenute o  l'esistenza  di  gravi  ragioni  di  opportunita'  in
presenza delle quali il Presidente  della  Repubblica  ben  potrebbe,
senza incorrere in alcuna violazione della legge elettorale, chiedere
alla forza politica vincente l'indicazione di un nome  alternativo  o
lui stesso individuare un'altra soluzione. 
    Per tutte queste ragioni i motivi quarto  e  dodicesimo  appaiono
irrilevanti ovvero manifestamente infondati. 
    Con il quinto motivo si censurano gli articoli: 
        1 lettera f), 2 commi 1 e 25 capoverso  «art.  83»  legge  n.
52/2015 (ossia il nuovo testo dell'art.  83  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 361/1957) in relazione agli  articoli  1,  3,  48
comma II, 51, 56 comma I e 122, 2 Costituzione. 
    I  ricorrenti,  in  sintesi,  denunciano  la  non  conformita'  a
Costituzione di tali disposizioni nella parte  in  cui  prevedono  di
attribuire il c.d. premio di maggioranza (attribuzione di 340  seggi)
alla lista che abbia ottenuto, su base nazionale, almeno il  40%  dei
voti validi e al contempo stabiliscono una soglia di  accesso  minima
del 3% di voti validi per accedere alla distribuzione dei seggi. 
    La  combinazione   di   tali   meccanismi   produrrebbe   effetti
irragionevolmente distorsivi dell'uguaglianza del voto, in quanto  si
finirebbe con l'attribuire irrazionalmente il premio di maggioranza e
verrebbero lesi anche i principi di rappresentanza democratica  e  di
divieto di mandato imperativo. 
    Sarebbe,  infatti,  sproporzionato  attribuire   il   premio   di
maggioranza, pari a oltre il 14% dei voti validi, a una lista che non
ha ottenuto la maggioranza dei consensi senza  neppure  tenere  conto
del fatto  che  la  lista  premiata  abbia  conquistato  seggi  nella
circoscrizione estero fino al numero di 12. 
    A  sostegno  della  tesi  della  assoluta  irrazionalita'   delle
disposizioni in esame i ricorrenti richiamano quanto  statuito  dalla
Corte  costituzionale  nella  sentenza  n.  1/2014  che,  quanto   al
parametro che anche il legislatore deve rispettare, ha ricordato  che
l'obiettivo, certamente di rilievo costituzionale, che e'  quello  di
garantire, con le norme  che  disegnano  il  sistema  elettorale,  la
stabilita'  di  Governo  e  l'efficienza  dei  processi   decisionali
nell'ambito parlamentare,  non  e'  tale  da  giustificare  qualsiasi
sacrificio di  altri  interessi  e  valori  che  pure  hanno  rilievo
costituzionale. 
    In quella occasione la  Corte  aveva  ritenuto  che  la  funzione
rappresentativa dell'assemblea parlamentare, cosi' come l'uguaglianza
del diritto di voto, pur potendo subire delle limitazioni in vista di
quel  valore,  dovrebbero  essere  sacrificati  nella  misura  minima
possibile,  per  non  incorrere  in  una  profonda  e   inammissibile
alterazione tra il voto espresso e la rappresentazione che di esso si
da nella composizione assembleare. 
    Ritiene il Tribunale che il motivo sia manifestamente  infondato,
tenuto conto del tenore delle disposizioni  censurate  e  anche  alla
luce  dei  principi  dettati  dalla  citata  sentenza   della   Corte
costituzionale. 
    Le norme in esame in fatti stabiliscono, a differenza  di  quelle
dichiarate illegittime dalla sentenza in questione, che il premio  di
maggioranza non sia  svincolato  dal  raggiungimento  di  una  soglia
minima di consenso elettorale. 
    Tale soglia, come osservato da coloro che hanno  preso  parte  al
dibattito dottrinario seguito alla approvazione della legge, non e' -
in  termini  assoluti  -   cosi'   bassa   da   essere   ragionevole,
rappresentando il 40% dei consensi che la lista (o la  coalizione  di
liste) al primo turno deve conquistare con  il  raggiungimento  della
cifra nazionale piu' alta che si calcola sulla base dei  voti  validi
espressi. 
    La dottrina che si e' specificamente occupata di  verificare,  in
concreto, se le norme della legge n.  52/2015  che  attribuiscono  il
premio di maggioranza alla lista che abbia ottenuto il 40%  dei  voti
validi espressi, presenti i medesimi sintomi  di  irrazionalita'  che
avevano caratterizzato le disposizioni previgenti ha  escluso,  conti
alla mano, che si possa ipotizzare una eccessiva distorsione  tra  il
voto  espresso  e  la  sua  rappresentazione  in  termini  di   seggi
attribuiti, in virtu' del premio di maggioranza, ad una lista che non
ha ottenuto la maggioranza dei voti validi espressi dagli elettori. 
    Si deve  infatti  muovere  dall'insegnamento  della  sentenza  n.
1/2014 a mente  della  quale:  «.....  l'Assemblea  Costituente  "pur
manifestando, con l'approvazione di un ordine del giorno,  il  favore
per il sistema proporzionale nell'elezione dei  membri  della  Camera
dei  deputati,  non  intese  irrigidire  questa  materia  sul   piano
normativo,  costituzionalizzando  una  scelta  proporzionalistica   o
disponendo  formalmente  in  ordine   ai   sistemi   elettorali,   la
configurazione dei quali resta affidata  alla  legge  ordinaria"  ...
pertanto la determinazione delle formule  e  dei  sistemi  elettorali
costituisce un ambito nel quale si esprime con un massimo di evidenza
la  politicita'   della   scelta   legislativa   ...   il   principio
costituzionale di eguaglianza del  voto  ...  esige  che  l'esercizio
dell'elettorato attivo avvenga in condizione di  parita',  in  quanto
"ciascun voto contribuisce potenzialmente e con pari  efficacia  alla
formazione degli organi elettivi· ...  ma  "non  si  estende  ...  al
risultato concreto della manifestazione di volonta' dell'elettore ...
che dipende esclusivamente dal sistema che il legislatore  ordinario,
non avendo la Costituzione disposto al riguardo, ha adottato  per  le
elezioni politiche  e  amministrative,  in  relazione  alle  mutevoli
esigenze che si ricollegano alle consultazioni elettorali. Non  c'e',
in altri termini, un modello  di  sistema  elettorale  imposto  dalla
Carta   costituzionale   in   quanto   quest'ultima    lascia    alla
discrezionalita' del legislatore la scelta del  sistema  che  ritenga
piu' idoneo ed efficace in considerazione del  contesto  storico.  Il
sistema elettorale, tuttavia, pur costituendo espressione  dell'ampia
discrezionalita' legislativa non  e'  esente  da  controllo,  essendo
sempre censurabile in sede di giudizio  di  costituzionalita'  quando
risulti manifestamente irragionevole». 
    In  questa  logica,  anche  un  sistema  maggioritario,  in   se'
considerato, e' conforme alla Costituzione purche' il legislatore non
superi il parametro della ragionevolezza, adottando disposizioni  che
evitino una eccessiva sovra rappresentazione della lista  alla  quale
viene attribuito il  premio  di  maggioranza,  cosa  che  produrrebbe
un'eccessiva distorsione tra voti espressi e attribuzione dei  seggi,
il  che  comporterebbe  un'effettiva   lesione   del   principio   di
uguaglianza del voto. 
    L'adozione  di  norme  che   prevedono,   a   certe   condizioni,
l'attribuzione  di  un  premio  di   maggioranza,   pur   comportando
inevitabilmente una sovra rappresentazione  di  una  lista  (che  non
aveva la maggioranza,  ma  la  ottiene  grazie  al  «premio»)  e  una
corrispettiva limitazione del principio di uguaglianza del voto,  non
possono di per se' essere ritenute incostituzionali se si  mantengono
all'interno di un criterio di ragionevolezza che  la  Corte  verifica
sulla base del c.d. «test di proporzionalita'». 
    Questo test verifica se la norma censurata, come configurata  dal
legislatore e secondo le modalita'  di  applicazione  stabilite  ·sia
necessaria e idonea  al  conseguimento  di  obiettivi  legittimamente
perseguiti, in quanto, tra misure piu' appropriate, prescriva  quella
meno restrittiva dei diritti  a  confronto  e  stabilisca  oneri  non
sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi». 
    Come  indicato  dalla  dottrina  che  tale  specifico   tema   ha
affrontato, si puo' allora senz'altro muovere da una  definizione  di
voto «uguale» (ossia conforme a una  Costituzione  che  contempla  il
modello elettorale maggioritario) per  cui  e'  tale  quel  voto  che
contribuisce in modo «uguale» alla formazione degli organi elettivi. 
    Risponde a tale definizione il voto unico in entrata. 
    Non vi sono dubbi sul fatto  che  le  norme  di  cui  si  discute
prevedano  voti  «unici»  in  entrata  (non   essendo   prevista   la
possibilita' di voti multipli: un voto che vale  piu'  di  1,  ovvero
voti plurimi: aventi diritto al voto che lo possono  esercitare  piu'
di una volta nella stessa tornata). 
    E' voto «uguale», secondo questa definizione,  anche  quello  che
«in uscita» non abbia un identico peso sul risultato  concreto  della
votazione, dovendosi diversamente ipotizzare che la Costituzione  che
lo prevede non contempli un sistema elettorale maggioritario, ma solo
sistemi privi di qualunque correttivo di questo voto anche in uscita,
il che non e' nel nostro sistema, come appunto chiarito  dalla  Corte
costituzionale. 
    Il limite costituzionale e' dato, in questo caso, dalla  adozione
di sistemi che limitano ragionevolmente tale inevitabile  distorsione
(insita in ogni sistema maggioritario che preveda  l'attribuzione  di
un premio di maggioranza) e, sempre  sulla  scorta  dei  principi  di
ragionevolezza  ricavabili  dalla  citata   decisione   della   Corte
costituzionale,  si  puo'  senz'altro  assumere  come  parametro   di
valutazione dell'entita' della distorsione il peso che in  uscita  ha
il voto unico in entrata. 
    Si puo' sicuramente dire di essere in presenza di  una  eccessiva
distorsione di rappresentativita' del voto, quando il voto  unico  in
entrata, espresso dagli elettori a favore della coalizione  vincente,
destinata a ricevere il premio di  maggioranza,  finisca  per  valere
piu' del doppio rispetto ai voti espressi  dagli  elettori  a  favore
delle altre liste o coalizioni di liste, destinate ad essere  escluse
dal premio di maggioranza. 
    I costituzionalisti che hanno commentato la  sentenza  n.  1/2014
hanno, infatti, condivisibilmente evidenziato che la Corte, quando ha
affermato che gli effetti  del  premio  di  maggioranza  non  possono
distorcere eccessivamente l'esito del voto, ha  evidentemente  voluto
dire che la vittoria conseguita con il premio  di  maggioranza  deve,
per essere razionale e non eccessivamente  distorsiva  dei  risultati
del voto, dipendere piu' dal numero di voti ottenuti che  dal  premio
di maggioranza il cui peso, in sostanza, non puo' essere maggiore del
peso del consenso che quella lista (o  coalizione  di  liste)  si  e'
conquistato attraverso le urne. 
    Traducendo in formule questo  principio,  e'  necessario  che  il
sistema elettorale sia tale da mantenere un rapporto quantitativo tra
il valore del voto individuale in entrata espresso a favore di chi si
vede attribuito il premio di maggioranza e quello espresso  a  favore
di chi da tale premio resta escluso in misura sempre inferiore a 2. 
    In sostanza l'attribuzione del premio  di  maggioranza  non  puo'
comportare che il  voto  unico  dato  dall'elettore  alla  coalizione
vincente valga o «pesi» piu' di due voti. 
    L'art.  1  lettera  f)  legge  n.  52/2015  prevede  che  vengano
attribuiti 340 seggi (ossia il 55% del totale di 618  seggi,  cui  si
devono aggiungere i 12 seggi riservati  alla  Circoscrizione  estero)
alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno  il  40%  dei  voti
validi, con attribuzione in via automatica di un  premio  del  15%  a
fronte del conseguimento del 40% dei voti validi di lista. 
    Questo significa che  la  percentuale  di  distorsione  del  voto
espresso a favore della lista vincitrice e' pari a 1,375, dato che il
55% dei seggi viene attribuito a chi ha ottenuto il 40% dei voti. 
    Invece  il  voto  «perdente»  ha   un   coefficiente   di   sotto
rappresentazione pari allo 0,75, dato che il restante 45%  dei  seggi
viene distribuito a chi si e' aggiudicato il restante  60%  dei  voti
validi. 
    Il voto unico in entrata a  favore  della  lista  vincitrice  per
effetto  del  premio  di  maggioranza  viene   effettivamente   sovra
rappresentato, come lamentano i ricorrenti, ma non in  modo  tale  da
vanificare un effettivo  rapporto  di  rappresentativita'  tra  seggi
conseguiti in base ai voti espressi e quelli conseguiti  per  effetto
del premio di maggioranza. 
    Si ritiene pertanto che il test di ragionevolezza previsto  dalla
Corte nella sentenza n. 1/2104 sia positivamente superato dalle norme
censurate che, per  tutte  le  ragioni  esposte,  non  possono  dirsi
distorcere in modo eccessivo,  in  «uscita»  l'uguaglianza  del  voto
unico e uguale espresso in «entrata». 
    Con il settimo motivo i ricorrenti censurano gli articoli: 
        1 lettera b) per le parole « ... salvo i capilista nel limite
di 10 collegi» c) per le  parole  «.....  dapprima  i  capilista  nei
collegi, quindi ...»; 2 comma 26 capoverso «art. 84» comma 1  per  le
parole «... a partire dal candidato capolista ...» e comma 2  per  le
parole «... a partire dal candidata capolista» della legge n. 52/2015
nonche' dell'art. 59-bis commi da 1 a 3 decreto del Presidente  della
Repubblica n. 361/2015 come novellato dall'art. 2 comma 21  legge  n.
52/2015. 
    In relazione agli articoli: 2, 48 II comma, 51 primo comma  e  67
Costituzione. 
    Le  disposizioni  citate  vengono   ritenute   non   conformi   a
Costituzione in quanto consentono solo  a  determinate  categorie  di
candidati, scelti dai partiti senza alcuna forma di controllo esterno
o  di  trasparenza  del  relativo  procedimento,  di  essere   eletti
prescindendo completamente dall'esistenza di una indicazione di  voto
in loro favore da parte degli elettori. 
    Si tratta dei candidati ai quali la forza politica  che  presenta
una lista alle elezioni della  Camera  attribuisce  la  posizione  di
«capo lista», consentendo  all'elettore  di  esprimere  «sino  a  due
preferenze per candidati di sesso diverso tra  quelli  che  non  sono
capilista». 
    Le stesse disposizioni consentono inoltre, in via eccezionale, ai
soli  candidati  che  siano  anche   «capi   lista»   di   candidarsi
simultaneamente in piu' collegi, fino al limite massimo di 10. 
    Il nuovo testo dell'art. 59-bis del decreto del Presidente  della
Repubblica n. 361/57 ai commi da 1 a 3 stabilisce: 
        al comma 1 che il voto  espresso  a  favore  del  capo  lista
(cioe' con il segno di voto tracciato sul  nominativo  del  candidato
capo lista) senza tracciare un segno sul  contrassegno  della  lista,
valga come voto a favore della lista, al comma 2  che  se  l'elettore
traccia un segno su una linea posta a destra del  contrassegno  senza
tracciare un segno sul contrassegno della lista medesima  si  intende
che abbia votato per la lista stessa; 
        al comma 3 che se  l'elettore  esprime  uno  o  due  voti  di
preferenza, senza tracciare un segno  sul  contrassegno  della  lista
medesima, si intende che abbia votato anche per la lista medesima. 
    I capi lista, inoltre, per effetto delle  disposizioni  contenute
nell'art. 2 comma 26 (ossia il nuovo testo dell'art. 84  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 361/1957)  si  vedono  attribuire  per
primi (in precedenza cioe' sugli altri candidati della  stessa  lista
ma in posizione successiva alla prima) i seggi che la lista  da  loro
capeggiata si e' conquistata,  conteggiati  secondo  quanto  previsto
dall'art. 83-bis stesso decreto. 
    Sostengono i ricorrenti che queste disposizioni, esattamente come
aveva fatto la legge n. 270/2005,  privano  di  liberta'  l'elettore,
dato che  il  descritto  meccanismo  dei  c.d.  «capilista  bloccati»
consentirebbe ai partiti  di  scegliere,  prescindendo  completamente
dalla  volonta'  espressa  dall'elettore,  circa   300   deputati   e
richiamano sul punto le motivazioni con cui la Corte  costituzionale,
con  la  sentenza  n.  1/2014   aveva   dichiarato   illegittime   le
disposizioni della precedente legge elettorale che  non  consentivano
agli elettori di esprimere preferenze e che inoltre imponeva loro  la
scelta di un elenco bloccato di candidati e che  pertanto  alteravano
per l'intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza
tra elettori ed eletti. 
    Il motivo e' manifestamente infondato. 
    Prima di esaminarlo si deve rilevare che non e' chiara la ragione
di sospetta illegittimita' costituzionale  dell'art.  59-bis  decreto
del Presidente della Repubblica n. 361/57 II comma, dato che la norma
in esso contenuta si limita a contenere indicazioni volte  a  rendere
inequivoco che  il  voto  espresso  con  una  certa  modalita'  (voto
espresso con un segno tracciato «su una  linea  posta  a  destra  del
contrassegno, senza tracciare un segno sul contrassegno  della  lista
medesima») deve intendersi come voto validamente espresso  in  favore
della lista. 
    Tale disposizione  non  regola  in  via  diretta  e  speciale  lo
«statuto»  dei  capi  lista,  questione  che,  invece,  i  ricorrenti
sostengono sia stata regolata dal legislatore in modo lesivo del loro
diritto di voto uguale e libero. 
    Di tale disposizione non si terra' pertanto conto nell'esame  del
motivo. 
    Nel  merito  si  deve,  anzitutto,  escludere  che  il  principio
affermato con la citata sentenza n. 1/2014  possa  essere  trasposto,
tal quale, alle disposizioni della legge n. 52/2015  in  quanto  esse
hanno sostanzialmente modificato  il  sistema  delle  liste  previsto
dalla legge previgente. 
    Nel  sistema  precedente  non  era  possibile  esprimere  nessuna
preferenza e l'elettore era costretto a  votare  in  blocco  per  una
lista relativamente lunga di candidati,  sicche'  per  effetto  delle
candidature multiple (previste anche dalla legge precedente) e  della
possibilita' per l'eletto in piu' di un collegio di optare «per altre
circoscrizioni sulla  base  delle  indicazioni  di  partito»,  veniva
alterata in modo serio la stessa possibilita' di  ipotizzare  che  si
costituisse realmente un rapporto di rappresentanza tra  elettori  ed
eletti. 
    Diversa e', obiettivamente, la condizione di voto delineata,  per
questi profili, dalla  legge  n.  52/2015  in  quanto  l'art.  14-bis
lettera c) prevede che «ogni  lista,  all'atto  della  presentazione,
composta da un candidato capolista  e  da  un  elenco  di  candidati,
presentati secondo un ordine numerico. La  lista  e'  formata  da  un
numero di candidati pari almeno  alla  meta'  del  numero  dei  seggi
assegnati al collegio plurinominale e non  superiore  al  numero  dei
seggi assegnati al collegio  plurinominale...»  il  che  comporta  la
possibilita'  di  presentare   liste   relativamente   «corte»,   con
specifiche ulteriori disposizioni volte a salvaguardare la parita' di
genere nell'accesso alle cariche elettive. 
    Come previsto, inoltre, dall'art. 2 comma  21  legge  n.  52/2015
(testo dell'art. 59-bis decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
361/1957) l'elettore puo' esprimere fino  a  due  preferenze,  mentre
l'eventuale preferenza espressa per il  capolista,  senza  segno  sul
contrassegno della lista, vale come voto a favore della lista stessa. 
    Il complesso delle disposizioni censurate  non  esclude  pertanto
l'esistenza di un effettivo rapporto di rappresentanza  tra  elettori
ed eletti, proprio in quanto e' previsto, a  differenza  della  legge
precedente, che si possano esprimere fino a due preferenze. 
    Queste preferenze non sono in assoluto vanificate dal  meccanismo
dei c.d. «capilista bloccati» che permette la loro elezione per primi
rispetto ai candidati che li seguono in lista dato  che  in  caso  di
candidature plurime, il capolista  dovra'  poi  optare  per  un  solo
collegio, cosi' dando luogo alla elezione del candidato non capolista
negli altri collegi (la norma che regola tale meccanismo  di  opzione
sara' esaminata a parte, in quanto oggetto di un autonomo  motivo  di
censura). 
    Non e' chiaro in che modo i ricorrenti siano giunti a determinare
il numero di 300 candidati che con il  descritto  sistema  i  partiti
riuscirebbero, secondo quanto prospettato, a «imporre» agli  elettori
a prescindere dalla loro volonta'. 
    L'effetto distorsivo lamentato dai  ricorrenti  da  un  punto  di
vista numerico,  non  e'  pertanto  evidente,  risultando  oscuro  il
criterio con cui e' stato determinato. 
    La dottrina che si e' occupata di  verificare  l'impatto  che  il
meccanismo dei capilista bloccati  potra'  avere  sulla  composizione
della Camera eletta con le disposizioni in esame, ha evidenziato  che
le  norme  citate  saranno  destinate  a  condizionare   maggiormente
l'accesso alla carica  di  deputato  per  i  candidati  espressi  dai
partiti minori dato che, evidentemente,  maggiore  e'  il  numero  di
seggi che una lista si e'  aggiudicata  e  minore  e'  il  numero  di
capilista eletti, specie  se  quella  lista  avra'  utilizzato  nella
massima estensione la possibilita' delle candidature multiple, mentre
e' certamente inversa la situazione dei candidati espressi  da  liste
di minoranza, dato che minore sara' il numero di  seggi  disponibile,
con una prevedibile maggiore concentrazione di capilista eletti. 
    Si deve inoltre osservare che la facolta' accordata  ai  partiti,
di consentire, con il sistema delle candidature bloccate,  l'elezione
di alcuni candidati,  come  sottolineato  dalla  dottrina,  non  puo'
essere considerata del tutto  priva  di  giustificazione,  in  quanto
consente non  solo,  come  prospettato  dai  ricorrenti,  di  operare
candidature «calate dall'alto» attraverso procedimenti  di  selezione
non trasparenti e comunque non prestabiliti dalla legge, ma anche  di
consentire, in  questo  modo,  l'accesso  alle  cariche  pubbliche  a
soggetti che, pur potendo dare il  loro  importante  contributo  alla
vita parlamentare, potrebbero non essere, per la  loro  estrazione  e
formazione, particolarmente adatti a contendersi i voti  in  campagna
elettorale (ad esempio come si potrebbe  ipotizzare  in  presenza  di
candidature espresse dal mondo  del  mondo  accademico  o  dell'arte,
prive pero' di esperienza politica militante). 
    Inoltre queste candidature sono pur sempre, attraverso il voto di
lista, sottoposte alla scelta degli elettori. 
    E' insita una certa, ma non irragionevole, distorsione  del  voto
in un sistema che, come  quello  in  esame,  contempli  una  speciale
categoria di candidati (i capilista) che possono essere eletti grazie
al solo voto di lista, e le  cui  possibilita'  di  elezione  vengono
rafforzate con  la  possibilita'  di  estendere  territorialmente  la
candidatura. 
    Per tali ragioni le censure di non conformita' alla  Costituzione
prospettate dai ricorrenti con riferimento alle disposizioni in esame
devono dirsi manifestamente infondate. 
    I ricorrenti concludono evidenziando inoltre  che:  «i  candidati
capilista e  gli  altri  non  concorrono  alle  cariche  elettive  in
condizione  di  uguaglianza,  con  lesione  dell'art.  51   comma   1
Costituzione». 
    Appare evidente pero'  che  sotto  questo  profilo  la  questione
prospettata e' priva di rilevanza in quanto, come piu'  volte  si  e'
ricordato, essi lamentano la restrizione del  loro  diritto  di  voto
attivo, non gia' delle  eventuali  restrizioni  che  derivano,  dalle
disposizioni  censurate,  all'esercizio  del  diritto  di  elettorato
passivo, tutelato appunto dall'art. 51 comma 1 Costituzione. 
    Con   il   nono   motivo   viene    censurata    l'illegittimita'
costituzionale degli articoli 2 comma 25 legge n. 25/2015, 83 comma 3
decreto del Presidente della Repubblica n.  361/1957  per  violazione
dell'art. 56 comma II Costituzione, articoli 2 commi 29, 30, 31 e  32
legge n. 52/2015 in relazione agli articoli 3, 48 e  51  Costituzione
oltre che dell'art. 1 comma 1 lettera f) legge n. 52/2015 nella parte
in cui non prevede l'esclusione dalla partecipazione al voto al turno
di ballottaggio gli elettori della Regione Valle d'Aosta  e  Trentino
Alto-Adige in relazione all'art. 3 Costituzione. 
    Tale disposizione non e' menzionata dai ricorrenti, ma si  evince
dal contenuto del nono motivo, il cui contenuto si  articola  in  tre
distinte questioni, espresse per la verita' in modo assai sintetico. 
    Anzitutto, secondo i ricorrenti, il procedimento di  ripartizione
dei seggi disciplinato  dalle  sopra  indicate  disposizioni  sarebbe
congegnato in modo tale da condurre, in  concreto,  a  una  possibile
attribuzione di un numero di seggi superiore al numero totale fissato
dalla Costituzione (630). 
    Questo potrebbe infatti verificarsi, secondo quanto  prospettato,
nel caso in cui, per i nove collegi uninominali attribuiti  a  VDA  e
TAA (rispettivamente 1 +  8)  siano  proclamati  vincitori  candidati
espressione di liste risultate minoritarie su base nazionale. 
    Il motivo, come articolato, e' manifestamente infondato. 
    L'argomentazione dei ricorrenti, infatti,  non  tiene  conto  del
dato insuperabile costituito dal  numero  massimo  di  630  deputati,
compresi i  12  della  Circoscrizione  estero  indicato  nella  norma
costituzionale che si assume violata e del fatto che, per questo,  il
dato numerico in questione costituisce il canone ermeneutico che  non
puo' non guidare l'analisi delle disposizioni della legge n. 52/2015. 
    Nelle norme sospettate di illegittimita' costituzionale non vi e'
un espresso riferimento al numero di seggi che a seguito dei conteggi
debba  essere  attribuito  alle  liste  che  partecipano  alla   loro
distribuzione. 
    Questo comporta che, come evidenziato dalla dottrina  che  si  e'
occupata di questo aspetto della nuova  legge  elettorale,  le  norme
dettate in ordine al modo in cui si deve operare il  conteggio  della
quota dei seggi  da  ripartire  tra  le  liste  minoritarie  su  base
nazionale, debbano necessariamente essere interpretate in conformita'
al ricordato precetto Costituzionale e quindi, nel  caso  prospettato
dai ricorrenti,  che  i  seggi  attribuiti  a  tali  liste  siano  da
computare in riduzione ulteriore della quota di  seggi  da  ripartire
tra le liste minoritarie nazionali,  al  fine  di  evitare  di  dover
proclamare eletti ulteriori deputati (eletti nei  collegi  di  VDA  e
TAA) fino a superare il limite di 630 deputati. 
    La seconda parte del  motivo  censura  l'asserita  irrazionalita'
delle  previsioni  dettate  per  il  solo  TAA  nella  parte  in  cui
stabiliscono, solo per i  voti  espressi  dagli  abitanti  di  questa
regione, che l'attribuzione dei corrispondenti seggi avvenga  con  la
«previsione di  8  collegi  uninominali  e  3  deputati  di  recupero
proporzionale»,  ipotesi  non  prevista  per   nessun'altra   regione
italiana, neppure per le altre  regioni  a  statuto  speciale  e  non
giustificabile neppure dalla presenza di  una  minoranza  linguistica
riconosciuta (per quanto riguarda la VDA,  i  ricorrenti  riconoscono
che  «la  riserva  di  collegi  uninominali»   per   quella   regione
costituisce una «soluzione obbligata».). 
    Anche per questa parte il motivo appare manifestamente infondato. 
    Infatti la scelta del legislatore di dotare la regione TAA di una
peculiare  modalita'  di  attribuzione  dei  seggi  trova  fondamento
razionale nel fatto che la regione TAA e' costituita da due  Province
Autonome in una delle quali (Trentino  Alto  Adige)  la  porzione  di
popolazione di  lingua  germanofona  e  ladina  costituisce  si'  una
minoranza linguistica a livello nazionale ma  che  e',  al  contempo,
rilevante maggioranza all'interno del corrispondente territorio. 
    Secondo   la   dottrina,   questa    particolare    conformazione
etnico-linguistica della regione implica la necessita' di  garantire,
in particolare in Alto Adige, la giusta rappresentanza alla minoranza
nazionale  di  lingua  tedesca,  e  contemporaneamente   anche   alla
minoranza  locale  di  lingua  italiana,  nel  quadro  di  una  legge
elettorale con premio nazionale di maggioranza. 
    In tale quadro di particolare complessita' (unica  fra  le  venti
circoscrizioni elettorali del Paese), si  puo'  senz'altro  affermare
che il c.d. «recupero proporzionale» concorra ad evitare che  chi  e'
minoranza  linguistica  in   quel   territorio   non   trovi   alcuna
rappresentazione. 
    Non si rileva pertanto alcuna evidente violazione  del  principio
di uguaglianza di cui all'art. 3 ed anche di uguaglianza del voto  di
cui agli articoli 48 e 51 Costituzione. 
    Con  la  terza  parte  del  motivo  i  ricorrenti  censurano   le
disposizioni della legge n. 52/2015 nella  parte  in  cui  consentono
(ossia non vietano espressamente) agli elettori delle  regioni  Valle
d'Aosta e TAA di  partecipare  all'eventuale  turno  di  ballottaggio
nonostante essi eleggano tutti i loro rappresentanti al primo  turno,
in modo indipendente dall'esito del voto su base nazionale (sotto  il
profilo  del  conseguimento  gia'  al  primo  turno  del  premio   di
maggioranza). 
    Si ritiene che tale sia, infatti,  il  contenuto  del  motivo  in
esame cosi' espresso dai ricorrenti:  «Gli  elettori  di  VDA  e  TAA
eleggono i loro  rappresentanti  al  primo  turno  ...  ma  hanno  il
privilegio di  partecipare  al  secondo  turno  di  ballottaggio  per
decidere come debbano essere governati gli altri italiani». 
    Il denunciato «privilegio» che avrebbero gli elettori  di  questi
due collegi, di disporre di un «primo voto» tale da  determinare  con
precisione il risultato elettorale locale  e  di  un  «secondo  voto»
finalizzato all'attribuzione del  premio  di  maggioranza  sul  piano
nazionale,  non  tiene  pero'  conto  delle   misure   di   carattere
compensativo che il legislatore ha avuto cura di introdurre. 
    Il rilievo sul piano nazionale dei voti espressi  dagli  elettori
del VDA e del TAA e', infatti, compensato dalla previsione secondo la
quale i seggi guadagnati in quelle due  circoscrizioni  da  candidati
collegati ad una lista che abbia vinto il premio di maggioranza  sono
scomputati dal traguardo dei 340 seggi. 
    Con il decimo motivo si censura  l'illegittimita'  costituzionale
degli articoli 1, comma 1) lettera a), e) e i) e art. 2 commi  1,  2,
3, 4, 5, 25 capoverso «art. 83» commi 1 numeri 3, 6, 29, 30, 31 e  32
della legge n. 52/2105 in relazione agli articoli 1, 2, 3, 6, 10, 11,
48, 49, 51, 117 comma II lettera f) Costituzione nella parte  in  cui
non  tutelano  in  modo  effettivo  e  attivo  le   altre   minoranze
linguistiche riconosciute  (diverse  cioe'  da  quelle  francofone  e
germanofone e ladine residenti in VDA e TAA) per le  quali  non  sono
previste   disposizioni   specifiche   idonee   a   dare    effettiva
rappresentativita' agli elettori appartenenti a tali minoranze. 
    Ritengono  infatti  i  ricorrenti  che  la  disposizione  di  cui
all'art. 83 comma 1 numero 3 a mente della quale l'Ufficio elettorale
nazionale: «individua quindi le  liste  che  abbiano  conseguito  sul
piano nazionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi  e  le
liste  rappresentative  di   minoranze   linguistiche   riconosciute,
presentate esclusivamente in una regione ad autonomia speciale il cui
statuto preveda una particolare tutela di tali minoranze linguistiche
che abbiano conseguito almeno il 20% dei voti validi  espressi  nella
regione medesima»,  non  sia  idonea  a  superare  tale  mancanza  di
effettiva  tutela  in  quanto  il  descritto  peculiare  sistema   di
conteggio dei voti si applicherebbe  solo  per  le  liste  che  siano
espressione di minoranze linguistiche  che  risiedano  in  regioni  a
statuto speciale e solo a  condizione  che  il  relativo  statuto  ne
preveda in modo specifico una particolare tutela. 
    Verrebbero conseguentemente esclusi da tale speciale  sistema  di
conteggio tutti gli elettori che abbiano votato per liste espressione
di minoranze linguistiche (riconosciute) presentate in regioni non ad
autonomia speciale, ovvero in quelle regioni  ad  autonomia  speciale
che nulla prevedano  sul  punto,  sicche'  forse  solo  la  minoranza
linguistica  slovena  residente  in  Friuli  Venezia-Giulia   sarebbe
tutelata  dal  combinato  disposto  delle   disposizioni   statutarie
regionali e dal citato art. 83 primo comma n. 3) legge n. 25/2015. 
    Con  il  tredicesimo  motivo  viene  censurata   l'illegittimita'
costituzionale  della  TABELLA  A  approvata  dall'art.   1   decreto
legislativo n. 122/2015 per violazione dell'art.  76  Costituzione  e
dell'art. 4 della legge n. 52/2015 per violazione degli  articoli  l,
2, 3, 6, 48, 49 e 51 Costituzione. 
    L'art. 4 legge n. 52/2015 contiene una delega al Governo  per  la
«determinazione dei collegi  plurinominali»,  da  adottare  entro  90
giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa, secondo  i
criteri dettati dalle lettere da a) a g) dell'art. 4. 
    La delega e' stata attuata con il decreto legislativo n. 122/2015
che ha individuato i confini «geografici» di detti collegi, contenuti
nella Tabella A approvata con l'art. 1 del decreto in questione. 
    Lamentano i ricorrenti che nel dare  attuazione  alla  delega  il
Governo avrebbe disatteso (ossia non applicato) i criteri di cui alle
lettere c) (ultimo  periodo)  e  g)  con  violazione,  quindi,  della
delega. 
    La mappa dei collegi plurinominali che si ricava dalla Tabella A,
inoltre, non solo violerebbe la  delega,  ma  produrrebbe  anche  una
violazione del principio di tutela delle minoranze linguistiche. 
    Molto in sintesi, secondo  quanto  prospettato,  sarebbero  stati
separati  comuni  caratterizzati  dalla   presenza   di   determinate
minoranze linguistiche, con l'effetto  pratico  di  «annacquarne»  il
peso del voto in uscita (cio'  avverrebbe,  in  particolare,  per  la
minoranza di lingua slovena, nonostante il  riconoscimento  da  parte
della Regione ad autonomia speciale), tenuto conto  della  soglia  di
sbarramento posto  dall'art.  83  primo  comma  n.  3  che  le  liste
rappresentative  di  minoranze  linguistiche  devono   superare   per
concorrere alla ripartizione dei seggi alla Camera. 
    I motivi decimo e  tredicesimo,  in  quanto  vertono  sul  comune
argomento della distorsione del voto  in  uscita  dovuto  alle  norme
dettate  per  la  tutela  delle  minoranze   linguistiche   in   sede
elettorale, devono essere esaminati congiuntamente. 
    Tali motivi appaiono, anzitutto, privi di rilevanza ed essi sono,
in ogni caso manifestamente infondati per come prospettati. 
La rilevanza 
    Come si e' accennato i ricorrenti lamentano  la  restrizione  del
loro  diritto  di  voto  secondo  i  parametri  della  uguaglianza  e
liberta', che sarebbe stato ingiustamente compresso  da  molte  norme
della legge  n.  52/2015  sospettate  di  essere  non  conformi  alla
Costituzione. 
    Nessuno dei ricorrenti afferma di  appartenere  a  una  minoranza
linguistica riconosciuta dalla legge e nessuno di loro  e'  residente
in FVG ovvero  nella  Regione  Sardegna  (dal  complesso  dei  motivi
emerge, infatti, che i ricorrenti riconoscono  la  correttezza  delle
disposizioni che agevolano le minoranze linguistiche insediate in VDA
e TAA, mentre lamentano l'irragionevolezza delle norme che vanificano
il riconoscimento operato a livello di statuto speciale dalla regione
Friuli in favore della minoranza slovena e  l'irragionevolezza  delle
norme che non attribuiscono alcun  correttivo  al  voto  espresso  in
favore delle liste che siano espressione  di  minoranze  linguistiche
riconosciute dalla legge nelle regioni a statuto  ordinario  e  nella
regione Sardegna il cui statuto speciale nulla prevede sul punto). 
    Si  legge,  alla  pag.  92  del  ricorso,  a  conclusione   della
illustrazione delle ragioni per le quali il nuovo disegno dei collegi
plurinominali comporterebbe nei fatti in una consapevole  distorsione
del voto espresso in  favore  delle  liste  rappresentative  di  tali
minoranze: «... le minoranze  linguistiche  riconosciute  e  tutelate
dalla legge n. 482/1999  sono  state  suddivise  in  due  collegi  in
Piemonte, Puglia e Calabria. Le considerazioni che precedono  vengono
qui richiamate dai ricorrenti anche se non specifiche  della  Regione
di appartenenza dei ricorrenti. In ogni caso, vale il  principio  per
cui la violazione di  norme  costituzionali  in  materia  elettorale,
anche se non produttiva di  conseguenze  dirette  sull'esercizio  del
diritto dei ricorrenti al voto uguale e  libero  diretto,  lede,  pur
sempre e per tutti gli elettori/elettrici  -  in  via  mediata  -  il
diritto ad un voto conforme a costituzione. Il  principio  di  tutela
delle minoranze linguistiche di cui all'art. 6 Cost.  rappresenta  il
superamento delle concezioni nazionalistiche dello stato ottocentesco
e si situa ad un punto di incontro con altri  principi  fondamentali:
quello pluralistico ex art. 2 Cost. e quello di uguaglianza ex art. 3
Cost. Ne consegue che la violazione  della  norma  costituzionale  di
tutela della  minoranze  linguistiche  si  qualifica  direttamente  e
contemporaneamente come violazione degli articoli 2  e  3  Cost.  non
solo con riferimento diretto  agli  appartenenti  a  dette  minoranze
linguistiche ma pure con riferimento, seppur  mediato,  a  tutti  gli
elettori ...». 
    Si osserva che i ricorrenti  sono  tutti  residenti  in  Piemonte
sicche'   appare   poco   spiegabile   l'affermazione   secondo   cui
l'accorpamento di collegi plurinominali che ha interessato  anche  le
minoranze linguistiche riconosciute e insediate in Piemonte,  sarebbe
un fatto che  non  interessa  la  regione  nella  quale  risiedono  i
ricorrenti. 
    Nonostante  questa  affermazione  contraddittoria  i  due  motivi
evidenziano,  come  riconosciuto  in  sostanza  dalla  stessa   parte
ricorrente, l'assenza di una violazione diretta del diritto  di  voto
da ciascuno espresso per effetto delle norme censurate con  i  motivi
in esame. 
    La prospettata restrizione del voto  a  causa  della  sostanziale
impossibilita', che  deriverebbe  dalle  nuove  disposizioni  dettate
dalla legge n. 52/2015 (e decreti attuativi), di raggiungere  per  le
liste  espressione  di  minoranze  linguistiche  diverse  da   quelle
presentate in VDA e TAA di raggiungere la soglia di  accesso  del  3%
(in quanto calcolata su base nazionale) ovvero del 20%  per  la  sola
minoranza  slovena,  ma  sulla  base  di  un  disegno   dei   collegi
plurinominali  fortemente  penalizzante  per  tale   minoranza)   non
riguarderebbe pertanto in via diretta la  posizione  giuridica  fatta
valere dai ricorrenti nel presente giudizio. 
    I ricorrenti manifestano, non a caso,  in  relazione  alle  norme
censurate con i motivi in esame, un interesse  mediato  e  quindi  di
mero fatto, ad ottenere un giudizio di legittimita' costituzionale di
norme che tutelano interessi costituzionali dei quali essi  non  sono
titolari ma solo portatori quali  cittadini  italiani,  e  non  quali
elettori interessati dalla applicazione  proprio  delle  disposizioni
censurate. 
    E' allora evidente che le norme in questione non  sono  rilevanti
ai fini della decisione della  presente  controversia,  basata  sulla
asserita restrizione del diritto  di  voto  spettante  ai  ricorrenti
quali «semplici» cittadini  e  non  quali  elettori  che  sono  anche
appartenenti a minoranze linguistiche riconosciute  dalla  legge  che
esprimono un voto in una regione non a Statuto speciale. 
    Le disposizioni  censurate  non  potranno,  per  questo,  trovare
applicazione diretta nella presente controversia, non  contenendo  il
paradigma  in  relazione  al  quale   si   valutera'   l'ampiezza   e
l'uguaglianza del diritto di voto da loro  espressa,  ferma  restando
l'esistenza di un generico interesse  (che  pero'  non  puo'  trovare
tutela giurisdizionale e quindi non  puo'  condurre  all'invio  delle
norme sospettate di  illegittimita'  alla  Corte  costituzionale)  al
rispetto, quali  cittadini  italiani,  delle  minoranze  linguistiche
anche qualora ad esse non si appartenga. 
La manifesta infondatezza di entrambi i motivi 
    Quand'anche si ritenesse, invece, che il diritto fatto valere dai
ricorrenti alla espressione di un voto uguale e  libero,  ricomprenda
anche l'interesse ad  esprimerlo  con  le  restrizioni  che  da  esso
possono derivare (in  uscita)  dalla  necessaria  adozione  di  norme
speciali che tutelano interessi di rilievo costituzionale,  quali  le
norme dettate  a  tutela  del  voto  espresso  dagli  appartenenti  a
minoranze linguistiche, entrambi i motivi, per come prospettati, sono
manifestamente infondati. 
    Il decimo motivo  muove  dal  presupposto,  che  non  puo'  dirsi
condivisibile,  proprio  alla  luce   del   parametro   generale   di
uguaglianza (art. 3 Costituzione) che tutte le minoranze linguistiche
del Paese - per tali  intendendosi  quelle  formalmente  riconosciute
dalla legge n. 482/99 debbano necessariamente trovare  rappresentanza
in Parlamento (nella specie alla Camera), a  prescindere  dalla  loro
consistenza numerica rispetto al territorio nel quale sono  insediate
e che costituisce la base per  il  conteggio  dei  voti  al  fine  di
attribuire i seggi alla Camera. 
    Si  deve  considerare  che,  in  linea  generale,  e'   principio
ragionevole che un determinato gruppo di cittadini che  appartenga  a
una  minoranza  riconosciuta  (come  appunto  gli  appartenenti  alle
minoranze linguistiche)  per  avere  una  propria  rappresentativita'
elettorale debba necessariamente avere  una  determinata  consistenza
numerica rapportata al territorio in cui detta minoranza e' insediata
(v.  anche  in  generale  quanto  disposto  dall'art.  56  IV   comma
Costituzione). 
    Diversamente, attribuendo cioe' una rappresentativita' elettorale
che di tale dato non tenga conto (che cioe' non determini con criteri
appropriati  il  «peso»  in  uscita  espresso  da  questo  gruppo  di
cittadini)  si  avrebbe  il  prevedibile  e  irrazionale  effetto  di
attribuire al voto  espresso  dal  cittadino  che  a  tale  minoranza
appartiene un valore superiore a 2 o comunque nettamente superiore  a
1, ossia al valore numerico che deve  essere  attribuito  a  un  voto
«uguale». 
    Gli stessi ricorrenti riconoscono che vi sono  nel  nostro  Paese
minoranze linguistiche insediate  in  determinati  territori  la  cui
consistenza numerica e' estremamente esigua. 
    Qualora venisse adottato  un  criterio  che,  con  gli  opportuni
correttivi, consentisse a ciascuna minoranza linguistica riconosciuta
di  esprimere  un  proprio  rappresentante  in  Parlamento,   sarebbe
evidente l'alterazione del peso del voto  in  uscita  espresso  dagli
appartenenti a tale gruppo linguistico rispetto a quello espresso  da
un «normale» elettore, tale da superare di gran lunga il rapporto  di
ragionevole correzione del voto in entrata uguale a 1 con il voto  in
uscita uguale a 1. 
    Questo implica che  non  necessariamente  l'assenza  di  appositi
contrappesi  correttivi  per   favorire   la   rappresentanza   degli
appartenenti alle minoranze linguistiche costituisce  violazione  dei
precetti costituzionali volti alla tutela  delle  minoranze,  essendo
rinvenibili le ragioni per le quali tale correzione, in  certi  casi,
porterebbe a una eccessiva e irragionevole sovra rappresentazione del
voto degli esponenti di tali minoranze. 
    Gli  stessi  ricorrenti,  pur  ricordando  che  vi  sono   alcuni
specifici casi in cui alcune  minoranze  linguistiche  godono  di  un
simile strumento di correzione, non si fanno carico  di  indicare  in
modo oggettivo per quali ragioni  i  rappresentanti  delle  minoranze
linguistiche da essi  menzionate,  in  particolare  quelli  insediati
nella  Regione  Piemonte,  avrebbero  in  concreto  una   consistenza
numerica significativa. 
    Si deve infatti  rilevare  che  nei  casi  previsti  dalle  norme
censurate (minoranze linguistiche presenti in VDA e TAA oltre che  la
minoranza slovena per il caso del Friuli)  gli  appartenenti  a  tali
gruppi linguistici nei  territori  di  riferimento  rappresentano  un
numero significativo della popolazione li' insediata tale  da  essere
in sostanza la maggioranza. 
    Rispetto a questi gruppi (specie VDA e  TAA)  senza  un  adeguato
correttivo del voto da loro espresso, vi sarebbe in effetti  una  non
ragionevole distorsione tra il voto in entrata e il  voto  in  uscita
per quel gruppo  di  elettori,  in  maggioranza  nel  territorio  che
costituisce il collegio elettorale ma che mai potrebbe  rappresentare
tale propria condizione a livello nazionale. 
    E'  pero'  indubbio  che  non  tutte  le  minoranze  linguistiche
riconosciute presenti in Italia abbiano tale peculiare condizione e i
ricorrenti non indicano quali tra esse soffrano di una  irragionevole
sotto rappresentazione a causa delle norme elettorali censurate. 
    Non appare allora di  dubbia  costituzionalita'  la  disposizione
contenuta nell'art. 83 comma  1,  n.  3  che  prevede  che  l'ufficio
centrale nazionale, nell'individuazione la soglia di accesso da parte
delle liste rappresentative di minoranze linguistiche ne tiene  conto
esclusivamente nelle regioni ad autonomia  speciale  il  cui  statuto
preveda una particolare tutela di tali minoranze linguistiche e  non,
evidentemente, nelle regioni ad autonomia speciale  che  tale  tutela
non prevedano (come ad esempio il caso dello  Statuto  della  Regione
Sardegna, menzionato  dalla  parte  ricorrente)  e  nelle  regioni  a
statuto   «ordinario»   nelle   quali   siano   insediate   minoranze
linguistiche riconosciute dalla legge n. 482/99. 
    Per le ragioni appena  esposte  deve  in  conclusione  escludersi
l'irrazionalita' di norme che tale correttivo non attribuiscano  alle
liste per il solo  fatto  di  essere  espressione  di  una  minoranza
linguistica. 
    Con l'undicesimo motivo i ricorrenti  censurano  gli  articoli  2
comma 10 e comma 36 legge n. 52/2015 e 18-bis commi  1  e  2  (?)  in
relazione agli articoli 3, 48, 49 e 51 Costituzione, nonche  24,  113
Costituzione e 13 CEDU. 
    I  ricorrenti  lamentano  infatti   che   in   modo   del   tutto
irragionevole i nuovi soggetti  politici  che  intendono  partecipare
alla competizione elettorale, per  poter  presentare  le  loro  liste
devono munirsi di un numero di firme di elettori iscritti nelle liste
elettorali (di comuni compresi  nei  Collegi  nei  quali  si  intende
partecipare) ricompreso tra 1.500 e 2 mila firme ovvero, in  caso  di
scioglimento della Camera di deputati prima  di  120  giorni,  da  un
numero pari alla meta' delle firme richieste in via ordinaria. 
    Invece nessuna sottoscrizione e' richiesta per i partiti e gruppi
politici costituiti in gruppo  parlamentare  in  entrambe  le  Camere
all'inizio della legislatura in corso al momento  della  convocazione
dei Comizi, ovvero per  i  partiti  o  gruppi  politici  che  abbiano
effettuato le dichiarazioni di collegamento di cui all'art. 14-bis (a
condizione che il collegamento venga fatto on due  partiti  o  gruppi
politici che abbiano conseguito almeno un seggi  in  occasione  delle
ultime elezioni per il Parlamento europeo). 
    Il tutto con l'adozione di criteri  di  esenzione  disomogenei  e
contraddittori  rispetto  allo  scopo  dichiarato  di  garantire   la
governabilita'. 
    Come emerge dalle motivazioni esposte a sostegno  del  motivo  in
esame,  i  ricorrenti  evidenziano  che  le  disposizioni   censurate
lederebbero il diritto  dei  partiti  alle  pari  opportunita'  nelle
competizioni elettorali in violazione degli articoli 3, 48, 49  e  51
della Costituzione  e  lamentano  inoltre  l'assenza  di  un  «giusto
processo» (o meglio di un rimedio effettivo ex art. 113 C.E.D.U.) che
consenta ai partiti esclusi per insufficienza di  firme  di  ottenere
tutela giurisdizionale con ulteriore violazione degli articoli  24  e
113 Costituzione, atteso che il Governo, nuovamente  violando  l'art.
76 Costituzione, non aveva attuato i principi contenuti  nella  legge
delega n. 69/2009 art. 44 comma 2 lettera b) che  avrebbe  consentito
l'impugnazione delle operazioni elettorali preparatorie, tra le quali
le ammissioni e le esclusioni di liste per il Parlamento. 
    Tale effettiva tutela non sarebbe oggi garantita  dalla  «abnorme
estensione  dell'autodichia  ex  art.  66  Costituzione»   che   tale
competenza attribuisce attualmente alla Camera. 
    Il  motivo  e'  privo  di  rilevanza  e  comunque  manifestamente
infondato nel merito. 
    Sulla rilevanza appare sufficiente osservare che le  disposizioni
censurate pongono - piu'  che  limiti  -  alcune  condizioni  per  la
legittima presentazione delle liste che  intendono  partecipare  alla
competizione elettorale. 
    L'eventuale  lesione  che  da   tali   disposizioni   deriverebbe
riguarderebbe, proprio per come prospettata, la lesione  del  diritto
di elettorato passivo, subita dai gruppi di  cittadini  che  a  causa
delle disposizioni censurate non potrebbero presentare se non entro i
limiti  individuati   dal   legislatore,   liste   legittimate   alla
partecipazione elettorale e quindi alla raccolta di voti validi. 
    Gli odierni  ricorrenti,  pero',  hanno  adito  questo  Tribunale
facendo valere la loro posizione di elettori attivi, il  cui  diritto
ad esprimere, nei termini piu' volte  ricordati,  un  voto  uguale  e
libero sarebbe stato violato dalla legge n. 52/2015. 
    Non viene fatta invece  valere  la  posizione  di  cittadini  che
aspirano alla presentazione di liste che a causa  delle  disposizioni
censurate  verrebbero  illegittimamente   (ossia   irragionevolmente)
pregiudicati nel diritto di partecipare alla competizione elettorale. 
    Ancora una volta, quindi, le norme  in  esame  produrrebbero,  al
piu', una violazione mediata del diritto di  voto  attivo,  dato  che
esse non precluderebbero ne'  l'esercizio  del  diritto  di  voto  in
quanto tale ne' ne distorcerebbero il risultato in uscita per effetto
di meccanismi di conteggio, ma ne limiterebbero  la  possibilita'  di
scelta, riducendo l'ampiezza dell'offerta elettorale,  non  potendosi
esprimere il voto se non per le liste che riescano a soddisfare tutti
i  criteri  di  ammissibilita'  richiesti  dalle  norme   della   cui
legittimita' si dubita. 
    Il motivo e', comunque, manifestamente infondato. 
    Esso infatti muove dal presupposto, non condivisibile  in  quanto
apodittico, secondo cui sarebbe in se' irragionevole porre  qualsiasi
limitazione  in  sede  di  presentazione  delle  liste  che   possono
contendersi il voto. 
    Il diritto dei cittadini di aggregarsi in  gruppi  che  esprimono
liste che aspirano a raccogliere le  preferenze  degli  elettori  ben
puo' subire limitazioni ragionevoli in vista di un  altro  valore  di
rango costituzionale, quale e' quello della governabilita'  che,  per
quanto attiene l'adozione delle regole che disciplinano le  modalita'
di presentazione delle liste elettorali, ben puo' avere lo  scopo  di
evitare,  a  monte,  una  eccessiva  frammentazione  del   voto   che
deriverebbe, appunto, da un sistema  di  regole  che  consentisse  un
accesso  illimitato  e  indiscriminato  di  qualsiasi   gruppo   alla
competizione elettorale. 
    I criteri individuati dal legislatore del 2015  non  appaiono  in
se'  irragionevoli  ne'  appaiono   irragionevoli   i   criteri   che
distinguono tra liste che devono legittimarsi con  l'acquisizione  di
un certo numero di firme e liste che ne sono esentate. 
    La raccolta delle firme e' infatti  un  criterio  pertinente,  in
quanto espressione di radicamento del gruppo nella societa' civile, e
non e' pertanto arbitrario adottare criteri di selezione «dal  basso»
ossia rimessa a cittadini «selezionatori» che  poi  saranno  (come  i
ricorrenti) gli elettori attivi, dei gruppi legittimati a partecipare
alla competizione. 
    La soglia numerica minima di firme indicata  dal  legislatore  in
termini assoluti non viene in se' censurata  dai  ricorrenti,  e  non
puo' dirsi in se' abnorme o comunque tale da ostacolare in modo serio
l'accesso alla competizione elettorale. 
    Neppure  puo'  dirsi  irragionevole  l'adozione  dei  criteri  in
presenza dei quali le liste vengono invece esentate,  trattandosi  di
criteri che si fondano su una preesistente legittimazione  dovuta  al
voto validamente espresso precedentemente in loro favore e che ne  ha
consentito l'accesso  alla  Camera  nazionale  ovvero  al  Parlamento
europeo. 
    Appare inoltre manifestamente infondata la pretesa dei ricorrenti
di  censurare  le  norme  in  esame   sulla   base   della   asserita
illegittimita' (questa  e'  in  sostanza  la  valutazione  che  viene
espressa dai ricorrenti in relazione all'art. 66 della  Costituzione)
di una norma costituzionale che fino  ad  oggi  avrebbe,  in  estrema
sintesi, consentito di privare i partiti o i movimenti che  intendono
partecipare  alla  competizione  elettorale  di  avere  un  effettivo
rimedio giurisdizionale in caso di non ammissione  delle  loro  liste
nella fase preparatoria della competizione. 
    Con il sesto motivo vengono censurati: l'art. 1, comma 1  lettera
f); art. 2 commi 1, 25 capoverso «art. 83» della legge n.  52/2015  e
93 comma 2 n. 5 decreto del Presidente della Repubblica  n.  361/1957
relativamente al turno di ballottaggio in relazione agli articoli  1,
3, 48 II comma, 49, 51, 56 commi I e IV 67 Costituzione e art. 3  del
Protocollo addizionale CEDU nella parte in cui disciplinano il  turno
di  ballottaggio  e   l'attribuzione,   all'esito   del   premio   di
maggioranza. 
    Ritengono i ricorrenti che  il  meccanismo  di  attribuzione  del
premio di maggioranza al secondo turno  di  ballottaggio  tra  liste,
violi il principio di ragionevolezza e di  uguaglianza  del  voto  in
quanto consente l'attribuzione del premio con  modalita'  che,  senza
adeguati correttivi, rischiano di premiare in modo abnorme una  forza
politica addirittura in modo inversamente proporzionale al  grado  di
consenso ricevuto. 
    L'effetto fortemente  e  irragionevolmente  distorsivo  del  voto
espresso sarebbe dovuto al fatto che: 
        -  le  disposizioni  in  esame  attribuiscono  il  premio  di
maggioranza sulla base dei voti  validi  espressi  nel  turno,  senza
porre un correttivo quale, ad esempio, il raggiungimento di un quorum
minimo al primo turno, con  la  conseguenza  che  potrebbe  risultare
vincitrice al ballottaggio una lista che  in  termini  assoluti  (per
voti espressi in suo favore) e' in realta' minoritaria; 
        - il voto  dei  cittadini  che  avesse  scelto  la  lista  di
minoranza (tale al primo turno) finirebbe, con  l'esito  del  secondo
turno, ad esprimere un voto di valore piu'  che  doppio  rispetto  al
voto espresso dai cittadini che avessero, invece, votato altre  liste
(nel ricorso viene fatto l'esempio della lista che va al ballottaggio
avendo ottenuto, al primo turno, il 25% dei voti, e che vincerebbe il
turno  di  ballottaggio  ottenendo  186  seggi  di  «premio»  che  le
farebbero conseguire il 54% dei deputati; in tale situazione le altre
liste, che rappresenterebbero il 75% dei voti validi  espressi  nella
competizione, si vedrebbe attribuita la restante quota minoritaria di
seggi, pari a 278). 
    Il che comporterebbe la violazione del principio  di  uguaglianza
del voto e di rappresentativita'  democratica  dell'assemblea  eletta
con tale sistema. 
    Si ritiene non manifestamente infondato il motivo nei termini che
seguono. 
    Come i ricorrenti ricordano, il legislatore,  nel  determinare  i
modi con i quali attribuire il premio di maggioranza deve operare  in
modo tale da contemperare in  modo  ragionevole  i  due  contrapposti
interessi di pari rilievo costituzionale che  sono  il  principio  di
rappresentativita' e il principio di governabilita'. 
    Conseguentemente, provvedendo sul testo della legge n.  270/2005,
la  Corte  costituzionale  ha  statuito  che:   «il   meccanismo   di
attribuzione  del  premio  di  maggioranza  prefigurato  dalle  norme
censurate, inserite nel sistema proporzionale introdotto con la legge
n. 270/2005, in quanto combinato con  l'assenza  di  una  ragionevole
soglia di voti minima per competere all'assegnazione  del  premio  e'
pertanto tale da determinare un'alterazione del circuito  democratico
definito dalla Costituzione, basato  sul  principio  fondamentale  di
uguaglianza  (art.  48  comma  II,  Cost.).  Esso  infatti  pur   non
vincolando il legislatore ordinario alla  scelta  di  un  determinato
sistema, esige che ciascun voto  contribuisca  potenzialmente  e  con
pari efficacia alla funzione degli organi elettivi ... ». 
    La dottrina ha ritenuto che il  principio  cosi'  espresso  abbia
portato all'individuazione di un limite costituzionalmente necessario
per la legittima attribuzione del premio di maggioranza, dal quale il
legislatore non puo' prescindere in sede di  adozione  di  una  legge
elettorale che intenda garantire la governabilita' attraverso  questo
specifico meccanismo. 
    Tale  limite  intrinseco  dovrebbe  imporre  al  legislatore   di
adottare, in tali casi, tutti i correttivi  necessari  ad  assicurare
che il premio di maggioranza (che  consiste  nella  attribuzione  del
numero di  seggi  necessario  a  raggiungere,  secondo  la  legge  n.
52/2015,  il  55%  dei  seggi  alla  Camera)  vada  attribuito   alla
formazione che tale limite ha almeno raggiunto, se non superato. 
    Il quadro complessivo della  legge  n.  52/2015  prevede  che  la
governabilita' sia garantita, nel caso in cui nessuna delle liste che
partecipano alla competizione elettorale si aggiudichi la maggioranza
dei seggi alla Camera, con l'attribuzione del premio  di  maggioranza
alla formazione che abbia raggiunto almeno il  40%  dei  voti  validi
espressi. 
    Nel caso in cui nessuna lista raggiunga almeno il 40%  dei  voti,
e' previsto un ulteriore  turno  elettorale  strutturato  secondo  il
modello (tra i tanti possibili) del ballottaggio di tipo binario,  al
quale hanno diritto di partecipare le sole prime  due  liste  che  al
primo turno abbiano raggiunto il maggior numero di voti, con espresso
divieto di collegamento tra liste o apparentamento tra i due turni di
votazione, con esclusione della possibilita' di esprimere  preferenze
e con conteggio dei voti che tiene conto  soltanto  dei  voti  validi
espressi nel turno di ballottaggio. 
    Nel dibattito seguito all'adozione della legge n. 52/2015  si  e'
evidenziata la profonda differenza del meccanismo di voto  del  primo
turno rispetto all'eventuale turno di ballottaggio. 
    Infatti nel primo turno all'elettore e' consentito  esprimere  il
voto  per  la  formazione  politica  nella  quale   maggiormente   si
identifica e in tal modo si esprime nella massima ampiezza,  il  voto
di rappresentanza. 
    Nell'eventuale turno di ballottaggio di lista (quale  e'  appunto
quello previsto dalla legge in esame) gli elettori vengono chiamati a
esprimere un voto, volto alla identificazione della lista che, tra le
due «superstiti» del primo turno, sara'  chiamata  a  governare,  con
evidente maggiore compressione del voto  di  rappresentanza,  proprio
per la inevitabile riduzione delle opzioni tra  le  quali  l'elettore
puo'  scegliere,  oltre  che  per  l'espresso  scopo  delle   tornata
elettorale (nella quale, infatti, non si esprimono preferenze). 
    In caso di ballottaggio, dunque, il premio di maggioranza  verra'
attribuito a chi ha ottenuto, nella seconda tornata,  la  maggioranza
dei voti validi espressi quale  conseguenza  diretta  di  una  scelta
degli elettori che e' pero', in questo caso, l'esito necessitato  che
deriva sia dalla limitazione dei soggetti nei confronti dei quali  si
puo' esprimere il  voto  (due  liste  essendo  espressamente  vietato
l'apparentamento o la coalizione) sia  dalla  scelta  di  conteggiare
detta maggioranza sui voti validi espressi nella tornata, senza  dare
alcun peso al raggiungimento, ad esempio, di un determinato quorum di
votanti tra gli aventi diritto. 
    Le  caratteristiche  del  turno  di  ballottaggio  delineate  dal
legislatore del 2015 hanno quindi indotto la  dottrina  a  riflettere
sul se si possa effettivamente dirsi rispettato  il  sopra  ricordato
principio  costituzionale  del  necessario  rispetto  di  un   limite
ontologico di rappresentanza del voto in  presenza  del  quale  possa
essere attribuito, a una sola lista, il premio di maggioranza,  senza
incorrere in censure di irragionevolezza e di  eccessiva  distorsione
del voto. 
    Gli studiosi hanno, come e' noto,  espresso  opinioni  differenti
che possono essere molto sinteticamente riassunte  nell'esistenza  di
due contrapposti filoni interpretativi. 
    Un primo filone evidenzia il fatto che il turno  di  ballottaggio
(come  delineato  dalle  norme  in  esame)  non  puo'   essere,   per
definizione,   sospettato   di   violare   il   ricordato   principio
costituzionale di  rappresentanza  del  voto  in  quanto,  in  questa
tornata, tutti gli elettori sono chiamati ad esprimere il  loro  voto
tra due liste in vista  della  governabilita'  (piuttosto  che  della
rappresentativita', intesa come identificazione tra voto espresso  in
favore di una formazione piu' vicina alle idee  dell'elettore)  e  in
tal caso,  il  premio  di  maggioranza  viene  attribuito  a  chi  si
conquista il consenso del 50% + 1 dei  voti  espressi  nel  turno  di
ballottaggio, soglia questa  indubbiamente  ragionevole  per  vedersi
attribuire il premio di  maggioranza  alla  Camera,  che  consentira'
quindi del tutto legittimamente  a  quella  formazione  di  governare
avendo il pieno controllo dell'assemblea. 
    Un   secondo   filone   evidenzia,   invece,    la    sostanziale
artificiosita' della maggioranza del 50% + 1 che scaturisce dal turno
di ballottaggio come disegnato dalla legge n. 52/2015, in  quanto  si
tratterebbe di una maggioranza solo virtuale perche'  priva,  se  non
adeguatamente corretta, di una effettiva valenza rappresentativa  del
corpo elettorale, tale per cui finirebbe, nonostante il dato formale,
per non essere rispettato il principio immanente  alla  Costituzione,
per cui il premio non potrebbe essere ragionevolmente attribuito alla
formazione che non abbia  ricevuto  una  certa  soglia  «critica»  di
consensi. 
    Si ritiene maggiormente convincente questo  seconda  corrente  di
pensiero. 
    Infatti essa si  fa  carico  di  dare  consistenza  effettiva  al
principio espresso dalla Corte costituzionale secondo cui  senza  una
soglia minima di voti che sia espressione di rappresentativita' della
forza politica, l'attribuzione ad essa del premio di maggioranza  non
puo' dirsi rispettosa di tale principio. 
    Il legislatore si e' limitato, infatti, a prevedere che  accedano
al secondo turno le sole  due  liste  piu'  votate  al  primo  turno,
purche' abbiano raggiunto almeno la soglia del 3% (ovvero del 20% nel
caso di liste espressione di minoranze linguistiche).  Cosi'  facendo
ha implicitamente riconosciuto, da un lato, che sussiste un  problema
della rappresentativita' delle  liste  ammesse  al  ballottaggio,  da
misurare  sulla  base  dei  voti  riportati   nella   prima   tornata
elettorale. 
    D'altro lato pero' il parametro utilizzato  e'  quello,  diverso,
delle soglie minime previste in generale dalla  legge  elettorale  in
esame, per partecipare alla attribuzione dei seggi, criterio adottato
per scoraggiare una eccessiva «polverizzazione» del voto. 
    Nel valutare l'effettiva forza rappresentativa del 50%  +  1  dei
voti espressi al  ballottaggio  si  deve  anche  considerare  che  e'
previsto  che  tale  maggioranza  venga  calcolata  sui  voti  validi
espressi,  il  che  finisce  per  non  dare  alcun  rilievo  al  peso
dell'astensione, che potrebbe  essere  anche  molto  rilevante  quale
prevedibile  conseguenza  della   radicale   riduzione   dell'offerta
elettorale nel ballottaggio. 
    Il sistema del ballottaggio, quindi, nonostante si tratti di  una
tornata  di  votazioni  radicalmente  differente  dal  primo   turno,
mantiene la stessa base di calcolo del voto, non contiene regole  che
consentano di rafforzare l'elemento di rappresentativita' del voto e,
anzi, adotta disposizioni che allontanano da questo  obiettivo,  dato
che solo per questa fase il legislatore pone un esplicito divieto  di
apparentamento o coalizione tra liste. 
    Tale divieto, evidentemente  espressione  di  un  favore  per  la
governabilita' (ritenendosi piu' stabile una maggioranza ottenuta  da
una sola lista, invece  che  da  una  coalizione  di  liste)  risulta
tuttavia irrazionale in quanto rende il voto  espresso  al  turno  di
ballottaggio eccessivamente sbilanciato in favore di tale  valore,  a
scapito  del   valore   -   di   rilievo   costituzionale   -   della
rappresentativita' del voto che viene, in  tal  modo,  eccessivamente
compresso proprio in vista della sua idoneita' a far conseguire  alla
lista vincitrice il controllo della Camera dei deputati. 
    Senza l'adozione di  meccanismi  che  garantiscano  una  adeguata
espansione della componente rappresentativa del  voto  (ovvero  senza
l'eliminazione del divieto di cui si  e'  detto)  l'attribuzione  del
premio  di  maggioranza  alla   sola   lista   che,   all'esito   del
ballottaggio, si aggiudichi il  premio  di  maggioranza  finisce  per
essere  svincolata  dalla  esistenza  di  parametri   oggettivi   che
consentano di affermare  che  lista  vincitrice  ha  ottenuto  quella
«ragionevole soglia di  voti  minima»  in  presenza  della  quale  e'
possibile la legittima attribuzione del premio di maggioranza. 
    Appare  allora  non  manifestamente  infondato   il   dubbio   di
conformita' a Costituzione espresso dai ricorrenti, in relazione agli
articoli 1 II comma, 3, 48  II  comma  Costituzione,  la'  dove  essi
evidenziano,  in  accordo  con  le   opinioni   espresse   da   molti
costituzionalisti, che l'attuale sistema, privo di  correttivi,  pone
il concreto rischio che il premio venga attribuito a  una  formazione
che e' priva di adeguato radicamento nel corpo elettorale. 
    Con l'ottavo motivo i ricorrenti censurano  la  non  conformita',
rispetto agli articoli 48 e 51 Costituzione delle disposizioni di cui
all'art. 2 comma 11 Legge n.  52/2015  «sulle  candidature  multiple»
nella parte in cui consentono al candidato capolista in piu'  collegi
«di optare  ad  elezione  avvenuta  con  successo,  per  un  collegio
piuttosto che per un altro», senza dare indicazioni  sulle  modalita'
di esercizio di detta opzione e cosi' influendo in modo arbitrario  e
potenzialmente molto «pesante» sul voto di preferenza espresso  dagli
elettori a favore di un candidato che, senza l'opzione del capolista,
verrebbe senz'altro eletto avendo raggiunto  il  numero  maggiore  di
preferenze rispetto agli altri competitori della sua stessa lista. 
    Si deve preliminarmente osservare  che  i  ricorrenti  non  hanno
indicato in modo completo le norme che, a loro dire,  comporterebbero
una lesione del diritto di voto uguale e libero. 
    Infatti l'art. 2 comma 11 citato dai ricorrenti  regola  il  c.d.
sistema delle candidature multiple ma nulla dice riguardo alla scelta
dell'eletto nell'ambito di tale sistema. La disposizione della  legge
n. 52/2015 che attiene alla liberta' (assoluta)  di  opzione  per  il
candidato plurieletto di scegliere, tra i vari collegi nei quali egli
puo' aspirare all'elezione, va invece rinvenuta nel successivo  comma
27 del medesimo art. 2 cit. che, nel mantenere ferma la  disposizione
contenuta nell'art. 85, comma 1  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 361/1957, apporta ad essa esclusivamente le  variazioni
testuali necessarie ad armonizzarla alle  altre  modifiche  apportate
dalla legge. 
    L'art. 85 (unico comma) decreto del Presidente  della  Repubblica
n. 361/57, come modificato dalla legge n. 52/2015, cosi' dispone: «il
deputato eletto in piu' collegi plurinominali  deve  dichiarare  alla
Presidenza della Camera dei deputati, entro otto  giorni  dalla  data
dell'ultima proclamazione, quale  collegio  plurinominale  prescelga,
mancando l'opzione si procede al sorteggio». 
    Con  questa  precisazione,  si  puo'   pertanto   ritenere   che,
attraverso il motivo qui esaminato, i  ricorrenti  abbiano  lamentato
l'illegittimita'  costituzionale  di  tutte  le  disposizioni  teste'
richiamate che, nel  loro  combinato  disposto,  consentono  ai  soli
candidati capilista di candidarsi in piu' collegi (fino ad un  limite
massimo di 10 come si e' detto in precedenza) ed attribuiscono  loro,
nel caso conseguano la proclamazione  in  piu'  di  un  collegio,  di
optare senza  alcun  vincolo  per  il  collegio  nel  quale  vogliono
ricollegare la loro elezione. 
    Il motivo, nei  termini  suindicati,  non  appare  manifestamente
infondato, limitatamente alla disposizione che consente di operare la
scelta del collegio senza alcun tipo di vincolo, mentre il motivo non
appare fondato nella parte in cui viene censurato (nuovamente) in se'
il sistema della candidatura «bloccata o multipla»:  censura  che  e'
gia' stata esaminata in precedenza, laddove si e' proceduto all'esame
del settimo motivo per dichiararne la manifesta infondatezza. 
    Una  volta  che  sia   stata,   dunque,   riconosciuta   la   non
irragionevolezza della candidatura multipla per una sola categoria di
candidati  (i  capilista)  e  sottratti  questi  ultimi  al  voto  di
preferenza  da  parte  dell'elettore,  e'  giocoforza  ammettere   la
necessita' di un meccanismo di scelta che trovi applicazione nel caso
in cui, all'esito del voto, il candidato capolista risulti eletto  in
piu' collegi. 
    Due sono gli effetti  pratici  che  questa  scelta  comporta:  il
capolista  decade  automaticamente  nei  collegi  diversi  da  quello
prescelto ed in questi si procede pertanto all'attribuzione dei seggi
in modo «normale» secondo i voti di preferenza che  i  candidati  non
capolista si sono aggiudicata ed in ragione  dei  seggi  disponibili;
nel collegio prescelto, invece, i  candidati  che  abbiano  riportato
piu' preferenze possono aspirare all'elezione solo qualora  vi  siano
ulteriori seggi disponibili. 
    Questi effetti, proprio  a  ragione  della  loro  inevitabilita',
obbligano a spostare l'attenzione sulla scelta  dell'eletto,  da  cui
essi discendono: una scelta che il legislatore elettorale  affida  in
tutto e per tutto alla mera decisione dell'eletto. 
    L'art. 85 decreto del Presidente della Repubblica n.  361/1957  -
come novellato dalla legge n. 52/2015 - non contiene, infatti, alcuna
disposizione  che   vincoli   l'opzione   del   candidato   capolista
plurieletto a qualsivoglia criterio oggettivo e predeterminato ma  la
rimette  ad  una  mera  valutazione  di  opportunita'  da  parte  del
candidato stesso. 
    Il  dubbio   di   incostituzionalita'   di   questa   norma   e',
evidentemente,  distinto  da  quello   gia'   affrontato   circa   le
candidature «plurime e bloccate»  e  riguarda,  appunto,  il  momento
della scelta del capolista e le modalita' disegnate  dal  legislatore
per il suo esercizio. 
    Il Tribunale non puo' non rilevare, su questo specifico tema, che
il  voto  di  preferenza  viene,  in  questi  casi,   sostanzialmente
annullato nel collegio optato dal capolista. In virtu'  dell'opzione,
anzi, e' del tutto possibile che  il  candidato  che  abbia  ricevuto
molte  preferenze  (addirittura  il  piu'  votato  in  assoluto)  sia
surclassato da uno o  piu'  candidati  di  altri  collegi,  con  meno
preferenze. L'assenza di qualsivoglia criterio al quale il  capolista
debba  ispirarsi  nella  scelta  rende  impossibile  per   l'elettore
effettuare valutazioni prognostiche sulla «utilita'» del suo voto  di
preferenza, dato in favore di un candidato che faccia  parte  di  una
lista con capolista candidato anche in altri collegi,  non  potendosi
effettuare alcuna previsione circa le modalita'  con  cui,  all'esito
del voto, quel capolista esercitera', in caso di vittoria plurima, la
sua scelta. 
    Imprevedibilita'   ulteriormente   confermata   dal    meccanismo
alternativo alla scelta, costituito dal sorteggio. 
    Ne'  il  contenuto  inequivoco  dell'art.  85  cit.  consente  di
intravedere una interpretazione che superi  i  rilievi  che  si  sono
esposti. 
    La scelta del collegio nel quale il candidato plurieletto  vorra'
conseguire la proclamazione, in quanto rimessa al suo mero  arbitrio,
si concreta in una distorsione tra il  voto  di  preferenza  espresso
dagli elettori e il suo esito «in uscita» in quel collegio che appare
irrazionale rispetto al diritto di uguaglianza e liberta'  del  voto,
in quanto lede in modo eccessivo tale diritto, senza che  vi  sia  un
altro correlativo valore di rilievo costituzionale da  salvaguardare.
Ne' puo' invocarsi, in  proposito,  il  valore  della  governabilita'
perche'  questo,  al  piu',  viene  in  considerazione   laddove   il
legislatore ha dato il giusto rilievo, con il  sistema  del  «blocco»
della candidatura del capolista e  con  la  possibilita'  di  operare
anche una candidatura multipla, all'interesse delle  forze  politiche
che esprimono le liste elettorali di riservare, in caso  di  vittoria
elettorale, un seggio sicuro alla Camera a favore di personalita'  da
loro prescelte. 
    Appare,  invece,  eccessivamente  sproporzionato  perseguire   il
valore della governabilita' oltre che con  il  descritto  sistema  di
garanzie delle candidature bloccate  e  multiple,  con  un  ulteriore
meccanismo che consente, senza una specifica  ragione,  di  escludere
dal Parlamento (quale che sia la ragione che  in  concreto  guida  la
scelta del candidato plurieletto) un candidato senza che tale  scelta
sia condizionata dal  numero  di  voti  di  preferenza  ottenuti  dal
candidato destinato  all'esclusione,  ovvero  da  altro  sistema  che
consenta di salvaguardare nel massimo  grado  possibile  il  voto  di
preferenza espresso dagli elettori in  favore  di  chi  non  e'  capo
lista. 
    Non e' quindi manifestamente infondato il  dubbio  sollevato  dai
ricorrenti in ordine alla non conformita' agli articoli 3 e 48  comma
II Costituzione dell'art. 85 decreto del Presidente della  Repubblica
n. 361/1957 come modificato dall'art. 2 comma  27  legge  n.  52/2015
nella parte in cui attribuisce al capolista eletto in piu' collegi la
facolta' di optare in modo  illimitato  (se  si  eccettua  il  limite
temporale di 8 giorni) e cioe' non vincolandola a criteri oggettivi e
predeterminati, rispettosi - nel  massimo  grado  possibile  -  della
volonta' espressa dagli elettori. 
    In conclusione, per  tutte  le  ragioni  esposte,  devono  essere
dichiarate rilevanti e non manifestamente infondate le  questioni  di
costituzionalita'  sollevate  nel  giudizio,  tutte  indicenti  sulle
modalita' di esercizio della sovranita' popolare (art. 1 Cost., comma
2, 3, 48 II comma Cost.), aventi ad oggetto: 
        - l'art. 1 comma 1 lettera f) [sono attribuiti  comunque  340
seggi alla lista che ottiene, su base nazionale,  almeno  il  40  per
cento dei voti validi o, in mancanza, a  quella  che  prevale  in  un
turno di ballottaggio tra le due  con  il  maggior  numero  di  voti,
esclusa ogni forma di collegamento tra liste o di apparentamento  tra
i due turni di votazione] e art. 2 comma 25 «art. 83»  [relativamente
al novellato comma 5: «Qualora la verifica di cui al comma 1,  numero
5), abbia dato esito negativo, si procede ad un turno di ballottaggio
fra le liste che abbiano ottenuto al  primo  turno  le  due  maggiori
cifre elettorali nazionali e che abbiano i requisiti di cui al  comma
1, numero 3). Alla lista che ha ottenuto il maggior  numero  di  voti
validi  al  turno  di  ballottaggio  l'Ufficio  assegna  340   seggi.
L'Ufficio procede poi a ripartire proporzionalmente i restanti  seggi
tra le altre liste di cui al comma 1, numero 3), ai sensi  del  comma
3. L'Ufficio procede quindi all'assegnazione dei seggi ai  sensi  del
comma 4.»], della legge n. 52/2015; 
        - l'art.  85  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
361/1957 come modificato dall'art. 2 comma 27 legge n. 52/2015. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale di Torino dichiara rilevanti  e  non  manifestamente
infondate, in relazione agli articoli 1 comma  2,  3  e  48  comma  2
Costituzione, le questioni di  legittimita'  sollevate  in  relazione
agli articoli: 
        1 comma 1 lettera f) della legge n. 52/2015; 
        2 comma 25 «art. 83» della legge n. 52/2015 in  relazione  al
novellato comma 5; 
        85 decreto del Presidente della Repubblica n.  361/1957  come
modificato dall'art. 2 comma 27 legge n. 52/2015. 
    Manda alla Cancelleria di notificare  la  presente  ordinanza  al
Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione
al Presidente del Senato  della  Repubblica  e  al  Presidente  della
Camera dei deputati e alle parti del presente giudizio. 
    Dispone l'immediata trasmissione degli  atti,  comprensivi  della
documentazione  attestante  il   perfezionamento   delle   prescritte
comunicazioni e notificazione, alla Corte costituzionale. 
    Sospende il giudizio in corso. 
    Si comunichi. 
        Torino, 5 luglio 2016 
 
                         Il giudice: Contini